Language of document : ECLI:EU:T:2019:155

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quarta Sezione)

12 marzo 2019 (*)

«FEAGA – Spese escluse dal finanziamento – Spese effettuate dall’Italia – Regime temporaneo per la ristrutturazione dell’industria dello zucchero – Regolamento (CE) n. 320/2006 – Regolamento (CE) n. 968/2006 – Regolamento (CE) n. 1290/2005 – Termine di 24 mesi – Nozione di “misura pluriennale” – Condizioni per la concessione dell’aiuto alla ristrutturazione – Nozione di “impianto di produzione” – Qualificazione dei silos – Nozione di “smantellamento completo” – Allegato 2 del documento VI/5330/97 – Difficoltà di interpretazione della normativa dell’Unione – Leale cooperazione – Legittimo affidamento – Ne bis in idem – Premi di macellazione – Azioni di informazione e di promozione dei prodotti agricoli – Pagamenti tardivi – Prova dell’esistenza di condizioni di gestione particolari – Parità di trattamento – Errore di traduzione in una delle versioni linguistiche di un regolamento dell’Unione – Imputabilità della rettifica finanziaria allo Stato membro»

Nella causa T‑135/15,

Repubblica italiana, rappresentata da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da C. Colelli, avvocato dello Stato,

ricorrente,

sostenuta da

Repubblica francese, rappresentata da D. Colas e S. Horrenberger, in qualità di agenti,

e da

Ungheria, rappresentata da M.Z. Fehér e G. Koós, in qualità di agenti,

intervenienti,

contro

Commissione europea, rappresentata inizialmente da D. Bianchi, P. Ondrůšek e I. Galindo Martín, successivamente da D. Bianchi e P. Ondrůšek, in qualità di agenti,

convenuta,

avente ad oggetto una domanda ai sensi dell’articolo 263 TFUE, volta all’annullamento parziale della decisione di esecuzione (UE) 2015/103 della Commissione, del 16 gennaio 2015, recante esclusione dal finanziamento dell’Unione europea di alcune spese sostenute dagli Stati membri nell’ambito del Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA) e del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) (GU 2015, L 16, pag. 33), per la parte riguardante talune spese effettuate dalla Repubblica italiana,

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione),

composto da H. Kanninen, presidente, J. Schwarcz e C. Iliopoulos (relatore), giudici,

cancelliere: J. Palacio González, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 12 settembre 2017,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Contesto normativo

 Regolamento (CE) n. 320/2006

1        Il Consiglio dell’Unione europea ha adottato il regolamento (CE) n. 320/2006, del 20 febbraio 2006, relativo a un regime temporaneo per la ristrutturazione dell’industria dello zucchero nella Comunità e che modifica il regolamento (CE) n. 1290/2005 relativo al finanziamento della politica agricola comune (GU 2006, L 58, pag. 42 e rettifica in GU 2011, L 279, pag. 8). Il regolamento n. 320/2006 è stato modificato più volte, da ultimo dal regolamento (CE) n. 72/2009 del Consiglio, del 19 gennaio 2009, che modifica i regolamenti (CE) n. 247/2006, (CE) n. 320/2006, (CE) n. 1405/2006, (CE) n. 1234/2007, (CE) n. 3/2008 e (CE) n. 479/2008 e che abroga i regolamenti (CEE) n. 1883/78, (CEE) n. 1254/89, (CEE) n. 2247/89, (CEE) n. 2055/93, (CE) n. 1868/94, (CE) n. 2596/97, (CE) n. 1182/2005 e (CE) n. 315/2007 al fine di adeguare la politica agricola comune (GU 2009, L 30, pag. 1). Il regolamento n. 320/2006, nella versione modificata dal regolamento n. 72/2009, è applicabile ai fatti della presente causa.

2        I considerando 1 e 5 del regolamento n. 320/2006 così recitano:

«(1)      (...) Per adeguare il sistema comunitario di produzione e commercio dello zucchero ai requisiti internazionali e garantirne la futura competitività, è necessario avviare un profondo processo di ristrutturazione in grado di ridurre drasticamente la capacità di produzione non redditizia esistente nella Comunità. A questo fine, e come premessa all’instaurazione di una nuova, efficiente organizzazione comune del mercato dello zucchero, occorrerebbe istituire un regime temporaneo, distinto e autonomo, per la ristrutturazione dell’industria saccarifera comunitaria. (...)

(5)      Sarebbe necessario introdurre un incentivo economico sostanziale sotto forma di congruo aiuto alla ristrutturazione, per indurre le imprese meno produttive ad abbandonare la produzione entro quota. A questo scopo occorrerebbe istituire un aiuto alla ristrutturazione che costituisca un incentivo a cessare la produzione di zucchero entro quota e a rinunciare alle quote corrispondenti e che consenta nel contempo di tenere in debito conto gli impegni sociali ed ambientali connessi all’abbandono della produzione. L’aiuto dovrebbe essere erogato durante quattro campagne di commercializzazione al fine di ridurre la produzione nella misura necessaria a riequilibrare il mercato comunitario».

3        L’articolo 1 del regolamento n. 320/2006, rubricato «Fondo di ristrutturazione temporaneo», così dispone:

«1. È istituito il fondo temporaneo per la ristrutturazione dell’industria dello zucchero nella Comunità (in appresso denominato “fondo di ristrutturazione”).

Il fondo di ristrutturazione fa parte del Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia, sezione Garanzia. A decorrere dal 1° gennaio 2007 fa parte del Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA).

2. Il fondo di ristrutturazione finanzia le spese derivanti dalle misure di cui agli articoli 3, 6, 7, 8 e 9.

(...)

4. Il presente regolamento non si applica alle regioni ultraperiferiche di cui all’articolo 299, paragrafo 2 del trattato».

4        L’articolo 3 del regolamento n. 320/2006, intitolato «Aiuto alla ristrutturazione», così prevede:

«1.      Ogni impresa produttrice di zucchero, isoglucosio o sciroppo di inulina, alla quale sia stata assegnata una quota entro il 1° luglio 2006 (...) può beneficiare di un aiuto alla ristrutturazione per tonnellata di quota rinunciata, a condizione che in una delle campagne di commercializzazione 2006/2007, 2007/2008, 2008/2009 o 2009/2010:

a)      rinunci alla quota che ha destinato ad uno o più dei suoi zuccherifici e smantelli completamente gli impianti di produzione degli zuccherifici interessati, o

b)      rinunci alla quota che ha destinato ad uno o più dei suoi zuccherifici, smantelli parzialmente gli impianti di produzione degli zuccherifici interessati e non utilizzi i restanti impianti di produzione degli zuccherifici interessati per la produzione di prodotti che rientrano nell’organizzazione comune dei mercati nel settore dello zucchero,

(...)

3.      Il completo smantellamento degli impianti di produzione richiede:

a)      la cessazione completa e definitiva della produzione di zucchero, isoglucosio e sciroppo di inulina da parte degli impianti di produzione interessati,

b)      la chiusura dello zuccherificio o degli zuccherifici e lo smantellamento dei relativi impianti di produzione nel termine di cui alla lettera d) dell’articolo 4, paragrafo 2,

e

c)      il ripristino di buone condizioni ambientali nel sito dismesso e l’agevolazione del reimpiego della manodopera nel termine di cui alla lettera f) dell’articolo 4, paragrafo 2 (...)

4.      Lo smantellamento parziale degli impianti di produzione richiede:

a)      la cessazione completa e definitiva della produzione di zucchero, isoglucosio e sciroppo di inulina da parte degli impianti di produzione interessati,

b)      lo smantellamento degli impianti di produzione che non saranno più usati per la nuova produzione e che erano destinati alla produzione dei prodotti di cui alla lettera a) (...),

c)      il ripristino di buone condizioni ambientali nel sito dismesso e l’agevolazione del reimpiego della manodopera nel termine di cui alla lettera f) dell’articolo 4, paragrafo 2 (...)

5.      L’importo dell’aiuto alla ristrutturazione per tonnellata di quota rinunciata è

a)      nel caso di cui al paragrafo 1, lettera a) di

–        730,00 EUR per la campagna di commercializzazione 2006/2007,

–        730,00 EUR per la campagna di commercializzazione 2007/2008,

–        625,00 EUR per la campagna di commercializzazione 2008/2009,

–        520,00 EUR per la campagna di commercializzazione 2009/2010.

b)      nel caso di cui al paragrafo 1, lettera b) di

–        547,50 EUR per la campagna di commercializzazione 2006/2007,

–        547,50 EUR per la campagna di commercializzazione 2007/2008,

–        468,75 EUR per la campagna di commercializzazione 2008/2009,

–        390,00 EUR per la campagna di commercializzazione 2009/2010.

(...)».

5        Inoltre, ai sensi dell’articolo 4 del regolamento n. 320/2006, rubricato «Domanda per l’aiuto alla ristrutturazione»:

«1. Le domande per l’aiuto alla ristrutturazione sono sottoposte allo Stato membro interessato entro il 31 gennaio che precede la campagna di commercializzazione nel corso della quale si deve rinunciare alla quota.

(...)

2. Le domande per l’aiuto alla ristrutturazione comprendono:

a)      un piano di ristrutturazione;

(...)

c)      un impegno a rinunciare alla quota pertinente nella campagna di commercializzazione interessata;

d)      nel caso di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), un impegno a smantellare completamente gli impianti di produzione entro i termini che lo Stato membro interessato deve stabilire;

e)      nel caso di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettera b), un impegno a smantellare parzialmente gli impianti di produzione entro i termini che lo Stato membro interessato deve stabilire e a non utilizzare il sito di produzione e i restanti impianti di produzione per la produzione di prodotti che rientrano nell’organizzazione comune dei mercati nel settore dello zucchero;

(...)

3.      Il piano di ristrutturazione previsto al paragrafo 2, lettera a) include almeno i seguenti elementi:

(...)

c)      una descrizione tecnica completa degli impianti di produzione interessati,

d)      un piano aziendale che elenchi le modalità, il calendario e i costi di chiusura dello zuccherificio o degli zuccherifici e lo smantellamento completo o parziale degli impianti di produzione,

(...)

h)      un piano finanziario che descriva tutti i costi per quanto riguarda il piano di ristrutturazione».

6        L’articolo 5 del regolamento n. 320/2006, recante il titolo «Decisione sull’aiuto alla ristrutturazione e sui controlli», così prevede:

«1.      Entro la fine del mese di febbraio precedente la campagna di commercializzazione di cui all’articolo 3, paragrafo 2, gli Stati membri decidono in merito alla concessione dell’aiuto alla ristrutturazione. Tuttavia, la decisione relativa alla campagna di commercializzazione 2006/2007 è adottata entro il 30 settembre 2006.

(...)

2.      L’aiuto alla ristrutturazione è concesso se lo Stato membro ha stabilito, previa accurata verifica, che:

–        la domanda contiene gli elementi di cui all’articolo 4, paragrafo 2;

–        il piano di ristrutturazione contiene gli elementi di cui all’articolo 4, paragrafo 3;

–        le misure e le azioni descritte nel piano di ristrutturazione sono conformi alla pertinente legislazione comunitaria e nazionale;

–        (...)

3.      Se una o più delle condizioni previste nei primi tre trattini del paragrafo 2 non sono rispettate, la domanda per l’aiuto alla ristrutturazione è rinviata all’interessato, il quale è informato delle condizioni che non sono rispettate. Egli può in seguito ritirare o completare la domanda.

(...)».

7        Ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 4, del regolamento n. 320/2006:

«L’aiuto alla ristrutturazione di cui all’articolo 3 è pagato in due rate:

–        il 40% nel giugno della campagna di commercializzazione di cui al paragrafo 2 dell’articolo 3,

e

–        il 60% nel febbraio della campagna di commercializzazione successiva.

Tuttavia la Commissione può decidere di suddividere la rata di cui al secondo dei precedenti trattini in due pagamenti (...)».

8        Infine, l’articolo 14 del regolamento n. 320/2006, rubricato «Modifiche del regolamento (CE) n. 1290/2005», così dispone:

«Il regolamento (CE) n. 1290/2005 è così modificato:

1)      All’articolo 3, paragrafo 1, è aggiunta la seguente lettera:

“e)      l’aiuto alla ristrutturazione, l’aiuto alla diversificazione, l’aiuto supplementare alla diversificazione e l’aiuto transitorio di cui agli articoli 3, 6, 7, 8 e 9 del regolamento (...) n. 320/2006”.

(...)».

 Regolamento (CE) n. 968/2006

9        La Commissione europea ha adottato il regolamento (CE) n. 968/2006, del 27 giugno 2006, recante modalità di applicazione del regolamento n. 320/2006 (GU 2006, L 176, pag. 32). Il regolamento n. 968/2006 è stato modificato più volte, da ultimo dal regolamento di esecuzione (UE) n. 672/2011 della Commissione, del 13 luglio 2011, che modifica il regolamento n. 968/2006 (GU 2011, L 184, pag. 1). Il regolamento n. 968/2006, nella versione modificata dal regolamento n. 672/2011, è applicabile ai fatti della presente causa.

10      Il considerando 4 del regolamento n. 968/2006 così prevede:

«In relazione alla rinuncia alle quote, l’articolo 3 del regolamento (...) n. 320/2006 prevede come opzioni lo smantellamento completo o parziale degli impianti di produzione, con importi diversi dell’aiuto alla ristrutturazione. Sebbene le condizioni applicabili a queste due opzioni debbano tenere conto del fatto che lo smantellamento completo dà luogo ad un importo superiore dell’aiuto alla ristrutturazione, a causa dei maggiori costi che esso comporta, si ritiene opportuno consentire la possibilità di mantenere gli impianti dello zuccherificio che non fanno parte della linea di produzione qualora possano essere utilizzati per altri scopi previsti dal piano di ristrutturazione, soprattutto se tale uso può creare occupazione. D’altra parte, gli impianti non direttamente connessi alla produzione di zucchero devono essere smantellati se non vengono adibiti a un uso alternativo entro un congruo lasso di tempo e se il loro mantenimento è nocivo per l’ambiente».

11      L’articolo 4 del regolamento n. 968/2006, intitolato «Smantellamento degli impianti di produzione», così prevede:

«1.      In caso di smantellamento completo ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), del regolamento (...) n. 320/2006, devono essere smantellati:

a)      tutti gli impianti necessari per la produzione di zucchero, isoglucosio o sciroppo di inulina, quali ad esempio impianti per l’immagazzinamento, l’analisi, il lavaggio e il taglio di barbabietole da zucchero, canne da zucchero, cereali o cicoria; tutti gli impianti di estrazione e trasformazione o concentrazione di zucchero dalla barbabietola o dalla canna, di amido dai cereali, di glucosio dall’amido o di inulina dalla cicoria;

b)      quegli impianti, diversi da quelli menzionati alla lettera a), direttamente connessi alla produzione di zucchero, isoglucosio o sciroppo di inulina e necessari per gestire la produzione rientrante nella quota rinunciata, anche se potrebbero essere utilizzati per altre produzioni, come impianti per il riscaldamento o il trattamento dell’acqua o per la produzione di energia, impianti per il trattamento delle polpe di barbabietole da zucchero e delle melasse o impianti per il trasporto interno;

c)      tutti gli altri impianti, quali impianti di imballaggio, lasciati inutilizzati e che devono essere smantellati e rimossi per ragioni ambientali.

