Language of document : ECLI:EU:T:2013:60

ORDINANZA DEL TRIBUNALE (Settima Sezione)

5 febbraio 2013(*)

«Ricorso di annullamento – Dumping – Estensione del dazio antidumping istituito sulle importazioni di determinati elementi di fissaggio in ferro o acciaio originari della Cina alle importazioni di tali prodotti spediti dalla Malaysia − Importatore indipendente − Articolo 263, quarto comma, TFUE – Difetto di incidenza individuale − Atto regolamentare che comporta misure di esecuzione – Irricevibilità»

Nella causa T‑551/11,

Brugola Service International Srl (BSI), con sede in Cassano Magnago, rappresentata da S. Bariatti e M. Farneti, avvocati,

ricorrente,

contro

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da J.‑P. Hix e P. Mahnič Bruni, in qualità di agenti, assistiti inizialmente da G. Berrisch e M. de Morpurgo, successivamente da Berrisch, avvocati,

convenuto,

sostenuto da:

Commissione europea, rappresentata da M. França e D. Grespan, in qualità di agenti,

interveniente,

avente ad oggetto la domanda di annullamento del regolamento di esecuzione (UE) n. 723/2011 del Consiglio, del 18 luglio 2011, che estende il dazio antidumping definitivo istituito dal regolamento (CE) n. 91/2009 sulle importazioni di determinati elementi di fissaggio in ferro o acciaio originari della Repubblica popolare cinese alle importazioni di determinati elementi di fissaggio in ferro o acciaio spediti dalla Malaysia, indipendentemente dal fatto che siano dichiarati o no originari della Malaysia (GU L 194, pag. 6),

IL TRIBUNALE (Settima Sezione),

composto dal sig. A. Dittrich, presidente, dalla sig.ra I. Wiszniewska-Białecka e dal sig. M. Prek (relatore), giudici,

cancelliere: sig. E. Coulon

ha emesso la seguente

Ordinanza

 Fatti

1        La ricorrente, Brugola Service International Srl (BSI), è una società di diritto italiano attiva nel settore della distribuzione di bulloni e viti. Tra i prodotti che essa acquista sui mercati nazionale ed estero figurano anche elementi di fissaggio in ferro e in acciaio non inossidabile.

2        Il 26 gennaio 2009 il Consiglio dell’Unione europea ha adottato il regolamento (CE) n. 91/2009, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di determinati elementi di fissaggio in ferro o acciaio originari della Repubblica popolare cinese (GU L 29, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento iniziale»).

3        A partire dal marzo 2010 la ricorrente ha incominciato a importare elementi di fissaggio, quali viti e bulloni, da alcune società di diritto malese.

4        Il 27 ottobre 2010 la Commissione europea ha adottato il regolamento (UE) n. 966/2010, che avvia un’inchiesta sulla possibile elusione delle misure antidumping istituite dal regolamento iniziale tramite importazioni di determinati elementi di fissaggio in ferro o acciaio spediti dalla Malaysia, indipendentemente dal fatto che siano dichiarati o meno originari di tale paese, e che dispone la registrazione di dette importazioni (GU L 282, pag. 29). Tale regolamento, entrato in vigore il 29 ottobre 2010, è stato adottato conformemente all’articolo 13, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 1225/2009 del Consiglio, del 30 novembre 2009, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU L 343, pag. 51, e – rettifica – GU 2010, L 7, pag. 22; in prosieguo: il «regolamento di base»).

5        Il 18 luglio 2011 il Consiglio ha adottato il regolamento di esecuzione (UE) n. 723/2011, che estende il dazio antidumping definitivo istituito dal regolamento iniziale alle importazioni di determinati elementi di fissaggio in ferro o acciaio spediti dalla Malaysia, indipendentemente dal fatto che siano dichiarati o no originari della Malaysia (GU L 194, pag. 6; in prosieguo: il «regolamento impugnato»). Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, di tale regolamento, «il dazio esteso in virtù del paragrafo 1 del [medesimo] articolo è riscosso sulle importazioni spedite dalla Malaysia, a prescindere dal fatto che siano dichiarate originarie della Malaysia o no, registrate in conformità dell’articolo 2 del regolamento n. 966/2010 (…)».

6        Tra il 3 agosto e il 5 settembre 2011 la ricorrente ha ricevuto da parte delle autorità doganali italiane varie decisioni adottate in applicazione del regolamento impugnato, ossia due avvisi di accertamento, un verbale di contestazione di violazioni doganali amministrative con avviso di apertura della revisione dell’accertamento e di rettifica, due avvisi di definizione dell’accertamento, nonché due verbali di accertamento ai fini della revisione dell’accertamento per la riscossione retroattiva del dazio antidumping.

