Language of document : ECLI:EU:T:2009:520

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Sesta Sezione)

17 dicembre 2009 (*)

«Concorrenza – Intese – Mercato della soda nella Comunità – Decisione che accerta una violazione dell’art. 81 CE – Accordo che garantisce ad un’impresa un livello minimo di vendite in uno Stato membro e l’acquisto dei quantitativi necessari per raggiungere detto livello minimo – Prescrizione del potere della Commissione di infliggere ammende o sanzioni – Termine ragionevole – Forme sostanziali – Pregiudizio per il commercio fra Stati membri – Diritto di accesso al fascicolo – Ammenda – Gravità e durata dell’infrazione – Circostanze aggravanti e attenuanti»

Nella causa T‑58/01,

Solvay SA, con sede in Bruxelles (Belgio), rappresentata dagli avv.ti L. Simont, P.‑A. Foriers, G. Block, F. Louis e A. Vallery,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata dai sigg. P. Oliver e J. Currall, in qualità di agenti, assistiti dall’avv. N. Coutrelis,

convenuta,

avente ad oggetto, in via principale, una domanda diretta all’annullamento della decisione della Commissione 13 dicembre 2000, 2003/5/CE, relativa ad una procedura ai sensi dell’articolo 81 [CE] (COMP/33.133‑B: carbonato di sodio – Solvay, CFK) (GU 2003, L 10, pag. 1), e, in subordine, una domanda diretta all’annullamento o alla riduzione dell’ammenda inflitta alla ricorrente,

IL TRIBUNALE (Sesta Sezione),

composto dai sigg. A.W.H. Meij, presidente, V. Vadapalas (relatore) e A. Dittrich, giudici,

cancelliere: sig.ra K. Pocheć, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e a seguito dell’udienza del 26 e 27 giugno 2008,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti all’origine della controversia

1        La ricorrente, la Solvay SA, è una società di diritto belga che opera nel settore dell’industria farmaceutica, chimica, della plastica e della trasformazione. In particolare, essa produce carbonato di sodio.

2        Il carbonato di sodio è presente in natura sotto forma di un minerale detto trona (soda naturale) oppure è ottenuto mediante procedimento chimico (soda sintetica). La soda naturale si ottiene con la macinazione, purificazione e calcinazione del minerale trona. La soda sintetica si ottiene tramite reazione tra cloruro di sodio e calcare mediante il procedimento «ammoniaca – soda» inventato dai fratelli Solvay nel 1863.

3        All’epoca dei fatti oggetto della presente controversia la ricorrente era attiva nel settore del carbonato di sodio tramite unità di vendita aventi sede in nove paesi europei: Austria, Belgio, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna e Svizzera. Essa inoltre possedeva unità produttive in Austria, Belgio, Francia, Germania, Italia, Portogallo e Spagna. Nel 1988 essa deteneva, in particolare, il 52,5% del mercato tedesco.

4        Nel periodo compreso tra il 1987 e il 1989 i produttori comunitari, oltre alla ricorrente, erano le società Imperial Chemical Industries (in prosieguo: l’«ICI»), Rhône‑Poulenc, AKZO, Matthes & Weber, nonché la società Chemische Fabrik Kalk (in prosieguo: la «CFK»), controllata della Kali & Salz, appartenente al gruppo BASF. La loro capacità di produzione annua era la seguente: 580 000 tonnellate per la Rhône‑Poulenc, 435 000 tonnellate per la AKZO, 320 000 tonnellate per la Matthes & Weber e 260 000 tonnellate circa per la CFK.

5        Nell’aprile 1989 la Commissione delle Comunità europee ha proceduto ad effettuare accertamenti presso diversi produttori comunitari di carbonato di sodio, ai sensi dell’art. 14, n. 3, del regolamento del Consiglio 6 febbraio 1962, n. 17, primo regolamento d’applicazione degli articoli [81 CE] e [82 CE] (GU 1962, n. 13, pag. 204), nella versione applicabile all’epoca dei fatti. Essa ha raccolto diversi documenti nei locali delle società interessate.

6        Il 19 febbraio 1990 la Commissione ha avviato d’ufficio un procedimento nei confronti della ricorrente, dell’ICI e della CFK, ai sensi dell’art. 3, n. 1, del regolamento n. 17.

7        Il 13 marzo 1990 la Commissione ha inviato una comunicazione degli addebiti alla ricorrente, all’ICI e alla CFK. Ciascuna società ha ricevuto unicamente la parte o le parti della comunicazione degli addebiti relative alle infrazioni che la riguardavano, con allegati i pertinenti elementi probatori a carico.

8        La Commissione ha costituito un fascicolo unico per tutte le infrazioni indicate nella comunicazione degli addebiti.

9        Per quel che riguarda la presente causa, al titolo III della comunicazione degli addebiti, intitolato «L’accordo Solvay/CFK», la Commissione ha concluso che la ricorrente aveva preso parte, assieme alla CFK, ad un accordo e/o ad una pratica concordata contrari all’art. 81 CE.

10      Il 28 maggio 1990 la ricorrente ha presentato le proprie osservazioni scritte in risposta alle accuse formulate dalla Commissione.

11      Il 19 dicembre 1990 la Commissione ha adottato la decisione 91/298/CEE, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo [81 CE] (IV/33.133‑B: Carbonato di sodio – Solvay, CFK) (GU 1991, L 152, pag. 16). In tale decisione, notificata con lettera 1° marzo 1991, la Commissione ha dichiarato che «[la ricorrente] e CFK [avevano] violato l’articolo [81 CE] partecipando, dal 1987 circa fino ad oggi, ad un accordo di ripartizione del mercato mediante il quale [la ricorrente] garantiva a CFK un quantitativo minimo annuo di vendite di carbonato di sodio in Germania, calcolato sulla base delle vendite effettuate da CFK nel 1986, e compensava CFK dell’eventuale differenza negativa acquistando da questa impresa i quantitativi necessari per portare il volume delle sue vendite al livello minimo garantito». La ricorrente e la CFK sono state condannate ad un’ammenda rispettivamente di tre milioni di ECU e di un milione di ECU.

12      Lo stesso giorno la Commissione ha adottato la decisione 91/297/CEE, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo [81 CE] (IV/33.133‑A: Carbonato di sodio – Solvay, ICI) (GU 1991, L 152, pag. 1), in cui ha dichiarato che «[la ricorrente] e ICI [avevano] violato l’articolo [81 CE] partecipando dal 1° gennaio 1973 fino almeno all’apertura del presente procedimento, ad un accordo e/o una pratica concordata, con cui hanno limitato le loro vendite di carbonato di sodio nella CEE ai loro rispettivi mercati interni, ossia l’Europa dell’Ovest continentale per [la ricorrente] e il Regno Unito e l’Irlanda per ICI». La ricorrente e l’ICI sono state condannate ciascuna a un’ammenda di sette milioni di ECU.

13      Lo stesso giorno, inoltre, la Commissione ha adottato la decisione 91/299/CEE, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo [82 CE] (IV/33.133‑C: Carbonato di sodio – Solvay) (GU 1991, L 152, pag. 21), in cui ha dichiarato che «[la ricorrente aveva] violato l’articolo [82 CE] dal 1983 circa fino ad oggi adottando un comportamento inteso ad escludere o a limitare in ampia misura la concorrenza (...) concludendo con i clienti accordi che obbligano questi ultimi ad approvvigionarsi presso [di essa] per la totalità o per una grandissima parte del loro fabbisogno per un periodo indeterminato o eccessivamente lungo (…), concedendo forti sconti ed altri incentivi finanziari sui quantitativi marginali che eccedono il tonnellaggio contrattuale di base dei clienti affinché questi si riforniscano presso [di essa] per la totalità o la maggior parte del loro fabbisogno [e] subordinando la concessione di sconti alla condizione che il cliente acconsenta ad approvvigionarsi presso [di essa] per la totalità del suo fabbisogno». Alla ricorrente è stata inflitta un’ammenda di venti milioni di ECU per l’infrazione accertata.

14      Lo stesso giorno la Commissione ha adottato anche la decisione 91/300/CEE, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo [82 CE] (IV/33.133‑D: Carbonato di sodio – ICI) (GU 1991, L 152, pag. 40), in cui ha dichiarato che «ICI [aveva] violato l’articolo [82 CE] dal 1983 circa fino ad oggi adottando un comportamento inteso ad escludere o a limitare in ampia misura la concorrenza (…) concedendo forti sconti ed altri incentivi finanziari sui quantitativi marginali affinché i clienti si rifornissero presso ICI per la totalità o la maggior parte del loro fabbisogno (…), inducendo i clienti ad impegnarsi ad acquistare la totalità o la maggior parte del loro fabbisogno presso ICI e/o a limitare gli acquisti di prodotti concorrenti a un quantitativo determinato [e,] almeno in un caso, subordinando la concessione di sconti ed altre agevolazioni finanziarie alla condizione che il cliente acconsentisse ad approvvigionarsi esclusivamente presso ICI». L’ICI è stata condannata ad un’ammenda di dieci milioni di ECU.

15      Il 2 maggio 1991 la ricorrente ha proposto dinanzi al Tribunale un ricorso diretto all’annullamento della decisione 91/298. Lo stesso giorno la ricorrente ha altresì chiesto l’annullamento delle decisioni 91/297 e 91/299. Il 14 maggio 1991 l’ICI ha domandato l’annullamento delle decisioni 91/297 e 91/300. La CFK, da parte sua, non ha proposto ricorso ed ha pagato l’ammenda di un milione di ECU che le era stata inflitta con la decisione 91/298.

16      Con sentenza 29 giugno 1995, causa T‑31/91, Solvay/Commissione (Racc. pag. II‑1821; in prosieguo: la «sentenza Solvay II»), il Tribunale ha annullato la decisione 91/298, nella parte in cui riguardava la ricorrente, dichiarando che l’autenticazione della suddetta decisione era stata effettuata dopo la sua notifica, il che costituiva una violazione di una forma sostanziale ai sensi dell’art. 230 CE.

17      Lo stesso giorno il Tribunale ha annullato anche la decisione 91/299 (sentenza nella causa T‑32/91, Solvay/Commissione, Racc. pag. II‑1825; in prosieguo: la «sentenza Solvay III») e la decisione 91/300 (sentenza nella causa T‑37/91, ICI/Commissione, Racc. pag. II‑1901; in prosieguo: la «sentenza ICI II») a causa della loro irregolare autenticazione. Il Tribunale ha annullato inoltre la decisione 91/297 (sentenze nella causa T‑30/91, Solvay/Commissione, Racc. pag. II‑1775; in prosieguo: la «sentenza Solvay I», e nella causa T‑36/91, ICI/Commissione, Racc. pag. II‑1847; in prosieguo: la «sentenza ICI I»), che riguardava le ricorrenti nelle due suddette cause, per violazione del diritto di accesso al fascicolo.

18      Con atti introduttivi depositati nella cancelleria della Corte il 30 agosto 1995, la Commissione ha proposto ricorso contro le sentenze Solvay II, cit. supra al punto 16, Solvay III e ICI II, cit. supra al punto 17.

19      Con sentenze 6 aprile 2000, causa C‑286/95 P, Commissione/ICI (Racc. pag. I‑2341), e cause riunite C‑287/95 P e C‑288/95 P, Commissione/Solvay (Racc. pag. I‑2391), la Corte ha respinto i ricorsi contro le sentenze ICI II, cit. supra al punto 17, Solvay II, cit. supra al punto 16, e Solvay III, cit. supra al punto 17.

20      Martedì 12 dicembre 2000 un’agenzia ha pubblicato un comunicato stampa del seguente tenore:

«“Mercoledì la Commissione europea infliggerà alle società dell’industria chimica Solvay SA e Imperial Chemical Industries plc (…) un’ammenda per violazione del diritto della concorrenza dell’Unione europea”, ha dichiarato oggi una portavoce.

Le ammende per il presunto abuso di posizione dominante sul mercato del carbonato di sodio erano state in origine inflitte dieci anni or sono, ma erano state annullate dalla suprema Corte europea per ragioni procedurali.

Secondo la portavoce, mercoledì la Commissione adotterà nuovamente la stessa decisione, ma in una forma corretta.

La sostanza della decisione non è mai stata contestata dalle società. La Commissione ha dichiarato: “Adotteremo di nuovo la stessa decisione”».

21      Il 13 dicembre 2000 la Commissione ha adottato la decisione 2003/5/CE, relativa ad una procedura ai sensi dell’articolo 81 [CE] (COMP/33.133‑B: carbonato di sodio – Solvay, CFK) (GU 2003, L 10, pag. 1; in prosieguo: la «decisione impugnata»).

22      Lo stesso giorno la Commissione ha altresì adottato le decisioni 2003/6/CE, relativa ad una procedura ai sensi dell’articolo 82 [CE] (COMP/33.133‑C: Carbonato di sodio – Solvay) (GU 2003, L 10, pag. 10), e 2003/7/CE, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 82 [CE] (COMP/33.133‑D: Carbonato di sodio – ICI) (GU 2003, L 10, pag. 33).

23      Il dispositivo della decisione impugnata così recita:

«Articolo 1

Solvay (…) ha violato l’articolo [81 CE] partecipando, dal 1987 circa fino almeno alla fine del 1990, ad un accordo di ripartizione del mercato mediante il quale Solvay garantiva a CFK un quantitativo minimo annuo di vendite di carbonato di sodio in Germania, calcolato sulla base delle vendite effettuate da CFK nel 1986, e compensava CFK dell’eventuale differenza negativa acquistando da questa impresa i quantitativi necessari per portare il volume delle sue vendite al livello minimo garantito.

Articolo 2

A Solvay è inflitta un’ammenda dell’ammontare di 3 milioni di EUR per l’infrazione di cui all’articolo 1.

(…)».

24      La decisione impugnata è redatta praticamente negli stessi termini della decisione 91/298. La Commissione ha apportato soltanto alcune modifiche di ordine redazionale ed ha aggiunto una parte nuova intitolata «Procedimenti dinanzi al Tribunale di primo grado e alla Corte di giustizia».

25      In questa nuova parte della decisione impugnata, riferendosi alla sentenza del Tribunale 20 aprile 1999, cause riunite da T‑305/94 a T‑307/94, da T‑313/94 a T‑316/94, T‑318/94, T‑325/94, T‑328/94, T 329/94 e T‑335/94, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione (Racc. pag. II‑931; in prosieguo: la «sentenza PVC II del Tribunale»), la Commissione ha considerato che essa poteva «riadottare una decisione che [era] stata annullata per vizi meramente procedurali (…) senza un altro procedimento amministrativo» e che non era «tenuta a procedere ad una nuova audizione se il testo della nuova decisione non cont[eneva] alcuna nuova obiezione oltre a quelle sollevate nella decisione originale» (punto 70).

26      Nella decisione impugnata la Commissione ha inoltre precisato che il termine di prescrizione doveva essere prorogato di un tempo corrispondente al periodo durante il quale la decisione 91/298 era stata oggetto di procedimento dinanzi al Tribunale e alla Corte, ai sensi dell’art. 3 del regolamento (CEE) del Consiglio 26 novembre 1974, n. 2988, relativo alla prescrizione in materia di azioni e di esecuzione nel settore del diritto dei trasporti e della concorrenza della Comunità economica europea (GU L 319, pag. 1) (punti 75 e 76). Pertanto, tenuto conto delle circostanze di specie, la Commissione ha ritenuto di poter riadottare la decisione annullata entro il settembre 2004 (punto 78). Inoltre, essa ha spiegato che i diritti di difesa delle imprese interessate non sono violati se la nuova decisione viene adottata entro un termine ragionevole (punto 70).

27      Quanto all’infrazione vera e propria, nella decisione impugnata la Commissione ha precisato che tra la ricorrente e la CFK era stato concluso un accordo o un’intesa in base al quale la ricorrente garantiva alla CFK un quantitativo minimo annuo di vendite sul mercato tedesco. Qualora le vendite della CFK in Germania fossero risultate inferiori al minimo garantito, la ricorrente avrebbe «acquistato (…) la differenza» dalla CFK (punto 42). Secondo la Commissione, inizialmente la garanzia della CFK era stata fissata a 179 000 tonnellate, quantitativo manifestamente basato sulle vendite effettuate dalla CFK in Germania nel 1986, ed era stata in seguito portata a 190 000 tonnellate nel 1989 con un sistema di compensazione retroattiva per il 1988 (punti 43, 45 e 46).

28      Sempre nella decisione impugnata la Commissione ha menzionato anche una riunione svoltasi il 14 marzo 1989, cui avevano partecipato, da un lato, i massimi dirigenti della CFK e della società madre Kali & Salz e, dall’altro, i dirigenti della Deutsche Solvay Werke (DSW), una controllata della ricorrente. Secondo la Commissione, era assai significativo che non fossero stati redatti resoconti o verbali ufficiali di quella riunione. Tuttavia, essa ha aggiunto che presso la DSW era stata trovata una breve nota manoscritta (punto 47).

29      Nella decisione impugnata la Commissione ha precisato che l’obiettivo del suddetto accordo era chiaramente quello di creare condizioni di stabilità artificiale del mercato e che, per tornare ad un comportamento in materia di determinazione dei prezzi che non fosse considerato dalla ricorrente come turbativo, alla CFK veniva garantita una quota minima del mercato tedesco. Ha poi aggiunto che, eliminando dal mercato il tonnellaggio che la CFK non poteva vendere, la ricorrente garantiva che la concorrenza non avrebbe fatto scendere i livelli di prezzo. Da ciò la Commissione ha dedotto che gli accordi in parola, del tipo «cartello», che erano stati messi in pratica ed avevano prodotto l’effetto voluto, restringevano per loro stessa natura la concorrenza ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE (punti 55‑58).

30      Quanto agli effetti sul commercio tra Stati membri, nella decisione impugnata la Commissione ha dichiarato che il fatto che il quantitativo minimo garantito si riferisse soltanto alle vendite sul mercato tedesco non escludeva in alcun modo l’applicazione dell’art. 81 CE. Sarebbe stato chiaro dal comportamento tenuto dalla ricorrente a Bruxelles che l’accordo faceva parte di una politica generale di controllo del mercato comunitario del carbonato di sodio e che l’accordo tra la ricorrente e la CFK era inteso non solo a ridurre la concorrenza in una parte sostanziale della Comunità, ma altresì a mantenere la rigidità della struttura del mercato e la sua compartimentazione lungo linee nazionali. Inoltre, secondo la Commissione era del tutto possibile che, ove non vi fosse stato il suddetto accordo, il quantitativo ripreso dalla ricorrente in base alla garanzia sarebbe stato venduto dalla CFK su altri mercati comunitari (punto 59).

31      La Commissione ha concluso nella decisione impugnata che la ricorrente e la CFK avevano violato l’art. 81 CE partecipando «dal 1986 circa fino alla fine del 1990» al suddetto accordo (punto 60).

32      Quanto alle ammende inflitte alla ricorrente e alla CFK, nella decisione impugnata la Commissione ha precisato che l’infrazione era «di particolare gravità» in quanto gli accordi di ripartizione del mercato costituiscono per loro stessa natura gravi restrizioni della concorrenza. Per quel che riguarda la durata dell’infrazione, la Commissione ha calcolato l’importo delle ammende considerando che l’accordo era stato concluso nel corso del 1987 (punti 62 e 63).

33      Dalla decisione impugnata emerge inoltre che, nel determinare l’ammontare dell’ammenda, la Commissione ha tenuto conto della posizione dominante sul mercato della ricorrente quale produttore principale in Germania e nella CEE (punto 64). Essa ha poi considerato che l’infrazione era stata intenzionale e che entrambe le parti dovevano essere state pienamente consapevoli dell’incompatibilità dei loro accordi con il diritto comunitario (punto 65).