2.      In caso di smantellamento parziale ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (...) n. 320/2006, devono essere smantellati gli impianti di cui al paragrafo 1 del presente articolo non destinati ad essere utilizzati per altre produzioni o per altri usi del sito industriale secondo il piano di ristrutturazione».

12      Ai sensi dell’articolo 6 del regolamento n. 968/2006, rubricato «Obblighi degli Stati membri»:

«1.      Al più tardi entro i venti giorni successivi al ricevimento della copia della convocazione delle consultazioni di cui all’articolo 2, paragrafo 3, lo Stato membro informa le parti interessate dal piano di ristrutturazione della propria decisione in merito:

(...)

b)      al termine, che scade al più tardi il 30 settembre 2010, per lo smantellamento degli impianti di produzione e per l’adempimento dei requisiti sociali e ambientali di cui all’articolo 3, paragrafo 3, lettera c), e all’articolo 3, paragrafo 4, lettera c), del regolamento (...) n. 320/2006;

(...)

In deroga al [paragrafo 1], lettera b), su richiesta motivata dell’impresa di cui trattasi, gli Stati membri possono prorogare, non oltre il 31 marzo 2012, il termine fissato [al paragrafo 1, lettera b)]. In tal caso, l’impresa presenta un piano di ristrutturazione modificato a norma dell’articolo 11.

(...)».

13      L’articolo 9 del regolamento n. 968/2006, intitolato «Ammissibilità all’aiuto alla ristrutturazione», così dispone:

«(...)

2.      La domanda è considerata ammissibile se il piano di ristrutturazione contiene:

a)      una sintesi dei principali obiettivi, delle misure e degli interventi previsti, una stima dei relativi costi, il piano finanziario e i tempi di esecuzione;

b)      l’indicazione, per ciascuno degli zuccherifici interessati, della quantità di quota alla quale si intende rinunciare, che deve essere inferiore o uguale alla capacità di produzione che sarà completamente o parzialmente smantellata;

c)      una dichiarazione attestante che gli impianti di produzione saranno completamente o parzialmente smantellati e rimossi dal sito industriale;

(...)

e)      una chiara indicazione di tutti gli interventi e costi finanziati dal fondo di ristrutturazione ed eventualmente delle altre voci connesse da finanziarsi con altri fondi comunitari.

3.      Se le condizioni di cui al paragrafo 2 non sono rispettate, lo Stato membro ne informa il richiedente e gli accorda un lasso di tempo, entro il termine fissato all’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento (...) n. 320/2006, per rivedere e modificare il piano di ristrutturazione.

Lo Stato membro decide sull’ammissibilità della domanda riveduta entro i quindici giorni lavorativi successivi alla scadenza del termine di cui al primo comma, ma almeno dieci giorni lavorativi prima della scadenza del termine di cui all’articolo 5, paragrafo 1, del regolamento (...) n. 320/2006.

Se la domanda riveduta non è presentata in tempo utile o è considerata nuovamente inammissibile, essa è respinta e lo Stato membro ne informa il richiedente e la Commissione entro cinque giorni lavorativi. La presentazione di una nuova domanda da parte dello stesso richiedente è soggetta all’ordine cronologico di cui all’articolo 8.

(...)».

14      Ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 4, del regolamento n. 968/2006:

«Lo Stato membro notifica al richiedente la concessione dell’aiuto alla ristrutturazione per il suo piano di ristrutturazione ammissibile entro il termine di cui all’articolo 5, paragrafo 1, del regolamento (...) n. 320/2006. L’autorità competente dello Stato membro invia alla Commissione una copia del piano di ristrutturazione approvato».

15      L’articolo 11 del regolamento n. 968/2006, intitolato «Modifica del piano di ristrutturazione», prevede quanto segue:

«1.      Il richiedente realizza tutte le misure previste dal piano di ristrutturazione approvato e adempie agli impegni contenuti nella sua domanda di aiuto alla ristrutturazione sin dal momento della concessione dell’aiuto stesso.

2.      Il piano di ristrutturazione approvato può essere modificato solo previo accordo dello Stato membro, su richiesta dell’impresa interessata; tale richiesta deve:

a)      essere motivata e illustrare i problemi incontrati nell’attuazione del piano;

b)      esporre gli adeguamenti o le nuove misure proposte e gli effetti auspicati;

c)      precisare le implicazioni finanziarie e tempistiche.

Non può essere modificato l’importo globale dell’aiuto alla ristrutturazione né il contributo temporaneo per la ristrutturazione di cui all’articolo 11 del regolamento (...) n. 320/2006.

Lo Stato membro notifica alla Commissione il piano di ristrutturazione modificato».

16      L’articolo 16 del regolamento n. 968/2006, rubricato «Pagamento dell’aiuto alla ristrutturazione», così dispone:

«1. Il pagamento di ciascuna rata dell’aiuto alla ristrutturazione ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 4, del regolamento (...) n. 320/2006 è subordinato alla costituzione di una cauzione di importo pari al 120% dell’ammontare della rispettiva rata.

(...)».

17      Ai sensi dell’articolo 22 del regolamento n. 968/2006, recante il titolo «Svincolo delle cauzioni»:

«1.      Le cauzioni di cui all’articolo 16, paragrafo 1, (...) e all’articolo 18, paragrafo 2, sono svincolate solo se ricorrono le seguenti condizioni:

a)      sono state realizzate tutte le misure e gli interventi previsti, secondo i casi, nel piano di ristrutturazione, nel programma di ristrutturazione nazionale o nel piano aziendale;

b)      è stata presentata la relazione finale di cui all’articolo 23, paragrafo 2;

c)      gli Stati membri hanno effettuato i controlli di cui all’articolo 25;

(...)

3.      Tranne in caso di forza maggiore, la cauzione è incamerata se le condizioni di cui al paragrafo 1 non sono soddisfatte entro il 30 settembre 2012».

18      L’articolo 25 del regolamento n. 968/2006, rubricato «Controlli», stabilisce quanto segue:

«1.      Ciascuna impresa e ciascun sito di produzione che beneficiano di un aiuto a carico del fondo di ristrutturazione sono ispezionati dall’autorità competente dello Stato membro entro i tre mesi successivi alla scadenza del termine di cui all’articolo 23, paragrafo 2.

L’ispezione è intesa a verificare il rispetto del piano di ristrutturazione o del piano aziendale, nonché l’esattezza e la completezza delle informazioni fornite dall’impresa nella relazione annuale. Nel corso della prima ispezione vengono inoltre verificate tutte le altre informazioni fornite dall’impresa nella domanda di aiuto alla ristrutturazione, in particolare la conferma di cui all’articolo 4, paragrafo 2, lettera b), del regolamento (...) n. 320/2006.

2.      L’ispezione verte in ogni caso su tutti gli elementi del piano di ristrutturazione menzionati all’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento (...) n. 320/2006. (...)».

19      Inoltre, l’articolo 26 del regolamento n. 968/2006, rubricato «Recupero», così dispone:

«1.      Fatto salvo il disposto del paragrafo 3, se il beneficiario non adempie, in tutto o in parte, agli impegni previsti, secondo i casi, nel piano di ristrutturazione, nel piano aziendale o nel programma di ristrutturazione nazionale, l’aiuto erogato è recuperato proporzionalmente all’impegno o agli impegni non rispettati, eccetto in caso di forza maggiore.

(...)».

20      Infine, ai sensi dell’articolo 27 del regolamento n. 968/2006, intitolato «Sanzioni»:

«1.      Se il beneficiario non adempie, in tutto o in parte, agli impegni previsti, secondo i casi, nel piano di ristrutturazione, nel piano aziendale o nel programma di ristrutturazione nazionale, egli deve pagare una penale pari al 10% dell’importo che è tenuto a rimborsare a norma dell’articolo 26.

(...)».

 Fatti

 Decisione impugnata

21      Con la decisione di esecuzione (UE) 2015/103 della Commissione, del 16 gennaio 2015, recante esclusione dal finanziamento dell’Unione europea di alcune spese sostenute dagli Stati membri nell’ambito del Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA) e del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) (GU 2015, L 16, pag. 33; in prosieguo: la «decisione impugnata»), la Commissione ha imposto alla Repubblica italiana in particolare le seguenti rettifiche:

–        una rettifica dell’importo di EUR 90 498 735,16 riguardante le spese sostenute dalla Repubblica italiana nell’ambito del regime temporaneo per la ristrutturazione dell’industria dello zucchero, a causa della mancata demolizione di tutti gli impianti di produzione dello zucchero da parte dei beneficiari degli aiuti alla ristrutturazione (esercizi finanziari 2007, 2008 e 2009);

–        una rettifica dell’importo di EUR 1 607 257,90 per il pagamento tardivo del saldo dei premi di macellazione relativi all’anno di domanda 2004 (esercizio finanziario 2010);

–        una rettifica forfettaria dell’importo di EUR 1 198 831,03 per il pagamento tardivo di talune spese relative alle azioni di informazione e di promozione dei prodotti agricoli (esercizi finanziari 2009 e 2010).

22      Le tre rettifiche menzionate al precedente punto 21 sono contestate dalla Repubblica italiana nell’ambito del ricorso di cui trattasi.

 Sulla rettifica finanziaria riguardante le spese sostenute nell’ambito del regime temporaneo di ristrutturazione dell’industria dello zucchero

23      Nel mese di settembre 2010 i servizi della Commissione hanno svolto, in Italia, un’indagine avente a oggetto gli aiuti alla ristrutturazione dell’industria dello zucchero concessi a talune imprese italiane produttrici di zucchero nel corso degli esercizi finanziari 2007, 2008 e 2009 (in prosieguo: l’«indagine EX/2010/010/IT»).

24      Con lettera del 9 dicembre 2010, inviata ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 1, primo comma, del regolamento (CE) n. 885/2006 della Commissione, del 21 giugno 2006, recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 1290/2005 del Consiglio per quanto riguarda il riconoscimento degli organismi pagatori e di altri organismi e la liquidazione dei conti del FEAGA e del FEASR (GU 2006, L 171, pag. 90), la Commissione ha comunicato alle autorità italiane il risultato dell’indagine EX/2010/010/IT, che veniva allegato alla lettera di cui trattasi (in prosieguo: la «prima comunicazione del 9 dicembre 2010»).

25      Dalla prima comunicazione del 9 dicembre 2010 risulta che, secondo la Commissione, le autorità italiane non avevano integralmente rispettato le disposizioni della normativa di diritto dell’Unione europea riguardante le condizioni per la concessione dell’aiuto alla ristrutturazione per lo smantellamento completo degli impianti di produzione, in quanto essa aveva constatato che erano stati mantenuti taluni silos in diversi siti di produzione di zucchero appartenenti alle imprese italiane che avevano chiesto la concessione di tale aiuto (in prosieguo: i «silos controversi»). Essa ha osservato in proposito che tali imprese non rispettavano le condizioni per la concessione dell’aiuto alla ristrutturazione per smantellamento completo in assenza dell’integrale attuazione del piano di ristrutturazione e della demolizione degli edifici connessi all’attività di produzione, tra cui i silos controversi. Infine, la Commissione ha chiesto alle autorità italiane di indicare se fossero ancora presenti dei silos in quei siti di produzione di zucchero in cui i suoi agenti non si erano recati.

26      Le autorità italiane hanno risposto alle obiezioni della Commissione contenute nella prima comunicazione del 9 dicembre 2010 con lettera del 9 febbraio 2011.

27      Il 18 aprile 2011 la Commissione ha invitato le autorità italiane a una riunione bilaterale che ha avuto luogo a Bruxelles (Belgio) il 4 maggio 2011.

28      Il verbale di tale riunione è stato comunicato alle autorità italiane con lettera della Commissione del 26 luglio 2011. Queste ultime hanno presentato le loro osservazioni su detto verbale il 2 novembre 2011.

29      Con lettera del 16 agosto 2012, inviata in base all’articolo 11, paragrafo 2, terzo comma, del regolamento n. 885/2006 (in prosieguo: la «comunicazione formale del 16 agosto 2012»), la Commissione ha informato le autorità italiane del fatto che essa prevedeva di escludere l’importo di EUR 90 498 735,15 dal finanziamento dell’Unione a causa del mancato rispetto delle condizioni per la concessione dell’aiuto alla ristrutturazione per smantellamento completo, previste all’articolo 3, paragrafo 3, del regolamento n. 320/2006 e all’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 968/2006.

30      L’11 ottobre 2012 le autorità italiane hanno adito l’organo di conciliazione in base all’articolo 16 del regolamento n. 885/2006, il quale ha presentato la sua relazione il 10 febbraio 2013.

31      Con sentenza del 14 novembre 2013, SFIR e a. (da C‑187/12 a C‑189/12, EU:C:2013:737) la Corte ha dichiarato, in sostanza, che la nozione di «impianti di produzione», ai sensi degli articoli 3 e 4 del regolamento n. 320/2006 e dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 968/2006 comprendeva i silos destinati allo stoccaggio dello zucchero del beneficiario dell’aiuto alla ristrutturazione. Tuttavia, la Corte ha considerato che ciò non avveniva in due ipotesi: da un lato, quando fosse dimostrato che i silos erano impiegati unicamente per lo stoccaggio di zucchero, prodotto entro la quota, depositato da altri produttori o acquistato presso questi ultimi e, dall’altro, quando erano utilizzati esclusivamente per il confezionamento o l’imballaggio di zucchero prodotto altrove ai fini della sua commercializzazione.

32      Con lettera del 28 marzo 2014 la Commissione ha concesso un termine di due mesi alle autorità italiane per presentare osservazioni complementari, in particolare in seguito alla pronuncia della sentenza della Corte menzionata al precedente punto 31, nonché prove a dimostrazione del fatto che, prima delle domande di aiuto alla ristrutturazione, i silos controversi servissero esclusivamente allo stoccaggio e al confezionamento dello zucchero prodotto entro la quota da altri produttori.

33      Con lettera del 30 maggio 2014 le autorità italiane hanno contestato la posizione della Commissione secondo la quale, ai fini di valutare se i silos rientrassero nella nozione di «impianti di produzione», occorreva considerare il modo in cui questi erano utilizzati alla data della domanda di aiuto alla ristrutturazione.

34      Nella relazione di sintesi adottata dalla Commissione il 12 dicembre 2014, la Commissione ha confermato la sua proposta di escludere dal finanziamento dell’Unione la somma di EUR 90 498 735,16.

 Sulla rettifica finanziaria applicata per pagamento tardivo del saldo dei premi di macellazione relativi all’anno di domanda 2004

35      I servizi della Commissione hanno svolto in Italia un’indagine relativa ai premi di macellazione riguardante il mancato rispetto dei termini di pagamento e il superamento dei massimali finanziari nel corso dell’esercizio finanziario 2010.

36      Con lettera del 14 febbraio 2011, inviata ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 1, primo comma, del regolamento n. 885/2006, la Commissione ha comunicato alle autorità italiane i risultati delle sue verifiche. Queste ultime hanno risposto a tale comunicazione con lettera dell’8 marzo 2011.

