Language of document : ECLI:EU:T:2010:69

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Ottava Sezione)

4 marzo 2010(*)

«Dumping – Importazioni di calzature con tomaie in cuoio originarie della Cina e del Vietnam – Status di impresa operante in economia di mercato – Campionamento – Omessa collaborazione – Diritti della difesa – Pregiudizio – Obbligo di motivazione»

Nella causa T‑409/06,

Sun Sang Kong Yuen Shoes Factory (Hui Yang) Corp. Ltd, con sede in Hui Yang City (Cina), rappresentata dai sigg. I. MacVay, solicitor, R. Thompson, QC, e K. Beal, barrister,

ricorrente,

contro

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato dal sig. J.-P. Hix, in qualità di agente, assistito dall’avv. G. Berrisch,

convenuto,

sostenuto da

Commissione europea, rappresentata dai sigg. H. van Vliet e T. Scharf, in qualità di agenti,

da

Confederazione europea dell’industria calzaturiera (CEC), rappresentata inizialmente dagli avv.ti P. Vlaemminck, G. Zonnekeyn e S. Verhulst, successivamente dagli avv.ti P. Vlaemminck e A. Hubert,

e da

BA.LA. di Lanciotti Vittorio & C. Sas, con sede in Monte Urano (Italia), e le altre sedici intervenienti i cui nomi figurano in allegato, rappresentate dagli avv.ti G. Celona, P. Tabellini e C. Cavaliere,

intervenienti

avente ad oggetto una domanda di annullamento parziale del regolamento (CE) del Consiglio 5 ottobre 2006, n. 1472, che istituisce un dazio antidumping definitivo e dispone la riscossione definitiva dei dazi provvisori istituiti sulle importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio originarie della Repubblica popolare cinese e del Vietnam (GU L 275, pag. 1), nella parte in cui riguarda la ricorrente,

IL TRIBUNALE (Ottava Sezione),

composto dalla sig.ra M.E. Martins Ribeiro, presidente, dai sigg. S. Papasavvas (relatore) e A. Dittrich, giudici,

cancelliere: sig.ra C. Kantza, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 18 febbraio 2009,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Contesto normativo

1        L’art. 1, nn. 1, 2 e 4, del regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 1995, n. 384/96, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU 1996, L 56, pag. 1), come modificato (in prosieguo: il «regolamento di base»), dispone quanto segue:

«1. Un dazio antidumping può essere imposto su qualsiasi prodotto oggetto di dumping la cui immissione in libera pratica nella Comunità causi un pregiudizio.

2. Un prodotto è considerato oggetto di dumping quando il suo prezzo all’esportazione nella Comunità è inferiore ad un prezzo comparabile del prodotto simile, applicato nel paese esportatore nell’ambito di normali operazioni commerciali.

(…)

4. Ai fini del presente regolamento, per “prodotto simile” si intende un prodotto identico, vale a dire simile sotto tutti gli aspetti al prodotto considerato oppure, in mancanza di un tale prodotto, un altro prodotto che, pur non essendo simile sotto tutti gli aspetti, abbia caratteristiche molto somiglianti a quelle del prodotto considerato».

2         Ai sensi dell’art. 2, n. 1, primo comma, del regolamento di base, «[i]l valore normale è di norma basato sui prezzi pagati o pagabili, nel corso di normali operazioni commerciali, da acquirenti indipendenti nel paese esportatore».

3         Per quanto attiene alle condizioni di concessione del trattamento riservato alle imprese operanti in condizioni di economia di mercato (in prosieguo: il «TEM»), l’art. 2, n. 7, lett. b), del regolamento di base, prevede quanto segue:

«Nel caso di inchieste antidumping relative ad importazioni in provenienza (…) dalla Repubblica popolare cinese (…), il valore normale è determinato a norma dei paragrafi da 1 a 6 qualora, in base a richieste debitamente motivate di uno o più produttori oggetto dell’inchiesta (…), sia dimostrata la prevalenza di condizioni dell’economia di mercato per il produttore o per i produttori in questione relativamente alla produzione e alla vendita del prodotto simile. Qualora ciò non sia possibile, si applica il regime di cui alla lettera a)».

4        Ai sensi dell’art. 2, n. 7, lett. c), del regolamento di base:

«La domanda di cui alla lettera b) [dell’art. 2, n. 7] dev’essere fatta per iscritto e deve contenere prove sufficienti in ordine al fatto che il produttore opera in condizioni di economia di mercato. Ciò si verifica quando: 

–        le decisioni delle imprese in materia di prezzi, costi e fattori produttivi, inclusi ad esempio le materie prime, le spese per gli impianti tecnologici e la manodopera, la produzione, le vendite e gli investimenti, vengano prese in risposta a tendenze del mercato che rispecchiano condizioni di domanda e di offerta, senza significative interferenze statali, ed i costi dei principali mezzi di produzione riflettano nel complesso i valori di mercato;

(…)

Si procede ad un accertamento se il produttore soddisfa i criteri summenzionati entro tre mesi dall’avvio dell’inchiesta, dopo aver sentito il comitato consultivo e dopo aver dato all’industria comunitaria la possibilità di presentare osservazioni. Quest’accertamento resta valido durante l’inchiesta».

5        Ai sensi dell’art. 9, n. 5, secondo comma e dell’art. 9, n. 6, del regolamento di base:

«5. (…)

Nei casi in cui si applica l’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), viene tuttavia fissato un dazio individuale per gli esportatori in grado di dimostrare, presentando richieste debitamente motivate, che:

a)      nel caso di imprese di proprietà interamente o parzialmente straniera o di joint venture, sono liberi di rimpatriare i capitali e i profitti; 

b)      i prezzi e i quantitativi dei prodotti esportati, come pure le condizioni di vendita, sono determinati liberamente; 

c)      la maggior parte delle azioni appartiene a privati, che i funzionari statali che ricoprono cariche nel consiglio di amministrazione o si trovano in una posizione direttiva chiave sono in minoranza o che la società è sufficientemente libera dall’ingerenza dello Stato;

d)      le conversioni del tasso di cambio vengono effettuate ai tassi di mercato;

e)      l’ingerenza dello Stato non è tale da consentire l’elusione dei dazi qualora si concedano aliquote diverse ai singoli esportatori.

6.      Se la Commissione ha svolto un esame limitato a norma dell’articolo 17, il dazio antidumping applicato alle importazioni provenienti da esportatori o da produttori che si sono manifestati conformemente all’articolo 17, ma che non sono stati inseriti nell’esame, non supera la media ponderata del margine di dumping stabilito per le parti inserite nel campione. (...). Si applicano dazi individuali alle importazioni provenienti da esportatori o produttori che sono stati sottoposti ad un esame individuale, a norma dell’articolo 17».

6        L’art. 2, nn. 8 e 9, primo comma, del regolamento di base dispone quanto segue:

«8.      Il prezzo all’esportazione è il prezzo realmente pagato o pagabile per il prodotto venduto per l’esportazione dal paese esportatore alla Comunità.

9.      Quando non esiste un prezzo all’esportazione (...) [esso] può essere costruito in base al prezzo al quale il prodotto importato è rivenduto per la prima volta ad un acquirente indipendente, ovvero, se il prodotto non viene rivenduto ad un acquirente indipendente o non viene rivenduto nello stato in cui è avvenuta la sua importazione, su qualsiasi altra base equa».

7        L’art. 2, n. 10, primo comma, del regolamento di base prevede:

«10. Tra il valore normale e il prezzo all’esportazione deve essere effettuato un confronto equo, allo stesso stadio commerciale e prendendo in considerazione vendite realizzate in date per quanto possibile ravvicinate, tenendo debitamente conto di altre differenze incidenti sulla comparabilità dei prezzi. Se il valore normale e il prezzo all’esportazione determinati non si trovano in tale situazione comparabile, si tiene debitamente conto, in forma di adeguamenti, valutando tutti gli aspetti dei singoli casi, delle differenze tra i fattori che, secondo quanto viene parzialmente affermato e dimostrato, influiscono sui prezzi e quindi sulla loro comparabilità. (…)».

8        Ai sensi dell’art. 2, n. 11, del regolamento di base:

«Salve le disposizioni pertinenti relative all’equo confronto, l’esistenza di margini di dumping nel corso dell’inchiesta è di norma accettata in base al confronto tra la media ponderata del valore normale e la media ponderata dei prezzi di tutte le transazioni di esportazione nella Comunità oppure in base al confronto tra i singoli valori normali e i singoli prezzi all’esportazione nella Comunità per ogni operazione. Il valore normale determinato in base alla media ponderata può tuttavia essere confrontato con i prezzi delle singole operazioni di esportazione nella Comunità, se gli andamenti dei prezzi all’esportazione sono sensibilmente diversi in relazione a differenti acquirenti, regioni o periodi e se con i metodi specificati nella prima frase del presente paragrafo non è possibile valutare correttamente il margine di dumping. Il presente paragrafo non osta all’utilizzazione delle tecniche di campionamento in conformità dell’articolo 17».

9        Per quanto riguarda l’accertamento di un pregiudizio, l’art. 3, nn. 2, 3 e 6, del regolamento di base prevede quanto segue:

«2.      L’accertamento di un pregiudizio si basa su prove positive e implica un esame obiettivo a) del volume delle importazioni oggetto di dumping e dei loro effetti sui prezzi dei prodotti simili sul mercato comunitario, e b) dell’incidenza di tali importazioni sull’industria comunitaria.

3.      (...). Riguardo agli effetti sui prezzi si esamina se le importazioni oggetto di dumping sono state effettuate a prezzi sensibilmente inferiori a quelli dei prodotti simili dell’industria comunitaria oppure se tali importazioni hanno comunque l’effetto di deprimere notevolmente i prezzi o di impedire in misura notevole aumenti che altrimenti sarebbero intervenuti. Questi fattori, singolarmente o combinati, non costituiscono necessariamente una base di giudizio determinante.

(…)

6.      Deve essere dimostrato, in base a tutti gli elementi di prova, presentati in conformità con il paragrafo 2, che le importazioni oggetto di dumping causano pregiudizio ai sensi del presente regolamento. In particolare, occorre dimostrare che il volume e/o i prezzi individuati a norma del paragrafo 3 hanno sull’industria comunitaria gli effetti contemplati nel paragrafo 5 e che questa incidenza si manifesta in misura che può essere considerata grave».

10      Ai sensi dell’art. 9, n. 4, ultimo periodo, del regolamento di base, «[l]’importo del dazio antidumping non deve superare il margine di dumping accertato e dovrebbe essere inferiore a tale margine, qualora un importo inferiore sia sufficiente per eliminare il pregiudizio causato all’industria comunitaria».

11      Per quanto attiene alla tecnica consistente nel ricorso al campionamento, l’art. 17, nn. 1 e 3, del regolamento di base così dispone:

«1. Nei casi in cui il numero di denunzianti, esportatori o importatori, tipi di prodotto o operazioni è molto elevato, l’inchiesta può essere limitata ad un numero adeguato di parti, prodotti o operazioni con l’utilizzazione di campioni statisticamente validi, sulla base delle informazioni disponibili al momento della selezione, oppure al massimo volume rappresentativo della produzione, delle vendite o delle esportazioni che possa essere adeguatamente esaminato entro il periodo di tempo disponibile.

(…)

3. Qualora l’esame sia stato limitato ai sensi del presente articolo, viene comunque determinato un margine di dumping individuale per gli esportatori o i produttori non inseriti nella selezione iniziale che presentino le informazioni necessarie entro i termini fissati dal presente regolamento, a meno che il numero di esportatori o produttori sia talmente elevato da rendere l’esame dei singoli casi indebitamente gravoso e da impedire la tempestiva conclusione dell’inchiesta».

12      Ai sensi dell’art. 18, nn. 1, 3, 4 e 6, del regolamento di base:

«1. Qualora una parte interessata rifiuti l’accesso alle informazioni necessarie oppure non le comunichi entro i termini fissati dal presente regolamento oppure ostacoli gravemente l’inchiesta, possono essere elaborate conclusioni provvisorie o definitive, affermative o negative, in base ai dati disponibili. Se si accerta che una parte interessata ha fornito informazioni false o fuorvianti, non si tiene conto di tali informazioni e possono essere utilizzati i dati disponibili. Le parti interessate vengono informate delle conseguenze dell’omessa collaborazione.

(…)

3. Le informazioni presentate da una parte interessata che non sono perfettamente conformi alle condizioni richieste non devono essere disattese, a condizione che le eventuali carenze non siano tali da provocare eccessive difficoltà per l’elaborazione di conclusioni sufficientemente precise e che le informazioni siano state presentate correttamente entro i termini siano verificabili e la parte interessata abbia agito con la migliore diligenza.

4. Se le informazioni o gli elementi di prova non sono accettati, la parte che li ha forniti viene immediatamente informata del motivo e ha la possibilità di dare ulteriori spiegazioni entro il termine specificato. Se le spiegazioni non sono considerate soddisfacenti, i motivi che hanno giustificato il rifiuto degli elementi di prova o delle informazioni vengono resi noti ed indicati nelle conclusioni pubblicate.

(…)

6. L’esito dell’inchiesta per una parte interessata che non collabora oppure collabora solo in parte, impedendo in tal modo l’accesso ad informazioni pertinenti, può essere meno favorevole rispetto alle conclusioni che eventualmente sarebbero state raggiunte se la parte avesse collaborato».

13      Ai sensi dell’allegato II, punto 3, dell’accordo relativo all’applicazione dell’art. VI dell’accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio 1994 (GATT) (GU L 336, pag. 103; in prosieguo: il «codice antidumping 1994»), contenuto nell’allegato 1 A dell’Accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) (GU 1994, L 336, pag. 3):

«3. All’atto delle decisioni si deve tener conto di tutte le informazioni che siano verificabili, che siano state correttamente presentate e possano essere utilizzate nell’inchiesta senza indebite difficoltà, che siano state fornite in tempo utile e, se del caso, che siano state fornite sul supporto e nel linguaggio macchina richiesti dalle autorità (...)».

14      L’art. 20, nn. 1, 2, 4 e 5, del regolamento di base così dispone:

«1. I denunzianti, gli importatori, gli esportatori e le loro associazioni rappresentative e i rappresentanti del paese esportatore possono chiedere di essere informati degli elementi specifici dei principali fatti e considerazioni in base ai quali sono state istituite le misure provvisorie. Le domande di informazioni devono essere presentate per iscritto immediatamente dopo l’istituzione delle misure provvisorie e le informazioni sono comunicate il più rapidamente possibile per iscritto.

