Language of document : ECLI:EU:T:2001:249

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Prima Sezione)

10 ottobre 2001 (1)

«Ricorso per risarcimento danni - Ripetizione dell'indebito -

Danno subito a causa di una decisione oggetto di annullamento parziale»

Nella causa T-171/99,

Corus UK Ltd, già British Steel plc, poi British Steel Ltd, con sede in Londra (Regno Unito), rappresentata dai sigg. P.G.H. Collins e M. Levitt, solicitors, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. J. Currall e W. Wils, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

avente ad oggetto una domanda di risarcimento del danno che la ricorrente asserisce di aver subito in seguito al diniego della Commissione di versarle gli interessi sull'importo restituito in esecuzione di una sentenza del Tribunale che ha ridotto l'ammontare dell'ammenda inflittale,

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO

DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Prima Sezione),

composto dai sigg. B. Vesterdorf, presidente, M. Vilaras e N.J. Forwood, giudici,

cancelliere: G. Herzig, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 15 novembre 2000,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Fatti

1.
    Il 16 febbraio 1994, la Commissione ha adottato la decisione 94/215/CECA, relativa ad una procedura ai sensi dell'articolo 65 del Trattato CECA concernente gli accordi e le pratiche concordate posti in essere dai produttori europei di travi (GU L 116, pag. 1), con la quale, in particolare, essa ha accertato la partecipazione della ricorrente a una serie d'infrazioni sul mercato comunitario delle travi e le ha inflitto un'ammenda pari a ECU 32 milioni.

2.
    Con atto introduttivo registrato presso la cancelleria del Tribunale il 13 aprile 1994, la ricorrente ha proposto un ricorso diretto all'annullamento di questa decisione.

3.
    Il 2 giugno 1994 la ricorrente ha pagato per intero l'ammenda inflittale.

4.
    Con sentenza 11 marzo 1999, causa T-151/94, British Steel/Commissione (Racc. pag. II-629, pubblicazione sommaria; in prosieguo: la «sentenza travi»), il Tribunale ha annullato l'art. 1 della decisione 94/215 nella parte in cui addebitava alla ricorrente la partecipazione a un accordo di ripartizione del mercato italiano per la durata di tre mesi ed ha fissato in euro 20 milioni l'importo dell'ammenda inflitta alla ricorrente dall'art. 4 della detta decisione.

5.
    Il 23 aprile 1999 la Commissione ha rimborsato alla ricorrente l'importo di euro 12 milioni, corrispondente alla differenza tra l'ammontare dell'ammenda versato il 2 giugno 1994 e quello stabilito dal Tribunale.

6.
    Con lettera datata 23 aprile 1999, la ricorrente ha chiesto alla Commissione di versarle gli interessi su quest'importo per il periodo 2 giugno 1994 - 23 aprile 1999.

7.
    Con lettera datata 16 giugno 1999, la Commissione ha respinto questa domanda affermando che, mediante il rimborso della somma capitale di euro 12 milioni, essa aveva adempiuto i suoi obblighi ex art. 34 CA.

Procedimento e conclusioni delle parti

8.
    Il presente ricorso è stato proposto con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 22 luglio 1999.

9.
    La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

-    in via principale, in forza dell'art. 40 CA:

    a)    condannare la Commissione a pagarle l'importo di 3 533 474 sterline inglesi (GBP) o qualsiasi altro importo che il Tribunale giudichi adeguato;

    b)    condannare la Commissione a pagarle gli interessi sulla detta somma, al saggio che il Tribunale ritenga equo alla luce delle circostanze, a partire dal 24 aprile 1999 sino alla data della pronuncia della sentenza nella presente causa;

    c)    condannare la Commissione a pagarle gli interessi al saggio dell'8% annuo sugli importi di cui alle precedenti lett. a) e b), dalla data della detta sentenza sino al giorno del pagamento di tali importi;

-    in subordine, in forza dell'art. 34 CA:

    a)    dichiarare che la decisione 94/215 è affetta da vizi tali da far sorgere la responsabilità della Comunità;

    b)    dichiarare che, a causa degli illeciti commessi dalla Commissione, essa ha subito un danno diretto e particolare in quanto è stata ingiustamente privata del godimento della somma di euro 12 000 000 a partire dal 2 giugno 1994;

    c)    rimettere gli atti alla Commissione, ingiungendo a quest'ultima di adottare i provvedimenti idonei a garantire un risarcimento equo deldanno derivante direttamente dalla condotta della medesima, e di risarcire i danni, con gli interessi, per quanto risulti necessario;

-    condannare la Commissione alle spese.

10.
    La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

-    dichiarare irricevibile il ricorso o, in subordine, respingerlo, in quanto esso mira ad ottenere un risarcimento in forza dell'art. 40 CA o in forza di un principio di arricchimento senza causa in mancanza di un illecito;

-    respingere il ricorso in quanto esso mira ad ottenere una dichiarazione ex art. 34 CA;

-    condannare la ricorrente alle spese.