37      Il 15 giugno 2011 ha avuto luogo, a Bruxelles, una riunione bilaterale tra i servizi della Commissione e le autorità italiane. Il verbale di tale riunione è stato comunicato alle autorità italiane il 3 agosto 2011. Queste ultime hanno presentato le loro osservazioni il 5 ottobre 2011.

38      La Commissione ha ribadito la sua posizione nella lettera del 18 gennaio 2012, inviata ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento n. 885/2006, alla quale le autorità italiane hanno risposto con lettera del 27 marzo 2012.

39      Con lettera del 30 ottobre 2013, inviata in base all’articolo 11, paragrafo 2, terzo comma, del regolamento n. 885/2006, la Commissione ha formalmente comunicato alle autorità italiane l’importo stimato della rettifica proposta, ossia l’importo di EUR 7 643 605,11 a causa, tra l’altro, del mancato rispetto dei termini di pagamento relativi ai premi di macellazione riguardanti l’anno di domanda 2004, il cui saldo era stato versato ai beneficiari il 30 ottobre e il 3 novembre 2009.

40      Il 10 dicembre 2013 le autorità italiane hanno adito l’organo di conciliazione. Quest’ultimo ha presentato la sua relazione il 6 maggio 2014.

41      Con lettera del 2 luglio 2014, la Commissione ha comunicato la sua posizione definitiva alle autorità italiane, nella quale confermava una rettifica forfettaria di EUR 7 643 605,11, di cui l’importo di EUR 1 607 275,90 corrispondente al pagamento tardivo del saldo dei premi di macellazione relativi all’anno di domanda 2004, effettuato nel corso dell’esercizio finanziario 2010.

 Sulla rettifica finanziaria applicata per pagamento tardivo di talune spese relative alle azioni di informazione e di promozione dei prodotti agricoli

42      Dal 30 novembre al 4 dicembre 2009 i servizi della Commissione hanno svolto, in Italia, un’indagine vertente sulle azioni di informazione e di promozione dei prodotti agricoli nel mercato interno e nei paesi terzi, concernente gli esercizi finanziari dal 2008 al 2010.

43      Con lettera del 27 aprile 2010, inviata ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 1, primo comma, del regolamento n. 885/2006, la Commissione ha comunicato alle autorità italiane il risultato delle sue verifiche. Le autorità italiane hanno risposto a tale comunicazione con lettera del 5 luglio 2010.

44      Il 18 novembre 2010 ha avuto luogo a Bruxelles una riunione bilaterale tra le autorità italiane e la Commissione. Il verbale di tale riunione è stato trasmesso alle autorità italiane il 31 gennaio 2011. Queste ultime hanno presentato le loro osservazioni il 30 marzo 2011.

45      Con lettera del 17 aprile 2013, inviata ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 2, terzo comma, del regolamento n. 885/2006, la Commissione ha formalmente comunicato alle autorità italiane l’importo stimato della rettifica proposta, ossia EUR 2 844 470,65, per gli esercizi finanziari 2008 (unicamente a partire dal 30 maggio 2008), 2009 e 2010.

46      Il 3 giugno 2013 le autorità italiane hanno adito l’organo di conciliazione. Quest’ultimo ha presentato la sua relazione il 29 novembre 2013.

47      Con lettera del 27 maggio 2014, la Commissione ha comunicato la sua posizione definitiva alle autorità italiane, nella quale essa procedeva, in particolare, a una rettifica forfettaria di EUR 1 198 831,03 a causa della tardività dei pagamenti relativi alle azioni di informazione e di promozione dei prodotti agricoli nel mercato interno e nei paesi terzi, effettuati nel corso degli esercizi finanziari 2009 e 2010.

 Procedimento e conclusioni delle parti

48      Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 26 marzo 2015, la Repubblica italiana ha proposto il ricorso di cui trattasi.

49      Con atti depositati nella cancelleria del Tribunale rispettivamente il 22 e il 25 giugno 2015, la Repubblica francese e l’Ungheria hanno presentato ciascuna una domanda di intervento a sostegno delle conclusioni della Repubblica italiana. Con decisione del 22 luglio 2015, il presidente della Seconda Sezione del Tribunale ha ammesso tali interventi.

50      La Repubblica italiana chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata nella parte in cui riguarda talune spese effettuate dalla Repubblica italiana;

–        condannare la Commissione alle spese.

51      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la Repubblica italiana alle spese.

52      La Repubblica francese chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        condannare la Commissione alle spese.

53      L’Ungheria chiede che il Tribunale voglia annullare parzialmente la decisione impugnata.

54      Con lettera della cancelleria del Tribunale del 14 giugno 2016 le parti sono state informate della modifica della composizione del Tribunale e della decisione del presidente del Tribunale di riattribuire la causa a un altro giudice relatore, che è stato assegnato alla Terza Sezione.

55      Con lettera della cancelleria del 3 ottobre 2016 le parti sono state informate della modifica della composizione delle sezioni del Tribunale, ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 5, del regolamento di procedura del Tribunale, e dell’assegnazione del giudice relatore alla Quarta Sezione, alla quale la presente causa è stata di conseguenza attribuita.

56      Su proposta del giudice relatore, il Tribunale (Quarta Sezione) ha deciso di avviare la fase orale del procedimento e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento previste all’articolo 89 del regolamento di procedura, ha posto alle parti alcuni quesiti scritti e le ha invitate a depositare taluni documenti. Le parti hanno ottemperato alle misure di organizzazione del procedimento entro i termini.

57      Le parti hanno esposto le loro difese e hanno risposto ai quesiti orali del Tribunale all’udienza del 12 settembre 2017.

 In diritto

58      A sostegno del ricorso, la Repubblica italiana deduce sei motivi.

59      I primi quattro motivi sono dedotti a sostegno della domanda di annullamento della rettifica riguardante le spese effettuate dalla Repubblica italiana nell’ambito del regime temporaneo per la ristrutturazione dell’industria dello zucchero. Il primo motivo riguarda, in sostanza, la violazione dell’articolo 31, paragrafo 4, del regolamento (CE) n. 1290/2005 del Consiglio, del 21 giugno 2005, relativo al finanziamento della politica agricola comune (GU 2005, L 209, pag. 1), delle prerogative della difesa e del principio del contraddittorio, nonché l’insufficienza della motivazione. Il secondo motivo verte, in sostanza, sulla violazione dell’articolo 11, paragrafo 1, del regolamento n. 885/2006, del regolamento n. 320/2006, del regolamento n. 968/2006 e della sentenza del 14 novembre 2013, SFIR e a. (da C‑187/12 a C‑189/12, EU:C:2013:737). Il terzo motivo attiene, in sostanza, alla violazione dei principi di tutela del legittimo affidamento, di leale cooperazione, del ne bis in idem, di buona amministrazione e del dovere di sollecitudine. Il quarto motivo riguarda la violazione dell’articolo 31, paragrafo 3, secondo comma, del regolamento n. 1290/2005, dell’articolo 11, paragrafo 3, secondo comma, del capo 3 del regolamento n. 885/2006 e delle linee guida fissate nel documento VI/5330/97 della Commissione, del 23 dicembre 1997, intitolato «Linee guida per il calcolo delle conseguenze finanziarie nell’ambito della preparazione della decisione sulla liquidazione dei conti della sezione garanzia del FEAOG» (in prosieguo: il «documento VI/5330/97»), dell’obbligo di motivazione, nonché il mancato esame della posizione dell’organo di conciliazione.

60      Il quinto motivo è dedotto a sostegno della domanda di annullamento della rettifica applicata per il pagamento tardivo del saldo dei premi di macellazione relativi all’anno di domanda 2004 e attiene alla violazione dell’articolo 9, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 883/2006 della Commissione, del 21 giugno 2006, recante modalità d’applicazione del regolamento n. 1290/2005, per quanto riguarda la tenuta dei conti degli organismi pagatori, le dichiarazioni delle spese e delle entrate e le condizioni di rimborso delle spese nell’ambito del FEAGA e del FEASR (GU 2006, L 171, pag. 1), alla violazione del principio della parità di trattamento e al travisamento dei fatti.

61      Il sesto motivo è dedotto a sostegno della domanda di annullamento della rettifica applicata per il pagamento tardivo di alcune spese relative alle azioni di informazione e di promozione dei prodotti agricoli e riguarda la violazione dell’articolo 20 del regolamento (CE) n. 501/2008 della Commissione, del 5 giugno 2008, recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 3/2008 del Consiglio relativo ad azioni di informazione e di promozione dei prodotti agricoli sul mercato interno e nei paesi terzi (GU 2008, L 147, pag. 3), nonché dei principi del legittimo affidamento e dell’imputabilità agli Stati membri delle rettifiche finanziarie.

 Sul primo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 31, paragrafo 4, del regolamento n. 1290/2005, delle prerogative della difesa e del principio del contraddittorio, nonché sull’insufficienza della motivazione

62      Il primo motivo si articola, in sostanza, in tre parti. La prima parte riguarda la violazione dell’articolo 31, paragrafo 4, del regolamento n. 1290/2005. La seconda parte attiene alla violazione delle prerogative della difesa e del principio del contraddittorio. La terza parte concerne, in sostanza, l’insufficienza della motivazione della decisione impugnata.

 Sulla prima parte del primo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 31, paragrafo 4, del regolamento n. 1290/2005

63      La Repubblica italiana addebita alla Commissione, in sostanza, di avere considerato che gli aiuti alla ristrutturazione riguardavano una misura pluriennale ai sensi dell’articolo 31, paragrafo 4, lettera b), del regolamento n. 1290/2005 e che la rettifica finanziaria poteva quindi riguardare, nella fattispecie, tutte le spese effettuate nell’ambito del regime temporaneo per la ristrutturazione dell’industria dello zucchero. Procedendo in questo modo, la Commissione avrebbe violato l’articolo 31, paragrafo 4, del regolamento n. 1290/2005.

64      La Commissione contesta gli argomenti della Repubblica italiana.

65      Nel caso di specie occorre stabilire se la Commissione abbia correttamente incluso nella base della rettifica finanziaria contestata tutte le spese sostenute dalla Repubblica italiana nell’ambito del regime temporaneo per la ristrutturazione dell’industria dello zucchero, conformemente all’articolo 31, paragrafo 4, lettera b), del regolamento n. 1290/2005, o se avrebbe dovuto escludere da tale base le spese eseguite più di 24 mesi prima della notifica alle autorità italiane della prima comunicazione del 9 dicembre 2010, ai sensi dell’articolo 31, paragrafo 4, lettera a), del regolamento n. 1290/2005. Ai fini di tale esame, si deve stabilire se l’aiuto alla ristrutturazione del settore dell’industria dello zucchero finanzi una misura pluriennale ai sensi dell’articolo 31, paragrafo 4, lettera b), del regolamento n. 1290/2005.

66      L’articolo 31, paragrafo 4, del regolamento n. 1290/2005 così dispone:

«Il rifiuto del finanziamento non può riguardare:

a)      le spese di cui all’articolo 3, paragrafo 1, [del primo regolamento] eseguite più di 24 mesi prima della comunicazione scritta, da parte della Commissione allo Stato membro interessato, dei risultati delle verifiche;

b)      le spese per misure pluriennali che rientrano nelle spese di cui all’articolo 3, paragrafo 1, [del presente regolamento] o in quelle relative ai programmi di cui all’articolo 4, per le quali l’ultimo obbligo imposto al beneficiario risale a oltre 24 mesi prima della comunicazione scritta, da parte della Commissione allo Stato membro interessato, dei risultati delle verifiche;

(...)».

67      Tra le spese contemplate dall’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), del regolamento n. 1290/2005, come modificato dall’articolo 14 del regolamento n. 320/2006, figurano, tra le altre, gli aiuti alla ristrutturazione del settore dell’industria dello zucchero.

68      Inoltre, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento n. 320/2006, la concessione dell’aiuto alla ristrutturazione è subordinata alla realizzazione di due condizioni: da un lato, la rinuncia alla quota di produzione e, dall’altro, lo smantellamento completo o parziale degli impianti di produzione.

69      Per quanto riguarda la rinuncia alla quota di produzione, la Repubblica italiana asserisce, correttamente, che si tratta di una misura immediata, che interviene nel corso di una campagna di commercializzazione determinata.

70      Tuttavia, contrariamente a quanto sostiene la Repubblica italiana, la rinuncia alla quota di produzione non è «l’essenza del regime di cui trattasi», poiché l’articolo 3, paragrafo 1, lettere a) e b), del regolamento n. 320/2006 richiede altresì lo smantellamento completo o parziale degli impianti di produzione per la concessione dell’aiuto alla ristrutturazione per smantellamento completo o parziale. (v. punto 68 supra).

71      Orbene, lo smantellamento degli impianti di produzione implica la realizzazione, nel tempo, di varie operazioni complesse e, pertanto, non può costituire una misura puntuale.

72      Infatti, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 3, del regolamento n. 320/2006, lo smantellamento completo degli impianti di produzione richiede, in primo luogo, la cessazione completa e definitiva della produzione di zucchero, isoglucosio e sciroppo di inulina da parte degli impianti di produzione interessati, in secondo luogo, la chiusura dello zuccherificio o degli zuccherifici e lo smantellamento dei relativi impianti di produzione e, in terzo luogo, il ripristino di buone condizioni ambientali nel sito dismesso e l’agevolazione del reimpiego della manodopera.

73      Per quanto concerne lo smantellamento parziale, l’articolo 3, paragrafo 4, del regolamento n. 320/2006 prevede requisiti analoghi a quelli rammentati al precedente punto 72.

74      Peraltro, il fatto che le operazioni di ristrutturazione si estendano su un arco temporale pluriennale è anche confermato dall’articolo 6 del regolamento n. 968/2006, il quale ha previsto un termine per la realizzazione dello smantellamento degli impianti di produzione e per l’adempimento dei requisiti sociali e ambientali, la cui data limite, più volte modificata, è stata da ultimo fissata al 31 marzo 2012 dal regolamento di esecuzione n. 672/2011.

75      Infine, in risposta a un quesito posto dal Tribunale in udienza, la Repubblica italiana ha affermato che le operazioni di smantellamento dei siti di produzione di due imprese italiane che avevano chiesto la concessione di un aiuto alla ristrutturazione per smantellamento completo si erano svolte nell’arco di tre o quattro anni circa.

76      In considerazione di quanto precede, si deve constatare che gli aiuti alla ristrutturazione dell’industria dello zucchero non sono diretti a finanziare una misura puntuale, ma un insieme di misure la cui esecuzione effettiva avviene, in linea di principio, nell’arco di più anni. Pertanto, occorre dichiarare che il regime di ristrutturazione dell’industria dello zucchero costituisce una misura pluriennale ai sensi dell’articolo 31, paragrafo 4, lettera b), del regolamento n. 1290/2005.

