Language of document : ECLI:EU:T:2001:251

    

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Terza Sezione)

18 ottobre 2001 (1)

«Dipendenti - Dipendenti della Banca centrale europea - Competenza del Tribunale - Legittimità delle condizioni di impiego - Diritti della difesa - Licenziamento - Molestia - Abuso di Internet»

Nella causa T-333/99,

X, residente a Francoforte sul Meno (Germania), rappresentato dagli avv.ti N. Pflüger, R. Steiner e S. Mittländer, avocats, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Banca centrale europea, rappresentata dalle sig.re C. Zilioli e V. Saintot, in qualità di agenti, assistite dall'avv. B. Wägenbaur, avocat, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

avente ad oggetto una domanda di annullamento della decisione del comitato esecutivo della Banca centrale europea 9 novembre 1999 di mantenere la sospensione del ricorrente e di trattenere la metà della sua retribuzione di base e della decisione 18 novembre 1999 di licenziare il ricorrente,

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO

DELLE COMUNITA' EUROPEE (Terza Sezione),

composto dai sigg. J. Azizi, presidente, K. Lenaerts e M. Jaeger, giudici,

cancelliere: sig.ra D. Christensen, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 20 febbraio 2001,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Contesto normativo

1.
    Il protocollo sullo statuto del Sistema europeo di banche centrali e della Banca centrale europea (BCE), allegato al Trattato CE (in prosieguo: lo «statuto del SEBC»), contiene segnatamente le disposizioni seguenti:

«Articolo 12

(...)

12.3    Il consiglio direttivo adotta il regolamento interno che determina l'organizzazione interna della BCE e dei suoi organi decisionali.

(...)

Articolo 36

Personale

36.1    Il Consiglio direttivo, su proposta del Comitato esecutivo, stabilisce le condizioni di impiego dei dipendenti della BCE.

36.2    La Corte di giustizia ha giurisdizione su tutte le controversie tra la BCE e i propri dipendenti nei limiti e alle condizioni stabiliti nelle condizioni di impiego».

2.
    Sulla base dell'art. 36.1 dello statuto del SEBC, il consiglio direttivo ha adottato le Conditions of Employment for Staff of the European Central Bank (condizioni di impiego della Banca centrale europea, in prosieguo: le «condizioni di impiego»), che, nella versione applicabile ai fatti controversi, prevedono in particolare:

«4.    (a)    I dipendenti della BCE devono svolgere il proprio servizio con coscienza e senza tener conto dei propri interessi personali. Essi devono accordare la loro condotta con le funzioni loro affidate e con lo statuto della BCE quale istituzione della Comunità.

(...)

9.    (a)    I rapporti di impiego tra la BCE ed i suoi dipendenti sono disciplinati dai contratti di lavoro stipulati in conformità con le presenti condizioni di impiego. Le Staff Rules (norme applicabili al personale; in prosieguo: le ”norme sul personale”) adottate dal comitato esecutivo precisano le modalità di tali condizioni di impiego.

(...)

    (c)    Le condizioni di impiego non sono disciplinate da alcun diritto nazionale particolare. La BCE applica i) i principi generali del diritto comune agli Stati membri, ii) i principi generali del diritto comunitario (CE) e iii) le disposizioni contenute nei regolamenti e nelle direttive (CE) relative alla politica sociale indirizzate agli Stati membri. Ogni qual volta si renderà necessario, tali atti giuridici saranno attuati dalla BCE. Si terranno nel debito conto a tale riguardo le raccomandazioni (CE) in materia di politica sociale. Per l'interpretazione dei diritti e degli obblighi previsti dalle presenti condizioni di impiego, la BCE terrà in debita considerazione i principi consacrati dai regolamenti, le disposizioni e la giurisprudenza applicabili al personale delle istituzioni comunitarie.

10.    (a)    I contratti di lavoro tra la BCE ed i suoi dipendenti prendono la forma di lettere di assunzione che sono controfirmate dai dipendenti. Le lettere di assunzione contengono gli elementi del contratto precitati dalla direttiva del Consiglio 14 ottobre 1991, 91/533/CEE (...)

(...)

11.    (a)    La BCE può porre termine ai contratti stipulati con i suoi dipendenti sulla base di una decisione motivata del comitato esecutivo, conformemente al procedimento stabilito dalle norme sul personale e per i seguenti motivi:

    (i)    In caso di persistente insufficienza professionale. Qualora la risoluzione del contratto da parte della BCE intervenga per tale motivo, essa dev'essere accompagnata da un preavviso di tre mesi e da un'indennità di licenziamento pari ad un mese di retribuzione per anno di servizio espletato, senza poter eccedere 12 mesi. Il Comitato esecutivo può dispensare dal servizio il dipendente durante il periodo di preavviso;

    (ii)    In caso di riduzione degli effettivi. (...)

    (iii)    Per motivi disciplinari.

(...)

41.     I membri del personale possono, ricorrendo al procedimento fissato nelle norme sul personale, sottoporre all'amministrazione, ai fini di un esame precontenzioso, lagnanze e reclami che quest'ultima esaminerà sotto il profilo della coerenza degli atti adottati in ciascun caso singolo rispetto alla politica del personale ed alle condizioni di impiego della BCE. I membri del personale che non hanno ottenuto soddisfazione in seguito al procedimento di esame precontenzioso possono ricorrere al procedimento di reclamo stabilito nelle norme sul personale.

    I procedimenti summenzionati non possono venire utilizzati per impugnare:

    i)    una decisione del Consiglio direttivo o qualsiasi direttiva interna della BCE, incluso qualunque direttiva fissata nelle condizioni generali di impiego o nelle norme sul personale,

    ii)    qualsiasi decisione in virtù della quale sono in essere procedimenti specifici di ricorso, o

    iii)    qualsiasi decisione di non confermare la nomina di un membro del personale avente lo status di dipendente in prova.

42.    Dopo esaurimento dei procedimenti interni cui si può ricorrere, la Corte di giustizia delle Comunità europee sarà competente per qualsiasi controversia tra la BCE e un membro o ex membro del personale cui sono applicabili le presenti condizioni generali di impiego.

    Una competenza siffatta dev'essere limitata all'esame della legittimità della misura o della decisione, a meno che la controversia non sia di natura finanziaria, nel qual caso la Corte di giustizia ha una competenza di merito.

43.    In caso di mancanza ai loro obblighi nei confronti della BCE, i dipendenti della BCE sono passibili, a seconda dei casi, delle seguenti sanzioni disciplinari:

    i)    biasimo, irrogato da un membro del comitato esecutivo;

    ii)    su decisione del comitato esecutivo:

    -    riduzione temporanea dello stipendio;

    -    trasferimento o spostamento del dipendente all'interno della BCE;

    -    riduzione permanente dello stipendio;

    

    -    licenziamento.

    I provvedimenti disciplinari devono essere proporzionati alla gravità delle mancanze disciplinari e i motivi che sono a fondamento della decisione devono essere enunciati. Essi sono adottati conformemente al procedimento stabilito nelle norme sul personale. Il detto procedimento deve garantire che nessun dipendente sia colpito da sanzione disciplinare senza che, previamente, sia messo in grado di rispondere alle censure.

44.    In caso di colpa grave addebitata ad un dipendente dalla direzione della BCE, sia che si tratti di mancanza agli obblighi di servizio o di un'infrazione delle norme di diritto comune, il comitato esecutivo può decidere di sospendere il dipendente dal servizio con effetto immediato.

    La decisione deve precisare se il dipendente continua a beneficiare, durante il periodo della sospensione, della retribuzione, in tutto o in parte. In caso di ritenuta parziale, la stessa non può essere superiore alla metà dello stipendio base del dipendente.

    Se, entro quattro mesi a far data dalla sospensione, la situazione del dipendente sospeso non è stata definitivamente regolata o se quest'ultimo ha avuto soltanto un biasimo, l'interessato ha diritto al rimborso degli importi trattenuti a titolo di sospensione.

    Tuttavia, quando il dipendente sia sottoposto a procedimento penale per gli stessi fatti, la sua situazione sarà definitivamente regolata soltanto dopo il passaggio in giudicato della sentenza dell'autorità giudiziaria competente.

45.    Il comitato del personale, i cui membri sono eletti a scrutinio segreto, ha il compito di rappresentare gli interessi generali di tutti i membri del personale in materia di contratti di lavoro, di discipline applicabili al personale e di retribuzioni; condizioni di impiego, di lavoro, di sanità e di sicurezza presso la BCE; previdenza sociale e regimi pensionistici.

46.    Il comitato del personale è consultato prima di qualsiasi modifica delle condizioni generali di impiego, delle norme sul personale e di tutte le relative questioni, quali definite all'art. 45 supra.

47.    In caso di controversia di carattere individuale il dipendente ha il diritto di chiedere l'assistenza di un rappresentante del personale per i procedimenti interni.»

3.
    Sulla base dell'art. 12.3 dello statuto SEBC, il consiglio direttivo ha adottato il regolamento interno della BCE (GU 1999, L 125, pag. 34), che dispone in particolare:

«Articolo 11

Personale della BCE

(...)

11.2.    Fermi restando gli articoli 36 e 47 dello statuto, il comitato esecutivo adotta norme di carattere interno (in seguito chiamate ”circolari amministrative”). Tali norme sono vincolanti per il personale della BCE.

(...)

Articolo 21

Condizioni di impiego

21.1.    I rapporti di lavoro fra la BCE e il proprio personale sono determinati dalle condizioni di impiego e dalle norme sul personale.

21.2.    Le condizioni di impiego sono approvate e modificate dal consiglio direttivo su proposta del comitato esecutivo. Il consiglio generale è consultato in base alla procedura prevista nel presente regolamento interno.

21.3.    Le condizioni di impiego vengono attuate dalle norme sul personale, le quali sono adottate e modificate dal comitato esecutivo.

21.4.    Il comitato del personale è consultato prima dell'adozione di nuove condizioni di impiego o di nuove norme sul personale. Il suo parere è presentato, rispettivamente, al consiglio direttivo o al comitato esecutivo».

4.
    Sulla base dell'art. 21.3 del regolamento interno della BCE e dell'art. 9, punto a), delle condizioni di impiego, il comitato esecutivo della BCE ha adottato le European Central Bank Staff Rules (in prosieguo: le «norme sul personale»), che stabiliscono in particolare:

«8.3.2        Allorché il comitato esecutivo decide di licenziare un dipendente, il licenziamento ha effetto dal giorno della sospensione. Il dipendente interessato conserva il beneficio degli importi che gli sono stati versati durante il periodo di sospensione».

5.
    In data 12 novembre 1998, la BCE ha adottato la circolare amministrativa 12 novembre 1998, n. 11/98, intitolata «ECB Internet Usage Policy» (in prosieguo: la «circolare n. 11/98») contenente le norme che disciplinano l'uso da parte del personale dei computer che consentono la connessione ad Internet e la ricezione e trasmissione di posta elettronica, che prevede in particolare:

«3.1        I servizi Internet sono predisposti dalla BCE per finalità di servizio».

Fatti all'origine della controversia

6.
    Il ricorrente, che era stato dipendente dell'Istituto monetario europeo (IME), è entrato in servizio presso la BCE il 1° luglio 1998. Esso fu assegnato agli archivi della BCE, ove occupava il posto di documentarista. La sua postazione di lavoro era dotata di un computer che, come tutti gli altri computer della BCE, era collegato ad un server centrale. Nel novembre 1998 il computer del ricorrente fu predisposto in modo da consentirgli la connessione ad Internet e la trasmissione e ricezione di posta elettronica.

7.
    Nell'agosto 1999, a seguito della protesta di un collega di lavoro del ricorrente, la direzione del personale ha aperto un'indagine interna.

8.
    Il 18 ottobre 1999, l'amministrazione della BCE ha informato il ricorrente dell'avvio di un procedimento disciplinare nei suoi confronti e del fatto che il comitato esecutivo della BCE aveva deciso, lo stesso giorno, di sospenderlo dal servizio, in base all'art. 44 delle condizioni di impiego, con la conservazione dell'intero stipendio di base. Essa informava altresì il ricorrente che lo si sospettava, in primo luogo, di essersi ripetutamente procurato, tramite Internet, documenti di carattere pornografico e politico e di averli trasmessi a terzi per posta elettronica. In secondo luogo lo si sospettava di aver importunato il collega di lavoro, autore della protesta, in particolare con la trasmissione allo stesso di numerosa posta elettronica dicontenuto pornografico e/o di ideologia estremista, benché tale collega avesse chiaramente espresso la propria disapprovazione.

9.
    Successivamente, la direzione del personale, in collaborazione con la direzione competente e con il servizio giuridico della BCE, ha ascoltato una serie di testimoni. Inoltre, sono state effettuate determinate verifiche per quanto riguarda i siti consultati su Internet da parte del ricorrente e la posta elettronica trasmessa dallo stesso. Il computer del ricorrente è stato isolato dalla rete della BCE e sigillato.

10.
    Il 28 ottobre 1999 la direzione del personale della BCE ha spedito all'avvocato del ricorrente tre raccoglitori contenenti circa 900 pagine di documenti considerati dalla convenuta come prove, nonché un CD-ROM sul quale sono state salvate le immagini pornografiche ed i montaggi di immagini provenienti dall'Internet che il ricorrente aveva diffuso con posta elettronica all'interno ed all'esterno della BCE nel corso del periodo sottoposto a controllo informatico.

11.
    Il 3 novembre 1999 il ricorrente, assistito dal suo avvocato, da un membro del comitato del personale e, a sua richiesta, da un interprete, è stato sentito da alcuni membri della direzione del personale, della divisione cui appartiene e del servizio giuridico della BCE. E' stato predisposto un processo verbale di tale audizione. L'avvocato del ricorrente ha contestato la regolarità della sospensione del 18 ottobre 1999 ed ha eccepito l'illegittimità, rispettivamente, della circolare n. 11/98 e delle condizioni in cui erano stati raccolti gli elementi di prova addotti contro il suo cliente.

12.
    L'8 novembre 1999 l'amministrazione ha emesso un parere motivato sul procedimento disciplinare iniziato contro il ricorrente al fine di portare a conoscenza del comitato esecutivo della BCE i fatti, le prove e la qualificazione giuridica proposta in seguito a tale procedimento.

13.
    Vi si concludeva che il ricorrente aveva, in primo luogo, molestato un collega di lavoro trasmettendogli con posta elettronica, nonostante le proteste di quest'ultimo, messaggi di contenuto pornografico e/o di ideologia estremista, rifiutando di rispettare l'ambiente di lavoro di quest'ultimo, provocandolo con gesti di carattere sessuale, insinuando che tale collega fosse omosessuale e minacciando di colpirlo e ferirlo. In secondo luogo, il ricorrente avrebbe, con tali azioni, avvelenato il clima di lavoro dell'ufficio che condivideva con altri dipendenti della BCE. In terzo luogo, il ricorrente avrebbe abusato degli strumenti di lavoro, nella fattispecie, facendo un uso non professionale, in proporzioni irragionevoli ed intollerabili, di Internet e della posta elettronica. In quarto luogo, il ricorrente avrebbe violato l'obbligo di comportarsi dignitosamente nell'esecuzione del suo contratto di lavoro consultando in Internet siti e trasmettendo con la posta elettronica messaggi a carattere pornografico o relativi a comportamenti di rilevanza probabilmente penale. Tali messaggi sarebbero inaccettabili per il senso comune ed a maggior ragione per un membro della funzione pubblica comunitaria. In quinto luogo, il ricorrente avrebbeleso l'immagine e la credibilità della BCE, da un lato trasmettendo all'esterno, con l'indirizzo di quest'ultima, posta elettronica contenente documenti di carattere pornografico o relativi a comportamenti di rilevanza probabilmente penale e, dall'altro, consultando sotto il nome dalla BCE siti per un uso non professionale.

14.
    Nel suo parere motivato l'amministrazione ha qualificato tali fatti come violazione dei principi fondamentali che tutelano la dignità delle persone sul loro lavoro, dell'art. 4, punto a), delle condizioni di impiego e dell'art. 3.1 della circolare n. 11/98. Preso atto che i fatti accertati nei confronti del ricorrente erano gravi, essa ha proposto al comitato esecutivo il suo licenziamento.