11.
    Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Prima Sezione) ha deciso di passare alla fase orale e, nell'ambito delle misure di organizzazione del procedimento, ha invitato la Commissione a rispondere a taluni quesiti scritti e a produrre determinati documenti. La Commissione ha ottemperato a tali richieste nei termini ad essa impartiti.

12.
    Le parti hanno svolto le loro difese orali e hanno risposto ai quesiti formulati dal Tribunale all'udienza del 15 novembre 2000.

In diritto

Argomenti delle parti

13.
    La ricorrente allega, in via principale, ch'essa ha diritto di ottenere un risarcimento pecuniario ex art. 40 CA, a causa del danno direttamente provocatole da un illecito della Commissione. Quest'illecito sarebbe costituito, oltre dall'illegittimità della stessa decisione 94/215, dal diniego della Commissione di versarle gli interessi sull'ammenda pagata, in corrispondenza della quota della detta ammenda annullata dal Tribunale. Un diniego di tal genere sarebbe contrario all'obbligo della restitutio in integrum, che incomberebbe alla Commissione in seguito ad una sentenza di annullamento, nonché al divieto di arricchimento senza causa, che la ricorrente qualifica come principio generale del diritto comunitario.

14.
    La ricorrente allega, in subordine, che la Commissione si è resa responsabile ex art. 34 CA. Essa afferma in sostanza che, non risarcendole il lucro cessante relativamente all'importo dell'ammenda illegittimamente inflitta, la Commissione ha omesso di adottare i provvedimenti necessari per ottemperare alla sentenza travi. Di conseguenza, la ricorrente sarebbe legittimata a proporre ricorso per risarcimento avanti al Tribunale (v. sentenza del Tribunale 20 maggio 1999, causa T-220/97, H & R Ecroyd/Commissione, Racc. pag. II-1677, punti 55 e 56).

15.
    Quanto all'illecito, la ricorrente sostiene che le irregolarità accertate dal Tribunale nella sentenza travi costituiscono errori o negligenze inescusabili da parte della Commissione nell'esercizio dei poteri ad essa conferiti dal Trattato CECA, e pertanto tali da far sorgere una responsabilità in capo alla Comunità. A suo parere, queste irregolarità non possono essere giustificate né dalla complessità dell'iter di applicazione delle norme sulla concorrenza, né dalla discrezionalità di cui gode la Commissione in materia.

16.
    Peraltro, il danno sofferto dalla ricorrente dovrebbe essere qualificato come danno diretto e particolare ai sensi dell'art. 34 CA. Per quanto riguarda la valutazione di questo danno, la ricorrente distingue tra il periodo compreso fra il 2 giugno 1994 e il 23 aprile 1999, il periodo compreso tra questa data e la data della pronuncia della sentenza nel presente giudizio e quello compreso tra la data della sentenza e il giorno del pagamento.

17.
    Per il periodo 2 giugno 1994 - 23 aprile 1999, la ricorrente valuta il suo danno con riferimento al lucro cessante che ha comportato per essa una diminuzione della sua liquidità per un importo in sterline inglesi equivalente, alla data del 2 giugno 1994, ad euro 12 milioni. Durante tale periodo, le disponibilità liquide della ricorrente sarebbero state eccedentarie e quest'ultima avrebbe potuto investire in fondi a tre mesi a rotazione, capitalizzando gli interessi. Poiché la Corus è una società che opera in sterline inglesi e la sua contabilità è espressa essenzialmente in tale valuta, il calcolo delle sue perdite dev'essere effettuato, secondo essa, in sterline inglesi e non in euro. Essa stima tali perdite come pari a GBP 3 533 474.

18.
    Per il periodo compreso tra il 24 aprile 1999 e la data della futura sentenza, la ricorrente sostiene di continuare a patire un lucro cessante a causa del persistente diniego da parte della Commissione di procedere ad una restitutio in integrum. Il detto lucro cessante consisterebbe nella perdita degli introiti che le sarebbero derivati dal suddetto importo di GBP 3 533 474, qualora la Commissione avesse dato piena esecuzione alla sentenza travi. Di conseguenza, essa chiede al Tribunale di condannare la Commissione a pagarle gli interessi sulla detta somma, al saggio che esso reputi equo alla luce delle circostanze.

19.
    Infine, la ricorrente sostiene che la Commissione dev'essere condannata a pagare gli interessi sugli importi di cui il Tribunale disporrà il pagamento, dalla data della futura sentenza sino a quella del loro effettivo versamento, al saggio dell'8% annuo.

20.
    La Commissione sostiene che la domanda principale ex art. 40 CA è irricevibile, dal momento che essa non è fondata su nessun altro illecito diverso da quello costituito dalla decisione oggetto di annullamento parziale.