77      Gli argomenti invocati dalla Repubblica italiana non sono atti a inficiare la conclusione che precede.

78      In primo luogo, la Repubblica italiana sostiene che il carattere puntuale delle misure finanziate dall’aiuto alla ristrutturazione è dimostrato dal fatto che l’articolo 10 del regolamento n. 320/2006 prevede il pagamento di un unico importo dell’aiuto alla ristrutturazione, sia pur articolato in due rate corrisposte nell’arco di un periodo inferiore a dodici mesi.

79      A tale proposito, dal combinato disposto dell’articolo 10, paragrafo 4, del regolamento n. 320/2006 e degli articoli 16, 22 e 25, paragrafo 1, del regolamento n. 968/2006 risulta che il pagamento dell’aiuto alla ristrutturazione per smantellamento completo, in più rate, è accompagnato dalla costituzione di garanzie, le quali saranno svincolate soltanto se, al termine del processo di ristrutturazione, le ispezioni di cui all’articolo 25, paragrafo 1, del regolamento n. 968/2006 avranno confermato, tra l’altro, che tutte le misure e le azioni previste nel piano di ristrutturazione sono state attuate.

80      Ne risulta che l’importo definitivo dell’aiuto alla ristrutturazione non può essere noto prima dello svincolo delle ultime garanzie detenute dagli Stati membri e, pertanto, dopo i controlli effettuati una volta terminate tutte le operazioni di ristrutturazione.

81      Quindi, anche supponendo che 24 mesi precedenti alla prima comunicazione del 9 dicembre 2010 tutti gli aiuti alla ristrutturazione siano stati versati alle imprese italiane, come ha sostenuto la Repubblica italiana in udienza, senza però dimostrarlo, l’importo di tali aiuti non era definitivo e poteva ancora essere soggetto a modifica.

82      Inoltre, come rilevato dalla Commissione in udienza, ipotizzando che il pagamento dell’aiuto alla ristrutturazione alle imprese italiane sia stato effettuato in un’unica soluzione, tale circostanza non escluderebbe la qualificazione come misura pluriennale del regime di ristrutturazione dell’industria dello zucchero. Invero, l’elemento determinante a tale proposito è il fatto che l’attuazione di tale regime comporta vari obblighi, la cui esecuzione non può essere immediata, ma si estende su più anni.

83      In secondo luogo, la Repubblica italiana sostiene in sostanza che se si applicasse l’articolo 31, paragrafo 4, lettera b), del regolamento n. 1290/2005 la Commissione potrebbe legittimamente contestare qualunque spesa sostenuta nell’ambito del regime temporaneo di ristrutturazione dell’industria dello zucchero, purché la comunicazione ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 1, primo comma, del regolamento n. 885/2006 sia intervenuta nel termine di 24 mesi a decorrere dall’assolvimento dell’ultimo obbligo posto in capo al beneficiario. Nel caso di specie, essa ritiene che la Commissione potesse quindi avviare una procedura di verifica di conformità sino al marzo 2015, ossia per un periodo di 24 mesi dopo la scadenza del termine per lo smantellamento degli impianti di produzione, ossia il 31 marzo 2012. In tal caso, una comunicazione della Commissione ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 1, primo comma, del regolamento n. 885/2006, che fosse intervenuta dopo la scadenza del termine per lo smantellamento completo, non avrebbe più consentito allo Stato membro di porre rimedio all’irregolarità constatata dalla Commissione. A suo parere, tale fatto si pone in contrasto con la ratio della procedura di verifica di conformità, uno dei cui elementi essenziali consisterebbe nel consentire allo Stato membro di porre rimedio alle irregolarità constatate dalla Commissione.

84      In risposta a un quesito posto dal Tribunale in udienza, la Repubblica italiana ha confermato che con il suo argomento, riportato al precedente punto 83, essa non aveva inteso invocare l’illegittimità dell’articolo 31, paragrafo 4, lettera b), del regolamento n. 1290/2005, bensì criticare, in sostanza, l’applicazione di tale disposizione nel caso di specie.

85      A tale riguardo è sufficiente constatare che la comunicazione ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 1, primo comma, del regolamento n. 885/2006, nella fattispecie la prima comunicazione del 9 dicembre 2010 (v. punto 24 supra) è stata inviata alla Repubblica italiana prima della scadenza dell’ultimo obbligo imposto ai beneficiari degli aiuti alla ristrutturazione, ossia il 31 marzo 2012 (v. punto 74 supra). Pertanto, la Repubblica italiana avrebbe potuto rimediare alle irregolarità constatate nella prima comunicazione del 9 dicembre 2010 o, per lo meno, avrebbe potuto adottare misure per tentare di rimediarvi.

86      In considerazione di quanto precede, la Commissione non è incorsa in errore considerando che gli aiuti alla ristrutturazione dell’industria dello zucchero erano diretti a finanziare una misura pluriennale e, pertanto, includendo nella rettifica controversa la totalità degli aiuti alla ristrutturazione concessi alle imprese italiane.

87      Di conseguenza, si deve respingere la prima parte del primo motivo.

 Sulla seconda parte del primo motivo, vertente sulla violazione delle prerogative della difesa e del principio del contraddittorio

88      La Repubblica italiana afferma, in sostanza, che, a causa della sua tardività, il mutamento di posizione della Commissione per quanto riguarda la base giuridica per il computo del termine di 24 mesi di cui all’articolo 31, paragrafo 4, del regolamento n. 1290/2005, avvenuto nella comunicazione formale del 16 agosto 2012, non le ha consentito di esercitare le sue prerogative della difesa e viola la natura contraddittoria della procedura di verifica di conformità.

89      La Commissione contesta gli argomenti della Repubblica italiana.

90      Secondo una giurisprudenza costante, la decisione finale e definitiva sulla liquidazione dei conti deve essere emanata al termine di uno specifico procedimento contraddittorio che garantisca debitamente agli Stati membri interessati la possibilità di esporre le loro ragioni (v. sentenza del 14 dicembre 2000, Germania/Commissione, C‑245/97, EU:C:2000:687, punto 47 e giurisprudenza citata).

91      Tale procedimento è disciplinato dall’articolo 11 del regolamento n. 885/2006, intitolato «Verifica di conformità», ai sensi del quale:

«1.      Qualora, a seguito di un’indagine, la Commissione ritenga che le spese non sono effettuate nel rispetto delle norme comunitarie, comunica le proprie risultanze allo Stato membro interessato e indica i provvedimenti correttivi da adottare per garantire, in futuro, l’osservanza delle norme stesse.

La comunicazione deve fare riferimento al presente articolo. Lo Stato membro risponde entro due mesi dal ricevimento della comunicazione e la Commissione può conseguentemente modificare la sua posizione. In casi giustificati la Commissione può accordare una proroga del termine per la risposta.

Alla scadenza del termine utile per la risposta, la Commissione convoca una riunione bilaterale ed entrambe le parti si adoperano per raggiungere un accordo sulle misure da adottare, come pure sulla valutazione della gravità dell’inosservanza e del danno finanziario causato alla Comunità.

2.      Entro due mesi dalla data di ricevimento dei verbali della riunione bilaterale di cui al paragrafo 1, terzo comma, gli Stati membri comunicano le informazioni richieste nel corso di tale riunione o qualsiasi altra informazione ritenuta utile per la verifica in corso.

(...)

Dopo la scadenza del termine di cui al primo comma, la Commissione comunica formalmente le proprie conclusioni allo Stato membro sulla base delle informazioni ricevute nell’ambito della procedura di verifica di conformità. La comunicazione in questione valuta la spesa che la Commissione prevede di escludere dal finanziamento comunitario ai sensi dell’articolo 31 del regolamento (…) n. 1290/2005 e fa riferimento all’articolo 16, paragrafo 1, del presente regolamento.

3.      (...)

La Commissione, dopo aver esaminato le eventuali relazioni redatte dall’organo di conciliazione a norma del capo 3 del presente regolamento, adotta, se necessario, una o più decisioni ai sensi dell’articolo 31 del regolamento (...) n. 1290/2005 per escludere dal finanziamento comunitario la spesa interessata dall’inosservanza delle norme comunitarie, fino a quando lo Stato membro abbia effettivamente attuato i provvedimenti correttivi.

(...)».

92      Conformemente a una giurisprudenza costante, la «comunicazione scritta» ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 1, primo comma, del regolamento n. 885/2006 deve procurare al governo interessato una perfetta conoscenza delle riserve formulate dalla Commissione, affinché essa possa adempiere la funzione di avvertimento conferita da tale disposizione (v. sentenza del 3 maggio 2012, Spagna/Commissione, C‑24/11 P, EU:C:2012:266, punto 27 e giurisprudenza citata).

93      Inoltre, dalla giurisprudenza risulta che l’articolo 11, paragrafo 1, primo comma, del regolamento n. 885/2006 deve essere letto in combinato disposto con l’articolo 31, paragrafo 4, del regolamento n. 1290/2005, secondo il quale la Commissione non può escludere le spese che sono state effettuate al di fuori di uno dei periodi contemplati da quest’ultima disposizione. Ne deriva che la comunicazione scritta prevista all’articolo 11, paragrafo 1, primo comma, del regolamento n. 885/2006 funge da avvertimento del fatto che le spese effettuate nel corso di un determinato periodo che precede la notifica di tale comunicazione possono essere escluse dal finanziamento da parte del Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (FEAOG) e, quindi, tale comunicazione costituisce l’elemento di riferimento per il calcolo del dies a quo di tale periodo (v., per analogia, sentenza del 3 maggio 2012, Spagna/Commissione, C‑24/11 P, EU:C:2012:266, punto 30).

94      Infine, l’articolo 11, paragrafo 1, primo comma, del regolamento n. 885/2006 non esige che la comunicazione scritta menzioni le spese da escludere (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 7 ottobre 2004, Svezia/Commissione, C‑312/02, EU:C:2004:594, punto 14). Non si richiede neppure che la comunicazione scritta menzioni esplicitamente il termine previsto dall’articolo 31, paragrafo 4, del regolamento n. 1290/2005 (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 24 gennaio 2002, Finlandia/Commissione, C‑170/00, EU:C:2002:51, punto 32). Infatti, per quanto riguarda i requisiti di forma, l’articolo 11, paragrafo 1, del regolamento n. 885/2006 opera una distinzione tra, da un lato, la «comunicazione delle risultanze», prevista al paragrafo 1, primo comma, che è quella di cui trattasi nella fattispecie, e, dall’altro, la «comunicazione formale delle conclusioni», prevista al paragrafo 2, terzo comma, che interviene in una fase successiva. Ne deriva che la prima comunicazione non deve soddisfare condizioni di forma così restrittive come nel caso della seconda (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 24 gennaio 2002, Finlandia/Commissione, C‑170/00, EU:C:2002:51, punto 29).

95      In via preliminare, dai precedenti punti da 68 a 76 risulta che gli aiuti alla ristrutturazione dell’industria dello zucchero finanziano misure pluriennali e, pertanto, che la base giuridica per il calcolo del termine di 24 mesi è l’articolo 31, paragrafo 4, lettera b), del regolamento n. 1290/2005.

96      Nel caso di specie, nella lettera che accompagnava i risultati dell’indagine EX/2010/010/IT, trasmessi alla Repubblica italiana con la prima comunicazione del 9 dicembre 2010, si afferma che l’eventuale «esclusione riguarderà solo le spese sostenute nei [24] mesi precedenti l’invio della [suddetta] comunicazione». La Commissione ha quindi fatto riferimento, implicitamente, ma necessariamente, all’articolo 31, paragrafo 4, lettera a), del regolamento n. 1290/2005 come base giuridica per il calcolo del termine di 24 mesi e non all’articolo 31, paragrafo 4, lettera b), del regolamento n. 1290/2005.

97      Tuttavia, al pari della Commissione, occorre rilevare che, nonostante la menzione figurante nella lettera contenuta nella prima comunicazione del 9 dicembre 2010, dall’allegato di tale lettera risultava chiaramente che la Commissione contestava l’ammissibilità delle imprese italiane in questione alla totalità degli aiuti alla ristrutturazione che esse avevano ricevuto. Infatti, si affermava in particolare che «[i] servizi della [Direzione generale dell’Agricoltura e dello Sviluppo rurale della Commissione] ritengono (...) che nessuna delle imprese interessate rispetti le condizioni necessarie per ricevere [l’aiuto alla ristrutturazione per smantellamento completo]» e che «[c]onsiderato che la maggior parte degli aiuti alla ristrutturazione sono già stati pagati e che la maggior parte delle cauzioni sono già state rilasciate alle imprese interessate, si precisa che l’amministrazione potrebbe, da ultimo, sostenere le conseguenze finanziarie di qualsiasi mancato rispetto dei requisiti previsti dai regolamenti».

98      Tenuto conto di quanto precede, la prima comunicazione del 9 dicembre 2010 forniva alle autorità italiane una conoscenza sufficiente delle riserve della Commissione e delle rettifiche che sarebbero state probabilmente applicate per quanto concerne le spese in questione, con la conseguenza che essa svolgeva la funzione di avvertimento propria della comunicazione scritta prevista all’articolo 11, paragrafo 1, primo comma, del regolamento n. 885/2006.

99      Sebbene durante la riunione bilaterale del 4 maggio 2011 la Commissione abbia indicato che l’indagine EX/2010/010/IT riguardava il periodo di 24 mesi anteriore all’invio della comunicazione di cui all’articolo 11, paragrafo 1, primo comma, del regolamento n. 885/2006 e che, pertanto, soltanto le spese sostenute tra il 10 dicembre 2008 e il 9 dicembre 2010 formavano oggetto di tale indagine, resta il fatto che nell’allegato 1 della comunicazione formale del 16 agosto 2012 la Commissione ha ribadito la posizione adottata nella prima comunicazione del 9 dicembre 2010. Infatti essa ha sostenuto, in sostanza, che la rettifica finanziaria poteva essere stabilita sulla base di tutte le spese effettuate dalla Repubblica italiana nell’ambito del regime di ristrutturazione temporaneo dell’industria dello zucchero, anche prima del periodo di 24 mesi anteriore all’invio della prima comunicazione del 9 dicembre 2010 e, pertanto, che, nel caso di specie, il termine di 24 mesi doveva essere calcolato in applicazione dell’articolo 31, paragrafo 4, lettera b), del regolamento n. 1290/2005.

100    In ogni caso occorre rilevare che, dopo avere ricevuto la comunicazione formale del 16 agosto 2012, la Repubblica italiana ha adito l’organo di conciliazione conformemente all’articolo 16 del regolamento n. 885/2006 e disponeva quindi della possibilità di contestare l’applicabilità dell’articolo 31, paragrafo 4, lettera b), del regolamento n. 1290/2005 dinanzi a tale organo (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 26 settembre 2012, Italia/Commissione, T‑84/09, non pubblicata, EU:T:2012:471, punto 35 e giurisprudenza citata).

101    Orbene, in udienza la Repubblica italiana ha ammesso che dinanzi all’organo di conciliazione essa non aveva emesso riserve riguardo all’applicabilità dell’articolo 31, paragrafo 4, lettera b), del regolamento n. 1290/2005 e che si era concentrata unicamente sulla questione di carattere sostanziale relativa alla possibilità di mantenere i silos controversi e di beneficiare di un aiuto alla ristrutturazione per smantellamento completo.