7        Il 17 e il 18 agosto 2011 la ricorrente ha versato all’Ufficio delle Dogane di Varese e a quello di Genova un totale di EUR 68 029,76, corrispondente all’applicazione retroattiva dei dazi antidumping sulle merci indicate nelle tre dichiarazioni doganali.

8        Il 6 ottobre 2011 la ricorrente ha inviato alle autorità doganali italiane due istanze di sospensione dell’esecuzione degli avvisi di accertamento notificati dall’Ufficio doganale di Genova il 29 agosto 2011, relative al pagamento delle somme di EUR 44 609,82 e di EUR 23 036,08. A fondamento di tali istanze la ricorrente ha addotto l’illegittimità del regolamento impugnato e le considerevoli perdite che essa avrebbe subìto.

 Procedimento e conclusioni delle parti

9        Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale in data 19 ottobre 2011, la ricorrente ha proposto il presente ricorso.

10      Con atto depositato nella cancelleria del Tribunale il 5 dicembre 2011, la Commissione ha chiesto di intervenire nella presente causa a sostegno delle conclusioni del Consiglio. Nelle loro osservazioni, presentate rispettivamente il 20 e il 22 dicembre 2011, il Consiglio e la ricorrente non hanno sollevato obiezioni nei confronti di tale intervento.

11      Il 20 dicembre 2011 il Consiglio ha sollevato un’eccezione di irricevibilità, ai sensi dell’articolo 114, paragrafo 1, del regolamento di procedura del Tribunale.

12      Con ordinanza del 18 gennaio 2012 il presidente della Settima Sezione del Tribunale ha autorizzato l’intervento della Commissione. Il 16 febbraio 2012 la Commissione ha depositato una memoria di intervento limitata alle questioni di ricevibilità.

13      Il 16 febbraio 2012 la ricorrente ha presentato osservazioni in merito all’eccezione di irricevibilità del Consiglio.

14      Il 12 marzo 2012 il Consiglio ha presentato osservazioni sulla domanda di sospensione del procedimento. Il Consiglio e la ricorrente, rispettivamente il 16 e il 19 marzo 2012, hanno presentato osservazioni sulla memoria di intervento presentata dalla Commissione.

15      Nel ricorso la ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare il regolamento impugnato;

–        condannare il Consiglio alle spese.

16      Nell’eccezione di irricevibilità il Consiglio chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso in quanto irricevibile;

–        condannare la ricorrente alle spese.

17      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso in quanto irricevibile;

–        condannare la ricorrente alle spese, comprese quelle originate dal suo intervento.

18      Nelle osservazioni sull’eccezione di irricevibilità del Consiglio e sulla memoria di intervento della Commissione limitata alla ricevibilità, la ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        dichiarare il ricorso ricevibile;

–        in subordine, sospendere il presente procedimento in attesa della decisione del Tribunale sulla questione della ricevibilità nelle cause da T‑63/10 a T‑96/10, Bilbaína de Alquitranes e a./ECHA;

–        in ogni caso, sospendere il procedimento fino alla data del 12 ottobre 2012, al fine di conoscere quali saranno le misure che l’Unione europea deciderà di intraprendere per conformarsi alla raccomandazione dell’organo di risoluzione delle controversie (DSB) dell’Organizzazione mondiale per il commercio (OMC) del 28 luglio 2011.

19      Nelle osservazioni relative alla domanda di sospensione del procedimento, il Consiglio non si è opposto alla sospensione richiesta dalla ricorrente.

 In diritto

20      A termini dell’articolo 114, paragrafi 1 e 4, del regolamento di procedura, su richiesta di una parte, il Tribunale può statuire sull’irricevibilità senza impegnare la discussione nel merito. Ai sensi del paragrafo 3 dello stesso articolo, il procedimento prosegue oralmente, salvo contraria decisione del Tribunale. Nella fattispecie, il Tribunale si ritiene sufficientemente edotto alla luce degli atti di causa e non ritiene necessario avviare la fase orale del procedimento.

21      Ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, «[q]ualsiasi persona fisica o giuridica può proporre, alle condizioni previste al primo e secondo comma, un ricorso contro gli atti adottati nei suoi confronti o che la riguardano direttamente e individualmente, e contro gli atti regolamentari che la riguardano direttamente e che non comportano alcuna misura d’esecuzione».