34      Infine, nella decisione impugnata la Commissione ha ricordato di aver inflitto ripetutamente alla ricorrente pesanti ammende per aver stipulato accordi collusivi nel settore dell’industria chimica.

35      Il 13 dicembre 2000 la Commissione ha altresì pubblicato un comunicato stampa spiegando che avrebbe adottato delle decisioni per infliggere alla ricorrente e all’ICI ammende identiche a quelle inizialmente irrogate loro nei procedimenti «Carbonato di sodio».

 Procedimento

36      Con atto depositato nella cancelleria del Tribunale il 12 marzo 2001 la ricorrente ha proposto il presente ricorso.

37      L’8 maggio 2001 la causa è stata assegnata alla Quarta Sezione del Tribunale ed è stato nominato un giudice relatore.

38      Dopo l’autorizzazione del Tribunale, la ricorrente e la Commissione hanno presentato osservazioni, rispettivamente il 6 e il 23 dicembre 2002, riguardo alle conseguenze da trarre nella presente causa dalla sentenza della Corte 15 ottobre 2002, cause riunite C‑238/99 P, causa C‑244/99 P, causa C‑245/99 P, causa C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione (Racc. pag. I‑8375; in prosieguo: la «sentenza PVC II della Corte»).

39      Poiché il 1° ottobre 2003 la composizione delle sezioni del Tribunale è stata modificata e il giudice relatore è stato assegnato alla Prima Sezione, è a quest’ultima che, l’8 ottobre 2003, è stata attribuita la presente causa.

40      Il 19 dicembre 2003 il Tribunale ha invitato la Commissione a produrre la comunicazione degli addebiti, gli allegati alla stessa e un elenco dettagliato di tutti i documenti figuranti nel fascicolo. Nell’elenco dovevano comparire indicazioni sintetiche che permettessero di identificare l’autore, la natura e il contenuto di ciascun documento. Il Tribunale ha inoltre chiesto alla Commissione di indicare a quali di questi documenti era stato consentito alla ricorrente di accedere nel corso della fase amministrativa del procedimento.

41      Il 13 febbraio 2004 la Commissione ha prodotto la comunicazione degli addebiti, gli allegati alla stessa e l’elenco, chiedendo la fissazione di un termine per rispondere all’ultima richiesta del Tribunale.

42      Con lettera 10 marzo 2004 la Commissione ha precisato che, durante la fase amministrativa del procedimento, la ricorrente aveva avuto accesso ai documenti che suffragavano la comunicazione degli addebiti e che erano a questa allegati. Essa ha poi fatto riferimento a 65 «sottofascicoli» che componevano il fascicolo principale, tra cui 22 «sottofascicoli» provenienti dalla sede della ricorrente o da una delle sue controllate (ossia i «sottofascicoli» nn. 2‑14, 24‑27, 50‑52 e 62‑65, nonché parte del «sottofascicolo» n. 61). A detta della Commissione, la procedura seguita nel 1990 era conforme alla giurisprudenza vigente in materia di diritto di accesso al fascicolo. Inoltre, dopo una rilettura del fascicolo istruttorio, non era emerso alcun indizio di una violazione dei diritti della difesa nel corso della fase amministrativa del procedimento, neppure esaminando il fascicolo istruttorio alla luce della successiva giurisprudenza in tema di diritto di accesso al fascicolo.

43      Con lettera 21 giugno 2004 la Commissione ha inviato alla cancelleria del Tribunale un elenco riveduto dei documenti che componevano il fascicolo amministrativo, più completo rispetto a quello trasmesso il 13 febbraio 2004. Come nel precedente, anche nell’elenco riveduto si faceva riferimento a 65 «sottofascicoli»; ivi venivano indicati altresì alcuni documenti provenienti per la maggior parte dalla società Oberland Glas.

44      Con lettera 21 luglio 2004 il Tribunale ha invitato la ricorrente a indicare i documenti menzionati nell’elenco riveduto che non le erano stati comunicati durante la fase amministrativa del procedimento e che, a suo avviso, potevano contenere elementi utili alla sua difesa.

45      Con lettera 29 settembre 2004 la ricorrente ha fatto notare che l’elenco riveduto era incompleto e impreciso. Tra i documenti ivi menzionati essa ha poi indicato quelli che riteneva utili per la sua difesa e che desiderava consultare. A suo avviso, tali documenti avrebbero potuto consentirle di sviluppare i suoi argomenti relativi agli effetti dell’accordo in parola sul commercio tra Stati membri.

46      Poiché il 13 settembre 2004 la composizione delle sezioni del Tribunale è stata modificata e il giudice relatore è stato assegnato alla Quarta Sezione nella sua nuova composizione, è a quest’ultima che, il 7 ottobre 2004, è stata attribuita la presente causa.

47      Il 17 dicembre 2004 il Tribunale ha invitato la Commissione a depositare in cancelleria i documenti del fascicolo menzionati dalla ricorrente nella lettera del 29 settembre 2004, sia nella versione riservata sia in quella non riservata.

48      Con lettera 28 gennaio 2005 la Commissione ha depositato nella cancelleria del Tribunale la versione riservata dei documenti del fascicolo richiesti, chiedendo un termine supplementare per produrre un’eventuale versione non riservata, giacché le imprese interessate dovevano essere consultate sul loro interesse a mantenere la riservatezza. La Commissione ha altresì precisato quanto segue:

«[L]’elenco, pur [contenendo] tutti i documenti fino [ad allora] in suo possesso, non riprende tutti i fascicoli che erano stati indicati al Tribunale nel primo procedimento “Carbonato di sodio”. I pochi documenti mancanti sono ancora irreperibili malgrado lunghe ricerche».

49      Con lettera 15 marzo 2005, dopo aver indicato che le imprese interessate non chiedevano un trattamento riservato, la Commissione ha presentato le osservazioni seguenti:

«Per quel che riguarda i fascicoli tuttora irreperibili, la Commissione si duole di non poter soddisfare completamente le richieste del Tribunale.

Il fascicolo amministrativo ([ossia] il fascicolo riguardante il procedimento dall’avvio dell’indagine fino all’invio della comunicazione degli addebiti) attualmente in possesso della Commissione comprende 65 raccoglitori numerati che si riferiscono al periodo [che va] sino al settembre 1989 [, un raccoglitore] che reca il numero 71 e che contiene la comunicazione degli addebiti del marzo 1990 e gli allegati alla stessa, [nonché] un raccoglitore privo di numero denominato “Oberland Glas”. Verosimilmente, pertanto, mancano cinque raccoglitori.

Per quanto riguarda il contenuto dei raccoglitori mancanti, la Commissione si duole dell’impossibilità di ricostruire l’elenco completo dei documenti scomparsi, dal momento che non si trovano neppure gli indici dei raccoglitori. Ciò detto, vi è motivo di credere che almeno alcuni di essi contenessero della corrispondenza ai sensi dell’art. 11 del regolamento n. 17, il che concorda con la spiegazione che la Commissione ha fornito al Tribunale a proposito del fascicolo amministrativo nel 1990. Ad esempio, è probabile che la risposta di (...) ICI alla domanda di informazioni formulata dalla Commissione il 19 giugno 1989 faccia parte dei documenti scomparsi. Infatti, tale domanda figura nel fascicolo amministrativo tuttora in possesso della Commissione, mentre [manca] la relativa risposta».

50      Il 14 aprile 2005 la ricorrente ha consultato presso la cancelleria del Tribunale i documenti del fascicolo indicati nella propria lettera del 29 settembre 2004.

51      Il 15 luglio 2005 la ricorrente ha presentato le sue osservazioni riguardo all’utilità, per la sua difesa, dei documenti consultati. Il 17 novembre 2005 la Commissione ha risposto alle osservazioni della ricorrente.

52      In seguito alla cessazione dalle funzioni del giudice relatore inizialmente designato, il presidente del Tribunale, con decisione 22 giugno 2006, ha nominato un nuovo giudice relatore.

53      Poiché il 25 settembre 2007 la composizione delle sezioni del Tribunale è stata modificata e il giudice relatore è stato assegnato alla Sesta Sezione, è a quest’ultima che, il 5 ottobre 2007, è stata attribuita la presente causa.

54      A causa dell’impedimento del giudice Tchipev a partecipare al procedimento il 12 febbraio 2008, il presidente del Tribunale ha designato il giudice Dittrich per integrare la sezione, ai sensi dell’art. 32, n. 3, del regolamento di procedura del Tribunale.

55      Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Sesta Sezione) ha deciso di aprire la fase orale e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento di cui all’art. 64 del regolamento di procedura, il 5 maggio 2008 ha posto alcuni quesiti scritti alla ricorrente e alla Commissione, ai quali le parti hanno risposto nel termine stabilito.

56      All’udienza del 26 giugno 2008 sono state sentite le difese delle parti e le loro risposte ai quesiti orali posti dal Tribunale.

 Conclusioni delle parti

57      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        in via principale, dichiarare l’estinzione del procedimento a causa del tempo trascorso e, in ogni caso, annullare la decisione impugnata;

–        in subordine, dichiarare che il potere della Commissione di infliggere ammende era prescritto e, in ogni caso, annullare l’art. 2 della decisione impugnata nella parte in cui le infligge un’ammenda di EUR 3 milioni;

–        in ulteriore subordine, dichiarare che non vi è motivo di infliggerle un’ammenda o, quanto meno, ridurla in modo sostanziale;

–        a titolo di misura istruttoria, ordinare alla Commissione di produrre tutti i documenti interni relativi all’adozione della decisione impugnata e, in particolare, il verbale di tutte le riunioni del collegio dei commissari durante le quali si sarebbe discusso della decisione impugnata;

–        ordinare alla Commissione di produrre tutti i documenti che compongono il suo fascicolo nel procedimento COM/33.133;

–        condannare la Commissione alle spese.

58      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso in quanto infondato;

–        condannare la ricorrente alle spese.

 In diritto

59      Le conclusioni della ricorrente sono dirette, in via principale, all’annullamento della decisione impugnata e, in subordine, all’annullamento o alla riduzione dell’ammenda che le è stata inflitta con tale decisione.

 1. Le conclusioni dirette all’annullamento della decisione impugnata

60      La ricorrente fa valere, in sostanza, quattro motivi diretti all’annullamento della decisione impugnata. Il primo attiene al tempo trascorso, il secondo alla violazione delle forme sostanziali, il terzo all’assenza di pregiudizio per il commercio tra Stati membri e il quarto alla violazione del diritto di accesso al fascicolo.

 Il primo motivo: il tempo trascorso

61      Il primo motivo si articola in due capi, relativi rispettivamente ad una erronea applicazione delle norme sulla prescrizione stabilite dal regolamento n. 2988/74 e alla violazione del principio della ragionevolezza dei termini.

 Il primo capo: erronea applicazione delle norme sulla prescrizione

–       Argomenti delle parti

62      La ricorrente sostiene che il ragionamento seguito dalla Commissione riguardo al rispetto delle norme sulla prescrizione è in contrasto con la lettera e con lo spirito del regolamento n. 2988/74.

63      Secondo la ricorrente, l’impugnazione proposta dalla Commissione il 30 agosto 1995, che non ha avuto effetto sospensivo in forza dell’art. 60 dello Statuto della Corte, aveva ad oggetto non la decisione 91/298, che aveva cessato di esistere retroattivamente, ma la sentenza Solvay II, cit. supra al punto 16. Infatti, ai sensi dell’art. 58 dello Statuto della Corte il procedimento di impugnazione sarebbe limitato ai motivi di diritto e la Corte procederebbe ad un controllo di legittimità riferendosi alla valutazione sovrana del Tribunale per quel che riguarda le questioni di fatto.

64      Anche se l’espressione «per il tempo in cui pende dinanzi alla Corte (...) un ricorso» contenuta all’art. 3 del regolamento n. 2988/74 deve oggi leggersi come riferita anche al Tribunale, l’istituzione di un doppio grado di giurisdizione non potrebbe permettere di estendere il periodo di sospensione della prescrizione per coprire un procedimento non avente ad oggetto la decisione impugnata. Inoltre, sostenere che l’art. 3 del regolamento n. 2988/74 implicherebbe una sospensione della prescrizione per il tempo in cui pende un’impugnazione significherebbe attribuire efficacia ad una decisione annullata ab initio, cosa che non ha precedenti nella comune prassi degli Stati membri.

65      Facendo riferimento al punto 1098 della sentenza PVC II del Tribunale, cit. supra al punto 25, la ricorrente fa osservare che l’oggetto dell’art. 3 del regolamento n. 2988/74 è di consentire la sospensione della prescrizione quando la Commissione non possa intervenire per una ragione oggettiva ad essa non imputabile, relativa al fatto stesso che un ricorso è pendente. Secondo la ricorrente, nel caso di specie la Commissione poteva ritenersi impossibilitata ad agire finché fosse stato pendente il ricorso dinanzi al Tribunale. Per contro, una volta che il Tribunale si fosse pronunciato, la Commissione, fatto salvo il rispetto del principio della ragionevolezza dei termini, sarebbe stata libera di adottare una nuova decisione. Proponendo un’impugnazione la Commissione avrebbe, dunque, assunto il rischio di vedere prescritto il proprio potere sanzionatorio, benché fosse a conoscenza della sentenza della Corte 15 giugno 1994, causa C‑137/92 P, Commissione/BASF e a. (Racc. pag. I‑2555), che aveva statuito sul difetto di autenticazione degli atti adottati dal collegio dei commissari. Pertanto, l’inattività della Commissione mentre era pendente il suo ricorso dinanzi alla Corte non potrebbe essere giustificata da alcuna ragione oggettiva.

66      Di conseguenza, ai fini della proroga del termine di prescrizione si sarebbe dovuto tener conto soltanto della durata del procedimento dinanzi al Tribunale. Il termine di prescrizione sarebbe quindi scaduto il 15 febbraio 2000, molto prima dell’adozione della decisione impugnata.

67      La ricorrente fa inoltre osservare che nella sentenza PVC II del Tribunale, cit. supra al punto 25, questa interpretazione non viene contraddetta. Difatti, nella causa definita da tale sentenza, la nuova decisione della Commissione sarebbe stata adottata entro un termine inferiore ai cinque anni maggiorato del solo «termine di sospensione» relativo al procedimento dinanzi al Tribunale. Pertanto, nella detta sentenza PVC II del Tribunale non si sarebbe posto il problema di stabilire se un’impugnazione abbia un effetto sospensivo ai sensi dell’art. 3 del regolamento n. 2988/74.

68      In sede di replica la ricorrente aggiunge che la tesi sostenuta dalla Commissione privava la sentenza Solvay II, cit. supra al punto 16, di qualsiasi effetto finché non fosse stata confermata dalla Corte, disconoscendo così l’autorità di tale sentenza. Inoltre, attribuire all’art. 3 del regolamento n. 2988/74 un’interpretazione estensiva che copra situazioni in cui la Commissione non è impossibilitata ad agire sarebbe contrario al principio di certezza del diritto.

69      Infine, nelle osservazioni presentate a seguito della sentenza PVC II della Corte, cit. supra al punto 38, la ricorrente ribadisce che né il Tribunale né la Corte hanno potuto avere, nella causa che ha dato origine a detta sentenza, l’intenzione di risolvere il problema se il ricorso proposto dalla Commissione contro una sentenza di annullamento del Tribunale abbia l’effetto di sospendere la prescrizione per il tempo in cui pende il procedimento di secondo grado.

70      La Commissione contesta gli argomenti dedotti dalla ricorrente.

–       Giudizio del Tribunale

71      In via preliminare, va ricordato che il regolamento n. 2988/74 ha istituito una normativa completa che disciplina in dettaglio i termini entro i quali la Commissione può legittimamente infliggere – senza violare l’esigenza fondamentale della certezza del diritto – ammende alle imprese oggetto di procedimenti di applicazione delle norme comunitarie in materia di concorrenza (sentenze del Tribunale 19 marzo 2003, causa T‑213/00, CMA CGM e a./Commissione, Racc. pag. II‑913, punto 324, e 18 giugno 2008, causa T‑410/03, Hoechst/Commissione, Racc. pag. II‑881, punto 223).

72      Infatti, a norma degli artt. 1, nn. 1, lett. b), e 2, e 2, n. 3, del regolamento n. 2988/74, si verifica la prescrizione delle azioni sanzionatorie quando la Commissione non abbia irrogato un’ammenda o una sanzione entro i cinque anni successivi al termine iniziale di decorrenza della prescrizione stessa – se durante tale periodo non è intervenuto alcun atto interruttivo della prescrizione – o, al massimo, entro i dieci anni successivi a detto termine iniziale, se invece sono stati posti in essere atti interruttivi. Tuttavia, in virtù del medesimo art. 2, n. 3, il termine di prescrizione così fissato viene prolungato di un lasso di tempo durante il quale la prescrizione rimane sospesa a norma dell’art. 3 dello stesso regolamento (sentenza PVC II della Corte, cit. supra al punto 38, punto 140).

73      Ai sensi dell’art. 3 del regolamento n. 2988/74, la prescrizione dell’azione rimane sospesa per il tempo in cui pende dinanzi alla Corte di giustizia delle Comunità europee un ricorso contro la decisione della Commissione.

74      Nel caso di specie, dalla decisione impugnata emerge che la Commissione ha applicato le norme in tema di prescrizione nel modo seguente.

75      Anzitutto, la Commissione ha ritenuto che, trattandosi di infrazioni continue o continuate, il termine di prescrizione fosse iniziato a decorrere dalla fine del 1990. La Commissione ha poi aggiunto che, anche partendo dal presupposto che l’infrazione fosse terminata il 19 dicembre 1990 e che l’adozione e la notifica della decisione 91/298 non avessero interrotto la prescrizione, essa avrebbe avuto tempo almeno fino alla fine del 1995 per adottare la propria decisione (punto 74).

76      La Commissione ha poi considerato che il termine di prescrizione dovesse essere prorogato di un tempo corrispondente al periodo durante il quale pendeva un ricorso contro la decisione dinanzi al Tribunale (punto 75). Orbene, nel caso di specie, poiché il ricorso era stato proposto dinanzi al Tribunale il 2 maggio 1991, il Tribunale si era pronunciato il 29 giugno 1995, il ricorso alla Corte era stato presentato il 30 agosto 1995 e la sentenza finale era stata pronunciata il 6 aprile 2000, la prescrizione dell’azione sarebbe stata sospesa almeno per 8 anni, 9 mesi e 4 giorni (punto 77). Di conseguenza, la Commissione ha ritenuto di poter adottare una nuova decisione entro il settembre 2004 (punto 78).

77      Da ciò consegue che, secondo la Commissione, la decisione impugnata, datata 13 dicembre 2000, è stata adottata prima dello scadere del termine di prescrizione.

78      A questo proposito occorre osservare, in primo luogo, che il termine di prescrizione è iniziato a decorrere nel momento in cui è cessata l’infrazione, ossia nel 1989, come spiegato ai punti 293‑305 della presente sentenza, e non nel 1990, come indica la Commissione.

79      In secondo luogo, come sottolineato giustamente dalle parti, il riferimento dell’art. 3 del regolamento n. 2988/74 al «tempo in cui pende dinanzi alla Corte di giustizia delle Comunità europee un ricorso» dev’essere inteso, dopo la creazione del Tribunale, come riguardante anzitutto un ricorso pendente dinanzi a quest’ultimo, dal momento che i procedimenti che vertono su sanzioni o ammende nel settore del diritto della concorrenza rientrano nella sua competenza. Di conseguenza, la prescrizione è stata sospesa per tutta la durata del procedimento dinanzi al Tribunale.