102    Infine si deve rammentare che, dopo la pronuncia della sentenza del 14 novembre 2013, SFIR e a. (da C‑187/12 a C‑189/12, EU:C:2013:737), con lettera del 28 marzo 2014 la Commissione ha concesso alla Repubblica italiana la possibilità di presentare osservazioni complementari (v. punto 32 supra). Orbene, neppure nella lettera di risposta del 30 maggio 2014 le autorità italiane hanno contestato l’applicazione dell’articolo 31, paragrafo 4, lettera b), del regolamento n. 1290/2005 al caso di specie (v. punto 33 supra).

103    In tale contesto la Repubblica italiana non può avvalersi dinanzi al Tribunale di una garanzia processuale della quale ha omesso essa stessa di fare uso durante la procedura di liquidazione dei conti (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 9 settembre 1999, Petrides/Commissione, C‑64/98 P, EU:C:1999:399, punto 32).

104    Di conseguenza, si deve respingere la seconda parte del primo motivo.

 Sulla terza parte del primo motivo, vertente, in sostanza, sull’insufficienza della motivazione

105    La Repubblica italiana eccepisce, in sostanza, l’insufficienza della motivazione della decisione impugnata per il motivo che le ragioni dell’improvviso e indebito mutamento della base giuridica per il computo del termine di 24 mesi, effettuato dalla Commissione nella comunicazione formale del 16 agosto 2012, erano spiegate in poche parole in tale comunicazione.

106    La Commissione non si pronuncia a tale riguardo.

107    Da una giurisprudenza costante risulta che nel particolare contesto dell’elaborazione delle decisioni relative alla liquidazione dei conti, la motivazione della decisione deve essere considerata sufficiente qualora lo Stato destinatario sia stato strettamente associato al procedimento di elaborazione di tale decisione e conosca i motivi per i quali la Commissione riteneva di non dover imputare al FEAOG l’importo controverso (sentenze del 1° ottobre 1998, Paesi Bassi/Commissione, C‑27/94, EU:C:1998:446, punto 36, e del 10 settembre 2008, Italia/Commissione, T‑181/06, non pubblicata, EU:T:2008:331, punto 32).

108    Nel caso di specie, all’allegato I della comunicazione formale del 16 agosto 2012, al punto 12 della parte «Argomentazione», la Commissione ha ricordato che il regime temporaneo di ristrutturazione dell’industria dello zucchero riguardava il periodo dal 1° luglio 2006 al 31 marzo 2012, ossia un periodo di 69 mesi. Inoltre, al punto 13 della parte «Argomentazione», essa ha spiegato che tale regime costituiva una misura pluriennale conformemente all’articolo 3 del regolamento n. 1290/2005, in base alla quale i pagamenti scaglionati delle varie rate dell’aiuto alla ristrutturazione per smantellamento completo erano stati effettuati. Inoltre, la Commissione ha affermato che il pagamento di ogni rata dell’aiuto alla ristrutturazione per smantellamento completo era subordinato alla costituzione di una garanzia di importo pari al 120% di quello della rata corrispondente. La Commissione ha inoltre spiegato che, conformemente all’articolo 31, paragrafo 4, lettera b), del regolamento n. 1290/2005, la valutazione di conformità di tali spese con gli obiettivi del fondo di ristrutturazione dell’industria dello zucchero e dei regolamenti connessi poteva essere effettuata solo alla data dell’ultimo obbligo imposto al beneficiario, ossia il 31 marzo 2012. Al punto 15 della parte «Argomentazione» dell’allegato I della comunicazione formale del 16 agosto 2012, la Commissione ha concluso, in sostanza, che, poiché i silos controversi non erano stati smantellati al 31 marzo 2012, tutte le spese relative agli aiuti alla ristrutturazione concessi alle imprese italiane erano interessate dalla procedura di verifica di conformità.

109    È quindi dimostrato che, nella comunicazione formale del 16 agosto 2012, la Commissione ha sufficientemente esposto i motivi per i quali la rettifica finanziaria doveva includere tutte le spese sostenute nel corso del periodo calcolato in applicazione dell’articolo 31, paragrafo 4, lettera b), del regolamento n. 1290/2005. Inoltre, i motivi ricordati al precedente punto 108 consentivano alla Repubblica italiana di comprendere le ragioni per le quali la Commissione aveva cambiato posizione per quanto concerne la base giuridica per il computo del termine di 24 mesi di cui all’articolo 31, paragrafo 4, del regolamento n. 1290/2005.

110    Di conseguenza, si deve respingere la terza parte del primo motivo e, pertanto, il primo motivo nella sua interezza.

 Sul secondo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 11 del regolamento n. 885/2006, delle prerogative della difesa, dei regolamenti nn. 320/2006 e 968/2006 e della sentenza del 14 novembre 2013, SFIR e a. (da C187/12 a C189/12)

111    Il presente motivo si articola in due parti. La prima parte riguarda, in sostanza, la violazione dell’articolo 11 del regolamento n. 885/2006 e delle prerogative della difesa. La seconda parte riguarda la violazione dei regolamenti nn. 320/2006 e 968/2006 nonché della sentenza del 14 novembre 2013, SFIR e a. (da C‑187/12 a C‑189/12, EU:C:2013:737).

 Sulla prima parte del secondo motivo, vertente, in sostanza, sulla violazione dell’articolo 11 del regolamento n. 885/2006 e delle prerogative della difesa

112    La Repubblica italiana afferma, in sostanza, che la prima comunicazione del 9 dicembre 2010 viola l’articolo 11, paragrafo 1, primo comma, del regolamento n. 885/2006, in quanto non le avrebbe fornito una perfetta conoscenza delle riserve della Commissione e non le avrebbe consentito di beneficiare delle prerogative della difesa sancite da tale disposizione. In proposito essa sostiene, da un lato, che nella prima comunicazione del 9 dicembre 2010 la Commissione asseriva che i silos erano in ogni caso impianti di produzione, mentre nella lettera del 28 marzo 2014, inviata dopo la pronuncia della sentenza del 14 novembre 2013, SFIR e a. (da C‑187/12 a C‑189/12, EU:C:2013:737), essa avrebbe riconosciuto che i silos non dovevano essere necessariamente considerati impianti di produzione. Dall’altro lato, essa rileva che la prima comunicazione del 9 dicembre 2010 non conteneva alcun accenno al fatto che l’uso dei silos doveva essere valutato alla data della domanda di aiuto alla ristrutturazione per smantellamento completo (in prosieguo: il «criterio stabilito dalla Commissione»). A suo avviso, solo con la lettera della Commissione del 28 marzo 2014 essa avrebbe avuto una perfetta conoscenza delle riserve di quest’ultima concernenti la questione dello smantellamento dei silos in caso di aiuto alla ristrutturazione per smantellamento completo. Orbene, in tale data essa non poteva più beneficiare di tutte le garanzie procedurali sancite dall’articolo 11 del regolamento n. 885/2006 né esercitare le sue prerogative della difesa.

113    La Commissione contesta gli argomenti della Repubblica italiana.

114    Si deve ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, la decisione finale e definitiva sulla liquidazione dei conti deve essere emanata al termine di uno specifico procedimento contraddittorio che garantisca debitamente agli Stati membri interessati la possibilità di esporre le loro ragioni (sentenze del 29 gennaio 1998, Grecia/Commissione, C‑61/95, EU:C:1998:27, punto 39; del 14 dicembre 2000, Germania/Commissione, C‑245/97, EU:C:2000:687, punto 47, e del 3 luglio 2014, Paesi Bassi/Commissione, T‑16/11, non pubblicata, EU:T:2014:603, punto 69).

115    Inoltre, dai termini dell’articolo 11, paragrafo 1, primo comma, del regolamento n. 885/2006 discende che la prima comunicazione deve precisare il risultato delle verifiche della Commissione allo Stato membro interessato e indicare i provvedimenti correttivi da adottare per garantire, in futuro, l’osservanza delle norme dell’Unione di cui trattasi (v. punto 91 supra).

116    Nel caso di specie, come è stato esposto al precedente punto 25, dalla prima comunicazione del 9 dicembre 2010 risulta che, per la Commissione, le condizioni per la concessione dell’aiuto alla ristrutturazione per smantellamento completo non erano soddisfatte, dato che taluni impianti di produzione, tra i quali i silos controversi, erano stati mantenuti nei vecchi siti di produzione di zucchero visitati dagli ispettori della Commissione. In tale comunicazione quest’ultima ha inoltre osservato che le imprese italiane non erano ammissibili all’aiuto alla ristrutturazione per smantellamento completo se non eseguivano completamente i piani di ristrutturazione e se gli altri edifici connessi all’attività produttiva, tra cui i silos controversi, non venivano demoliti.

117    Nella lettera del 9 febbraio 2011 la Repubblica italiana ha contestato la posizione della Commissione secondo la quale i silos erano in ogni caso impianti di produzione soggetti all’obbligo di smantellamento, sostenendo in sostanza, da un lato, che i silos controversi non costituivano impianti di produzione in quanto erano esclusivamente destinati allo stoccaggio del prodotto finito e, dall’altro, che l’interpretazione della Commissione era contraria ai regolamenti nn. 320/2006 e 968/2006. La Repubblica italiana ha ribadito la sua posizione in occasione della riunione bilaterale del 4 maggio 2011, nelle sue osservazioni del 2 novembre 2011 sul verbale di tale riunione e nel corso del procedimento di conciliazione.

118    Durante la riunione bilaterale del 4 maggio 2011 la Commissione ha ribadito la sua posizione secondo la quale i silos controversi dovevano essere considerati parte integrante degli impianti di produzione e, in quanto tali, dovevano essere smantellati.

119    Inoltre, nella sentenza del 14 novembre 2013, SFIR e a. (da C‑187/12 a C‑189/12, EU:C:2013:737), la Corte ha dichiarato, in sostanza, che la nozione di «impianti di produzione» ricomprendeva i silos destinati allo stoccaggio dello zucchero del beneficiario dell’aiuto alla ristrutturazione. Essa ha tuttavia considerato che ciò non avveniva in due ipotesi (in prosieguo: le «eccezioni poste dalla Corte»): da un lato, quando fosse dimostrato che i silos erano impiegati unicamente per lo stoccaggio di zucchero, prodotto entro la quota, depositato da altri produttori o acquistato presso questi ultimi e, dall’altro, quando erano utilizzati esclusivamente per il confezionamento o l’imballaggio di zucchero prodotto altrove ai fini della sua commercializzazione (sentenza del 14 novembre 2013, SFIR e a., da C‑187/12 a C‑189/12, EU:C:2013:737, punti 32, 33 e 35).

120    Alla luce della sentenza del 14 novembre 2013, SFIR e a. (da C‑187/12 a C‑189/12, EU:C:2013:737), la Commissione ha adattato la sua posizione rispetto alla qualificazione dei silos e, come è stato rammentato ai precedenti punti 32 e 102, con lettera del 28 marzo 2014 ha concesso un termine di due mesi alle autorità italiane per produrre prove convincenti del fatto che, nella specie, i silos controversi servissero, prima delle domande di concessione degli aiuti controversi, esclusivamente allo stoccaggio e al confezionamento dello zucchero prodotto entro la quota da altri produttori.

121    La Repubblica italiana non ha ottemperato a tale richiesta. Infatti, nella lettera del 30 maggio 2014, essa si è limitata a contestare il criterio stabilito dalla Commissione. A tale proposito essa ha in particolare asserito che la Corte aveva espressamente riconosciuto, nella sentenza del 14 novembre 2013, SFIR e a. (da C‑187/12 a C‑189/12, EU:C:2013:737), che i silos di stoccaggio potevano non essere smantellati se fosse stato dimostrato che essi erano destinati allo stoccaggio dello zucchero depositato da altri produttori o acquistato presso questi ultimi o che erano destinati all’imballaggio dello zucchero prodotto altrove. A suo avviso era quindi inutile valutare quale fosse l’uso dei silos prima della domanda di aiuto alla ristrutturazione. Infine, essa ha precisato che le autorità italiane avevano trasmesso alla Commissione tutta la documentazione relativa al procedimento di ammissione all’aiuto alla ristrutturazione per smantellamento completo, compresi i piani di ristrutturazione approvati e le relazioni annuali dei controlli effettuati in loco, indicanti gli impianti e le attrezzature demoliti e quelli conservati, nonché il reale utilizzo di ciascuno di essi.

122    Da quanto precede risulta che la Repubblica italiana ha rinunciato a presentare elementi probatori atti a dimostrare che i silos controversi non costituivano impianti di produzione alla data della domanda di aiuto e, pertanto, a esercitare i suoi diritti della difesa riguardanti tale questione.

123    Tenuto conto di quanto precede e in considerazione della giurisprudenza citata al precedente punto 103, la censura vertente sulla violazione delle prerogative della difesa è infondata e dev’essere respinta.

124    Di conseguenza, si deve respingere la prima parte del secondo motivo.

 Sulla seconda parte del secondo motivo, vertente sulla violazione dei regolamenti nn. 320/2006 e 968/2006 nonché della sentenza del 14 novembre 2013, SFIR e a. (da C187/12 a C189/12)

125    La Repubblica italiana, sostenuta dalla Repubblica francese e dall’Ungheria, afferma in sostanza che, nel ritenere che il mantenimento dei silos controversi ostacolasse la concessione dell’aiuto alla ristrutturazione per smantellamento completo, la Commissione ha violato i regolamenti nn. 320/2006 e 968/2006, nonché la sentenza del 14 novembre 2013, SFIR e a. (da C‑187/12 a C‑189/12, EU:C:2013:737).

126    La Commissione contesta gli argomenti della Repubblica italiana, della Repubblica francese e dell’Ungheria.

127    In via preliminare si deve rammentare che, nella sentenza del 14 novembre 2013, SFIR e a. (da C‑187/12 a C‑189/12, EU:C:2013:737), dopo aver constatato che la nozione di «impianti di produzione» non era definita dai regolamenti nn. 320/2006 e 968/2006, in primo luogo la Corte ha rilevato che la nozione di «produzione» poteva comprendere anche altre fasi della fabbricazione di un prodotto situate a monte o a valle del processo chimico o fisico di trasformazione e, pertanto, che essa poteva includere lo stoccaggio dello zucchero che non veniva confezionato immediatamente dopo la sua estrazione dalla materia prima. Essa ha quindi concluso che lo stoccaggio poteva essere «direttamente connesso alla produzione di zucchero» ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 968/2006 (sentenza del 14 novembre 2013, SFIR e a., da C‑187/12 a C‑189/12, EU:C:2013:737, punto 26). In secondo luogo, la Corte ha considerato che i silos potevano incidere direttamente sulle quantità di zucchero producibili e sui processi di produzione, che dipendevano dalla vicinanza di un impianto di stoccaggio, in quanto essi consentivano in particolare di differire, in tutto o in parte, la vendita del prodotto di una data campagna di zucchero e, per questa via, di influire sul mercato ai sensi del considerando 5 del regolamento n. 320/2006 (sentenza del 14 novembre 2013, SFIR e a., da C‑187/12 a C‑189/12, EU:C:2013:737, punti da 27 a 29). In terzo luogo, essa ha considerato, in sostanza, che dall’articolo 3, paragrafo 3, lettere a) e b), del regolamento n. 320/2006 discendeva che, in linea di principio, al fine di beneficiare di un aiuto alla ristrutturazione per smantellamento completo, il complesso industriale in questione doveva essere dismesso completamente e la facoltà di non smantellare o di continuare a utilizzare in futuro altri impianti non di produzione, conservando al contempo il diritto all’aiuto integrale, costituiva un’eccezione da interpretare in senso stretto (sentenza del 14 novembre 2013, SFIR e a., da C‑187/12 a C‑189/12, EU:C:2013:737, punto 30).

