Language of document : ECLI:EU:C:2003:408

CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

Christine Stix-Hackl

presentate il 10 luglio 2003 (1)

Causa C-100/02

Gerolsteiner Brunnen GmbH & Co.

contro

Putsch GmbH

[domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Bundesgerichtshof (Germania)]

«Direttiva 89/104/CEE - Limitazione degli effetti del marchio con riguardo ad indicazioni relative alla provenienza geografica - Utilizzazione come marchio di una indicazione relativa alla provenienza geografica - Osservanza degli “usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale”»

I - Considerazioni introduttive

1.
    A termini dell'art. 5, n. 1, della direttiva 89/104/CEE (2) (in prosieguo: la «direttiva sui marchi»), il marchio di impresa conferisce al titolare un diritto esclusivo che gli consente, inter alia, il diritto di vietare a terzi di usare un determinato segno che possa dare adito ad un rischio di confusione. Tale diritto esclusivo non si estende peraltro al punto tale da impedire l'utilizzazione di indicazioni relative, inter alia, alla provenienza geografica del prodotto di cui trattasi (3).

2.
    Ci si chiede se e in presenza di quali condizioni sia consentita l'utilizzazione di un'indicazione relativa alla provenienza geografica qualora questa venga effettuata, al di là della descrizione delle caratteristiche del prodotto, al fine di differenziare il prodotto stesso rispetto a quelli di altre imprese - vale a dire qualora venga utilizzata come marchio (4).

3.
    In tale contesto il giudice remittente chiede se l'utilizzazione come marchio di un'indicazione relativa alla provenienza geografica ricada nella sfera di applicazione dell'art. 6, n. 1, lett. b), della direttiva sui marchi e, in caso di soluzione affermativa, secondo quali criteri tale uso debba avvenire ai sensi della detta disposizione.

II - Fatti e rinvio pregiudiziale

4.
    La ricorrente nella causa principale, la società Gerolsteiner Brunnen GmbH & Co. (in prosieguo: la «ricorrente») produce e vende in Germania acqua minerale e bevande rinfrescanti a base di acqua minerale.

5.
    Essa è titolare del marchio denominativo «GERRI», registrato con priorità al 21 dicembre 1985, inter alia, per acque minerali, acque da tavola, bevande analcoliche e bibite gassate, nonché di vari marchi denominativo-figurativi contenenti la componente verbale «GERRI», registrati per acque minerali, bevande analcoliche, succhi di frutta e bibite gassate.

6.
    La resistente nella causa principale, la Putsch GmbH (in prosieguo: la «resistente») vende dalla metà degli anni novanta in Germania bevande rinfrescanti con etichette contenenti le parole «KERRY Spring». L'acqua utilizzata per tali bevande rinfrescanti proviene dalla sorgente sita in località Ballyferriter, nella contea di Kerry in Irlanda.

7.
    La ricorrente conveniva in giudizio la resistente dinanzi ai giudici tedeschi lamentando la violazione del suo diritto di marchio, chiedendo che venisse inibito alla controparte l'uso del marchio contestato, che le venisse ordinato di darne notizia e che la stessa venisse condannata al risarcimento del danno. La ricorrente deduceva, sostanzialmente, di vendere con il marchio «GERRY» bevande rinfrescanti di diversi gusti. In considerazione della quota di mercato posseduta dalle bevande rinfrescanti a base di acqua minerale così denominate, si dovrebbe ritenere che il marchio «GERRI» possieda ora maggiore forza distintiva.

8.
    La resistente contestava la domanda proposta eccependo l'insussistenza di un rischio di confusione tra le due denominazioni, atteso che la parola «KERRY» non verrebbe utilizzata singolarmente, bensì in una rappresentazione verbale e figurativa e che la parola contenuta nel marchio contestato non possederebbe alcuna valenza distintiva. La denominazione «KERRY Spring» verrebbe utilizzata esclusivamente per indicare il luogo di provenienza geografica dell'acqua minerale.

9.
    La domanda veniva sostanzialmente accolta in primo grado, mentre veniva respinta in secondo grado. La ricorrente proponeva quindi ricorso per cassazione dinanzi al Bundesgerichtshof (Corte federale tedesca di cassazione).

10.
    Il giudice remittente motivava la domanda di rinvio pregiudiziale osservando che sussisterebbe, sotto il profilo del diritto di marchio, un pericolo di confusione, essendovi somiglianza tra i due segni a livello sonoro e, al tempo stesso, elevata somiglianza tra i rispettivi prodotti.

11.
    Ai fini della decisione della controversia occorrerebbe pertanto applicare l'art. 6, n. 1, lett. b), della direttiva sui marchi. L'applicabilità di tale disposizione non potrebbe essere esclusa, in via generale, già per il sol fatto che la resistente utilizza l'indicazione di provenienza geografica anche come marchio.

12.
    Ciò emergerebbe già dal tenore letterale dell'art. 6, n. 1, lett. b), della direttiva sui marchi, riguardante qualsiasi uso in ambito commerciale. Sotto il profilo logico-sistematico, il Bundesgerichtshof sostiene che la disposizione contenuta nell'art. 6, n. 1, lett. b), della direttiva sui marchi dovrebbe essere intesa quale barriera di protezione rispetto ai diritti di privativa di cui all'art. 5 della direttiva medesima.