2. Le parti di cui al paragrafo 1 possono chiedere di essere informate dei principali fatti e considerazioni in base ai quali si intende raccomandare l’istituzione di misure definitive oppure la chiusura di un’inchiesta o di un procedimento senza l’istituzione di misure definitive, in particolare per quanto riguarda eventuali fatti e considerazioni diversi da quelli utilizzati per le misure provvisorie.

(…)

4. Le informazioni finali sono comunicate per iscritto. La trasmissione tiene debitamente conto dell’esigenza di tutelare le informazioni riservate, avviene il più rapidamente possibile e di norma entro un mese prima della decisione definitiva o della presentazione di qualsiasi proposta di atto definitivo, a norma dell’articolo 9, da parte della Commissione. Eventuali fatti e considerazioni che la Commissione non può comunicare al momento della risposta sono resi noti successivamente il più rapidamente possibile. La divulgazione delle informazioni non pregiudica qualsiasi eventuale decisione della Commissione o del Consiglio, ma, qualora tale decisione si basi su fatti o considerazioni diversi, questi sono comunicati il più rapidamente possibile.

5. Le osservazioni presentate dopo l’informazione finale sono prese in considerazione unicamente se sono ricevute entro un termine fissato dalla Commissione, per ciascun caso, in funzione dell’urgenza della questione e comunque non inferiore a dieci giorni».

 Fatti e regolamento impugnato

15      La ricorrente, la Sun Sang Kong Yuen Shoes Factory (Hui Yang) Corp. Ltd, è una società produttrice ed esportatrice di calzature con sede in Cina dal 2000.

16      Le importazioni di calzature provenienti dalla Cina rientranti in talune classi della nomenclatura combinata erano soggette al regime dei contingenti quantitativi scaduto il 1° gennaio 2005.

17      A seguito di una denuncia depositata il 30 maggio 2005 dalla Confederazione europea dell’industria calzaturiera (in prosieguo: la «CEC»), la Commissione delle Comunità europee ha aperto un procedimento antidumping riguardante le importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio originarie della Cina e del Vietnam. L’avviso di apertura di tale procedimento è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 7 luglio 2005 (GU C 166, pag. 14; in prosieguo: l’«avviso di apertura»).

18      Al punto 5.1, lett. a), dell’avviso di apertura, tenuto conto del considerevole numero di parti interessate, è stato previsto il ricorso a tecniche di campionamento, a norma dell’art. 17 del regolamento di base. Inoltre, al punto 5.1, lett. b), dell’avviso di apertura, la Commissione ha precisato che, per raccogliere le informazioni ritenute necessarie ai fini dell’inchiesta, avrebbe inviato questionari, in particolare, ai produttori/esportatori cinesi e vietnamiti rientranti nel campione, nonché alle autorità dei paesi esportatori interessati.

19      La ricorrente ha contattato la Commissione, il 23 e il 25 luglio 2005, e le ha fornito le informazioni richieste dal punto 5.1, lett. a), i), e lett. e) dell’avviso di apertura al fine di far parte del campione dei produttori/esportatori che tale istituzione intendeva costituire in applicazione dell’art. 17 del regolamento di base e di ottenere la concessione del TEM ovvero, in caso di mancata concessione, di beneficiare di un trattamento individuale (in prosieguo: il «TI»).

20      Poiché era stata selezionata a far parte del campione dei produttori/esportatori cinesi, la ricorrente è stata invitata a rispondere al questionario della Commissione entro il 12 settembre 2005, data in cui essa ha trasmesso la sua risposta al questionario.

21      La Commissione ha effettuato una visita di verifica presso la sede della ricorrente tra il 4 e il 7 ottobre 2005. Con messaggio di posta elettronica del 21 ottobre 2005, la ricorrente ha presentato alla Commissione un elenco definitivo delle sue vendite nel mercato comunitario, contenente ogni operazione.

22      Con telefax del 12 dicembre 2005, la Commissione ha comunicato alla ricorrente le sue osservazioni preliminari sulla domanda di TEM/TI di quest’ultima. In merito al criterio delle decisioni delle imprese (v. punto 4 supra), la Commissione ha rilevato, per quanto riguarda le vendite, che la ricorrente era tenuta, in applicazione del suo statuto e della sua licenza commerciale, ad esportare la totalità della sua produzione e che essa non aveva intrapreso alcuna azione finalizzata a modificare tale situazione. Ne conseguirebbe che la ricorrente era assoggettata a significative interferenze statali, le quali, mediante la sua licenza commerciale, limitavano la sua attività alla sola esportazione. Inoltre, sempre sullo stesso criterio, la Commissione ha rilevato che la ricorrente non poteva procedere al rimpatrio degli utili senza una previa autorizzazione amministrativa. Pertanto, e nonostante il fatto che la ricorrente soddisfacesse gli altri criteri di cui all’art. 2, n. 7, lett. c), del regolamento di base, la Commissione ha proposto di respingere la domanda di TEM di cui trattasi.

23      La Commissione ha invitato la ricorrente a trasmetterle i suoi eventuali commenti su tale documento entro il 19 dicembre 2005, data in cui essa ha comunicato le sue osservazioni. Relativamente all’esportazione della totalità della sua produzione, la ricorrente ha sottolineato che si trattava di una sua propria scelta basata su considerazioni di «convenienza amministrativa» relative al suo assoggettamento ad IVA nonché sulla circostanza secondo la quale i suoi prodotti erano destinati esclusivamente ai mercati comunitari e agli Stati Uniti. Inoltre, la ricorrente ha prodotto un certificato dell’ufficio del commercio estero e della cooperazione economica presso la circoscrizione di Hui Yang (città di Hui Zhou, in provincia di Guangdong, Cina), secondo il quale essa era libera di modificare il proprio statuto in merito alla destinazione della sua produzione, senza che le autorità cinesi impongano restrizioni a tale proposito. In merito al rimpatrio degli utili, la ricorrente ha sottolineato che la procedura di autorizzazione amministrativa era meramente formale, in quanto avrebbe ad oggetto unicamente il controllo della validità della documentazione pertinente, vale a dire quella riguardante la constatazione degli utili, il pagamento delle imposte relative, il fatto che l’amministrazione della società abbia effettivamente deciso la destinazione degli utili, ecc. Per comprovare le sue affermazioni, la ricorrente ha prodotto una circolare dell’amministrazione cinese nonché un parere giuridico recante precisazioni sull’applicazione della circolare in questione.

24      La Commissione ha risposto con telefax del 23 febbraio 2006, rifiutandosi di modificare la sua valutazione iniziale. Relativamente alla destinazione della produzione della ricorrente, la Commissione ha sottolineato che le osservazioni presentate non rimettevano in discussione il fatto che, durante il periodo dell’inchiesta, le era vietato vendere nel mercato cinese e che ogni cambiamento di tale situazione sarebbe stato soggetto alla previa autorizzazione dello Stato. In merito al rimpatrio degli utili la Commissione ha riconosciuto, alla luce dei chiarimenti della ricorrente a tale proposito, che la procedura amministrativa ad esso relativa non implicava significative interferenze statali ai sensi dell’art. 2, n. 7, lett. c), del regolamento di base. Tuttavia, tenuto conto delle constatazioni relative alla destinazione della produzione della ricorrente, la Commissione ha continuato a sostenere che quest’ultima non soddisfaceva il criterio in questione. Di conseguenza, non le è stato concesso il TEM.

25      Con telefax del 24 febbraio 2006, la Commissione ha informato la ricorrente del fatto che le era stato impossibile stabilire un campione rappresentativo di transazioni relative a vendite sul mercato comunitario al fine di calcolare il prezzo all’esportazione nonché il prezzo CIF, franco frontiera comunitaria. Tale impossibilità sarebbe stata dovuta al fatto che i dati dell’elenco contenente ogni operazione di vendita della ricorrente sul mercato comunitario, fornito da quest’ultima, erano sostanzialmente sovrastimati rispetto alle cifre totali effettive, circostanza che sarebbe stata confermata dalla ricorrente. Pertanto, i margini di dumping sarebbero stati calcolati in base ai dati disponibili ai sensi dell’art. 18 del regolamento di base.

26      La Commissione ha invitato la ricorrente a trasmetterle i suoi eventuali commenti su tale documento entro il 6 marzo 2006, data in cui quest’ultima ha formulato le sue osservazioni. A tale proposito, la ricorrente ha sottolineato che le censure della Commissione erano formulate in modo talmente vago da non renderle comprensibile in cosa consistesse la sovrastima in questione. Inoltre, la ricorrente non avrebbe mai confermato l’esistenza di una sovrastima, avrebbe in diverse occasioni chiarito che le sue esportazioni venivano effettuate mediante società commerciali indipendenti e che pertanto, in ogni caso, era impossibile conoscere la destinazione finale del prodotto. In aggiunta, tutte le vendite della ricorrente sarebbero effettuate franco fabbrica, di modo che essa non disporrebbe dei dati relativi al prezzo CIF, franco frontiera comunitaria. La Commissione non avrebbe sollevato irregolarità durante la visita di verifica presso la sede della ricorrente né avrebbe contestato la correttezza dei dati raccolti. La ricorrente si è pertanto opposta all’applicazione dell’art. 18 del regolamento di base ai fini del calcolo del prezzo all’esportazione o del margine di dumping.

27      In data 23 marzo 2006 la Commissione ha adottato il regolamento (CE) n. 553 che istituisce un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio originarie della Repubblica popolare cinese e del Vietnam (GU L 98, pag. 3; in prosieguo: il «regolamento provvisorio»).

28      Ai sensi del nono ‘considerando’ del regolamento provvisorio, l’inchiesta relativa al dumping e al pregiudizio ha riguardato il periodo compreso tra il 1° aprile 2004 e il 31 marzo 2005 (in prosieguo: il «periodo dell’inchiesta»). L’esame degli elementi utili all’accertamento del pregiudizio ha riguardato il periodo compreso tra il 1° gennaio 2001 e il 31 marzo 2005 (in prosieguo: il «periodo considerato»).

29      Vista la necessità di determinare il valore normale relativo ai prodotti dei produttori/esportatori cinesi e vietnamiti ai quali potrebbe non essere concesso il TEM, presso le sedi di tre società brasiliane è stata eseguita una visita di verifica diretta a determinare il valore normale sulla base dei dati relativi a un paese analogo, nella fattispecie la Repubblica federale del Brasile (ottavo ‘considerando’ del regolamento provvisorio).

30      Per quanto riguarda il prodotto in esame, dai ‘considerando’ 10, 11, 40 e 41 del regolamento provvisorio risulta che esso comprende essenzialmente i sandali, gli stivali, le calzature urbane e le scarpe da città, fabbricati tutti con tomaie di cuoio naturale o ricostituito. Inoltre, dai ‘considerando’ da 12 a 31 del regolamento provvisorio risulta che la Commissione ha espunto dalla definizione del prodotto in esame le calzature sportive con tecnologie speciali (Special Technology Athletic Footwear) e che vi ha incluso le calzature per bambini.

31      Per quanto riguarda il prodotto simile, la Commissione ha sostenuto, al ‘considerando’ 46 del regolamento provvisorio, che il prodotto in esame e le calzature con tomaie di cuoio fabbricate in Cina e in Vietnam e vendute sul loro mercato interno, così come le calzature con tomaie di cuoio prodotte e vendute sul mercato della Comunità europea dall’industria comunitaria, erano simili per quanto riguarda le loro caratteristiche fisiche e tecniche di base e erano percepite dagli utilizzatori come interscambiabili. Pertanto, secondo il ‘considerando’ 52 del regolamento provvisorio, tutti i tipi di calzature con tomaie di cuoio naturale o ricostituito prodotti e venduti nei paesi in questione e in Brasile, così come quelli prodotti e venduti dall’industria comunitaria sul mercato della Comunità, erano simili ai tipi esportati dai paesi in questione nella Comunità.

32      Risulta dal ‘considerando’ 57 del regolamento provvisorio che, nell’ambito della determinazione del dumping, la Commissione ha applicato la tecnica del campionamento. A tal fine, essa ha selezionato un campione di tredici produttori/esportatori cinesi, rappresentanti più del 20% del volume delle esportazioni cinesi nella Comunità. Ai sensi dell’ottavo ‘considerando’, lett. c), del regolamento provvisorio, la ricorrente costituisce l’undicesima società nell’elenco dei produttori/esportatori cinesi facenti parte del campione.

33      Ai sensi del ‘considerando’ 69 del regolamento provvisorio, la ricorrente non ha ottenuto il TEM in quanto non soddisfaceva il primo criterio, relativo alla possibilità di prendere decisioni senza significative interferenze statali (v. punti 22-24 supra).

34      Relativamente alla domanda di TI, la Commissione ha rilevato, al ‘considerando’ 94 del regolamento provvisorio, che l’obbligo in capo ad un’impresa di esportare in tutto o in parte la propria produzione, implicava anche che essa non soddisfaceva i requisiti stabiliti all’art. 9, n. 5, lett. b), del regolamento di base (v. punto 5 supra).

35      Relativamente al prezzo all’esportazione, la Commissione ha indicato, al ‘considerando’ 130 del regolamento provvisorio, che, laddove le vendite per l’esportazione nella Comunità venivano effettuate tramite società commerciali indipendenti, esso è stato calcolato in base ai prezzi del prodotto venduto per l’esportazione alle società commerciali dai produttori in questione, in conformità con l’art. 2, n. 9, del regolamento di base (v. punto 6 supra).

36      Ai sensi del ‘considerando’ 131 del regolamento provvisorio il confronto tra il valore normale e il prezzo all’esportazione è stato effettuato allo stadio franco fabbrica. Ai fini di un equo confronto, a norma dell’art. 2, n. 10, del regolamento di base, si è tenuto debitamente conto, in forma di adeguamenti, delle differenze che incidono sui prezzi e sulla loro comparabilità (‘considerando’ 132 del regolamento provvisorio).

37      Relativamente al pregiudizio, la Commissione ha esaminato, in particolare, la sottoquotazione dei prezzi all’importazione. A tal fine, i prezzi all’importazione CIF franco frontiera comunitaria, dazio corrisposto, sono stati incrementati per tener conto delle spese a carico degli importatori nella Comunità, come quelle relative alla concezione, alla selezione delle materie prime, ecc., e sono stati confrontati con i prezzi dell’industria comunitaria allo stadio franco fabbrica e allo stesso stadio commerciale. Tale confronto ha dato luogo ad un margine di sottoquotazione del 12,8% per le calzature di origine cinese (‘considerando’ 167 e 168 del regolamento provvisorio).

38      Con lettera datata 7 aprile 2006 la Commissione ha trasmesso alla ricorrente, a norma degli artt. 14, n. 2, e 20, n. 1, del regolamento di base, rispettivamente, una copia del regolamento provvisorio e un documento contenente informazioni sugli elementi specifici dei principali fatti e considerazioni in base ai quali sono stati imposti dazi antidumping provvisori (in prosieguo: il «documento informativo intermedio»). La Commissione ha invitato la ricorrente a trasmetterle le sue eventuali osservazioni in ordine a tali documenti entro l’8 maggio 2006.