128    Alla luce di quanto precede, al punto 31 della sentenza del 14 novembre 2013, SFIR e a. (da C‑187/12 a C‑189/12, EU:C:2013:737), la Corte ha dichiarato che i silos destinati allo stoccaggio dello zucchero del beneficiario dell’aiuto dovevano essere considerati impianti di produzione, e ciò indipendentemente dalla circostanza che fossero utilizzati altresì per altri usi. Tuttavia, la Corte ha posto due eccezioni a tale principio (v. punto 119 supra).

129    Nel caso di specie la Repubblica italiana non contesta che, in esito al processo di ristrutturazione, i silos controversi siano stati mantenuti in vari siti di produzione di zucchero appartenenti alle imprese italiane che avevano beneficiato di un aiuto alla ristrutturazione per smantellamento completo. Essa non contesta nemmeno di non avere fornito elementi a dimostrazione del fatto che, nel momento in cui erano state presentate le domande di concessione degli aiuti alla ristrutturazione totale, i silos controversi rientravano nelle eccezioni poste dalla Corte.

130    La Repubblica italiana, sostenuta dalla Repubblica francese e dall’Ungheria, ritiene tuttavia che le circostanze ricordate al precedente punto 129 non possano giustificare la rettifica finanziaria che le è stata imposta.

131    Dai considerando 1 e 5 del regolamento n. 320/2006 risulta che l’obiettivo della normativa in questione è quello di ridurre la capacità di produzione di zucchero non redditizia nell’Unione incentivando le imprese meno produttive ad abbandonare la produzione di zucchero entro quota e a rinunciare alle quote corrispondenti.

132    Dal considerando 5 del regolamento n. 320/2006 discende inoltre che il regime di ristrutturazione si fonda sulla partecipazione volontaria dell’impresa saccarifera, mirando a introdurre un incentivo economico sostanziale sotto forma di congruo aiuto alla ristrutturazione (v., in tal senso, sentenza del 14 novembre 2013, SFIR e a., da C‑187/12 a C‑189/12, EU:C:2013:737, punto 44).

133    Al fine di conseguire l’obiettivo della riduzione della capacità produttiva di zucchero non redditizia nell’Unione, perseguito dalla normativa di cui trattasi, il legislatore dell’Unione ha previsto due regimi di ristrutturazione diversi a seconda del tipo di smantellamento operato, ossia lo smantellamento completo o lo smantellamento parziale, i quali determinavano un importo di aiuto alla ristrutturazione diverso, come risulta dall’articolo 3, paragrafo 5, lettere a) e b), del regolamento n. 320/2006, in combinato disposto con il considerando 4 del regolamento n. 968/2006.

134    In primo luogo, per quanto attiene alle condizioni che devono essere soddisfatte al fine della concessione di un aiuto alla ristrutturazione per smantellamento completo, l’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), e paragrafo 3, lettera b), del regolamento n. 320/2006 prevede che l’impresa produttrice di zucchero richiedente rinunci alla quota che ha destinato a uno o più dei suoi zuccherifici e che proceda alla chiusura dello zuccherificio e allo smantellamento completo degli impianti di produzione. Invece, ai fini della concessione di un aiuto alla ristrutturazione per smantellamento parziale, l’articolo 3, paragrafo 1, lettera b), e paragrafo 4, lettera b), del regolamento n. 320/2006 impone all’impresa produttrice di zucchero richiedente di rinunciare alla quota che ha destinato a uno o più dei suoi zuccherifici e di smantellare parzialmente gli impianti di produzione degli zuccherifici interessati e di non utilizzare più i restanti impianti produttivi per la produzione di prodotti che rientrano nell’organizzazione comune dei mercati nel settore dello zucchero (in prosieguo: l’«OCM zucchero»).

135    In secondo luogo, il perimetro dell’obbligo di smantellamento degli impianti di produzione è stato precisato dall’articolo 4 del regolamento n. 968/2006.

136    Ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 968/2006, l’obbligo di smantellamento completo previsto dall’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 320/2006 riguarda gli impianti necessari per la produzione di zucchero, isoglucosio o sciroppo di inulina [articolo 4, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 968/2006], quelli direttamente connessi alla produzione di zucchero, isoglucosio o sciroppo di inulina e necessari per gestire la produzione rientrante nella quota rinunciata, anche se potrebbero essere utilizzati per altre produzioni [articolo 4, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 968/2006], nonché tutti gli altri impianti, quali gli impianti di imballaggio, lasciati inutilizzati e che devono essere smantellati e rimossi per ragioni ambientali [articolo 4, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 968/2006].

137    Conformemente all’articolo 4, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 968/2006, in combinato disposto con l’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 320/2006 e con il considerando 4 del regolamento n. 968/2006, possono quindi essere eccezionalmente conservati, in caso di smantellamento completo, tutti gli impianti diversi da quelli necessari alla produzione di zucchero, isoglucosio o sciroppo di inulina o che sono direttamente connessi alla produzione di tali prodotti, quali gli impianti di imballaggio, a condizione che siano utilizzati e non siano destinati a essere smantellati e rimossi per ragioni ambientali.

138    Inoltre, l’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 968/2006 prevede che, in caso di smantellamento parziale, l’obbligo di smantellamento si estende agli impianti di cui al paragrafo 1 del medesimo articolo (v. punto 136 supra) non destinati ad essere utilizzati per altre produzioni o per altri usi del sito industriale secondo il piano di ristrutturazione. Ancora, dall’articolo 3, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 320/2006 risulta che gli impianti di produzione che possono essere conservati non devono più essere utilizzati per la produzione di prodotti che rientrano nell’OCM zucchero. Quindi, conformemente all’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 968/2006, in combinato disposto con l’articolo 3, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 320/2006, possono essere conservati gli impianti che erano necessari alla produzione di zucchero, isoglucosio o sciroppo di inulina o che erano direttamente connessi alla produzione di tali prodotti, a condizione che essi non siano più utilizzati per la produzione di prodotti rientranti nell’OCM zucchero e che siano destinati ad essere utilizzati per altre produzioni o per altri usi del sito industriale secondo il piano di ristrutturazione.

139    In terzo luogo, la scelta tra lo smantellamento completo e lo smantellamento parziale dev’essere operata dalle imprese produttrici di zucchero al momento della domanda di aiuto alla ristrutturazione.

140    Infatti, dal combinato disposto dell’articolo 4, paragrafo 2, lettere a), c), d) ed e), e paragrafo 3, lettere c) e h), del regolamento n. 320/2006, nonché dell’articolo 9, paragrafo 2, lettere a) e c), del regolamento n. 968/2006, discende che una domanda di aiuto alla ristrutturazione deve comprendere, in particolare, l’impegno del richiedente l’aiuto, da un lato, a rinunciare alla quota pertinente e, dall’altro, a smantellare completamente o parzialmente gli impianti di produzione entro i termini che lo Stato membro interessato deve stabilire, nonché un piano di ristrutturazione contenente, tra l’altro, una descrizione tecnica completa degli impianti di produzione interessati, una sintesi delle misure e degli interventi, la stima dei relativi costi, il piano finanziario e i tempi di esecuzione delle diverse misure proposte.

141    Conformemente alle disposizioni menzionate al precedente punto 140, è quindi al più tardi alla data della domanda di aiuto alla ristrutturazione per smantellamento completo o parziale che il beneficiario dell’aiuto deve avere individuato tutti gli impianti di produzione che egli si impegna a smantellare secondo il piano di ristrutturazione. Ciò presuppone quindi, per quanto riguarda i silos controversi, che si stabilisca già a partire dalla domanda di aiuto se essi costituiscano impianti di produzione il cui smantellamento dev’essere obbligatoriamente previsto dal piano di ristrutturazione nel momento in cui la concessione di un aiuto alla ristrutturazione per smantellamento completo è richiesta, o se essi rientrino nelle eccezioni poste dalla Corte.

142    Qualsiasi interpretazione contraria svuoterebbe di senso i requisiti posti all’articolo 4 del regolamento n. 320/2006 e all’articolo 9 del regolamento n. 968/2006 e, per giunta, disconoscerebbe la distinzione tra smantellamento parziale e smantellamento completo operata dalla normativa di cui trattasi (v. punto 133 supra).

143    A tale proposito, da un lato, nell’ipotesi in cui alla data della domanda di aiuto alla ristrutturazione le imprese produttrici di zucchero non sapessero se i silos presenti nei loro siti di produzione costituiscano o meno impianti di produzione, essi non sarebbero menzionati nel piano di ristrutturazione come impianti di produzione che devono essere smantellati, in violazione dell’articolo 4, paragrafo 3, lettera c), del regolamento n. 320/2006 (v. punto 140 supra).

144    Inoltre, l’impegno a smantellare tutti gli impianti di produzione, che dev’essere allegato alla domanda di aiuto alla ristrutturazione per smantellamento completo (v. punto 140 supra) sarebbe viziato poiché, per ipotesi, non riguarderebbe la totalità degli impianti di produzione esistenti alla data in cui tale impegno è stato assunto.

145    Dall’altro lato, se la qualificazione dei silos come impianti di produzione fosse valutata alla fine del processo di ristrutturazione, sia in caso di smantellamento completo sia in caso di smantellamento parziale ciò permetterebbe di mantenere dei silos che, alla data della domanda di aiuto, costituivano impianti di produzione per il motivo che, dopo la ristrutturazione, non sarebbero più utilizzati come impianti di produzione di zucchero. Pertanto, la facoltà di mantenere una parte degli impianti di produzione non sarebbe più caratteristica dello smantellamento parziale, ma si estenderebbe anche allo smantellamento completo, ancorché a causa dei costi elevati connessi allo smantellamento completo gli operatori otterranno un importo di aiuto alla ristrutturazione del 25% superiore a quello concesso in caso di smantellamento parziale, come risulta dall’articolo 3, paragrafo 5, lettere a) e b), del regolamento n. 320/2006 e dal considerando 4 del regolamento n. 968/2006.

146    Di conseguenza, contrariamente a quanto sostengono la Repubblica italiana, la Repubblica francese e l’Ungheria, la Commissione non è incorsa in errore nel ritenere che la qualificazione dei silos controversi dovesse essere valutata alla data della domanda di aiuto alla ristrutturazione.

147    La conclusione che precede non può essere inficiata dagli argomenti dedotti dalla Repubblica italiana, dalla Repubblica francese e dall’Ungheria.

148    In primo luogo, la Repubblica italiana sostiene che, per quanto riguarda i silos destinati all’attività di imballaggio e di confezionamento, il criterio stabilito dalla Commissione non è conforme all’obiettivo perseguito dalla normativa di cui trattasi consistente nel salvaguardare l’occupazione e l’attività delle imprese interessate dalla ristrutturazione. A tale proposito essa rammenta che la normativa di cui trattasi consente espressamente la conservazione delle attività di confezionamento e degli impianti necessari a tal fine. Orbene, a suo avviso è pacifico che per assicurare continuità all’attività di confezionamento è sempre necessario disporre di silos. Conseguentemente, se si demolisse un silos utilizzato per il confezionamento, ciò comporterebbe l’interruzione dell’attività dell’impresa interessata e la perdita di posti di lavoro, il che sarebbe contrario all’obiettivo precedentemente ricordato.

149    A tale riguardo occorre rilevare che diverse disposizioni dei regolamenti nn. 320/2006 e 968/2006 dimostrano l’importanza che il legislatore dell’Unione ha attribuito alla situazione dell’impiego nelle regioni interessate dalla ristrutturazione dell’industria dello zucchero. A titolo di esempio, dall’articolo 3, paragrafo 3, lettera c), e paragrafo 4, lettera c), del regolamento n. 320/2006 deriva che lo smantellamento completo e lo smantellamento parziale degli impianti di produzione richiedono l’adozione di misure dirette ad agevolare il reimpiego della manodopera. Inoltre, in caso di smantellamento parziale, l’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 968/2006, in combinato disposto con l’articolo 3, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 320/2006, autorizza la conservazione degli impianti di produzione al fine di destinarli alla produzione di prodotti diversi da quelli che rientrano nell’OCM zucchero (v. punto 138 supra), consentendo così di mantenere i posti di lavori sui vecchi siti di produzione di zucchero. Allo stesso modo, l’articolo 4, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 968/2006, letto alla luce del considerando 4 del medesimo regolamento, autorizza, in caso di smantellamento completo, il mantenimento degli impianti diversi da quelli necessari alla produzione di zucchero, isoglucosio o sciroppo di inulina o che sono direttamente connessi alla produzione di tali prodotti, quali gli impianti di confezionamento che siano utilizzati e non siano destinati a essere smantellati e rimossi per ragioni ambientali (v. punto 137 supra).

150    Ciò premesso, l’obiettivo di protezione dell’occupazione e dell’attività delle imprese interessate dalla ristrutturazione dev’essere valutato congiuntamente all’obiettivo principale della normativa di cui trattasi, ossia la riduzione della capacità produttiva di zucchero non redditizia nell’Unione, conformemente ai considerando 1 e 5 del regolamento n. 320/2006 (v. punto 131 supra).

151    Inoltre, le considerazioni di ordine sociale invocate dalla Repubblica italiana non possono giustificare l’interpretazione da essa proposta della normativa di cui trattasi, la quale compromette la distinzione essenziale che il legislatore dell’Unione ha inteso tracciare tra smantellamento parziale e completo (v. punti 133, 134 e 145 supra) e, pertanto, è contraria alla suddetta normativa.

152    Si deve di conseguenza respingere l’argomento della Repubblica italiana.

153    In secondo luogo, la Repubblica italiana, la Repubblica francese e l’Ungheria sostengono, in sostanza, che all’obbligo di smantellamento completo degli impianti di produzione si può adempiere anche se i silos destinati al confezionamento o all’imballaggio non sono distrutti, poiché vi sarebbe rinuncia alla quota di produzione e, di conseguenza, definitiva cessazione della produzione di zucchero.

154    Dai precedenti punti 133, 134 e 145 risulta che, al fine di raggiungere l’obiettivo della riduzione della capacità produttiva di zucchero non redditizia nell’Unione perseguito dalla normativa di cui trattasi, il legislatore dell’Unione ha previsto due regimi di ristrutturazione diversi a seconda del tipo di smantellamento operato, i quali determinano un importo dell’aiuto alla ristrutturazione diverso. Inoltre, come indicato ai precedenti punti da 139 a 141, la scelta tra lo smantellamento parziale e lo smantellamento completo implica che l’impresa che chiede l’aiuto alla ristrutturazione individui, dal momento della domanda di aiuto, tutti gli impianti di produzione presenti nel sito interessato che essa si impegna a demolire completamente o parzialmente al più tardi al termine del processo di ristrutturazione.

