Language of document : ECLI:EU:T:2022:360

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Sesta Sezione)

15 giugno 2022 (*)

«Marchio dell’Unione europea – Procedimento di dichiarazione di nullità – Marchio dell’Unione europea denominativo ECODOWN – Impedimenti alla registrazione assoluti – Assenza di carattere distintivo – Carattere descrittivo – Articolo 7, paragrafo 1, lettere b) e c), del regolamento (CE) n. 40/94 [divenuto articolo 7, paragrafo 1, lettere b) e c), del regolamento 2017/1001] – Assenza di carattere distintivo acquisito in seguito all’uso – Articolo 7, paragrafo 3, del regolamento n. 40/94 (divenuto articolo 7, paragrafo 3, del regolamento 2017/1001)»

Nella causa T‑338/21,

F I S I Fibre sintetiche SpA, con sede in Oggiono (Italia), rappresentata da G. Cartella e B. Cartella, avvocati,

ricorrente,

contro

Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), rappresentato da R. Raponi e J. Crespo Carrillo, in qualità di agenti,

convenuto,

controinteressata nel procedimento dinanzi alla commissione di ricorso dell’EUIPO, interveniente dinanzi al Tribunale,

Verband der Deutschen Daunen- und Federnindustrie eV, con sede in Magonza (Germania), rappresentata da M. Travostino e N. Bottero, avvocati,

IL TRIBUNALE (Sesta Sezione),

composto da A. Marcoulli, presidente, S. Frimodt Nielsen e C. Iliopoulos (relatore), giudici,

cancelliere: E. Coulon

vista la fase scritta del procedimento,

visto che le parti non hanno presentato, nel termine di tre settimane a decorrere dalla notifica della chiusura della fase scritta del procedimento, domanda di fissazione di un’udienza, e avendo deciso, a norma dell’articolo 106, paragrafo 3, del regolamento di procedura del Tribunale, di statuire omettendo la fase orale del procedimento,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con il suo ricorso fondato sull’articolo 263 TFUE, la ricorrente, la F I S I Fibre sintetiche SpA, chiede l’annullamento della decisione della prima commissione di ricorso dell’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) del 13 aprile 2021 (procedimento R 216/2020-1; in prosieguo: la «decisione impugnata»).

 Fatti

2        Il 13 dicembre 2017 l’interveniente, il Verband der Deutschen Daunen- und Federnindustrie eV, ha presentato all’EUIPO una domanda di dichiarazione di nullità del marchio dell’Unione europea denominativo ECODOWN, che era stato pubblicato il 7 luglio 2003 e registrato il 27 novembre 2003 con il n. 2756740, a seguito di una domanda presentata il 28 giugno 2002.

3        I prodotti coperti dal marchio contestato, per i quali era stata chiesta la dichiarazione di nullità, rientrano, dopo la limitazione intervenuta nel corso del procedimento di registrazione dinanzi all’EUIPO, nella classe 22 ai sensi dell’accordo di Nizza del 15 giugno 1957, relativo alla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, come riveduto e modificato, e corrispondono alla seguente descrizione: «Fibre tessili grezze; materiale per imbottiture ad esclusione delle piume; ovatte per imbottiture; crine; capoc».

4        I motivi invocati a sostegno della domanda di dichiarazione di nullità erano quelli di cui all’articolo 59, paragrafo 1, lettera a), del regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea (GU 2017, L 154, pag. 1), in combinato disposto con l’articolo 7, paragrafo 1, lettere b), c) e g), del medesimo.

5        Il 29 novembre 2019, la divisione di annullamento ha accolto la domanda di dichiarazione di nullità sulla base dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera c), in combinato disposto con l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento 2017/1001.

6        Il 27 gennaio 2020, la ricorrente ha proposto ricorso dinanzi all’EUIPO avverso la decisione della divisione di annullamento.

7        Il ricorso è stato respinto dalla decisione impugnata in quanto il marchio era stato registrato in violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, lettere b) e c), del regolamento 2017/1001.

8        In particolare, la commissione di ricorso ha innanzitutto definito il pubblico di riferimento come composto dal pubblico professionale del settore dell’imbottitura e dal pubblico generale dell’Unione europea e ha deciso di prendere in considerazione la parte anglofona di tale pubblico di riferimento situata in Irlanda e a Malta. Essa ha ritenuto che il livello di attenzione del pubblico di riferimento variasse da medio ad alto. In secondo luogo, ha considerato che il marchio contestato era composto dal prefisso «eco», che si riferiva all’aggettivo «ecologico» e che era ormai descrittivo, e dalla parola «down», che aveva, tra i suoi significati, quello di «piumaggio di oche» e di «qualsiasi sostanza di natura morbida o soffice usata per imbottire giacche e altri capi di abbigliamento, così come coperte e cuscini», e che quindi l’espressione «ecodown» era intesa, senza particolari sforzi esegetici, con il significato di «piumino ecologico». Essa ha dunque ritenuto che il marchio contestato fosse descrittivo dei prodotti che esso designava e che informasse il pubblico del fatto che tali prodotti erano fabbricati con materiali di imbottitura conformi a taluni standard di eco-sostenibilità e di eco-compatibilità. In terzo luogo, ha concluso che il marchio contestato, essendo descrittivo, era necessariamente privo di carattere distintivo. Infine, in quarto luogo, poiché la ricorrente aveva fatto valere il carattere distintivo del marchio contestato acquisito attraverso l’uso, la commissione di ricorso ha ritenuto, segnatamente, che le prove presentate non dimostrassero in alcun modo l’uso di detto marchio in Irlanda e a Malta, per cui non era dimostrato che esso vi avesse acquisito carattere distintivo in seguito all’uso.