39      Con messaggio di posta elettronica del 27 aprile 2006, la ricorrente ha lamentato il carattere lacunoso delle informazioni contenute nel documento informativo intermedio, ponendo l’accento sui dati relativi all’adeguamento dei prezzi ai fini del calcolo del dumping e della sottoquotazione. La ricorrente ha reiterato tali censure nelle sue osservazioni scritte presentate l’8 maggio 2006.

40      Con messaggio di posta elettronica del 16 maggio 2006, la ricorrente ha evidenziato, in particolare, che l’adeguamento del suo prezzo all’esportazione del 15% a titolo delle spese di ricerca e sviluppo era inferiore alle spese effettivamente sostenute a tal fine, in quanto non erano presi in considerazione le spese e i margini di profitto notevoli delle società commerciali, con l’intermediazione delle quali taluni produttori cinesi immettono la propria produzione sul mercato comunitario.

41      Con telefax del 7 luglio 2006 la Commissione ha trasmesso alla ricorrente, a norma dell’art. 20, nn. 2-4, del regolamento di base, un documento informativo finale in merito ai principali fatti e considerazioni posti a base della proposta di imporre dazi antidumping definitivi.

42      Al titolo H di tale documento, la Commissione ha esposto le sue considerazioni relativamente alle misure antidumping definitive da proporre al Consiglio dell’Unione europea. Per quanto attiene alla tipologia delle misure, la Commissione ha illustrato, in primo luogo, che gli impegni dei produttori a non vendere a un prezzo inferiore a quello che avrebbe eliminato il grave pregiudizio che avrebbe subito l’industria comunitaria non costituivano misure adeguate e, in secondo luogo, che occorreva applicare un sistema di dazio differito (punti 278-291 del documento informativo finale).

43      Per quanto attiene al sistema di dazio differito, la Commissione ha osservato che il volume delle importazioni aveva avuto un grave effetto pregiudizievole sull’industria comunitaria a partire dal 1° gennaio 2005, data di scadenza del regime dei contingenti (v. punto 16 supra). Infatti, nei primi tre mesi del 2005, compresi nel periodo dell’inchiesta (v. punto 28 supra), l’industria comunitaria avrebbe conosciuto, in misura proporzionale, il declino più marcato nel corso del periodo considerato relativamente a vari indicatori economici, quali redditività, prezzi di vendita, quote di mercato, vendite, occupazione e produzione. In tale contesto, la Commissione ha riservato un’attenzione particolare all’elemento quantitativo delle pratiche di dumping nella determinazione dell’esistenza di un pregiudizio. Essa ha ritenuto, quindi, che soltanto le importazioni eccedenti un certo volume avrebbero causato un pregiudizio e che, pertanto, un intervento sotto forma di dazio ad valorem non sarebbe stato necessario al fine di ripristinare una situazione di concorrenza leale. Pertanto, dazi antidumping dovrebbero essere applicati esclusivamente alle quantità di prodotti importati che oltrepassano un determinato volume annuale. Nel caso di specie, un siffatto sistema di dazio differito sarebbe adeguato ai fini dell’eliminazione del pregiudizio in quanto esso prenderebbe in considerazione gli effetti del regime dei contingenti e bilancerebbe gli interessi delle parti interessate. Pertanto, i dazi antidumping proposti dovrebbero essere applicati alle importazioni effettuate oltre la soglia di 140 milioni di paia di calzature per anno provenienti dalla Cina. Tale volume rifletteva la valutazione della Commissione sulle importazioni dalla Cina nel 2005, tenendo conto delle quantità importate nel 2004 (punti 285-287 e 291 del documento informativo finale).

44      Di conseguenza, la Commissione ha proposto l’imposizione di un dazio antidumping definitivo, pari al margine di eliminazione del pregiudizio, sulle importazioni eccedenti i 140 milioni di paia di calzature per anno originarie della Cina. Tale margine era stabilito a livello della sottoquotazione dei prezzi di riferimento, vale a dire al 23% (punto 293 del documento informativo finale).

45      La Commissione ha invitato la ricorrente a trasmetterle le sue osservazioni sul documento informativo finale entro il 17 luglio 2006.

46      Con lettera 13 luglio 2006, la ricorrente ha trasmesso alla Commissione copia della sua licenza commerciale nonché della decisione di modifica del suo scopo statutario, secondo la quale i suoi prodotti sarebbero ormai destinati sia all’esportazione sia al mercato cinese. Con lettera del 22 agosto 2006, la Commissione si è rifiutata di riesaminare la questione della concessione del TEM in quanto il termine impartito a tal fine era scaduto.

47      Con lettera datata 28 luglio 2006 la Commissione ha trasmesso alla ricorrente un documento informativo finale aggiuntivo. Dai primi due paragrafi di tale documento si ricava che esso aveva lo scopo di informare le parti interessate di un cambiamento nei confronti della configurazione dei dazi antidumping definitivi che sarebbero stati proposti. La direzione generale (DG) «Commercio» della Commissione avrebbe esaminato le osservazioni formulate da talune parti interessate in merito al sistema di dazio differito previsto inizialmente (v. punti 42-44 supra). Mediante tale documento la Commissione ha rinunciato a un siffatto sistema. Nel contesto del suo nuovo approccio, la Commissione ha sottolineato che l’aumento effettivamente pregiudizievole delle importazioni era avvenuto nel 2004, protraendosi per tutto il periodo dell’inchiesta, e che il 2005 era stato il primo anno nel quale le importazioni di calzature provenienti dalla Cina non erano più soggette al regime dei contingenti. Inoltre, la Commissione ha fissato un volume di importazioni non recante pregiudizio sulla base delle importazioni originarie della Cina e del Vietnam nel 2003, vale a dire 109 milioni di paia di calzature. Conformemente a questa nuova impostazione, nella determinazione del livello di eliminazione del pregiudizio si doveva tener conto dell’impatto economico di tale volume. Quindi, da un lato, il livello di eliminazione del pregiudizio è stato ridotto al fine di tener conto del volume di importazioni non recanti pregiudizio e, dall’altro, i dazi definitivi sono stati applicati a partire dal primo paio importato. Secondo tale metodo, che prevedeva quattro fasi presentate in tale documento, la Commissione sulla base della «regola del dazio inferiore» ha disposto, per le importazioni provenienti dalla Cina, l’istituzione di un dazio antidumping definitivo pari al livello richiesto ai fini dell’eliminazione del pregiudizio, nella fattispecie il 16,5%.

48      Ai fini della formalizzazione di tale nuova proposta, la Commissione ha allegato alla lettera del 28 luglio 2006 i punti che dovevano figurare nel nuovo titolo H del documento informativo finale in sostituzione di quelli presenti al corrispondente titolo di quest’ultimo (v. punto 42 supra). Ai punti 278 e 279 contenuti nel nuovo titolo H del documento informativo finale, la Commissione ha affermato che unicamente le importazioni superiori a un determinato volume precedenti alla scadenza del regime dei contingenti potevano causare un pregiudizio significativo, pertanto, nell’ambito della determinazione del livello di eliminazione del pregiudizio sulla base dei risultati del periodo dell’inchiesta, si doveva considerare il fatto che alcune quantità importate non avevano causato pregiudizio. Di conseguenza, per la determinazione del livello di eliminazione del pregiudizio dovevano essere prese in considerazione le quantità che non causavano un grave pregiudizio. Al punto 280 del medesimo documento, la Commissione ha illustrato il metodo che era stato utilizzato.

49      Il 2 agosto 2006 la ricorrente ha comunicato le sue osservazioni sul documento informativo finale aggiuntivo.

50      In data 5 ottobre 2006 il Consiglio ha adottato il regolamento (CE) n. 1472 che istituisce un dazio antidumping definitivo e dispone la riscossione definitiva dei dazi provvisori istituiti sulle importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio originarie della Repubblica popolare cinese e del Vietnam (GU L 275, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento impugnato»). Ai sensi del regolamento impugnato, il Consiglio ha introdotto un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di calzature con tomaie di cuoio naturale o ricostituito, ad esclusione delle calzature per lo sport, delle calzature contenenti una tecnologia speciale, delle pantofole ed altre calzature da camera e delle calzature con puntale protettivo, originarie della Cina e classificate in molti codici della nomenclatura combinata (art. 1 del regolamento impugnato). L’aliquota del dazio antidumping definitivo, applicabile al prezzo netto franco frontiera comunitaria, dazio non corrisposto, è stata fissata, per le calzature prodotte dalla ricorrente, al 16,5%. Ai sensi dell’art. 3 del regolamento impugnato, quest’ultimo restava in vigore per un periodo di due anni.

51      Per quanto riguarda la definizione di prodotto simile, il Consiglio ha confermato, ai ‘considerando’ 40 e 41 del regolamento impugnato, le valutazioni formulate dalla Commissione al ‘considerando’ 52 del regolamento provvisorio (v. punto 31 supra).

52      Ai sensi del ‘considerando’ 77 del regolamento impugnato la presentazione, da parte di due produttori/esportatori cinesi di statuti modificati, in cui non figuravano più le restrizioni alle vendite, è avvenuta troppo tardi per essere presa in considerazione. Infatti, non sarebbe rimasto tempo a sufficienza per procedere alla verifica di cui all’art. 16, n. 1, del regolamento di base. In ogni caso, tali restrizioni non sarebbero state l’unico motivo per cui tali società non avevano ottenuto il TEM.

53      Quindi, il rifiuto contenuto nel regolamento provvisorio avente ad oggetto la concessione del TEM alla ricorrente è stato confermato nel ‘considerando’ 78 del regolamento impugnato.

54      Per quanto riguarda la domanda di TI, il Consiglio ha confermato, al ‘considerando’ 83 del regolamento impugnato, il rifiuto opposto dalla Commissione nel ‘considerando’ 94 del regolamento provvisorio (v. punto 34 supra).

55      Per quanto riguarda il prezzo all’esportazione e il suo confronto con il valore normale, il Consiglio ha confermato, nei ‘considerando’ 123 e 138 del regolamento impugnato, le valutazioni della Commissione illustrate nei ‘considerando’ 128-133 del regolamento provvisorio (v. punti 35 e 36 supra).

56      Per quanto riguarda il livello necessario di dazi ai fini dell’eliminazione del pregiudizio causato dalle importazioni provenienti dalla Cina, ai ‘considerando’ 296-301 del regolamento impugnato, riprendendo i punti 275-280 contenuti nel nuovo titolo H del documento informativo finale e allegati al documento informativo finale aggiuntivo (v. punto 47 supra), il Consiglio ha affermato che occorreva tener conto delle particolarità del presente procedimento e, segnatamente, dell’esistenza del regime dei contingenti fino al 1° gennaio 2005. Poiché il regime dei contingenti ha impedito all’industria comunitaria di subire un grave pregiudizio, mentre l’aumento delle importazioni successivo alla scadenza di tale regime avrebbe avuto un effetto particolarmente negativo, il Consiglio ha ritenuto che soltanto le importazioni superiori a un determinato volume precedenti alla soppressione del regime dei contingenti potessero causare un grave pregiudizio. Di conseguenza, la soglia di pregiudizio, stabilita sulla base dei risultati del periodo dell’inchiesta, doveva prendere in considerazione il fatto che taluni volumi di importazioni non avevano causato un pregiudizio significativo. Per le importazioni provenienti dalla Cina, tale operazione, basata sul valore dei volumi importati nel 2003, ha portato a una soglia di pregiudizio del 16,5% in luogo della soglia del 23% che sarebbe stata applicata, secondo il ‘considerando’ 295 del regolamento impugnato, se il Consiglio non avesse tenuto conto delle particolarità della presente controversia.

 Procedimento e conclusioni delle parti

57      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 21 dicembre 2006, la ricorrente ha proposto il presente ricorso.

58      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 2 aprile 2007, la Commissione ha chiesto di intervenire nella presente causa a sostegno delle conclusioni del Consiglio. Con lettera 4 ottobre 2007, la Commissione ha informato il Tribunale che rinunciava a depositare una memoria di intervento, ma che avrebbe partecipato all’udienza.

59      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 5 aprile 2007, la CEC ha chiesto di intervenire nella presente causa a sostegno delle conclusioni del Consiglio.

60      Con atti depositati presso la cancelleria del Tribunale il 13 aprile 2007, la Provincia di Ascoli Piceno, il Comune di Monte Urano, la BA.LA. di Lanciotti Vittorio & C. Sas e altri sedici intervenienti i cui nomi figurano in allegato (in prosieguo: i «produttori italiani») hanno chiesto di intervenire nella presente causa a sostegno delle conclusioni del Consiglio.

61      Con ordinanza 4 settembre 2007 il presidente della Seconda Sezione del Tribunale ha accolto le istanze di intervento presentate dalla Commissione e dalla CEC nonché dai produttori italiani. Sono state respinte, al contrario, le istanze della Provincia di Ascoli Piceno e del Comune di Monte Urano.

62      Poiché la composizione delle sezioni del Tribunale è stata modificata, il giudice relatore è stato assegnato all’Ottava Sezione, alla quale, di conseguenza, è stata attribuita la presente causa.

63      Ai sensi dell’art. 57, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia, con atto introduttivo depositato presso la cancelleria della Corte il 4 ottobre 2007, la Provincia di Ascoli Piceno e il Comune di Monte Urano hanno proposto impugnazione chiedendo l’annullamento dell’ordinanza 4 settembre 2007 nella parte in cui il Tribunale respinge le loro istanze di intervento. Con ordinanza 25 gennaio 2008, causa C‑461/07 P(I), Provincia di Ascoli Piceno e Comune di Monte Urano/Consiglio, il presidente della Corte ha respinto detta impugnazione.

64      La CEC e i produttori italiani hanno depositato le loro memorie di intervento rispettivamente il 15 e il 18 ottobre 2007.

65      Su relazione del giudice relatore, il Tribunale ha deciso di passare alla fase orale e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento, ha invitato la ricorrente, il Consiglio e la Commissione, a rispondere per iscritto a diversi quesiti.

66      Con lettere pervenute il 2 febbraio 2009 le parti hanno ottemperato alle misure di organizzazione del procedimento adottate dal Tribunale.

67      Con lettera 17 febbraio 2009, il Consiglio ha presentato una domanda diretta a ottenere lo stralcio dal fascicolo di talune parti delle risposte della ricorrente relative al secondo motivo, nonché i documenti ad essa allegati, in ragione del fatto che dette risposte non avevano alcun nesso con i quesiti posti e costituivano nuovi motivi.