13.
    Alla luce della sentenza della Corte nella causa Windsurfing Chiemsee (5) 1, il Bundesgerichtshof non ritiene peraltro certa l'applicabilità dell'art. 6, n. 1, lett. b), della direttiva sui marchi all'utilizzazione come marchio di un'indicazione di provenienza geografica.

14.
    In tale contesto, particolare rilevanza rivestirebbe il fatto che la Corte, nel realizzare il necessario equilibrio tra i diritti di privativa di cui all'art. 5 della direttiva sui marchi e la funzione dell'art. 6, n. 1, lett. b), della direttiva medesima, di impedire una monopolizzazione di indicazioni che devono rimanere liberamente disponibili, avrebbe accolto un'interpretazione ampia della nozione di utilizzazione come marchio ai sensi dell'art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva stessa (6).

15.
    Infine, a parere del Bundesgerichtshof, la circostanza che il segno venga usato come marchio rileverebbe nell'ambito dell'accertamento, ai sensi dell'art. 6, n. 1, ultima frase, della direttiva sui marchi, se tale uso risponda agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale.

16.
    Atteso che l'esito del ricorso per cassazione dipenderebbe dall'interpretazione dell'art. 6, n. 1, lett. b), della direttiva sui marchi, il Bundesgerichtshof, con ordinanza 7 febbraio 2002, sospendeva il procedimento e sottoponeva alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)    Se l'art. 6, n. 1, lett. b), della prima direttiva in materia di marchi d'impresa si applichi, del pari, quando un terzo utilizzi come marchio (“markenmässig”) le indicazioni ivi menzionate.

2)    In caso affermativo: se l'uso come marchio costituisca una circostanza che debba essere tenuta parimenti in considerazione nella valutazione, richiesta nel contesto dell'art. 6, n. 1, ultima frase, della prima direttiva in materia di marchi d'impresa, della conformità agli “usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale”».

III - Contesto normativo

A - La normativa comunitaria

17.
    L'art. 5 della direttiva sui marchi dispone, inter alia, quanto segue:

«Diritti conferiti dal marchio di impresa

1) Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:

a)    un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;

(...)

3) Si può in particolare vietare, se le condizioni menzionate al [paragrafo 1] sono soddisfatte:

a)    di apporre il segno sui prodotti o sul loro condizionamento;

b)    di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini, oppure di offrire o fornire servizi contraddistinti dal segno;

c)    di importare o esportare prodotti contraddistinti dal segno;

d)    di utilizzare il segno nella corrispondenza commerciale e nella pubblicità».

18.
    L'art. 6, n. 1, della direttiva così recita:

«Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare ai terzi l'uso nel commercio:

(...)

b)    di indicazioni relative alla specie, alla qualità, alla quantità, alla destinazione, al valore, alla provenienza geografica, all'epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio o ad altre caratteristiche del prodotto o del servizio;

(...)

purché l'uso sia conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale».

B - La normativa nazionale

19.
    L'art. 6 della direttiva sui marchi è stato recepito nell'ordinamento nazionale tedesco per mezzo dell'art. 23 del Gesetz über den Schutz von Marken und sonstigen Kennzeichen (legge in materia di tutela dei marchi d'impresa ed altri contrassegni) 25 ottobre 1994 (7) (in prosieguo: il «MarkenG»).

20.
    L'art. 23 del MarkenG prevede, inter alia, quanto segue:

«Uso di nomi e di indicazioni descrittive. Commercio di ricambi

Al titolare di un marchio o di una denominazione commerciale non è consentito vietare a terzi, nel commercio:

(...)

2. l'uso di un segno identico ad un marchio o ad una denominazione commerciale o di un segno simile per indicare elementi distintivi o caratteristiche di prodotti o servizi quali, in particolare, la specie, la qualità, la destinazione, il valore, la provenienza geografica o l'epoca di fabbricazione ovvero di prestazione,

(...)

purché l'uso non sia contrario ai buoni costumi».

IV - Analisi

A - Sulla prima questione pregiudiziale

1. Principali argomenti delle parti

21.
    Nelle proprie osservazioni scritte tanto la resistente quanto la Commissione, allineandosi alla tesi del giudice remittente, sostengono sostanzialmente che l'utilizzazione come marchio del segno contestato «KERRY Spring» non costituirebbe una ragione per escludere, in linea generale, l'applicabilità dell'art. 6, n. 1, lett. b), della direttiva sui marchi e sviluppano quindi la propria analisi giuridica muovendo dall'affermazione di una più elevata esigenza di libera disponibilità di indicazioni relative alla provenienza di acque minerali e di sorgente.

22.
    A parere della resistente, già la finalità dell'art. 6, n. 1, lett. b), della direttiva sui marchi non osterebbe necessariamente all'utilizzazione come marchio delle indicazioni ivi menzionate. La resistente fonda tale affermazione sulla giurisprudenza della Corte (8), secondo cui tale diposizione mirerebbe a garantire la libera disponibilità delle indicazioni descrittive e quindi, in definitiva, la libera circolazione delle merci e la libera prestazione dei servizi nel mercato comune.