15.
    Il 9 novembre 1999 la BCE ha trasmesso all'avvocato del ricorrente una copia del parere motivato con i suoi quattro allegati.

16.
    L'avvocato del ricorrente ha sottoposto le sue osservazioni sul parere motivato con lettere 9 e 10 novembre 1999, redatte in lingua tedesca. Esso sosteneva, nella sua lettera 9 novembre 1999, che il regime disciplinare previsto dalle condizioni di impiego era privo di base giuridica e che violava principi generali comunitari e principi comuni agli Stati membri, nonché il principio nulla poena sine lege. Nella sua lettera 10 novembre 1999 esso, in sostanza, osservava in primo luogo che gli addebiti mossi al ricorrente non erano sufficientemente circostanziati per permettere a quest'ultimo di prendere posizione; in secondo luogo, che il ricorrente contestava i fatti, salvo l'esistenza di un clima teso tra lui ed il collega che era all'origine della protesta; che, in particolare, non era fornita la prova che il ricorrente fosse la sola persona ad avere accesso al computer che gli era stato attribuito; in terzo luogo che, anche supponendo che i fatti fossero fondati, la BCE aveva violato il principio di proporzionalità, avendo omesso di avvertire il ricorrente prima dell'avvio di un procedimento disciplinare al fine di dargli la possibilità di correggere il proprio comportamento.

17.
    Il 9 novembre 1999 il comitato esecutivo della BCE ha deciso, considerato il procedimento disciplinare in corso, di mantenere la sospensione del ricorrente e di trattenere, a partire dal 10 novembre 1999, la metà della retribuzione di base di quest'ultimo, conformemente all'art. 44 delle condizioni di impiego (in prosieguo: la «decisione 9 novembre 1999»).

18.
    Il 10 novembre 1999 l'avvocato del ricorrente ha chiesto un controllo amministrativo precontenzioso («administrative review») di tale decisione per il motivo che il regime disciplinare previsto dalle condizioni di impiego era illegittimo.

19.
    Il 12 novembre 1999 l'amministrazione della BCE ha informato l'avvocato del ricorrente che, redigendo le sue lettere 9 e 10 novembre 1999 in tedesco, egli non aveva osservato la regola che la lingua da usare nei rapporti e nelle comunicazioni tra l'impiegato e la BCE era l'inglese. Tuttavia, preoccupata di evitare un ritardodel procedimento, la BCE si dichiarava d'accordo di accettare tali lettere, senza che tale decisione potesse essere considerata un precedente.

20.
    Il 15 novembre 1999 l'avvocato del ricorrente ha trasmesso, in risposta a tale lettera, una lettera al presidente della BCE, redatta in lingua inglese, nella quale esso sosteneva che il fatto di imporre l'uso di tale lingua nel procedimento in corso avrebbe costituito un tentativo di ostacolare la difesa del ricorrente e che, salvo parere contrario della BCE da comunicare entro tre giorni, avrebbe per il futuro redatto le sue lettere in lingua tedesca.

21.
    Il 17 novembre 1999 l'amministrazione della BCE ha informato l'avvocato del ricorrente che la decisione 9 novembre 1999 non avrebbe potuto costituire oggetto di un controllo amministrativo precontenzioso ai sensi dell'art. 41 delle condizioni di impiego, essendo il comitato esecutivo della BCE, che aveva adottato tale decisione, la più alta autorità amministrativa di tale organismo. Essa aggiungeva che un ricorso contro la decisione 9 novembre 1999 andava presentato alla Corte di giustizia delle Comunità europee.

22.
    Con lettera 18 novembre 1999 l'amministrazione della BCE, in risposta alla lettera dell'avvocato del ricorrente del 15 novembre ha contestato di aver voluto ostacolare, ricordando il principio dell'uso dell'inglese, la difesa del ricorrente. Essa ha dichiarato che, al contrario, la BCE, tollerando nel caso in esame l'uso della lingua tedesca, si era mostrata più favorevole al ricorrente di quanto fosse giuridicamente richiesto.

23.
    Con decisione dello stesso giorno il comitato esecutivo della BCE ha licenziato il ricorrente, conformemente agli artt. 11, lett a) e b), delle condizioni di impiego e 8.3.2 delle norme sul personale. Nella motivazione di tale decisione esso ha respinto le critiche formulate dall'avvocato del ricorrente nelle lettere 9 e 10 novembre 1999 contro il parere motivato. Esso osservava, in particolare, che le contestazioni globali del ricorrente non mettevano seriamente in discussione la pertinenza degli elementi di prova raccolti nel corso del procedimento disciplinare. Per quanto riguarda la prova dell'uso esclusivo del computer del ricorrente da parte di quest'ultimo, esso rilevava che l'uso dei computer alla BCE era controllato tramite l'utilizzo di parole d'ordine personali e segrete. Esso dichiarava anche che, vista la mole elevata di posta elettronica trasmessa, nel corso di un periodo di 18 mesi, durante le ore di servizio, in uscita dal computer del ricorrente, posto in un ufficio privo di pareti divisorie occupato da sei persone, era poco plausibile che tale computer avesse potuto essere usato da un terzo senza attirare l'attenzione. Per quanto riguarda l'asserito ritardo con cui l'amministrazione della BCE sarebbe intervenuta, esso spiegava che tale circostanza non poteva giustificare il comportamento del ricorrente, del quale quest'ultimo era il solo responsabile. In base ai fatti accertati, il comitato esecutivo della BCE riprendeva la qualificazione proposta dall'amministrazione nel parere motivato. Esso respingeva infine le critiche dell'avvocato del ricorrente sulla legittimità del procedimento disciplinare. Esso aggiungeva che nessuna organizzazione poteva sopravvivere senza unprocedimento sanzionatorio delle violazioni degli obblighi contrattuali, che il regime disciplinare aveva una base legale sufficiente nell'art. 36 dello statuto SEBC, che esso era stato accettato dal ricorrente allorché aveva firmato il contratto di lavoro e che l'applicazione di tale regime era stata conforme ai principi generali del diritto.

Procedimento e conclusioni delle parti

24.
    Sulla base di tali circostanze il ricorrente proponeva il presente ricorso con atto introduttivo depositato il 25 novembre 1999 nella cancelleria del Tribunale.

25.
    Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Terza Sezione) ha deciso di avviare la fase orale del procedimento.

26.
    Le parti hanno svolto le loro difese ed hanno risposto ai quesiti del Tribunale all'udienza del 20 febbraio 2001.

27.
    Il ricorrente conclude che il Tribunale voglia:

-    dichiarare che il procedimento disciplinare esercitato nei suoi confronti è illegittimo;

-    dichiarare che la decisione 9 novembre 1999 è illegittima;

-    condannare la BCE a versare gli importi trattenuti sulla sua retribuzione in base all'art. 44 delle condizioni di impiego;

-    dichiarare che il suo licenziamento è illegittimo e che il contratto di lavoro concluso con la BCE non è risoluto, ma che è ancora in corso;

-    condannare la BCE a riassumere il ricorrente;

-    condannare la BCE alle spese.

28.
    La BCE conclude che il Tribunale voglia:

-    respingere il ricorso;

-    condannare il ricorrente a sopportare tutte le spese.

Sulla competenza del Tribunale

Esposizione sommaria degli argomenti delle parti

29.
    La BCE rileva che il ricorrente intende fondare il suo ricorso sull'art. 236 CE. Orbene, tale articolo riguarderebbe solo le controversie tra la Comunità ed i suoi dipendenti, e non quelle tra la BCE ed i suoi dipendenti, che sarebbero disciplinate dall'art. 36.2 dello statuto SEBC.

30.
    Essa osserva che l'art. 36.2 dello statuto SEBC attribuisce la competenza alla Corte e che la decisione del Consiglio 24 ottobre 1988 88/591/CECA, CEE, Euratom, che istituisce un Tribunale di primo grado delle Comunità europee (GU L 319, pag. 1), più volte modificata, non contiene disposizioni esplicite che attribuiscano al Tribunale la competenza per le controversie di cui al già citato articolo. Essa si chiede perciò se il Tribunale sia competente a conoscere del ricorso in esame.

31.
    Essa ammette che la volontà degli autori del trattato sull'Unione europea, firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992, istitutivo del Sistema europeo di banche centrali e della BCE, era chiaramente quella di conferire al Tribunale la competenza a conoscere delle controversie di cui all'art. 36.2 dello statuto SEBC. Essa si riferisce, a tale riguardo, alla dichiarazione n. 27, allegata all'atto finale del trattato sull'Unione europea, relativa alle controversie tra la BCE e l'IME, da una parte, ed i loro dipendenti, dall'altra.

32.
    Tuttavia l'esistenza stessa di tale dichiarazione dimostrerebbe che il Tribunale non è competente, in mancanza di disposizioni pertinenti adottate dalle istituzioni, a conoscere delle controversie di cui trattasi.

33.
    La BCE ritiene che non sia possibile colmare tale lacuna con il solo riferimento alla sentenza della Corte 15 giugno 1976, causa 110/75, Mills/BEI (Racc. pag 955, punti 11-13). Essa fa altresì riferimento alla sentenza del Tribunale 28 settembre 1999, causa T-140/97, Hautem/BEI (Racc. PI pagg. I-A-171 e II-897, punto 77). Infatti, il caso della BCE differirebbe da quello della Banca europea per gli investimenti (BEI) in quanto il trattato avrebbe espressamente previsto la competenza della Corte per le controversie tra la BCE ed il suo personale e ciò con una base giuridica specifica.

34.
    Il ricorrente ritiene che la competenza del Tribunale risulti dall'art. 3, lett. a), della decisione 88/591, in combinato disposto con l'art. 236 CE. Nonostante varie modificazioni del Trattato CE successive alla decisione 88/591, l'art. 236 CE dichiarerebbe sempre la «Corte di giustizia» competente a pronunciarsi su qualsiasi controversia tra la Comunità ed i suoi dipendenti. Pertanto il termine «Corte di giustizia» ai sensi dell'art. 236 CE non designerebbe la Corte in senso stretto, in contrapposizione al Tribunale. Dopo l'adozione della decisione 88/591, esso designerebbe in realtà il Tribunale, che è funzionalmente competente a conoscere di tali controversie quale giudice di merito.

35.
    L'art. 36.2 dello statuto SEBC si riferirebbe al termine «Corte di giustizia» nel senso che è proprio a tale termine nell'art. 236 CE e non conferirebbe alla Corte in senso stretto una competenza esclusiva.

Giudizio del Tribunale

36.
    Risulta dall'art. 3, lett. a), della decisione 88/591, come modificata, che il Tribunale esercita, in primo grado, le competenze conferite alla Corte di giustizia dai trattati che istituiscono le Comunità e dagli atti adottati per la loro esecuzione per le controversie di cui all'art. 236 CE ed all'art. 152 CEEA. Le controversie così individuate sono quelle esistenti tra le Comunità ed i loro dipendenti.

37.
    Se la decisione 88/591 si riferisce così esplicitamente agli articoli già citati è allo scopo di designare il tipo di controversia definito da tali articoli, quindi di precisare che il Tribunale esercita, in primo grado, le attribuzioni demandate alla Corte di giustizia per qualsiasi controversia tra le Comunità ed i loro dipendenti. In tal modo la decisione 88/591, quale disposizione di diritto derivato che attua le norme giuridiche pertinenti di diritto primario, in particolare l'art. 225 CE, ha realizzato un sistema con un duplice grado di giudizio che regola in modo uniforme, coerente e completo i mezzi di ricorso ed i procedimenti per quanto riguarda le controversie tra le Comunità ed i loro dipendenti.

38.
    E' vero che l'art. 36.2 dello statuto SEBC fa parte di un protocollo adottato nell'ambito del Trattato di Maastricht e che esso rappresenta perciò una disposizione di diritto primario. Tuttavia il senso dei termini giuridici utilizzati in tale disposizione deve, in caso di dubbio, venir interpretato alla luce di tutte le norme giuridiche pertinenti in vigore al momento della sua adozione, nei limiti in cui ciò consente di evitare un contrasto con un principio fondamentale di diritto comunitario, qual è il principio di parità di trattamento.

39.
    Di conseguenza l'art. 36.2 dello Statuto SEBC, considerate le diverse possibilità di interpretazione proposte, dev'essere interpretato in modo da non porlo in contrasto con il sistema generale ed uniforme di tutela giurisdizionale nei confronti dei dipendenti della Comunità che risulta dalla decisione 88/591 e che si fonda sull'art. 225 CE.

40.
    Infatti, se si volesse interpretare l'art. 36.2 dello Statuto SEBC in modo da escludere i ricorsi presentati da taluni dipendenti contro determinate istituzioni o determinati organi, nel caso in esame dai dipendenti della BCE contro la BCE, dal sistema di tutela giurisdizionale migliorata introdotto con la decisione 88/591 per lo stesso tipo di controversia, tale sfondamento, obiettivamente ingiustificato, del sistema generale di tutela giurisdizionale lederebbe il principio di parità di trattamento e perciò un principio fondamentale di diritto comunitario.

41.
    Il termine «Corte di giustizia» di cui all'art. 36.2 dello Statuto SEBC dev'essere perciò interpretato nel senso che esso designa la giurisdizione comunitaria nel suo complesso conformemente all'art. 7 CE e che di conseguenza esso include il Tribunale di primo grado. Ne discende che il Tribunale è competente a conoscere in primo grado le controversie di cui all'art. 36.2 dello Statuto SEBC.

42.
    Tale peraltro è stato l'espresso auspicio della conferenza intergovernativa a seguito dell'adozione dello statuto SEBC. Risulta, infatti, dalla dichiarazione n. 27 allegata all'atto finale del trattato sull'Unione europea che «[l]a conferenza ritiene opportuno che, conformemente all'articolo 168 A del trattato che istituisce la Comunità europea, il Tribunale di primo grado sia competente a pronunciarsi su questa categoria di ricorsi».

43.
    Considerato il contesto giuridico qui sopra esposto, il Consiglio non era tenuto a dar seguito all'invito che gli era stato rivolto dalla conferenza ad «adeguare, di conseguenza, le pertinenti norme», quindi di completare l'enumerazione operata dall'articolo di cui trattasi tramite un riferimento espresso all'art. 36.2 dello Statuto SEBC.

44.
    Ne consegue che il Tribunale è competente a conoscere la controversia in esame.

Sulla ricevibilità di determinati capi delle conclusioni

A - Domanda del ricorrente di condannare la BCE a riassumerlo

Esposizione sommaria dell'argomentazione delle parti

45.
    La BCE ritiene che la domanda del ricorrente diretta ad ottenere dal Tribunale la condanna a riassumere lo stesso sia irricevibile. Infatti, secondo una giurisprudenza costante, non rientrerebbe nella competenza del Tribunale effettuare dichiarazioni di principio o indirizzare ingiunzioni agli organi comunitari nell'ambito dell'art. 236 CE.

46.
    Il ricorrente ammette che, nell'ambito dei ricorsi dei dipendenti, il Tribunale, di regola, possa solo annullare la decisione impugnata, senza poter emanare ingiunzioni nei confronti della parte convenuta. Questo tuttavia varrebbe solo se il ricorso riguardasse un atto adottato dalla convenuta nell'esercizio del suo potere discrezionale. Tuttavia, in mancanza di potere discrezionale della parte convenuta, o nelle controversie di natura pecuniaria, il Tribunale potrebbe condannare la stessa all'adozione di provvedimenti precisi (sentenze della Corte 2 luglio 1981, causa 185/80, Garganese/Commissione, Racc. pag. 1785, e 18 marzo 1982, causa 103/81, Chaumont-Barthel/Parlamento, Racc. pag. 1003). Se, nella fattispecie, il licenziamento fosse irregolare, i diritti della persona del ricorrente richiederebbero di reintegrare lo stesso nello stato antecedente il licenziamento. Si tratterebbe dell'effetto giuridico dell'actio negatoria del diritto romano e tale concetto giuridico costituirebbe un principio generale del diritto comunitario.