80      Infine, dal punto 157 della sentenza PVC II della Corte, cit. supra al punto 38, emerge che, ai sensi dell’art. 3 del regolamento n. 2988/74, la prescrizione è sospesa per tutto il tempo in cui la decisione di cui trattasi è oggetto di un procedimento «dinanzi al Tribunale e alla Corte». Pertanto, la prescrizione è rimasta sospesa anche per tutto il tempo in cui pendeva il procedimento dinanzi alla Corte e non occorre pronunciarsi sul periodo compreso tra la pronuncia del Tribunale e la proposizione del ricorso alla Corte.

81      Da quanto precede deriva che la prescrizione non è maturata nel caso di specie, poiché il relativo termine è iniziato a decorrere nel 1989 e la Commissione ha inflitto un’ammenda il 13 dicembre 2000, ossia entro i cinque anni successivi al termine iniziale di decorrenza della prescrizione prorogato del periodo di tempo durante il quale la prescrizione è stata sospesa. A questo proposito, l’errore in cui la Commissione è incorsa nella decisione impugnata riguardo alla data di cessazione dell’infrazione non ha conseguenze sul fatto che la decisione impugnata sia stata adottata nel rispetto delle norme sulla prescrizione sancite dal regolamento n. 2988/74.

82      Nessuno degli argomenti fatti valere dalla ricorrente può rimettere in discussione tale considerazione.

83      Difatti, in primo luogo va osservato che l’art. 60 dello Statuto della Corte e l’art. 3 del regolamento n. 2988/74 hanno ambiti di applicazione diversi. Il fatto che un’impugnazione non abbia effetto sospensivo non priva di qualunque effetto l’art. 3 del regolamento n. 2988/74, che riguarda situazioni in cui la Commissione deve attendere la decisione del giudice comunitario. La tesi della ricorrente secondo cui la Commissione non doveva tener conto del periodo durante il quale pendeva un ricorso dinanzi alla Corte non può dunque essere accolta, in quanto avrebbe l’effetto di privare la sentenza che la Corte pronuncia in sede di impugnazione della sua ragion d’essere e dei suoi effetti.

84      In secondo luogo, riguardo all’argomento della ricorrente secondo cui l’istituzione di un doppio grado di giudizio non permette di estendere il periodo di sospensione della prescrizione, è opportuno ricordare che l’art. 3 del regolamento n. 2988/74 tutela la Commissione contro gli effetti della prescrizione in situazioni in cui essa deve attendere la decisione del giudice comunitario, nell’ambito di procedimenti sul cui svolgimento essa non ha il controllo, per sapere se l’atto impugnato è viziato o no da illegittimità (v., in tal senso, sentenza PVC II della Corte, cit. supra al punto 38, punto 144).

85      In terzo luogo, quanto all’argomento secondo cui la sentenza PVC II del Tribunale, cit. supra al punto 25, non sarebbe pertinente alla soluzione della presente controversia, al contrario emerge chiaramente dalla lettera di tale sentenza che, in generale, bisogna aggiungere al termine di prescrizione il periodo durante il quale la prescrizione è stata sospesa, ossia non solo il periodo durante il quale era pendente il ricorso dinanzi al Tribunale, ma altresì il periodo durante il quale era pendente il ricorso dinanzi alla Corte.

86      In quarto luogo, per quanto riguarda l’argomento secondo cui la sospensione della prescrizione per il tempo in cui pende un’impugnazione equivarrebbe ad attribuire effetti ad una decisione annullata in primo grado, è sufficiente osservare che la sospensione della prescrizione permette alla Commissione solo di adottare eventualmente una nuova decisione nell’ipotesi in cui sia respinta l’impugnazione proposta contro una sentenza del Tribunale che annulla una decisione della Commissione medesima. Questa sospensione della prescrizione non produce alcun effetto sulla decisione annullata dalla sentenza del Tribunale.

87      In quinto luogo, in caso di impugnazione, è vero che nulla impedisce formalmente alla Commissione di agire subito e di adottare una nuova decisione dopo l’annullamento della decisione iniziale da parte del Tribunale. Tuttavia, un ricorso diretto contro la decisione finale che infligge sanzioni sospende la prescrizione delle azioni sanzionatorie fino a che il giudice comunitario non si sia definitivamente pronunciato sul detto ricorso (sentenza PVC II della Corte, cit. supra al punto 38, punto 147). Infatti, secondo la giurisprudenza della Corte, l’art. 3 del regolamento n. 2988/74 tutela la Commissione contro gli effetti della prescrizione in situazioni in cui essa deve attendere la decisione del giudice comunitario, nell’ambito di procedimenti sul cui svolgimento essa non ha il controllo assoluto, per sapere se l’atto impugnato è viziato o no da illegittimità. Pertanto, detto art. 3 riguarda ipotesi in cui l’inerzia dell’istituzione non è la conseguenza di una mancanza di diligenza (sentenza PVC II della Corte, cit. supra al punto 38, punto 144). Non si può quindi rimproverare alla Commissione di aver proposto un’impugnazione, nell’esercizio dei suoi diritti della difesa, e atteso la sentenza Commissione/Solvay, cit. supra al punto 19, prima di adottare una nuova decisione.

88      In sesto luogo, deve aggiungersi che l’interpretazione dell’art. 3 del regolamento n. 2988/74 proposta dalla ricorrente comporta gravi difficoltà pratiche. Infatti, se la Commissione dovesse adottare una nuova decisione a seguito dell’annullamento di una decisione da parte del Tribunale senza attendere la pronuncia della Corte, vi sarebbe il rischio di coesistenza di due decisioni aventi lo stesso oggetto nell’ipotesi in cui la Corte annullasse la sentenza del Tribunale.

89      Inoltre, appare contrario alle esigenze di economia del procedimento amministrativo imporre alla Commissione, al solo scopo di evitare che la prescrizione maturi, di adottare una nuova decisione prima di sapere se la decisione iniziale sia o meno viziata da illegittimità.

90      Da tutto quanto precede deriva che il primo capo del primo motivo dev’essere respinto.

 Il secondo capo: violazione del principio della ragionevolezza dei termini

–       Argomenti delle parti

91      La ricorrente sostiene di essere venuta a conoscenza dell’«accusa nei suoi confronti» il 13 marzo 1990, data in cui le è stata inviata la comunicazione degli addebiti, ossia undici anni prima della proposizione del presente ricorso. La posta in gioco della presente causa avrebbe, peraltro, per la ricorrente, una particolare importanza in quanto, nella decisione 91/298 e poi nella decisione impugnata, la Commissione l’ha accusata di un’infrazione grave, infliggendole un’ammenda di EUR 3 milioni. Orbene, al momento della proposizione del presente ricorso non sarebbe stata adottata alcuna decisione definitiva riguardo alle accuse mosse contro di essa nella comunicazione degli addebiti.

92      Facendo riferimento all’art. 6, n. 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (in prosieguo: la «CEDU»), firmata a Roma il 4 novembre 1950, la ricorrente fa osservare che, considerato nel suo complesso, il procedimento avviato nel febbraio 1990 ha con ogni evidenza superato un termine ragionevole. Al riguardo la giurisprudenza comunitaria non prevederebbe che la durata del procedimento debba essere valutata per ogni singola fase dello stesso. Nulla, pertanto, potrebbe giustificare il fatto che la Commissione abbia atteso cinque anni e mezzo per adottare una nuova decisione, tanto più che il ricorso dinanzi alla Corte non avrebbe effetto sospensivo.

93      Dopo la sentenza Solvay II, cit. supra al punto 16, la Commissione avrebbe scelto non solo di proporre un ricorso il cui rigetto era prevedibile considerata la sentenza Commissione/BASF e a., cit. supra al punto 65, ma altresì di attenderne l’esito prima di adottare la decisione impugnata. Inoltre, secondo la ricorrente, la Commissione ha atteso ancora otto mesi dopo la sentenza Commissione/Solvay, cit. supra al punto 19, mentre nella causa che ha dato origine alla sentenza PVC II del Tribunale, cit. supra al punto 25, la nuova decisione era stata adottata nel giro di un mese e mezzo.

94      La Commissione poi farebbe confusione fra termine ragionevole e termine di prescrizione, ritenendosi a torto autorizzata ad attendere fino al 2004 per adottare una nuova decisione. Difatti, nella decisione impugnata la Commissione non indicherebbe gli elementi su cui si basa per considerare che nella fattispecie sia stato rispettato un termine ragionevole. Secondo la ricorrente, indipendentemente dal motivo della durata di ciascuna fase del procedimento, «una durata dell’intero procedimento compresa tra quattordici e sedici anni, o anche oltre, tra la comunicazione degli addebiti e la decisione definitiva del Tribunale o della Corte» non può essere definita ragionevole.

95      Pertanto il Tribunale sarebbe tenuto a constatare il superamento del termine ragionevole e ad annullare la decisione impugnata in quanto non sarebbe più possibile, a questo punto, pronunciarsi entro un termine ragionevole sulle accuse mosse nei confronti della ricorrente. Qualunque altra soluzione, che per esempio tenga conto del superamento del termine ragionevole nel fissare l’importo dell’ammenda, non rimedierebbe alla violazione dell’art. 6 della CEDU. Inoltre, in applicazione dei principi sanciti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, la ricorrente non sarebbe tenuta a dimostrare che il superamento del termine ragionevole ha compromesso i suoi diritti della difesa, cosa che costituirebbe un motivo distinto di annullamento. Infatti, il criterio del pregiudizio per i diritti della difesa sarebbe altra cosa rispetto al diritto di essere giudicati entro un termine ragionevole in materia penale.

96      In ogni caso, la ricorrente sostiene che il superamento del termine ragionevole e il deterioramento delle prove che ne deriva le impediscono di difendersi, privandola in particolare della possibilità di supportare gli argomenti fatti valere nel ricorso. Essa lamenta, in particolare, di non poter più fare appello ai suoi ex dipendenti, impiegati nel settore e nella controllata interessati. La ricorrente conclude pertanto che «la sua difesa è stata concretamente compromessa».

97      La ricorrente è dell’avviso che l’inerzia colposa della Commissione durante i cinque anni e mezzo successivi alla sentenza Solvay II, cit. supra al punto 16, debba essere sanzionata in modo particolare. Al riguardo essa precisa di aver potuto legittimamente confidare che la Commissione avesse rinunciato a riaprire il fascicolo, tanto che non aveva tentato di conservare traccia sistematica dei fatti e dei documenti che potevano essere utili per la sua difesa. Anzi, la sua politica di archiviazione le imporrebbe, salvo circostanze eccezionali, di distruggere sistematicamente gli archivi dopo dieci o anche solo cinque anni.

98      Infine, ritenere che l’onere di provare l’irragionevolezza incomba alla ricorrente sarebbe contrario alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, ai sensi della quale spetta alle autorità nazionali spiegare le ragioni di eventuali lunghi periodi di inattività, che potrebbero essere giustificati solo in casi eccezionali. La ricorrente sostiene inoltre che, al contrario della Commissione, non le può essere imputata una manovra volta a ritardare il procedimento a partire dal 1989. Essa sottolinea che la Commissione si è dimostrata incapace di rispettare le proprie norme interne di autenticazione e il principio di certezza del diritto, cosa che ha ritardato di diversi anni l’esame del merito della decisione iniziale.

99      La Commissione contesta gli argomenti dedotti dalla ricorrente.

–       Giudizio del Tribunale

100    In via preliminare, occorre ricordare come il principio del termine ragionevole debba essere necessariamente rispettato, in materia di concorrenza, nei procedimenti amministrativi attivati a norma del regolamento n. 17 e atti a sfociare nell’adozione delle sanzioni previste da quest’ultimo, nonché nel procedimento giurisdizionale dinanzi al giudice comunitario (sentenza PVC II della Corte, cit. supra al punto 38, punto 179).

101    In primo luogo, a sostegno del suo argomento relativo all’irragionevole durata del procedimento amministrativo, la ricorrente invoca in particolare il fatto che, sebbene l’impugnazione non produca effetto sospensivo, la Commissione ha atteso senza alcun motivo cinque anni e mezzo per adottare una nuova decisione dopo l’annullamento della decisione 91/298 da parte della sentenza Solvay II, cit. supra al punto 16.

102    Orbene, come accertato in sede di esame del primo capo del primo motivo, la prescrizione è stata sospesa, conformemente all’art. 3 del regolamento n. 2988/74, per tutta la durata del procedimento dinanzi alla Corte dopo l’impugnazione presentata contro la sentenza Solvay II, cit. supra al punto 16. Non si può quindi accusare la Commissione di aver violato il principio del termine ragionevole solo per aver atteso, prima di adottare la decisione impugnata, che la Corte statuisse nell’ambito di siffatta impugnazione.

103    In secondo luogo, la ricorrente sostiene, in via più generale, che la durata del procedimento amministrativo, complessivamente considerata, ossia tra l’invio della comunicazione degli addebiti e l’adozione della decisione impugnata, ha superato un termine ragionevole.

104    Questo argomento dev’essere respinto.

105    In effetti, in sede di esame di una censura vertente sulla violazione del principio della ragionevolezza dei termini, occorre distinguere tra il procedimento amministrativo e il procedimento giurisdizionale. Quindi, il periodo durante il quale il giudice comunitario ha esaminato la legittimità della decisione 91/298 e la validità della sentenza Solvay II, cit. supra al punto 16, non può essere preso in considerazione per determinare la durata del procedimento dinanzi alla Commissione (v., in tal senso, sentenza PVC II della Corte, cit. supra al punto 38, punti 202‑204).

106    In terzo luogo, la ricorrente critica la durata del procedimento amministrativo tra la pronuncia della sentenza Commissione/Solvay, cit. supra al punto 19, e l’adozione della decisione impugnata.

107    Al riguardo va ricordato che tale periodo ha avuto inizio il 6 aprile 2000, data in cui è stata pronunciata la sentenza Commissione/Solvay, cit. supra al punto 19, e si è concluso il 13 dicembre 2000 con l’adozione della decisione impugnata. Pertanto questa fase del procedimento amministrativo è durata otto mesi e sette giorni.

108    Durante tale periodo la Commissione si è limitata ad apportare modifiche formali alla decisione 91/298, in particolare introducendo una nuova parte relativa ai «procedimenti dinanzi al Tribunale di primo grado e alla Corte di giustizia», che riguarda la valutazione del rispetto dei termini di prescrizione. Inoltre, l’adozione della decisione impugnata non è neppure stata preceduta da atti istruttori supplementari, essendosi la Commissione basata sui risultati dell’indagine condotta dieci anni prima. Malgrado ciò, va ammesso che, anche in circostanze del genere, talune verifiche e concertazioni in seno all’amministrazione possono rivelarsi indispensabili per giungere a un tale risultato.

109    In quest’ottica non vi è motivo di ritenere irragionevole il termine di otto mesi e sette giorni trascorso tra la pronuncia della sentenza Commissione/Solvay, cit. supra al punto 19, e l’adozione della decisione impugnata.

110    In quarto luogo, quanto alla durata del procedimento amministrativo tra l’invio della comunicazione degli addebiti e l’adozione della decisione 91/298, va rilevato che la ricorrente non ha sostenuto specificamente che tale durata era criticabile. In effetti, essa si è limitata ad affermare che l’irragionevolezza del termine doveva essere valutata a partire dal 13 marzo 1990, ossia a partire dalla data in cui la comunicazione degli addebiti le è stata inviata, senza contestare il periodo di undici mesi e mezzo trascorso tra la comunicazione degli addebiti e l’adozione della decisione 91/298, avvenuta il 1° marzo 1991.

111    Da quanto precede deriva che la ricorrente non ha fatto valere alcun elemento che porti a considerare eccessiva, nel caso di specie, la durata dell’intero procedimento amministrativo.

112    Infatti, benché si debba tener conto della fase del procedimento amministrativo antecedente alla comunicazione degli addebiti (v., in tal senso, sentenza della Corte 21 settembre 2006, causa C‑105/04 P, Nederlandse Federatieve Vereniging voor de Groothandel op Elektrotechnisch Gebied/Commissione, Racc. pag. I‑8725, punto 51), si deve ritenere che la durata dell’intero procedimento amministrativo non sia eccessiva alla luce, segnatamente, degli accertamenti effettuati a partire dall’aprile 1989, delle richieste di informazioni successive e dell’avvio del procedimento d’ufficio il 19 febbraio 1990. Di conseguenza, non si possono considerare irragionevoli né la durata di circa undici mesi tra gli accertamenti effettuati dalla Commissione a partire dall’aprile 1989 e la data della comunicazione degli addebiti, né la durata dell’intero procedimento amministrativo.

113    Occorre aggiungere che, in ogni caso, la violazione del principio della ragionevolezza dei termini giustificherebbe l’annullamento di una decisione adottata a seguito di un procedimento amministrativo in materia di concorrenza solo qualora comportasse anche una violazione dei diritti della difesa dell’impresa interessata. Infatti, quando non è dimostrato che il decorso di un lasso di tempo eccessivo abbia pregiudicato la capacità dell’impresa di difendersi in modo efficace, il mancato rispetto del principio della ragionevolezza dei termini non incide sulla validità del procedimento amministrativo (v., in tal senso, sentenza PVC II del Tribunale, cit. supra al punto 25, punto 122).

114    Al riguardo, la ricorrente sostiene che le è difficile difendersi contro accuse vertenti su fatti che sarebbero avvenuti all’epoca, dato che non può più ricorrere ai propri dipendenti che al momento dei fatti lavoravano nel settore e nella controllata interessati.

115    Tuttavia, la Commissione non ha compiuto atti istruttori tra la pronuncia della sentenza Commissione/Solvay, cit. supra al punto 19, e la decisione impugnata.

116    Inoltre, dalla decisione impugnata emerge che tale atto si basa sugli stessi motivi della decisione 91/298, che il contenuto delle due decisioni è quasi identico e che la Commissione non ha tenuto conto di alcun elemento nuovo che rendesse necessario l’esercizio di un diritto della difesa.

117    Pertanto i diritti della difesa della ricorrente non sono stati violati.

118    In quinto luogo, quanto al procedimento giurisdizionale, va osservato che nell’atto introduttivo la ricorrente non mette direttamente in discussione la durata del procedimento dinanzi al Tribunale e successivamente dinanzi alla Corte per quel che riguarda la decisione 91/298.

119    In ogni caso, occorre ricordare che il principio generale di diritto comunitario in forza del quale chiunque ha diritto a un processo equo, ispirato all’art. 6, n. 1, della CEDU, in particolare il diritto a un processo entro un termine ragionevole, è applicabile nell’ambito di un ricorso giurisdizionale avverso una decisione della Commissione che infligge ammende a un’impresa per violazione della normativa sulla concorrenza. La ragionevolezza del termine è valutata alla luce delle circostanze proprie di ciascun caso di specie e, in particolare, alla luce della posta in gioco nella controversia per l’interessato, della complessità del caso in esame nonché del comportamento del ricorrente e di quello delle autorità competenti. L’elencazione dei detti criteri non è esaustiva e la valutazione del carattere ragionevole del termine non richiede un esame sistematico delle circostanze della causa alla luce di ciascuno di tali criteri quando la durata del procedimento risulti giustificata alla stregua di uno solo di essi. Pertanto, la complessità della causa può essere considerata una valida giustificazione di un termine a prima vista troppo lungo (v. sentenza della Corte 25 gennaio 2007, cause riunite C‑403/04 P e C‑405/04 P, Sumitomo Metal Industries e Nippon Steel Corp./Commissione, Racc. pag. I‑729, punti 115‑117 e la giurisprudenza ivi citata).