23.
    L'art. 6, n. 1, lett. b), della direttiva sui marchi sarebbe piuttosto concepito quale barriera di protezione rispetto ai diritti di privativa previsti dall'art. 5 della direttiva medesima e quale necessario complemento dell'istituzione del registro dei marchi conseguente all'opera di armonizzazione.

24.
    Nemmeno dal tenore letterale dell'art. 6, n. 1, lett. b), della direttiva sui marchi emergerebbero elementi in senso contrario.

25.
    Infine, poiché l'utilizzazione di un segno come marchio costituirebbe il presupposto della sussistenza di una violazione ai sensi dell'art. 5 della direttiva sui marchi, anche la collocazione sistematica dell'art. 6, n. 1, lett. b), della direttiva medesima deporrebbe a favore della sua applicabilità, in quanto, diversamente ragionando, tale disposizione risulterebbe privata di qualsiasi sfera di applicazione.

26.
    La Commissione condivide, sostanzialmente, la tesi della resistente e si richiama, inoltre, ai lavori preparatori della direttiva sui marchi. A loro parere, risulterebbe contrario alla volontà del legislatore disapplicare la disposizione di cui all'art. 6, n. 1, lett. b), della direttiva sui marchi nel caso di utilizzazione come marchio del segno controverso.

27.
    La ricorrente, il governo ellenico ed il Regno Unito sostengono, invece, che l'art. 6, n. 1, lett. b), della direttiva sui marchi non troverebbe applicazione nell'ipotesi di utilizzazione come marchio del segno controverso. A loro avviso, occorrerebbe dare priorità al fine tutelato dal marchio rispetto alla tutela della concorrenza libera e non falsata.

28.
    Secondo la ricorrente, già la circostanza che l'art. 6, n. 1, lett. b), della direttiva sui marchi faccia riferimento alla specie - ma non allo scopo - dell'indicazione, deporrebbe a favore di un'interpretazione della norma nel senso che essa comprenderebbe il solo uso descrittivo. Tale tesi risulterebbe avvalorata dalla collocazione logico-sistematica dell'art. 6 della direttiva sui marchi rispetto ai successivi artt. 7 e 9 - ed al loro differente tenore letterale.

29.
    Sotto il profilo sistematico, la ricorrente deduce che la disposizione di cui all'art. 6, n. 1, lett. b), della direttiva sui marchi non potrebbe essere intesa nel senso che essa limiti i diritti di privativa previsti dal precedente art. 5, bensì nel senso che attribuisce un diritto di uso autonomo, del tutto indipendente dai diritti di privativa stabiliti dal detto art. 5.

30.
    La tesi della resistente sarebbe insostenibile anche alla luce della sentenza nelle cause riunite Windsurfing Chiemsee (9), in cui la Corte avrebbe infatti affermato che ad un terzo sarebbe consentito utilizzare un marchio composto in tutto o in parte da una denominazione geografica solamente in modo descrittivo, ma non in quanto marchio.

31.
    Il Regno Unito ed il governo ellenico condividono sostanzialmente la tesi della ricorrente.

32.
    Il Regno Unito sottolinea inoltre, nell'ipotesi in cui l'art. 6, n. 1, lett. b), della direttiva sui marchi dovesse essere dichiarato applicabile all'utilizzazione del segno controverso come marchio, la contraddittorietà delle disposizioni riguardanti la registrazione del marchio, da un lato, e la violazione del marchio, dall'altro. In tal modo, al titolare di un marchio sarebbe sì riconosciuto il diritto di impedire la registrazione ma non l'uso del segno.

2. Analisi

33.
    Ove si ritenga, al pari del giudice del rinvio, che nella causa principale sussista un pericolo di confusione con i marchi registrati, il titolare dei medesimi potrà far validamente valere nei confronti dell'utilizzatore del segno controverso i propri diritti di privativa ex art. 5 della direttiva sui marchi.

34.
    Tale disposizione definisce i diritti derivanti dal marchio, mentre il successivo art. 6 contiene disposizioni dirette a limitare gli effetti prodotti dal marchio. Ai sensi di quest'ultima disposizione, al titolare del marchio non è consentito vietare a terzi, in particolare, l'uso di indicazioni relative alla provenienza geografica. Ci si chiede se tale regola si applichi anche nel caso in cui l'utilizzazione non sia o non sia solamente finalizzata alla descrizione della merce o del servizio, bensì anche a distinguerli rispetto alle merci o ai servizi dei concorrenti.

a) Sul tenore letterale e sulla genesi dell'art. 6, n. 1, lett. b), della direttiva sui marchi.

35.
    Si deve premettere che l'art 6, n. 1, lett. b), della direttiva sui marchi, alla luce del suo tenore letterale, non opera distinzioni a seconda delle possibili modalità di utilizzazione di un segno. Tale disposizione riguarda, come risulta dal suo tenore letterale, le «indicazioni» relative alla provenienza geografica, senza far riferimento al loro eventuale carattere puramente descrittivo.