68      Le parti hanno svolto le loro difese orali e hanno risposto ai quesiti loro posti dal Tribunale all’udienza del 18 febbraio 2009.

69      In udienza, il Tribunale ha invitato la ricorrente a produrre un documento e a fornire un’informazione per iscritto. La ricorrente ha ottemperato a tali domande con lettera del 25 febbraio 2009.

70      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare il regolamento impugnato nella parte in cui la riguarda;

–        condannare il Consiglio alle spese.

71      Il Consiglio chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso in quanto irricevibile o infondato;

–        condannare la ricorrente alle spese.

72      La Commissione conclude che il Tribunale voglia respingere il ricorso.

73      La CEC e i produttori italiani chiedono che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

 In diritto

74      A sostegno delle sue conclusioni, la ricorrente deduce sei motivi riguardanti, rispettivamente:

–        la violazione dell’art. 2, n. 7, lett. c), del regolamento di base;

–        la violazione dell’art. 18 del regolamento di base;

–        la violazione dell’art. 3 del regolamento di base;

–        la violazione dell’art. 20 del regolamento di base, la violazione dei diritti della difesa e un difetto di motivazione riguardante il pregiudizio subito dall’industria comunitaria;

–        un errore di diritto e un errore manifesto di valutazione riguardante il pregiudizio subito dall’industria comunitaria;

–        la violazione dell’art. 2, n. 10, del regolamento di base e un errore manifesto di valutazione riguardante il confronto tra il prezzo all’esportazione e il valore normale.

 Sul primo motivo, attinente alla violazione dell’art. 2, n. 7, lett. c), del regolamento di base

 Argomenti delle parti

75      La ricorrente contesta la valutazione della Commissione secondo la quale essa non soddisfaceva il primo criterio enunciato nell’art. 2, n. 7, lett. c), del regolamento di base. Essa sottolinea a tale proposito che le prove documentali fornite nel corso della procedura amministrativa dimostrano che essa era libera di decidere in merito alla commercializzazione dei suoi prodotti sul mercato nazionale o all’esportazione degli stessi. Infatti, l’obbligo di presentare una domanda per ottenere una licenza commerciale e per modificarla sussisterebbe ai fini della registrazione e non dimostrerebbe dunque l’esistenza di significative interferenze statali ai sensi dell’art. 2, n. 7, lett. c), del regolamento di base. Inoltre, la ricorrente avrebbe spiegato alla Commissione che la destinazione della totalità della sua produzione all’esportazione era una sua scelta commerciale (v. punti 22 e 23 supra).

76      La Commissione avrebbe, inoltre, violato segnatamente il principio di parità di trattamento concedendo il TEM ad un’altra società inclusa nel campione, la Foshan City Nanhai Golden Step Industrial Co., Ltd (in prosieguo: la «Golden Step»), allorché nulla giustificherebbe tale disparità di trattamento.

77      La ricorrente rammenta di aver fornito alla Commissione, il 13 luglio 2006, vale a dire prima della scadenza del termine prescritto per formulare osservazioni sul documento informativo finale, le stesse prove che aveva prodotto la Golden Step, cioè una copia della sua licenza commerciale e del suo statuto modificato, atti a dimostrare che essa non era più soggetta ad un obbligo di esportazione (v. punto 46 supra). Il rifiuto da parte della Commissione di esaminare tali prove costituirebbe una violazione dell’art. 20, n. 5, del regolamento di base nonché dei principi di buona amministrazione e di parità di trattamento, dal momento che anche la Golden Step avrebbe prodotto elementi di prova dopo la scadenza del termine stabilito per formulare commenti sul documento informativo intermedio (v. punto 38 supra). Inoltre, il regolamento di base non prevedrebbe alcun termine per presentare prove relative a cambiamenti di circostanze. In aggiunta, la Commissione non avrebbe rispettato il termine di tre mesi di cui all’art. 2, n. 7, lett. c), del regolamento di base per pronunciarsi sulla domanda di TEM della ricorrente.

78      La valutazione formulata nel ‘considerando’ 77 del regolamento impugnato, secondo la quale l’omesso esame delle informazioni di cui trattasi era dovuto all’impossibilità di procedere alla verifica di cui all’art. 16, n. 1, del regolamento di base (v. punto 52 supra), sarebbe errata. Infatti, in primo luogo, sarebbero trascorsi più di tre mesi tra il 13 luglio (data in cui sono state prodotte ulteriori prove) e il 5 ottobre 2006 (data di adozione del regolamento impugnato); in secondo luogo, non sarebbe stata effettuata alcuna verifica delle prove, della stessa natura, prodotte dalla Golden Step; in terzo luogo, la ricorrente sarebbe stata informata del fatto che la Commissione era disposta a ricevere prove ulteriori solo il 7 luglio 2006 e, in quarto luogo, la ricorrente avrebbe prodotto gli elementi probatori di cui trattasi precisamente in risposta alle constatazioni effettuate durante una visita di verifica. Emergerebbe peraltro dalla giurisprudenza che la Commissione dispone di un margine discrezionale nel decidere se prendere in considerazione elementi comunicati successivamente alla scadenza dei termini impartiti.

79      Anche supponendo che la ricorrente avrebbe dovuto ottenere il TEM, non può essere accolto l’argomento secondo il quale il termine di cui disponeva la Commissione era insufficiente per procedere al calcolo del valore normale. Infatti, tale considerazione non potrebbe giustificare, alla luce dell’art. 2, n. 7, lett. c), del regolamento di base, il rifiuto di concedere tale status. Inoltre, i dati relativi ai costi di produzione della ricorrente sarebbero già stati forniti nell’ambito del formulario antidumping e sarebbero stati esaminati durante la verifica presso il produttore effettuata dalla Commissione. Inoltre, come rilevato al punto 78 supra, sarebbero trascorsi tre mesi tra il momento in cui sono state presentate le ultime informazioni sulla destinazione della produzione della ricorrente e l’adozione del regolamento impugnato.

80      La ricorrente contesta l’argomento del Consiglio secondo il quale il rigetto del secondo motivo implicherebbe il rigetto del primo. Infatti, anche se era stato constatato che essa non aveva collaborato ai fini del calcolo del prezzo all’esportazione, si poteva calcolare il valore normale in base agli elementi derivanti dalla sua propria contabilità, in modo da stabilire un margine di dumping individuale per la ricorrente. Inoltre, la ricorrente avrebbe, incontestabilmente, fornito tutte le informazioni richiestele, e quindi non può essere applicato l’art. 18, n. 6. Quest’ultima disposizione sortirebbe l’effetto di privare un operatore che disponga di informazioni pertinenti della possibilità di contestare il fatto che la sua omessa collaborazione abbia implicato conseguenze sfavorevoli nei suoi confronti. Pertanto, non sussistono disposizioni o prassi atte a privare la ricorrente del TEM qualora essa soddisfi i requisiti per beneficiarne.

81      Ne conseguirebbe che la decisione della Commissione con cui essa nega il TEM alla ricorrente è viziata da un errore manifesto di valutazione e viola, pertanto, l’art. 2, n. 7, lett. c), del regolamento di base.

82      Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, contesta gli argomenti della ricorrente.

 Giudizio del Tribunale

83      Emerge dal ‘considerando’ 125 del regolamento impugnato che «[p]er le società del campione che non soddisfacevano i criteri per ottenere il [TEM], è stata calcolata una media ponderata dei margini di dumping», che «questa media ponderata dei margini di dumping si applica alle società che hanno collaborato all’inchiesta e che non figurano nel campione», e che, «[p]oiché vi è stata una notevole collaborazione, lo stesso margine di dumping è stato applicato anche a tutti gli altri produttori/esportatori cinesi». Inoltre, il Consiglio ha indicato, al ‘considerando’ 146 del regolamento impugnato, che «il livello di collaborazione è stato alto e di conseguenza, in base a una prassi consolidata, si è ritenuto opportuno fissare il margine di dumping dei produttori/esportatori che non hanno collaborato al livello della media ponderata dei margini di dumping calcolati per i produttori esportatori dei paesi interessati che [non] hanno collaborato e che sono inseriti nel campione». Emerge quindi dal combinato disposto di tali norme, la cui legittimità non è stata contestata dinanzi al Tribunale, che, qualora la ricorrente avesse ottenuto il TEM, ma si fosse ritenuto che essa non aveva collaborato, le istituzioni le avrebbero in ogni caso attribuito la media ponderata dei margini di dumping stabilita per i produttori/esportatori rientranti nel campione, a motivo della sua omessa collaborazione. Ne consegue che, anche supponendo che le istituzioni abbiano ingiustamente rifiutato di accordare il TEM alla ricorrente, tale errore non può influire in modo determinante sul risultato se il Tribunale dovesse confermare la valutazione delle istituzioni secondo la quale la ricorrente non ha collaborato all’inchiesta. Di conseguenza, se il Tribunale dovesse respingere il secondo motivo rimettendo in discussione la valutazione delle istituzioni a tale proposito, un errore commesso eventualmente dalle istituzioni sulla concessione del TEM non potrebbe avere un’influenza determinante sul margine di dumping applicato alla ricorrente e non potrebbe, pertanto, bastare a giustificare l’annullamento del regolamento impugnato (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 14 maggio 2002, causa T‑126/99, Graphischer Maschinenbau/Commissione, Racc. pag. II‑2427, punto 49).

84      Si deve dunque anzitutto esaminare il secondo motivo.

 Sul secondo motivo, attinente alla violazione dell’art. 18 del regolamento di base

 Argomenti delle parti

85      La ricorrente sostiene che la Commissione non abbia applicato correttamente l’art. 18, n. 1, del regolamento di base, in combinato disposto con l’allegato II, punto 3, del codice antidumping 1994 (v. punti 12 e 13 supra). Infatti, come avrebbe chiarito la ricorrente nella lettera del 6 marzo 2006 (v. punto 26 supra), il ragionamento seguito dalla Commissione nella sua comunicazione del 24 febbraio 2006 (v. punto 25 supra) non giustificherebbe l’applicazione di tale disposizione. La Commissione avrebbe, pertanto, violato parimenti l’art. 18, nn. 3 e 4, del regolamento di base.

86      Relativamente a tali ultime disposizioni, la ricorrente sottolinea che la Commissione non avrebbe rispettato i criteri da esse imposti, in quanto l’avrebbe informata oltre quattro mesi dopo la visita di verifica in sede, dell’inattendibilità dell’elenco contenente ogni sua operazione di vendita sul mercato comunitario, elenco che essa aveva fornito durante tale visita.

87      La risposta iniziale al formulario antidumping, consegnata dalla ricorrente il 12 settembre 2005, mostrerebbe le esportazioni effettuate durante il periodo dell’inchiesta destinate al mercato comunitario, pari a [riservato] (1) paia di calzature. Si tratterebbe della cifra corretta accettata dalla Commissione durante la visita di verifica. La differenza tra tale cifra e quella di [riservato] paia di calzature esportate, indicata nel documento trasmesso dalla ricorrente il 19 settembre 2005, emergerebbe, in primo luogo, dall’inclusione, in quest’ultima, del numero di [riservato] paia di calzature non destinate al mercato comunitario, in secondo luogo, dal fatto che la ricorrente non conosceva la destinazione finale della totalità della sua produzione, in quanto essa esporta con l’intermediazione di società commerciali indipendenti e, in terzo luogo, dall’inclusione, in detto elenco, delle vendite di calzature non rientranti nella definizione del prodotto interessato.

88      A seguito di diverse verifiche volte a definire, molto probabilmente, la destinazione finale delle esportazioni pertinenti e ad escludere le vendite di prodotti diverse da quelle del prodotto interessato, la ricorrente avrebbe prodotto un elenco definitivo il 21 ottobre 2005, vale a dire prima della scadenza del termine prescritto per comunicare elementi corretti successivamente alla visita di verifica.

89      Relativamente allo svolgimento di tale visita, gli agenti della Commissione avrebbero costituito, il primo giorno, un campione di 21 operazioni (di cui 12 riguardavano il prodotto interessato) e avrebbero esaminato, il giorno seguente, i documenti ad esse relativi. Inoltre, essi avrebbero scelto 13 operazioni relative a vendite all’esportazione verso il mercato comunitario al fine di verificare i prezzi all’esportazione sulla base dei documenti che le riguardavano. I prezzi all’esportazione verificati sarebbero risultati corretti. Non sarebbe dunque corretta l’affermazione del Consiglio secondo la quale gli agenti della Commissione non hanno potuto costituire e verificare un campione di operazioni durante la visita. In aggiunta, emergerebbe da quanto precede, che non era necessario effettuare alcuna verifica a seguito della trasmissione dell’elenco definitivo del 21 ottobre 2005 (v. punti 21 e 88 supra), in quanto tale documento si limiterebbe a dedurre le vendite non destinate al mercato comunitario nonché quelle di prodotti non rientranti nella definizione del prodotto interessato, vale a dire elementi non pertinenti, senza apportare alcuna aggiunta. Pertanto, la verifica non sarebbe stata in alcun modo viziata.

90      In ogni caso, contrariamente a quanto sostenuto dal Consiglio, la ricorrente non avrebbe violato alcuna disposizione del regolamento di base nel trasmettere l’elenco definitivo il 21 ottobre 2005. Anche volendo supporre che i fatti addotti dal Consiglio possano dare luogo all’applicazione dell’art. 18, n. 1, del regolamento di base (quod non), non sussisterebbe alcun motivo per cui la Commissione non utilizzi i prezzi all’esportazione (unici elementi pertinenti) verificati in sede e non contestati, dal momento che le censure del Consiglio riguarderebbero unicamente i volumi di calzature esportate. Tali prezzi costituirebbero per la Commissione i dati disponibili di cui all’art. 18, n. 1, del regolamento di base.

91      Inoltre, la Commissione non avrebbe risposto alle osservazioni formulate dalla ricorrente nella sua lettera del 6 marzo 2006 né avrebbe illustrato la sua posizione in merito alle spiegazioni fornite durante la visita di verifica, le quali avrebbero consentito di chiarire tutte le differenze, di confermare tutti i dati relativi ai prezzi e di prendere in considerazione le particolarità della catena di distribuzione della ricorrente. La Commissione non avrebbe, dunque, esaminato tale elenco con attenzione e imparzialità.

92      La ricorrente non sarebbe stata informata durante la visita di verifica del fatto che la Commissione non avrebbe accettato nuovi correttivi, nonostante essa avesse fornito a quest’ultima chiarimenti relativi alla difficoltà di elaborazione dell’elenco definitivo. Al contrario, emergerebbe chiaramente dal comportamento della Commissione che essa non aveva escluso di esaminare gli elenchi corretti, esame che essa aveva peraltro intrapreso relativamente ad altri dati.