21.
    Per quanto concerne la domanda in subordine ex art. 34 CA, la Commissione la giudica infondata. In udienza, in risposta ad un quesito del Tribunale, essa ha ammesso che l'obbligo a suo carico di restituire l'importo dell'ammenda in contocapitale, secondo quanto deciso dalla sentenza di annullamento, discende dall'art. 34, primo comma, seconda frase, CA, ed esiste indipendentemente da un qualsivoglia illecito. Viceversa, la Commissione ritiene che il pagamento di interessi su tale importo, non essendo stato imposto dal dispositivo della stessa sentenza di annullamento, non è un «provvediment[o] che l'esecuzione della decisione d'annullamento importa» e che essa sarebbe obbligata ad adottare per conformarsi alla suddetta disposizione. Secondo la Commissione, un pagamento di tale natura è pertanto subordinato alla prova di un illecito grave e manifesto, che possa far sorgere la responsabilità in capo alla Comunità, e di un danno diretto e particolare ai sensi dell'art. 34, primo comma, terza frase, CA, nel rispetto delle condizioni individuate dalla giurisprudenza (v. sentenza della Corte 30 gennaio 1992, cause riunite C-363/88 e C-364/88, Finsider e a./Commissione, Racc. pag. I-359). Queste condizioni non sarebbero soddisfatte nel caso di specie.

22.
    Infatti, nella sentenza travi il Tribunale avrebbe confermato, ad eccezione di un aspetto secondario riguardante la ripartizione del mercato italiano, l'accertamento della violazione dell'art. 65 CA effettuato dalla Commissione con la decisione 94/215, nonché la gravità dell'infrazione commessa. L'unico annullamento parziale, riguardante l'art. 1 di questa decisione, avrebbe comportato una diminuzione pari a ECU 252 600 dell'importo dell'ammenda inizialmente stabilita. Per il resto, la riduzione dell'ammenda sarebbe il risultato dell'esercizio, da parte del Tribunale, dei suoi poteri di riforma dell'atto, e non quello di un errore o di un illecito commessi dalla Commissione (v. i punti 686-696 della motivazione, il titolo che li raccoglie e il dispositivo della sentenza travi).

23.
    La Commissione sottolinea che l'applicazione delle norme in materia di concorrenza, in particolare nel caso d'intese segrete, costituisce un compito estremamente complesso, e che essa dispone di un margine di discrezionalità in sede di fissazione dell'importo delle ammende al fine di orientare il comportamento delle imprese in favore dell'osservanza di tali regole (sentenza del Tribunale 11 dicembre 1996, causa T-49/95, Van Megen Sports/Commissione, Racc. pag. II-1799, punto 53). Alla luce di ciò, secondo la Commissione, le ragioni che hanno indotto il Tribunale a fissare l'ammenda a un livello diverso da quello inizialmente stabilito non possono essere considerate rivelatrici di un illecito in grado d'implicare la responsabilità della Comunità.

24.
    La Commissione mette peraltro in dubbio l'esistenza di un danno diretto e particolare ai sensi dell'art. 34, primo comma, terza frase, CA.

25.
    La Commissione afferma poi che non esiste un nesso di causalità tra l'asserito illecito e il danno lamentato. Quest'ultimo infatti deriverebbe dalla decisione della ricorrente di pagare l'ammenda immediatamente invece di prestare una garanzia bancaria, facoltà concessale dalla Commissione.

26.
    La Commissione ritiene peraltro che il divieto di arricchimento senza causa, quale delineato, in materia contrattuale, nell'ordinamento di alcuni Stati membri, noncostituisce un principio generale del diritto comunitario applicabile, in assenza di espressa disposizione, all'attività delle istituzioni, in particolare nell'ambito della repressione delle infrazioni alle norme in materia di concorrenza del Trattato CECA. Questo principio non sarebbe pertanto applicabile a circostanze quali quella di cui al caso di specie.

27.
    In subordine, la Commissione allega che, nella logica dell'arricchimento senza causa, l'importo del risarcimento dovrebbe corrispondere alla minor somma tra, da un lato, l'entità dell'impoverimento lamentato dalla ricorrente e, dall'altro, l'importo dell'ipotizzato arricchimento della Comunità. Il calcolo della ricorrente sarebbe pertanto fondamentalmente errato.

28.
    Peraltro, questo calcolo dovrebbe essere effettuato in euro e non in sterline inglesi, dal momento che l'ammenda iniziale era stata stabilita e pagata in ECU, che il Tribunale ha stabilito l'importo in euro e che è in quest'ultima valuta che la Commissione ha rimborsato la differenza. Inoltre, la Commissione afferma che l'uso di valute nazionali implicherebbe distinzioni ingiustificabili tra le imprese in funzione della loro cittadinanza.

29.
    In risposta ai quesiti posti dal Tribunale, la Commissione ha illustrato in udienza il regime giuridico e finanziario nonché le norme in materia di bilancio e contabilità applicabili alle ammende imposte per infrazioni alle norme in materia di concorrenza, in particolare quando la decisione che impone tali ammende costituisce oggetto di una domanda di annullamento.

30.
    Da tali spiegazioni si evince che, nell'ambito del Trattato CE, le ammende sono versate su uno dei conti correnti ordinari della Commissione. Questi conti bancari sono regolarmente alimentati, seguendo il ritmo delle spese effettive della Commissione, a partire dai «conti di tesoreria», che sono conti infruttiferi aperti presso l'erario pubblico degli Stati membri e mediante i quali questi ultimi versano i loro contributi al bilancio comunitario. Così, secondo la Commissione, il pagamento di un'ammenda da parte di un'impresa ha come unica conseguenza un minor contributo degli Stati membri al bilancio della Comunità, senza che quest'ultima ne ricavi un qualsivoglia arricchimento sotto forma di interessi riscossi.