Giudizio del Tribunale

47.
    La domanda di cui trattasi ha un oggetto diverso dall'annullamento della decisione contenente il licenziamento del ricorrente. Inoltre essa non presenta un esclusivocarattere pecuniario. Essa non è perciò atta a rientrare nell'ambito della competenza di merito del Tribunale relativa alle controversie tra la BCE e i suoi dipendenti basata sull'art. 42, secondo comma, delle condizioni di impiego, il quale dispone che la competenza della giurisdizione comunitaria «dev'essere limitata all'esame della legittimità della misura o della decisione, a meno che la controversia non sia di natura finanziaria, nel qual caso la Corte di giustizia ha una competenza di merito».

48.
    Il suo oggetto rientra perciò nel divieto fatto al giudice comunitario di rivolgere ingiunzioni all'amministrazione (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 19 luglio 1999, causa T-168/97, Varas Carrión/Consiglio, Racc. PI pag. I-A-143 e pag. II-761, punto 26). Essa è pertanto irricevibile.

B - Domanda del ricorrente di condannare la BCE a versargli gli importi trattenuti sulla sua retribuzione di base in forza dell'art. 44 delle condizioni di impiego

Esposizione sommaria dell'argomentazione delle parti

49.
    La BCE ritiene che la domanda del ricorrente volta ad ottenere che il Tribunale la condanni a versare allo stesso gli importi trattenuti sulla sua retribuzione in forza dell'art. 44 delle condizioni di impiego è irricevibile per gli stessi argomenti esposti qui sopra al punto 45.

50.
    Il ricorrente contrappone a tale contestazione l'argomento esposto qui sopra al punto 46.

Giudizio del Tribunale

51.
    La domanda di cui trattasi è manifestamente di natura pecuniaria. Essa rientra perciò, per il suo oggetto, nella sfera di competenza di merito del giudice comunitario, conformemente all'art. 42, secondo comma, delle condizioni di impiego. Essa è pertanto ricevibile (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 23 marzo 2000, causa T-197/98, Rudolph/Commissione, Racc. PI pagg. I-A-55 e II-241, punti 32 e 33, e la giurisprudenza citata).    

Nel merito

A - Sulle eccezioni di illegittimità

1. Sulle eccezioni di illegittimità sollevate contro le condizioni di impiego

Sulla mancanza di competenza della BCE ad adottare un regime disciplinare

- Esposizione sommaria dell'argomentazione delle parti

52.
    Il ricorrente fa valere che la BCE era incompetente ad adottare un regime disciplinare. Esso si riferisce altresì, a tale fine, alla sua già citata lettera 9 novembre 1999, riportata all'allegato 21 del ricorso.

53.
    Infatti, mentre l'art. 24 del trattato che istituisce un Consiglio unico ed una Commissione unica delle Comunità europee (in prosieguo: il «trattato di fusione») attribuisce al Consiglio la competenza di adottare lo statuto del personale delle Comunità europee (in prosieguo: lo «statuto del personale»), l'art. 36.1 dello statuto SEBC avrebbe unicamente conferito al consiglio direttivo il potere di stabilire, su proposta del comitato esecutivo, il regime applicabile al personale della BCE. Orbene, il rapporto tra un dipendente e la sua istituzione non avrebbe natura contrattuale, ma sarebbe un rapporto di diritto pubblico basato sul concetto di servizio e di lealtà. Il Consiglio, perciò, autorizzato dall'art. 24 del Trattato di fusione, avrebbe avuto il diritto di prevedere nello statuto del personale un regime disciplinare, risultante da un nesso di suborbinazione specifica tra il dipendente e la Comunità. Per contro, il rapporto tra la BCE ed i suoi dipendenti sarebbe un mero rapporto di natura contrattuale fondato sull'autonomia della volontà, che deriverebbe dai diritti della personalità e della libertà professionale e la cui tutela costituirebbe un principio generale di diritto comunitario. Non si baserebbe quindi su un nesso di subordinazione. Pertanto, la BCE non sarebbe autorizzata a prevedere nelle condizioni di impiego e ad applicare un regime disciplinare, che la porrebbe in grado di modificare unilateralmente le condizioni di esecuzione del contratto di lavoro in violazione del principio di autonomia della volontà. La BCE avrebbe potuto tutelarsi contro le violazioni agli obblighi contrattuali commesse dai suoi dipendenti, senza introdurre un tale regime, riservandosi contrattualmente un diritto di licenziamento eccezionale.

54.
    Il fatto di prevedere, nell'ambito dell'esecuzione dei contratti di lavoro, un regime disciplinare sarebbe altresì contrario al diritto tedesco.

55.
    Esso violerebbe, infine, principi giuridici europei, in particolare il principio di buona fede.

56.
    La BCE evidenzia, anzitutto, che il rinvio fatto dal ricorrente all'allegato 21 del ricorso non è conforme alle norme di procedura e che la censura deve, pertanto, essere dichiarata irricevibile in base all'art. 44, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura del Tribunale.

57.
    Inoltre, per quanto riguarda il merito, essa ritiene che il suo consiglio direttivo fosse competente ad introdurre nel regime applicabile al personale un regime disciplinare.

- Giudizio del Tribunale

58.
    Per quanto riguarda, innanzitutto, l'irricevibilità sollevata dalla convenuta, si deve dichiarare che, nonostante l'esistenza di un rinvio all'allegato, l'esposizione delmotivo relativo all'incompetenza della BCE ad adottare un regime disciplinare, come risulta dallo stesso testo del ricorso, è sufficientemente chiaro e completo per consentire alla convenuta ed al Tribunale di comprenderne la portata. Il motivo è quindi ricevibile.

59.
    Per quanto riguarda il merito, si deve rilevare che il rapporto di lavoro tra la BCE ed i suoi dipendenti è definito dalle condizioni di impiego, adottate dal consiglio direttivo, su proposta del comitato esecutivo della BCE, in base all'art. 36.1 dello statuto SEBC. Le condizioni di impiego stabiliscono, all'art. 9, punto a), che «i rapporti di impiego tra la BCE ed i suoi dipendenti sono disciplinati dai contratti di lavoro stipulati in conformità con le presenti condizioni di impiego». L'art. 10, punto a), delle stesse condizioni dispone che «i contratti di lavoro tra la BCE ed i suoi dipendenti prendono la forma di lettere di assunzione che sono controfirmate dai dipendenti».

60.
    Tali disposizioni sono analoghe alle disposizioni del regolamento per il personale della BEI, dalle quali la Corte ha potuto desumere che «il regime adottato relativamente ai rapporti tra la Banca ed i suoi dipendenti è [...] di natura contrattuale e di conseguenza basato sul principio che i contratti individuali stipulati tra la Banca e ciascuno dei suoi dipendenti sono il risultato di un accordo di volontà» (sentenza Mills/BEI, già citata, punto 22).

61.
    Si deve perciò concludere che il rapporto di lavoro tra la BCE ed i suoi dipendenti è di natura contrattuale, e non statutaria.

62.
    Inoltre si deve rilevare che il contratto di cui trattasi è stato concluso con un organismo comunitario, incaricato di un compito d'interesse comunitario e autorizzato a prevedere, per mezzo di regolamento, le disposizioni applicabili al suo personale.

63.
    Considerati tali elementi e contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, il consiglio direttivo aveva il diritto, sul fondamento delle disposizioni dell'art. 36.1 dello statuto SEBC, di prevedere nelle condizioni di impiego un regime disciplinare che gli consentisse, in particolare, in caso di inadempimento da parte di uno dei suoi dipendenti agli obblighi del contratto di lavoro, di prendere i provvedimenti necessari tenuto conto delle responsabilità e degli obiettivi che gli sono assegnati.

64.
    Il ricorrente adduce, in sostanza, due argomenti per sostenere il contrario.

65.
    In primo luogo, la formulazione dell'art. 36.1 dello statuto SEBC autorizzerebbe, contrariamente all'art. 24 del trattato di fusione, unicamente l'adozione di condizioni di impiego che rispettino completamente l'autonomia della volontà. L'art. 36.1 citerebbe infatti il «regime applicabile al personale» («Beschäftigungsbedingungen», «Employment Conditions»), in opposizione allo«statuto dei funzionari delle Comunità europee» di cui all'art. 24 del trattato di fusione.

66.
    Tale argomento testuale non è tuttavia fondato. Infatti, l'art. 24 del trattato di fusione richiama, dopo la già citata locuzione, il «regime applicabile agli altri agenti di tali Comunità», formulazione che è equivalente al «regime applicabile al personale» previsto dall'art. 36.1 dello statuto SEBC. Orbene, il regime applicabile agli altri dipendenti delle Comunità europee (in prosieguo: il «RAD») prevede, giustamente, per le categorie più importanti di tali dipendenti, un regime disciplinare.

67.
    In secondo luogo, l'applicazione di sanzioni disciplinari porrebbe la BCE in grado di modificare unilateralmente le condizioni di esecuzione del contratto di impiego, ciò che sarebbe contrario ai principi che regolano il diritto del lavoro tedesco ed ai principi giuridici europei, in particolare il principio di buona fede.

68.
    A tale riguardo si deve ricordare, innanzitutto, che il rapporto di lavoro tra le istituzioni o gli organismi comunitari, ivi compresa la BCE, ed i loro dipendenti non di ruolo se è, indubbiamente, di natura contrattuale, si iscrive nel contesto dell'esecuzione da parte di questi ultimi del loro servizio di interesse pubblico e comporta, pertanto, forti similitudini con il rapporto statutario tra il dipendente di ruolo e la sua istituzione di modo che esso può, a tale titolo, comportare un regime disciplinare. Così l'agente temporaneo soggetto al RAD beneficia di diritti e deve rispettare gli obblighi previsti dagli artt. 11-26 dello statuto del personale (art. 11 del RAD) ed è passibile di sanzioni disciplinari alle condizioni previste dal titolo VI di tale statuto (art. 50 bis del RAD). Parimenti, il regime del personale della BEI, che è assai simile alle condizioni di impiego della BCE, prevede un regime disciplinare (v., come esempi d'applicazione di tale regime, sentenze del Tribunale Hautem/BEI, citata sopra, e 28 settembre 1999, causa T-141/97, Yasse/BEI, Racc. PI pagg I-A-177 e II-929).

69.
    Quindi il regime disciplinare di cui trattasi costituisce parte integrante delle condizioni che erano note al ricorrente e che lo stesso aveva accettato nel momento in cui ha liberamente sottoscritto il suo contratto di lavoro con la BCE, dato che quest'ultimo rinviava alle condizioni di impiego.

70.
    Infine, per quanto riguarda la censura del ricorrente secondo la quale il regime disciplinare di cui trattasi consentiva alla BCE di modificare unilateralmente le condizioni di esecuzione del contratto dei suoi dipendenti, la cui situazione si scosterebbe così da quella di un lavoratore subordinato soggetto al diritto privato del lavoro, si deve osservare che, comunque, essa sarebbe rilevante solo per quanto riguarda determinate sanzioni disciplinari previste dalle condizioni di impiego, che sono sconosciute ai contratti di lavoro di diritto privato, ossia, in particolare, il cambiamento obbligato di posto di lavoro e la riduzione temporanea o permanente della retribuzione. Simili sanzioni non sono tuttavia state applicate nel caso in esame, dato che il ricorrente è stato licenziato per colpa grave. Tale facoltà deldatore di lavoro di risolvere unilateralmente il contratto di lavoro in caso di colpa grave del lavoratore subordinato è tuttavia prevista dal diritto privato del lavoro della maggior parte degli Stati membri, ivi compreso il diritto tedesco. Inoltre nella maggior parte di tali ordinamenti giuridici tale facoltà è circondata da minori garanzie a tutela del lavoratore subordinato che nell'ambito del rapporto di lavoro tra la BCE e i suoi dipendenti.

71.
    Ne consegue che il motivo non è fondato.

Sull'illegittimità degli obblighi di comportamento fatti valere dalla BCE

- Esposizione sommaria dell'argomentazione delle parti

72.
    Il ricorrente contesta alla BCE di essersi fondata, nella decisione di licenziamento, sull'inosservanza delle norme di comportamento cui sono tenuti i dipendenti, definite dall'art. 4, punto a), delle condizioni di impiego.

73.
    In primo luogo, tali norme non sarebbero state segnalate in quanto tali al ricorrente. Orbene, il datore di lavoro sarebbe tenuto, in forza dell'art. 2 della direttiva del Consiglio 14 ottobre 1991, 91/533/CEE, relativa all'obbligo del datore di lavoro di informare il lavoratore delle condizioni applicabili al contratto o al rapporto di lavoro (GU L 288, pag. 32), a comunicare al lavoratore subordinato tutti i punti importanti del contratto di lavoro. Se, ove necessario, si può richiedere al dipendente di ruolo che si informi sugli obblighi del suo status, il lavoratore subordinato e, per estensione, il dipendente della BCE sarebbero tenuti solo agli obblighi che risultano dal contratto di lavoro negoziato tra le parti.

74.
    In secondo luogo tali norme non sarebbero state oggetto di consultazione del comitato del personale.

75.
    La BCE contesta la fondatezza di tale eccezione di illegittimità. Le norme di comportamento di cui trattasi sarebbero state comunicate al ricorrente e sarebbero state oggetto di una consultazione del comitato del personale dell'IME, precursore della BCE.

- Giudizio del Tribunale

76.
    L'art. 4, punto a), delle condizioni di impiego dispone:

«(a)    I dipendenti della BCE devono svolgere il proprio servizio con coscienza e senza tener conto dei propri interessi personali. Essi devono accordare la loro condotta con le funzioni loro affidate e con lo statuto della BCE quale istituzione della Comunità».

77.
    Il ricorrente sostiene, in primo luogo, che tale obbligo, in violazione dell'art. 2 della direttiva 91/533, non è stato posto a sua conoscenza.

78.
    A tale proposito si deve osservare che la BCE afferma, senza che tale asserzione sia contestata seriamente e in modo circostanziato dal ricorrente, che a quest'ultimo è stata consegnata, al momento dell'assunzione, una copia delle condizioni di impiego. Risulta, comunque, dal contratto di lavoro del ricorrente che «le condizioni di impiego del personale della BCE, nella versione vigente pro tempore, costituiscono parte integrante del presente contratto». Il ricorrente ha firmato tale contratto il 9 luglio 1998 e prima della sua firma compare la menzione «Accetto con la presente l'offerta di lavoro di cui sopra nei termini ed alle condizioni qui sopra richiamate». Inoltre tale contratto dispone: «Contattate senza indugio la direzione del personale se necessitate di informazioni specifiche quanto ai termini ed alle condizioni del presente contratto». In base a tali elementi si deve riconoscere che il ricorrente conosceva, o, comunque, non poteva legittimamente ignorare che le condizioni di impiego, ivi compreso il loro art. 4, punto a), formavano parte integrante dei suoi obblighi contrattuali. Perciò la BCE poteva, giustamente, far valere le stesse nei confronti del ricorrente.

79.
    Per quanto riguarda la direttiva 91/533, le condizioni di impiego stabiliscono, all'art. 9, punto c), seconda frase, che «La BCE applica [...] le disposizioni contenute nei regolamenti e nelle direttive (CE) relative alla politica sociale indirizzate agli Stati membri» e all'art. 10, punto a), seconda frase, che «le lettere di assunzione contengono gli elementi del contratto precisati dalla direttiva del Consiglio 14 ottobre 1991, 91/533/CEE». La BCE si è quindi volontariamente impegnata a rispettare tale direttiva, ivi compreso il suo art. 2, la cui violazione è fatta valere dal ricorrente.

80.
    L'art. 2 di tale direttiva dispone:

«Obbligo d'informazione

1. Il datore di lavoro è tenuto a comunicare al lavoratore subordinato cui si applica la presente direttiva, in appresso denominato 'lavoratore', gli elementi essenziali del contratto o del rapporto di lavoro.