22      Nel caso di specie il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, solleva due eccezioni di irricevibilità fondate, rispettivamente, sul fatto che il regolamento impugnato non inciderebbe individualmente sulla ricorrente e sul fatto che quest’ultimo comporterebbe misure di esecuzione.

 Sulla prima eccezione di irricevibilità, fondata sulla carenza di legittimazione ad agire per difetto di incidenza individuale sulla ricorrente

23      Per statuire in ordine alla fondatezza di tale eccezione di irricevibilità, occorre ricordare che, benché, alla luce dei criteri dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, i regolamenti istitutivi di dazi antidumping abbiano, per loro natura e portata, carattere normativo, in quanto si applicano a tutti gli operatori economici interessati, non è tuttavia escluso che alcune disposizioni di tali regolamenti possano riguardare individualmente determinati operatori economici (sentenza della Corte del 21 febbraio 1984, Allied Corporation e a./Commissione, 239/82 e 275/82, Racc. pag. 1005, punto 11; sentenze del Tribunale del 20 giugno 2000, Euromin/Consiglio, T‑597/97, Racc. pag. II‑2419, punto 43, e del 28 febbraio 2002, BSC Footwear Supplies e a./Consiglio, T‑598/97, Racc. pag. II‑1155, punto 43).

24      Ne consegue che i provvedimenti con cui sono istituiti dazi antidumping, in determinate circostanze e senza perdere la propria natura regolamentare, possono riguardare individualmente determinati operatori economici, i quali hanno pertanto titolo per chiederne l’annullamento in giudizio (sentenza della Corte del 16 maggio 1991, Extramet Industrie/Consiglio, C‑358/89, Racc. pag. I‑2501; in prosieguo: la «sentenza Extramet», punto 14).

25      In primo luogo, il giudice dell’Unione ha considerato che talune disposizioni dei regolamenti istitutivi di dazi antidumping possono riguardare individualmente quei produttori ed esportatori del prodotto in questione cui vengono imputate le pratiche di dumping sulla base di dati relativi alla loro attività commerciale. Ciò avviene, in generale, per le imprese produttrici ed esportatrici che possono dimostrare di essere state identificate negli atti della Commissione e del Consiglio o coinvolte nelle inchieste preliminari (v., in tal senso, sentenze Allied Corporation e a./Commissione, cit. supra al punto 23, punti 11 e 12; Euromin/Consiglio, cit. supra al punto 23, punto 45, e BSC Footwear Supplies e a./Consiglio, cit. supra al punto 23, punto 45).

26      In secondo luogo, sono interessati individualmente da talune disposizioni di regolamenti che istituiscono dazi antidumping gli importatori del prodotto considerato i cui prezzi di rivendita siano stati presi in considerazione per la costruzione dei prezzi all’esportazione e che sono quindi interessati dagli accertamenti relativi all’esistenza di una pratica di dumping (sentenze della Corte del 14 marzo 1990, Nashua Corporation e a./Commissione e Consiglio, C‑133/87 e C‑150/87, Racc. pag. I‑719, punto 15, e Gestetner Holdings/Consiglio e Commissione, C‑156/87, Racc. pag. I‑781, punto 18; sentenza BSC Footwear Supplies e a./Consiglio, cit. supra al punto 23, punto 46).

27      La Corte ha anche dichiarato che importatori associati con esportatori di paesi terzi i cui prodotti sono soggetti a dazi antidumping possono impugnare i regolamenti istitutivi dei suddetti dazi, in particolare nel caso in cui il prezzo all’esportazione sia stato calcolato a partire dai prezzi di vendita sul mercato comunitario applicati da detti importatori (v. sentenza BSC Footwear Supplies e a./Consiglio, cit. supra al punto 23, punto 47 e giurisprudenza ivi citata), nonché nel caso in cui sulla base dei prezzi di rivendita di tali importatori non venga accertata una pratica di dumping, ma venga calcolato il dazio antidumping stesso (v., in tal senso, sentenza della Corte dell’11 luglio 1990, Neotype Techmashexport/Commissione e Consiglio, C‑305/86 e C‑160/87, Racc. pag. I‑2945, punti 19 e 20, e ordinanza del Tribunale del 27 gennaio 2006, Van Mannekus/Consiglio, T‑278/03, non pubblicata nella Raccolta, punto 119).