31.
    Nell'ambito della CECA, il cui bilancio si autofinanzia mediante i prelievi sulla produzione di carbone e di acciaio, le ammende versate dalle imprese vengono addizionate agli importi dei prelievi investiti e producono pertanto interessi a vantaggio della Comunità. Fino al momento in cui tali ammende possono essere annullate o ridotte dal giudice comunitario, esse sono reinvestite a scadenze trimestrali, con capitalizzazione degli interessi.

32.
    Nella fattispecie, in base ai calcoli della Commissione, l'importo corrispondente alla quota dell'ammenda della ricorrente annullata dalla sentenza travi, ossia euro 12 milioni, investito a un saggio d'interesse medio pari a 4,613% nel periodo3 giugno 1994 - 23 aprile 1999, ha fruttato alla CECA, in considerazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi, un totale pari a euro 3 016 608.

33.
    La Commissione sostiene tuttavia che non esiste nel Trattato CECA nessuna base giuridica che consenta di rimborsare questa somma alla ricorrente. Benché riconosca che un siffatto rimborso, in presenza di determinate circostanze estranee al caso di specie, potrebbe essere giustificato per motivi di equità, essa sottolinea che, nella sua qualità di pubblica amministrazione sottoposta al controllo dell'autorità di bilancio e della Corte dei conti, essa può procedere a un pagamento solo qualora quest'ultimo sia giuridicamente fondato.

34.
    A tal proposito, la Commissione spiega di avere recentemente rilevato che le imprese colpite con un'ammenda tendono sempre più a pagare immediatamente la medesima, invece di offrire una garanzia bancaria accettabile, pur avendone la facoltà, in attesa della sentenza che decida sul ricorso da esse proposto avverso la decisione che le impone tale ammenda. Di conseguenza, il 14 settembre 1999 la Commissione avrebbe deciso di avviare una nuova prassi. Pertanto, quando un'impresa destinataria di una decisione che le infligge un'ammenda paga quest'ultima presentando contemporaneamente domanda di annullamento o di riduzione della detta ammenda dinanzi al giudice comunitario, l'importo dell'ammenda provvisoriamente pagata sarebbe versato su un conto bancario fruttifero, acceso a tal fine dalla Commissione. L'interesse prodotto dalla somma versata sul conto sarebbe successivamente ripartito tra la Commissione e l'impresa in proporzione alla quota di capitale che la Commissione dovrebbe rimborsare in seguito ad una sentenza definitiva del giudice comunitario. Dopo la scelta di una banca a seguito di gara d'appalto aperta, questa nuova prassi sarebbe stata gradualmente instaurata dal giugno 2000.

35.
    La Commissione aggiunge tuttavia che la decisione 14 settembre 1999 non può essere applicata retroattivamente alla posizione della ricorrente. Essa reputa di avere introdotto la nuova prassi giudicandola una misura di buona amministrazione per migliorare la posizione delle imprese interessate, senza però che avesse nessun obbligo giuridico di farlo.

Giudizio del Tribunale

36.
    Occorre rilevare preliminarmente che il presente ricorso ha ad oggetto, in via principale, la condanna della Commissione al versamento di un risarcimento e, in via subordinata, la pronuncia di varie dichiarazioni ed ingiunzioni. Benché la ricorrente abbia indicato un fondamento giuridico diverso per queste domande, ossia l'art. 40 CA per la domanda principale e l'art. 34 CA per la domanda subordinata, è lecito ignorare eventuali errori della stessa commessi in sede d'indicazione delle disposizioni applicabili all'una e all'altra domanda, dal momento che dal ricorso si evince con sufficiente chiarezza l'oggetto della controversia e l'illustrazione sommaria dei motivi dedotti (v., per analogia, sentenza della Corte 7 maggio 1969, causa 12/68, X./Commissione di controllo, Racc. pag. 109, punto 7).Di conseguenza, il Tribunale esaminerà la domanda principale e quella in subordine in base sia all'art. 40 CA sia all'art. 34 CA.

37.
    Ai sensi dell'art. 40, primo comma, CA:

«Con riserva delle disposizioni dell'articolo 34, capoverso 1, la Corte è competente a concedere, a richiesta della parte lesa, un risarcimento pecuniario a carico della Comunità, in caso di danno causato nell'esecuzione del presente trattato da un errore di servizio della Comunità».

38.
    Ai sensi dell'art. 34 CA:

«In caso d'annullamento, la Corte rinvia la questione alla Commissione. Questa deve prendere i provvedimenti che l'esecuzione della decisione d'annullamento iomporta. In caso di danno diretto e particolare subito da un'impresa o da un gruppo d'imprese per effetto d'una decisione o d'una raccomandazione riconosciuta dalla Corte viziata da un errore tale da impegnare la responsabilità della Comunità, la Commissione ha l'obbligo di prendere, usando dei poteri che le sono riconosciuti dalle disposizioni del presente trattato, i provvedimenti atti ad assicurare un equo risarcimento del danno direttamente causato dalla decisione o dalla raccomandazione annullate e di concedere, per quanto necessario, una giusta indennità.