93      In merito ai dati relativi al prezzo CIF, franco frontiera comunitaria (v. punti 25 e 26 supra), la ricorrente sottolinea di aver illustrato durante l’inchiesta che la fatturazione delle sue vendite era espressa in prezzi franco a bordo e non CIF, franco frontiera comunitaria. La ricorrente non sarebbe dunque nelle condizioni di fornire dati relativi alle spese sostenute tra l’uscita dall’azienda produttrice e l’arrivo alla frontiera comunitaria, i quali includerebbero il margine di profitto sostanziale realizzato dalle società commerciali indipendenti, il cui ammontare non sarebbe noto alla ricorrente. Proprio in ragione del fatto che essa non poteva procurarsi i valori CIF, franco frontiera comunitaria, la ricorrente avrebbe invitato la Commissione ad applicare i dati attendibili forniti dalle società commerciali indipendenti, relativi alle spese sostenute tra la vendita franco a bordo e l’arrivo alla frontiera comunitaria. Ne conseguirebbe che la ricorrente ha agito «con la migliore diligenza» nel fornire le informazioni a sua disposizione, informazioni che la Commissione avrebbe potuto completare per giungere a una «conclusione sufficientemente precisa».

94      Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, contesta gli argomenti della ricorrente.

 Giudizio del Tribunale

95      Si deve rilevare che le parti sono in disaccordo sui fatti relativi al presente motivo. In particolare, mentre la ricorrente fa valere che gli agenti della Commissione hanno potuto costituire un campione di vendite all’esportazione del prodotto interessato verso il mercato comunitario, esaminare i documenti che le riguardavano e, infine, verificare i prezzi all’esportazione, il Consiglio contesta in gran parte tali circostanze. Quest’ultimo sostiene che gli agenti della Commissione non hanno potuto procedere ad alcun esame dei documenti relativi alle esportazioni del prodotto interessato verso il mercato comunitario durante la visita di verifica in sede e non hanno potuto, dunque, verificare i prezzi all’esportazione.

96      A tale proposito, occorre osservare che il Consiglio non contesta che gli agenti della Commissione abbiano effettivamente selezionato, il primo giorno della vista di verifica in sede, un campione di vendite all’esportazione del prodotto interessato verso il mercato comunitario. Ciò si spiega, secondo il Consiglio, in quanto, in tale fase, gli agenti della Commissione non avevano ancora stabilito quale delle due tabelle prodotte dalla ricorrente, rispettivamente il 12 e il 19 settembre 2005, fosse corretta. Pertanto, se si fosse verificato che l’elenco del 19 settembre 2005, in base al quale sarebbe stata effettuata la verifica, era corretto, gli agenti della Commissione avrebbero proceduto, il giorno dopo, alla verifica del campione costituito, dato che nel frattempo la ricorrente aveva raccolto tutti i documenti relativi alle operazioni oggetto del campione.

97      Si deve tuttavia rilevare, d’accordo con il Consiglio, che, ai fini del calcolo del prezzo all’esportazione, non è di alcuna utilità verificare un campione di operazioni basandosi sulla somma delle operazioni riportate nell’elenco contenente ogni operazione di vendita sul mercato comunitario, qualora sia constatato che tale elenco include parimenti vendite all’esportazione che non dovrebbero figurarvi. Infatti, anche se è appurato che un siffatto elenco contiene un volume sostanziale di vendite non identificate, le quali hanno ad oggetto prodotti che non rientrano nella definizione del prodotto interessato o non costituiscono esportazioni verso il mercato comunitario, la verifica di un campione di vendite, benché si riveli concludente, non consente di ovviare all’impossibilità di utilizzare la totalità delle operazioni figuranti nell’elenco a causa dell’inattendibilità di queste ultime.

98      Nella specie, in primo luogo, le parti non contestano la circostanza che, durante la visita di verifica, gli agenti della Commissione si sono trovati d’accordo con i rappresentanti della ricorrente sul volume totale delle esportazioni del prodotto interessato verso il mercato comunitario ([riservato] paia di calzature). Le parti concordano parimenti sul fatto che tale volume risulta dal libro mastro della ricorrente. È giocoforza constatare, dunque, che gli elementi forniti alla Commissione il 19 settembre 2005 ([riservato] paia di calzature; v. punto 87 supra) mostravano un volume di esportazione sovrastimato di circa il 60% rispetto alle esportazioni effettive del prodotto interessato verso il mercato comunitario, atteso che non era stato possibile identificare le esportazioni non pertinenti durante la visita di verifica. Inoltre, si deve rammentare che la ricorrente aveva già indicato, il 12 settembre 2005, una terza cifra pari a [riservato] paia di calzature. Così, nonostante il fatto che la ricorrente fosse in possesso di dati relativi al volume totale delle sue esportazioni verso il mercato comunitario, gli elenchi che essa ha fornito durante la procedura contenevano informazioni incoerenti le quali, inoltre, non offrivano elementi atti a chiarire le contraddizioni constatate. Infine, i chiarimenti forniti dalla ricorrente nel corso del procedimento amministrativo non consentivano di spiegare le discordanze constatate in modo convincente.

99      In secondo luogo, in risposta ad un quesito scritto del Tribunale, la Commissione ha rilevato che, se l’elenco contenente ogni operazione di vendita sul mercato comunitario, che era stato fornito dalla ricorrente prima o durante la visita di verifica, non avesse contenuto le discordanze constatate, essa avrebbe proceduto al calcolo del prezzo all’esportazione tenendo conto della totalità delle transazioni in esso contenute. Tale elenco sarebbe stato considerato attendibile qualora, oltre alla sua concordanza con il volume totale delle esportazioni del prodotto interessato risultante dal libro mastro della ricorrente, la verifica di un campione di operazioni avesse avuto buon esito.

100    In terzo luogo, occorre rilevare che il fascicolo non contiene alcun elemento atto a dimostrare che gli agenti della Commissione hanno effettivamente verificato gli elementi relativi al campione delle vendite costituito durante la visita di verifica. Gli elementi sui quali si basa la ricorrente, consistenti in annotazioni manoscritte degli agenti della Commissione a margine di talune operazioni che figuravano nell’elenco contenente ogni operazione di vendita della ricorrente sul mercato comunitario, costituiscono, tutt’al più, la prova che detti agenti hanno selezionato tali vendite per il campione, ma non che hanno verificato i documenti relativi a ciascuna di esse.

101    In quarto luogo, non si evince dal fascicolo che la Commissione abbia indicato, durante la visita di verifica in sede o successivamente, che essa era disposta a ricevere e a verificare un elenco contenente ogni operazione di vendita sul mercato comunitario, che corrisponderebbe al volume totale corretto delle esportazioni del prodotto interessato sul mercato comunitario. A tale proposito si deve rilevare che la comunicazione invocata dalla ricorrente a sostegno delle sue affermazioni consiste in un messaggio di posta elettronica datato 13 ottobre 2005, inviato dal suo rappresentante a un membro del suo personale. Tale messaggio indica, in primo luogo, che un agente della Commissione ha accettato di prorogare fino al 21 ottobre 2005 un termine concesso per presentare taluni dati relativi al calcolo del valore normale (costi di produzione) e, in secondo luogo, che tale medesimo agente voleva sapere se l’elenco contenente ogni operazione di vendita della ricorrente sul mercato comunitario, che era a disposizione della Commissione, fosse definitivo.

102    A prescindere dal fatto che tale messaggio non emana dalla Commissione, bensì dalla ricorrente, è giocoforza constatare che esso non indica che la Commissione abbia impartito un termine che scade il 21 ottobre 2005 per presentare una versione corretta dell’elenco contenente ogni operazione di vendita sul mercato comunitario. Inoltre, il fatto che la Commissione abbia accettato taluni dati corretti relativi al valore normale presentati successivamente alla visita di verifica, come i costi di produzione, non implica che tale istituzione fosse in linea generale disposta ad accettare dati corretti forniti dopo la visita di verifica riguardanti ogni altro aspetto. Infatti, come emerge dalle annotazioni manoscritte effettuate durante la visita di verifica sulla tabella relativa ai costi di produzione presentata dalla ricorrente nell’ambito della sua risposta al formulario antidumping, gli agenti della Commissione hanno chiesto a quest’ultima di apportare un’unica correzione ben precisa, vale a dire di aggiungere un importo determinato a titolo dei costi sostenuti dalla Sun Sang Kong Yuen (Hong Kong).

103    In quinto luogo, occorre sottolineare che l’art. 18 del regolamento di base costituisce la trasposizione in diritto comunitario del contenuto del punto 6.8 nonché dell’allegato II del codice antidumping 1994, alla luce dei quali dev’essere interpretato, per quanto possibile (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 24 settembre 2008, causa T‑45/06, Reliance Industries/Consiglio e Commissione, Racc. pag. II-2399, punto 91). A tale proposito si deve rilevare che l’utilizzo di dati disponibili è giustificato qualora un’impresa si rifiuti di collaborare o qualora essa fornisca un’informazione falsa o fuorviante, dato che l’art. 18, n. 1, secondo periodo, del regolamento di base non richiede un comportamento intenzionale.

104    Infatti, l’entità dello sforzo compiuto da una parte interessata per comunicare determinate informazioni non è necessariamente collegata alla qualità intrinseca delle informazioni comunicate e, in ogni caso, non costituisce il solo elemento determinante. Così, se alla fine non si ottengono le informazioni richieste, la Commissione è legittimata a fare ricorso ai dati disponibili relativi alle informazioni richieste (v., relativamente al punto 6.8 del codice antidumping 1994, la relazione del gruppo speciale costituito nel quadro dell’OMC, intitolata «Egitto – Misure antidumping definitive sulle importazioni di barre di armatura in acciaio provenienti dalla Turchia» e adottata il 1° ottobre 2002, punto 7.242).

105    Tale valutazione è corroborata dall’art. 18, n. 3, del regolamento di base, secondo il quale, qualora le informazioni presentate non siano perfettamente conformi alle condizioni richieste, esse non per questo devono essere disattese, a condizione che esse non provochino eccessive difficoltà per l’elaborazione di conclusioni sufficientemente precise, che siano presentate entro i termini, siano verificabili e che la parte interessata abbia agito con la migliore diligenza. Il fatto che la parte interessata abbia agito con la migliore diligenza costituisce dunque uno dei requisiti che devono essere soddisfatti affinché la Commissione debba prendere in considerazione informazioni carenti. Orbene, come emerge dal punto 98 supra, nonostante il fatto che la ricorrente disponesse del volume totale delle sue esportazioni verso il mercato comunitario, i dati che essa ha comunicato alla Commissione durante il procedimento amministrativo riguardanti le sue vendite all’esportazione sono rimasti contraddittori, di modo che non si può considerare che essa abbia agito con la migliore diligenza.

106    Di conseguenza, la Commissione non era tenuta, ai fini del calcolo del prezzo all’esportazione, a prendere in considerazione gli elenchi contenenti ogni operazione di vendita sul mercato comunitario presentati dalla ricorrente prima della visita di verifica, dal momento che l’utilizzo di tutti i dati in essi contenuti avrebbe necessariamente condotto ad un risultato errato (v. punti 97-99 supra).

107    Per quanto riguarda l’elenco presentato il 21 ottobre 2005, si deve rilevare che, anche se le istituzioni possono prendere in considerazione risposte ed informazioni che siano state loro trasmesse oltre i termini da esse stesse impartiti (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 13 luglio 2006, causa T‑413/03, Shandong Reipu Biochemicals/Consiglio, Racc. pag. II‑2243, punto 67), la Commissione poteva legittimamente rifiutarsi di tener conto di detto elenco dal momento che esso non poteva essere verificato senza effettuare una seconda visita.

108    A tale proposito è necessario aggiungere che la Commissione non ha ecceduto il proprio margine di discrezionalità nel considerare che il calcolo del prezzo all’esportazione non poteva essere validamente effettuato in base ai dati disponibili al momento della visita di verifica (v. punti 97-99 supra). Tale valutazione implica che la Commissione ha considerato che l’elenco fornito dopo la citata visita non poteva essere utilizzato ai fini del calcolo del prezzo all’esportazione senza aver verificato in sede le operazioni oggetto del campione. Pertanto, il fatto che le operazioni oggetto del campione compaiano anche nell’elenco presentato il 21 ottobre 2005 è privo di pertinenza.

109    In considerazione delle importanti contraddizioni constatate relativamente agli elenchi contenenti ogni operazione di vendita sul mercato comunitario, presentati dalla ricorrente durante il procedimento amministrativo, si deve concludere che la ricorrente non ha collaborato per quanto riguarda il calcolo del suo prezzo all’esportazione ai sensi dell’art. 18 del regolamento di base. Di conseguenza, il secondo motivo deve essere respinto.

110    Si deve pertanto ritenere che l’errore sollevato dalla ricorrente nell’ambito del primo motivo non può comportare l’illegittimità del regolamento impugnato dal momento che, anche se la ricorrente avesse ottenuto il TEM, le istituzioni le avrebbero attribuito comunque la media ponderata dei margini di dumping del campione. Ne consegue che anche il primo motivo deve essere respinto.

111    Atteso che il secondo motivo deve essere respinto, non vi è luogo di pronunciarsi sulla domanda del Consiglio volta a stralciare dal fascicolo taluni elementi delle risposte della ricorrente ai quesiti scritti del Tribunale (v. punto 67 supra).

 Sul terzo motivo, attinente alla violazione dell’art. 3 del regolamento di base

 Argomenti delle parti

112    Relativamente all’accertamento del prezzo all’esportazione la ricorrente ritiene che il Consiglio non abbia tenuto conto, nel regolamento impugnato, del fatto che essa vendeva i suoi prodotti a società commerciali indipendenti le quali rivestono il ruolo di intermediari tra i produttori cinesi e i distributori aventi sede nel mercato comunitario.

113    A parere della ricorrente, le società commerciali indipendenti, come la società Pagoda, che costituirebbe un intermediario in vendite della ricorrente verso il mercato comunitario, sostengono una parte rilevante dei costi di produzione e di commercializzazione, in particolare per quanto riguarda il marketing, l’organizzazione delle esportazioni, la ricerca e lo sviluppo. Tali costi, unitamente ai margini di profitto delle società commerciali, avrebbero dovuto essere prese in considerazione al fine di stabilire il prezzo CIF, franco frontiera comunitaria, e, quindi, di calcolare la sottoquotazione dei prezzi e il pregiudizio derivante dalle esportazioni della ricorrente.