28      In terzo luogo, la Corte ha dichiarato che un produttore di apparecchiature originali (Original Equipment Manufacturer), senza che occorresse qualificarlo come importatore o esportatore, era individualmente interessato dalle disposizioni del regolamento relative alle pratiche di dumping del produttore presso il quale comprava i prodotti a causa delle peculiarità delle sue relazioni commerciali con tale produttore. Infatti, la Corte ha considerato che era per tener conto di tali peculiarità che il Consiglio aveva fissato una certa percentuale di margine di profitto nell’ambito della costruzione del valore normale, che poi era stato preso in considerazione nel calcolo del margine di dumping sulla base del quale era stato fissato il dazio antidumping, di modo che il produttore di apparecchiature originali era interessato dagli accertamenti relativi all’esistenza della pratica di dumping contestata (v., in tal senso, sentenze Nashua Corporation e a./Commissione e Consiglio, cit. supra al punto 26, punti 17‑20, e Gestetner Holdings/Consiglio e Commissione, cit. supra al punto 26, punti 20‑23).

29      Tale riconoscimento della legittimazione di determinate categorie di operatori economici ad impugnare un regolamento antidumping non esclude tuttavia che altri operatori possano venire ugualmente colpiti individualmente da tale regolamento, in conseguenza di talune qualità che sono loro peculiari e che li contraddistinguono rispetto a qualsiasi altro soggetto (sentenza Extramet, cit. supra al punto 24, punto 16).

30      La Corte ha riconosciuto che ciò si è verificato per un importatore indipendente che ha fornito prova dell’esistenza di un complesso di elementi atti a dimostrare il ricorrere di una situazione particolare che, in relazione al provvedimento interessato, lo contraddistingueva rispetto a qualsiasi altro operatore economico. In particolare, l’importatore indipendente in questione aveva provato, in primo luogo, di essere il principale importatore del prodotto oggetto della misura antidumping e, nel contempo, l’utilizzatore finale di questo prodotto, in secondo luogo, che le sue attività economiche dipendevano in larghissima misura dalle suddette importazioni e, in terzo luogo, che tali attività subivano gravi ripercussioni in conseguenza del regolamento controverso, tenuto conto del ristretto numero di fabbricanti del prodotto considerato nonché della circostanza che esso incontrava difficoltà nel rifornirsi presso l’unico produttore dell’Unione, il quale era per giunta il suo principale concorrente per il prodotto finito (sentenze Extramet, cit. supra al punto 24, punto 17; BSC Footwear Supplies e a./Consiglio, cit. supra al punto 23, punto 50, e ordinanza Van Mannekus/Consiglio, cit. supra al punto 27, punto 122).

31      Nel caso di specie, in primo luogo, occorre osservare che la ricorrente non appartiene a nessuna delle tre categorie di operatori indicate ai precedenti punti 25‑28, ai quali la giurisprudenza ha riconosciuto il diritto di proporre un ricorso diretto avverso regolamenti istitutivi di dazi antidumping.

32      Infatti, come affermato dalla stessa ricorrente, essa è un’importatrice indipendente. Inoltre, essa non sostiene di aver partecipato al procedimento amministrativo conclusosi con l’adozione del regolamento impugnato.

33      In secondo luogo, neppure gli altri fatti addotti dalla ricorrente sarebbero sufficienti a qualificarla come individualmente interessata dal regolamento impugnato ai sensi della sentenza Extramet, citata nel precedente punto 24.

34      A tal riguardo occorre ricordare che il ricorso nella causa che ha dato luogo alla sentenza Extramet, citata nel precedente punto 24, è stato dichiarato ricevibile a causa della situazione particolare nella quale si trovava la ricorrente, ossia la circostanza che essa era la principale importatrice e l’utilizzatrice finale del prodotto oggetto delle misure antidumping e che esisteva un ristretto numero di fabbricanti del prodotto considerato e un unico produttore dell’Unione presso il quale essa incontrava difficoltà a rifornirsi (sentenza Extramet, cit. supra al punto 24, punto 17).

35      Orbene, la situazione della ricorrente non è affatto simile a quella della ricorrente nella causa che ha dato luogo alla sentenza Extramet, citata nel precedente punto 24. Da un lato, la ricorrente non afferma di essere la principale importatrice dei prodotti interessati dal regolamento impugnato.