Se la Commissione si astiene dal prendere entro un termine ragionevole i provvedimenti che l'esecuzione d'una decisione d'annullamento importa, è ammesso ricorso per risarcimento avanti alla Corte».

39.
    In base al chiaro disposto di questa norma, l'art. 34 CA istituisce un rimedio giurisdizionale specifico, distinto da quello previsto dal regime comune in materia di responsabilità della Comunità delineato dall'art. 40 CA, quando il danno lamentato è effetto di una decisione della Commissione annullata dal giudice comunitario.

40.
    Ne consegue che, qualora a monte del danno lamentato non sussista nessun altro illecito che non sia quello rappresentato dalla decisione annullata, la responsabilità della Comunità può essere invocata solo in base all'art. 34 CA (v., in tal senso, sentenza Finsider e a./Commissione, citata, punti 15, 17 e 18, e conclusioni dell'avvocato generale Van Gerven presentate nella medesima causa, Racc. pag. I-383, paragrafo 15).

41.
    Nella fattispecie, tuttavia, la ricorrente sostiene che l'illecito è costituito, oltre dall'illegittimità della stessa decisione 94/215, dal diniego della Commissione di versarle gli interessi, circostanza che giustifica, a suo parere, che la domanda si basi, in via principale, sull'art. 40 CA.

42.
    Questa tesi non può essere accolta. Infatti, dato che il danno lamentato dalla ricorrente consiste nel mancato godimento dell'importo di euro 12 milioni dal 2 giugno 1994 al 23 aprile 1999, esso discende unicamente dall'adozione e dall'esecuzione della decisione 94/215. Per quanto concerne il diniego della Commissione, reputato illecito, di risarcire tale danno, esso costituisce, secondo la tesi stessa della ricorrente, un inadempimento degli obblighi incombenti su tale istituzione in seguito alla sentenza travi (v. supra, punti 13 e 14). Anche ipotizzando che siffatto inadempimento possa essere considerato costitutivo di un illecito distinto da quello cui si imputa il vizio dell'atto annullato, l'art. 34, secondo comma, CA, dispone espressamente che, in un caso del genere, è ammesso ricorso per risarcimento avanti alla Corte. Pertanto, il fondamento di un tale ricorso resta comunque l'art. 34 CA.

43.
    Ne consegue che il ricorso dev'essere respinto se e in quanto si basa sull'art. 40 CA.

44.
    Per quanto riguarda il ricorso ex art. 34 CA, occorre anzitutto rilevare che il primo comma, seconda e terza frase, di tale disposizione opera una distinzione, nell'ambito dei provvedimenti che la Commissione ha l'obbligo di adottare quando le viene riattribuita una pratica a seguito di annullamento, tra quelli necessari ai fini dell'esecuzione di una sentenza di annullamento, che devono essere adottati d'ufficio e in qualsiasi caso, persino in mancanza d'illecito, e quelli, di natura risarcitoria, che devono essere adottati solo in quanto sia stato previamente accertato da parte del giudice comunitario che l'atto annullato era viziato da un illecito tale da far sorgere una responsabilità in capo alla Comunità e che esso ha provocato all'impresa interessata un danno diretto e particolare (v. sentenza del Tribunale 27 giugno 1991, causa T-120/89, Stahlwerke Peine-Salzgitter/Commissione, Racc. pag. II-279, punti 65-69, e conclusioni dell'avvocato generale Van Gerven presentate nella causa Finsider e a./Commissione, citate, paragrafo 15). In entrambi i casi, il ricorso per risarcimento ex art. 34, secondo comma, CA, è ricevibile solo se e in quanto la Commissione abbia avuto a disposizione un termine ragionevole per adottare i provvedimenti di cui trattasi.

45.
    Per quanto concerne la natura dell'illecito richiesto per far sorgere una responsabilità in capo alla Comunità ex art. 34, primo comma, terza frase, CA, dal dettato di questa disposizione così come dalla giurisprudenza della Corte (sentenza Finsider e a./Commissione, citata, punto 20), si evince che non è sufficiente la mera illegittimità di una decisione. Chiamata a pronunciarsi sull'esistenza di una responsabilità della Comunità ex art. 40 CA, la Corte ha giudicato rilevanti circostanze così qualificate: «errori inescusabili» (sentenza 13 luglio 1961, cause riunite 14/60, 16/60, 17/60, 20/60, 24/60, 26/60, 27/60 e 1/61, Meroni e a./Alta Autorità, Racc. pag. 307, in particolare pag. 327); «gravemente violato (...) il dovere di sorveglianza» (sentenza 15 dicembre 1961, cause riunite 19/60, 21/60, 2/61 e 3/61, Société Fives Lille Cail e a./Alta Autorità, Racc. pag. 545, in particolare pag. 578) oppure «negligenza (...) manifesta» (sentenza 9 dicembre 1965, cause riunite 29/63, 31/63, 36/63, 39/63-47/63, 50/63 e 51/63, Société anonymedes laminoirs, hauts fourneaux, forges, fonderies et usines de la Providence e a./Alta Autorità, Racc. pag. 1107, in particolare pag. 1140). Questa giurisprudenza, letta alla luce delle conclusioni degli avvocati generali, mette in evidenza che, per valutare la natura dell'illecito richiesto per far sorgere la responsabilità della Comunità sulla base, indifferentemente, dell'art. 34 CA o dell'art. 40 CA, si deve fare riferimento ai settori e alle condizioni in cui interviene l'istituzione comunitaria. A questo proposito si devono, in particolare, prendere in considerazione la complessità delle situazioni che l'istituzione deve disciplinare, le difficoltà di applicazione delle normative e il margine discrezionale di cui l'istituzione dispone in virtù di dette norme (sentenza Finsider e a./Commissione, citata, punti 23 e 24).