 Conclusioni delle parti

9        La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        dichiarare la validità del marchio contestato;

–        condannare l’interveniente alle spese, comprese quelle sostenute dinanzi all’EUIPO.

10      L’EUIPO chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

11      L’interveniente chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        confermare la nullità del marchio contestato;

–        condannare la ricorrente alle spese, comprese quelle sostenute dinanzi alla commissione di ricorso e all’EUIPO.

 In diritto

12      Innanzitutto, si deve rilevare, in primo luogo, che, tenuto conto della data di presentazione della domanda di registrazione del marchio contestato, ossia il 28 giugno 2002, la quale è determinante ai fini dell’individuazione del diritto sostanziale applicabile, i fatti del caso di specie sono disciplinati dalle disposizioni sostanziali del regolamento (CE) n. 40/94 del Consiglio, del 20 dicembre 1993, sul marchio comunitario (GU 1995, L 303, pag. 1) [sostituito dal regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio dell’Unione europea (GU 2009, L 78, pag. 1), divenuto il regolamento 2017/1001] (v., in tal senso, ordinanza del 5 ottobre 2004, Alcon/UAMI, C‑192/03 P, EU:C:2004:587, punti 39 e 40, e sentenza del 23 aprile 2020, Gugler France/Gugler e EUIPO, C‑736/18 P, non pubblicata, EU:C:2020:308, punto 3 e giurisprudenza ivi citata).

13      Di conseguenza, nella fattispecie, per quanto concerne le norme sostanziali, i riferimenti fatti dalla commissione di ricorso nella decisione impugnata e dalle parti nelle loro memorie alle disposizioni dell’articolo 7 del regolamento 2017/1001 devono essere intesi come riferimenti all’articolo 7 del regolamento n. 40/94, di identico tenore. Peraltro, dal momento che, secondo una giurisprudenza costante, le norme procedurali si considerano generalmente applicabili al momento in cui esse entrano in vigore (v. sentenza dell’11 dicembre 2012, Commissione/Spagna, C‑610/10, EU:C:2012:781, punto 45 e giurisprudenza ivi citata), la controversia è disciplinata dalle disposizioni procedurali del regolamento 2017/1001.

14      In secondo luogo, per quanto riguarda il capo quarto delle rispettive conclusioni della ricorrente e dell’interveniente, esso deve in entrambi i casi essere dichiarato irricevibile nella parte in cui è diretto ad ottenere la condanna della controparte alle spese sostenute dinanzi agli organi dell’EUIPO diversi dalla commissione di ricorso. Dall’articolo 190, paragrafo 2, del regolamento di procedura del Tribunale risulta, infatti, che solo le spese sostenute dalle parti ai fini del procedimento dinanzi alla commissione di ricorso sono considerate spese ripetibili.

15      A sostegno del suo ricorso, la ricorrente deduce, in sostanza, tre motivi vertenti, rispettivamente, il primo, sulla violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 40/94 [divenuto l’articolo 7, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 207/2009, divenuto a sua volta l’articolo 7, paragrafo 1, lettera c) del regolamento 2017/1001], il secondo, sulla violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 40/94 [divenuto l’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, a sua volta divenuto l’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), del regolamento 2017/1001] e, il terzo, sulla violazione dell’articolo 7, paragrafo 3, del regolamento n. 40/94 (divenuto l’articolo 7, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009, a sua volta divenuto l’articolo 7, paragrafo 3, del regolamento 2017/1001).

 Sul primo motivo, vertente sulla violazione dellarticolo 7, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 40/94