155    Pertanto, la logica del sistema predisposto dal legislatore dell’Unione richiede che l’individuazione degli impianti di produzione da smantellare sia effettuata dal momento della domanda di aiuto alla ristrutturazione. Di conseguenza, contrariamente a quanto affermato dall’Ungheria, il criterio stabilito dalla Commissione non contraddice la logica del regime di ristrutturazione dell’industria dello zucchero.

156    In considerazione di quanto precede, gli argomenti dedotti dalla Repubblica italiana, dalla Repubblica francese e dall’Ungheria devono essere respinti.

157    In terzo luogo, la Repubblica italiana critica la Commissione per averle chiesto, nella lettera del 28 marzo 2014, di dimostrare che i silos di imballaggio controversi erano utilizzati unicamente per imballare lo zucchero prodotto da altri produttori. Infatti, a suo parere, il mantenimento dei silos destinati all’imballaggio era autorizzato dall’articolo 4, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 968/2006 e, pertanto, era indifferente che lo zucchero da imballare provenisse da altri produttori o dal gestore dell’impianto. Inoltre, al pari della Repubblica francese, essa sostiene che dal punto 33 della sentenza del 14 novembre 2013, SFIR e a. (da C‑187/12 a C‑189/12, EU:C:2013:737) discende che i silos di imballaggio o di confezionamento sfuggono alla qualificazione come impianti di produzione se lo zucchero conservato in tali silos è «prodotto altrove entro la quota», mentre, per i silos di stoccaggio, sarebbe necessario, conformemente al punto 32 della sentenza del 14 novembre 2013, SFIR e a. (da C‑187/12 a C‑189/12, EU:C:2013:737), che lo zucchero sia stato acquistato presso altri produttori.

158    In primo luogo, è stato già indicato in precedenza ai punti 136 e 137 che l’articolo 4, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 968/2006 autorizza esclusivamente il mantenimento degli impianti diversi da quelli di produzione. Pertanto, la Commissione aveva chiesto a buon diritto alla Repubblica italiana di dimostrare, in sostanza, che i silos di confezionamento controversi, la cui presenza nei siti di produzione smantellati era stata accertata nell’ambito dell’indagine EX/2010/010/IT, rientravano in una delle eccezioni poste dalla Corte alla data della domanda di aiuto alla ristrutturazione e sfuggivano quindi alla qualificazione come impianti di produzione.

159    In secondo luogo, nella sentenza del 14 novembre 2013, SFIR e a. (da C‑187/12 a C‑189/12, EU:C:2013:737, punti 26 e 31), la Corte ha dichiarato che un silo utilizzato per lo stoccaggio dello zucchero del beneficiario dell’aiuto costituiva un impianto direttamente connesso alla produzione di zucchero ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 968/2006. Esso non rientrava quindi in altri impianti, quali in particolare gli impianti di imballaggio, contemplati all’articolo 4, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 968/2006, il cui mantenimento può essere ammesso in caso di smantellamento completo a condizione che siano utilizzati e non siano destinati a essere smantellati e rimossi per ragioni ambientali.

160    Pertanto, l’articolo 4, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 968/2006 non può autorizzare il mantenimento di silos che erano utilizzati per lo stoccaggio della produzione del beneficiario dell’aiuto, dato che tale mantenimento può avvenire soltanto in caso di smantellamento parziale e a condizione che, al termine della ristrutturazione, tali silos non siano più utilizzati per la produzione di prodotti rientranti nell’OCM zucchero.

161    Tenuto conto di quanto precede, occorre respingere anche l’argomento esposto dall’Ungheria nella risposta al quesito scritto del Tribunale, secondo il quale il considerando 4 del regolamento n. 968/2006 distinguerebbe, all’interno degli impianti di produzione, un sottogruppo di impianti «che non fanno parte della linea di produzione», tra cui i silos per lo stoccaggio dello zucchero, e il cui mantenimento sarebbe ammesso indipendentemente dal carattere completo o parziale dello smantellamento.

162    In terzo luogo, nel corso della procedura di verifica di cui trattasi, la Repubblica italiana non ha dimostrato e nemmeno sostenuto che, alla data della domanda di aiuto alla ristrutturazione, i silos controversi erano utilizzati per l’imballaggio e il confezionamento dello zucchero prodotto altrove dal beneficiario dell’aiuto in virtù di un’altra quota di produzione. Pertanto, non occorre rispondere all’argomento della Repubblica italiana secondo il quale, in sostanza, i silos di imballaggio o di confezionamento di zucchero «prodotto altrove entro la quota» rientrano in una delle eccezioni poste dalla Corte, dato che esso non mette in discussione l’accertamento operato dalla Commissione secondo il quale i silos controversi non rientravano in una delle eccezioni poste dalla Corte alla data della domanda di aiuto alla ristrutturazione.

163    Si deve di conseguenza respingere l’argomento della Repubblica italiana.

164    In quarto luogo, la Repubblica italiana asserisce, in sostanza, che le conseguenze della rettifica finanziaria applicata dalla Commissione e dello smantellamento dei silos controversi sono sproporzionate rispetto agli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui trattasi, i quali sarebbero pienamente raggiunti con la rinuncia alla quota e con la conseguente cessazione definitiva della produzione di zucchero.

165    Si deve anzitutto rilevare che la normativa di cui trattasi impone la demolizione degli impianti di produzione, ivi compresi i silos che servivano allo stoccaggio dello zucchero prodotto dal beneficiario dell’aiuto, soltanto nel caso dello smantellamento completo. Tale obbligo non sembra sproporzionato alla luce dell’obiettivo di riduzione della capacità produttiva di zucchero non redditizia nell’Unione perseguito dalla normativa di cui trattasi.

166    Inoltre, il mantenimento dei silos, se fossero qualificati come impianti di produzione alla data della domanda di aiuto, è ammesso nell’ipotesi di smantellamento parziale. In tal caso, il beneficiario dell’aiuto non dovrà smantellare i silos e potrà continuare a esercitare attività economiche nel sito di produzione parzialmente smantellato. Per tali ragioni, esso percepirà un importo dell’aiuto alla ristrutturazione del 25% inferiore a quello che otterrebbe in caso di smantellamento completo.

167    Inoltre, si deve necessariamente constatare che la decisione impugnata non obbliga la Repubblica italiana a procedere alla demolizione dei silos controversi, ma dispone una rettifica finanziaria del 25%, corrispondente alla differenza tra l’importo dell’aiuto alla ristrutturazione per smantellamento completo e quello dell’aiuto alla ristrutturazione per smantellamento parziale.

168    Occorre infine ricordare che, per quanto concerne la questione della proporzionalità della normativa di cui trattasi, nella sentenza del 14 novembre 2013, SFIR e a. (da C‑187/12 a C‑189/12, EU:C:2013:737), la Corte ha rilevato che tale normativa consentiva al produttore di decidere liberamente se intendeva fruire dell’aiuto, di scegliere la fabbrica per la quale rinunciava alla quota corrispondente e, se del caso, di optare per lo smantellamento completo oppure solo parziale degli impianti di produzione. Essa ha poi statuito che il beneficio che il produttore poteva trarre dall’aiuto alla ristrutturazione dipendeva quindi, in gran parte, dalle sue stesse scelte. Pertanto, essa ha concluso che la normativa in questione non era sproporzionata (sentenza del 14 novembre 2013, SFIR e a., da C‑187/12 a C‑189/12, EU:C:2013:737, punti da 44 a 46).

169    Si deve di conseguenza respingere l’argomento della Repubblica italiana.

170    In quinto luogo, la Repubblica francese e l’Ungheria sostengono che il criterio stabilito dalla Commissione non tiene conto del carattere stagionale della produzione di zucchero e rimette in discussione la possibilità concreta di applicare le eccezioni stabilite dalla Corte. A tale proposito, esse ricordano che le domande per l’aiuto alla ristrutturazione dovevano essere sottoposte allo Stato membro entro il 31 gennaio precedente la campagna di commercializzazione nel corso della quale si sarebbe dovuto rinunciare alla quota, conformemente all’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 320/2006. Orbene, poiché tale data si collocava nel ciclo stagionale di produzione dello zucchero, sarebbe stato molto probabile che i silos fossero ancora impegnati nella produzione di zucchero entro la quota del richiedente l’aiuto alla ristrutturazione, tenuto conto delle loro caratteristiche di funzionamento e di utilizzo. L’Ungheria sostiene che non è quindi realistico che, a tale data, le imprese avessero immagazzinato nei silos esclusivamente zucchero prodotto da terzi. La Repubblica francese aggiunge a tale proposito che è raro che un’impresa disponga nello stesso luogo di un impianto di produzione di zucchero entro la sua quota e di silos che servono allo stoccaggio, al confezionamento o all’imballaggio dello zucchero prodotto entro la quota da altri produttori.

171    Da un lato, il fatto che sia difficile soddisfare le condizioni fissate dalle eccezioni poste dalla Corte alla data della domanda di aiuto alla ristrutturazione non significa che tali condizioni non possano essere soddisfatte. La Commissione ha peraltro prodotto la sentenza n. 2966, del 15 giugno 2015, Consiglio di Stato (Italia) dalla quale risulta che, su tre silos presenti alla data della domanda di aiuto alla ristrutturazione per smantellamento completo interessata, un silo era utilizzato per lo stoccaggio dello zucchero prodotto nel sito di produzione dell’impresa beneficiaria dell’aiuto, mentre gli altri due silos servivano allo stoccaggio e all’imballaggio dello zucchero prodotto da altri produttori.

172    Dall’altro lato, il mantenimento dei silos che non costituiscono impianti di produzione è un’eccezione alla regola ricordata dalla Corte al punto 30 della sentenza del 14 novembre 2013, SFIR e a. (da C‑187/12 a C‑189/12, EU:C:2013:737), secondo la quale, ai fini della concessione dell’aiuto alla ristrutturazione per smantellamento completo, il complesso industriale in questione deve essere dismesso completamente. Pertanto, il fatto che la valutazione dell’uso dei silos alla data della domanda di aiuto alla ristrutturazione conduca raramente a escludere la loro qualificazione come impianti di produzione è soltanto la conseguenza del fatto che la facoltà di non smantellare o addirittura di continuare a utilizzare in futuro altri impianti non di produzione, conservando al contempo il diritto all’aiuto alla ristrutturazione per smantellamento completo, costituisce un’eccezione alla regola ricordata dalla Corte che va interpretata in senso stretto (v., in tal senso, sentenza del 14 novembre 2013, SFIR e a., da C‑187/12 a C‑189/12, EU:C:2013:737, punto 30).

173    Di conseguenza, occorre respingere gli argomenti della Repubblica francese e dell’Ungheria.

174    In sesto luogo, la Repubblica francese afferma che dalla possibilità di modificare il piano di ristrutturazione, prevista all’articolo 11 del regolamento n. 968/2006, deriva che l’uso specifico che viene fatto dei silos mantenuti può evolvere nel corso del processo di smantellamento. Pertanto, a suo avviso, il carattere evolutivo del processo di smantellamento osta a una valutazione dell’uso dei silos alla data della domanda di aiuto. L’Ungheria sostiene invece, in sostanza, che il criterio stabilito dalla Commissione è contrario al margine di manovra nel predisporre e attuare i piani di ristrutturazione, di cui dispongono le imprese saccarifere in forza della normativa applicabile e, in particolare, dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 968/2006.

175    Da un lato, il margine di manovra nella predisposizione del piano di ristrutturazione di cui dispongono i beneficiari dell’aiuto e la facoltà di modificare tale piano di ristrutturazione conformemente all’articolo 11 del regolamento n. 968/2006 non possono pregiudicare le disposizioni dei regolamenti nn. 320/2006 e 968/2006 e, in particolare, l’obbligo essenziale di smantellamento degli impianti di produzione fissato all’articolo 3, paragrafo 1, lettere a) e b), del regolamento n. 320/2006, il quale, in caso di smantellamento completo, implica la demolizione di tutti gli impianti di produzione esistenti alla data della domanda di aiuto.

176    Dall’altro lato, gli argomenti della Repubblica francese e dell’Ungheria non tengono conto della distinzione tra smantellamento completo e smantellamento parziale, che è tuttavia consustanziale alla normativa di cui trattasi (v. punti 133, 134 e 145 supra). Orbene, la possibilità di mantenere degli impianti di produzione, tra cui i silos, può realizzarsi soltanto nel caso di smantellamento parziale e mediante un importo dell’aiuto inferiore a quello che verrebbe percepito nel caso in cui tutti gli impianti di produzione fossero smantellati.

177    Di conseguenza, occorre respingere gli argomenti della Repubblica francese e dell’Ungheria.

178    In settimo e ultimo luogo, la Repubblica francese sostiene, in sostanza, che dall’impiego dell’indicativo futuro nella versione francese dell’espressione «des installations de production qui ne seront pas utilisées» («impianti di produzione che non saranno più usati»), utilizzata all’articolo 3, paragrafo 4, lettera b), del regolamento n. 320/2006, deriva che la condizione attinente all’uso degli impianti mantenuti in un sito di produzione non può essere valutata al momento della domanda di concessione dell’aiuto alla ristrutturazione.

179    Occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, lettera b), del regolamento n. 320/2006, in caso di smantellamento parziale è consentito mantenere una parte degli impianti di produzione e smantellare quelli che, per ipotesi, non saranno più usati dal beneficiario dell’aiuto al termine della ristrutturazione. Inoltre, l’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 968/2006 precisa, a tale proposito, che devono essere smantellati tutti gli impianti «non destinati ad essere utilizzati per altre produzioni o per altri usi del sito industriale secondo il piano di ristrutturazione».

180    Pertanto, da una lettura congiunta delle disposizioni menzionate al precedente punto 179 risulta che il beneficiario di un aiuto alla ristrutturazione per smantellamento parziale deve sapere, dal momento della domanda di aiuto alla ristrutturazione, quali sono gli impianti di produzione che non intende più utilizzare al termine della ristrutturazione ed è tenuto a indicarli nel piano di ristrutturazione.

181    In tale contesto, l’impiego dell’indicativo futuro nella versione francese dell’articolo 3, paragrafo 4, lettera b), del regolamento n. 320/2006 non può ostare al criterio stabilito dalla Commissione.

182    Si deve di conseguenza respingere l’argomento della Repubblica francese.

183    Poiché nessuno degli argomenti dedotti dalla Repubblica italiana, dalla Repubblica francese e dall’Ungheria è fondato, occorre respingere la seconda parte del secondo motivo e, pertanto, il secondo motivo nella sua interezza.

 Sul terzo motivo, vertente sulla violazione dei principi di tutela del legittimo affidamento, di leale cooperazione, del ne bis in idem e di buona amministrazione nonché del dovere di sollecitudine

184    Il terzo motivo si articola, in sostanza, in due parti. La prima parte riguarda la violazione dei principi di tutela del legittimo affidamento, di leale cooperazione e di buona amministrazione, nonché del dovere di sollecitudine. La seconda parte riguarda la violazione del principio del ne bis in idem.