120    Inoltre, nella sentenza 17 dicembre 1998, causa C‑185/95 P, Baustahlgewebe/Commissione (Racc. pag. I‑8417), dopo aver dichiarato che la durata del procedimento dinanzi al Tribunale aveva superato i limiti della ragionevolezza, la Corte, per ragioni di economia processuale e al fine di garantire un rimedio immediato ed effettivo a tale vizio procedurale, ha dichiarato che il motivo vertente sull’eccessiva durata del procedimento era fondato ai fini dell’annullamento della sentenza impugnata nella parte in cui fissava a 3 milioni di ECU l’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente. In mancanza di qualsivoglia indizio del fatto che la durata del procedimento avesse influito sulla soluzione della controversia, la Corte ha dichiarato che tale motivo non poteva determinare l’annullamento della sentenza impugnata nel suo insieme e ha ritenuto che la somma di ECU 50 000 costituisse un risarcimento equo, in ragione dell’eccessiva durata del procedimento, riducendo quindi l’importo dell’ammenda inflitta all’impresa interessata.

121    Pertanto, in mancanza di qualsivoglia indizio del fatto che la durata del procedimento abbia influito sulla soluzione della controversia, un eventuale superamento del termine ragionevole da parte del giudice comunitario nel caso di specie, anche ove fosse dimostrato, non avrebbe alcuna incidenza sulla legittimità della decisione impugnata.

122    Va aggiunto che, nell’atto introduttivo del ricorso, la ricorrente ha espressamente rinunciato alla possibilità di una riduzione dell’ammenda a titolo di risarcimento per l’asserita violazione del suo diritto ad essere giudicata entro un termine ragionevole e che essa non ha neppure introdotto una richiesta di risarcimento danni.

123    Pertanto, occorre respingere il secondo capo del primo motivo e, di conseguenza, il primo motivo nel suo complesso.

 Il secondo motivo: violazione delle forme sostanziali

124    Il secondo motivo si articola, in sostanza, in sette capi: violazione del principio di collegialità, violazione del principio di certezza del diritto, violazione del diritto della ricorrente di essere sentita nuovamente, omessa consultazione ex novo del comitato consultivo, composizione irregolare di detto comitato, violazione del diritto di accesso al fascicolo e violazione dei principi di imparzialità, di buona amministrazione e di proporzionalità.

125    Il Tribunale ritiene opportuno esaminare il sesto capo del secondo motivo assieme al quarto motivo, attinente alla violazione del diritto di accesso al fascicolo, dopo aver analizzato il motivo che verte sul merito della causa.

 Il primo capo: violazione del principio di collegialità

–       Argomenti delle parti

126    La ricorrente mette in rilievo che, stando alla lettera di accompagnamento del 10 gennaio 2001, firmata dal commissario incaricato della concorrenza, la decisione impugnata è stata adottata dal collegio dei commissari il 13 dicembre 2000.

127    Orbene, dalle dichiarazioni della portavoce della Commissione riprodotte nel comunicato stampa del 12 dicembre 2000 risulterebbe che la decisione di adottare nuovamente la decisione 91/298 era stata già presa al più tardi il giorno prima che il collegio dei commissari si riunisse per deliberare.

128    Secondo la ricorrente, mancando indicazioni di una delibera del collegio dei commissari anteriore al 12 dicembre 2000, se ne deve dedurre che la decisione impugnata è stata adottata in violazione del principio di collegialità.

129    Inoltre, anche supponendo che la decisione impugnata sia stata effettivamente adottata dal collegio dei commissari, dal comunicato stampa del 12 dicembre 2000 risulterebbe che la Commissione aveva apparentemente deciso di adottare una nuova decisione dal contenuto identico alla decisione 91/298 in quanto la ricorrente non avrebbe mai contestato il merito della stessa. Orbene, la ricorrente sostiene di aver criticato la valutazione di diritto e di fatto effettuata dalla Commissione, così come il principio e l’importo dell’ammenda. Ne consegue che il collegio dei commissari non sarebbe stato correttamente informato della posizione della ricorrente allorché si è deciso di adottare la decisione impugnata.

130    La ricorrente chiede inoltre al Tribunale di ingiungere alla Commissione di produrre tutti i documenti interni che riguardano l’adozione della decisione impugnata, in particolare i verbali di tutte le riunioni del collegio dei commissari nel corso delle quali sarebbe stato discusso il progetto di decisione, nonché i documenti presentati al collegio stesso.

131    La Commissione contesta gli argomenti avanzati dalla ricorrente.

–       Giudizio del Tribunale

132    Secondo una giurisprudenza costante, il principio di collegialità si fonda sull’eguaglianza dei membri della Commissione nella partecipazione all’adozione di una decisione e, in particolare, implica che le decisioni siano deliberate in comune e che tutti i membri del collegio siano collettivamente responsabili, sul piano politico, del complesso delle decisioni adottate (sentenze della Corte 29 settembre 1998, causa C‑191/95, Commissione/Germania, Racc. pag. I‑5449, punto 39, e 13 dicembre 2001, causa C‑1/00, Commissione/Francia, Racc. pag. I‑9989, punto 79).

133    Il rispetto di tale principio, in particolare la necessità che le decisioni siano deliberate in comune, interessa necessariamente i soggetti di diritto toccati dagli effetti giuridici che queste producono, nel senso che essi devono poter essere certi che le decisioni siano state effettivamente adottate dal collegio e corrispondano esattamente alla sua volontà. Ciò vale, in particolare, per gli atti espressamente qualificati come decisioni, che la Commissione è chiamata ad adottare nei confronti delle imprese o delle associazioni di imprese per garantire il rispetto delle norme sulla concorrenza e che hanno per oggetto di constatare una violazione delle predette norme, di emettere ingiunzioni nei confronti di tali imprese e di infliggere loro sanzioni pecuniarie (sentenza Commissione/BASF e a., cit. supra al punto 65, punti 64 e 65).

134    Nel caso di specie la ricorrente fa valere che, secondo il comunicato stampa del 12 dicembre 2000, la portavoce della Commissione ha annunciato che l’istituzione avrebbe adottato nuovamente la stessa decisione il 13 dicembre 2000.

135    Tuttavia, anche supponendo che la portavoce della Commissione avesse riferito fedelmente le intenzioni di quest’ultima, il semplice fatto che un comunicato stampa di un’agenzia privata menzioni una dichiarazione priva di carattere ufficiale non può essere sufficiente per ritenere che la Commissione abbia violato il principio di collegialità. Infatti, il collegio dei commissari non era affatto vincolato da tale dichiarazione e, durante la riunione del 13 dicembre 2000, avrebbe quindi anche potuto decidere, al termine di una deliberazione collegiale, di non adottare la decisione impugnata.

136    Va aggiunto che il comunicato stampa ufficiale della Commissione è stato pubblicato il 13 dicembre 2000.

137    Inoltre, anche nell’ipotesi in cui la portavoce della Commissione avesse dichiarato che la ricorrente non aveva mai contestato il merito della decisione 91/298, tale argomento è inconferente. Infatti, dal punto 70 della decisione impugnata emerge che la Commissione ha adottato una nuova decisione di contenuto quasi identico alla decisione 91/298 perché quest’ultima era stata annullata a causa di un vizio procedurale. Di conseguenza, il fatto che la ricorrente abbia contestato il merito della decisione 91/298 è privo di rilievo.

138    Da quanto precede deriva che non vi è ragione di ingiungere alla Commissione, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento, di produrre tutti i documenti interni relativi all’adozione della decisione impugnata.

139    Il primo capo del secondo motivo dev’essere pertanto respinto.

 Il secondo capo: violazione del principio di certezza del diritto

–       Argomenti delle parti

140    La ricorrente lascia intendere che le formalità di autenticazione stabilite dal regolamento interno della Commissione (GU 1999, L 252, pag. 41), applicabile quando è stata adottata la decisione impugnata, non sono conformi a quanto sancito dalle sentenze Commissione/BASF e a., cit. supra al punto 65 (punti 73‑76), e Commissione/Solvay, cit. supra al punto 19 (punti 44‑49).

141    Difatti, l’art. 16, primo comma, del regolamento interno della Commissione, in vigore all’epoca, non imporrebbe alcuna formalità per l’autenticazione della decisione impugnata, la quale non reca alcuna firma anche se menziona il commissario incaricato della concorrenza. In particolare, non vi sarebbe previsto che gli atti adottati debbano essere allegati alla nota sommaria al momento della sua elaborazione, cosicché «l’autenticazione dell’una nota o dell’altra non ha alcun nesso diretto con l’atto adottato». Sotto questo profilo, l’art. 16, primo comma, del regolamento interno della Commissione sarebbe diverso dall’art. 15 della decisione del Consiglio 5 giugno 2000, 2000/396/CE, CECA, Euratom, relativa all’adozione del suo regolamento interno (GU L 149, pag. 21).

142    Pertanto il regolamento interno della Commissione non terrebbe conto dell’importanza fondamentale delle formalità di autenticazione e sarebbe in contrasto con il principio di certezza del diritto. Di conseguenza, la decisione impugnata non sarebbe stata validamente autenticata.

143    La Commissione contesta gli argomenti dedotti dalla ricorrente.

–       Giudizio del Tribunale

144    In via preliminare, il Tribunale ritiene che l’argomento della ricorrente debba essere inteso nel senso che esso eccepisce l’illegittimità di una disposizione del regolamento interno della Commissione in vigore allorché la decisione impugnata è stata adottata.

145    Tale eccezione di illegittimità va considerata ricevibile.

146    Infatti, secondo la giurisprudenza, la sfera d’applicazione dell’art. 241 CE deve comprendere altresì le disposizioni di un regolamento interno di un’istituzione che, pur non costituendo il fondamento giuridico della decisione impugnata e non producendo effetti analoghi a quelli di un regolamento ai sensi di questo articolo del Trattato, determinano le forme sostanziali richieste ai fini dell’adozione della decisione stessa e garantiscono, di conseguenza, la certezza del diritto dei soggetti che ne sono i destinatari. Occorre, infatti, che i destinatari di una decisione possano contestare in via incidentale la legittimità dell’atto che condiziona la validità formale della decisione stessa, nonostante che l’atto in questione non costituisca il fondamento giuridico di quest’ultima, ove non siano stati in condizione di chiedere l’annullamento di tale atto prima di aver ricevuto notifica della decisione controversa. Di conseguenza, le disposizioni del regolamento interno della Commissione possono costituire oggetto di un’eccezione di illegittimità in quanto garantiscono la tutela dei singoli (sentenza PVC II del Tribunale, cit. supra al punto 25, punti 286 e 287).

147    Occorre inoltre ricordare che l’eccezione di illegittimità dev’essere limitata a quanto indispensabile per la soluzione della controversia.

148    Infatti, l’art. 241 CE non ha lo scopo di consentire a una parte di contestare l’applicabilità di qualsiasi atto di portata generale a sostegno di qualsiasi ricorso. L’atto generale di cui si eccepisce l’illegittimità dev’essere applicabile, direttamente o indirettamente, alla fattispecie oggetto del ricorso e deve esistere un nesso giuridico diretto fra la decisione individuale impugnata e l’atto generale di cui trattasi (v. sentenza PVC II del Tribunale, cit. supra al punto 25, punti 288 e 289 e la giurisprudenza ivi citata).

149    In proposito, va ricordato che la decisione impugnata è stata autenticata in base alle disposizioni dell’art. 16, primo comma, del regolamento interno. Esiste pertanto un nesso giuridico diretto tra la decisione e questo articolo del regolamento interno di cui la ricorrente eccepisce l’illegittimità. L’art. 16, primo comma, del regolamento interno applicabile all’epoca dell’adozione della decisione impugnata può quindi costituire oggetto di un’eccezione di illegittimità.

150    Occorre pertanto verificare se le formalità di autenticazione stabilite dal regolamento interno della Commissione siano o meno conformi a quanto richiede il principio di certezza del diritto.

151    Nel caso di specie, il testo di riferimento è l’art. 16, primo comma, del regolamento interno della Commissione nella versione applicabile al momento dell’adozione della decisione impugnata. Tale articolo così recita:

«Gli atti adottati in riunione vengono allegati, nella o nelle lingue in cui fanno fede, ad una nota sommaria elaborata al termine della riunione della Commissione nel corso della quale sono stati adottati e formano con questa un tutto inscindibile. Tali atti sono autenticati dalle firme del presidente e del segretario generale apposte sull’ultima pagina della predetta nota».

152    Nella sentenza PVC II del Tribunale, cit. supra al punto 25, è stata esaminata la legittimità dell’art. 16, primo comma, del regolamento interno della Commissione 17 febbraio 1993, 93/492/Euratom, CECA, CEE (GU L 230, pag. 15), il cui tenore era il seguente:

«Gli atti adottati in riunione (…) vengono allegati, nella o nelle lingue nelle quali fanno fede, al processo verbale della riunione della Commissione nel corso della quale sono stati adottati o ne sia stato preso atto. Tali atti sono autenticati dalle firme del Presidente e del Segretario generale apposte sulla prima pagina del suddetto processo verbale».

153    In detta sentenza il Tribunale ha ritenuto che le modalità prescritte dalla suddetta disposizione costituissero di per sé una garanzia sufficiente per controllare, in caso di contestazione, la perfetta corrispondenza dei testi notificati o pubblicati con il testo adottato dal collegio e, per ciò stesso, con la volontà dell’autore. Infatti, dal momento che tale testo era allegato al processo verbale e che la prima pagina di quest’ultimo era firmata dal presidente e dal segretario generale, esisteva un nesso tra il processo verbale stesso e i documenti cui esso faceva riferimento che garantiva circa il contenuto e la forma esatti della decisione del collegio. Al riguardo si doveva presumere che l’autorità avesse agito conformemente alla normativa applicabile finché il giudice comunitario non avesse accertato il contrario. Di conseguenza, l’autenticazione prevista secondo le modalità dell’art. 16, primo comma, del regolamento interno doveva considerarsi legittima (sentenza PVC II del Tribunale, cit. supra al punto 25, punti 302‑304).

154    Orbene, va rilevato che l’art. 16, primo comma, del regolamento interno della Commissione nella versione applicabile al momento dell’adozione della decisione impugnata prevede una procedura di autenticazione più formale rispetto a quella esaminata nella sentenza PVC II del Tribunale, cit. supra al punto 25.

155    Infatti, le modifiche apportate tra le due versioni del testo sono le seguenti: gli atti adottati in riunione non sono più solo «allegati» al verbale, ma formano con esso «un tutto inscindibile»; il termine «verbale» è sostituito con quello di «nota sommaria»; tale nota è elaborata «al termine della riunione»; infine, la firma non è più apposta «sulla prima pagina del (...) processo verbale», ma «sull’ultima pagina della predetta nota».

156    Queste modifiche, complessivamente considerate, rafforzano le garanzie procedurali offerte per assicurare il rispetto del principio di certezza del diritto.

157    Pertanto, l’art. 16, primo comma, del regolamento interno della Commissione applicabile alla data dell’adozione della decisione impugnata non è viziato da illegittimità.

158    Di conseguenza, il secondo capo del secondo motivo va respinto.

 Il terzo capo: violazione del diritto della ricorrente ad essere nuovamente sentita

–       Argomenti delle parti

159    La ricorrente riconosce che, ai punti 246‑252 della sentenza PVC II del Tribunale, cit. supra al punto 25, è stato dichiarato che, in caso di annullamento di una decisione della Commissione per vizio di procedura, una nuova audizione delle imprese interessate è necessaria prima dell’adozione di una nuova decisione solo ove quest’ultima contenga addebiti nuovi.

160    Questa soluzione, però, non sarebbe applicabile al caso di specie. Da un lato, il procedimento amministrativo sarebbe inficiato da numerosi vizi dovuti alla violazione del diritto di accesso al fascicolo. Dall’altro, la decisione impugnata riprenderebbe l’analisi effettuata nella decisione 91/297, annullata per ragioni non puramente formali e non adottata nuovamente.

161    L’annullamento della decisione 91/297 avrebbe quindi pregiudicato la validità delle misure preparatorie alla decisione impugnata. Infatti, nella sentenza Solvay I, cit. supra al punto 17, il Tribunale avrebbe dichiarato che il rifiuto assoluto della Commissione di divulgare taluni documenti violava il diritto di accesso della ricorrente al fascicolo. Ne risulta che tale vizio procedurale inficerebbe tanto il procedimento amministrativo sfociato nell’adozione della decisione 91/298 quanto quello relativo alla decisione 91/297. La Commissione avrebbe pertanto dovuto riaprire il procedimento, consentendo alla ricorrente un accesso completo al suo fascicolo e permettendole in seguito di far valere tutte le sue osservazioni scritte e orali al riguardo.

162    Inoltre, l’interpretazione accolta nella sentenza PVC II del Tribunale, cit. supra al punto 25, sarebbe errata in diritto, in quanto limiterebbe il diritto di essere sentiti alla sola possibilità per l’impresa interessata di far valere le proprie osservazioni riguardo alle accuse mosse nei suoi confronti. In realtà, tutte le imprese interessate avrebbero diritto di essere sentite e di far valere le proprie osservazioni anche riguardo al principio, all’opportunità e all’importo delle ammende. Facendo riferimento alla giurisprudenza, la ricorrente afferma che le imprese potenzialmente destinatarie di una decisione che accerta un’infrazione da esse commessa e infligge loro una conseguente ammenda vanno messe in condizione di far valere tutte le loro osservazioni relative all’ammenda nella fase amministrativa del procedimento. Orbene, tenuto conto del tempo trascorso nella presente causa, la ricorrente sostiene che avrebbe avuto nuove osservazioni da presentare in merito alla prescrizione del potere della Commissione di infliggerle ammende e al superamento del termine ragionevole, nonché all’importo dell’ammenda.

163    La ricorrente è dell’avviso che, a seguito dell’annullamento della decisione 91/297, avrebbe dovuto essere sentita in merito alla coerenza intrinseca dell’analisi della Commissione, la quale nella decisione impugnata ha sostenuto che l’infrazione contestata rafforzava gli effetti di una presunta politica generale anticoncorrenziale, nonché alla validità di talune affermazioni contenute nella decisione impugnata riguardo all’esistenza di un’intesa con l’ICI, che sarebbero tratte direttamente dalla decisione 91/297.

164    La Commissione contesta gli argomenti fatti valere dalla ricorrente.

–       Giudizio del Tribunale

165    Qualora la Commissione, dopo l’annullamento di una decisione che ha inflitto sanzioni ad imprese che hanno violato l’art. 81, n. 1, CE a causa di un vizio procedurale concernente esclusivamente le modalità della sua adozione definitiva da parte del collegio dei commissari, adotti una nuova decisione dal contenuto sostanzialmente identico e fondata sugli stessi addebiti, non è necessaria una nuova audizione delle imprese di cui trattasi (v., in tal senso, sentenza PVC II della Corte, cit. supra al punto 38, punti 83‑111).

166    Neppure le questioni di diritto che possono porsi in sede di applicazione dell’art. 233 CE, come quelle riguardanti il tempo trascorso, la possibilità di una riapertura dei procedimenti sanzionatori, l’accesso al fascicolo che conseguirebbe alla riapertura del procedimento, l’intervento del consigliere auditore e del comitato consultivo, nonché eventuali implicazioni dell’art. 20 del regolamento n. 17, impongono nuove audizioni, in quanto non modificano il contenuto degli addebiti, essendo soltanto suscettibili, se del caso, di un successivo controllo giurisdizionale (v., in tal senso, sentenza PVC II della Corte, cit. supra al punto 38, punto 93).