16      Nell’ambito di questo motivo, la ricorrente contesta, in primo luogo, la decisione della commissione di ricorso che limita, contrariamente alla divisione di annullamento, il pubblico di riferimento da prendere in considerazione alla parte di tale pubblico per il quale l’inglese è la lingua madre e che si trova in Irlanda e a Malta, mentre la lingua inglese è parlata da gran parte della popolazione dell’Unione. Così facendo, la commissione di ricorso avrebbe preso in considerazione una parte più limitata del pubblico di riferimento che non è sufficientemente rappresentativa dello stesso. Detta decisione sarebbe inoltre viziata da una violazione dell’obbligo di motivazione. In secondo luogo, la ricorrente eccepisce l’errore di diritto in cui la commissione di ricorso sarebbe incorsa scomponendo il marchio contestato in due parole, ossia «eco» e «down», mentre avrebbe dovuto effettuare una valutazione di tale marchio considerato nel suo complesso, da cui sarebbe emerso che l’espressione «ecodown» era di fantasia. In terzo luogo, essa contesta alla commissione di ricorso un errore di valutazione riguardante il significato delle due parole che compongono detto marchio. La parola «eco» non sarebbe un prefisso secondo i dizionari inglesi e potrebbe, peraltro, essere l’abbreviazione di altri termini, come «economia». Il termine «down», per la gran parte del pubblico anglofono di riferimento dell’Unione, che avrebbe dovuto essere presa in considerazione dalla commissione di ricorso, avrebbe un significato immediato diverso da quello attribuitogli dalla commissione di ricorso. Tale termine, infatti, significherebbe «sotto» o «giù», mentre i significati di «piuma» o di «imbottito di piume» figurerebbero nei dizionari inglesi tra i significati secondari, poco noti. Inoltre, la ricorrente sottolinea che, secondo la giurisprudenza un marchio, per essere considerato descrittivo, deve essere immediatamente percepito dal pubblico di riferimento come riferito ai prodotti che esso contraddistingue, il che non si verificherebbe nel caso di specie, in quanto il consumatore dovrebbe effettuare diverse operazioni esegetiche per cogliere un siffatto significato descrittivo: esso dovrebbe anzitutto poter scomporre il marchio in due parole, poi attribuire al termine «eco» il significato di «ecologico», intendere poi il termine «down» nel senso di «piuma», ampliando il significato del termine «down» per conferirgli anche quello di «sostanza di natura morbida o soffice usata per imbottire giacche», in seguito a ciò dovrebbe ricombinare le due parole e, infine, attribuire al marchio contestato il significato di «piumino ecologico». La necessità di un sforzo esegetico siffatto dimostrerebbe che il marchio contestato presenta un carattere di fantasia. Peraltro, la ricorrente sostiene che sarebbero speculazioni della commissione di ricorso considerare che il termine «eco» indicherebbe l’«assenza di maltrattamento animale». Inoltre, se l’espressione che costituisce il marchio fosse davvero descrittiva, anche i terzi l’avrebbero usata per designare prodotti simili.

17      L’EUIPO e l’interveniente contestano detti argomenti.

18      Occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 40/94, sono esclusi dalla registrazione i marchi composti esclusivamente da segni o indicazioni che in commercio possono servire per designare la specie, la qualità, la quantità, la destinazione, il valore, la provenienza geografica, ovvero l’epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio, o altre caratteristiche del prodotto o servizio. In forza dell’articolo 7, paragrafo 2, del medesimo regolamento, l’articolo 7, paragrafo 1, di quest’ultimo si applica anche se gli impedimenti assoluti alla registrazione esistono soltanto per una parte dell’Unione.

19      Tali segni o indicazioni sono considerati inidonei ad esercitare la funzione essenziale del marchio, ossia quella di identificare l’origine commerciale del prodotto o del servizio [sentenze del 23 ottobre 2003, UAMI/Wrigley, C‑191/01 P, EU:C:2003:579, punto 30, e del 27 febbraio 2002, Eurocool Logistik/UAMI (EUROCOOL), T‑34/00, EU:T:2002:41, punto 37].

20      Perché il divieto enunciato dall’articolo 7, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 40/94, si applichi a un segno, questo deve presentare con i prodotti o servizi in causa un nesso sufficientemente concreto e diretto da consentire al pubblico di riferimento di percepire immediatamente e senza altra riflessione una descrizione di tali prodotti o servizi ovvero una delle loro caratteristiche [v. sentenze del 12 gennaio 2005, Deutsche Post EURO EXPRESS/UAMI (EUROPREMIUM), T‑334/03, EU:T:2005:4, punto 25 e giurisprudenza ivi citata, e del 22 giugno 2005, Metso Paper Automation/UAMI (PAPERLAB), T‑19/04, EU:T:2005:247, punto 25 e giurisprudenza ivi citata].

21      Inoltre, la valutazione del carattere descrittivo di un segno può essere unicamente condotta, da un lato, con riferimento ai prodotti o ai servizi di cui trattasi e, d’altro lato, con riferimento alla comprensione che ne ha il pubblico di riferimento [v. sentenza del 25 ottobre 2005, Peek & Cloppenburg/UAMI (Cloppenburg), T‑379/03, EU:T:2005:373, punto 37 e giurisprudenza ivi citata].

22      Nel caso di specie, in primo luogo, la commissione di ricorso ha considerato che i prodotti designati dal marchio contestato, quali elencati al precedente punto 3, sono prodotti destinati tanto al pubblico specializzato del settore dell’imbottitura quanto al consumatore medio, che avrebbero un livello di attenzione medio-alto. Poiché il marchio contestato ha, in lingua inglese, un significato menzionato dall’interveniente nella domanda di dichiarazione di nullità, la commissione di ricorso ha ritenuto che occorresse limitare la sua analisi alla parte anglofona del pubblico di riferimento situata in Irlanda e a Malta.

23      La ricorrente afferma, in sostanza, che la parte del pubblico di riferimento preso in considerazione dalla commissione di ricorso era troppo limitata geograficamente e non sufficientemente rappresentativa della parte anglofona del pubblico di riferimento, dato che l’inglese è parlato in tutta l’Unione.