36.
    In tale contesto va sottolineato che la direttiva non conosce la fattispecie della «utilizzazione come marchio» di un segno. Subordinare l'applicabilità dell'art 6, n. 1, lett. b), alle modalità di uso di un segno - in particolare, distinguendo l'utilizzazione descrittiva da quella come marchio - significa, in definitiva, subordinare tale applicabilità ad un elemento non scritto della fattispecie.

37.
    In considerazione del tenore letterale della disposizione in esame, non appare nemmeno convincente, in caso di utilizzazione di un segno come marchio, desumere l'inapplicabilità generale dell'art 6, n. 1, lett. b), della direttiva sui marchi dal fatto che il testo della disposizione utilizzi la nozione di «indicazioni». Sembra ben difficilmente contestabile che anche marchi registrati possano contenere indicazioni relative alla provenienza geografica di una merce o di un servizio, ragion per cui la nozione di «indicazioni» non consente di trarre alcuna conclusione in ordine alle modalità di utilizzazione.

38.
    Qualora il legislatore comunitario avesse inteso operare una distinzione tra le modalità di utilizzazione di un segno, nell'art 6, n. 1, lett. b), della direttiva sui marchi avrebbe dovuto essere inserito, per motivi di coerenza logica, un corrispondente elemento caratterizzante della fattispecie, il che, per l'appunto, non è avvenuto, cosicché già il tenore letterale della disposizione in esame non dovrebbe lasciare alcun margine per una distinzione in tal senso.

39.
    Dal tenore dell'art 6, n. 1, lett. b), si può solamente desumere che un segno ricade nella sfera di applicazione di tale disposizione solamente ove contenga un'indicazione relativa ad uno degli elementi ivi menzionati quale, ad esempio, la provenienza geografica.

40.
    Anche la genesi dell'art 6, n. 1, lett. b), della direttiva sui marchi depone a favore dell'applicabilità di tale disposizione a prescindere dalle modalità di utilizzazione del segno di cui trattasi. E' pur vero che la prima proposta di direttiva (10) prevedeva che la norma relativa alla limitazione del diritto di utilizzazione esclusiva del titolare del marchio dovesse trovare applicazione solamente qualora l'indicazione descrittiva non venisse utilizzata come marchio; tuttavia, nella proposta di direttiva modificata, tale disposizione è stata poi in effetti sostituita - evidentemente ai fini di una maggiore chiarezza del testo - dalla formulazione «purché l'uso sia conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale» (11). In tal modo, il legislatore comunitario ha scientemente rinunciato ad operare distinzioni a seconda delle modalità di utilizzazione.

41.
    Occorre infine rilevare che è pur vero che il richiamo della ricorrente e del governo ellenico alla normativa sui marchi ellenica, italiana e spagnola evidenzia come in tali Stati membri, ai fini della realizzazione della fattispecie in discussione di cui all'art. 6, n. 1, lett. b), della direttiva sui marchi, il segno non possa essere utilizzato come marchio, bensì solamente con funzione descrittiva. Le modalità di recepimento della direttiva sui marchi nell'ordinamento interno degli Stati membri non consentono peraltro di trarre conclusioni certe circa il modo in cui la direttiva dei marchi debba esser interpretata sul piano del diritto comunitario.

b) Sulla collocazione logico-sistematica

42.
    Anche ragioni di ordine logico-sistematico depongono a favore di un'interpretazione dell'art 6, n. 1, lett. b), della direttiva sui marchi nel senso di una disposizione che comprenda anche l'utilizzazione come marchio di un segno.

i) Sul rapporto tra gli artt. 5 e 6 della direttiva sui marchi

43.
    Mentre l'art. 5 stabilisce i diritti esclusivi del titolare del marchio, l'art. 6 pone limiti a tali diritti (12). Se, però, particolarmente l'art. 6, n. 1, lett. b), della direttiva sui marchi pone un limite ai diritti esclusivi di cui al precedente art. 5, il suo contenuto normativo presuppone, sotto il profilo logico-razionale, che l'utilizzazione di cui trattasi ricada parimenti nell'art. 5. Tanto la Commissione quanto la resistente sottolineano a ragione che il ricorso all'art. 6 resterebbe privo di oggetto se l'utilizzazione di cui trattasi non ricadesse già nella sfera dell'art. 5.

44.
    La Corte ha avuto recentemente più volte modo di pronunciarsi in ordine all'estensione della tutela prevista dall'art. 5 della direttiva sui marchi, interpretandola nel senso che il riferimento al diritto esclusivo ivi tutelato presuppone il compimento di un'azione che leda gli interessi protetti dall'art. 5 medesimo (13). Nella sentenza Arsenal (14) la Corte ha confermato tale orientamento, dichiarando che «il titolare non [può] vietare l'uso di un segno identico al marchio d'impresa per prodotti identici a quelli per i quali il marchio è stato registrato se tale uso non può pregiudicare i suoi interessi specifici in quanto titolare del marchio d'impresa considerate le funzioni di quest'ultimo» (15); in tale contesto la Corte, richiamandosi alla propria costante giurisprudenza (16), ha definito la funzione essenziale del marchio nel senso che essa «consiste nel garantire al consumatore o all'utilizzatore finale l'identità di origine del prodotto o del servizio contrassegnato dal marchio, consentendo loro di distinguere senza confusione possibile questo prodotto o questo servizio da quelli di provenienza diversa» (17) (cosiddetta garanzia della provenienza).