2. L'informazione di cui al paragrafo 1 riguarda almeno gli elementi seguenti:

a)    identità delle parti;

b)    il luogo di lavoro; in mancanza di un luogo di lavoro fisso o predominante, il principio che il lavoratore è occupato in luoghi diversi nonché la sede o, se del caso, il domicilio del datore di lavoro;

c)    i) titolo, grado, qualità o categoria dell'impiego attribuiti al lavoratore, oppure

    ii) caratteristiche o descrizione sommaria del lavoro;

d)    la data d'inizio del contratto o del rapporto di lavoro;

e)    se si tratta di un contratto o di un rapporto di lavoro temporaneo: durata prevedibile del contratto o del rapporto di lavoro;

f)    durata delle ferie retribuite cui ha diritto il lavoratore o, nell'impossibilità di fornire questa indicazione all'atto dell'informazione, le modalità di attribuzione e di determinazione delle ferie;

g)    durata dei termini di preavviso che devono essere osservati dal datore di lavoro e dal lavoratore in caso di cessazione del contratto o del rapporto di lavoro o, nell'impossibilità di fornire questa indicazione all'atto dell'informazione, le modalità di determinazione dei termini del preavviso;

h)    l'importo di base iniziale, altri elementi costitutivi, nonché periodicità del versamento di retribuzione a cui ha diritto il lavoratore;

i)    durata normale giornaliera o settimanale del lavoro;

j)    eventualmente:

    i) menzione dei contratti collettivi e/o intese collettive che disciplinano le condizioni di lavoro del lavoratore, oppure

    ii) se si tratta di contratti collettivi stipulati al di fuori dell'impresa da organi o istituzioni paritarie particolari, menzione dell'organo competente o dell'istituzione paritetica competente in seno al quale/alla quale questi sono stati conclusi.

3. L'informazione sugli elementi di cui al paragrafo 2, lettere f), g), h) e i) può, se del caso, risultare da un riferimento alle disposizioni legislative, regolamentari, amministrative, statutarie o ai contratti collettivi che disciplinano le materie ivi considerate».

81.
    Nel caso in esame, il ricorrente ha firmato, il 9 luglio 1998, un contratto di lavoro che dichiara, conformemente alle prescrizioni dell'art. 2, n. 2, della direttiva 91/533, l'identità delle parti, il luogo di lavoro, la categoria dell'impiego, la data di inizio del contratto, la durata prevedibile dello stesso e l'importo di base iniziale della retribuzione. Le informazioni relative alla durata delle ferie retribuite, la durata dei termini di preavviso che devono essere osservati in caso di cessazione del contratto, la periodicità del versamento della retribuzione, la durata normale giornaliera o settimanale del lavoro, che in linea di principio devono, essere altresì comunicate al lavoratore, possono, conformemente all'art. 2, n. 3, della direttiva 91/533,risultare dal « riferimento alle disposizioni legislative, regolamentari, amministrative, statutarie o ai contratti collettivi» che disciplinano tali materie. Orbene, il contratto di cui trattasi comporta un rinvio alle condizioni di impiego della BCE che specificano tali elementi. Il contratto di lavoro del ricorrente contiene perciò tutti gli «elementi essenziali del contratto» ai sensi dell'art. 2 della direttiva 91/533.

82.
    Inoltre, né l'art. 2 della direttiva 91/533, né alcun'altra disposizione della stessa obbliga il datore di lavoro a comunicare specificamente al lavoratore l'obbligo di comportamento di cui trattasi.

83.
    Ad ogni buon conto, tale obbligo di comportamento rappresenta un'applicazione elementare del principio comune agli ordinamenti della stragrande maggioranza degli Stati membri secondo il quale i contratti, e in particolare i contratti di lavoro, devono essere eseguiti in buona fede. A motivo della sua portata fondamentale, la sua esistenza è talmente evidente da imporsi palesemente, anche in assenza di una qualsiasi convenzione espressa.

84.
    Il ricorrente fa valere, in secondo luogo, che tale obbligo di comportamento non avrebbe fatto oggetto di consultazione del comitato del personale. In aggiunta a quanto si è appena rilevato riguardo al carattere fondamentale dell'obbligo di cui trattasi, si deve osservare che quest'ultimo trova la sua fonte nelle condizioni di impiego, fissate sulla base dell'art. 36.1 dello statuto SEBC, il quale dispone che: «Il Consiglio direttivo, su proposta del Comitato esecutivo, stabilisce le condizioni di impiego dei dipendenti della BCE». Tale obbligo perciò è stato elaborato nel contesto di un procedimento che non prevede la consultazione del comitato del personale. Quest'ultimo è stato istituito solo dalle condizioni di impiego, il cui art. 46 prevede che esso sia consultato su qualsiasi modifica delle stesse. Orbene, la disposizione in questione non discende da una modifica delle condizioni di impiego, ma dalla loro versione iniziale. Non c'era perciò, nel caso in esame, l'obbligo di consultare il comitato del personale. L'argomento, di conseguenza, dev'essere respinto.

Sulla mancata definizione dei fatti che possono costituire oggetto di sanzioni disciplinari.

- Esposizione sommaria dell'argomentazione delle parti.

85.
    Il ricorrente afferma che le condizioni di impiego omettono di descrivere i fatti passibili di sanzioni disciplinari. Così, l'ottava parte delle condizioni di impiego, in particolare l'art. 43, si limiterebbe a descrivere le conseguenze normative delle infrazioni disciplinari senza definire tali infrazioni.

86.
    La BCE ritiene che il ricorrente non tenga conto della differenza tra l'infrazione del diritto e la sanzione inflitta a causa dell'infrazione del diritto.

- Giudizio del Tribunale

87.
    A tale proposito si deve rilevare che l'art. 43 delle condizioni di impiego dispone che si possono prendere provvedimenti disciplinari nei confronti dei dipendenti che non adempiano ai loro obblighi nei confronti della BCE. Orbene, tali obblighi («duties») sono definiti in diversi articoli delle condizioni di impiego, ed in particolare agli artt. 4 e 5. L'argomento, perciò, dev'essere respinto.

88.
    Risulta da quanto precede che le eccezioni di illegittimità sollevate contro le condizioni di impiego sono infondate.

2. Sull'eccezione di illegittimità sollevata contro le norme sul personale

Esposizione sommaria dell'argomentazione delle parti

89.
    Il ricorrente osserva che l'attuazione del procedimento disciplinare di cui all'art. 43 delle condizioni di impiego presuppone necessariamente il ricorso alla ottava parte delle norme sul personale, cosicché l'illegittimità di quest'ultimo determina l'irregolarità di detto procedimento. Orbene, le norme sul personale sarebbero a doppio titolo illegittime.

90.
    In primo luogo esse sarebbero prive di base legale. Infatti, esse riguarderebbero il regime applicabile al personale della BCE. Esse quindi avrebbero dovuto essere adottate, sulla base dell'art. 36.1 dello statuto SEBC, dal consiglio direttivo su proposta del comitato esecutivo e non dal comitato esecutivo che non ne aveva la competenza.

91.
    In secondo luogo, esse non sarebbero ancora entrate in vigore, poiché il procedimento di consultazione del comitato del personale, previsto dall'art. 46 delle condizioni di impiego, non sarebbe concluso.

92.
    La BCE sostiene, a titolo principale, che l'eccezione di illegittimità diretta contro le norme sul personale è manifestamente irricevibile, poiché il ricorrente denuncia in modo astratto ed in blocco l'illegittimità delle stesse senza indicare espressamente le disposizioni specificamente contestate (sentenza del Tribunale 26 ottobre 1993, cause riunite T-6/92 e T-52/92, Reinarz/Commissione, Racc. pag. II-1047, punto 57).

93.
    In subordine, essa contesta la fondatezza dei due argomenti addotti dal ricorrente.

94.
    Da una parte, le norme sul personale avrebbero una base legale sufficiente nell'art. 21.3 del regolamento interno dello BCE.

95.
    D'altra parte, le norme sul personale sarebbero state oggetto di una consultazione del comitato del personale dell'IME, anteriormente alla loro entrata in vigore il 1° luglio 1998.

Giudizio del Tribunale

96.
    A sostegno della sua contestazione relativa alla ricevibilità dell'eccezione di illegittimità sollevata dal ricorrente, la BCE fa valere la citata sentenza Reinarz/Commissione. Vi è stato dichiarato che, perché un'eccezione di illegittimità sia ricevibile, bisogna che l'atto generale di cui si eccepisce l'illegittimità sia applicabile, direttamente o indirettamente, alla fattispecie che costituisce oggetto del ricorso e che esista un nesso giuridico diretto tra la decisione individuale impugnata e l'atto generale di cui è eccepita l'illegittimità (sentenza Reinarz/Commissione, citata sopra, punto 57 e giurisprudenza citata).

97.
    Nel caso in esame il ricorrente precisa giustamente che l'attuazione del procedimento disciplinare previsto dall'art. 43 delle condizioni di impiego presuppone necessariamente il ricorso alla ottava parte delle norme sul personale. Pertanto, l'illegittimità dello norme sul personale determinerebbe l'irregolarità del procedimento disciplinare. Esiste perciò un nesso giuridico diretto tra le decisioni impugnate e l'atto generale contestato. L'eccezione di illegittimità è perciò ricevibile, quanto meno per quanto riguarda le disposizioni di cui alla ottava parte delle norme sul personale.

98.
    Nel merito dell'eccezione di illegittimità per quanto riguarda, in primo luogo, la base giuridica delle norme sul personale, il ricorrente fa valere che quest'ultimo è stato adottato dal comitato esecutivo della BCE, mentre, conformemente all'art. 36.1 dello statuto SEBC, spetta al consiglio direttivo stabilire, su proposta del comitato esecutivo, il regime applicabile al personale della BCE.

99.
    Si deve osservare che le norme sul personale, che hanno lo scopo di definire i presupposti di esecuzione delle condizioni di impiego, sono state adottate dal comitato esecutivo sul fondamento dell'art. 21.3 del regolamento interno della BCE, il quale stabilisce che «le condizioni di impiego vengono attuate dalle norme sul personale, le quali sono adottate e modificate dal comitato esecutivo». Il regolamento interno si fonda, a sua volta, sull'art. 12.3 dello statuto SEBC, il quale prevede che «il consiglio direttivo adotta il regolamento interno che determina l'organizzazione interna della BCE e dei suoi organi decisionali».

100.
    Nell'art. 21.3 del regolamento interno della BCE, perciò, il consiglio direttivo ha delegato al comitato esecutivo il potere di stabilire i presupposti di esecuzione delle condizioni di impiego.

101.
    L'argomento del ricorrente solleva la questione se tale delega di competenza fosse lecita alla luce della circostanza che lo statuto SEBC, il quale ha, nella gerarchiadelle fonti, un valore superiore al regolamento interno, dispone che spetta al consiglio direttivo stabilire «il regime applicabile al personale della BCE».

102.
    Risulta dalla giurisprudenza che in diritto comunitario le deleghe di poteri di esecuzione sono legittime a condizione che un testo giuridico non le proibisca formalmente (sentenza della Corte 13 giugno 1958, causa 9/56, Meroni/Alta autorità, Racc. pag. 9, in particolare pag. 40).

103.
    Orbene, nel caso in esame, da una parte, nessun testo giuridico proibisce formalmente la delega di cui trattasi.

104.
    D'altra parte la delega ha ad oggetto solo l'esecuzione di una normativa elaborata dall'autorità competente ed essa è stata decisa sulla base di un testo di diritto primario, nella fattispecie l'art. 12.3 dello statuto SEBC. Quest'ultimo conferisce, infatti, la competenza al consiglio direttivo per l'adozione di un regolamento interno che stabilisca l'organizzazione interna della BCE, il che implica il potere di delegare a tale scopo la definizione del regime applicabile al personale.

105.
    La delega in esame si deve avvicinare a quella che riguarda l'art. 24 del trattato di fusione, che rappresenta un testo giuridico di diritto primario, secondo il quale il Consiglio stabilisce lo statuto del personale e il RAD. Tale articolo non dispone formalmente che il Consiglio possa delegare tale competenza. Tuttavia lo statuto del personale, adottato dal Consiglio su tale base, dispone, al suo art. 110, che le «disposizioni generali di esecuzione del presente statuto sono adottate da ciascuna istituzione». La legittimità di tale delega, non formalmente prevista da un testo giuridico di diritto primario, è stata implicitamente riconosciuta dalla giurisprudenza comunitaria (v., ad esempio, sentenza del Tribunale 14 dicembre 1990, causa T-75/89, Brems/Consiglio, Racc. pag. II-899, punto 29).

106.
    L'argomento del ricorrente, relativo all'adozione delle norme sul personale da parte del comitato esecutivo della BCE, perciò, dev'essere respinto.

107.
    Per quanto riguarda, in secondo luogo, l'argomento secondo il quale le norme sul personale non sarebbero ancora entrate in vigore perché non sarebbe stata conclusa la consultazione del comitato del personale, si deve evidenziare che risulta dagli artt. 46 delle condizioni di impiego e 21.4 del regolamento interno della BCE che tale consultazione è richiesta solo in caso di modifiche delle dette norme o in caso di elaborazione di nuove norme sul personale.

108.
    L'argomento, perciò, dev'essere respinto.

109.
    Ne consegue che l'eccezione di illegittimità sollevata contro le norme sul personale è infondata.

3. Sull'eccezione d'illegittimità sollevata contro la circolare n. 11/98.

Esposizione sommaria dell'argomentazione delle parti

110.
    Il ricorrente ritiene che la circolare 11/98 sia priva di efficacia.

111.
    Nella replica egli osserva a tale proposito, in primo luogo, che i suoi rapporti con la BCE non sono di natura statutaria, ma contrattuale, che, perciò, la BCE non può modificare unilateralmente le condizioni di esecuzione del contratto di lavoro e che non è dimostrato che la circolare n. 11/98 sia stata oggetto di un accordo di volontà tra le parti. Egli ne desume che la circolare n.11/98 non può essere fatta valere contro di lui, anche se la stessa, nella fattispecie, gli è stata comunicata prima dei fatti contestati.

112.
    In secondo luogo, la circolare n. 11/98 non sarebbe legittimamente in vigore dato che il comitato del personale non sarebbe stato consultato riguardo alla stessa.

113.
    La BCE fa valere, in via principale, che l'eccezione di illegittimità è irricevibile, poiché il ricorrente nel suo ricorso si è limitato a fare riferimento alle sue osservazioni nel corso del procedimento disciplinare e, in subordine, che essa è infondata.

Giudizio del Tribunale

114.
    In forza dell'art. 4, n. 1, del regolamento di procedura, il ricorso deve contenere l'esposizione sommaria dei motivi dedotti. Tale presentazione dev'essere sufficientemente chiara e precisa da consentire alla parte convenuta di predisporre la sua difesa ed al Tribunale di statuire sul ricorso, eventualmente senza corredo di altre informazioni (per esempio, sentenza del Tribunale 5 luglio 2000, causa T-111/99, Samper/Parlamento, Racc. PI pagg. I-A-135 e II-611, punto 27).

115.
    Si deve ricordare che, se il contenuto del ricorso può essere chiarito e completato, su punti specifici, mediante il rinvio ad estratti della documentazione allegata, un rinvio complessivo ad altri documenti, anche allegati al ricorso, non può supplire alla mancanza degli elementi essenziali dell'argomentazione in diritto che, ai sensi delle norme sopra ricordate, devono figurare nel ricorso (ordinanza del Tribunale 21 maggio 1999, causa T-154/98, Asia Motor France e a./Commissione, Racc. pag. II-1703, punto 49). Infine, l'enunciazione del motivo nella replica non può sanare la difformità del ricorso rispetto a tale disposizione. Infatti, se è certamente ammesso che un ricorrente sviluppi i propri motivi nella replica, detto diritto è nondimeno condizionato dal fatto che i motivi di cui trattasi siano quanto meno indicati nell'atto introduttivo (sentenza del Tribunale 15 settembre 1998, causa T-23/96, De Persio/Commissione, Racc. PI, pagg. I-A-483 e II-1413, punto 49).

116.
    Nel caso in esame, il ricorrente si è limitato a dichiarare nel ricorso:

«La circolare 11/1998 è priva di efficacia. Per evitare ripetizioni, rinviamo in proposito alle nostre osservazioni del 21 ottobre 1999 nonché alle nostre osservazioni orali al momento dell'audizione del 3 novembre 1999».