167    Nel caso di specie, la Commissione ha ripetuto quasi integralmente il contenuto della decisione 91/298. Essa si è limitata a completare la decisione impugnata con una parte riguardante i procedimenti dinanzi al Tribunale e alla Corte.

168    Vero è che, nella parte della decisione impugnata riguardante i fatti, la Commissione ha aggiunto alcune considerazioni derivanti dalla decisione 91/297, che poi è stata annullata dalla sentenza Solvay I, cit. supra al punto 17.

169    Tuttavia, da un lato, la decisione 91/298, che è all’origine della decisione impugnata, faceva espressamente riferimento alla decisione 91/297 riguardo alle informazioni sul prodotto e sul mercato del carbonato di sodio (v. punto I B del preambolo della decisione 91/298). In sede di replica, la ricorrente del resto ammette che i passaggi della decisione 91/297 ripresi nella decisione impugnata costituivano «parte integrante» della decisione 91/298.

170    Dall’altro, tali informazioni, attinenti unicamente ai fatti, non sono rilevanti ai fini dell’infrazione di cui la ricorrente è accusata nella presente causa. Infatti, nel caso di specie, il comportamento di cui trattasi riguarda un’intesa conclusa tra la ricorrente e la CFK e non le pratiche anticoncorrenziali intervenute tra la ricorrente e l’ICI.

171    Pertanto, si deve dichiarare che la decisione impugnata e la decisione 91/298 hanno un contenuto sostanzialmente identico e sono basate sugli stessi motivi.

172    Di conseguenza, conformemente alla giurisprudenza citata ai punti 165 e 166 della presente sentenza, la Commissione non era tenuta a sentire nuovamente la ricorrente prima di adottare la decisione impugnata.

173    Per quel che riguarda, poi, l’argomento attinente alla violazione del diritto di accesso al fascicolo, esso costituisce oggetto di una censura distinta e verrà quindi esaminato in seguito.

174    Da quanto precede deriva che il terzo capo del secondo motivo dev’essere respinto.

 Il quarto capo: omessa consultazione ex novo del comitato consultivo in materia di intese e di posizioni dominanti

–       Argomenti delle parti

175    La ricorrente contesta la valutazione contenuta ai punti 254‑257 della sentenza PVC II del Tribunale, cit. supra al punto 25, secondo cui in tale causa non occorreva una nuova consultazione del comitato consultivo. A suo avviso, contrariamente a quanto dichiarato dal Tribunale in detta sentenza, l’obbligo di consultare il comitato non deriva dall’art. 1 del regolamento della Commissione 25 luglio 1963, 99/63/CEE, relativo alle audizioni previste all’articolo 19, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 17 del Consiglio (GU 1963, n. 127, pag. 2268), il quale si limita a disciplinare la cronologia del procedimento da seguire, bensì dall’art. 10 del regolamento n. 17, nella versione applicabile all’epoca dei fatti. Inoltre, pur costituendo un’importante garanzia procedurale, la consultazione del comitato consultivo perseguirebbe uno scopo diverso dalla semplice audizione dell’impresa interessata dal progetto di decisione, come sarebbe dimostrato dal fatto che la rinuncia all’audizione da parte dell’impresa non esime la Commissione dall’interpellare il comitato consultivo.

176    Pertanto, nel caso di specie il comitato consultivo avrebbe dovuto essere interpellato riguardo al progetto della Commissione di adottare la decisione impugnata dopo la sentenza Commissione/Solvay, cit. supra al punto 19, in particolare riguardo al rispetto del principio della ragionevolezza dei termini.

177    La Commissione contesta gli argomenti dedotti dalla ricorrente.

–       Giudizio del Tribunale

178    A termini dell’art. 10 del regolamento n. 17, nella versione applicabile all’epoca dei fatti:

«3. Un Comitato consultivo in materia di intese e posizioni dominanti deve essere sentito prima di ogni decisione da prendere in seguito a una delle procedure di cui al paragrafo 1, e prima di ogni decisione relativa al rinnovo, alla modifica o alla revoca di una dichiarazione ai sensi dell’articolo [81], paragrafo 3 [, CE].

(...)

5. La consultazione viene effettuata nel corso di una riunione comune, su invito della Commissione, e comunque non prima di quattordici giorni dall’invio della convocazione. A quest’ultima saranno allegati un’esposizione della questione, con l’indicazione dei documenti più importanti della pratica, e un progetto preliminare di decisione per ogni caso da esaminare».

179    Inoltre, l’art. 1 del regolamento n. 99/63 così recita:

«Prima di sentire il Comitato consultivo in materia di intese e posizioni dominanti, la Commissione procede all’audizione prevista dell’articolo 19, paragrafo 1, del regolamento n. 17».

180    Secondo una consolidata giurisprudenza, in forza dell’art. 1 del regolamento n. 99/63 l’audizione delle imprese interessate e la consultazione del comitato sono necessarie in situazioni identiche (sentenza della Corte 21 settembre 1989, cause riunite 46/87 e 227/88, Hoechst/Commissione, Racc. pag. 2859, punto 54, e sentenza PVC II della Corte, cit. supra al punto 38, punto 115).

181    Il regolamento n. 99/63 è stato sostituito dal regolamento (CE) della Commissione 22 dicembre 1998, n. 2842, relativo alle audizioni in taluni procedimenti a norma dell’articolo [81 CE] e dell’articolo [82 CE] (GU L 354, pag. 18), in vigore al momento dell’adozione della decisione impugnata, il cui art. 2, n. 1, è redatto in termini identici a quelli dell’art. 1 del regolamento n. 99/63.

182    Nel caso di specie va rilevato che, secondo la decisione impugnata, il comitato consultivo in materia di intese e di posizioni dominanti è stato interpellato prima della decisione 91/298. La ricorrente non nega né l’esistenza né la regolarità di tale consultazione.

183    Pertanto, posto che la decisione impugnata non comporta modifiche sostanziali rispetto alla decisione 91/298, la Commissione, che non era tenuta ad una nuova audizione della ricorrente prima di adottare la decisione impugnata, non era neppure vincolata a procedere ad una nuova consultazione del comitato (v., in tal senso, sentenza PVC II della Corte, cit. supra al punto 38, punto 118).

184    Di conseguenza, il quarto capo del secondo motivo dev’essere respinto.

 Il quinto capo: composizione irregolare del comitato consultivo in materia di intese e di posizioni dominanti

–       Argomenti delle parti

185    La ricorrente ricorda che, dopo la consultazione del comitato consultivo in materia di intese e di posizioni dominanti, avvenuta prima dell’adozione della decisione 91/298 e della decisione impugnata, il 1° gennaio 1995 tre Stati hanno aderito alla Comunità. Essendo formato da un rappresentante di ogni Stato membro, il comitato consultivo non sarebbe più stato validamente composto nel momento in cui la Commissione ha redatto il progetto sfociato nell’adozione della decisione impugnata. La Commissione avrebbe quindi dovuto interpellare nuovamente il comitato consultivo regolarmente composto.

186    La Commissione contesta gli argomenti dedotti dalla ricorrente.

–       Giudizio del Tribunale

187    L’art. 10, n. 4, del regolamento n. 17, nella versione applicabile all’epoca dei fatti, così recita:

«Il Comitato consultivo è composto di funzionari competenti in materia di intese e posizioni dominanti. Ogni Stato membro designa un funzionario che lo rappresenta e che, in caso d’impedimento, può essere sostituito da un altro funzionario».

188    Secondo la giurisprudenza, il cambiamento della composizione di un’istituzione non intacca la continuità dell’istituzione stessa, i cui atti definitivi o preparatori conservano, in linea di principio, tutti i loro effetti (sentenza della Corte 13 novembre 1990, causa C‑331/88, Fedesa e a., Racc. pag. I‑4023, punto 36).

189    Inoltre, non esiste alcun principio generale di diritto comunitario che imponga la continuità della composizione dell’organo amministrativo investito di un procedimento che può dar luogo all’irrogazione di un’ammenda (sentenza PVC II del Tribunale, cit. supra al punto 25, punti 322 e 323).

190    Pertanto, la Commissione non era tenuta ad interpellare nuovamente il comitato consultivo dopo l’adesione di tre nuovi Stati membri alla Comunità.

191    Di conseguenza, il quinto capo del secondo motivo dev’essere respinto.

 Il settimo capo: violazione dei principi di imparzialità, di buona amministrazione e di proporzionalità

–       Argomenti delle parti

192    La ricorrente sostiene che la decisione impugnata riproduce praticamente parola per parola una decisione adottata dieci anni prima, senza tener alcun conto del tempo trascorso e delle conseguenze dell’annullamento della decisione 91/297. Inoltre, la Commissione avrebbe dovuto concederle un accesso completo al fascicolo.

193    La decisione impugnata sarebbe poi sproporzionata, in quanto produrrebbe l’effetto di riaprire un procedimento molto tempo dopo i fatti, cosicché sarebbe in ogni caso priva di qualunque effetto utile.

194    Per di più, la ricorrente afferma che la Commissione non ha indicato le ragioni che l’hanno indotta a ritenere opportuno imporle una nuova «decisione draconiana», mentre aveva rinunciato ad adottare una nuova decisione dopo l’annullamento della decisione 91/297. Eppure la Commissione avrebbe considerato come un tutt’uno le infrazioni che hanno dato origine alle decisioni 91/297, 91/298 e 91/299, le quali erano state elaborate in tale prospettiva. Per il Tribunale sarebbe quindi impossibile valutare i motivi che hanno indotto la Commissione ad adottare una nuova decisione di contenuto quasi identico a quello della decisione 91/298.

195    La Commissione contesta gli argomenti fatti valere dalla ricorrente.

–       Giudizio del Tribunale

196    Lamentando una violazione dei principi di imparzialità, di buona amministrazione e di proporzionalità, la ricorrente propone gli stessi argomenti già fatti valere riguardo, in particolare, al tempo trascorso e al diritto di accesso al fascicolo, argomenti che il Tribunale peraltro esamina.

197    L’unico elemento nuovo riguarda la mancanza di motivazione relativamente al fatto che la Commissione ha adottato una nuova decisione di contenuto quasi identico a quello della decisione 91/298. Orbene, a questo proposito va rilevato che la Commissione ha motivato la scelta di adottare nuovamente la decisione 91/298 ai punti 67‑78 della decisione impugnata, i quali si aggiungono alla decisione 91/298. Pertanto l’argomento dedotto dalla ricorrente è erroneo in fatto.

198    Di conseguenza, il settimo capo del secondo motivo dev’essere respinto.

199    Da quanto precede emerge che il secondo motivo va interamente respinto, fatto salvo l’esame del sesto capo, attinente alla violazione del diritto di accesso al fascicolo, che sarà effettuato in sede di esame del quarto motivo.

 Il terzo motivo: assenza di pregiudizio per il commercio tra Stati membri

 Argomenti delle parti

200    La ricorrente sostiene che la Commissione ha «mal motivato» la decisione impugnata in quanto, per tentar di dimostrare l’effetto sul commercio tra Stati membri, si limita a far riferimento ad una presunta politica generale della ricorrente finalizzata al controllo del mercato del carbonato di sodio nella Comunità e ad affermare che il presunto accordo tra la ricorrente e la CFK faceva parte di tale politica generale.

201    Secondo la ricorrente, questo riferimento ad una presunta politica generale richiama l’approccio della Commissione che, nei procedimenti «Carbonato di sodio», ha sempre considerato che le asserite infrazioni agli artt. 81 CE e 82 CE si rafforzassero a vicenda per dar vita ad una strategia globale finalizzata a compartimentare i mercati e a limitare la concorrenza.

202    Orbene, in primo luogo, la Commissione non sarebbe mai riuscita a dimostrare l’esistenza di un presunto «cartello europeo» fra tutti i produttori di carbonato di sodio.

203    In secondo luogo, i comportamenti denunciati dalla Commissione, anche a ritenerli abusivi, costituirebbero fatti isolati e privi di impatto significativo sulla concorrenza.

204    In terzo luogo, il presunto accordo di cui trattasi verterebbe su quantitativi minimi, dal momento che la Commissione parla di 11 000 tonnellate su due anni per un mercato di oltre un milione di tonnellate, ossia circa l’1% del consumo annuale sul mercato tedesco e circa il 4% della capacità complessiva di produzione della CFK. Inoltre, l’accordo in ipotesi riguarderebbe quantitativi di carbonato di sodio che la CFK non sarebbe stata in grado di piazzare sul mercato. Di conseguenza, tale presunto accordo non sarebbe in grado di causare un pregiudizio sensibile al commercio tra Stati membri.

205    In sede di replica, la ricorrente sottolinea che, sebbene essa non abbia dedotto un motivo specifico riguardo all’esistenza del presunto accordo che la Commissione l’accusa di aver stipulato con la CFK, non per questo essa riconosce l’esistenza di tale accordo.

206    La ricorrente inoltre rileva che i prezzi praticati in Germania erano più elevati che nel resto della Comunità. Pertanto, se la CFK avesse voluto vendere i suddetti quantitativi in altri Stati membri, sarebbe andata incontro ad una diminuzione delle entrate che non avrebbe avuto interesse ad aggravare ribassando ulteriormente i prezzi su tali mercati. In assenza del presunto accordo, la CFK avrebbe avuto interesse a vendere sul mercato tedesco i quantitativi non assorbiti dalla DSW.

207    La Commissione contesta gli argomenti dedotti dalla ricorrente.

 Giudizio del Tribunale

208    L’art. 81, n. 1, CE si applica solo agli accordi che possono pregiudicare il commercio tra Stati membri. Ai sensi di una giurisprudenza costante, un accordo tra imprese, per poter pregiudicare il commercio fra Stati membri, deve consentire di prevedere con sufficiente grado di probabilità, in base ad un insieme di elementi oggettivi di diritto o di fatto, che esso sia atto a incidere direttamente o indirettamente, effettivamente o potenzialmente, sui flussi commerciali fra Stati membri, in modo da poter nuocere alla realizzazione degli obiettivi di un mercato unico fra Stati (sentenza della Corte 11 luglio 1985, causa 42/84, Remia e a./Commissione, Racc. pag. 2545, punto 22, e sentenza del Tribunale 13 dicembre 2006, cause riunite T‑217/03 e T‑245/03, FNCBV e a./Commissione, Racc. pag. II‑4987, punto 63). Dunque, il pregiudizio per gli scambi intracomunitari deriva in generale dalla combinazione di diversi fattori che, considerati isolatamente, non sarebbero necessariamente determinanti (sentenze della Corte 15 dicembre 1994, causa C‑250/92, DLG, Racc. pag. I‑5641, punto 54, e 29 aprile 2004, causa C‑359/01 P, British Sugar/Commissione, Racc. pag. I‑4933, punto 27).

209    Poco importa, a questo riguardo, che l’influenza di un’intesa sugli scambi sia favorevole, sfavorevole o neutra. Infatti, una restrizione alla concorrenza può influire sul commercio tra Stati membri quando è idonea a sviare le correnti commerciali dall’orientamento che avrebbero altrimenti avuto (v., in tal senso, sentenza della Corte 29 ottobre 1980, cause riunite 209/78‑215/78 e 218/78, van Landewyck e a./Commissione, Racc. pag. 3125, punto 172).

210    Inoltre, l’idoneità di un’intesa a incidere sul commercio fra Stati membri, ossia il suo effetto potenziale, è sufficiente perché essa rientri nell’ambito di applicazione dell’art. 81 CE e non occorre dimostrare un pregiudizio effettivo agli scambi (sentenza della Corte 21 gennaio 1999, cause riunite C‑215/96 e C‑216/96, Bagnasco e a., Racc. pag. I‑135, punto 48, e sentenza del Tribunale 14 dicembre 2006, cause riunite da T‑259/02 a T‑264/02 e T‑271/02, Raiffeisen Zentralbank Österreich e a./Commissione, Racc. pag. II‑5169, punto 166). È tuttavia necessario che l’effetto potenziale dell’intesa sul commercio tra Stati sia sensibile o, in altri termini, che non sia poco significativo (sentenza della Corte 28 aprile 1998, causa C‑306/96, Javico, Racc. pag. I‑1983, punti 12 e 17, e sentenza CMA CGM e a./Commissione, cit. supra al punto 71, punto 207).

211    Aggiungasi che un’intesa che si estenda a tutto il territorio di uno Stato membro ha per sua stessa natura l’effetto di consolidare la compartimentazione nazionale, ostacolando così l’integrazione economica voluta dal Trattato CE (sentenze della Corte 17 ottobre 1972, causa 8/72, Vereeniging van Cementhandelaren/Commissione, Racc. pag. 977, punto 29, e 23 novembre 2006, causa C‑238/05, Asnef-Equifax e Administración del Estado, Racc. pag. I‑11125, punto 37).

212    Nel caso di specie, al punto 59 della decisione impugnata, per affermare che l’accordo in parola influiva sul commercio tra Stati membri la Commissione ha tenuto conto di tre elementi: in primo luogo, l’accordo «faceva parte [di una] politica generale di controllo del mercato comunitario del carbonato di sodio»; in secondo luogo, l’accordo «era inteso a ridurre la concorrenza in una parte sostanziale della CEE e a mantenere la rigidità della struttura del mercato e la sua compartimentazione lungo linee nazionali»; in terzo luogo, era «del tutto possibile [in mancanza di tale accordo] che il quantitativo ripreso da Solvay in base alla garanzia sarebbe stato altrimenti venduto da CFK su altri mercati CEE».

213    Anzitutto va rilevato che, nelle proprie memorie, la ricorrente non contesta i due ultimi elementi presi in considerazione dalla Commissione.

214    Occorre poi sottolineare che la ricorrente non fa valere alcun motivo diretto a contestare l’esistenza di un accordo tra essa e la CFK, in forza del quale, a termini dell’art. 1 della decisione impugnata, «[la ricorrente] garantiva a CFK un quantitativo minimo annuo di vendite di carbonato di sodio in Germania (...) e compensava CFK dell’eventuale differenza negativa acquistando da questa impresa i quantitativi necessari per portare il volume delle sue vendite al livello minimo garantito».

215    Orbene, un accordo di garanzia avente ad oggetto un quantitativo minimo annuo di vendite su un mercato nazionale, come quello in esame nella presente causa, è per definizione idoneo a sviare le correnti commerciali dall’orientamento che avrebbero altrimenti avuto. Esso infatti porta a ritirare dal mercato una parte della produzione di carbonato di sodio che avrebbe potuto essere esportata in altri Stati membri.

216    Di conseguenza, anche a ritenere fondato l’argomento della ricorrente attinente alla mancanza di una politica generale di controllo del mercato della soda, va rilevato che tale argomento non è atto a incidere sulla legittimità della decisione impugnata, in quanto la conclusione della Commissione nel senso di un pregiudizio per il commercio interstatale è dimostrata a sufficienza dal fatto che l’accordo in parola era idoneo a sviare le correnti commerciali dall’orientamento che avrebbero altrimenti avuto.

217    Secondo la ricorrente, inoltre, tenuto conto dell’esiguità dei quantitativi di cui trattasi, l’accordo non era idoneo a pregiudicare in misura significativa il commercio tra Stati membri.

218    Orbene, a termini del punto 43 della decisione impugnata, mentre nel 1986 e nel 1987 il mercato tedesco era di circa 1 080 000 tonnellate, la garanzia della CFK era stata fissata inizialmente, nel 1987, a 179 000 tonnellate ed era stata poi aumentata. Al riguardo, occorre far riferimento non all’importo che la ricorrente ha effettivamente acquistato dalla CFK ogni anno, bensì a quello che la ricorrente avrebbe potuto acquistare dalla CFK in attuazione dell’accordo, vale a dire inizialmente 179 000 tonnellate.