36      Dall’altro lato, essa menziona i costi relativi «alla necessità di rivolgersi ad altri fornitori e alle considerevoli difficoltà per la ricerca» dei suoi fornitori dei prodotti in questione. Orbene, in primo luogo, la ricorrente non esclude qualsiasi altra fonte di rifornimento e soprattutto non fornisce nemmeno spiegazioni, né elementi di prova, riguardo alle difficoltà che avrebbe incontrato nel reperire altri fornitori. Essa afferma soltanto che il costo dei prodotti in questione in Italia è superiore, in media, del 20‑30% rispetto a quello dei prodotti importati. In secondo luogo, la ricorrente non ha fornito alcun elemento idoneo a dimostrare sotto quale profilo le difficoltà che essa afferma di aver incontrato sarebbero state maggiori rispetto a quelle incontrate dagli altri importatori nell’Unione. Infatti, occorre considerare che tali difficoltà, nonché un eventuale conseguente aumento dei prezzi, interessano in modo analogo tutti gli importatori costretti a rivolgersi ad altre fonti di rifornimento.

37      La ricorrente sostiene anche che le sue attività economiche dipendono in larghissima misura dalle importazioni dei prodotti in questione, poiché la vendita di elementi di fissaggio in ferro e in acciaio non inossidabile costituirebbe circa l’88% della sua attività economica complessiva e poiché il 37% dei suoi acquisti totali di tali prodotti sarebbero provenienti dalla Malaysia. Orbene, si deve necessariamente constatare che essa non indica affatto sotto quale profilo tale situazione, ipotizzando che sia sufficientemente dimostrata, sarebbe sufficiente a qualificarla rispetto a qualsiasi altro operatore economico che importi i prodotti di cui trattasi. La possibilità che altri importatori nell’Unione importino quantitativi comparabili a quelli affermati dalla ricorrente, se non maggiori, non è affatto esclusa. In ogni caso, poiché non è escluso il rifornimento del prodotto in questione su altri mercati, i valori e i volumi menzionati, di per sé, non possono dimostrare l’esistenza di una dipendenza dall’importazione dalla Malaysia per il prodotto in questione, ma potrebbero, al massimo, portare a una conclusione sull’aumento dei costi collegati a una necessaria riorganizzazione della ricorrente.

38      A tal riguardo, la ricorrente sostiene che ha subìto un gravissimo pregiudizio economico di oltre EUR 300 000 a causa del regolamento impugnato e che la sua attività economica risulta così seriamente compromessa da minacciare la sua stessa sopravvivenza. Da un lato, si deve necessariamente constatare che tali stime non sono suffragate da alcun elemento probatorio da parte della ricorrente. Dall’altro, esse non consentono di concludere che le conseguenze economiche subite dalla ricorrente siano maggiori rispetto a quelle cui sono esposti gli altri importatori. A tal riguardo, il suo argomento secondo cui, applicando il dazio antidumping imposto dal regolamento impugnato al costo dei prodotti in questione importati dalla Malaysia, tali importazioni rappresenterebbero il 52% del totale dei suoi acquisti di prodotti non fornisce nessun ulteriore elemento in tal senso.

39      Le stesse conclusioni si applicano alle affermazioni riguardanti gli «ulteriori danni patrimoniali e di immagine» che la ricorrente afferma di aver subito a causa del regolamento impugnato. Tali affermazioni non sono comprovate e non sono accompagnate da alcun raffronto con gli altri importatori.

40      Su un piano più generale, non si può certamente escludere che il regolamento impugnato abbia avuto un impatto negativo sugli importatori, che hanno dovuto procedere a una rinegoziazione dei contratti e a una riorganizzazione, e che tale impatto negativo dipenda dalla particolare posizione che tali importatori occupano sul mercato. Tuttavia, si deve necessariamente constatare che la ricorrente non ha fornito elementi che consentano di dimostrare l’esistenza di un insieme di fattori atti a dimostrare il ricorrere di una situazione particolare che, in relazione al regolamento impugnato, la contraddistingua rispetto a qualsiasi altro operatore economico ai sensi della sentenza Extramet, citata nel precedente punto 24.

41      Alla luce di quanto sopra esposto, occorre concludere che la ricorrente non è individualmente interessata dal regolamento impugnato.

 Sulla seconda eccezione di irricevibilità, fondata sul fatto che il regolamento impugnato comporta misure di esecuzione

42      Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, afferma, in sostanza, che il ricorso non è ricevibile in forza dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, dal momento che il regolamento impugnato comporta misure di esecuzione.