114    Nonostante la Commissione conoscesse il ruolo e i margini di profitto delle società commerciali in termini di cifre, essa sarebbe venuta meno all’obbligo di procedere ad un esame obiettivo di tutti gli elementi pertinenti ai fini dell’accertamento dell’esistenza di un pregiudizio, conformemente all’art. 3 del regolamento di base e al punto 3 del codice antidumping 1994. La Commissione avrebbe dunque effettuato un calcolo errato del margine di sottoquotazione riguardante la ricorrente in quanto avrebbe omesso di prendere in considerazione, da un lato, tutte le spese sostenute tra il prezzo FOB della ricorrente e il prezzo all’arrivo alla frontiera comunitaria e, dall’altro, i margini di profitto delle società commerciali indipendenti, come la Pagoda. Un calcolo corretto avrebbe condotto ad imporre un dazio antidumping minimo o pari a zero.

115    Ne conseguirebbe che, se la ricorrente avesse ottenuto il TEM, la considerazione degli elementi suesposti avrebbe potuto dare luogo ad un margine di pregiudizio inferiore al suo margine di dumping.

116    Il Consiglio contesta, anzitutto, la ricevibilità del presente motivo facendo valere che il ricorso non soddisfa i requisiti di forma stabiliti dall’art. 44 del regolamento di procedura in quanto non sarebbero illustrati chiaramente i fatti sui quali si fonda. Infatti, si tratterebbe di un motivo privo di argomenti coerenti e le affermazioni in esso contenute non contraddirebbero i fatti stabiliti dalle istituzioni né dimostrerebbero l’esistenza di un errore commesso da queste ultime.

117    Inoltre, il Consiglio fa valere che la ricorrente ha omesso di rilevare che la ragione per la quale non era stato stabilito nel suo caso un prezzo all’esportazione risiedeva nell’assenza di un elenco attendibile riguardante ogni sua operazione di vendita sul mercato comunitario. Pertanto, il suo prezzo all’esportazione non sarebbe stato utilizzato per calcolare i margini di sottoquotazione per quanto riguarda le importazioni cinesi. Tali margini sarebbero stati fissati in riferimento ai prezzi all’esportazione delle imprese incluse nel campione che avevano collaborato pienamente. Pertanto, anche a voler supporre che le istituzioni avrebbero dovuto sommare ai prezzi all’esportazione della ricorrente il margine di beneficio delle società commerciali, tale conclusione non modificherebbe il risultato finale.

 Giudizio del Tribunale

118    Si deve anzitutto respingere l’eccezione di irricevibilità sollevata dal Consiglio e riassunta al punto 116 supra. Infatti, la ricorrente ha chiaramente fatto valere che l’omessa considerazione, ai fini del calcolo del margine di pregiudizio, dell’esistenza di società commerciali, quali la società Pagoda, e, di conseguenza, dei margini di beneficio da esse realizzati, costituiva una violazione dell’art. 3, n. 2, del regolamento di base, in quanto tale disposizione impone un esame oggettivo della sottoquotazione dei prezzi. Peraltro, chiarendo che le società commerciali indipendenti realizzano i loro margini di beneficio prima che i prodotti entrino nel territorio comunitario, la ricorrente ha esposto la ragione per cui essa considerava che le istituzioni, per poter procedere ad un calcolo oggettivo di tale sottoquotazione, avrebbero dovuto tener conto di detti margini nel calcolare i suoi prezzi all’esportazione. La ricorrente ha dunque esposto le sue censure in modo sufficientemente preciso da consentire al Consiglio di comprendere sia le omissioni addebitategli, sia l’importanza di queste ultime nell’ambito del calcolo del pregiudizio, e al Tribunale di valutare la fondatezza delle affermazioni di cui trattasi.

119    Relativamente alla fondatezza del motivo, emerge dai punti 112‑115 supra che la ricorrente contesta al Consiglio di non aver preso in considerazione i margini di beneficio delle società commerciali, e in particolare della società Pagoda, nel calcolo del prezzo CIF, franco frontiera comunitaria, delle sue esportazioni ai fini del calcolo della sottoquotazione dei prezzi.

120    A tale proposito si deve rilevare, come emerge dall’esame del secondo motivo (v. punti 95-110 supra), che le istituzioni non hanno ecceduto il loro margine discrezionale nel considerare che l’elenco contenente ogni operazione di vendita sul mercato comunitario, fornito dalla ricorrente, non poteva essere utilizzato ai fini del calcolo del prezzo all’esportazione dei prodotti da essa fabbricati. Pertanto, anche volendo supporre che le istituzioni avrebbero dovuto calcolare il margine di sottoquotazione dei prezzi tenendo conto dell’intervento della società commerciale Pagoda nel calcolo del prezzo CIF, franco frontiera comunitaria, della ricorrente, ciò non avrebbe potuto incidere in alcun modo sul calcolo del margine di sottoquotazione. Infatti, dal momento che il prezzo all’esportazione dei prodotti della ricorrente non è stato utilizzato ai fini del calcolo della sottoquotazione dei prezzi, la considerazione dei margini di beneficio realizzati dalla società Pagoda nell’ambito dell’immissione dei citati prodotti nel mercato comunitario non avrebbe influito sul margine di sottoquotazione dei prezzi stabilito in base ai prezzi all’esportazione di altre società del campione che avevano collaborato pienamente.

121    Ne consegue che il terzo motivo deve essere respinto.

 Sul quarto motivo, attinente alla violazione dell’art. 20 del regolamento di base, alla violazione dei diritti della difesa e ad un difetto di motivazione

 Argomenti delle parti

122    La ricorrente fa valere che le istituzioni non le hanno comunicato adeguatamente la nuova analisi fattuale riguardante il pregiudizio subito dall’industria comunitaria, né le hanno offerto la possibilità di presentare le sue osservazioni su tale nuova valutazione relativa alla configurazione dei dazi definitivi (v. punti 41‑48 supra). Inoltre, la Commissione non avrebbe sufficientemente spiegato le ragioni che imporrebbero una variazione della sua analisi e l’utilizzo di dati diversi da quelli contenuti nella sua prima proposta.

123    Mentre nel documento informativo finale la Commissione riteneva che l’importazione di un volume di 140 milioni di paia di calzature l’anno non avesse effetti pregiudizievoli per l’industria comunitaria, nel suo documento informativo finale aggiuntivo essa avrebbe significativamente ridotto tale cifra a 41,5 milioni di paia, senza tuttavia spiegare le ragioni che erano alla base di tale cambiamento, il quale avrebbe avuto l’«effetto perverso» di invertire, attraverso una manipolazione effettuata sulla base degli anni di riferimento, il valore dei dazi imposti tra la Cina e il Vietnam. Per quanto attiene alla loro ratio economica, i contingenti instaurati da un sistema di dazi differito sarebbero destinati a far fronte alle pressioni legate al volume delle importazioni le quali tuttavia non sarebbero considerate come provenienti da pratiche sleali, mentre le misure antidumping sarebbero concepite per rispondere alle pratiche sleali di dumping. Con riferimento a tali differenze, il termine di cinque giorni concesso dalla Commissione alla ricorrente per presentare le sue osservazioni sulla nuova proposta sarebbe insufficiente, circostanza di cui si sarebbe lamentata la ricorrente nel corso del procedimento amministrativo.

124    Il ‘considerando’ 301 del regolamento impugnato, che avrebbe seguito l’ultima proposta della Commissione, non conterrebbe una motivazione sufficiente con riferimento a tale divergenza e non indicherebbe le ragioni alla base dell’applicazione del nuovo metodo. Al contrario, detto ‘considerando’ 301 si limiterebbe a riprendere i termini del punto 280 del documento informativo finale aggiuntivo, il quale non conterrebbe ulteriori informazioni. Inoltre, il documento informativo finale aggiuntivo sarebbe privo di cifre o calcoli sottesi al metodo descritto al ‘considerando’ 301 del regolamento impugnato e non consentirebbe di spiegare il ricorso ad anni, valori e volumi diversi da quelli utilizzati nella prima proposta. Peraltro, le istituzioni avrebbero violato l’art. 20 del regolamento di base, che esige la comunicazione degli elementi specifici dei principali fatti e considerazioni in base ai quali la Commissione intende proporre l’adozione delle misure definitive. Infatti, la valutazione di fatto sottesa al nuovo approccio della Commissione non sarebbe stata né spiegata né giustificata.

125    Inoltre, la Commissione avrebbe violato i diritti della difesa della ricorrente non consentendole di far valere utilmente la sua posizione su numerose questioni importanti, quali la ragionevolezza della nuova proposta, l’esattezza e la pertinenza dei fatti e delle circostanze allegate, i calcoli effettuati e gli elementi presentati dalla Commissione a sostegno delle sue conclusioni sul dumping e il pregiudizio subito dall’industria comunitaria. Infatti, i due sistemi sarebbero caratterizzati da differenze sostanziali nell’analisi di fatto posta a loro fondamento. Tali differenze avrebbero generato conseguenze radicalmente opposte per i produttori cinesi e vietnamiti senza tuttavia che la Commissione abbia spiegato come essa sia giunta a tale risultato né abbia dato l’occasione agli interessati di esercitare i loro diritti della difesa.

126    Il tentativo del Consiglio di minimizzare le differenze tra le due proposte, dichiarando che il sistema adottato terrebbe conto del fatto che soltanto le importazioni eccedenti determinate soglie di quantità causerebbero un pregiudizio, comporterebbe l’imposizione di dazi antidumping su importazioni che non causano pregiudizio, risultato che sarebbe contrario all’art. 1, n. 1, del regolamento di base. Il fatto che la ricorrente abbia potuto formulare alcune osservazioni nei confronti di tale sistema, entro un termine inferiore al termine minimo di dieci giorni previsto dall’art. 20, n. 5, del regolamento di base, non potrebbe, del resto, essere ritenuto a carico della stessa né servirebbe a rimediare all’insufficienza delle informazioni fornite dalla Commissione. Infatti, la questione se il termine concesso dalla Commissione fosse adeguato ai fini del rispetto dei diritti della difesa della ricorrente dovrebbe essere valutata rispetto all’ampiezza del cambiamento nel metodo adottato dalla Commissione nonché alla mancanza di dati o di spiegazioni sulla nuova valutazione giuridica e di fatto. A tal riguardo, la ricorrente fa osservare che, quando le istituzioni non offrono spiegazioni adeguate sul metodo e la valutazione dei fatti da esse seguiti, il fatto di aver potuto fare alcune osservazioni ha un valore limitato e non implica che siano state soddisfatte le condizioni previste dall’art. 20 del regolamento di base, dai principi generali del diritto comunitario o del diritto dell’OMC. Inoltre, la stessa Commissione avrebbe adottato un calendario molto restrittivo, escludendo in tal modo ogni possibile estensione del termine concesso per la formulazione di osservazioni sul documento informativo finale aggiuntivo. In aggiunta, le discussioni protrattesi per diversi mesi avrebbero riguardato il sistema di dazio differito e non il sistema infine adottato.

127    La ricorrente ritiene che, a causa delle carenze del documento informativo finale aggiuntivo e dell’insufficienza del termine impartito, essa non abbia avuto la possibilità di esporre alla Commissione le ragioni per le quali l’approccio adottato non sarebbe stato appropriato ovvero congruo né di presentare il suo punto di vista circa il metodo o le cifre alla base della proposta contenuta in tale documento.

128    Infine, la ricorrente aggiunge che, se fosse stata messa in condizione di formulare in modo adeguato le sue osservazioni, essa avrebbe dedotto, in primo luogo, che il sistema proposto equivaleva a una violazione dell’art. 1, n. 1, del regolamento di base, in quanto comporta l’imposizione di dazi antidumping a importazioni che non arrecano pregiudizio, in secondo luogo, che per lei avrebbe dovuto essere calcolato un margine di pregiudizio individuale e, in terzo luogo, che l’ultima proposta della Commissione era incongrua e sproporzionata, dal momento che la valutazione di fatto riveduta, che non sarebbe stata né spiegata né giustificata, aveva avuto l’«effetto perverso» di invertire il rispettivo onere delle misure antidumping tra la Cina e il Vietnam.

129    Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione e dalla CEC, contesta gli argomenti della ricorrente.

 Giudizio del Tribunale

130    Con il quarto motivo, in primo luogo, la ricorrente afferma che le istituzioni hanno violato l’art. 20 del regolamento di base per il fatto che la Commissione, da un lato, non ha comunicato gli elementi sui quali essa ha fondato i calcoli effettuati nel documento informativo finale aggiuntivo e, dall’altro, non le ha impartito un termine sufficiente e conforme al n. 5 del medesimo articolo al fine di presentare osservazioni complete sul suo nuovo approccio.

131    In secondo luogo, la ricorrente afferma che le istituzioni non hanno indicato né nel documento informativo finale o informativo finale aggiuntivo né nel regolamento impugnato i motivi che giustificavano il metodo utilizzato al fine di prendere in considerazione l’esistenza di un volume di importazioni che non causa pregiudizio e consistente nel ridurre il margine di pregiudizio piuttosto che esonerare le importazioni non pregiudizievoli dall’imposizione dei dazi antidumping. Tali circostanze sarebbero costitutive di una violazione dei diritti della difesa della ricorrente nonché di un difetto di motivazione.

132    In via preliminare, occorre osservare che l’art. 20 del regolamento di base prevede talune modalità relative all’esercizio del diritto delle parti interessate, segnatamente degli esportatori, di essere sentite, il quale costituisce uno dei diritti fondamentali riconosciuti dall’ordinamento giuridico comunitario e implica il diritto di essere informati dei principali fatti e considerazioni sulla cui base si prevede di raccomandare l’istituzione di dazi antidumping definitivi (sentenza della Corte 27 giugno 1991, causa C-49/88, Al-Jubail Fertilizer/Consiglio, Racc. pag. I-3187, punto 15, e sentenza del Tribunale 19 novembre 1998, causa T‑147/97, Champion Stationery e a./Consiglio, Racc. pag. II-4137, punto 55).

133    In tale contesto, gli argomenti della ricorrente relativi alla violazione dell’art. 20 del regolamento di base devono essere interpretati come riferiti alla violazione dei suoi diritti della difesa, quali sanciti dall’ordinamento giuridico comunitario, compresa tale disposizione (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 21 novembre 2002, causa T-88/98, Kundan e Tata/Consiglio, Racc. pag. II-4897, punto 131).

134    A tale riguardo, occorre ricordare che le imprese interessate da un’inchiesta precedente l’adozione di un regolamento antidumping devono essere messe in condizione, nel corso del procedimento amministrativo, di far conoscere efficacemente il loro punto di vista sulla sussistenza e sulla pertinenza dei fatti e delle circostanze dedotti nonché sugli elementi di prova posti dalla Commissione a fondamento della sua valutazione circa la sussistenza di una pratica di dumping e del pregiudizio che ne conseguirebbe (sentenze Al-Jubail Fertilizer/Consiglio, punto 132 supra, punto 17, e 3 ottobre 2000, causa C‑458/98 P, Industrie des poudres sphériques/Consiglio, Racc. pag. I-8147, punto 99; sentenze del Tribunale Champion Stationery e a./Consiglio, punto 132 supra, punto 55, e Kundan e Tata/Consiglio, punto 133 supra, punto 132).