219    Come sottolineato giustamente dalla Commissione nel controricorso, questo importo di 179 000 tonnellate, pari al 16,57% del mercato tedesco nel 1987, non può essere considerato poco significativo.

220    Da quanto precede deriva che, nella decisione impugnata, la Commissione ha giustamente considerato l’intesa in parola come idonea a pregiudicare il commercio tra Stati membri.

221    Pertanto, occorre respingere il terzo motivo.

 Il quarto motivo: violazione del diritto di accesso al fascicolo

222    Il quarto motivo si articola, in sostanza, in due capi, vertenti rispettivamente sull’esistenza di documenti utili alla difesa tra i documenti del fascicolo consultati nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento e sulla mancata consultazione dell’intero fascicolo da parte della ricorrente.

223    In via preliminare, va ricordato che il rispetto dei diritti della difesa costituisce un principio fondamentale del diritto comunitario e dev’essere osservato in qualsiasi circostanza, specie nei procedimenti che possono dar luogo a sanzioni, compresi i procedimenti amministrativi. Esso esige che le imprese e le associazioni di imprese interessate siano messe in grado, sin dalla fase amministrativa, di far conoscere in modo efficace il proprio punto di vista sulla realtà e sulla rilevanza dei fatti, degli addebiti e delle circostanze allegati dalla Commissione (sentenza della Corte 23 maggio 1978, causa 102/77, Hoffmann-La Roche, Racc. pag. 1139, punto 11, e sentenza del Tribunale 27 settembre 2006, causa T‑314/01, Avebe/Commissione, Racc. pag. II‑3085, punto 49).

224    Quale corollario del principio del rispetto dei diritti della difesa, il diritto di accesso al fascicolo implica che la Commissione dia all’impresa interessata la possibilità di esaminare tutti i documenti contenuti nel fascicolo istruttorio che potrebbero essere rilevanti ai fini della sua difesa. Questi ultimi comprendono tanto i documenti a carico quanto quelli a discarico, fatti salvi i segreti commerciali di altre imprese, i documenti interni della Commissione e ogni altra informazione riservata (sentenze della Corte 7 gennaio 2004, cause riunite C‑204/00 P, causa C‑205/00 P, causa C‑211/00 P, causa C‑213/00 P, causa C‑217/00 P e C‑219/00 P, Aalborg Portland e a./Commissione, Racc. pag. I‑123, punto 68, e 18 giugno 2008, Hoechst/Commissione, cit. supra al punto 71, punto 145).

225    Per quanto riguarda i documenti a carico, all’impresa interessata spetta dimostrare che il risultato al quale è pervenuta la Commissione nella sua decisione sarebbe stato diverso se un documento non comunicato sul quale la Commissione si è basata per incriminare tale impresa avesse dovuto essere stralciato dai mezzi di prova a carico. Quanto ai documenti a discarico, l’impresa interessata deve provare che la loro mancata divulgazione ha potuto influenzare, a suo discapito, lo svolgimento del procedimento ed il contenuto della decisione della Commissione. È sufficiente che l’impresa dimostri che avrebbe potuto utilizzare detti documenti a discarico per la propria difesa, nel senso che, se essa avesse potuto servirsene, durante il procedimento amministrativo, avrebbe potuto far valere elementi che non concordavano con le deduzioni operate a quello stadio dalla Commissione e avrebbe potuto quindi influenzare, in qualche maniera, le valutazioni svolte da quest’ultima nell’eventuale decisione, almeno per quanto riguarda la gravità e la durata del comportamento contestatole e, di conseguenza, l’entità dell’ammenda. Il fatto che la mancata divulgazione di un documento possa aver influito sullo svolgimento del procedimento e sul contenuto della decisione della Commissione può essere accertato solo dopo un esame provvisorio di taluni mezzi di prova dal quale emerga che il documento non divulgato poteva avere, alla luce di tali mezzi di prova, un’importanza che non avrebbe dovuto essere trascurata (sentenza Aalborg Portland e a./Commissione, cit. supra al punto 224, punti 73‑76, e sentenza 18 giugno 2008, Hoechst/Commissione, cit. supra al punto 79, punto 146).

226    Infine, una violazione del diritto di accesso al fascicolo potrebbe comportare l’annullamento totale o parziale di una decisione della Commissione solo se l’accesso irregolare al fascicolo istruttorio durante il procedimento amministrativo avesse impedito all’impresa o alle imprese interessate di prendere conoscenza di documenti che avrebbero potuto essere utili alla loro difesa e avesse in tal modo violato i loro diritti della difesa. Ciò si verificherebbe qualora la divulgazione di un documento avesse avuto una possibilità anche minima di far giungere il procedimento amministrativo ad un risultato diverso nell’ipotesi in cui l’impresa interessata avesse potuto avvalersene nel corso del detto procedimento (v., in tal senso, sentenza Aalborg Portland e a./Commissione, cit. supra al punto 224, punti 73‑76).

227    È alla luce di tali considerazioni che occorre valutare se, nella presente causa, la Commissione abbia rispettato i diritti della difesa della ricorrente.

 Il primo capo: esistenza di documenti utili alla difesa tra i documenti del fascicolo consultati nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento

228    Come emerge dalla giurisprudenza citata ai punti precedenti, per quel che riguarda i documenti a discarico l’impresa interessata deve provare che la loro mancata divulgazione ha potuto influenzare, a suo discapito, lo svolgimento del procedimento ed il contenuto della decisione della Commissione.

229    Nel caso di specie, la ricorrente ha presentato le proprie osservazioni il 15 luglio 2005, dopo aver consultato taluni documenti del fascicolo.

–       Argomenti delle parti

230    La ricorrente sostiene che l’accesso ai suddetti documenti nel corso del procedimento amministrativo le avrebbe permesso di proporre argomenti utili alla sua difesa riguardo all’assenza di pregiudizio per il commercio tra Stati membri.

231    Da un lato, essa afferma che i documenti contenuti nel fascicolo istruttorio cui non ha avuto accesso durante il procedimento amministrativo le avrebbero permesso di dimostrare che essa non aveva prestabilito alcuna strategia commerciale di controllo del mercato e che, nel corso del medesimo periodo, la CFK forniva carbonato di sodio ad altri concorrenti. In particolare, da una nota interna della CFK emergerebbe che, nel 1988, quest’ultima le aveva fornito 2 544 tonnellate di carbonato di sodio a seguito di difficoltà di produzione che essa doveva affrontare nei suoi stabilimenti dell’Europa del sud. Inoltre, altri documenti figuranti nel fascicolo istruttorio cui la ricorrente non ha avuto accesso durante il procedimento amministrativo dimostrerebbero che tutti i produttori di carbonato di sodio si rifornivano regolarmente tra di loro.

232    Dall’altro, la ricorrente sostiene che i documenti del fascicolo cui non ha avuto accesso durante il procedimento amministrativo proverebbero che, durante gli anni in cui la CFK ha effettuato le forniture controverse, la tipologia e il volume delle sue esportazioni verso gli altri Stati della Comunità sono rimasti invariati. Di conseguenza, le forniture alla ricorrente non avrebbero avuto alcun effetto sui flussi di scambio intracomunitari.

233    La Commissione contesta gli argomenti dedotti dalla ricorrente.

–       Giudizio del Tribunale

234    In primo luogo, va ricordato che l’elemento preso in considerazione dalla Commissione nella decisione impugnata, secondo cui l’accordo in parola faceva parte di una politica generale diretta al controllo del mercato della soda nella Comunità, è irrilevante per la legittimità della decisione impugnata (v. supra, punto 216). Pertanto i documenti invocati dalla ricorrente dopo la consultazione del fascicolo, anche qualora permettessero di dimostrare l’assenza di una strategia commerciale da parte sua finalizzata al controllo del mercato, non potrebbero comportare l’annullamento della decisione impugnata.

235    In ogni caso la ricorrente, che era il primo produttore di carbonato di sodio nella Comunità all’epoca dei fatti controversi, non poteva non disporre delle informazioni necessarie per far valere a ragion veduta nel 1990 che i produttori di carbonato di sodio si rifornivano regolarmente tra di loro. In particolare, la ricorrente cita diversi documenti che dimostrano come fossero intercorse vendite di carbonato di sodio tra essa e i suoi concorrenti, cosa che evidentemente essa non poteva ignorare.

236    Inoltre, l’argomento secondo cui le forniture alla ricorrente non avrebbero avuto alcun effetto sui flussi di scambio intracomunitari non è idoneo a rimettere in causa la conclusione della Commissione riguardo al pregiudizio al commercio tra Stati membri. Infatti, come indicato dalla Commissione al punto 58 della decisione impugnata, l’obiettivo dell’accordo era di creare condizioni di stabilità artificiale del mercato, affermazione non contestata dalla ricorrente. Orbene, dato che l’accordo era diretto a mantenere la struttura esistente del mercato del carbonato di sodio, ne deriva logicamente che le esportazioni della CFK nella Comunità dovevano rimanere stabili. Di conseguenza, l’argomento della ricorrente non rimette affatto in discussione le considerazioni della Commissione quanto al pregiudizio al commercio tra Stati membri, anzi è tale piuttosto da suffragarle.

237    La ricorrente dunque non ha dimostrato che la divulgazione dei documenti non comunicati avrebbe avuto una possibilità anche minima di far giungere il procedimento amministrativo a un risultato diverso se essa avesse potuto avvalersene durante tale procedimento, così come richiede la giurisprudenza (v., in tal senso, sentenza Aalborg Portland e a./Commissione, cit. supra al punto 224, punti 73‑76).

238    Pertanto, dall’esame dei documenti fatti valere dalla ricorrente dopo l’accesso al fascicolo, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento, emerge che la Commissione non ha violato i diritti della difesa della ricorrente. Di conseguenza, il primo capo del quarto motivo invocato dalla ricorrente dev’essere respinto.

 Il secondo capo: mancata consultazione dell’intero fascicolo da parte della ricorrente

–       Argomenti delle parti

239    Nell’atto introduttivo la ricorrente sostiene di non essere mai riuscita ad ottenere un indice completo del fascicolo della Commissione. Inoltre, durante il procedimento amministrativo preliminare all’adozione della decisione 91/298 la Commissione si sarebbe limitata a consentirle di accedere ai documenti a carico, allegati alla comunicazione degli addebiti. Di conseguenza, stando alla descrizione del fascicolo che emerge dalla sentenza Solvay I, cit. supra al punto 17, la ricorrente si sarebbe vista negare l’accesso ad un insieme di «sottofascicoli» che riguardavano i suoi concorrenti (Rhône‑Poulenc, CFK, Matthes & Weber, Akzo e ICI), nonché a una decina di fascicoli che contenevano le risposte alle richieste di informazioni formulate ai sensi dell’art. 11 del regolamento n. 17, nella versione applicabile all’epoca dei fatti, in particolare quelle rivolte dalla Commissione a taluni dei suoi clienti. La ricorrente non avrebbe quindi avuto la possibilità di verificare se tali fascicoli contenessero elementi utili alla sua difesa, specie per quel che riguarda la situazione della concorrenza sul mercato tedesco, il contesto del presunto accordo e i suoi effetti sulla concorrenza e sul commercio tra Stati membri. Il deterioramento delle prove dovuto al tempo trascorso dopo i fatti addebitati avrebbe reso ancor più importante il suddetto accesso al fascicolo.

240    Nelle osservazioni presentate il 15 luglio 2005, dopo la consultazione del fascicolo presso la cancelleria del Tribunale, la ricorrente sostiene di non poter indicare in che misura i documenti mancanti nel fascicolo sarebbero stati utili alla sua difesa. Al riguardo essa sottolinea che, da un lato, la Commissione ha espressamente ammesso di aver perduto cinque raccoglitori e, dall’altro, che la stessa non può garantire la completezza dei raccoglitori ancora in suo possesso, mancando una numerazione continua dei documenti e un loro elenco. La ricorrente ne deduce che la decisione impugnata dev’essere annullata interamente, non essendo il Tribunale in grado di controllarne la legittimità.

241    La Commissione contesta gli argomenti fatti valere dalla ricorrente.

–       Giudizio del Tribunale

242    In via preliminare, occorre sottolineare che durante il procedimento amministrativo preliminare all’adozione della decisione 91/298 la Commissione non ha stilato un elenco dei documenti che componevano il fascicolo ed ha comunicato alla ricorrente solo i documenti a carico, allegati alla comunicazione degli addebiti.

243    In proposito, la Commissione in udienza ha sostenuto che, in talune cause, la prassi era consistita nell’inviare alle imprese interessate una comunicazione degli addebiti corredata soltanto di alcuni documenti, a causa della mole del fascicolo, invitando poi le imprese a presentarsi a consultare nei suoi propri locali tutti i documenti accessibili con l’ausilio di un elenco. Tuttavia, nell’ambito del procedimento che ha dato origine alla decisione 91/298, il relatore avrebbe deciso, secondo la Commissione, di «semplificare la procedura», considerando che, siccome tutti i documenti invocati erano stati trasmessi con la comunicazione degli addebiti, una consultazione fosse inutile e che, di conseguenza, non vi fosse bisogno di un elenco.

244    Orbene, va ricordato che alle pagg. 40 e 41 della XII Relazione sulla politica di concorrenza, per quel che riguarda l’accesso al fascicolo, la Commissione ha stabilito le seguenti regole:

«[La Commissione] dà alle imprese implicate in una procedura la facoltà di prendere visione dei fascicoli che le riguardano. Le imprese vengono informate del contenuto del fascicolo della Commissione con l’invio, contemporaneamente alla comunicazione degli addebiti o alla lettera di rigetto della denuncia, di un elenco di tutti i documenti che compongono il fascicolo, con l’indicazione dei documenti o di loro parti che sono accessibili alle imprese. Le imprese sono invitate ad esaminare in loco i documenti accessibili. Se un’impresa desidera esaminare soltanto alcuni documenti, la Commissione potrà inviarle una copia degli stessi. La Commissione considera come riservati e pertanto inaccessibili ad un’impresa determinata i seguenti documenti: i documenti, o loro parti, contenenti segreti professionali di altre imprese; i documenti interni della Commissione, come le note, i progetti o altri documenti di lavoro; ogni altra informazione riservata, come quelle che consentono di identificare i denuncianti che desiderino restare nell’anonimato, nonché le informazioni comunicate alla Commissione alla condizione che ne venga rispettata la riservatezza».

245    Da tali regole discende che, nel corso del procedimento amministrativo preliminare all’adozione della decisione 91/298, la Commissione aveva l’obbligo di rendere accessibile alla ricorrente tutta la documentazione a carico e a favore da essa raccolta nel corso dell’indagine, fatti salvi i segreti aziendali di altre imprese, i documenti interni della Commissione medesima e ogni altra informazione riservata (v., in tal senso, sentenze del Tribunale 17 dicembre 1991, causa T‑7/89, Hercules Chemicals/Commissione, Racc. pag. II‑1711, punti 51‑54, e 18 dicembre 1992, cause riunite da T‑10/92 a T‑12/92 e T‑15/92, Cimenteries CBR e a./Commissione, Racc. pag. II‑2667, punti 39‑41).

246    Di conseguenza, occorre constatare che nell’ambito del procedimento terminato con l’adozione della decisione 91/298 la Commissione si è discostata dalle regole che si era imposta nel 1982, poiché non ha redatto un elenco dei documenti che componevano il fascicolo e non ha permesso alla ricorrente di accedere all’insieme dei documenti ivi contenuti.

247    Occorre inoltre osservare che, avendo il Tribunale annullato la decisione 91/298 per difetto di autenticazione, la Commissione ha ritenuto di essere legittimata ad adottare la decisione impugnata senza riaprire il procedimento amministrativo.

248    Va pertanto dichiarato che, prima dell’adozione della decisione impugnata, la Commissione ha omesso di comunicare alla ricorrente tutti i documenti del fascicolo ad essa accessibili e non l’ha invitata a consultare in loco i documenti stessi. Di conseguenza, il procedimento amministrativo sotto questo profilo era irregolare.

249    Tuttavia, da una giurisprudenza consolidata emerge che i diritti della difesa risultano violati a causa di una irregolarità procedurale solo se questa incide concretamente sulla possibilità per le imprese accusate di difendersi (sentenze del Tribunale 8 luglio 2004, causa T‑44/00, Mannesmannröhren-Werke/Commissione, Racc. pag. II‑2223, punto 55, e 14 dicembre 2005, causa T‑210/01, General Electric/Commissione, Racc. pag. II‑5575, punto 632).

250    Alla luce di ciò, nell’ambito del ricorso giurisdizionale proposto contro la decisione impugnata, il Tribunale ha ordinato misure di organizzazione del procedimento volte a garantire un accesso completo al fascicolo, per valutare se il rifiuto della Commissione di divulgare un documento o di comunicare un elemento abbia potuto nuocere alla difesa della ricorrente (v., in tal senso, sentenza Aalborg Portland e a./Commissione, cit. supra al punto 224, punto 102).

251    Al riguardo occorre ricordare che, limitandosi ad un controllo giurisdizionale dei motivi sollevati, tale esame non ha né per oggetto né per effetto di sostituire un’istruzione completa della pratica nell’ambito di un procedimento amministrativo. La conoscenza tardiva di taluni documenti del fascicolo non ricolloca l’impresa che ha proposto un ricorso nei confronti di una decisione della Commissione nella situazione in cui si sarebbe trovata se essa avesse potuto basarsi sugli stessi documenti per presentare le proprie osservazioni scritte ed orali dinanzi a tale istituzione (v. sentenza Aalborg Portland e a./Commissione, cit. supra al punto 224, punto 103 e la giurisprudenza ivi citata). Inoltre, qualora l’accesso al fascicolo sia stato reso possibile nella fase del procedimento giurisdizionale, l’impresa interessata non deve dimostrare che, se avesse avuto accesso ai documenti non forniti, la decisione della Commissione avrebbe avuto un contenuto differente, ma soltanto che detti documenti avrebbero potuto esserle utili per difendersi (sentenza della Corte 2 ottobre 2003, causa C‑199/99 P, Corus UK/Commissione, Racc. pag. I‑11177, punto 128, e sentenza PVC II della Corte, cit. supra al punto 38, punto 318).

252    Nel caso di specie, su richiesta del Tribunale, la Commissione ha prodotto la comunicazione degli addebiti e i documenti allegati. Essa ha poi costituito un indice dei documenti figuranti nel fascicolo, come attualmente composto.

253    Orbene, a tal riguardo, in primo luogo, occorre rilevare che vi è incertezza riguardo all’esatto contenuto del fascicolo così come inizialmente composto. Vero è, infatti, che la Commissione ha indicato che, nella sua composizione attuale, il fascicolo è una copia del fascicolo iniziale, formato da «sottofascicoli» numerati da 1 a 71. Al tempo stesso, però, la Commissione ha comunicato al Tribunale l’esistenza di un «sottofascicolo» privo di numero, denominato «Oberland Glas».

254    In secondo luogo, va osservato che la Commissione ha riconosciuto espressamente di aver perduto i cinque «sottofascicoli» nn. 66‑70. Infatti, dalla sua lettera del 15 marzo 2005 emerge che essa è giunta a tale conclusione constatando di essere in possesso dei «sottofascicoli» nn. 1‑65 e che il «sottofascicolo» n. 71 conteneva la comunicazione degli addebiti.