46.
    Nella fattispecie, tenuto conto, da un lato, del settore e delle condizioni in cui è stata adottata la decisione 94/215, e in particolare dello svolgimento dei rapporti tra l'industria siderurgica europea e la Commissione tra il 1970 e il 1994, dell'ampiezza e della complessità del cartello dei produttori di travi cui la Commissione si è trovata di fronte, della varietà e del numero d'infrazioni commesse, dell'attenzione rivolta dalle imprese, membri di questo cartello, a dissimulare le loro attività illecite, della loro mancata cooperazione nelle indagini, delle difficoltà in sede di applicazione delle disposizioni del Trattato CECA in materia di intese e della discrezionalità di cui dispone l'istituzione all'atto di stabilire l'importo dell'ammenda (v. sentenza travi, punto 623), e, dall'altro, delle considerazioni che hanno condotto il Tribunale a ridurre di euro 12 milioni l'importo dell'ammenda inflitta alla ricorrente, pur confermando sostanzialmente l'esistenza delle infrazioni accertate dalla Commissione, è giustificato concludere nel senso che le illegittimità che hanno viziato la detta decisione non sono tanto gravi e manifeste da costituire un illecito tale da far sorgere una responsabilità in capo alla Comunità ex art. 34, primo comma, terza frase, CA.

47.
    Inoltre, il mero mancato godimento di una somma di denaro in pendenza del giudizio innanzi al Tribunale, in seguito al pagamento dell'ammenda inflitta dalla Commissione a un'impresa, non può essere considerato, in linea di principio, costitutivo di un danno particolare ai sensi dell'art. 34, primo comma, terza frase, CA. Infatti, dato che il ricorso proposto dinanzi al Tribunale non ha efficacia sospensiva ex art. 39 CA, qualsiasi impresa colpita da una sanzione pecuniaria in forza del Trattato CECA rischia di subire un danno della stessa natura.

48.
    Ne consegue che il ricorso ex art. 34 CA dev'essere respinto se e in quanto mira, da un lato, ad accertare che la decisione 94/215 sia viziata da un illecito tale da far sorgere una responsabilità in capo alla Comunità e, dall'altro, ad accertare un danno diretto e particolare ai sensi di questa disposizione.

49.
    Nell'ambito di questo ricorso rimane tuttavia da valutare se il pagamento di interessi di mora sul capitale corrispondente all'ammenda rimborsata costituisca un provvedimento doveroso ai fini dell'esecuzione della sentenza di annullamento, chela Commissione sia obbligata ad adottare in qualsiasi caso ex art. 34, primo comma, seconda frase, CA, persino in mancanza di qualsiasi illecito da parte sua, tale da far sorgere una responsabilità in capo alla Comunità. In tal caso, infatti, l'omessa adozione di un simile provvedimento da parte della Commissione entro un termine ragionevole autorizzerebbe anch'essa un'azione per risarcimento danni ex art. 34, secondo comma, CA.

50.
    A tale riguardo, il giudice comunitario ha più volte dichiarato, nell'ambito del Trattato CE, che, in seguito ad una sentenza di annullamento, che opera ex tunc ed ha pertanto l'effetto di eliminare retroattivamente l'atto annullato dall'ordinamento giuridico (v. sentenza 26 aprile 1988, cause riunite 97/86, 99/86, 193/86 e 215/86, Asteris/Commissione, Racc. pag. 2181, punto 30; sentenza del Tribunale 13 dicembre 1995, cause riunite T-481/93 e T-484/93, Exporteurs in Levende Varkens e a./Commissione, Racc. pag. II-2941, punto 46; conclusioni dell'avvocato generale Léger presentate per la sentenza della Corte 6 giugno 1996 nella causa C-127/94, Ecroyd, Racc. pag. I-2731, in particolare pag. I-2735, paragrafo 74), l'istituzione convenuta deve adottare, in forza dell'art. 176 del Trattato CE (divenuto art. 233 CE), i provvedimenti necessari per eliminare gli effetti delle illegittimità accertate, dovere che, nel caso di un atto già eseguito, può consistere nel reintegrare il ricorrente nella situazione nella quale il medesimo si trovava anteriormente a tale atto (v. sentenze della Corte 31 marzo 1971, causa 22/70, Commissione/Consiglio, Racc. pag. 263, punto 60; 6 marzo 1979, causa 92/78, Simmenthal/Commissione, Racc. pag. 777, punto 32, e 17 febbraio 1987, causa 21/86, Samara/Commissione, Racc. pag. 795, punto 7; sentenze del Tribunale 14 settembre 1995, cause riunite T-480/93 e T-483/93, Antillean Rice Mills e a./Commissione, Racc. pag. II-2305, punti 59 e 60, e Exporteurs in Levende Varkens e a./Commissione, citata, punto 47).