135    In tale contesto, occorre altresì rilevare che l’incompletezza dell’informazione finale comporta l’illegittimità di un regolamento che istituisce dazi antidumping definitivi soltanto qualora, a causa di tale omissione, le parti interessate non abbiano potuto utilmente difendere i loro interessi. Tale sarebbe in particolare il caso qualora l’omissione verta su fatti o considerazioni diversi da quelli utilizzati per le misure provvisorie, cui deve essere riservata un’attenzione particolare nell’informazione finale ai sensi dell’art. 20, n. 2, del regolamento di base. Tale sarebbe parimenti il caso, per identità di motivi, qualora l’omissione verta su fatti o considerazioni diversi da quelli sui quali si fonda una decisione adottata dalla Commissione o dal Consiglio successivamente alla comunicazione del documento informativo finale, come si evince dall’art. 20, n. 4, ultimo periodo, del regolamento di base.

136    Nella fattispecie, come è stato osservato ai precedenti punti 42-44, la Commissione ha dapprima annunciato, nel documento informativo finale, un sistema di dazio differito fondato sul fatto che soltanto le importazioni superiori ai 140 milioni di paia di calzature l’anno causerebbero un pregiudizio ai sensi dell’art. 3 del regolamento di base. Tale valutazione si fondava sulla presenza del regime dei contingenti quantitativi fino al 1° gennaio 2005, il quale avrebbe impedito un siffatto pregiudizio, nonché su un calcolo delle quantità che sarebbero state importate dalla Cina nel 2005. Secondo tale proposta, un dazio antidumping definitivo doveva essere applicato alle importazioni originarie della Cina eccedenti i 140 milioni di paia di calzature l’anno. Tale dazio era pari al margine di sottoquotazione dei prezzi di riferimento, nella fattispecie il 23%.

137    Tuttavia, come è stato illustrato ai precedenti punti 47 e 48, nell’ambito del documento informativo finale aggiuntivo, la Commissione ha modificato la sua proposta relativa alla forma dei dazi necessaria per l’eliminazione del pregiudizio. Tale nuovo approccio si fondava parimenti sull’esistenza di un volume di importazioni che non causa pregiudizi ai sensi dell’art. 3 del regolamento di base. Tuttavia, secondo il documento informativo finale aggiuntivo, tanto il metodo di calcolo di tale volume di importazioni non pregiudizievole quanto l’impatto di tale volume sulla forma dei dazi definitivi proposti sarebbero differenti rispetto a quelli evocati nel documento informativo finale.

138    In particolare, nel documento informativo finale aggiuntivo, in primo luogo, la Commissione ha ricordato che il margine di sottoquotazione dei prezzi di riferimento per le importazioni provenienti dalla Cina era pari al 23%. In secondo luogo, essa ha stabilito che il volume delle importazioni provenienti da tale paese nel periodo dell’inchiesta era pari al 38% delle importazioni provenienti dai due paesi indicati. Tale percentuale, applicata all’insieme delle importazioni provenienti dalla Cina e dal Vietnam nel 2003 (109 milioni di paia di calzature), era pari a circa 41,5 milioni di paia di calzature, volume che non è stato ritenuto pregiudizievole per l’industria comunitaria. In terzo luogo, la Commissione ha ritenuto che tale volume rappresentasse il 28,26% delle importazioni provenienti dalla Cina nel 2005. Infine, in quarto luogo, essa ha ridotto il margine di pregiudizio inizialmente stabilito (23%) in riferimento al 28,26%, il che ha portato a calcolare un margine di pregiudizio «ponderato» del 16,5%.

139    Risulta da quanto precede che le differenze tra il metodo presentato nel documento informativo finale e quello presentato nel documento informativo finale aggiuntivo sono le seguenti. In primo luogo, anziché stabilire il volume annuale di importazioni non pregiudizievole a livello delle importazioni provenienti dalla Cina nel 2005, la Commissione ha stabilito tale volume annuale moltiplicando i 109 milioni di paia di calzature importate nel 2003 per il 38%. Si tratta della percentuale che rappresentavano le importazioni originarie di tale paese sulla totalità delle importazioni provenienti dai due paesi presi in esame durante il periodo d’inchiesta. In secondo luogo, piuttosto che esonerare tale volume annuale, definito non pregiudizievole ai punti 278-280 del documento informativo finale aggiuntivo, dall’applicazione di un dazio antidumping, la Commissione ha scelto di prendere in considerazione tale volume diminuendo il livello di eliminazione del pregiudizio e applicando i dazi antidumping a partire dal primo paio importato.

140    A tal riguardo, occorre constatare che il fatto che la Commissione abbia modificato la sua analisi in seguito alle osservazioni che le parti interessate hanno formulato sul documento informativo finale non costituisce, di per sé, una violazione dei diritti della difesa. Infatti, come emerge dall’art. 20, n. 4, ultimo periodo, del regolamento di base, il documento informativo finale non pregiudica qualsiasi ulteriore decisione della Commissione o del Consiglio. Tale disposizione si limita a imporre alla Commissione il dovere di comunicare, il più rapidamente possibile, i fatti e le considerazioni diversi da quelli sui quali si basa il suo approccio iniziale contenuto nel documento informativo finale. Infatti, è proprio attraverso tale esposizione che gli interessati sono in grado di comprendere i motivi che hanno portato le istituzioni ad adottare una posizione diversa.

141    Pertanto, al fine di determinare se la Commissione abbia rispettato i diritti della ricorrente derivanti dall’art. 20, n. 4, ultimo periodo, del regolamento di base, occorre anche verificare se la Commissione le abbia comunicato i fatti e le considerazioni sui quali essa ha fondato la nuova analisi sul pregiudizio e sulla forma delle misure necessarie per eliminarlo, nei limiti in cui essi siano diversi da quelli alla base del documento informativo finale (v. punto 135 supra).

142    A tal riguardo, la Commissione ha innanzitutto dichiarato nel documento informativo finale aggiuntivo che la sua nuova proposta permetterebbe di non effettuare distinzioni tra le differenti categorie di importatori.

143    Per quanto attiene, poi, agli elementi sulla base dei quali la Commissione ha provveduto ad adeguare il margine di pregiudizio dal 23 al 16,5%, erroneamente la ricorrente afferma di non avervi avuto accesso. Infatti, il metodo descritto al precedente punto 138 riguardante l’adeguamento del margine di pregiudizio tenendo conto di un volume di importazioni non pregiudizievole figura nel documento informativo finale aggiuntivo. È vero che tale documento non fornisce informazioni sul volume esatto delle importazioni provenienti dalla Cina nel 2005, che permetterebbe di verificare che la percentuale del 28,26% corrisponde alla realtà. Tuttavia, dal momento che, secondo la Commissione, i 41,5 milioni di paia di calzature rappresentano il 28,26% della totalità delle importazioni provenienti dalla Cina nel 2005, si può dedurre che tali importazioni hanno raggiunto i 146,85 milioni di paia di calzature. Tale calcolo, del resto, è stato ripreso dalla stessa ricorrente nel suo messaggio di posta elettronica del 2 agosto 2006 (v. punto 49 supra).

144    Dalle considerazioni che precedono risulta che la Commissione ha comunicato alla ricorrente il ragionamento da essa seguito ai fini del calcolo del margine di pregiudizio prendendo in considerazione un volume di importazioni non pregiudizievole. Essa ha altresì indicato tutte le cifre da essa ritenute pertinenti a tale scopo e, pertanto, a tal riguardo, i diritti della difesa della ricorrente non sono stati violati.

145    Si deve sottolineare altresì, concordando con il Consigliom, che il motivo della ricorrente, come sviluppato nel ricorso, è relativo alla violazione dei suoi diritti della difesa e non dell’art. 1, n. 1, del regolamento di base. Ne risulta che la questione se il sistema adottato nel regolamento impugnato sia compatibile con l’art. 1, n. 1, del regolamento di base, nella parte in cui imporrebbe dazi antidumping a importazioni inferiori alla soglia annuale considerata come non recante pregiudizio, non è stata sottoposta in quanto tale al sindacato del Tribunale.

146    Quanto al termine impartito, le parti sono concordi sul fatto che esso scadeva il 2 agosto 2006.

147    Nell’accordare alla ricorrente un termine inferiore a dieci giorni al fine di esprimere osservazioni sul documento informativo finale aggiuntivo, la Commissione ha violato l’art. 20, n. 5, del regolamento di base (v., in tal senso, sentenza Champion Stationery e a./Consiglio, punto 132 supra, punto 80). Tuttavia, tale circostanza, di per sé, non può condurre all’annullamento del regolamento impugnato. Infatti, si deve ancora accertare se il fatto di disporre di un termine inferiore al termine legale sia stato tale da causare una concreta lesione dei suoi diritti della difesa nell’ambito del procedimento di cui trattasi (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 28 ottobre 2004, causa T-35/01, Shanghai Teraoka Electronic/Consiglio, Racc. pag. II-3663, punto 331).

148    A tal riguardo, occorre osservare che, nel messaggio di posta elettronica del 2 agosto 2006, la ricorrente ha richiamato i calcoli della Commissione e che essa ha presentato un calcolo alternativo che avrebbe condotto a un risultato diverso e, a suo avviso, congruo. Pertanto, la ricorrente ha compreso il ragionamento della Commissione e ha potuto proporle un altro approccio senza chiedere una proroga del termine impartitole. In tale contesto, occorre constatare che essa è stata in grado di far valere utilmente il suo punto di vista.

149    Ne deriva che i diritti della difesa della ricorrente non sono stati violati.

150    Per identità di motivi, occorre respingere l’argomento della ricorrente relativo ad un difetto di motivazione riguardante il metodo utilizzato per il calcolo del livello di eliminazione del pregiudizio. Infatti, la motivazione del regolamento impugnato deve essere valutata tenendo conto in particolare delle informazioni che sono state comunicate alla ricorrente e delle osservazioni che essa ha presentato nel corso del procedimento amministrativo (sentenza del Tribunale 15 dicembre 1999, cause riunite T‑33/98 e T-34/98, Petrotub e Republica/Consiglio, Racc. pag. II-3837, punto 107).

151    Nella fattispecie, come è stato osservato al precedente punto 56, i ‘considerando’ 296-301 del regolamento impugnato contengono le valutazioni che hanno condotto il Consiglio ad adottare il sistema da ultimo utilizzato. Di conseguenza, tenuto conto che la Commissione ha comunicato alla ricorrente il ragionamento da essa seguito ai fini del calcolo del margine di pregiudizio prendendo in considerazione un volume di importazioni non pregiudizievole e che essa le ha parimenti indicato tutte le cifre da essa ritenute pertinenti a tale scopo (v. punti 166-168 infra), occorre concludere che il regolamento impugnato è adeguatamente e sufficientemente motivato.

152    Di conseguenza, il quarto motivo deve essere respinto.

 Sul quinto motivo, relativo ad un errore di diritto e ad un errore manifesto di valutazione riguardante il pregiudizio subito dall’industria comunitaria

 Argomenti delle parti

153    La ricorrente ritiene che la decisione relativa al pregiudizio non prenda in considerazione un periodo sufficientemente lungo di importazioni normali e, pertanto, non si fondi su dati attendibili e obiettivi. Infatti, dal momento che il periodo d’inchiesta si estende dal 1° aprile 2004 al 31 marzo 2005, la Commissione avrebbe acquisito il convincimento che l’aumento delle importazioni dopo la scadenza del regime dei contingenti abbia avuto un effetto pregiudizievole particolarmente significativo per l’industria comunitaria prendendo in considerazione soltanto un periodo di tre mesi, cioè il primo trimestre del 2005. Gli indizi manifesti dell’esistenza di un grave pregiudizio nel 2004 cui fa riferimento la Commissione al punto 277 figurante al nuovo titolo H nel documento informativo finale aggiuntivo non vorrebbero dire che un pregiudizio grave sia stato effettivamente cagionato nel 2004. L’assenza di un grave pregiudizio nel 2004 sarebbe corroborata dal fatto che l’aumento delle importazioni di tale anno è stato lieve rispetto al 2003 nonché dal punto 285 del documento informativo finale.

154    Orbene, i primi tre mesi del 2005 costituirebbero il periodo iniziale di apertura di un mercato soggetto per oltre dodici anni all’applicazione del rigido regime dei contingenti quantitativi. Come avrebbe osservato la Commissione nel documento informativo finale, tale periodo successivo alla scadenza del regime dei contingenti sarebbe stato artificialmente alterato dalle aspettative connesse a tale avvenimento. Il regolamento impugnato si fonderebbe, quindi, su dati relativi a un periodo breve che non poteva fornire elementi attendibili a causa della cessazione del sistema dei contingenti. Ne conseguirebbe che il Consiglio ha violato l’art. 3, n. 2, del regolamento di base. Inoltre, nulla proverebbe che la Commissione abbia esaminato i fattori di pregiudizio sull’intero periodo considerato.

155    Infine, la ricorrente ricorda che il regime dei contingenti non era destinato a porre rimedio alle conseguenze delle importazioni oggetto di dumping.

156    Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione e dalla CEC, contesta la fondatezza degli argomenti della ricorrente.

 Giudizio del Tribunale

157    In primo luogo, occorre rilevare che l’imposizione di dazi antidumping non costituisce una sanzione per un comportamento precedente, ma una misura di difesa e di tutela nei confronti della concorrenza sleale derivante dalle pratiche di dumping. Allo scopo di fissare dazi antidumping idonei a proteggere l’industria comunitaria dalle pratiche di dumping è quindi necessario condurre l’inchiesta sulla base di informazioni il più possibile attuali (sentenza Industrie des poudres sphériques/Consiglio, punto 134 supra, punti 91 e 92, e sentenza del Tribunale 14 novembre 2006, causa T-138/02, Nanjing Metalink/Consiglio, Racc. pag. II-4347, punto 60).

158    Pertanto, qualora le istituzioni constatino che le importazioni di un prodotto soggetto fino ad allora a restrizioni quantitative aumentano dopo la scadenza di dette restrizioni, esse possono tener conto di tale aumento ai fini della loro valutazione del pregiudizio subito dall’industria comunitaria.