255    Nelle osservazioni del 18 novembre 2005 la Commissione ha affermato che era «poco verosimile che i fascicoli introvabili conten[essero] documenti a discarico». Invitata a precisare in udienza il senso di tale frase, essa ha spiegato che era «plausibile» che i detti «sottofascicoli» non contenessero documenti a discarico e che, sotto un profilo «statistico», non potessero essere utili alla difesa della ricorrente.

256    Da tali risposte emerge che la Commissione non è in grado di individuare in modo certo l’autore, la natura e il contenuto di ognuno dei documenti che compongono i «sottofascicoli» nn. 66‑70.

257    Occorre pertanto verificare se la ricorrente abbia avuto la possibilità di procedere ad un esame di tutti i documenti figuranti nel fascicolo istruttorio che potevano essere rilevanti per la sua difesa e, nell’ipotesi che ciò non sia avvenuto, se la violazione del diritto di accesso al fascicolo sia di importanza tale da aver privato di sostanza questa garanzia procedurale. Infatti, secondo la giurisprudenza, l’accesso al fascicolo appartiene alle garanzie procedurali dirette a tutelare i diritti della difesa (sentenza Solvay I, cit. supra al punto 17, punto 59) e la violazione del diritto di accesso al fascicolo della Commissione nel corso del procedimento preliminare all’adozione della decisione può, in linea di principio, comportare l’annullamento di tale decisione quando siano stati lesi i diritti della difesa dell’impresa interessata (sentenza Corus UK/Commissione, cit. supra al punto 251, punto 127).

258    Al riguardo, occorre esaminare se i diritti della difesa della ricorrente contro le accuse mosse nei suoi confronti nella comunicazione degli addebiti e nella decisione impugnata siano stati pregiudicati.

259    Secondo la giurisprudenza, una violazione dei diritti della difesa dev’essere esaminata in relazione alle peculiarità del caso di specie, in quanto è sostanzialmente legata agli addebiti di cui la Commissione ha tenuto conto per dimostrare l’infrazione contestata all’impresa interessata (sentenza Aalborg Portland e a./Commissione, cit. supra al punto 224, punto 127). Si deve dunque procedere ad un esame sommario degli addebiti di merito formulati dalla Commissione nella comunicazione degli addebiti e nella decisione impugnata (sentenza Solvay I, cit. supra al punto 17, punto 60).

260    È altresì necessario esaminare l’esistenza di una violazione dei diritti della difesa tenendo conto degli argomenti in concreto invocati dall’impresa interessata contro la decisione impugnata (v., in tal senso, sentenza ICI II, cit. supra al punto 17, punto 59).

261    Orbene, nel caso di specie, il Tribunale ha preso in esame l’argomentazione della ricorrente e le censure di merito formulate nella decisione impugnata ed ha concluso che il motivo invocato dalla ricorrente doveva essere respinto.

262    Dal momento che la ricorrente non ha sollevato nell’atto introduttivo alcun argomento volto a contestare l’esistenza dell’accordo indicato dalla Commissione nella decisione impugnata, non esistono indizi che facciano presumere che essa avrebbe potuto scoprire nei sottofascicoli mancanti documenti che le avrebbero permesso di rimettere in discussione gli accertamenti compiuti dalla Commissione. Inoltre, se la ricorrente non avesse stipulato l’accordo indicato nella decisione impugnata, avrebbe potuto far valere tale circostanza nel ricorso anche in mancanza di un accesso completo al fascicolo. Infine, per quanto riguarda l’argomento della ricorrente relativo all’assenza di una politica generale di controllo del mercato della soda, va ricordato, come indicato supra al punto 215, che un accordo di garanzia come quello di cui trattasi è per definizione idoneo a sviare i flussi commerciali dall’orientamento che altrimenti avrebbero avuto.

263    Si deve pertanto concludere che non è stato dimostrato che la ricorrente non abbia avuto la possibilità di procedere ad un esame di tutti i documenti del fascicolo istruttorio che potevano essere rilevanti per la sua difesa. Infatti, benché la ricorrente non abbia avuto accesso a tutti i documenti del fascicolo istruttorio, questa circostanza non le ha impedito nel caso di specie di svolgere la propria difesa contro le censure di merito che la Commissione ha formulato nella comunicazione degli addebiti e nella decisione impugnata.

264    Di conseguenza, nelle circostanze di specie, non vi è motivo di annullare la decisione impugnata perché dal fascicolo sono scomparsi cinque «sottofascicoli» ai quali la ricorrente non ha mai avuto accesso. Pertanto, occorre respingere il secondo capo del quarto motivo e, quindi, il quarto motivo nel suo insieme.

 2. Le conclusioni dirette all’annullamento o alla riduzione dell’ammenda

265    Le conclusioni della ricorrente dirette all’annullamento o alla riduzione dell’ammenda si articolano, in sostanza, in cinque motivi: erronea valutazione della gravità dell’infrazione, erronea valutazione della durata dell’infrazione, erronea considerazione, da parte della Commissione, di talune circostanze aggravanti, esistenza di circostanze attenuanti e carattere sproporzionato dell’ammenda, in particolare con riferimento al tempo trascorso.

 Il primo motivo: erronea valutazione della gravità dell’infrazione


 Argomenti delle parti

266    La ricorrente sostiene che la Commissione è tenuta a rispettare gli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2 del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5 del trattato CECA (GU 1998, C 9, pag. 3; in prosieguo: gli «orientamenti per il calcolo delle ammende»). Tuttavia, dato che il caso di specie verte su fatti anteriori alla loro adozione, in linea di principio la Commissione non sarebbe stata obbligata a prenderli in considerazione, salvo che in due casi: da un lato, quando i suddetti orientamenti riprendano i principi stabiliti dalla prassi della Commissione e, dall’altro, quando introducano un ammorbidimento della politica della Commissione riguardo alla fissazione dell’importo dell’ammenda.

267    Per quanto riguarda la gravità dell’infrazione, la Commissione non spiegherebbe in che misura il presunto accordo consista in un accordo di ripartizione del mercato, qualificazione che compare per la prima e unica volta al punto 62 della decisione impugnata. Inoltre, la Commissione non avrebbe tenuto conto dell’esiguità dei quantitativi oggetto del presunto accordo. Infine, la Commissione non avrebbe né motivato né dimostrato che l’accordo in parola era stato applicato nella massima segretezza.

268    La Commissione contesta gli argomenti dedotti dalla ricorrente.

 Giudizio del Tribunale

269    In via preliminare va ricordato che, se è vero che la Commissione dispone di un potere discrezionale nel fissare l’importo delle ammende, senza essere tenuta ad applicare una formula matematica precisa, è altresì vero che il Tribunale, in forza dell’art. 17 del regolamento n. 17, si pronuncia con competenza giurisdizionale anche nel merito, ai sensi dell’art. 229 CE, sui ricorsi presentati contro le decisioni con cui la Commissione stabilisce un’ammenda e può, di conseguenza, sopprimere, ridurre o aumentare l’ammenda inflitta (sentenze del Tribunale 29 aprile 2004, cause riunite T‑236/01, T‑239/01, da T‑244/01 a T‑246/01, T‑251/01 e T‑252/01, Tokai Carbon e a./Commissione, Racc. pag. II‑1181, punto 165, e FNCBV e a./Commissione, cit. supra al punto 208, punto 358).

270    In primo luogo, per quanto riguarda l’applicazione degli orientamenti per il calcolo delle ammende, va ricordato che, essendo stata annullata la decisione 91/298 a causa di un vizio procedurale, la Commissione aveva diritto di adottare una nuova decisione senza che venisse avviato un nuovo procedimento amministrativo.

271    Dal momento che il contenuto della decisione impugnata è quasi identico a quello della decisione 91/298 e che entrambe le decisioni sono fondate sugli stessi motivi, la decisione impugnata soggiace, per quanto riguarda la fissazione dell’importo dell’ammenda, alle regole in vigore al momento in cui è stata adottata la decisione 91/298.

272    Infatti, la Commissione ha ripreso il procedimento a partire dalla fase in cui è stato commesso l’errore procedurale e ha adottato una nuova decisione senza effettuare una nuova valutazione del caso alla luce di regole che non esistevano all’epoca dell’adozione della decisione 91/298. Orbene, l’adozione ex novo di una decisione esclude a priori l’applicazione degli orientamenti successivi alla prima adozione.

273    Di conseguenza, gli orientamenti per il calcolo delle ammende non sono applicabili nel caso di specie.

274    In secondo luogo, va rilevato che la Commissione ha considerato che l’infrazione di cui la ricorrente è accusata, ossia l’accordo concluso con la CFK, era stata «di particolare gravità» (punto 62 della decisione impugnata).

275    A questo proposito occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza, l’importo dell’ammenda va graduato in relazione alle circostanze della trasgressione ed alla gravità dell’infrazione e che la valutazione della gravità dell’infrazione, ai fini della determinazione dell’importo dell’ammenda, deve tener conto, in particolare, della natura delle restrizioni imposte alla concorrenza (v. sentenza del Tribunale 23 febbraio 1994, cause riunite T‑39/92 e T‑40/92, CB e Europay/Commissione, Racc. pag. II‑49, punto 143 e la giurisprudenza ivi citata).

276    Nel caso di specie, va considerato che le pratiche contestate alla ricorrente giustificavano quanto meno la qualificazione di «particolare gravità» accolta dalla Commissione.

277    In effetti, l’accordo in parola era diretto a restringere la concorrenza sul mercato tedesco garantendo l’acquisto di un certo quantitativo di carbonato di sodio alla CFK al fine di mantenere il livello dei prezzi.

278    Al punto 58 della decisione impugnata, il cui contenuto non viene contestato dalla ricorrente, lo scopo dell’accordo di cui trattasi è presentato nel modo seguente:

«L’obiettivo era chiaramente quello di creare condizioni di stabilità artificiale del mercato. Per tornare ad un comportamento in materia di determinazione dei prezzi che non fosse considerato da Solvay turbativo, a CFK fu garantita una quota minima del mercato tedesco. Eliminando dal mercato il tonnellaggio che CFK non poteva vendere, Solvay garantiva che la concorrenza non avrebbe fatto scendere i livelli di prezzo. Dagli elementi di prova risulta che gli accordi sono stati messi in pratica e hanno prodotto gli effetti desiderati. Accordi di questo tipo, assimilabili ad una forma classica d’intesa, restringono per la loro stessa natura la concorrenza ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 1 [, CE]».

279    Pertanto, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, si tratta di un accordo di ripartizione del mercato, nel senso che le imprese interessate si sono accordate per regolare l’immissione sul mercato della produzione della CFK nel territorio tedesco.

280    Orbene, le intese di questo tipo rientrano tra gli esempi di intese espressamente dichiarate incompatibili con il mercato comune dall’art. 81, n. 1, lett. c), CE. Esse sono infatti qualificate dalla giurisprudenza come restrizioni manifeste della concorrenza (v., in tal senso, sentenze del Tribunale 15 settembre 1998, cause riunite T‑374/94, causa T‑375/94, causa T‑384/94 e T‑388/94, European Night Services e a./Commissione, Racc. pag. II‑3141, punto 136, e 27 luglio 2005, cause riunite da T‑49/02 a T‑51/02, Brasserie nationale e a./Commissione, Racc. pag. II‑3033, punto 173).

281    In terzo luogo, quanto all’argomento attinente all’esiguità dei quantitativi oggetto dell’accordo, basta ricordare che tale argomento è stato già preso in esame ed è stato respinto (v. supra, punti 218 e 219).

282    In quarto luogo, per quel che riguarda l’argomento relativo alla mancanza di segretezza nell’attuazione dell’accordo, va rilevato che al punto 47 della decisione impugnata è indicato quanto segue:

«Il 14 marzo 1989 si svolse una riunione cui parteciparono, da un lato, i massimi dirigenti di CFK e della società madre Kali & Salz e, dall’altro lato, i dirigenti di DSW. È significativo che non siano stati fatti resoconti o verbali ufficiali di quella riunione e che non ne esista traccia presso CFK né presso Kali & Salz. (…) una breve nota manoscritta [è stata] trovata presso DSW (…)».

283    Nell’atto introduttivo la ricorrente afferma in sostanza che la Commissione non ha «né motivato né dimostrato» che l’accordo in parola era stato attuato in condizioni di massima segretezza. La Commissione, da parte sua, invoca la mancanza di un resoconto ufficiale, anche se una nota manoscritta è stata trovata presso la DSW.

284    Ebbene, il semplice fatto che non vi sia un resoconto ufficiale non permette di considerare che l’accordo sia stato attuato in condizioni di estrema segretezza, tanto più che, come ammesso dalla Commissione, una nota interna riguardante tale riunione era stata redatta dalla controllata tedesca della ricorrente.

285    Di conseguenza, la Commissione non poteva invocare un carattere segreto dell’accordo in parola nel valutare la gravità dell’infrazione.

286    Tuttavia, considerato il fatto che l’accordo di cui trattasi costituisce una lampante restrizione della concorrenza, la Commissione poteva comunque qualificare come grave l’infrazione commessa dalla ricorrente.

287    Di conseguenza, il primo motivo dev’essere respinto.

 Il secondo motivo: valutazione erronea della durata dell’infrazione

 Argomenti delle parti

288    Secondo la ricorrente, la Commissione non ha affatto dimostrato che sia stata data una qualunque garanzia di smercio di quantitativi minimi per il 1990. Pertanto, anche nell’ipotesi in cui l’infrazione fosse dimostrata, la sua durata avrebbe dovuto essere ridotta almeno di un quarto.

289    La Commissione ribatte che la comunicazione degli addebiti inviata alla ricorrente e alla CFK il 14 marzo 1990 indicava che l’infrazione era continuata «sino ad [allora]». Essa avrebbe così offerto alle imprese interessate l’occasione di far conoscere il loro punto di vista sulla durata dell’infrazione. Orbene, nelle risposte date alla comunicazione degli addebiti la ricorrente e la CFK si sarebbero limitate a negare in blocco l’esistenza dell’accordo, senza prendere posizione sul problema della sua durata, e non le avrebbero fornito elementi che la inducessero a pensare che l’infrazione era cessata.

290    La Commissione sostiene che, tenuto conto dell’assurdità degli argomenti fatti valere dalla ricorrente e dalla CFK nelle risposte alle accuse, essa sarebbe stata dunque legittimata a concludere che l’accordo era continuato nel corso del 1990. A questo proposito la Commissione si richiama alle conclusioni presentate dall’avvocato generale Sir Gordon Slynn relativamente alla sentenza della Corte 7 giugno 1983, cause riunite 100/80‑103/80, Musique Diffusion française e a./Commissione (Racc. pag. 1825, in particolare pag. 1914), secondo le quali, a partire dal momento in cui è dimostrata l’esistenza di un’intesa, si presume che questa continui fino a prova contraria. Nel caso di specie, la Commissione sostiene di essersi basata su circostanze particolari che non riguardano la natura stessa dell’accordo, bensì le spiegazioni date dalle imprese in questione riguardo all’esistenza dell’accordo.

291    Infine, a detta della Commissione la ricorrente si limita ad affermare che essa non avrebbe dimostrato che era stata accordata una garanzia di volume nel 1990, senza indicare quando l’accordo sarebbe cessato. Essa fa rilevare che nel 1989 una tale garanzia era stata concessa e che il volume era aumentato nell’ambito di una politica strutturale e non di consegne puntuali.

 Giudizio del Tribunale

292    In via preliminare, va rilevato che la ricorrente contesta la data di fine dell’infrazione, ma non ne mette in discussione la data di inizio, che il dispositivo della decisione impugnata fissa al «1987 circa».

293    Secondo la giurisprudenza del Tribunale, per calcolare la durata di un’infrazione che abbia un oggetto restrittivo della concorrenza, si deve solo determinare il periodo durante il quale tale accordo è esistito, cioè il periodo trascorso tra la data della sua conclusione e quella in cui l’accordo è venuto meno (sentenza CMA CGM e a./Commissione, cit. supra al punto 71, punto 280).

294    La durata dell’infrazione è un elemento costitutivo della nozione di infrazione ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE; l’onere della prova di tale elemento incombe in via principale alla Commissione. A questo proposito la giurisprudenza esige che, in mancanza di elementi di prova atti a dimostrare direttamente la durata di un’infrazione, la Commissione si fondi quantomeno su elementi di prova che si riferiscano a fatti sufficientemente ravvicinati nel tempo, in modo tale che si possa ragionevolmente ammettere che l’infrazione è durata ininterrottamente entro due date precise (sentenze del Tribunale 7 luglio 1994, causa T‑43/92, Dunlop Slazenger/Commissione, Racc. pag. II‑441, punto 79, e 16 novembre 2006, causa T‑120/04, Peróxidos Orgánicos/Commissione, Racc. pag. II‑4441, punto 51).

295    Tale ripartizione dell’onere della prova è però suscettibile di variazione, in quanto gli elementi di fatto che una parte fa valere possono essere tali da obbligare l’altra parte a fornire una spiegazione o una giustificazione, in mancanza della quale è lecito ritenere che l’onere della prova sia stato soddisfatto (sentenza Peróxidos Orgánicos/Commissione, cit. supra al punto 294, punto 53; v. anche, in questo senso, sentenza Aalborg Portland e a./Commissione, cit. supra al punto 224, punto 79).

296    Nel caso di specie, all’art. 1 della decisione impugnata la Commissione ha affermato che la ricorrente aveva violato l’art. 81 CE «partecipando, dal 1987 circa fino almeno alla fine del 1990, ad un accordo di ripartizione del mercato». Inoltre, al punto 60 della stessa decisione, essa si riferisce al periodo compreso «dal 1986 circa fino alla fine del 1990».

297    Per contro, al punto 2 della decisione impugnata, la Commissione ha osservato che «[d]a una data sconosciuta nel periodo che inizia attorno al 1987 e si protrae almeno fino al 1989 Solvay e CFK hanno preso parte ad un accordo e/o a pratiche concordate contrarie all’articolo 81 [CE], mediante le quali, per ciascuno degli anni 1987, 1988 e 1989, Solvay ha garantito a CFK un quantitativo minimo di vendite».

298    Si deve pertanto constatare che la decisione impugnata contiene elementi contraddittori in merito alla fine dell’infrazione.

299    Inoltre, la parte della decisione impugnata riguardante l’accordo di garanzia (punti 42‑48) menziona dati numerici solo fino al 1989 e l’anno 1990 non viene citato nella parte relativa alla durata dell’infrazione (punti 63‑66).

300    La Commissione, riferendosi alle conclusioni dell’avvocato generale Sir Gordon Slynn relative alla sentenza Musique Diffusion française e a./Commissione, cit. supra al punto 290, sostiene che, una volta accertata l’esistenza di un’infrazione, vi è una presunzione riguardo alla sua durata e che, nel caso di specie, spettava alla ricorrente dimostrare che l’accordo non era più applicato nel 1990.

301    Occorre tuttavia sottolineare, come poc’anzi rilevato, che la considerazione della Commissione secondo cui l’accordo in parola era proseguito sino alla fine del 1990 compare unicamente nel dispositivo e al punto 60 della decisione impugnata, che contiene le conclusioni della Commissione in merito all’esistenza di una violazione dell’art. 81 CE, senza trovare il minimo fondamento né nei punti della motivazione relativi alla qualificazione dell’accordo (punti 53‑59 della decisione impugnata) né in quelli riguardanti la durata dello stesso (punti 63‑66 della decisione impugnata). Di conseguenza, e tenuto conto della contraddittorietà della motivazione della decisione impugnata in merito alla fine dell’infrazione, la presunzione invocata dalla Commissione non trova applicazione nel caso di specie, anche se la ricorrente non ha dedotto alcun elemento che indichi che l’intesa era cessata alla fine del 1989.