117.
    Si deve rilevare che gli elementi di fatto e di diritto sui quali si fonda il motivo in questione non sono stati presentati, ancorché sommariamente, nel ricorso. Perciò, il semplice rinvio da parte del ricorrente alle sue osservazioni del 21 ottobre 1999 e le dichiarazioni contenute nella sua replica non possono supplire a tale mancanza. Il motivo in discussione, perciò, dev'essere dichiarato irricevibile.

118.
    Il motivo di cui trattasi è, comunque, privo di rilevanza. Si deve ricordare, a tale proposito, che un'eccezione di illegittimità presuppone, per essere ricevibile, che l'atto generale di cui viene eccepita l'illegittimità sia applicabile, direttamente o indirettamente, alla fattispecie che costituisce oggetto del ricorso e che esista un nesso giuridico diretto tra la decisione individuale impugnata e l'atto generale di cui si eccepisce l'illegittimità (sentenza Reinarz/Commissione, citata sopra, punto 57 e la giurisprudenza citata).

119.
    Nel caso in esame, il ricorrente è stato sottoposto ad un procedimento disciplinare poiché gli era contestato, da una parte, di aver molestato un suo collega e avvelenato il clima lavorativo e, d'altra parte, di aver abusato della possibilità di collegarsi a Internet dalla sua postazione di lavoro. Tale abuso rivestirebbe due diverse forme, in primo luogo, la consultazione di siti e la trasmissione di posta elettronica a carattere pornografico o politicamente estremista e, in secondo luogo, l'utilizzo abusivo di Internet per fini privati.

120.
    La circolare n. 11/98 è stata fatta valere solo nel contesto di quest'ultimo tipo di abuso, tramite la disposizione molto generale del suo art. 3.1, secondo il quale «i servizi Internet sono predisposti dalla BCE per finalità di servizio». Nella decisione di licenziamento si precisa, a tale riguardo, che «così facendo, la circolare applica un principio generale di diritto del lavoro secondo il quale gli strumenti di lavoro del datore di lavoro, forniti ai dipendenti sul posto di lavoro, devono essere usati per finalità lavorative». La BCE applica tale principio al ricorrente e rileva quindi, nella stessa decisione, che «la durata, il numero e la frequenza dei collegamenti registrati sia sul conto Internet del sig. X che sulla sua posta elettronica - due terzi dei quali non erano collegati all'espletamento delle funzioni dell'interessato - denotano un palese sviamento di uno strumento di lavoro e perciò costituiscono una violazione del citato principio e degli obblighi del sig. X a prestare servizio coscienziosamente nei confronti della BCE». Tuttavia, quest'ultimo obbligo non risulta dalla circolare n. 11/98, ma dall'art. 4, punto a), delle condizioni di impiego, il quale dispone che «i dipendenti della BCE devono svolgere il proprio servizio con coscienza e senza tener conto dei propri interessi personali».

121.
    Inoltre, la norma formulata all'art. 3.1 della circolare n. 11/98 costituisce solo, come giustamente osserva la BCE, l'espressione del principio secondo il quale il materialedi lavoro affidato dal datore di lavoro al lavoratore subordinato dev'essere usato, in via generale e salvo eccezioni specifiche, per l'esecuzione dei compiti professionali del lavoratore. Orbene, tale principio è solo, a sua volta, un'applicazione di quello, espresso dall'art. 4, punto a), delle condizioni di impiego, secondo il quale i dipendenti sono tenuti ad eseguire i loro compiti in modo coscienzioso e disinteressato, il che per l'appunto è un'espressione del principio secondo cui il contratto di lavoro dev'essere eseguito in buona fede.

122.
    L'art. 3.1 della circolare n. 11/98, perciò, ha il solo scopo di esprimere un principio elementare e fondamentale, sotteso ad ogni contratto di lavoro, il quale si applica di tutta evidenza, anche in mancanza di qualunque convenzione espressa. Inoltre, esso costituisce una mera applicazione dell'art. 4, punto a), delle condizioni di impiego. A prescindere dalla questione della legittimità della circolare n. 11/98, perciò, la norma che essa esprime si impone, comunque, sulla base sia del citato principio sia di tale disposizione delle condizioni di impiego.

123.
    Ne consegue che l'obbligo del dipendente della BCE di usare, in linea di principio, gli strumenti di lavoro messigli a disposizione dal datore di lavoro solo per finalità professionali esiste a prescindere dalla legittimità dell'art. 3.1 della circolare n. 11/98. L'eccezione di legittimità, perciò, non è rilevante. Essa è, pertanto, irricevibile.

B - Sulla legittimità delle decisioni impugnate

Esposizione sommaria dell'argomentazione delle parti

1. Sul motivo relativo alla mancanza di procedimento precontenzioso

124.
    Il ricorrente dichiara, nella replica, che la decisione 9 novembre 1999 è illegittima. A tale proposito egli fa osservare che il suo avvocato, con lettera 10 novembre 1999, ha richiesto un controllo amministrativo precontenzioso di tale decisione in base all'art. 41 delle condizioni di impiego e che la risposta della BCE, con lettera 17 novembre 1999, secondo la quale detta decisione non poteva essere oggetto di tale procedimento, è errata in diritto e contraria all'art. 41 delle condizioni di impiego. Infatti, quest'ultimo escluderebbe un tale controllo solo per le decisioni del consiglio direttivo. Tuttavia, nel caso in esame, la decisione di cui trattasi sarebbe stata emessa dal comitato esecutivo.

125.
    Egli fa notare che il controllo amministrativo precontenzioso previsto dall'art. 41 delle condizioni di impiego ha lo scopo di consentire al dipendente autore del reclamo di costringere la BCE a riesaminare i suoi argomenti, prima dell'adozione di una decisione definitiva. Prima che tale procedimento sia attuato, gli effetti della decisione iniziale sarebbero sospesi. Tuttavia, qualora il controllo amministrativo precontenzioso sia stato rifiutato in violazione dell'art. 41 delle condizioni di impiego, la decisione, oggetto del reclamo, sarebbe definitivamente priva di effetti giuridici.

126.
    Il ricorrente riprende tale argomentazione nella stessa memoria a proposito della decisione di licenziamento. A tale riguardo egli rileva, come fatto nuovo, che il suo avvocato, con lettera 22 novembre 1999, ha chiesto alla BCE di svolgere un controllo amministrativo precontenzioso di tale decisione e che, con lettera 9 dicembre 1999, quindi successiva al deposito del ricorso, l'amministrazione della BCE l'ha informato che tale decisione non poteva costituire oggetto di un tale procedimento, per gli stessi motivi fatti valere a proposito della decisione 9 novembre 1999.

127.
    La BCE fa valere, in via principale, che tale motivo è irricevibile perché tardivo e, in subordine, che esso è infondato, poiché le decisioni impugnate, essendo state adottate dal comitato esecutivo della BCE, non potevano costituire oggetto di un controllo amministrativo precontenzioso.

Giudizio del Tribunale

128.
    L'art. 41 delle condizioni di impiego recita:

«I membri del personale possono, ricorrendo al procedimento fissato nelle norme sul personale, sottoporre all'amministrazione, ai fini di un esame precontenzioso ['administrative review'], lagnanze e reclami che quest'ultima esaminerà sotto il profilo della coerenza degli atti adottati in ciascun caso singolo rispetto alla politica del personale ed alle condizioni di impiego della BCE. I membri del personale che non hanno ottenuto soddisfazione in seguito al procedimento di esame precontenzioso possono ricorrere al procedimento di reclamo ['grievance procedure'] stabilito nelle norme sul personale.

I procedimenti summenzionati non possono venire utilizzati per impugnare:

i)    una decisione del Consiglio direttivo o qualsiasi direttiva interna della BCE, inclusa qualunque direttiva fissata nelle condizioni generali di impiego o nelle norme sul personale,

ii)    qualsiasi decisione in virtù della quale sono in essere procedimenti specifici di ricorso, o

iii)    qualsiasi decisione di non confermare la nomina di un membro del personale avente lo status di dipendente in prova».

129.
    Le norme sul personale descrivono, all'art. 8.1, da una parte il procedimento di controllo amministrativo precontenzioso e, dall'altra, il procedimento di reclamo. Tali due procedimenti sono complementari.

130.
    Nel primo procedimento, se la questione rientra, essenzialmente, nella materia di competenza della divisione alla quale il dipendente è assegnato, egli deve sottoporla al suo capo di divisione. Se essa rientra nella responsabilità della direzione del personale, egli deve sottoporla al direttore del personale. Se la questione non è risolta in modo soddisfacente nel termine di un mese, o se il dipendente non desidera sottoporla alle suddette autorità, egli può investirne, nel primo caso, il direttore o il direttore generale e, nel secondo caso, il direttore generale dell'amministrazione e del personale. Questi ultimi adottano, nel termine di un mese a partire dalla comunicazione di cui trattasi, una decisione motivata che è notificata al dipendente.

131.
    Il dipendente che non sia soddisfatto della decisione così emanata o che non abbia ricevuto risposta nel termine di un mese può avvalersi del procedimento di reclamo (artt. 8.1.4 e 8.1.5 delle norme sul personale). A tale scopo, il dipendente indirizza al presidente della BCE un memorandum nel quale egli precisa i motivi che lo inducono a impugnare la decisione ed il rimedio dallo stesso sollecitato. Il presidente risponde per iscritto nel termine di un mese (art. 8.1.5 delle norme sul personale). L'avvio del procedimento di reclamo non sospende la decisione impugnata (art. 8.1.6 delle norme sul personale).

132.
    Nel caso in esame, il ricorrente ha fatto una domanda di controllo amministrativo precontenzioso della decisione 9 novembre 1999, quindi della decisione 18 novembre 1999 di licenziarlo.

133.
    La BCE gli ha risposto, per quanto riguarda la prima domanda, il 17 novembre 1999 e, per quanto riguarda la seconda domanda, il 9 dicembre 1999 (quindi successivamente alla presentazione del ricorso, formato il 25 novembre 1999).

134.
    Per quanto riguarda la ricevibilità del motivo, si deve ricordare che l'art. 48, n. 2, secondo comma, del regolamento di procedura vieta la deduzione di motivi nuovi in corso di causa, a meno che essi si basino su elementi di diritto e di fatto emersi durante il procedimento

135.
    Nel caso in esame, il rifiuto di accogliere la domanda di controllo amministrativo precontenzioso della decisione 9 novembre 1999 è stato comunicato al ricorrente prima del deposito del ricorso. Invece, lo stesso rifiuto relativo alla decisione di licenziamento è stato comunicato solo successivamente.

136.
    Ne consegue che l'impugnazione del primo rifiuto, formulata per la prima volta in fase di replica, è irricevibile poiché si riferisce ad un elemento noto prima del deposito del ricorso. Per contro, quella del secondo rifiuto è ricevibile, poiché essa si riferisce ad un elemento emerso durante il procedimento.

137.
    Per quanto riguarda il merito di tale impugnazione, risulta dalle condizioni di impiego che il licenziamento dev'essere deciso dal comitato esecutivo della BCE (artt. 11, punto a), e 43, punto ii)). Orbene, nelle norme sul personale, l'autoritàcompetente per l'avvio del controllo amministrativo precontenzioso è o il capo di divisione, il direttore o il direttore generale della divisione del dipendente, se la questione rientra principalmente nella competenza di tale divisione, oppure il direttore del personale o il direttore generale dell'amministrazione e del personale, se la questione rientra principalmente nella competenza della direzione del personale. Pertanto, la possibilità di un controllo amministrativo precontenzioso di una questione che rientra, come nel caso in esame, nella competenza del comitato esecutivo della BCE non è prevista dalle norme sul personale.

138.
    Inoltre il procedimento di reclamo, che rappresenta il seguito necessario del procedimento di controllo amministrativo precontenzioso non poteva, nel caso in esame, essere attuato in base alle disposizioni delle norme sul personale. L'autorità designata nelle norme sul personale nell'ambito del procedimento di reclamo è, infatti, il presidente della BCE, o, in caso di sua assenza, il vicepresidente o, se sono entrambi assenti, un altro membro del comitato esecutivo. Orbene, anche se è ammissibile che il membro di un'istituzione che ha adottato, in quanto autorità investita del potere di nomina (in prosieguo: l'«AIPN»), una decisione che arreca pregiudizio al dipendente non debba astenersi dal partecipare alla deliberazione del collegio dei membri di tale istituzione sul reclamo presentato dal dipendente contro la decisione controversa (sentenza della Corte 21 ottobre 1980, causa 101/79, Vecchioli/Commissione, Racc. pag. 3069, punto 31), è inammissibile che il membro di un'istituzione o di un organismo come la BCE abbia da solo il diritto di pronunciarsi su un reclamo diretto contro una decisione adottata dal collegio dei membri di tale istituzione o di tale organismo, e perciò di valutare da solo le censure presentate contro una decisione collegiale alla quale egli ha partecipato.

139.
    Ne consegue che il procedimento di controllo amministrativo precontenzioso ed il procedimento di reclamo non potevano, nel caso in esame, applicarsi sulla base delle disposizioni delle norme sul personale.

140.
    A tale riguardo, il ricorrente sostiene, in sostanza, che nelle norme sul personale si è applicato erroneamente l'art. 41 delle condizioni di impiego, che non avrebbe escluso la possibilità di prevedere un procedimento precontenzioso contro decisioni del tipo della decisione impugnata. Egli, a tal fine, trae argomento dalla formulazione dell'art. 41 delle condizioni di impiego, il quale dispone che il procedimento precontenzioso non può essere attuato per le tre categorie di decisioni elencate, ossia le decisioni del consiglio direttivo della BCE, o ogni direttiva interna alla BCE, ivi compresa qualsiasi direttiva stabilita nelle condizioni generali di impiego o nelle norme sul personale, qualsiasi decisione per la quale esistono procedimenti di ricorso specifici o tutte le decisioni di non confermare la nomina di un membro del personale avente lo status di funzionario in prova. La categoria alla quale appartiene la decisione in questione, ossia quella delle decisioni disciplinari che rientrano, conformemente all'art. 43, punto ii), delle condizioni di impiego, nella competenza del comitato esecutivo della BCE, non figura quindi tra tali eccezioni.

141.
    Egli, perciò, si pone la questione se l'elencazione, da parte dell'art. 41 delle condizioni di impiego, dei casi d'esclusione del procedimento precontenzioso sia tassativa.

142.
    Si deve al riguardo rilevare, da una parte, che le condizioni di impiego demandano al comitato esecutivo la competenza di decidere i provvedimenti disciplinari previsti dall'art. 43, punto ii), ivi compreso il licenziamento. D'altra parte, l'unico organo decisionale che, all'interno della BCE, sia, dal punto di vista gerarchico, superiore al comitato esecutivo è il consiglio direttivo. Orbene, quest'ultimo non è competente a conoscere le decisioni disciplinari del comitato esecutivo. Risulta, infatti, dall'art. 11.6 dello statuto SEBC che soltanto il comitato esecutivo è responsabile della gestione degli affari correnti della BCE.

143.
    Nella logica dello statuto SEBC e delle condizioni di impiego, perciò, non esiste alcuna autorità competente a conoscere del procedimento precontenzioso in due fasi previsto dall'art. 41 delle condizioni di impiego contro le decisioni del comitato esecutivo.

144.
    Tali decisioni, perciò, non rientrano nel procedimento definito da tale articolo, ancorché quest'ultimo non contenga alcuna indicazione a tale proposito.

145.
    Tale mancanza di procedimento precontenzioso è compensata dal fatto che le decisioni in questione, in forza dell'art. 43 delle condizioni di impiego, sono adottate a seguito di un procedimento contraddittorio, poiché i dipendenti interessati devono aver avuto la possibilità di prendere posizione sulle censure che sono loro contestate.

146.
    Il motivo, perciò, dev'essere respinto.

2. Sul motivo relativo alla violazione del principio del ne bis in idem

Esposizione sommaria dell'argomentazione delle parti

147.
    Il ricorrente ritiene che il fatto che il comitato esecutivo della BCE, da una parte, abbia deciso il 9 novembre 1999, in base al risultato del procedimento disciplinare, di mantenere la sua sospensione, decisa il 18 ottobre 1999, e di trattenere, a partire dal 10 novembre 1999, la metà della sua retribuzione di base, conformemente all'art. 44 delle condizioni di impiego, e, d'altra parte, che lo stesso comitato esecutivo abbia deciso il 18 novembre 1999, per gli stessi motivi, il suo licenziamento si risolva nel sanzionarlo due volte per gli stessi fatti e violi, pertanto, il principio del ne bis in idem.