43      In via preliminare, occorre osservare che il regolamento impugnato, adottato dal Consiglio sulla base dell’articolo 13 del regolamento di base, è un atto regolamentare ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE. Infatti, il regolamento impugnato ha una portata generale, in quanto si applica a situazioni determinate obiettivamente e produce effetti giuridici nei confronti di categorie di persone considerate in modo generale ed astratto (v. altresì supra, punto 23). Inoltre, il regolamento impugnato non costituisce un atto legislativo dato che esso non è stato adottato né secondo la procedura legislativa ordinaria né secondo una procedura legislativa speciale ai sensi dell’articolo 289, paragrafi 1‑3, TFUE [v., in tal senso, sentenza del Tribunale del 25 ottobre 2011, Microban International e Microban (Europe)/Commissione, T‑262/10, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 21, e ordinanza del Tribunale del 4 giugno 2012, Eurofer/Commissione, T‑381/11, non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 43 e 44].

44      Riguardo, poi, alla questione se il regolamento impugnato comporti misure di esecuzione, ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, occorre osservare che tale regolamento riguarda l’estensione del dazio antidumping definitivo istituito dal regolamento iniziale alle importazioni di prodotti di cui trattasi spediti dalla Malaysia. Infatti, ai sensi del suo articolo 1, un dazio antidumping dell’85% è imposto alle importazioni degli elementi di fissaggio in ferro o acciaio originari di tale paese.

45      Occorre ricordare che, conformemente all’articolo 217, paragrafo 1, del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, che istituisce un codice doganale comunitario, come modificato (GU L 302, pag. 1; in prosieguo: il «codice doganale»): «Ogni importo di dazi all’importazione o di dazi all’esportazione risultante da un’obbligazione doganale, in seguito denominato “importo dei dazi”, deve essere calcolato dall’autorità doganale non appena disponga degli elementi necessari (…)».

46      A tal riguardo, la ricorrente afferma che le attività di sdoganamento sono di solito effettuate interamente dall’operatore doganale, il quale agisce in rappresentanza dell’importatore, e che il calcolo dei dazi doganali viene effettuato da tale operatore doganale sulla base di una dichiarazione scritta presentata alle autorità doganali per conto dell’importatore.

47      A termini degli articoli 62 e segg. del codice doganale, le merci importate sono oggetto di una dichiarazione doganale. In tale contesto, il ruolo delle autorità doganali si limita a un eventuale controllo della documentazione e delle merci in importazione e soprattutto all’accettazione o al rigetto di tale dichiarazione doganale.

48      Orbene, ai sensi dell’articolo 221, paragrafi 1 e 2, dello stesso codice:

«1. L’importo dei dazi deve essere comunicato al debitore secondo modalità appropriate, non appena sia stato contabilizzato.

2. Quando l’importo dei dazi da pagare è iscritto, a titolo indicativo, nella dichiarazione in dogana, l’autorità doganale può prevedere che la comunicazione di cui al paragrafo 1 venga effettuata solo quando l’importo dei dazi indicato non corrisponde a quello da essa determinato.

Fatta salva l’applicazione dell’articolo 218, paragrafo 1, secondo comma, quando ci si avvalga della possibilità di cui al primo comma del presente paragrafo, la concessione dello svincolo delle merci da parte dell’autorità doganale equivale alla comunicazione al debitore dell’importo dei dazi contabilizzato».

49      Di conseguenza, il fatto che la procedura regolare di sdoganamento all’importazione sia così semplificata non significa che le autorità doganali non abbiano adottato alcuna misura.

50      Infatti, occorre ricordare che in una situazione «normale», come quella di cui all’articolo 201 del codice doganale, l’obbligazione doganale all’importazione sorge al momento dell’accettazione della dichiarazione in dogana e dell’immissione in libera pratica della merce in questione (v., in tal senso, sentenza della Corte del 1° febbraio 2001, D. Wandel, C‑66/99, Racc. pag. I‑873, punti 41 e 42).

51      Si deve anche ricordare che un’eventuale contestazione dell’esistenza del debito doganale rientra nell’ambito della competenza esclusiva delle autorità nazionali, in forza dell’articolo 236 del codice doganale, le cui decisioni possono essere impugnate dinanzi ai giudici nazionali a norma dell’articolo 243 del medesimo codice (v., in tal senso, sentenze del Tribunale del 16 luglio 1998, Kia Motors e Broekman Motorships/Commissione, T‑195/97, Racc. pag. II‑2907, punto 36, e del 18 giugno 2012, Biofrescos/Commissione, T‑159/09, non pubblicata nella Raccolta, punto 11).

52      Infatti, il diritto derivato dell’Unione ha espressamente previsto il rimedio giuridico esperibile da un debitore di dazi all’importazione il quale ritenga che tali dazi gli siano stati indebitamente imposti dalle autorità doganali. Tale rimedio viene esperito a livello nazionale, secondo la procedura di ricorso istituita dallo Stato membro considerato, in conformità ai principi enunciati negli articoli 243‑246 del codice doganale (v. sentenza del Tribunale del 9 luglio 2008, Trubowest Handel e Makarov/Consiglio e Commissione, T‑429/04, non pubblicata nella Raccolta, punto 43 e giurisprudenza ivi citata).