51.
    Le ragioni alla base dell'art. 176 del Trattato CE portano a riconoscere che gli stessi principi sono applicabili in sede di attuazione dell'art. 34 CA (v. sentenza della Corte 12 gennaio 1984, causa 266/82, Turner/Commissione, Racc. pag. 1, punto 5).

52.
    Al primo posto fra i provvedimenti ex art. 34, primo comma, seconda frase, CA, figura pertanto, nel caso di una sentenza che annulli o riduca l'ammenda imposta a un'impresa per violazione delle norme in materia di concorrenza del Trattato, l'obbligo per la Commissione di restituire in tutto o in parte l'ammenda pagata dall'impresa interessata, in quanto tale pagamento debba essere qualificato come indebito in seguito alla sentenza di annullamento (v., in tal senso, sentenza travi, punto 697).

53.
    Contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, quest'obbligo ha ad oggetto non solo la somma capitale corrispondente all'ammenda indebitamente pagata, ma anche gli interessi di mora prodotti da tale importo.

54.
    Da un lato, infatti, la corresponsione di interessi di mora sull'importo indebitamente versato si presenta come una componente indispensabile dell'obbligo di restitutio in integrum che incombe sulla Commissione in seguito ad una sentenza di annullamento o di riforma dell'atto impugnato, dal momento che il rimborso integrale dell'ammenda indebitamente pagata non può prescindere da elementi, quali il decorso del tempo, che possono ridurne in concreto il valore (v., per analogia, sentenze della Corte 2 agosto 1993, causa C-271/91, Marshall, detta «Marshall II», Racc. pag. I-4367, punto 31, e 8 marzo 2001, cause riunite C-397/98 e C-410/98, Metallgesellschaft e a., Racc. pag. I-1727, punti 94 e 95). Una corretta esecuzione di una sentenza del genere impone pertanto, al fine di reintegrare pienamente l'interessato nella posizione che avrebbe dovuto legalmente occupare qualora l'atto annullato non fosse stato adottato, di dare rilevanza al fatto che siffatta reintegrazione è avvenuta solamente dopo un lasso di tempo più o meno lungo, durante il quale egli non ha potuto disporre delle somme indebitamente pagate (v., per analogia, sentenza Samara/Commissione, citata, punto 9).

55.
    D'altro canto, il mancato pagamento di interessi di mora potrebbe condurre, come avviene proprio nel caso di specie (v. supra, punto 32), a un arricchimento senza causa della Comunità, che è contrario ai principi generali del diritto comunitario (sentenza della Corte 10 luglio 1990, causa C-259/87, Grecia/Commissione, Racc. pag. I-2845, pubblicazione sommaria, punto 26). Ne consegue che la Commissione è tenuta alla restituzione non solo della somma capitale corrispondente all'ammenda indebitamente riscossa, ma anche di qualsiasi arricchimento o vantaggio ottenuto profittando di tale riscossione.

56.
    A tal riguardo, occorre rilevare che, secondo un principio generalmente accolto nel diritto nazionale degli Stati membri, nell'ambito di un'azione di ripetizione dell'indebito basata su un divieto di arricchimento senza causa, la questione del pagamento degli interessi per un capitale indebitamente versato si pone in modo strettamente accessorio rispetto al diritto alla ripetizione del capitale stesso. La determinazione dell'importo dovuto a titolo di interessi di mora dipende rigorosamente e necessariamente dall'importo del capitale indebitamente versato e dal tempo trascorso tra l'indebito pagamento, o quanto meno la messa in mora dell'ente percettore, e la sua restituzione. Infine, il diritto di ottenere questi interessi non richiede la prova di un danno (v. conclusioni dell'avvocato generale Trabucchi presentate per la sentenza della Corte 21 maggio 1976, causa 26/74, Roquette Frères/Commissione, Racc. pag. 677, in particolare pagg. 689, 691).

57.
    Quanto all'argomento addotto dalla Commissione, che il mancato godimento dell'importo di euro 12 milioni in pendenza del giudizio risulterebbe dalla decisione della ricorrente di pagare l'ammenda invece di prestare una garanzia bancaria, esso dev'essere respinto dal momento che, pagando l'ammenda, la ricorrente si è limitata ad osservare il dispositivo di una decisione esecutiva malgrado il ricorso da essa proposto dinanzi al Tribunale, conformemente all'art. 39 CA. Del resto, la facoltà concessa dalla Commissione alla ricorrente, di fornire un'adeguata garanziabancaria invece di pagare immediatamente l'ammenda, era subordinata alla condizione che l'ammenda producesse interessi (v. punto 48 della sentenza travi).