24      A tale riguardo, è sufficiente constatare che, come giustamente sostenuto dall’EUIPO e dall’interveniente, dall’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 40/94 (divenuto l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009, a sua volta divenuto l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento 2017/1001) nonché dalla giurisprudenza risulta che gli impedimenti alla registrazione assoluti possono essere opposti alla registrazione di un marchio anche se sono applicabili soltanto a una parte dell’Unione [v., in tal senso, sentenza del 9 luglio 2014, Pågen Trademark/UAMI (gifflar), T‑520/12, non pubblicata, EU:T:2014:620, punto 20]. Pertanto, affinché un segno ricada sotto il divieto previsto dall’articolo 7, paragrafo 1, lettera b) o c), del regolamento n. 40/94, è sufficiente che sussista un impedimento rispetto a una parte non trascurabile del pubblico di riferimento [v. sentenza del 6 ottobre 2017, Karelia/EUIPO (KARELIA), T‑878/16, non pubblicata, EU:T:2017:702, punto 27 e giurisprudenza ivi citata].

25      Orbene, la ricorrente non ha dimostrato che la parte del pubblico di riferimento presa in considerazione dalla commissione di ricorso fosse trascurabile, ai sensi di tale giurisprudenza. Non può essere, infatti, considerato trascurabile il pubblico del territorio di due Stati membri. Ne consegue che la commissione di ricorso non è incorsa in errori nella definizione del pubblico di riferimento. Inoltre, poiché era sufficiente prendere in considerazione tale parte del pubblico di riferimento, essa non era tenuta a motivare le ragioni per le quali non ha preso in considerazione il resto del pubblico di riferimento.

26      Pertanto, tale censura dev’essere respinta.

27      In secondo luogo, per quanto riguarda l’errore di diritto in cui la commissione di ricorso sarebbe incorsa scomponendo il segno costituente il marchio contestato al fine di esaminare il suo eventuale carattere descrittivo, va necessariamente constatato, come sottolinea correttamente l’EUIPO, che quest’ultima ha, certamente, esaminato anzitutto il significato delle componenti «eco» e «down» del marchio contestato, ma ha altresì proceduto, ai punti 40 e 45 della decisione impugnata, a un’analisi del segno in questione nel suo complesso, concludendo che l’espressione «ecodown» era dotata di un significato compiuto che veniva inteso dalla parte del pubblico di riferimento presa in considerazione con il significato di «piumino ecologico» e che essa trasmetteva il messaggio che i prodotti designati dal marchio contestato sono imbottiture ecologiche, nel senso che sono di origine vegetale e/o che, in ogni caso, non contaminano l’ambiente.

28      Orbene, il metodo di analisi utilizzato dalla commissione di ricorso è del tutto conforme ai requisiti imposti dalla giurisprudenza. Infatti, la Corte ha già precisato, per quanto riguarda i marchi composti da una combinazione di elementi, che un eventuale carattere descrittivo può essere esaminato, in parte, per ciascuno dei suoi elementi, preso separatamente, ma che esso deve essere constatato altresì per l’insieme che questi costituiscono (v., in tal senso, la sentenza del 19 aprile 2007 C‑273/05 P, UAMI/Celltech, EU:C:2007:224, punti 76 e 79 e giurisprudenza ivi citata).

29      Pertanto, anche questa censura della ricorrente dev’essere respinta.

30      In terzo luogo, per quanto riguarda il significato delle parole che compongono il marchio contestato, sotto un primo profilo, occorre rilevare, come giustamente osservato dalla commissione di ricorso al punto 38 della decisione impugnata, che il termine «eco» è già stato considerato come riferito alla parola «ecologico» [v., in tal senso, sentenze del 24 aprile 2012, Leifheit/UAMI (EcoPerfect), T‑328/11, non pubblicata, EU:T:2012:197, punto 25; del 15 gennaio 2013, BSH/UAMI (ecoDoor), T‑625/11, EU:T:2013:14, punto 21, e del 25 aprile 2013, Bayerische Motoren Werke/UAMI (ECO PRO), T‑145/12, non pubblicata, EU:T:2013:220, punto 25].

31      L’argomento della ricorrente secondo cui la commissione di ricorso ha erroneamente fatto riferimento a tale termine come costitutivo di un prefisso non incide sulla constatazione secondo cui detto termine rinvia alla parola «ecologico».

32      Inoltre, il fatto che esistano più marchi registrati contenenti tale termine è irrilevante al riguardo, dal momento che, come giustamente ricordato dall’EUIPO, i principi della parità di trattamento e di buona amministrazione devono conciliarsi con il rispetto della legalità. Di conseguenza, la persona che richiede la registrazione di un segno come marchio non può invocare a proprio vantaggio un eventuale illecito commesso in favore di altri al fine di ottenere una decisione identica (v. sentenza del 10 marzo 2011, Agencja Wydawnicza Technopol/UAMI, C‑51/10 P, EU:C:2011:139, punti 75 e 76 nonché giurisprudenza ivi citata).