148.
    La BCE riconosce che il principio del ne bis in idem vieta di infliggere più sanzioni disciplinari per un'unica e identica infrazione (sentenza della Corte 5 maggio 1966, cause riunite 18/65 e 35/65, Gutmann/Commissione, Racc. pag. 141). Nel caso in esame, tale principio non sarebbe tuttavia violato. Si dovrebbe distinguere lasospensione, che costituirebbe solo un provvedimento provvisorio, dal licenziamento, che, esso, sarebbe la sola sanzione inflitta nel caso in esame.

Giudizio del Tribunale

149.
    Si deve osservare che, contrariamente allo statuto del personale, il quale dispone all'art. 86, n. 3, che una «stessa mancanza non può dar luogo che a una sola sanzione disciplinare», le condizioni di impiego e le norme sul personale non contengono alcuna disposizione che imponga il rispetto di tale principio. Esso rappresenta, tuttavia, un principio generale di diritto comunitario che si impone indipendentemente da ogni testo giuridico (v., in tal senso, sentenza Gutmann/Commissione, citata sopra, in particolare pag. 163).

150.
    Nel caso in esame, il 1° ottobre 1999 il ricorrente è stato successivamente destinatario, da parte del comitato esecutivo della BCE, di un provvedimento di sospensione senza riduzione della retribuzione, in base all'art. 44 delle condizioni di impiego, quindi, il 9 novembre 1999, su questa stessa base, di una conferma di tale sospensione accompagnata, con effetto dal 10 novembre 1999, da una riduzione della retribuzione della metà e, il 18 novembre 1999, di un licenziamento, in base agli artt. 11, punti a) e b), e 43 delle condizioni di impiego.

151.
    Nella decisione 9 novembre 1999, il comitato esecutivo della BCE formula un provvedimento di sospensione, che presenta un carattere provvisorio poiché, in particolare, l'art. 44, terzo comma, delle condizioni di impiego, il quale si ispira all'art. 88, quarto comma, dello statuto del personale, dispone: «Se, entro quattro mesi decorrenti dalla sospensione, la situazione dell'agente sospeso non è stata definitivamente regolata o se quest'ultimo ha avuto soltanto un biasimo, l'interessato ha diritto al rimborso degli importi trattenuti a titolo della sospensione». Essa, perciò, non viene presa in considerazione al fine dell'applicazione del principio di cui trattasi.

152.
    E' solo nella decisione 18 novembre 1999 che il comitato esecutivo della BCE ha posto termine al procedimento disciplinare aperto contro il ricorrente e ha pronunciato nei confronti di quest'ultimo una sanzione prevista dall'art. 43 delle condizioni di impiego.

153.
    Il motivo, perciò, dev'essere respinto.

3. Sul motivo relativo alla violazione dei diritti della difesa

Esposizione sommaria dell'argomentazione delle parti

154.
    Il ricorrente fa valere che i suoi diritti della difesa sono stati violati nel corso del procedimento disciplinare.

155.
    Tale violazione vizierebbe, in primo luogo, l'audizione del 3 novembre 1999, sotto un duplice punto di vista.

156.
    In primo luogo la BCE avrebbe omesso di precisare, prima di tale audizione, l'esatta portata delle mancanze che essa gli contestava. E' ben vero che al ricorrente sarebbe stato consegnato, il 28 ottobre 1999, un fascicolo di 900 pagine ed un CD-ROM. Tuttavia, la BCE non avrebbe segnalato al ricorrente quali tra i numerosi fatti che vi erano riferiti essa intendesse far valere a carico di quest'ultimo. La BCE avrebbe precisato le censure poste a carico del ricorrente, per la prima volta, solo nel parere motivato 8 novembre 1999.

157.
    In secondo luogo il ricorrente afferma nella sua replica, considerata la natura molto voluminosa del fascicolo, di non aver fruito di un termine sufficiente tra la data della consegna dello stesso al suo avvocato, il 28 ottobre 1999, e quella dell'audizione, il 3 novembre 1999, per predisporre la sua difesa.

158.
    A parere del ricorrente i suoi diritti della difesa sono stati violati, in secondo luogo, per il fatto che la BCE, pur avendogli precisato per la prima volta i fatti che gli erano contestati nel parere motivato 8 novembre 1999, ha adottato sin dal giorno successivo una decisione disciplinare, ossia la decisione 9 novembre 1999, senza avergli dato la possibilità di presentare le sue osservazioni. Infatti, poiché la BCE avrebbe istruito il procedimento come un pubblico ministero, essa avrebbe dovuto attenersi strettamente ai principi dello Stato di diritto e riconoscere all'interessato il diritto di essere sentito, prima di prendere qualsiasi decisione.

159.
    Il ricorrente fa valere, in terzo luogo, che il fatto che la BCE abbia ricordato al suo avvocato, a seguito della trasmissione da parte di quest'ultimo delle sue lettere 9 e 10 novembre 1999, redatte in tedesco, che la lingua di lavoro da impiegare era, di norma, l'inglese, deve essere considerato come un tentativo di rendere più difficile lo svolgimento dei mezzi di ricorso e costringe a pensare che egli non abbia effettivamente potuto difendersi in modo efficace con delle lettere redatte in tedesco.

160.
    La BCE ricorda che il rispetto dei diritti della difesa presuppone che l'interessato sia stato preventivamente informato di tutti gli addebiti mossigli dall'autorità competente e disponga di un termine ragionevole per preparare la sua difesa (sentenze della Corte 19 aprile 1988, causa 319/85, Misset/Consiglio, Racc. pag. 1861, punto 7, e del Tribunale 19 marzo 1998, causa T-74/96, Tzoanos/Commissione, Racc. PI pagg. I-A-129 e II-343, punto 329).

161.
    Essa avrebbe integralmente osservato tali presupposti.

Giudizio del Tribunale

162.
    A titolo di osservazione preliminare, si deve ricordare che, in materia disciplinare, il dipendente messo in causa beneficia del principio generale del rispetto dei diritti della difesa (sentenza della Corte 18 novembre 1999, causa C-191/98 P, Tzoanos/Commissione, Racc. pag. I-8223, punto 34). Tuttavia, il procedimento disciplinare non è giudiziario, ma amministrativo, e l'amministrazione non può definirsi «tribunale» ai sensi dell'art. 6 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (sentenza 19 marzo 1998 Tzoanos/Commissione, citata sopra, punto 339, confermata su ricorso con la menzionata sentenza 18 novembre 1999 Tzoanos/Commissione).

163.
    Il ricorrente ritiene che i suoi diritti della difesa sarebbero stati violati a tre riprese, ossia, in primo luogo in occasione dell'audizione 3 novembre 1999, in secondo luogo al momento dell'adozione della decisione 9 novembre 1999 e, in terzo luogo, in occasione del richiamo, da parte della BCE, del fatto che la sua lingua interna di lavoro è l'inglese.

164.
    Per quanto riguarda, innanzitutto, gli argomenti relativi all'audizione del 3 novembre 1999, il ricorrente contesta alla BCE, in primo luogo, di aver omesso di informarlo preventivamente dei fatti che gli erano contestati e, in secondo luogo, di avergli dato un termine di preparazione insufficiente.

165.
    Sull'argomento relativo alla mancata previa comunicazione delle censure, si deve rilevare che l'art. 43 delle condizioni di impiego dispone: «I provvedimenti disciplinari [...] sono adottati conformemente al procedimento stabilito nelle norme sul personale. Il detto procedimento deve garantire che nessun dipendente sia colpito da sanzione disciplinare senza che, previamente, sia messo in grado di rispondere alle censure». Le norme sul personale, tuttavia, non contengono alcuna disposizione relativa allo svolgimento del procedimento disciplinare.

166.
    Le condizioni di impiego e le norme sul personale perciò non contengono disposizioni del tipo di quelle che figurano all'art. 1 dell'allegato IX dello statuto del personale, il quale dispone che al dipendente nei cui confronti è avviato un procedimento disciplinare dev'essere comunicato un «rapporto [dell'AIPN], in cui devono essere chiaramente specificati i fatti addebitati ed eventualmente le circostanze nelle quali sono stati commessi». Allo stesso modo, il regolamento per il personale della BEI stabilisce che il membro del personale nei cui confronti è avviato un procedimento disciplinare «riceve comunicazione scritta dei fatti che gli sono addebitati (...) prima della data stabilita per la riunione della commissione» paritetica, la quale assume funzioni analoghe a quelle della commissione di disciplina prevista dallo statuto del personale (sentenza, già citata, Yasse/BEI, punto 5).

167.
    La giurisprudenza ha del pari interpretato l'art. 87, primo comma, dello statuto del personale, secondo il quale il dipendente sottoposto ad un procedimento disciplinare che comporta solo l'ammonimento o il biasimo e per il quale non ènecessario consultare la commissione di disciplina «deve essere sentito in precedenza», nel senso che si richiede che l'interessato sia preventivamente informato degli addebiti mossigli dall'AIPN (sentenza, già citata, Misset/Consiglio, punto 7).

168.
    Ne consegue che questa stessa esigenza dev'essere estesa mutatis mutandis al procedimento disciplinare applicabile ai dipendenti della BCE, e a maggior ragione per il fatto che le condizioni di impiego obbligano quest'ultima a riservare al dipendente interessato la possibilità di rispondere agli addebiti mossi (the «opportunity to reply to the relevant charges first being granted»).

169.
    Nel caso in esame, si deve rilevare, innanzitutto, che anteriormente all'audizione del 3 novembre 1999 al ricorrente è stata notificata la decisione di sospensione 18 ottobre 1999 nella quale sono state elencate le sequenze di fatti che gli erano addebitati, ossia, in primo luogo, di aver ripetutamente fatto uso dell'accesso ad Internet della BCE per consultare siti di uso non professionale, il che comporterebbe una perdita di produttività dello stesso, e di aver trasmesso un certo numero di messaggi di posta elettronica di contenuto sessuale o politico e, in secondo luogo, di aver molestato un suo collega, da un lato, inviandogli ripetutamente, nonostante la sua opposizione, posta elettronica a sfondo sessuale o contenente biografie o fotografie di responsabili del regime nazista, dall'altro, con varie espressioni verbali e non, come il lancio di oggetti, una mimica sessuale provocatoria e un atteggiamento minaccioso.

170.
    Successivamente, tali allegazioni sono state precisate e completate con la consegna, il 28 ottobre 1999, di un fascicolo di 900 pagine con allegato un CD-ROM. In tale fascicolo, una copia del quale è stata trasmessa al Tribunale, compaiono:

-    una copia di 19 messaggi di posta elettronica interna trasmessi dal ricorrente al collega che è sospettato di aver molestato (allegato 1 di tale fascicolo);

-    una copia dei messaggi di posta elettronica trasmessi da tale collega e dai superiori del ricorrente in risposta ai messaggi di cui sopra e ad altri fatti addebitati a quest'ultimo nonché deposizioni circostanziate di tale collega e dei suoi superiori sulle azioni del ricorrente (allegato 2 di tale fascicolo);

-    una lista dei messaggi di posta elettronica trasmessi dal ricorrente all'interno ed all'esterno della BCE tra il 16 luglio ed il 18 ottobre 1999, ordinati in funzione del loro carattere non professionale e professionale, ed una copia di ciascuno di essi; una tabella relativa alla consultazione di siti su Internet per uso non professionale nel corso di determinati giorni, con una descrizione della natura dei siti consultati e del tempo di consultazione, nonché una lista di tali siti; una lista delle sequenze animate trasmesse con posta elettronica all'interno ed all'esterno della BCE, che presentano ingrandissima parte un contenuto pornografico, nonché un CD-ROM che consente la visualizzazione di tali sequenze (allegati 3-5);

-    una copia delle condizioni di impiego, delle norme sul personale e della circolare n. 11/98.

171.
    Tale fascicolo era strutturato in modo molto chiaro. Era corredato di un indice che elencava e descriveva il contenuto di tutti gli allegati e ciascun allegato era dotato di un indice che riassumeva e qualificava il suo contenuto. Peraltro esso era, per la maggior parte, composto di documenti provenienti dal ricorrente stesso.

172.
    Ne consegue che, nel caso in esame, il ricorrente è stato posto sufficientemente in grado di conoscere i fatti che gli erano addebitati.

173.
    Sull'argomento relativo al tempo di preparazione insufficiente, si deve dichiarare che la BCE ne eccepisce l'irricevibilità per il motivo che esso è stato presentato per la prima volta solo nella replica, di modo che esso costituirebbe un motivo nuovo, perciò irricevibile.

174.
    E' vero che l'art. 48, n. 2, primo comma, del regolamento di procedura dispone che è vietata la deduzione di motivi nuovi in corso di causa, a meno che essi si basino su elementi di diritto e di fatto emersi durante il procedimento. Tuttavia, un motivo che costituisca un'estensione di un motivo precedentemente dedotto, direttamente o implicitamente, nell'atto introduttivo del giudizio, e che è strettamente connesso con questo dev'essere considerato ricevibile (sentenza del Tribunale 17 luglio 1998, causa T-28/97, Hubert/Commissione, Racc. PI pagg. I-A-435 e II-1255, punto 38, e giurisprudenza citata). Nel caso in esame, il ricorrente ha formulato nel ricorso un motivo relativo al fatto che i diritti della difesa sarebbero stati violati in occasione dell'audizione del 3 novembre 1999. Egli adduceva, a tal fine, di non aver potuto difendersi utilmente al momento di tale audizione per il motivo che il fascicolo che gli era stato consegnato il 28 ottobre 1999 non gli consentiva di conoscere esattamente i fatti che gli erano contestati. Perciò l'argomento di cui trattasi, relativo al poco tempo a disposizione tra la consegna del fascicolo e l'audizione, costituisce un'estensione di tale motivo ed è strettamente connesso con quest'ultimo. Esso perciò è ricevibile.

175.
    Per quanto riguarda il merito di tale argomento, si deve ricordare che l'allegato IX dello statuto del personale, relativo al procedimento disciplinare, dispone all'art. 4, primo comma: «Il funzionario incolpato dispone, per preparare la sua difesa, di un termine di almeno quindici giorni a decorrere dalla data della comunicazione del rapporto che apre il procedimento disciplinare». Il regolamento per il personale della BEI prevede anch'esso, all'art. 40, che al dipendente nei cui confronti è avviato un procedimento disciplinare «i capi di imputazione devono esserenotificati per iscritto almeno 15 giorni prima della data prevista per la riunione della commissione» paritetica chiamata a dare il suo parere.

176.
    Inoltre, la giurisprudenza interpreta la già citata prescrizione dell'art. 87 dello statuto del personale nel senso che il dipendente interessato dev'essere previamente informato degli addebiti mossigli e deve disporre di un termine ragionevole per preparare la sua difesa (sentenza, citata, Misset/Consiglio, punto 7).

177.
    Quest'ultima prescrizione si applica, mutatis mutandis, anche in assenza di regole in tal senso nelle norme sul personale, al dipendente della BCE che sia sottoposto a procedimento disciplinare, e ciò a maggior ragione per il fatto che l'art. 43 delle condizioni di impiego dispone, in modo analogo all'art. 87 dello statuto del personale, che «il detto procedimento deve garantire che nessun dipendente sia colpito da sanzione disciplinare senza che, previamente, sia messo in grado di rispondere alle censure».

178.
    Nel caso in esame all'avvocato del ricorrente il già menzionato fascicolo è stato consegnato il giovedì 28 ottobre 1999 e l'audizione ha avuto luogo il mercoledì 3 novembre 1999. Egli perciò disponeva di un tempo di preparazione di tre giorni lavorativi. Tale termine è, in linea di principio, troppo breve, soprattutto alla luce della considerazione che lo statuto del personale ed il regolamento per il personale della BEI prevedono un termine di quindici giorni. Tenuto conto delle circostanze specifiche del caso in esame, giustamente rilevate dalla BCE, esso deve tuttavia essere considerato come ragionevole.