45.
    Senza che occorra procedere in questa sede alla definizione di utilizzazione di un segno come marchio (18) da tale giurisprudenza appare evidente come la legittimità dell'utilizzazione di un segno per fini diversi da quello di distinguere i prodotti o servizi di un'impresa da quelli di altre imprese non possa essere desunta dall'art. 6 della direttiva, già per il sol fatto che una siffatta utilizzazione non ricade nella sfera di tutela dell'art. 5.

46.
    Ritengo, in conclusione, che, ai fini dell'applicabilità dell'art. 6, non possa rilevare la questione se un segno venga utilizzato o meno come marchio.

ii) Sulle disposizioni relative alla registrazione del marchio

47.
    Riguardo alla contraddittorietà, eccepita dal Regno Unito, tra le disposizioni riguardanti, da un lato, la registrazione del marchio e, dall'altro, quelle attinenti alla limitazione degli effetti del marchio, occorre tener presente che indicazioni relative alla provenienza geografica, in presenza di determinati presupposti, ben possono essere tutelate come marchio.

48.
    In tal senso, è pur vero che l'art. 3, n. 1, lett. c), della direttiva sui marchi esclude dalla registrazione, in linea di principio, i marchi d'impresa composti esclusivamente da segni o indicazioni che in commercio possono servire a designare la provenienza geografica del prodotto. Tale divieto è tuttavia temperato da due deroghe. Così, il divieto di registrazione viene meno qualora il marchio abbia acquisito carattere distintivo per effetto del suo uso, ovvero quando esista un'associazione che abbia registrato l'indicazione relativa alla provenienza geografica quale marchio collettivo. Qualora non ricorrano tali deroghe al divieto di registrazione di indicazioni relative alla provenienza geografica, sussiste inoltre la possibilità di richiedere la registrazione di un marchio denominativo-figurativo. In tal modo, il messaggio relativo alla provenienza geografica viene trasportato sull'etichetta o sulla pubblicità, anche se l'indicazione della provenienza geografica non soggiace direttamente alla tutela del marchio. Ciò premesso, contrariamente a quanto sostenuto dal governo del Regno Unito, non appare contraddittorio che, in presenza dei relativi presupposti, debba essere negata la registrazione, ma non la mera utilizzazione dell'indicazione della provenienza geografica.

c) Sulla ratio dell'art. 6, n. 1, lett. b), della direttiva sui marchi

49.
    La funzione principale dell'art. 6 della direttiva sui marchi consiste nel conciliare nel mercato comune gli interessi fondamentali della tutela dei diritti di marchio, da un lato, con quelli della libera circolazione delle merci e della libera prestazione dei servizi, dall'altro, in modo tale che il diritto di marchio possa svolgere la sua funzione di elemento essenziale di un sistema di concorrenza leale (19). Secondo la giurisprudenza della Corte, il detto art. 6 costituisce senza dubbio una limitazione ai diritti del titolare del marchio che fissa i confini dei poteri del medesimo. L'art. 6 della direttiva sui marchi risulta pertanto strettamente collegato, come una sorta di elemento di compensazione, ai diritti esclusivi di cui al precedente art. 5.

50.
    Dalla giurisprudenza della Corte risulta che la funzione essenziale del marchio consiste nel garantire l'identità di origine del prodotto (20). Al fine di poter svolgere la sua funzione di elemento essenziale nel sistema di concorrenza leale, il marchio deve offrire la garanzia che tutti i prodotti o i servizi che ne sono contrassegnati siano stati fabbricati o forniti sotto il controllo di un'unica impresa alla quale possa attribuirsi la responsabilità della loro qualità (21).

51.
    Tale funzione del marchio cui la Corte ha attribuito rilevanza preminente non viene meno, a mio parere, qualora si ritenga che l'art. 6, n. 1, lett. b), della direttiva sui marchi, sia applicabile, in linea generale, anche all'uso di un segno come marchio.

52.
    L'art. 6 della direttiva sui marchi dev'essere infatti letto alla luce della riserva ivi contenuta, secondo cui la possibilità di utilizzazione di un'indicazione relativa, inter alia, alla provenienza geografica è soggetta alla riserva della conformità agli «usi consueti di lealtà in campo industriale o commerciale». L'applicabilità dell'art. 6, n. 1, lett. b), non esclude che, nel singolo caso, vengano presi in considerazione i relativi concreti interessi delle parti, ragion per cui la funzione di tutela del marchio non sembra essere in tal modo pregiudicata.

53.
    Contrariamente a quanto ritenuto dal governo britannico, tale tesi non contrasta con considerazioni relative alla certezza del diritto. E' pur vero che l'art. 6, n. 1, della direttiva sui marchi esige che, in ogni singolo caso concreto, si proceda a una valutazione comparativa tra gli interessi del titolare del marchio, da un lato, e quelli dei terzi, dall'altro; ma è proprio tale valutazione comparativa che consente un'adeguata compensazione degli interessi - voluta dal diritto comunitario (22). Si deve osservare, inoltre, che la tesi contraria, analizzando l'utilizzazione come marchio sulla base di criteri indeterminati, sarebbe fonte di notevole incertezza.