33      Sotto un secondo profilo, al punto 39 della decisione impugnata, la commissione di ricorso ha dichiarato, facendo riferimento all’Oxford English Dictionary, una fonte di riferimento generalmente disponibile al pubblico, che il vocabolo «down» indicava, segnatamente, sia il «piumaggio di oche», sia «qualsiasi sostanza di natura morbida o soffice usata per imbottire giacche e altri capi di abbigliamento, così come coperte e cuscini».

34      A tale riguardo, nella misura in cui la ricorrente si limita ad affermare che i significati del termine «down» presi in considerazione dalla commissione di ricorso sono solo secondari, basandosi sui risultati di ricerche effettuate sui siti Internet Wordreference.com, Google translate e dictionary.cambridge.org, senza tuttavia contestare il fatto che tale termine possa avere detti significati, è sufficiente constatare che un segno deve essere escluso dalla registrazione ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera c), del regolamento 40/94, qualora designi, quantomeno in uno dei suoi significati potenziali, una caratteristica dei prodotti o servizi di cui trattasi [v. sentenza del 31 maggio 2016, Warimex/EUIPO (STONE), T‑454/14, non pubblicata, EU:T:2016:325, punto 83 e giurisprudenza ivi citata].

35      Pertanto, gli argomenti della ricorrente secondo cui i termini «eco» e «down» possono avere altri significati, anche più comuni di quelli considerati dalla commissione di ricorso, non possono essere accolti.

36      Infine, sotto un terzo profilo, per quanto riguarda la valutazione del carattere descrittivo del marchio contestato nel suo complesso, come rilevato al precedente punto 27, la commissione di ricorso ha considerato, ai punti 40 e 45 della decisione impugnata, che la sequenza «ecodown» fosse un’espressione che era compresa dal pubblico di riferimento con il significato di «piumino ecologico» e che essa trasmettesse il messaggio che i prodotti designati dal marchio contestato erano imbottiture ecologiche nel senso che essi avevano un’origine vegetale e/o che, in ogni caso, non contaminavano l’ambiente.

37      La ricorrente ritiene che tale significato non sia affatto diretto e immediato, dovendo il consumatore compiere diverse operazioni esegetiche per giungere ad esso, e che ciò dimostri che il marchio impugnato è in realtà un marchio di fantasia, privo di carattere descrittivo immediatamente percepibile da tale consumatore in relazione ai prodotti cui si riferisce. Pertanto, la commissione di ricorso si sarebbe lasciata andare a speculazioni, al punto 47 della decisione impugnata, poiché non sarebbe stato dimostrato che il pubblico di riferimento comprendesse che il marchio contestato designava un’imbottitura né che essa era ecologica. Analogamente, sarebbero speculazioni le affermazioni della commissione di ricorso secondo cui il termine «eco» equivarrebbe o sarebbe un riferimento implicito all’assenza di maltrattamento animale nell’ambito della fabbricazione dei prodotti di cui trattasi o ancora al fatto che tali prodotti, pur non contenendo piume, presenterebbero le stesse caratteristiche di sofficità, di leggerezza e di versatilità e lo stesso potere isolante delle piume.

38      Tuttavia, da un lato, si deve necessariamente constatare che, poiché la ricorrente non è riuscita a rimettere in discussione i significati delle due parole che compongono il marchio contestato presi in considerazione dalla commissione di ricorso, come risulta dai precedenti punti da 30 a 34, essa non può rimettere in discussione il fatto che la giustapposizione di tali parole o la loro sequenza nel suo complesso poteva essere intesa dalla parte anglofona del pubblico di riferimento situata in Irlanda e a Malta con il significato di «piumino ecologico» o di «materiali per imbottitura ecologica». Queste due parole formano insieme un’espressione avente un significato che non è inusuale o puramente speculativo e che è idoneo ad informare direttamente e immediatamente detta parte del pubblico di riferimento riguardo alle qualità dei prodotti contraddistinti dal marchio contestato.

39      Dall’altro lato, come osserva l’interveniente, la ricorrente stessa utilizza, nella promozione dei prodotti designati dal marchio contestato, il termine «eco» per far riferimento alle qualità ecologiche di tali prodotti.

40      Ciò premesso, l’argomento della ricorrente relativo alla necessità per il consumatore di effettuare varie operazioni esegetiche prima di percepire il marchio contestato come descrittivo dei prodotti cui esso si riferisce non può essere accolto. Infatti, essa è altresì in contraddizione con la sua convinzione quale si manifesta nella prassi di marketing che essa conduce.

41      Inoltre, il fatto che un’espressione siffatta non sia utilizzata sul mercato per designare prodotti simili è irrilevante, dal momento che, perché l’EUIPO possa opporre il diniego di registrazione ex articolo 7, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 40/94, non è necessario che i segni e le indicazioni componenti il marchio previsti da detto articolo siano effettivamente utilizzati, al momento della domanda di registrazione, a fini descrittivi di prodotti o servizi come quelli oggetto della domanda ovvero di caratteristiche di tali prodotti o di tali servizi. È sufficiente, come emerge dal tenore letterale di detta disposizione, che questi segni e indicazioni possano essere utilizzati a tali fini (sentenza del 23 ottobre 2003, UAMI/Wrigley, C‑191/01 P, EU:C:2003:579, punto 32).