179.
    Infatti, in primo luogo, il ricorrente era già stato messo in grado di conoscere la natura dei fatti che gli erano addebitati e la qualificazione giuridica degli stessi da parte della decisione di sospensione 18 ottobre 1999. Il fascicolo consegnato il 28 ottobre 1999 aveva il solo scopo di completare tale informazione con chiarimenti e prove. In secondo luogo, né il ricorrente né il suo avvocato hanno sollecitato un rinvio dell'audizione. In terzo luogo, l'audizione non è stata la sola occasione offerta al ricorrente per esprimere il suo punto di vista. Tale possibilità gli è stata offerta un'altra volta in occasione della comunicazione, l'8 novembre 1999, del parere motivato. La lettera di accompagnamento di tale parere lo invitava infatti a presentare le sue eventuali osservazioni entro i successivi cinque giorni lavorativi, ossia fino al 15 novembre 1999. L'avvocato del ricorrente si è peraltro avvalso di tale facoltà con due lettere inviate il 9 ed il 10 novembre 1999.

180.
    Si deve infine ricordare che il fascicolo consegnato il 28 ottobre 1999, anche se contiene più di 900 pagine, è, in gran parte, costituito da corrispondenza spedita dal ricorrente stesso. Inoltre, come osserva la BCE, i documenti si compongono di brevi testi di facile comprensione. Solo l'allegato 2 del fascicolo contiene, in parte, documenti di cui il ricorrente non era ancora a conoscenza, ossia le deposizioni del collega molestato e dei suoi superiori gerarchici. Tuttavia tali documenti rappresentano solo una decina di pagine.

181.
    L'argomento relativo al tempo insufficiente di preparazione, perciò, deve essere respinto.

182.
    Per quanto riguarda, in secondo luogo, l'addebito mosso alla BCE di non aver dato al ricorrente la possibilità di presentare le sue osservazioni anteriormente alla decisione 9 novembre 1999, si deve ricordare che tale decisione rappresenta un provvedimento provvisorio, fondato sull'art. 44 delle condizioni di impiego. Tale articolo, che disciplina i provvedimenti di sospensione nei confronti dei dipendenti della BCE, non prevede formalmente il diritto del dipendente ad essere ascoltato.

183.
    Tuttavia, il rispetto dei diritti della difesa in qualsiasi procedimento avviato nei confronti di una persona e tale da arrecargli pregiudizio costituisce un principio fondamentale di diritto comunitario che dev'essere osservato anche in mancanza di una disposizione espressa prevista a tale scopo. Orbene, la decisione di sospensione di un dipendente della BCE adottata in forza dell'art. 44 delle condizioni di impiego costituisce un atto arrecante pregiudizio. Ne consegue che, anche tenendo conto dell'urgenza che generalmente esiste di adottare una decisione di sospensione in presenza dell'attribuzione di una colpa grave, siffatta decisione dev'essere presa rispettando i diritti della difesa. Di conseguenza, salvo circostanze particolari debitamente dimostrate, una decisione di sospensione può essere adottata solo dopo che il dipendente è stato posto in grado di far conoscere utilmente il suo punto di vista sugli elementi posti a suo carico e sui quali l'autorità competente prevede di fondare tale decisione. Solo in circostanze particolari potrebbe rivelarsi impossibile nella pratica, o incompatibile con l'interesse di servizio, procedere ad un'audizione prima dell'adozione di un provvedimento di sospensione. In tali circostanze, le esigenze derivanti dal principio del rispetto dei diritti della difesa potrebbero essere soddisfatte dall'audizione del dipendente interessato il più presto possibile dopo la decisione di sospensione (sentenza del Tribunale 15 giugno 2000, causa T-211/98, F/Commissione, Racc. PI pagg. I-A-107 e II-471, punti 27, 28, 30-32 e 34).

184.
    A tale riguardo, si deve osservare che, nel caso in esame, il ricorrente ha potuto far valere il suo punto di vista sugli elementi posti a suo carico in occasione dell'audizione del 3 novembre 1999. In tali circostanze, e dato che i principi qui sopra richiamati non impongono che il dipendente sia altresì chiamato a esprimere il suo punto di vista sull'opportunità e la natura di un eventuale provvedimento di sospensione che potrebbe conseguire dagli elementi posti a suo carico, l'argomento è infondato.

185.
    Per quanto riguarda, in terzo luogo, l'argomento relativo all'asserito tentativo della BCE di rendere più difficile l'attuazione dei diritti della difesa in quanto essa avrebbe preteso l'uso della lingua inglese, dagli elementi del fascicolo si desume quanto segue:

-    l'8 novembre 1999 la direzione generale dell'amministrazione e del personale e la direzione generale dei servizi giuridici della BCE hanno emanato e trasmesso in copia all'avvocato del ricorrente un parere motivato destinato al comitato esecutivo della BCE, nel quale esse riassumevano i fatti posti a carico del ricorrente, ne davano delle qualificazioni e proponevano una sanzione, ossia il licenziamento;

-    il 9 ed il 10 novembre 1999 l'avvocato del ricorrente ha preso posizione su tale parere in due lettere redatte in lingua tedesca;

-    il 12 novembre 1999 la BCE accusava ricevuta di tali due lettere e ricordava che la lingua inglese costituiva la sua lingua interna di lavoro; essa aggiungeva: «Tuttavia, considerate le vostre lettere del 9 e 10 novembre 1999, per non ritardare ancora il procedimento, la BCE accetterà tali documenti anche se essi sono stati redatti in una lingua diversa dalla lingua ordinaria dei contratti e dalla lingua veicolare della BCE. La presente decisione non deve essere considerata come un precedente»;

-    il 15 novembre 1999 l'avvocato del ricorrente ha indirizzato una lettera al presidente della BCE nella quale egli si doleva del tono arrogante della lettera 12 novembre 1999, annunciando che avrebbe utilizzato la lingua tedesca nelle lettere che in futuro avesse inviato alla BCE e chiedeva che quest'ultima confermasse espressamente di accettarle;

-    il 18 novembre 1999 il direttore generale dell'amministrazione e del personale rispondeva, contestando che la lettera 12 novembre 1999 denotasse un tono arrogante e rilevando che la BCE, accettando di trattare lettere redatte in lingua tedesca, si era mostrata più conciliante di quanto vi fosse giuridicamente tenuta.

186.
    Risulta da tale cronologia dei fatti che la BCE si è limitata a ricordare che l'inglese era la sua lingua di lavoro. Essa non si è rifiutata di accettare le lettere dell'avvocato del ricorrente redatte in lingua tedesca, e anzi ha precisato che le avrebbe accettate, ancorché esse in linea di principio dovessero essere redatte in lingua inglese. L'argomento, perciò, dev'essere respinto.

4 Sul motivo relativo all'ottenimento irregolare di determinate prove

187.
    Il ricorrente ha presentato il motivo di cui trattasi nei termini seguenti, al punto 3.4 del ricorso:

«Il ricorrente ha già avuto occasione di osservare che esistono casi di divieto riguardanti la raccolta di determinati mezzi di prova. La convenuta non ha, fino ad oggi, indicato particolareggiatamente - sulla base di pezze giustificative - come essa si sia procurata le informazioni che hanno portato alle censure fatte valere nelprocedimento disciplinare. Rinviamo in proposito alle riserve sollevate dal mandatario ad litem all'udienza del 3 novembre 1999.»

188.
    La BCE contesta, in via principale, la ricevibilità del motivo e, in via subordinata, la sua fondatezza.

189.
    Il Tribunale ricorda che perché un ricorso, o un motivo, sia ricevibile, gli elementi essenziali di fatto e di diritto sui quali esso si basa devono emergere, anche sommariamente, purché in modo coerente e comprensibile, dal testo del ricorso stesso (v., per esempio, ordinanza del Tribunale 28 giugno 2000, causa T-338/99, Schuerer/Consiglio, Racc. pag. II-2571, punto 19).

190.
    Orbene, nel caso in esame, il ricorrente omette di esporre, ancorché sommariamente, gli argomenti di fatto e di diritto sui quali il motivo di cui trattasi si fonda. Egli si limita a rinviare, senza altra spiegazione, alle riserve espresse dal suo avvocato al momento dell'audizione del 3 novembre 1999. In mancanza di precisazioni aggiuntive, è difficile conoscere con esattezza quali, tra le numerose osservazioni fatte dall'avvocato del ricorrente nel corso di tale audizione e che sono contenute nel processo verbale di quest'ultima, siano specificamente considerate. Inoltre, il ricorrente omette di fornire precisazioni aggiuntive nella replica. In ogni caso non spetta al Tribunale ricercare ed individuare, negli allegati, i motivi e gli argomenti sui quali, a suo parere, il ricorso dovrebbe essere basato, atteso che gli allegati assolvono ad una funzione meramente probatoria e strumentale (sentenza del Tribunale 7 novembre 1997, causa T-84/96, Cipeke/Commissione, Racc. pag. II-2081, punto 34).

191.
    Di conseguenza, il motivo dev'essere dichiarato irricevibile.

192.
    Si deve aggiungere, ad abundantiam, che le condizioni in cui la BCE è venuta in possesso degli elementi di prova prodotti nel caso in esame sono state precisate dalla stessa e portate a conoscenza del ricorrente. Risulta, infatti, dal parere motivato (punto I) e dalla decisione di licenziamento (punto 4) che nell'ambito del procedimento disciplinare si è proceduto all'esame, tramite un'analisi della memoria del server della BCE al quale sono collegati tutti i computer individuali installati nei suoi uffici, da una parte, dei messaggi di posta elettronica trasmessi dal ricorrente, a partire dal computer che gli era stato attribuito sul luogo di lavoro, all'interno e all'esterno della BCE e, d'altra parte, dei siti Internet consultati dal ricorrente a partire da tale computer. Vi è altresì riportato che si è effettuata un'audizione di testimoni, ossia del capo degli archivi, del superiore gerarchico diretto del ricorrente e del collego che egli è sospettato di aver molestato, e il 3 novembre 1999 l'audizione del ricorrente.

193.
    Tali esami, inoltre, sono stati effettuati nell'ambito di un procedimento disciplinare diretto contro il ricorrente e successivamente all'avvio dello stesso, i loro risultatisono stati portati a conoscenza del ricorrente e a quest'ultimo è stata riservata la possibilità di prendere posizione nei loro confronti.

194.
    Il motivo, perciò, deve essere respinto.

5. Sul motivo relativo alla mancanza di prova dei fatti addebitati

Esposizione sommaria dell'argomentazione delle parti

195.
    Nella replica il ricorrente osserva che l'onere della prova della legittimità e dell'appropriatezza del provvedimento disciplinare incombe alla BCE, essendo questa una norma di merito e non procedurale. Spetta alla BCE determinare, conformemente all'art. 43 delle condizioni di impiego, l'esistenza dei fatti a fondamento del provvedimento disciplinare ed il carattere proporzionato del provvedimento rispetto alla gravità di tali fatti. Spetterebbe perciò ad essa precisare i fatti che giustificano il provvedimento disciplinare e fornirne, eventualmente, la prova. Il dipendente potrebbe limitarsi a contestare la legittimità del provvedimento. La sua contestazione obbligherebbe la BCE a fornire la prova della legittimità dello stesso. Nel corso del procedimento disciplinare il dipendente potrebbe restare in silenzio, senza che ciò costituisca una rinuncia al suo diritto di contestare le asserzioni della BCE con un'azione giudiziaria.

196.
    In base a tali principi il ricorrente contesta di aver riconosciuto i fatti che gli sono stati addebitati. Lungi dall'essere rimasto in silenzio nel corso del procedimento disciplinare, egli avrebbe peraltro, con lettera del suo avvocato 10 novembre 1999, contestato gli addebiti mossigli.

197.
    La BCE non sarebbe riuscita a fornire neppure un inizio di prova dei motivi del licenziamento.

198.
    Il ricorrente fa osservare, al riguardo, che se la BCE intende basarsi sul fascicolo di 900 pagine e sul CD-ROM per dimostrare la legittimità dei provvedimenti disciplinari, essa dovrebbe precisare quali sono gli addebiti ed i documenti pertinenti. Essa dovrebbe altresì chiarire il meccanismo soggettivo su cui si fonda la decisione di licenziamento, che sarebbe la sola a conoscere.

199.
    In secondo luogo il ricorrente contesta, in particolare, di essersi regolarmente definito come «OaO/MoU» (One and Only/Master of the Universe). E' tutt'al più vero che egli avrebbe utilizzato tali termini talvolta nella cerchia dei suoi colleghi in senso ironico. Egli contesta, del pari, di aver fatto regolarmente osservazioni scortesi nei confronti dei suoi colleghi o di essersi comportato nei loro confronti in modo indecente o provocatorio, di aver avuto sin dal principio un atteggiamento negativo nei confronti di un determinato collega, di aver molestato un collega di lavoro e di essere stato informato dallo stesso della sua disapprovazione. Spetta alla BCE precisare tali addebiti, per permettere al ricorrente di difendersi.

200.
    In terzo luogo spetterebbe alla BCE precisare in quale data il ricorrente si sarebbe procurato i messaggi di natura pornografica o di contenuto politico che avrebbe successivamente inviato a terzi tramite posta elettronica.

201.
    In quarto luogo il ricorrente contesta che i documenti a carattere pornografico e le biografie dei dirigenti nazisti, contenuti nel fascicolo, costituiscano di per sé una causa di destituzione. Non se ne desumerebbe che il ricorrente si sia identificato nel messaggio politico dei nazisti. Tutt'al più si potrebbe sostenere che tali documenti dimostrano che la circolare n. 11/98, che vieta l'accesso a tali documenti tramite Internet, sarebbe stata violata. Orbene, tale circostanza non sarebbe rilevante, dato che la circolare non farebbe parte delle disposizioni contrattualmente accettate dalle parti e che non sarebbe legittimamente in vigore.

202.
    In quinto luogo la BCE avrebbe omesso di dimostrare che i messaggi di posta elettronica che costituiscono l'oggetto degli addebiti fossero stati effettivamente trasmessi dal ricorrente stesso e che, pertanto, nel corso del periodo considerato, solo il ricorrente avesse accesso al suo computer.

203.
    La BCE ritiene che il motivo di cui trattasi, presentato per la prima volta nella replica, sia irricevibile in forza dell'art. 48, n. 2, del regolamento di procedura.

204.
    Essa osserva che il ricorrente non contesta i fatti che gli sono addebitati, né la loro qualificazione secondo le disposizioni delle condizioni di impiego.

205.
    Nel merito, essa è del parere che il fascicolo consenta di conoscere chiaramente quando il ricorrente abbia telecaricato un determinato documento di Internet, e quando ed a chi abbia spedito questo o quel messaggio di posta elettronica. I documenti contenuti nel fascicolo sarebbero molto espliciti e non necessiterebbero di ulteriori precisazioni.

Giudizio del Tribunale

206.
    Il ricorrente ha presentato il motivo relativo alla mancanza di prova dei fatti addebitati, per la prima volta, solo al momento della replica. A tale proposito si deve ricordare che l'art. 48, n. 2, primo comma, del regolamento di procedura dispone che è vietata la deduzione di motivi nuovi in corso di causa, a meno che essi si basino su elementi di diritto e di fatto emersi durante il procedimento.

207.
    Non essendo rispettate tali condizioni nel caso in esame, dato che la contestazione si riferisce a degli elementi noti prima del deposito del ricorso, il motivo è irricevibile.

208.
    Si deve aggiungere, ad abundantiam, che la decisione di licenziamento si basa su due serie di fatti. In primo luogo, si accusa il ricorrente di aver molestato sessualmente e psicologicamente uno dei suoi colleghi e di aver avvelenato il clima di lavoro. In secondo luogo, gli si addebita l'abuso della possibilità di collegarsi ad Internet, abuso consistito, da una parte, nel consultare siti e nella spedizione di messaggi di posta elettronica a carattere pornografico o politicamente estremista e, d'altra parte, nell'uso esagerato di Internet a scopi privati.