54.
    Occorre infine esaminare la sentenza Windsurfing Chiemsee (23) che, a parere della ricorrente e del Regno Unito, deporrebbe in senso contrario all'applicabilità dell'art. 6, n. 1, lett. b), della direttiva sui marchi in caso di uso come marchio di un determinato segno.

55.
    In tale sentenza la Corte ha rilevato che, nel caso in cui sia stato registrato un marchio composto in tutto o in parte da un nome geografico, l'art. 6, n. 1, lett. b), non conferisce ai terzi «l'uso di tale nome in quanto marchio, bensì si limita ad assicurare loro la possibilità di utilizzarlo in modo descrittivo, vale a dire quale indicazione relativa alla provenienza geografica» (il corsivo è mio). Ciò che, a un primo esame, potrebbe apparire quale criterio dirimente ai fini della soluzione della controversia in oggetto, a una verifica più attenta, non risulta tuttavia pertinente.

56.
    Si deve sottolineare che nelle cause riunite Windsurfing Chiemsee la ricorrente era titolare di un marchio composto in tutto, per meglio dire, in parte da una denominazione di origine geografica mentre, nella fattispecie della causa principale, i marchi della ricorrente sono costituiti da nomi di fantasia ovvero li contengono. Inoltre, nelle cause Windsurfing Chiemsee, la Corte era chiamata a pronunciarsi in ordine ai presupposti in presenza dei quali l'art. 3, n. 1, lett. c), della direttiva sui marchi esclude la registrazione di un marchio composto esclusivamente da una denominazione geografica.

57.
    Già alla luce di tale differente situazione di base, risulta difficilmente possibile traslare alla controversia in esame il passo della giurisprudenza citata. Esito pertanto ad attribuire un valore generale alla menzionata affermazione della Corte (24).

58.
    Alla luce delle suesposte considerazioni ritengo pertanto, in conclusione, che l'utilizzazione di un segno come marchio non costituisca un motivo giuridicamente valido ad escludere, in linea di principio, l'applicabilità dell'art. 6, n. 1, lett. b), della direttiva sui marchi.

B) - Sulla seconda questione pregiudiziale

1. Principali argomenti delle parti

59.
    Secondo la ricorrente, l'utilizzazione come marchio di un'indicazione relativa alla provenienza geografica si porrebbe in contrasto, di regola, con gli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale.

60.
    A parere della resistente, tanto ragioni di ordine logico-sistematico, quanto il tenore dell'art. 6, n. 1, lett. b), della direttiva sui marchi deporrebbero in senso contrario a che, nell'ambito dell'esame della conformità agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale, venga presa in considerazione l'utilizzazione come marchio di un'indicazione relativa alla provenienza geografica.

61.
    La resistente, al pari della Commissione, sottolinea che l'utilizzazione come marchio non costituirebbe, in ogni caso, l'unico criterio, bensì solamente uno dei vari criteri rilevanti ai fini del giudizio di conformità ex art. 6 della direttiva sui marchi.

62.
    Secondo la Commissione, nell'ambito dell'esame dell'elemento della fattispecie costituito dagli «usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale», occorrerebbe fare riferimento alle circostanze del singolo caso concreto. La Commissione si richiama, al riguardo, alle peculiarità del mercato delle acque minerali, pertinente nella fattispecie, esposte nelle proprie osservazioni scritte.

2. Analisi giuridica

63.
    Già dalla clausola restrittiva degli «usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale» emerge che, nell'applicazione dell'art. 6, n. 1, lett. b), della direttiva sui marchi, non può risultare consentito un uso qualsiasi di un marchio. Nella sua sentenza BMW (25) la Corte ha qualificato tale elemento della fattispecie un obbligo di lealtà nei confronti dei legittimi interessi del titolare del marchio.

64.
    La questione se le modalità di utilizzazione di un segno siano conformi agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale dipende da due elementi, vale a dire dai marchi registrati, riguardo ai quali viene presunto un pericolo di confusione, e dalle modalità di utilizzazione del segno stesso. In tale ottica, l'utilizzazione come marchio assume quindi rilevanza ai fini dell'esame dell'elemento della fattispecie costituito dagli «usi consueti di lealtà».

65.
    In tale contesto occorre fare riferimento, caso per caso, alle circostanze concrete e alla configurazione dei contrapposti interessi delle parti. Contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, tale esame da operarsi caso per caso è indispensabile, potendosi sempre presumere la sussistenza di un'infrazione dovuta all'utilizzazione di un certo segno come marchio. Risulterebbe infatti poco coerente sotto il profilo logico comprendere, in un primo momento, l'utilizzazione del segno nell'art. 6 della direttiva sui marchi, per poi rinunciare al necessario esame caso per caso, escludendo in tal modo sistematicamente l'applicazione dello stesso art. 6.

66.
    Occorre poi esaminare le circostanze che possono incidere sull'esito dell'esame, da operarsi caso per caso, dei due detti elementi.