42      Pertanto, la decisione impugnata non è viziata da errore per quanto riguarda la valutazione del carattere descrittivo del marchio contestato.

43      Tale censura deve essere quindi del pari respinta, così come, pertanto, il primo motivo nella sua interezza.

 Sul secondo motivo, vertente sulla violazione dellarticolo 7, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 40/94

44      La ricorrente sostiene che il marchio contestato, non essendo descrittivo, avrebbe carattere distintivo.

45      L’EUIPO e l’interveniente ricordano che, se un marchio ha carattere descrittivo, non si può ritenere che esso abbia carattere distintivo.

46      A tale riguardo, occorre ricordare che un segno che possieda, in relazione ai prodotti o ai servizi per i quali viene richiesta la sua registrazione come marchio, carattere descrittivo ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 40/94 è privo di carattere distintivo rispetto a tali prodotti o servizi, fatta salva l’applicazione del paragrafo 3 di detto articolo (v., in tal senso, sentenza del 10 marzo 2011, Agencja Wydawnicza Technopol/UAMI, C‑51/10 P, EU:C:2011:139, punto 33 e giurisprudenza ivi citata).

47      Si deve pertanto respingere il secondo motivo in quanto infondato.

 Sul terzo motivo, vertente sulla violazione dellarticolo 7, paragrafo 3, del regolamento n. 40/94

48      La ricorrente, ribadendo che la commissione di ricorso avrebbe preso in considerazione una parte non sufficientemente rappresentativa del pubblico di riferimento, sostiene che era impossibile fornire la prova del carattere distintivo del marchio contestato, acquisito in seguito all’uso di quest’ultimo. Essa addebita, inoltre, alla commissione di ricorso di aver sottovalutato il valore probatorio degli elementi di prova forniti, relativi all’uso del marchio contestato nel Regno Unito, in Germania, in Italia e in Francia.

49      L’EUIPO e l’interveniente contestano tali argomenti.

50      In forza dell’articolo 7, paragrafo 3, del regolamento n. 40/94, gli impedimenti assoluti alla registrazione indicati all’articolo 7, paragrafo 1, lettere da b) a d), dello stesso regolamento non ostano alla registrazione di un marchio se quest’ultimo ha acquisito, per i prodotti o servizi per i quali si chiede la registrazione, un carattere distintivo in seguito all’uso che ne è stato fatto.

51      Inoltre, ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 2, del regolamento n. 40/94 (divenuto l’articolo 52, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009, a sua volta divenuto l’articolo 59, paragrafo 2, del regolamento 2017/1001), se un marchio dell’Unione europea è stato registrato in violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, lettere b), c) o d), del regolamento n. 40/94, esso non può, tuttavia, essere dichiarato nullo se, per l’uso che ne è stato fatto, dopo la registrazione ha acquisito carattere distintivo per i prodotti o servizi per i quali è stato registrato.

52      L’acquisizione di un carattere distintivo in seguito all’uso del marchio richiede che almeno una frazione significativa del pubblico di riferimento identifichi, grazie al marchio, i prodotti o i servizi di cui trattasi come provenienti da un’impresa determinata [v. sentenza del 15 dicembre 2005, BIC/UAMI (Forma di un accendino a pietrina), T‑262/04, EU:T:2005:463, punto 61 e giurisprudenza ivi citata; v. anche, per analogia, sentenza del 4 maggio 1999, Windsurfing Chiemsee, C‑108/97 e C‑109/97, EU:C:1999:230, punto 52].

53      Per accertare se un marchio abbia acquisito un carattere distintivo a seguito dell’uso che ne è stato fatto, l’autorità competente deve valutare globalmente gli elementi che possono dimostrare che il marchio è divenuto atto ad identificare il prodotto di cui trattasi come proveniente da un’impresa determinata e quindi a distinguere tale prodotto da quelli di altre imprese (v. sentenza del 4 maggio 1999, Windsurfing Chiemsee, C‑108/97 e C‑109/97, EU:C:1999:230, punto 49 e giurisprudenza ivi citata).

54      Al riguardo, si devono prendere in considerazione, in particolare, la quota di mercato detenuta dal marchio, l’intensità, l’estensione geografica e la durata dell’uso di tale marchio, l’entità degli investimenti effettuati dall’impresa per promuoverlo, la proporzione degli ambienti interessati che identifica il prodotto come proveniente da un’impresa determinata grazie al marchio, le dichiarazioni delle camere di commercio e industria o di altre associazioni professionali nonché i sondaggi d’opinione [v. sentenza del 21 aprile 2015, Louis Vuitton Malletier/UAMI – Nanu-Nana (Rappresentazione di un motivo a scacchiera marrone e beige), T‑359/12, EU:T:2015:215, punto 90 e giurisprudenza ivi citata].