53      Alla luce delle suesposte considerazioni, si deve quindi affermare, in conclusione, che il sistema doganale, quale istituito dal codice doganale e nell’ambito del quale si inserisce il regolamento impugnato, prevede che la riscossione dei dazi fissati da quest’ultimo avvenga, in ciascuna ipotesi, sulla base delle misure adottate dalle autorità nazionali.

54      La ricorrente sostiene inoltre che il regolamento impugnato è direttamente applicabile negli Stati membri e che, di conseguenza, esso incide direttamente sulla sua posizione giuridica, modificandola, senza che sia necessario ricorrere a misure di esecuzione nazionali o dell’Unione. Con gli avvisi finalizzati a riscuotere i dazi antidumping presso la ricorrente menzionati al precedente punto 6, le autorità italiane si sarebbero limitate a informare quest’ultima che l’entrata in vigore del regolamento impugnato le legittimava a riscuotere il dazio previsto dal regolamento impugnato.

55      Orbene, in primo luogo, tali argomenti sarebbero pertinenti unicamente nell’ambito della verifica della sussistenza di un’incidenza diretta sulla ricorrente e devono quindi essere respinti. Infatti, secondo costante giurisprudenza, l’incidenza diretta su un soggetto presuppone, in primo luogo, che il provvedimento dell’Unione impugnato produca direttamente effetti sulla sua situazione giuridica e, in secondo luogo, che esso non lasci alcun potere discrezionale ai destinatari di tale provvedimento incaricati della sua applicazione, la quale deve avere carattere puramente automatico e derivare dalla sola normativa dell’Unione, senza intervento di altre norme intermedie (v. sentenza del Tribunale del 26 settembre 2000, Starway/Consiglio, T‑80/97, Racc. pag. II‑3099, punto 61 e giurisprudenza ivi citata).

56      Tuttavia, il requisito dell’atto che non comporti alcuna misura di esecuzione previsto all’articolo 263, quarto comma, TFUE costituisce una condizione diversa da quella attinente all’incidenza diretta. In particolare, si deve rilevare che la questione se il regolamento impugnato lasci o meno un potere discrezionale alle autorità nazionali incaricate delle misure di esecuzione non è rilevante al fine di stabilire se il regolamento impugnato comporti misure di esecuzione (ordinanza Eurofer/Commissione, cit. supra al punto 43, punto 59).

57      Per contro, si deve prendere in considerazione, nell’ambito di tale analisi, l’obiettivo perseguito dall’articolo 263, quarto comma, TFUE, che consiste nel permettere a una persona fisica o giuridica di proporre un ricorso contro gli atti regolamentari che la riguardino direttamente e che non comportino misure di esecuzione, evitando così che una siffatta persona debba violare il diritto per avere accesso ad un giudice (v., in tal senso, ordinanza Eurofer/Commissione, cit. supra al punto 43, punto 60).

58      In secondo luogo, e in ogni caso, le decisioni che la ricorrente ha ricevuto dalle autorità nazionali, segnatamente gli avvisi di accertamento e di definizione dell’accertamento (v. supra al punto 6), devono anch’esse essere qualificate misure di esecuzione ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE.

59      Infatti, si deve osservare che tali decisioni riguardano rettifiche delle dichiarazioni doganali della ricorrente presentate nel periodo compreso tra il 29 ottobre 2010 (data di entrata in vigore del regolamento n. 966/2010, che ha assoggettato a registrazione, a partire da tale data, le importazioni spedite dalla Malaysia) e l’entrata in vigore del regolamento impugnato (v. supra ai punti 4 e 5). Infatti, in applicazione del regolamento impugnato, le autorità nazionali hanno applicato retroattivamente il nuovo dazio antidumping dell’85% alle importazioni registrate a partire dal 29 ottobre 2010. Le suddette decisioni hanno tutte come fondamento normativo il regolamento impugnato.