67.
    Riguardo ai marchi registrati occorre tener presente che la ponderazione degli interessi del titolare del marchio dipende, come correttamente sottolineato dalla Commissione, dal carattere distintivo dei marchi medesimi nonché dalla loro notorietà (26). In tal senso, il titolare del marchio appare meno meritevole di tutela qualora il pericolo di confusione sia imputabile al medesimo, almeno parzialmente, ad esempio nel caso in cui il marchio registrato consista in indicazioni descrittive che abbiano acquisito carattere distintivo solamente a seguito di uso. Rilevante è anche la notorietà del marchio: quanto maggiore è la notorietà, tanto più probabile risulterà il danno per il prestigio delle merci o dei servizi di cui trattasi nonché per il valore del marchio, danno derivante dall'utilizzazione di un'indicazione che non serva solamente alla descrizione delle caratteristiche del prodotto (27).

68.
    Con ciò giungo al secondo elemento, vale a dire alle modalità d'utilizzazione delle indicazioni da parte del terzo, elemento centrale della seconda questione pregiudiziale. E' indubbio che un inganno consapevole del pubblico, realizzato mediante l'utilizzazione, quale indicazione relativa alle caratteristiche del prodotto, di un segno ingannevole per effetto della sua somiglianza con un marchio non sarebbe conforme agli usi consueti di lealtà nel campo industriale e commerciale. Come correttamente sottolineato dalla Commissione, riveste infatti un ruolo importante la percezione che il pubblico ha del segno utilizzato.

69.
    Ciò pone in evidenza al tempo stesso la sussistenza di una stretta connessione tra modalità e finalità dell'utilizzazione delle indicazioni, nel senso che le modalità dell'utilizzazione contengono al tempo stesso indicazioni quanto alla finalità di tale utilizzazione. Tale considerazione si applica anche al caso di specie. Il sospetto che l'indicazione relativa alla sorgente venga utilizzata per collegare i prodotti a base di acqua minerale di cui trattasi a una determinata impresa - e non solamente come indicazione della provenienza geografica dell'acqua minerale utilizzata - sorge nella fattispecie, tra l'altro, per effetto del rilievo nonché della configurazione data all'indicazione medesima. Le modalità di utilizzazione dell'indicazione relativa alla provenienza geografica dell'acqua lascia quindi evidentemente sorgere il sospetto che tale utilizzazione non possieda solamente carattere descrittivo, bensì sia stata effettuata «come marchio», secondo la formulazione utilizzata dal giudice del rinvio.

70.
    In considerazione di tale stretta connessione tra modalità di utilizzazione delle indicazioni e finalità dell'utilizzazione stessa, si dovrà ben tener conto, nell'ambito dell'esame di tutte le circostanze del singolo caso di specie, delle modalità con cui l'indicazione è stata utilizzata, in particolar modo, se essa si avvicini a un'utilizzazione effettuata allo scopo di contrassegnare un prodotto, rinunciando al tempo stesso a registrare il marchio nello Stato membro volta a volta interessato.

71.
    Riguardo ai prodotti a base di acqua minerale occorre inoltre osservare che il mero uso del nome della sorgente non consente, in ogni caso, di formulare conclusioni quanto alla finalità di tale indicazione. Gli artt. 7 e 8 della direttiva del Consiglio 80/777/CEE (28) prevedono che la provenienza geografica di un'acqua minerale - che si tratti della sorgente o del cosiddetto suo luogo di sfruttamento - venga indicata in modo inequivocabile, vale a dire anche con caratteri chiari (29). Uno dei motivi di tale disciplina va ravvisato evidentemente nell'importanza dell'acqua minerale per la salute del consumatore. Per tale ragione è infatti vietato modificare l'acqua tratta da una determinata sorgente, rafforzando o realizzando artificialmente le sue proprietà fisiologico-nutrizionali. Il consumatore ricollega all'indicazione relativa alla provenienza della merce o del servizio un complesso di determinate caratteristiche del prodotto e la garanzia di una determinata qualità. Caratteristica particolare dell'acqua minerale è che le sue specifiche qualità derivano dalla località in cui l'acqua effettivamente sgorga. Il valore commerciale dell'acqua minerale consiste pertanto essenzialmente in tale particolare collegamento tra l'indicazione di una determinata provenienza e l'aspettativa di una determinata qualità da parte del consumatore.

72.
    Da tutte le suesposte considerazioni risulta che, nell'ambito della valutazione ai sensi dell'art. 6, n. 1, ultima frase, della direttiva sui marchi, occorre tener conto, per quanto riguarda la caratteristica degli «usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale», delle modalità di utilizzazione di una delle indicazioni menzionate alla lett. b) del medesimo n. 1 dell'art. 6, tra cui, ad esempio, il grado di somiglianza dell'indicazione con il marchio registrato, l'intensità del risalto dato all'indicazione, anche in considerazione dell'eventualità che ecceda un obbligo sancito dalla normativa comunitaria, nonché la percezione che il pubblico abbia dell'indicazione utilizzata in quanto marchio.