55      Risulta, peraltro, dal carattere unitario del marchio dell’Unione europea che, per essere ammesso alla registrazione, un segno deve possedere un carattere distintivo, intrinseco o acquisito in seguito all’uso, in tutta l’Unione. Sarebbe paradossale ammettere, infatti, da un lato, in applicazione dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), della direttiva (UE) 2015/2436 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2015, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 2015, L 336, pag. 1), che uno Stato membro sia tenuto a negare la registrazione come marchio nazionale di un segno privo di carattere distintivo nel suo territorio e, dall’altro, che lo stesso Stato sia tenuto a rispettare un marchio dell’Unione europea relativo allo stesso segno per il solo motivo che esso avrebbe acquisito un carattere distintivo sul territorio di un altro Stato membro (sentenza del 21 aprile 2015, Rappresentazione di un motivo a scacchiera marrone e beige, T‑359/12, EU:T:2015:215, punto 86).

56      Ne consegue che un marchio può essere registrato in base all’articolo 7, paragrafo 3, del regolamento n. 40/94 solo se viene fornita la prova che esso ha acquisito, in seguito all’uso che ne è stato fatto, un carattere distintivo nella parte dell’Unione in cui esso non aveva ab initio un tale carattere ai sensi del paragrafo 1, lettera b), del medesimo articolo. La parte dell’Unione considerata al paragrafo 2 di detto articolo può essere eventualmente costituita da un solo Stato membro (sentenza del 22 giugno 2006, Storck/UAMI, C‑25/05 P, EU:C:2006:422, punto 83).

57      Nel caso di specie, da un lato, come risulta dai precedenti punti 24 e 25, la commissione di ricorso ha legittimamente deciso di prendere in considerazione la parte anglofona del pubblico di riferimento situata in Irlanda e a Malta ai fini dell’esame del carattere descrittivo del marchio contestato.

58      Dall’altro lato, la commissione di ricorso ha analizzato, dettagliatamente, ai punti da 64 a 84 della decisione impugnata, tutti gli elementi di prova dell’uso del marchio contestato forniti dalla ricorrente.

59      Essa ha rilevato, in particolare, che la ricorrente aveva presentato dichiarazioni rilasciate da clienti, esemplari di etichette, materiale inerente alla partecipazione a fiere di settore, articoli pubblicati su siti Internet, estratti da cataloghi e brochure, fatture di vendita e copia di certificati di registrazione di marchi in vari paesi. Essa ha poi ritenuto, al pari della divisione di annullamento, che tale materiale fosse limitato territorialmente e che fosse insufficiente a provare il carattere distintivo del marchio contestato acquisito in seguito all’uso. In tal senso, essa ha constatato che, certo, una parte dei documenti era in inglese, ma mancavano riferimenti a detto marchio, che gli eventi fieristici si erano svolti in territori situati al di fuori del territorio rilevante e che, in particolare, le fatture relative alle vendite dei prodotti della ricorrente riguardavano vendite realizzate al di fuori dell’Unione. La commissione di ricorso ha inoltre menzionato che i cataloghi, le brochure e le etichette, benché dimostrassero un’attività di promozione della ricorrente, facevano riferimento alla società «Thermore», e non al marchio contestato, che taluni estratti del materiale pubblicitario indicavano che la gamma di prodotti «Thermore» includeva il marchio ecodown, ma che ciò si limiterebbe a ridurre il valore probatorio di altri elementi di prova, poiché tale materiale faceva riferimento al fatto che le fiere di settore erano organizzate dal gruppo «Thermore» al di fuori del territorio rilevante. Essa ha altresì osservato che le registrazioni del marchio contestato presso uffici nazionali dei marchi non provavano nulla per quanto riguarda l’uso di detto marchio, che la prova della dimensione economica dell’uso di quest’ultimo esisteva soltanto per i territori tedesco, italiano, inglese e asiatico, che non era possibile conoscere la quota di mercato negli Stati membri interessati e che la ricorrente non aveva presentato risultati di indagini e di studi di mercato né dichiarazioni di camere di commercio e industria o di altre associazioni professionali.

60      Sulla base di tali osservazioni, che peraltro non sono state contestate dalla ricorrente, si deve necessariamente constatare che gli elementi di prova forniti da quest’ultima non erano sufficienti a dimostrare se, e in quale misura, la parte presa in considerazione del pubblico di riferimento fosse stata esposta al marchio contestato al punto da identificare l’origine commerciale dei prodotti cui esso si riferisce.

61      Tale conclusione non è rimessa in discussione dagli argomenti della ricorrente. Infatti, quest’ultima, dopo aver reiterato i suoi argomenti relativi all’errore in cui sarebbe incorsa la commissione di ricorso nella determinazione della parte del pubblico di riferimento presa in considerazione, le addebita di non aver tenuto conto delle prove relative all’uso del marchio contestato in altri Stati membri. Essa non contesta, tuttavia, l’assenza di qualsiasi elemento di prova riguardante il territorio rilevante.

62      In primo luogo, nei limiti in cui la ricorrente sostiene che esisteva una grande quantità di materiale probatorio in inglese, riguardante il Regno Unito, che doveva essere preso in considerazione dalla commissione di ricorso, tale argomento è inconferente.