302    Infatti, anche supponendo che si possano presentare circostanze particolari in cui si potrebbe procedere ad un’inversione dell’onere della prova in merito alla durata di un’infrazione (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 15 marzo 2000, cause riunite T‑25/95, T‑26/95, da T‑30/95 a T‑32/95, da T‑34/95 a T‑39/95, da T‑42/95 a T‑46/95, T‑48/95, da T‑50/95 a T‑65/95, da T‑68/95 a T‑71/95, T‑87/95, T‑88/95, T‑103/95 e T‑104/95, Cimenteries CBR e a./Commissione, Racc. pag. II‑491, punti 2801‑2804), non se ne può dedurre che la Commissione, in una decisione che accerta una violazione dell’art. 81, n. 1, CE, possa rinunciare a indicare in modo circostanziato la fine della durata dell’infrazione e a fornire le informazioni sulla durata dell’infrazione eventualmente in suo possesso.

303    Da quanto precede emerge che la Commissione, alla quale incombeva in via principale l’onere della prova, non ha dimostrato che l’infrazione in parola era durata sino alla fine del 1990.

304    Pertanto, occorre considerare che l’infrazione di cui trattasi si è svolta dal 1987 al 1989 e non dal 1987 al 1990. Di conseguenza, l’art. 1 della decisione impugnata dev’essere annullato nella parte in cui dichiara che la ricorrente ha violato l’art. 81 CE partecipando ad un accordo di ripartizione del mercato dal 1987 circa fino almeno alla fine del 1990.

305    Occorre quindi riformare la decisione impugnata riducendo del 25% l’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente.

306    Pertanto, l’importo dell’ammenda dev’essere ridotto di EUR 750 000.

 Il terzo motivo: erronea considerazione di circostanze aggravanti da parte della Commissione

 Argomenti delle parti

307    Secondo la ricorrente, la Commissione non avrebbe né motivato né giustificato la qualificazione della sua posizione sul mercato rilevante come posizione dominante, cosicché tale qualificazione andrebbe disattesa.

308    Inoltre, la decisione impugnata non dimostrerebbe che la presunta infrazione sia stata commessa consapevolmente.

309    La Commissione sostiene che, ai punti 18 e 22, la decisione impugnata menziona il fatto che la ricorrente deteneva una posizione dominante, essendo il primo produttore in Germania e nella Comunità, con una quota di mercato pari, rispettivamente, al 52% e al 60%. Secondo la Commissione, tale motivazione dev’essere valutata alla luce della decisione 91/299 adottata lo stesso giorno.

310    Anche l’intenzionalità dell’infrazione sarebbe menzionata nella decisione impugnata. Infatti, dal punto 58 emergerebbe che le parti erano pienamente consapevoli di partecipare ad un accordo restrittivo della concorrenza sul mercato.

 Giudizio del Tribunale

311    In via preliminare va rilevato che, ai sensi del punto 64 della decisione impugnata:

«Nel determinare l’ammontare dell’ammenda da infliggere a ciascun produttore, la Commissione ha tenuto conto della posizione dominante sul mercato di Solvay quale produttore principale in Germania e nella CEE. Solvay riteneva, in quanto tale, di avere una responsabilità particolare nel garantire la “stabilità” del mercato. CFK era un produttore di carbonato di sodio relativamente piccolo ma aveva partecipato volontariamente agli accordi collusivi».

312    Inoltre, il punto 65 della decisione impugnata così recita:

«L’infrazione è stata intenzionale ed entrambe le parti devono essere state pienamente consapevoli dell’evidente incompatibilità dei loro accordi con il diritto comunitario».

313    Per quel che riguarda l’argomento della ricorrente secondo cui la Commissione non avrebbe spiegato perché abbia qualificato come dominante la sua posizione sul mercato rilevante, occorre rilevare quanto segue.

314    Secondo la giurisprudenza, la nozione di posizione dominante riguarda una situazione di potenza economica grazie alla quale l’impresa che la detiene è in grado di ostacolare il persistere di una concorrenza effettiva sul mercato di cui trattasi ed ha la possibilità di tenere comportamenti alquanto indipendenti nei confronti dei suoi concorrenti, dei suoi clienti e, in ultima analisi, dei consumatori. Un soggetto che detiene oltre il 50% del mercato, sia esso un soggetto individuale o collettivo, può godere di una tale indipendenza (sentenza del Tribunale 30 settembre 2003, cause riunite T‑191/98, da T‑212/98 a T‑214/98, Atlantic Container Line e a./Commissione, Racc. pag. II‑3275, punti 931 e 932).

315    Orbene, nella decisione impugnata, la Commissione ha indicato che «[la ricorrente] era il principale produttore con quasi il 60% del mercato totale della Comunità» (punto 18) e che la sua quota di mercato superava «in Germania il 52%» (punto 22).

316    Occorre pertanto respingere l’argomento relativo alla mancanza di motivazione della decisione impugnata riguardo alla posizione dominante della ricorrente.

317    Inoltre, nell’ipotesi che la ricorrente sollevi un motivo di merito riguardante l’assenza di posizione dominante, tale motivo sarebbe irricevibile. Difatti, la ricorrente si limita a quanto segue:

«[Essa] rinvia il Tribunale agli argomenti esposti in sede di ricorso contro la decisione nella causa ai sensi dell’art. 82 CE [da essa] depositato lo stesso giorno in merito all’inesistenza di una sua posizione dominante su[i] mercat[i] del carbonato di sodio considerati. La ricorrente allega le pagine rilevanti di tale ricorso al presente atto».

318    Orbene, secondo la giurisprudenza del Tribunale, al fine di garantire la certezza del diritto e una corretta amministrazione della giustizia, è necessario, affinché un ricorso sia ricevibile, che gli elementi essenziali di fatto e di diritto sui quali esso è fondato emergano in modo coerente e comprensibile dal testo stesso del ricorso. Se è vero che il testo può essere chiarito e completato, in punti specifici, mediante il rinvio ad estratti di documentazione allegati, un rinvio complessivo ad altri scritti, benché allegati all’atto introduttivo, non può supplire all’assenza degli elementi essenziali nel ricorso. Inoltre, non spetta al Tribunale ricercare e individuare, negli allegati, i motivi ed argomenti sui quali, a suo parere, il ricorso dovrebbe essere fondato, atteso che gli allegati assolvono ad una funzione meramente probatoria e strumentale. Questa interpretazione dell’art. 44, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura concerne altresì le condizioni di ricevibilità della memoria di replica, che è destinata, secondo l’art. 47, n. 1, dello stesso regolamento, ad integrare il ricorso (sentenza PVC II del Tribunale, cit. supra al punto 25, punti 39 e 40).

319    Per quanto riguarda l’argomento della ricorrente secondo cui la decisione impugnata non dimostrerebbe che la presunta infrazione sia stata commessa consapevolmente e non sarebbe motivata sul punto, sono doverose le osservazioni qui di seguito esposte.

320    Secondo una giurisprudenza consolidata, perché un’infrazione alle norme comunitarie sulla concorrenza si possa considerare intenzionale non è necessario che l’impresa sia stata consapevole di restringere la concorrenza; al contrario, è sufficiente che essa non potesse ignorare che il comportamento incriminato aveva come scopo la restrizione della concorrenza, mentre è irrilevante se l’impresa fosse o meno consapevole di violare l’art. 81 CE (v. sentenza Brasserie nationale e a./Commissione, cit. supra al punto 280, punto 155 e la giurisprudenza ivi citata).

321    Considerata tale giurisprudenza, e in presenza di un accordo di ripartizione del mercato, la ricorrente non poteva ignorare che l’accordo in parola era diretto a restringere la concorrenza. Di conseguenza, l’infrazione è stata commessa consapevolmente.

322    Occorre inoltre rilevare che la decisione impugnata è sufficientemente motivata al riguardo. Infatti, ai punti 57 e 58, la Commissione ha osservato che l’accordo in parola aveva per oggetto di restringere la concorrenza e che «[l]’obiettivo era chiaramente quello di creare condizioni di stabilità artificiale del mercato». Inoltre, al punto 65 della decisione impugnata, essa ha affermato che entrambe le parti devono essere state pienamente consapevoli dell’evidente incompatibilità dei loro accordi con il diritto comunitario.

323    La Commissione pertanto ha motivato sufficientemente la decisione impugnata.

324    Deve aggiungersi che è escluso che la ricorrente avrebbe potuto trovare elementi utili alla sua difesa riguardo ai suddetti punti nei sottofascicoli mancanti.

325    Infatti, da un lato, poiché l’esistenza di una posizione dominante della ricorrente è stata accertata essenzialmente in base alla quota di mercato da essa posseduta, non vi sono indizi che permettano di presumere che la ricorrente avrebbe potuto scoprire nei sottofascicoli mancanti documenti che confutassero l’affermazione secondo cui essa deteneva una posizione dominante sul mercato del carbonato di sodio (v., in tal senso, sentenza ICI II, cit. supra al punto 17, punto 61).

326    Inoltre, quanto alla circostanza secondo cui l’infrazione è stata commessa consapevolmente, è escluso che la ricorrente avrebbe potuto trovare documenti utili alla sua difesa nei sottofascicoli scomparsi, visto che non è necessario che l’impresa sia consapevole di violare l’art. 81 CE.

327    Pertanto, il terzo motivo dev’essere respinto.

 Il quarto motivo: esistenza di circostanze attenuanti

328    Il quarto motivo si articola in due capi: cooperazione della ricorrente con la Commissione e assenza di effetti sulla concorrenza.

 Il primo capo: cooperazione della ricorrente con la Commissione

329    La ricorrente afferma di aver cooperato all’indagine sia durante le ispezioni effettuate dalla Commissione nei suoi locali sia rispondendo alle richieste di informazioni.

330    Ai sensi dell’art. 11 del regolamento n. 17, rubricato «Richiesta di informazioni»:

«4.      L’obbligo di fornire le informazioni richieste incombe ai proprietari delle imprese o ai loro rappresentanti e, se si tratta di persone giuridiche, di società o di associazioni sprovviste di personalità giuridica, a coloro che, per legge, o in base allo statuto, ne hanno la rappresentanza.

5.      Se un’impresa o un’associazione di imprese non dà le informazioni richieste nel termine stabilito dalla Commissione oppure dà informazioni incomplete, la Commissione le richiede mediante decisione. Tale decisione precisa le informazioni richieste, stabilisce un termine adeguato entro il quale esse devono essere fornite ed indica le sanzioni previste dall’articolo 15, paragrafo 1, lettera b) e dall’articolo 16, paragrafo 1, lettera c), nonché il diritto di presentare ricorso dinanzi alla Corte di Giustizia avverso la decisione».

331    Secondo una costante giurisprudenza, una collaborazione alle indagini che non oltrepassa quanto incombe alle imprese in forza dell’art. 11, nn. 4 e 5, del regolamento n. 17 non giustifica una riduzione dell’ammenda (sentenze del Tribunale 10 marzo 1992, causa T‑12/89, Solvay/Commissione, Racc. pag. II‑907, punti 341 e 342, e 18 luglio 2005, causa T‑241/01, Scandinavian Airlines System/Commissione, Racc. pag. II‑2917, punto 218). Per contro, siffatta riduzione è giustificata quando l’impresa ha fornito informazioni ben più dettagliate di quelle che può pretendere la Commissione in forza dell’art. 11 del regolamento n. 17 (sentenza del Tribunale 9 luglio 2003, causa T‑230/00, Daesang e Sewon Europe/Commissione, Racc. pag. II‑2733, punto 137).

332    Orbene, nel caso di specie la ricorrente si limita a sostenere di aver risposto alle richieste di informazioni che le sono state rivolte. Tale comportamento, rientrando tra gli obblighi ad essa incombenti, non può costituire una circostanza attenuante.

333    Quanto alla presunta cooperazione della ricorrente con la Commissione durante le ispezioni effettuate nei suoi locali, va rilevato che anche tale comportamento rientra tra gli obblighi incombenti all’impresa e non può costituire una circostanza attenuante.

334    Il primo capo del quarto motivo dev’essere quindi respinto.

 Il secondo capo: assenza di effetti sulla concorrenza

335    La ricorrente sostiene che la Commissione avrebbe dovuto tener conto della mancanza di effetti sulla concorrenza del presunto accordo, visti i quantitativi minimi di cui trattasi.

336    Al riguardo è sufficiente ricordare che era impossibile ritenere che l’accordo tra la ricorrente e la CFK, che rappresentava il 16,57% del mercato tedesco nel 1987, vertesse su quantitativi minimi (v. supra, punti 218 e 219).

337    Pertanto l’argomento della ricorrente, erroneo in fatto, dev’essere respinto.

338    Il secondo capo del quarto motivo dev’essere quindi disatteso e, conseguentemente, il quarto motivo respinto.

 Il quinto motivo: carattere sproporzionato dell’ammenda, in particolare riguardo al tempo trascorso

339    Secondo la ricorrente, la Commissione avrebbe dovuto tener conto del fatto che sono trascorsi più di undici anni dalla fine della presunta infrazione. La ricorrente si chiede quale sia l’«attualità» del carattere punitivo e dissuasivo dell’ammenda, dal momento che essa ha adattato la propria politica commerciale a quanto prescritto dalla Commissione, né vede come si possa giustificare l’effetto deterrente dell’ammenda nei confronti delle imprese terze.

340    Al riguardo va ricordato che la Commissione ha giustamente considerato che l’infrazione imputata alla ricorrente era «di particolare gravità». Al punto 62 della decisione impugnata, essa ha dichiarato in particolare che gli accordi di ripartizione del mercato costituiscono per loro stessa natura gravi restrizioni della concorrenza e che, nella fattispecie, le parti avevano ristretto la concorrenza reciproca mediante un sistema inteso a creare condizioni artificiali di stabilità del mercato.

341    La Commissione era pertanto legittimata a infliggere un’ammenda alla ricorrente.

342    A titolo puramente indicativo va osservato che gli orientamenti per il calcolo delle ammende, pur non essendo applicabili al caso di specie, prevedono che per le «infrazioni gravi» l’importo di partenza per il calcolo delle eventuali ammende vada da EUR 1 milione a EUR 20 milioni.

343    Per quel che riguarda il tempo trascorso, dall’esame del primo motivo emerge che, nella presente causa, la Commissione ha rispettato le disposizioni del regolamento n. 2988/74 nonché il principio della ragionevolezza dei termini. Pertanto, non si può accusare la Commissione di aver tardato nell’adottare la decisione impugnata.

344    Risulta inoltre dalla giurisprudenza che, nel determinare l’ammontare delle ammende per violazione del diritto della concorrenza, la Commissione deve tener conto non solo della gravità dell’infrazione e delle circostanze particolari della fattispecie, ma anche del contesto in cui la detta infrazione è stata commessa e far sì che la sua azione abbia carattere dissuasivo, soprattutto per i tipi di trasgressioni particolarmente nocivi per il conseguimento degli scopi della Comunità (sentenza Musique Diffusion française e a./Commissione, cit. supra al punto 290, punto 106, e sentenza del Tribunale 5 aprile 2006, causa T‑279/02, Degussa/Commissione, Racc. pag. II‑897, punto 272).

345    Pertanto un’ammenda, anche se irrogata ex novo dopo un certo lasso di tempo, non perde il suo carattere punitivo e dissuasivo quando sia accertato che l’impresa interessata ha violato il diritto della concorrenza, in particolare, come nel caso di specie, commettendo un’infrazione grave.

346    Il quinto motivo dev’essere quindi respinto.

347    In conclusione, la decisione impugnata va annullata, ove considera a torto che l’infrazione si è svolta dal 1987 circa fino alla fine del 1990.

348    Di conseguenza, l’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente va fissato in EUR 2,25 milioni.

 Sulle spese

349    Ai sensi dell’art. 87, n. 3, del regolamento di procedura, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, il Tribunale può ripartire le spese o decidere che ciascuna parte sopporti le proprie spese.

350    Nel caso di specie, le conclusioni della ricorrente sono state dichiarate in parte fondate. Il Tribunale ritiene che le circostanze di specie siano equamente valutate statuendo che la ricorrente sosterrà i tre quarti delle proprie spese nonché i tre quarti delle spese della Commissione e che quest’ultima sopporterà un quarto delle proprie spese e un quarto delle spese della ricorrente.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Sesta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      L’art. 1 della decisione della Commissione 13 dicembre 2000, 2003/5/CE, relativa ad una procedura ai sensi dell’articolo 81 [CE] (COMP/33.133‑B: carbonato di sodio – Solvay, CFK), è annullato nella parte in cui dichiara che la Solvay SA ha violato l’art. 81 CE nel 1990.

2)      L’importo dell’ammenda inflitta alla Solvay è fissato in EUR 2,25 milioni.

3)      Il ricorso è respinto quanto al resto.

4)      La ricorrente sopporterà i tre quarti delle proprie spese e i tre quarti delle spese della Commissione europea.

5)      La Commissione sopporterà un quarto delle proprie spese e un quarto delle spese della ricorrente.

Meij

Vadapalas

Dittrich

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 17 dicembre 2009.

Il cancelliere

 

       Il presidente

Firme

Indice


Fatti all’origine della controversia

Procedimento

Conclusioni delle parti

In diritto

1. Le conclusioni dirette all’annullamento della decisione impugnata

Il primo motivo: il tempo trascorso

Il primo capo: erronea applicazione delle norme sulla prescrizione

– Argomenti delle parti

– Giudizio del Tribunale

Il secondo capo: violazione del principio della ragionevolezza dei termini

– Argomenti delle parti

– Giudizio del Tribunale

Il secondo motivo: violazione delle forme sostanziali

Il primo capo: violazione del principio di collegialità

– Argomenti delle parti

– Giudizio del Tribunale

Il secondo capo: violazione del principio di certezza del diritto

– Argomenti delle parti

– Giudizio del Tribunale

Il terzo capo: violazione del diritto della ricorrente ad essere nuovamente sentita

– Argomenti delle parti

– Giudizio del Tribunale

Il quarto capo: omessa consultazione ex novo del comitato consultivo in materia di intese e di posizioni dominanti

– Argomenti delle parti

– Giudizio del Tribunale

Il quinto capo: composizione irregolare del comitato consultivo in materia di intese e di posizioni dominanti

– Argomenti delle parti

– Giudizio del Tribunale

Il settimo capo: violazione dei principi di imparzialità, di buona amministrazione e di proporzionalità

– Argomenti delle parti

– Giudizio del Tribunale

Il terzo motivo: assenza di pregiudizio per il commercio tra Stati membri

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Il quarto motivo: violazione del diritto di accesso al fascicolo

Il primo capo: esistenza di documenti utili alla difesa tra i documenti del fascicolo consultati nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento

– Argomenti delle parti

– Giudizio del Tribunale

Il secondo capo: mancata consultazione dell’intero fascicolo da parte della ricorrente

– Argomenti delle parti

– Giudizio del Tribunale

2. Le conclusioni dirette all’annullamento o alla riduzione dell’ammenda

Il primo motivo: erronea valutazione della gravità dell’infrazione

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Il secondo motivo: valutazione erronea della durata dell’infrazione

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Il terzo motivo: erronea considerazione di circostanze aggravanti da parte della Commissione

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Il quarto motivo: esistenza di circostanze attenuanti

Il primo capo: cooperazione della ricorrente con la Commissione

Il secondo capo: assenza di effetti sulla concorrenza

Il quinto motivo: carattere sproporzionato dell’ammenda, in particolare riguardo al tempo trascorso

Sulle spese


* Lingua processuale: il francese.