209.
    La prova della realtà dei fatti così addebitati risulta in modo sufficientemente circostanziato dal fascicolo, il cui contenuto è stato riassunto qui sopra al punto 17°. La censura mossa al ricorrente di aver molestato un collega ed avvelenato il clima di lavoro è illustrata dagli allegati 1 e 2 di tale fascicolo. Il contesto di tali azioni è descritto in modo circostanziato e particolareggiato nei documenti contenuti nell'allegato 2 e nelle deposizioni riportate nello stesso. La censura relativa all'abuso dell'accesso ad Internet per scopi privati risulta dagli allegati 1 e 3-5 del fascicolo, che contengono copie dei documenti spediti nonché le liste dei siti consultati a partire dal computer del ricorrente. Tali documenti sono sufficientemente espliciti per escludere qualsiasi contestazione seria in merito alla realtà dei fatti contestati.

210.
    Il ricorrente fa tuttavia valere argomenti per quanto riguarda la fondatezza di alcune delle censure di cui trattasi.

211.
    Il ricorrente sostiene, in primo luogo, che la BCE dovrebbe precisare nei particolari in che misura essa intenda fondarsi su ciascuno dei documenti raccolti nel fascicolo per giustificare i provvedimenti disciplinari contestati. A tale riguardo si deve rilevare, mentre si fa rinvio alle constatazioni che precedono, che, in considerazione della chiara strutturazione del fascicolo e del fatto che la pertinenza di tali documenti risulta dalla loro natura e dal loro contenuto, l'argomento è manifestamente infondato.

212.
    In secondo luogo, per quanto riguarda la molestia del ricorrente su uno dei suoi colleghi nonché il carattere intimidatorio e violento del suo comportamento nei confronti della vittima, essi risultano a sufficienza di diritto dalle testimonianze concordi di quest'ultima, del suo superiore gerarchico diretto e del capo del servizio archivi, nonché dal contenuto dei messaggi di posta elettronica che gli ha trasmesso il ricorrente, riprodotti agli allegati 1 e 2 del fascicolo. Alla luce del carattere molto circostanziato e concordante di tali elementi, la contestazione del ricorrente, secondo la quale la BCE avrebbe dovuto precisare meglio in quale momento questi fatti sarebbero stati commessi, è manifestamente infondata. Questa stessa conclusione si impone per quanto riguarda la contestazione da parte del ricorrente del fatto che la vittima gli abbia fatto chiaramente intendere la sua disapprovazione, poiché la realtà di tale presa di posizione risulta chiaramente dal messaggio di posta elettronica indirizzato dalla vittima al ricorrente il 22 marzo 1999 alle ore 12.36.

213.
    In terzo luogo, per quanto riguarda la data in cui il ricorrente si sarebbe procurato i messaggi di carattere pornografico o di contenuto politico che ha spedito a terzi con posta elettronica, basti rilevare che l'invio da parte del ricorrente di tali messaggi a terzi, la natura di tali messaggi, la data e l'ora della spedizione nonché l'identità dei destinatari risultano a sufficienza di diritto dal fascicolo molto completo costituito dalla BCE. Di conseguenza, la BCE non era manifestamente tenuta a dimostrare per di più in che momento e in quali circostanze il ricorrente stesso si fosse procurato le immagini, emblemi e testi di cui trattasi.

214.
    In quarto luogo, per quanto riguarda la contestazione del fatto che i documenti a carattere pornografico o contenenti biografie o fotografie di dirigenti nazisti possano di per sé costituire una causa di destituzione, si deve osservare che tali documenti sono stati spediti con posta elettronica interna alla vittima della molestia e costituiscono quindi un elemento di tale molestia. Peraltro, risulta dal fascicolo che siti a carattere pornografico sono stati consultati su Internet a partire dal computer del ricorrente e che sequenze animate a carattere pornografico sono state trasmesse con posta elettronica all'esterno della BCE, e ciò ripetutamente, ossia a undici riprese tra il 18 agosto e il 18 ottobre 1999. Tali fatti costituiscono una violazione degli obblighi di cui all'art. 4, punto a), delle condizioni di impiego, che rivestono un'importanza assolutamente essenziale per l'adempimento dei compiti dell'istituzione bancaria e costituiscono un elemento essenziale del comportamento che il personale della banca deve osservare per tutelare l'indipendenza e la dignità della stessa (sentenza, citata, Yasse/BEI, punto 110).

215.
    La BCE giustamente rileva, al riguardo, che i fatti di cui al punto precedente, in quanto atti a divenire pubblici e riferiti dai media, la espongono al rischio di diventare oggetto di scandalo mettendo in discussione la sua immagine ed, eventualmente, la sua credibilità. Di conseguenza, e siccome, inoltre, tali fatti non erano isolati, ma ripetuti, essi potevano a buon diritto essere qualificati come negligenti.

216.
    In quinto luogo il ricorrente sostiene che la BCE dovrebbe dimostrare che è stato proprio lui a spedire i messaggi di posta elettronica oggetto degli addebiti e che nessun altro ha avuto accesso al suo computer. Basti, a tale riguardo, riferirsi al punto 6 della decisione di licenziamento, nella quale il comitato esecutivo della BCE osserva che, in considerazione del numero elevato di messaggi di posta elettronica trasmessi, del momento in cui essi sono stati trasmessi (durante l'orario di lavoro per un periodo di 18 mesi), del fatto che allegati identici sono stati ritrovati in svariati messaggi trasmessi dal ricorrente all'interno ed all'esterno della BCE, è poco plausibile che un'altra persona sia l'autore di tali trasmissioni. Inoltre, poiché il computer del ricorrente è situato in un ufficio senza pareti che raggruppa sei persone e che il suo avvio richiede l'utilizzo di una parola d'ordine personale, sarebbe stato difficile per un terzo utilizzare tale computer, tanto più con la frequenza e nei momenti sopra menzionati. Tale analisi si impone a maggiorragione per il fatto che il ricorrente ha ammesso, in udienza, di non aver comunicato a terzi la sua parola d'ordine.

217.
    Il motivo è anche manifestamente infondato.

6. Sul motivo relativo al carattere sproporzionato della sanzione inflitta

Esposizione sommaria dell'argomentazione delle parti

218.
    Nella replica il ricorrente conclude che se tutti gli addebiti non circostanziati fossero fondati, la BCE, applicando il principio di proporzionalità, avrebbe dovuto, a motivo di quest'ultimo, infliggergli un ammonimento, sanzione prevista dall'art. 43 delle condizioni di impiego, che avrebbe dovuto precedere la destituzione.

219.
    La BCE ritiene, in via principale, che si tratti di una nuova allegazione, che perciò sarebbe irricevibile. In subordine, in quanto il ricorrente vorrebbe sostenere che le decisioni contestate sarebbe sproporzionate, dato che un biasimo scritto sarebbe stato sufficiente, andrebbe ricordato che, secondo la giurisprudenza, spetta all'AIPN scegliere il provvedimento disciplinare appropriato, qualora i fatti addebitati al dipendente siano stati accertati. Il Tribunale non potrebbe sostituire la propria valutazione a quella dell'AIPN, a meno che esista un errore manifesto, il che non ricorrerebbe nel caso in esame.

Giudizio del Tribunale

220.
    Il ricorrente ha presentato il suo motivo, relativo al carattere sproporzionato della sanzione inflitta, per la prima volta solo in fase di replica. Poiché tale contestazione si riferisce ad elementi noti prima del deposito del ricorso, essa è irricevibile sulla base dei principi qui sopra ricordati.

221.
    Si deve aggiungere, ad abundantiam, che l'applicazione in materia disciplinare del principio di proporzionalità comporta due aspetti. Da una parte, la scelta della sanzione adeguata spetta all'AIPN allorché la realtà dei fatti posti a carico del dipendente è dimostrata, ed il giudice comunitario non può censurare tale scelta, a meno che la sanzione inflitta non sia sproporzionata rispetto ai fatti addebitati al dipendente. D'altra parte, la determinazione della sanzione si fonda su una valutazione complessiva da parte dell'AIPN di tutti i fatti concreti e delle circostanze proprie a ogni singolo caso, poiché gli artt. 86-89 dello statuto del personale, così come le condizioni di impiego della BCE per quanto riguarda i dipendenti della stessa, non stabiliscono un rapporto fisso tra le sanzioni disciplinari previste e le diverse specie di mancanze commesse dai dipendenti e non precisano in che misura l'esistenza di circostanze aggravanti o attenuanti debba rilevare nella scelta della sanzione. L'esame del giudice comunitario, perciò, viene a trovarsi limitato alla questione se la ponderazione delle circostanze aggravanti ed attenuanti da parte dell'AIPN sia stata effettuata in modo proporzionato ed il giudice non puòsostituirsi a detta autorità quanto ai giudizi di valore effettuati al riguardo da quest'ultima (sentenza, citata, Yasse/BEI, punti 105-106 e giurisprudenza citata).

222.
    In base a tali principi il controllo del Tribunale si limita quindi a giudicare se la sanzione inflitta non sia sproporzionata rispetto ai fatti addebitati al dipendente e se la ponderazione delle circostanze aggravanti ed attenuanti da parte della BCE sia stata effettuata in modo proporzionato.

223.
    Si deve rilevare a tale riguardo che risulta dal fascicolo, e in particolare dalle testimonianze della vittima, del suo superiore gerarchico diretto e del capo del servizio archivi, nonché dalle copie dei messaggi di posta elettronica ricevuti dalla stessa, che il ricorrente l'ha molestato in modo quasi ininterrotto dalla sua assunzione, nel gennaio 1998, fino alla sua sospensione, il 18 ottobre 1999, fatta salva una breve interruzione, dovuta ad una temporanea separazione dei rispettivi posti di lavoro, tra marzo e maggio 1998, ed un periodo di pace relativa da agosto a dicembre 1998. Tale molestia è stata caratterizzata, in particolare, da osservazioni scortesi sulla vittima espresse dal ricorrente a terzi, ivi compresi i superiori gerarchici, da atteggiamenti provocatori nei confronti della vittima, incluso un invito, fatto dal ricorrente alla vittima il 18 febbraio 1998, a praticare sullo stesso una fellazione, e con la trasmissione ripetuta alla vittima, almeno in 19 riprese, di messaggi di posta elettronica provocatori, comportanti, ad esempio, il 6 agosto e il 16 settembre 1999, sequenze animate a carattere pornografico, il 24 marzo 1999 biografie di Adolf Hitler e di Joseph Goebbels e, il 18 agosto 1999, la fotografia di un ufficiale nazista.

224.
    L'altissimo numero e la frequenza degli incidenti recensiti dimostrano l'esistenza di un comportamento denigratorio e violento del ricorrente nei confronti della vittima. Non si può seriamente contestare che il comportamento avrebbe giustificato, nel diritto del lavoro della maggior parte degli Stati membri, un licenziamento in tronco. La sanzione inflitta perciò non pare manifestamente sproporzionata tenuto conto di questa sola censura, anche isolatamente considerata.

225.
    Vi si aggiunge, per quanto riguarda la consultazione di siti in Internet, che il controllo effettuato a campione e relativo al solo periodo immediatamente precedente la sospensione del ricorrente ha permesso di accertare che quest'ultimo, a più riprese, nella fattispecie il 19 maggio ed il 21 giugno 1999, ha consultato siti a carattere pornografico. Il ricorrente, inoltre, ha trasmesso a più riprese, da una parte, posta elettronica a contenuto pornografico all'esterno della BCE (ossia 11 sequenze animate tra il 18 agosto ed il 18 ottobre 1999) e, nel corso dei tre mesi precedenti la sua sospensione, 149 messaggi di posta elettronica di natura non professionale, all'interno della BCE e 117 all'esterno della stessa, vale a dire 266, una parte non trascurabile dei quali costituita da messaggi lunghi ed elaborati.

226.
    Considerata la particolare gravità delle mancanze del ricorrente ai suoi obblighi che emerge da tale accumulo di addebiti la sanzione applicata non risulta manifestamente sproporzionata.

227.
    Il motivo, perciò, è altresì infondato.

7. Sul motivo relativo al carattere sproporzionato del procedimento disciplinare

Esposizione sommaria dell'argomentazione delle parti

228.
    Il ricorrente ritiene che la convenuta fosse al corrente, al più tardi a febbraio 1998, dell'esistenza di un conflitto agli archivi tra lo stesso e la persona che lamenta di essere vittima della molestia. La BCE non avrebbe tuttavia fatto nulla per risolvere tale conflitto. Essa avrebbe lasciato che tale questione degradasse. Di conseguenza, il procedimento disciplinare che essa ha intrapreso nei confronti del ricorrente sarebbe perciò completamente sproporzionato.

229.
    La BCE ritiene tale motivo infondato, poiché essa avrebbe regolarmente impartito istruzioni allo scopo di risolvere il conflitto creato dal ricorrente.

Giudizio del Tribunale

230.
    Nell'ambito di tale motivo, distinto dal precedente, il ricorrente asserisce che il conflitto che lo oppone alla vittima della molestia avrebbe dovuto essere risolto in modo più efficace e preventivo dall'amministrazione della BCE, la quale avrebbe dovuto impartire istruzioni di lavoro chiare, corredate, eventualmente, da un ammonimento. L'avvio di un procedimento disciplinare sarebbe stata, nella fattispecie, un rimedio sproporzionato.

231.
    Il motivo, tuttavia, non è fondato in fatto e non si può censurare la BCE per essere rimasta passiva rispetto alla situazione creata dal ricorrente. La vittima si è infatti lamentata per la prima volta presso il superiore gerarchico il 13 agosto 1998 e in seguito a ciò quest'ultimo ha immediatamente convocato la stessa ed il ricorrente ad un colloquio ed ha posto delle regole di comportamento. Successivamente a tale intervento pare che il comportamento del ricorrente sia migliorato per qualche mese. Il 25 agosto 1999 la vittima si è di nuovo rivolta al superiore gerarchico per lamentarsi del ricorrente. Questa volta è stata immediatamente attuata un'inchiesta interna, che ha dato luogo all'avvio di un procedimento disciplinare.

232.
    Risulta perciò che la BCE ha reagito con diligenza a entrambe le denunce della vittima.

233.
    Ad ogni buon conto, come giustamente osserva la BCE nella sua decisione di licenziamento (punto 8), un'eventuale carenza dei superiori del ricorrente non potrebbe giustificare le colpe di quest'ultimo, che resta responsabile dei propri atti.

234.
    Il motivo, perciò, deve essere respinto. Pertanto, il ricorso dev'essere respinto nella sua integralità.

Sulle spese

235.
    A norma dell'art. 87, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese, se ne è stata fatta domanda. Tuttavia, a norma dell'art. 88 dello stesso regolamento, nelle cause tra le Comunità ed i loro dipendenti, le spese sostenute dalle istituzioni restano a loro carico.

236.
    La BCE chiede tuttavia, in base all'art. 87, n. 3, del regolamento di procedura del Tribunale, che deroga all'art. 88 di tale regolamento e che dispone, in particolare, che il Tribunale può condannare una parte a rimborsare all'altra le spese che le ha causato e che siano considerate come superflue o defatigatorie, la condanna del ricorrente a sopportare l'integralità delle spese. Essa afferma che il ricorso è superfluo a motivo, essenzialmente, del suo carattere manifestamente infondato.

237.
    Il Tribunale giudica questa domanda infondata. Infatti il ricorso ha ad oggetto, in particolare, la contestazione del provvedimento disciplinare più grave che esista, ossia il licenziamento. Orbene, non si può censurare il dipendente interessato per aver proposto un ricorso contro la decisione che lo licenzia, quale che sia, peraltro, il valore giuridico dei motivi che egli deduce a sostegno di tale ricorso.

238.
    Nel caso in esame, quindi, ciascuna parte sopporterà le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Terza Sezione)

dichiara e statuisce:

1)    Il ricorso è respinto.

2)    Ciascuna parte sopporterà le proprie spese.

Azizi
Lenaerts
Jaeger

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 18 ottobre 2001.

Il cancelliere

Il presidente

H. Jung

M. Jaeger


1: Lingua processuale: il tedesco.

RACC.