63      È sufficiente, infatti, constatare che, ai sensi della giurisprudenza richiamata al precedente punto 56, la prova del carattere distintivo acquisito in seguito all’uso doveva essere fornita per qualsiasi parte dell’Unione in cui il marchio contestato non avesse carattere distintivo intrinseco. Pertanto, nel caso di specie, indipendentemente dalle prove fornite in merito all’eventuale acquisizione di un carattere distintivo in seguito all’uso nel Regno Unito, la ricorrente avrebbe dovuto fornire la prova di tale acquisizione anche in Irlanda e a Malta, ciò che non ha fatto.

64      In secondo luogo, nei limiti in cui la ricorrente addebita alla commissione di ricorso di non aver preso in considerazione le prove in inglese relative ai territori tedesco, italiano e francese, è sufficiente rilevare che, nel caso di specie, occorreva fornire la prova del carattere distintivo acquisito in seguito all’uso del marchio contestato per la parte del pubblico di riferimento dell’Unione di espressione anglofona, la quale comprende almeno i consumatori dei paesi in cui l’inglese è una lingua ufficiale, ossia, in particolare, l’Irlanda e Malta [v., in tal senso, sentenza del 14 maggio 2019, Eurolamp/EUIPO (EUROLAMP pioneers in new technology), T‑465/18, non pubblicata, EU:T:2019:327, punti 54 e 55]. Di conseguenza, non è viziata da errore la mancata presa in considerazione delle prove relative ai territori di altri paesi, non anglofoni.

65      In terzo luogo, la ricorrente non può validamente addebitare alla commissione di ricorso di aver preteso una «prova diabolica», in quanto essa non poteva sapere, al momento della proposizione del ricorso dinanzi a detta commissione, che quest’ultima avrebbe limitato la parte del territorio rilevante presa in considerazione rispetto a quella che era stata presa in considerazione dalla divisione di annullamento e che corrispondeva all’Irlanda, a Malta, a Cipro, alla Finlandia, ai Paesi Bassi, ai paesi scandinavi e al Regno Unito. Infatti, la ricorrente avrebbe dovuto, in ogni caso, provare l’uso del marchio contestato in tutto il territorio rilevante dell’Unione [v., in tal senso, sentenza del 14 dicembre 2011, Vuitton Malletier/UAMI – Friis Group International (Raffigurazione di un dispositivo di bloccaggio), T‑237/10, non pubblicata, EU:T:2011:741, punto 100 e giurisprudenza ivi citata], compreso, quindi, nel caso di specie, l’uso in Irlanda e a Malta, ciò che essa non ha fatto.

66      In ogni caso, come rileva l’interveniente, gran parte degli elementi probatori in lingua inglese prodotti dalla ricorrente riguarda un marchio diverso, ossia il marchio Thermore, e non il marchio contestato.

67      In quarto luogo, non possono essere prese in considerazione le circostanze di fatto addotte dalla ricorrente per quanto riguarda le fiere di settore dei prodotti di cui trattasi e il fatto che queste ultime non avrebbero potuto aver luogo a Malta, a causa del suo clima poco propizio alla commercializzazione di detti prodotti, o in Irlanda, che è un paese meno importante sullo scenario internazionale per questo tipo di eventi. Nulla impedisce, infatti, di organizzare fiere di settore per prodotti che il pubblico maltese potrebbe utilizzare altrove. Per quanto riguarda l’Irlanda, anche in assenza di dette fiere, sarebbe stato possibile per la ricorrente fornire la prova dell’uso del marchio contestato in tale territorio attraverso altri elementi.

68      Infine, in quinto luogo, non può essere accolto l’argomento della ricorrente secondo cui essa non avrebbe potuto produrre indagini, sondaggi e studi di mercato, poiché non poteva determinare in anticipo quale territorio sarebbe stato considerato rilevante dalla commissione di ricorso. Risulta, infatti, dai precedenti punti 62 e 63 che incombeva alla ricorrente produrre tali documenti almeno per gli Stati membri compresi nel territorio rilevante considerato dalla divisione di annullamento, di cui facevano parte anche l’Irlanda e Malta.

69      Alla luce di quanto precede, occorre respingere anche il terzo motivo di ricorso e, di conseguenza, il ricorso nella sua integralità.

 Sulle spese

70      Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. La ricorrente, rimasta soccombente, deve quindi essere condannata alle spese, conformemente alle domande dell’EUIPO e dell’interveniente.

71      Inoltre, l’interveniente ha chiesto che la ricorrente sia condannata alle spese da essa sostenute nel procedimento amministrativo dinanzi all’EUIPO. A tale riguardo, come ricordato al precedente punto 14, solo le spese indispensabili sostenute dalle parti per il procedimento dinanzi alla commissione di ricorso sono considerate spese ripetibili. Di conseguenza, la domanda dell’interveniente diretta a ottenere che la ricorrente sia condannata alle spese del procedimento amministrativo dinanzi all’EUIPO può essere accolta solo limitatamente alle spese indispensabili sostenute dall’interveniente ai fini del procedimento dinanzi alla commissione di ricorso.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Sesta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La F I S I Fibre sintetiche SpA è condannata alle spese.

Marcoulli

Frimodt Nielsen

Iliopoulos

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 15 giugno 2022.

Il cancelliere

 

Il presidente

E. Coulon

 

S. Papasavvas


*      Lingua processuale: l’italiano.