58.
    Ne consegue che, non avendo corrisposto nessun interesse alla ricorrente sull'importo di euro 12 milioni rimborsato in seguito alla sentenza travi, la Commissione ha omesso di adottare un provvedimento necessario ai fini dell'esecuzione della detta sentenza. Di conseguenza, il ricorso ex art. 34 CA, proposto dopo la scadenza di un termine ragionevole, risulta fondato e dev'essere riconosciuto il diritto della ricorrente a un risarcimento pecuniario d'importo pari a quello degli interessi che avrebbero dovuto essere pagati unitamente alla somma capitale.

59.
    Per quanto riguarda la valuta nella quale gli interessi devono essere calcolati e versati, occorre rilevare che, a norma dell'art. 4 della decisione 94/215, l'ammenda inflitta alla ricorrente è stata stabilita in ECU; che in questa valuta essa è stata pagata dalla ricorrente; che, conformemente al regolamento (CE) del Consiglio 17 giugno 1997, n. 1103, relativo a talune disposizioni per l'introduzione dell'euro (GU L 162, pag. 1), il Tribunale ne ha stabilito l'importo in euro nella sentenza travi; infine, che la Commissione ha rimborsato la differenza in conto capitale utilizzando questa valuta. Alla luce di ciò, non c'è valido motivo di ricorrere ad una valuta diversa dall'euro per quanto riguarda il calcolo e il pagamento degli interessi.

60.
    Per quanto riguarda il saggio degli interessi dovuti, occorre rilevare che, secondo un principio generalmente accolto dal diritto nazionale degli Stati membri, nell'ambito di un'azione di ripetizione dell'indebito basata su un divieto di arricchimento senza causa, il soggetto leso ha di norma diritto alla minor somma tra l'importo dell'arricchimento e quello dell'impoverimento. Peraltro, qualora l'impoverimento consista nel mancato godimento di una somma di denaro per un certo lasso di tempo, l'importo ripetibile è generalmente calcolato facendo riferimento al saggio degli interessi legali o giudiziari, senza anatocismo.

61.
    Poiché gli stessi principi devono essere applicati, mutatis mutandis, nell'ambito del presente ricorso, date le analogie che quest'ultimo presenta con un'azione del genere, alla ricorrente dovrebbero essere attribuiti, di regola, gli interessi prodotti dall'importo di euro 12 milioni, calcolati applicando un saggio forfettario che il Tribunale dovrebbe determinare, senza anatocismo, per il periodo 2 giugno 1994 - 23 aprile 1999.

62.
    Nel caso di specie, tuttavia, dalle spiegazioni della Commissione (v. supra, punto 32), si ricava che l'importo di euro 12 milioni, da essa investito a un saggio d'interesse medio pari al 4,613% per il periodo di cui trattasi, ha fruttato alla CECA, in considerazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi, un totale di euro 3 016 608.

63.
    In considerazione delle particolari circostanze della fattispecie, sembra equo assegnare tale importo alla ricorrente.

64.
    Dato che questa somma avrebbe dovuto essere pagata alla ricorrente entro un termine ragionevole successivo alla pronuncia della sentenza travi, occorre peraltro, conformemente alla domanda formulata in sede di ricorso, aumentare quest'ultimo degli interessi di mora calcolati applicando un saggio forfettario, senza anatocismo, pari al 5,75% annuo, corrispondente al saggio d'interesse delle operazioni di rifinanziamento principali stabilito all'epoca dal consiglio direttivo della Banca centrale europea, aumentato di due punti per il periodo compreso tra il 24 aprile 1999 e la data della pronuncia della presente sentenza.

65.
    Infine, conformemente alla domanda della ricorrente, non contestata dalla Commissione, occorre inoltre dichiarare che questi due importi produrranno interessi dalla data della presente sentenza sino all'integrale pagamento. Tuttavia, il saggio di questi interessi dev'essere anch'esso stabilito pari al 5,75%, senza anatocismo.

Sulle spese

66.
    Ai sensi dell'art. 87, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la ricorrente ne ha fatto domanda, la Commissione, rimasta sostanzialmente soccombente, dev'essere condannata alle spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Prima Sezione)

dichiara e statuisce:

1)    La Commissione è condannata a versare alla ricorrente l'importo di euro 3 016 608, aumentato degli interessi calcolati al saggio forfettario del 5,75%, senza anatocismo, per il periodo compreso tra il 24 aprile 1999 e la data della pronuncia della presente sentenza.

2)    Gli importi di cui al precedente punto 1) produrranno interessi al medesimo saggio, senza anatocismo, dalla data della pronuncia della presente sentenza sino all'integrale pagamento.

3)    Per il resto, il ricorso è respinto.

4)    La Commissione è condannata alle spese.

Vesterdorf
Vilaras
Forwood

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 10 ottobre 2001.

Il cancelliere

Il presidente

H. Jung

B. Vesterdorf


1: Lingua processuale: l'inglese.

Racc.