V - Conclusione

73.
    Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, suggerisco alla Corte di risolvere le questioni pregiudiziali proposte dal Bundesgerichtshof nei termini seguenti :

1)    Ai fini dell'applicabilità dell'art. 6, n. 1, lett. b), della direttiva 89/104/CE non rileva, in linea di principio, la questione se un terzo utilizzi o meno come marchio una delle indicazioni ivi menzionate.

2)    Nell'ambito della valutazione ai sensi dell'art. 6, n. 1, ultima frase, della direttiva 89/104/CE, occorre tener conto, per quanto riguarda la caratteristica degli «usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale», delle modalità di utilizzazione di una delle dette indicazioni, tra cui, ad esempio:

    -    il grado di somiglianza dell'indicazione con il marchio registrato,

    -    l'intensità del risalto dato all'indicazione, anche in considerazione dell'eventualità che ecceda un obbligo sancito dalla normativa comunitaria, nonché

    -    la percezione che il pubblico abbia dell'indicazione utilizzata in quanto marchio.


1: -     Lingua originale: il tedesco.


2: -    Prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa (GU 11.2.1989, L 40, pag. 1).


3: -    Art. 6, n. 1, della direttiva sui marchi.


4: -    L'uso di un segno come marchio è stato definito dalla Corte, nella sentenza 23 febbraio 1999, causa C-63/97, BMW (Racc. pag. I-905, punto 38), quale uso diretto «a contraddistinguere i prodotti o servizi di cui trattasi nel senso che provengono da un'impresa determinata».


5: -    Sentenza 4 maggio 1999, cause riunite C-108/97 e C-109/97, Windsurfing Chiemsee (Racc. pag. I-2779, punto 28).


6: -    Il Bundesgerichtshof si è richiamato al riguardo alla sentenza della Corte nella causa BMW (cit. supra alla nota 4, punto 42).


7: -    BGBl. I 1994, pag. 3082 (1995, pag. 156).


8: -    Sentenza nella causa BMW (cit. supra alla nota 4), punto 62.


9: -    Cit. supra alla nota 5, punto 28.


10: -    Boll. CE, allegato 5/80.


11: -    COM (85) 793 def.; GU C 351 del 31.12.1985, pag. 4.


12: -    In questa sede si può tralasciare l'esame della questione se si tratti di deroghe ai diritti previsti dall'art. 5 della direttiva sui marchi ovvero di limiti immanenti al sistema. Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, resta parimenti irrilevante se l'art.6 della direttiva sui marchi generi un «diritto di utilizzazione autonomo», atteso che un diritto di tal genere può riferirsi, dal punto di vista logico, solamente ad un'utilizzazione, in linea di principio, vietata, il che ci riconduce alla problematica del limite.


13: -    V., ad esempio, sentenza 14 maggio 2002, causa C-2/00, Hölterhoff (Racc. pag. I-4187, punto 16). Tale causa verteva sulla questione simmetrica se l'utilizzazione di un segno come marchio possa ricadere nell'art. 5.


14: -    Sentenza 12 novembre 2002, causa C-206/01, Arsenal Football Club (Racc. pag. I-10273).


15: -    Sent. cit., punto 54.


16: -    V., tra le altre, sentenze 23 maggio 1978, causa 102/77, Hoffmann-La Roche (Racc. pag. 1139, punto 7), e 18 giugno 2002, causa C-299/99, Philips (Racc. pag. I-5475, punto 30).


17: -    Sent. cit., punto 48.


18: -    Al punto 17 della sentenza Hölterhoff (cit. supra alla nota 13) la Corte si è espressamente rifiutata di procedere all'elaborazione di tale definizione.


19: -    Sentenza nella causa C-63/97, cit. alla nota 4 (punto 62).


20: -    V. supra, paragrafo 44.


21: -    V., fra le altre, sentenze nelle cause 102/77, cit. alla nota 16 (punto 7), nella causa C-299/99, cit. alla nota 16 (punto 30), e nella causa C-206/01, cit. alla nota 14 (punto 48).


22: -    La direttiva sui marchi è scaturita, notoriamente, dal rapporto dialettico tra libertà fondamentali e tutela della proprietà intellettuale.


23: -    Cit. alla nota 5 (punto 28).


24: -    In tal senso, v. anche le conclusioni dell'avvocato generale Jacobs 5 aprile 2001 presentate nella causa C-383/99 P, Procter & Gamble (sentenza 20 settembre 2001, Racc. pag. I-6251).


25: -    Cit. alla nota 4 (punto 61).


26: -    V. già sentenza nella causa C-63/97, cit. alla nota 4 (punto 40).


27: -    V., ad esempio, la giurisprudenza della Corte relativa all'art. 7, n. 2, della direttiva sui marchi, in particolare la sentenza nella causa C-63/97, cit. alla nota 4 (punti 51 e seguenti).


28: -    Direttiva 15 luglio 1980, in materia di ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri sull'utilizzazione e la commercializzazione delle acque minerali naturali (GU L 229, pag. 1).


29: -    Una siffatta denominazione può inoltre costituire una denominazione di origine controllata ovvero un'indicazione geografica tutelata ai sensi del regolamento (CEE) del Consiglio 14 luglio 1992, n. 2081, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d'origine dei prodotti agricoli ed alimentari (GU L 208, pag. 1).