60      Inoltre, nelle suddette decisioni, le autorità nazionali hanno informato la ricorrente circa la possibilità di presentare ricorso avverso le decisioni in questione dinanzi alla Commissione tributaria provinciale competente o, in alternativa, dinanzi alle stesse autorità nazionali nell’ambito di un procedimento amministrativo. Dagli atti risulta altresì che, il 6 ottobre 2011, la ricorrente ha inviato alle autorità doganali italiane due istanze di sospensione dell’esecuzione degli avvisi di accertamento, a sostegno delle quali ha addotto l’illegittimità del regolamento impugnato e le considerevoli perdite che essa avrebbe subìto (v. supra al punto 8). In tali istanze, la ricorrente ha altresì precisato di avere intenzione di impugnare tutte le misure menzionate dinanzi alle varie Commissioni tributarie provinciali competenti.

61      Peraltro, risulta dalla giurisprudenza della Corte che, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, una Commissione tributaria provinciale può chiedere alla Corte di pronunciarsi in via pregiudiziale sulla conformità di tali misure con il diritto dell’Unione (sentenze della Corte del 17 febbraio 2011, Bolton Alimentari, C‑494/09, Racc. pag. I‑647, e del 24 maggio 2012, Amia, C‑97/11, non ancora pubblicata nella Raccolta).

62      Alla luce dell’insieme delle considerazioni sin qui svolte, si deve concludere che il regolamento impugnato comporta misure di esecuzione ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE.

63      Contrariamente a quanto afferma la ricorrente nell’ambito degli argomenti connessi al diritto a una tutela giurisdizionale effettiva, tale conclusione non è rimessa in discussione dall’obiettivo perseguito dall’articolo 263, quarto comma, TFUE. Infatti, è vero che quest’ultimo consiste nel permettere a una persona fisica o giuridica di proporre un ricorso contro gli atti regolamentari che la riguardino direttamente e che non comportino misure di esecuzione, evitando così che una siffatta persona debba violare il diritto per avere accesso ad un giudice (v. supra al punto 57). Tuttavia, la situazione della ricorrente non è quella presa in considerazione da tale obiettivo. Nel caso di specie, la ricorrente può, in linea di principio, contestare le misure nazionali di esecuzione del regolamento impugnato e, in tale contesto, eccepire l’illegittimità di quest’ultimo dinanzi ai giudici nazionali che possono ricorrere, prima di statuire, alle disposizioni dell’articolo 267 TFUE, senza aver dovuto preliminarmente violare il regolamento impugnato (ordinanza Eurofer/Commissione, cit. supra al punto 43, punto 60).

64      Del resto, la ricorrente non mette in dubbio l’esistenza di un rimedio giuridico dinanzi al giudice nazionale che consenta di porre in discussione la validità del regolamento impugnato. Essa afferma soltanto che la tutela giurisdizionale di cui essa godrebbe a livello nazionale attraverso un rinvio pregiudiziale avrebbe una portata diversa e meno ampia rispetto a quella che verrebbe concessa nell’ambito di un ricorso di annullamento.

65      Per quanto riguarda tale argomento della ricorrente secondo cui, in sostanza, la tutela dei suoi diritti individuali è in pratica esclusa, in quanto il rimedio della domanda di pronuncia pregiudiziale, previsto dall’articolo 267 TFUE, non assicura una tutela giurisdizionale completa ed effettiva, occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, i giudici dell’Unione non possono, senza violare le loro competenze, interpretare i requisiti cui è subordinata la facoltà di un soggetto di proporre ricorso contro un regolamento in modo da condurre ad escludere i requisiti medesimi, espressamente previsti dal Trattato, e ciò neppure alla luce del principio della tutela giurisdizionale effettiva (v., in tal senso, sentenza della Corte del 1° aprile 2004, Commissione/Jégo-Quéré, C‑263/02 P, Racc. pag. I‑3425, punto 36).

66      Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, il ricorso deve essere dichiarato irricevibile, senza necessità di esaminare le domande di sospensione del procedimento formulate dalla ricorrente.

 Sulle spese

67      Ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché il Consiglio ne ha fatto domanda, la ricorrente, rimasta soccombente, deve essere condannata a sopportare le proprie spese nonché quelle sostenute dal Consiglio.

68      Inoltre, conformemente all’articolo 87, paragrafo 4, del medesimo regolamento, la Commissione sopporterà le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Settima Sezione)

così provvede:

1)      Il ricorso è respinto in quanto irricevibile.

2)      La Brugola Service International Srl (BSI) è condannata a sopportare le proprie spese nonché quelle sostenute dal Consiglio dell’Unione europea.

3)      La Commissione europea sopporterà le proprie spese.

Lussemburgo, 5 febbraio 2013

Il cancelliere

 

       Il presidente

E. Coulon

 

       A. Dittrich


* Lingua processuale: l’italiano.