159    In secondo luogo, come fa osservare il Consiglio, la valutazione della Commissione contenuta al punto 283 del documento informativo finale, secondo la quale il volume dei prodotti importati è aumentato dopo la scadenza del regime dei contingenti, non dimostra che le istituzioni si siano fondate esclusivamente su tale elemento quantitativo per riconoscere l’esistenza di un pregiudizio.

160    Infine, come emerge dai ‘considerando’ 162, 168-170, 187-206 e 216-240 del regolamento impugnato, le istituzioni hanno tenuto conto di diversi fattori concernenti il pregiudizio e il nesso di causalità, relativi non soltanto all’ultimo trimestre del periodo dell’inchiesta ma anche al periodo considerato.

161    Ne deriva che anche il quinto motivo deve essere respinto.

 Sul sesto motivo, attinente alla violazione dell’art. 2, n. 10, del regolamento di base e ad un errore manifesto di valutazione riguardante il confronto tra il prezzo all’esportazione e il valore normale

 Argomenti delle parti

162    La ricorrente fa valere che, non avendo proceduto ad un confronto equo tra il prezzo all’esportazione e il valore normale, il Consiglio ha violato l’art. 2, n. 10, del regolamento di base. Infatti, il metodo impiegato dalla Commissione ai fini del confronto dei diversi modelli di calzature avrebbe dato luogo a risultati alterati.

163    In particolare, la ricorrente sostiene che la Commissione ha raggruppato sotto un unico numero di controllo del prodotto tipi diversi di calzature aventi costi di produzione e prezzi franco fabbrica sostanzialmente differenti. Pertanto, dal confronto tra i prezzi all’esportazione e i prezzi pagati sul mercato nazionale sarebbero risultati «margini di dumping ampiamente alterati».

164    Durante l’inchiesta, la Commissione avrebbe fornito esempi di un unico numero di controllo del prodotto comprendente stili molto diversi di calzature, quali le «calzature eleganti» da un lato, e i «mocassini», dall’altro. Orbene, sarebbe evidente che tali tipi di calzature differiscono per il cuoio utilizzato, per il processo di produzione, per la loro qualità, il che condurrebbe a prezzi diversi. Una leggera modifica del sistema impiegato avrebbe soddisfatto l’esigenza di un confronto equo senza compromettere l’efficacia del metodo. La Commissione avrebbe ricevuto durante il procedimento amministrativo prove dettagliate, atte a dimostrare che diversi tipi di calzature a prezzi molto diversi erano raggruppati sotto lo stesso numero di controllo del prodotto. Pertanto, spetterebbe alla Commissione modificare il suo sistema e non alla ricorrente proporgliene un altro.

165    Relativamente alla tesi sostenuta dal Consiglio a tale proposito nel ‘considerando’ 143 del regolamento impugnato, secondo la quale ciò che contava era l’applicazione coerente del sistema dei numeri di controllo del prodotto, la ricorrente replica che l’applicazione coerente di un metodo errato non consente di ovviare all’inesattezza di quest’ultimo, che sarebbe intrinseca nel confronto di prodotti non paragonabili dal punto di vista del consumatore. Inoltre, non sarebbe stato svolto in materia alcun controllo adeguato.

166    L’argomento relativo agli aggiustamenti asseritamente apportati sarebbe inoperante, in quanto gli aggiustamenti in questione non ovvierebbero alle conseguenze degli errori summenzionati.

167    In subordine, la ricorrente fa valere che le conclusioni del Consiglio contenute nel ‘considerando’ 143 del regolamento impugnato sono viziate da un difetto di motivazione, in quanto le discordanze di prezzo constatate sarebbero state giustificate solo in modo ipotetico, senza essere corroborate da prove precise.

168    Inoltre, gli elementi sui quali si fondano tali conclusioni non sarebbero stati comunicati alla ricorrente, circostanza che costituirebbe una violazione dei suoi diritti della difesa.

169    La ricorrente aggiunge che la Commissione ha parimenti applicato il sistema dei numeri di controllo del prodotto per valutare la sottoquotazione del prezzi e l’aliquota del dazio antidumping che consente di eliminare il pregiudizio. L’approccio della Commissione sarebbe dunque manifestamente errato in quanto esso condurrebbe, ad esempio, a confrontare il prezzo CIF di una calzatura cinese del tipo «mocassino» con il prezzo franco fabbrica di una «calzatura elegante» italiana. Orbene, tale metodo osterebbe ad una «valutazione obiettiva e razionale» dei fatti pertinenti per determinare il pregiudizio.

170    Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione e dalla CEC, contesta gli argomenti della ricorrente considerandoli in parte irricevibili e in parte infondati. Sulla ricevibilità degli argomenti della ricorrente, esso fa valere che un motivo fondato sul rinvio generale agli allegati del ricorso è irricevibile. Nella specie si tratterebbe dell’argomento relativo alle osservazioni presentate alla Commissione durante il procedimento amministrativo.

 Giudizio del Tribunale

171    Per quanto riguarda l’eccezione di irricevibilità sollevata dal Consiglio, occorre osservare che la ricorrente ha esposto le sue censure in modo sufficientemente preciso da consentire al Consiglio di comprendere gli addebiti formulati contro il regolamento impugnato, nonché la loro importanza nell’ambito del calcolo del margine di dumping e del pregiudizio, e al Tribunale di valutare la fondatezza delle affermazioni di cui trattasi. Inoltre, il rinvio ad allegati, come è stato effettuato nel caso di specie, è volto a provare la fondatezza delle affermazioni formulate nel ricorso, il che costituisce la funzione essenziale degli allegati.

172    Qualora il prodotto interessato raggruppi un’ampia gamma di beni che presentano rilevanti differenze dal punto di vista delle loro caratteristiche e del loro prezzo, può rivelarsi indispensabile suddividerli in categorie più o meno omogenee. Tale operazione mira, come fanno valere le parti, a permettere un confronto equo tra prodotti paragonabili e ad evitare quindi un calcolo errato del margine di dumping e del pregiudizio dovuto a confronti inadeguati.

173    Nella specie, la Commissione ha chiesto agli operatori cinesi, brasiliani e comunitari di costituire numeri di controllo dei loro prodotti in funzione delle caratteristiche presentate nella seguente tabella:

Descrizione delle categorie

Contenuto

 

Tipo di calzature

Indicate il tipo di calzature. Scegliete tra:

 
 

- scarpe da città

A

 

- sandali

B

 

- infradito

C

 

- zoccoli

D

 

- altro: calzature informali, mocassini, calzature intrecciate, ecc.

E

Consumatore

Indicate la tipologia di consumatore. Scegliete tra:

 
 

- uomo

A

 

- donna

B

 

- unisex

C

 

- bimbo

D

Modello di calzatura

Indicate il modello del prodotto. Scegliete tra:

 
 

- non ricopre la caviglia

A

 

- ricopre la caviglia ma non il ginocchio

B

 

- ricopre la caviglia e le gambe

C

Materiale della tomaia esterna

Indicate il materiale della tomaia esterna. Scegliete tra:

 
 

- cuoio o cuoio unito ad altri materiali

1

 

- gomma, para o sughero

2

 

- PU (poliuretano) – PVC (policloruro di vinile)

3

 

- legno

4

 

- altro

5

Fodera della calzatura

Indicate se la calzatura è foderata. Scegliete tra:

 
 

- con fodera

1

 

- senza fodera

2

174    Quindi, ad una calzatura da città unisex che non ricopre la caviglia, con tomaia esterna in gomma e con fodera sarà attribuito il numero di controllo del prodotto ACA21.

175    In merito alla determinazione del margine di dumping, emerge dalla tabella allegata al documento informativo finale, pag. 303 del fascicolo, che la Commissione ha effettuato il calcolo di un valore normale per ogni numero di controllo del prodotto sulla base dei dati raccolti in Brasile. Inoltre, emerge dalla tabella alla pag. 302 del fascicolo che la Commissione, per ogni numero di controllo del prodotto, ha confrontato il valore normale con il prezzo all’esportazione e ha calcolato un margine di dumping pari a 28,95%.

176    Relativamente al calcolo del pregiudizio causato dalle esportazioni provenienti dalla Cina, emerge dalla tabella alla pag. 299 del fascicolo che la Commissione ha calcolato un prezzo medio per paio di calzature rientrante in ogni numero di controllo del prodotto al fine di confrontarlo con il prezzo di riferimento che doveva ottenere l’industria comunitaria realizzando un beneficio del 6% (v. ‘considerando’ 292 del regolamento impugnato). Lo scarto positivo tra i due prezzi costituisce la sottoquotazione dei prezzi di riferimento e, pertanto, il pregiudizio subito dall’industria comunitaria, il quale è stato fissato al 23% (v. punto 56 supra).

177    Nella specie, la ricorrente sostiene che i criteri utilizzati al fine di costituire le categorie in questione erano talmente vaghi che hanno avuto come conseguenza il raggruppamento, sotto un unico numero di controllo dei prodotti, di calzature molto diverse dal punto di vista delle loro caratteristiche e, pertanto, del loro prezzo. Ciò avrebbe alterato sia il calcolo del margine di dumping sia quello del pregiudizio. Al fine di provare le sue allegazioni, la ricorrente ha prodotto una tabella secondo la quale diversi numeri di controllo del prodotto comprendono calzature la cui differenza di prezzi è tale da rendere impossibile il confronto tra i prodotti corrispondenti. Tali dati proverrebbero da cinque operatori cinesi, tre dei quali farebbero parte del campione. A titolo di esempio, il numero di controllo del prodotto AAB21 comprenderebbe, secondo le informazioni fornite dal produttore n. 4, calzature aventi un prezzo di USD 26,30 franco fabbrica nonché calzature aventi un prezzo di USD 112,09 franco fabbrica.

178    A tale proposito si deve rilevare che i numeri di controllo del prodotto sono stabiliti in funzione delle caratteristiche proprie di ogni sottocategoria di articoli rientranti nella definizione del prodotto interessato e non in funzione del prezzo di ciascuno di tale articolo. Quindi, il fatto che il numero di controllo del prodotto raggruppi prodotti rientranti in un ampio ventaglio di prezzi non dimostra, di per sé, che i criteri scelti per attuare tale sistema non siano pertinenti.

179    Come sottolineato dal Consiglio, la ricorrente non illustra quali fossero le differenze materiali tra le calzature vendute a prezzo elevato e quelle vendute a basso prezzo, né come tali differenze avrebbero potuto essere prese in considerazione in un sistema diverso. Inoltre, come rilevato dal Consiglio al punto 143 del regolamento impugnato, le differenze di prezzo possono essere il risultato di numerosi fattori, come le tendenze della moda e la psicologia del mercato, che non compromettono necessariamente la comparabilità dei prodotti all’interno di un numero di controllo del prodotto. La ricorrente non ha dunque dimostrato che il sistema imperniato su cinque caratteristiche, concepito dalla Commissione, era manifestamente inadeguato.

180    Relativamente all’argomento della ricorrente avente ad oggetto il fatto che la categoria di calzature «E» (altro) include allo stesso tempo le «calzature eleganti» e i «mocassini» (v. punto 164 supra), si deve rilevare, d’accordo con il Consiglio, che tale categoria corrispondeva solo ad uno dei cinque criteri utilizzati per elaborare il sistema dei numeri di controllo del prodotto e che la ricorrente non ha dimostrato che le differenze erano talmente rilevanti da giustificare la creazione di altre categorie di calzature per assicurare un confronto equo.

181    Infine, in merito alle censure relative ad un difetto di motivazione, (v. punto 167 supra), si deve osservare che, in assenza di indizi che consentano di considerare che le differenze di prezzo erano dovute a differenze materiali delle quali il sistema dei numeri di controllo del prodotto non avrebbe tenuto sufficientemente conto, le istituzioni non erano tenute ad illustrare in modo più dettagliato le cause possibili di tali differenze.

182    Si deve pertanto respingere il sesto motivo nonché respingere integralmente il ricorso.

 Sulle spese

183    Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché il Consiglio ne ha fatto domanda, la ricorrente, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese.

184    Conformemente all’art. 87, n. 4, del regolamento di procedura, la Commissione, la CEC e i produttori italiani sopporteranno le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Ottava Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Sun Sang Kong Yuen Shoes Factory (Hui Yang) Corp. Ltd sopporterà le proprie spese nonché quelle sostenute dal Consiglio dell’Unione europea.

3)      La Commissione europea, la Confederazione europea dell’industria calzaturiera (CEC), la BA.LA. di Lanciotti Vittorio & C. Sas e le altre sedici intervenienti i cui nomi figurano in allegato sopporteranno le proprie spese.

Martins Ribeiro

Papasavvas

Dittrich

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 4 marzo 2010.

Firme


Indice


Contesto normativo

Fatti e regolamento impugnato

Procedimento e conclusioni delle parti

In diritto

Sul primo motivo, attinente alla violazione dell’art. 2, n. 7, lett. c), del regolamento di base

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Sul secondo motivo, attinente alla violazione dell’art. 18 del regolamento di base

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Sul terzo motivo, attinente alla violazione dell’art. 3 del regolamento di base

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Sul quarto motivo, attinente alla violazione dell’art. 20 del regolamento di base, alla violazione dei diritti della difesa e ad un difetto di motivazione

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Sul quinto motivo, relativo ad un errore di diritto e ad un errore manifesto di valutazione riguardante il pregiudizio subito dall’industria comunitaria

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Sul sesto motivo, attinente alla violazione dell’art. 2, n. 10, del regolamento di base e ad un errore manifesto di valutazione riguardante il confronto tra il prezzo all’esportazione e il valore normale

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Sulle spese


Allegato

Calzaturificio Elisabet Srl, con sede in Monte Urano (Italia),

Calzaturificio Iacovelli di Iacovelli Giuseppe & C. Snc, con sede in Monte Urano,

Calzaturificio Leopamy Srl, con sede in Monte Urano,

Calzaturificio Lunella Srl, con sede in Monte Urano,

Calzaturificio Mia Shoe Snc di Gattafoni Carlo & C., con sede in Monte Urano,

Calzaturificio Primitempi di Monaldi Geri, con sede in Monte Urano,

Calzaturificio R. G. di Rossi & Galie Srl, con sede in Monte Urano,

Calz. S. G. di Seghetta Giampiero e Sergio Snc, con sede in Monte Urano,

Carim Srl, con sede in Monte Urano,

Florens Shoes SpA, con sede in Monte Urano,

Gattafoni Shoe Snc di Gattafoni Giampaolo & C., con sede in Monte Urano,

Grif Srl, con sede in Monte Urano,

Missouri Srl, con sede in Monte Urano,

New Swing Srl, con sede in Monte Urano,

Podosan Medical Shoes di Cirilli Michela, con sede in Monte Urano,

Viviane Sas, con sede in Monte Urano.


* Lingua processuale: l’inglese.


1 – Dati riservati occultati.