185    Occorre esaminare inizialmente la seconda parte, e in seguito la prima parte del terzo motivo.

 Sulla seconda parte del terzo motivo, vertente sulla violazione del principio del ne bis in idem

186    La Repubblica italiana eccepisce la violazione del principio del ne bis in idem per il motivo che, in sostanza, la precedente indagine EX/2008/008/IT della Commissione aveva riguardato questioni identiche a quelle oggetto dell’indagine EX/2010/010/IT.

187    La Commissione contesta gli argomenti della Repubblica italiana.

188    Senza che sia necessario pronunciarsi sulla questione se il principio del ne bis in idem trovi applicazione nell’ambito della procedura di liquidazione dei conti del FEAOG, in primo luogo occorre constatare, al pari della Commissione, che le indagini EX/2008/008/IT e EX/2010/10/IT avevano scopi diversi. Infatti, dalla lettera avente a oggetto la missione relativa all’indagine EX/2008/008/IT, inviata dalla Commissione alle autorità italiane tramite fax del 10 ottobre 2008, risulta che la Commissione intendeva essenzialmente procedere alla discussione e al riesame dei controlli relativi alla produzione e alla movimentazione dello zucchero a partire dalla campagna 2006/2007 e delle relazioni di controllo esistenti. Per contro, dalla lettera avente a oggetto la missione relativa all’indagine EX/2010/10/IT, inviata dalla Commissione alle autorità italiane tramite fax del 30 agosto 2010, emerge che la Commissione intendeva visitare i siti di produzione delle imprese italiane beneficiarie dell’aiuto alla ristrutturazione, discutere dei controlli delle misure relative alla ristrutturazione dell’industria dello zucchero ed esaminare i pagamenti selezionati.

189    Peraltro, per quanto riguarda l’indagine EX/2008/008/IT, occorre rilevare che in data 8 aprile 2009 la Commissione aveva inviato alle autorità italiane una comunicazione ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 1, primo comma, del regolamento n. 885/2006, costituita da una lettera e da un allegato, con la quale, conformemente a tale disposizione, essa comunicava alle autorità italiane i risultati di tale indagine, esposti nell’allegato in questione. Vi era indicato, tra l’altro, che «complessivamente, i siti di produzione dell’Eridania [Sadam] in questione [erano] già stati demoliti [, che] sul posto si trova[va]no ancora alcuni silos di stoccaggio e macchine condizionatrici funzionanti» e che «[s]econdo gli ispettori, fino a quel momento non c’erano stati problemi». Tuttavia, tale estratto della comunicazione dell’8 aprile 2009, proveniente dall’allegato ad essa accluso, si riferisce alle dichiarazioni degli ispettori tecnici dell’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura (AGEA, Italia), effettuate in occasione della visita della Commissione alla sede amministrativa dell’impresa Eridania Sadam, dichiarazioni che la Commissione ha semplicemente riportato nell’ambito della relazione sui risultati dell’indagine EX/2008/008/IT, senza trarne conseguenze.

190    Inoltre, il fatto che, nell’ambito dell’indagine EX/2008/008/IT, la Commissione abbia chiesto la comunicazione delle relazioni di controllo e delle informazioni relativi ai piani di ristrutturazione di due imprese italiane partecipanti al programma di ristrutturazione non consente di concludere che la Commissione si fosse concentrata sulla questione dello smantellamento effettivo di tutti gli impianti di produzione, compresi i silos controversi.

191    In secondo luogo, nell’ambito dell’indagine EX/2010/010/IT, nelle osservazioni del 2 novembre 2011 sul verbale della riunione bilaterale del 4 maggio 2011 (v. punto 28 supra), la Repubblica italiana ha espressamente sostenuto che tale indagine e l’indagine EX/2008/008/IT erano distinte e, in particolare, che la prima comunicazione del 9 dicembre 2010, da un lato, non conteneva alcun riferimento all’indagine EX/2008/008/IT né alle ispezioni effettuate in tale occasione e, dall’altro, menzionava unicamente fatti o circostante riscontrate esclusivamente nel corso dell’indagine EX/2010/010/IT.

192    Tenuto conto di quanto precede, la censura vertente sulla violazione del principio del ne bis in idem dev’essere respinta.

 Sulla prima parte del terzo motivo, riguardante la violazione dei principi di tutela del legittimo affidamento, di leale cooperazione e di buona amministrazione, nonché del dovere di sollecitudine

193    La Repubblica italiana afferma, in sostanza, che la Commissione ha violato i principi di tutela del legittimo affidamento, di leale cooperazione e di buona amministrazione, nonché il dovere di sollecitudine, in quanto era a conoscenza della posizione delle autorità italiane in ordine al mantenimento dei silos controversi nel caso di smantellamento completo, ma non ha sollevato obiezioni a tale riguardo fino all’indagine EX/2010/010/IT. A suo avviso, il fatto di includere nuovamente la questione dei silos controversi nell’indagine EX/2010/010/IT è altresì costitutivo di una violazione dei principi di leale cooperazione e di buona amministrazione nonché del dovere di sollecitudine.

194    La Repubblica francese sostiene invece che la Commissione ha violato il principio di leale cooperazione in quanto la sua interpretazione della nozione di «impianti di produzione» si era evoluta nel tempo ma essa non ne avrebbe informato tutti gli Stati membri, circostanza che, a suo parere, avrebbe generato disparità di trattamento tra tali Stati.

195    La Commissione contesta gli argomenti della Repubblica italiana. Inoltre, essa ritiene che gli argomenti esposti dalla Repubblica francese a sostegno della censura vertente sulla violazione del principio di leale cooperazione si traducano in un motivo che non sarebbe stato dedotto dalla Repubblica italiana e che, pertanto, sarebbe irricevibile.

196    In primo luogo, per le ragioni esposte ai punti da 188 a 191 supra, occorre respingere l’allegazione della Repubblica italiana secondo la quale la Commissione avrebbe incluso nuovamente la questione dei silos controversi nell’indagine EX/2010/010/IT in violazione dei principi di leale cooperazione e di buona amministrazione nonché del dovere di sollecitudine.

197    In secondo luogo va rammentato che, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE, in virtù del principio di leale cooperazione l’Unione e gli Stati membri si rispettano e si assistono reciprocamente nell’adempimento dei compiti derivanti dai Trattati.

198    Il principio di leale cooperazione possiede per sua natura la caratteristica della reciprocità. Infatti, esso obbliga gli Stati membri ad adottare tutte le misure atte a garantire la portata e l’efficacia del diritto dell’Unione e impone alle istituzioni dell’Unione obblighi reciproci di leale cooperazione con gli Stati membri (sentenze del 16 ottobre 2003, Irlanda/Commissione, C‑339/00, EU:C:2003:545, punti 71 e 72, e del 6 novembre 2014, Grecia/Commissione, T‑632/11, non pubblicata, EU:T:2014:934, punto 34).

199    Dalla giurisprudenza ricordata al precedente punto 198 discende che, nel caso di specie, spettava agli Stati membri adoperarsi per dissipare le incertezze riguardanti la corretta applicazione della normativa di cui trattasi, eventualmente interrogando la Commissione in merito alla possibilità di concedere un aiuto alla ristrutturazione per smantellamento completo a imprese che intendevano mantenere i silos, e ciò a maggior ragione in quanto, conformemente all’articolo 5 del regolamento n. 320/2006, la decisione sulla concessione dell’aiuto alla ristrutturazione incombe allo Stato membro al quale è stata presentata tale domanda.

200    In caso di dubbi sulla corretta applicazione della normativa di cui trattasi, spettava quindi alla Repubblica italiana interrogare la Commissione.

201    Orbene, dagli atti di causa non risulta che la Repubblica italiana abbia espressamente interrogato la Commissione in ordine alla possibilità di mantenere i silos controversi e beneficiare di un aiuto alla ristrutturazione per smantellamento completo. In particolare, si deve necessariamente constatare che tale questione non era stata sollevata dalle autorità italiane nel fax del 22 marzo 2006 inviato alla Commissione al fine di ottenere delucidazioni sull’interpretazione del progetto di regolamento n. 968/2006 per quanto riguarda, in particolare, lo smantellamento completo. La relazione dell’organo di conciliazione del 10 febbraio 2013 (v. punto 30 supra) conferma inoltre che la Repubblica italiana non faceva parte dei sei Stati membri che avevano posto domande specifiche concernenti l’inclusione dei silos nelle operazioni di smantellamento.

202    Pertanto, contrariamente a quanto sostiene la Repubblica italiana, la Commissione non era tenuta a comunicarle la sua posizione relativa allo smantellamento dei silos controversi prima dell’indagine EX/2010/010/IT.

203    Alla luce di quanto precede, occorre inoltre respingere l’argomento della Repubblica francese, ricordato al precedente punto 194, poiché conformemente al principio di leale cooperazione non si poteva esigere che la Commissione comunicasse la sua posizione sullo smantellamento dei silos a tutti gli Stati membri.

204    Infine, l’articolo 40, quarto comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, applicabile al procedimento dinanzi al Tribunale in forza dell’articolo 53 di detto Statuto, stabilisce che le conclusioni dell’istanza d’intervento possono avere come oggetto soltanto l’adesione alle conclusioni di una delle parti. Inoltre, l’articolo 145, paragrafo 2, del regolamento di procedura dispone che la memoria d’intervento contiene, in particolare, le conclusioni dell’interveniente dirette al sostegno, totale o parziale, delle conclusioni di una delle parti principali, nonché i motivi e gli argomenti dedotti dall’interveniente.

205    Secondo la giurisprudenza, tali disposizioni conferiscono all’interveniente il diritto di esporre in maniera autonoma non solo argomenti, ma anche motivi, purché diretti al sostegno delle conclusioni di una delle parti principali e non totalmente estranei alle considerazioni su cui si basa la controversia come costituita tra ricorrente e convenuto, il che avrebbe per effetto di modificarne l’oggetto (v. sentenze del 20 settembre 2011, Regione autonoma della Sardegna e a./Commissione, T‑394/08, T‑408/08, T‑453/08 e T‑454/08, EU:T:2011:493, punti 41 e 42 e giurisprudenza citata, e del 14 gennaio 2016, Doux/Commissione, T‑434/13, non pubblicata, EU:T:2016:7, punto 74 e giurisprudenza citata).

206    Nel caso di specie, sostenendo in sostanza che l’assenza di comunicazione della posizione della Commissione per quanto concerne l’obbligo di smantellamento dei silos ai fini dell’ottenimento di un aiuto alla ristrutturazione per smantellamento completo a tutti gli Stati membri avrebbe creato una disparità di trattamento tra tali Stati, la Repubblica francese deduce un motivo autonomo che non trova fondamento né nell’atto di ricorso né nel controricorso.

207    Ne consegue che il motivo dedotto dalla Repubblica francese non è collegato all’oggetto della controversia come definito dalle parti principali e modifica quindi l’ambito della presente controversia. Pertanto, esso dev’essere respinto in quanto irricevibile in applicazione della giurisprudenza ricordata al precedente punto 205.

208    In terzo luogo, per quanto riguarda il principio della tutela del legittimo affidamento, da una giurisprudenza costante risulta che il diritto di avvalersene si estende a chiunque si trovi in una situazione dalla quale risulti che l’amministrazione dell’Unione, avendogli fornito assicurazioni precise, ha suscitato nel medesimo aspettative fondate. In tal senso, costituiscono assicurazioni di tal genere, indipendentemente dalla forma nella quale sono comunicate, informazioni precise, categoriche e concordanti, provenienti da fonti autorizzate e affidabili. Per contro, nessuno può invocare una violazione di tale principio in assenza di assicurazioni precise che l’amministrazione gli avrebbe fornito (v. sentenze del 12 settembre 2012, Grecia/Commissione, T‑356/08, non pubblicata, EU:T:2012:418, punto 108 e giurisprudenza citata, e del 12 novembre 2015, Italia/Commissione, T‑255/13, non pubblicata, EU:C:2015:838, punto 143 e giurisprudenza citata).

209    Nel caso di specie è giocoforza constatare che la Repubblica italiana non ha dimostrato l’esistenza di assicurazioni precise che essa avrebbe ricevuto dalla Commissione in merito alla possibilità di mantenere i silos controversi nell’ipotesi dello smantellamento completo.

210    In primo luogo, il fatto che la Commissione non abbia sollevato obiezioni al mantenimento dei silos controversi durante l’indagine EX/2008/008/IT non può essere assimilato a una presa di posizione dell’istituzione che avalla l’interpretazione data dalle autorità italiane alla normativa di cui trattasi. Infatti, soltanto una manifestazione espressa e chiara da parte della Commissione avrebbe potuto consentire loro di concludere che tale istituzione aveva approvato il mantenimento dei silos controversi (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 14 dicembre 2011, Spagna/Commissione, T‑106/10, non pubblicata, EU:T:2011:740, punto 69 e giurisprudenza citata).

211    In secondo luogo, contrariamente a quanto afferma la Repubblica italiana, dal precedente punto 189 risulta che durante l’indagine EX/2008/008/IT la Commissione non ha accertato la presenza di silos nei siti di produzione di talune imprese italiane e si è limitata a prendere nota delle informazioni comunicate a questo proposito dagli ispettori tecnici dell’AGEA. Inoltre, si deve ricordare che, all’epoca, l’attuazione del regime di ristrutturazione era ancora in corso e, pertanto, il mantenimento dei silos non era illegittimo (v. punto 74 supra).

212    In terzo luogo, non costituisce un’assicurazione precisa ai sensi della giurisprudenza rammentata al precedente punto 208 la circostanza addotta dalla Repubblica italiana secondo la quale la Commissione non ha sollevato obiezioni quando ha ricevuto la copia dei piani di ristrutturazione adottati dai beneficiari degli aiuti, come approvati dalle autorità italiane, dai quali emergeva che i silos controversi sarebbero stati preservati.

213    A tale riguardo, da un lato, l’assenza di obiezioni da parte della Commissione non costituisce, ai sensi della giurisprudenza richiamata al precedente punto 210, una manifestazione espressa e chiara del fatto che tale istituzione avesse approvato il mantenimento dei silos controversi. Dall’altro, si deve ricordare che, in applicazione dell’articolo 5 del regolamento n. 320/2006, la decisione di concedere l’aiuto alla ristrutturazione spetta agli Stati membri e non alla Commissione. Inoltre, dall’articolo 9 del regolamento n. 968/2006 risulta che gli Stati membri sono i soli responsabili per valutare l’ammissibilità delle domande di aiuto alla ristrutturazione e per verificare che i piani di ristrutturazione soddisfino tutte le condizioni elencate all’articolo 9, paragrafo 2, del medesimo regolamento. Infine occorre constatare, al pari della Commissione, che, ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 4, e dell’articolo 11, paragrafo 2, terzo comma, del regolamento n. 968/2006, l’istituzione riceve una copia dei piani di ristrutturazione approvati dagli Stati membri senza che le sia richiesto di formulare osservazioni in merito a tali piani.

214    In udienza la Commissione ha spiegato che, quando riceveva i piani di ristrutturazione, essa effettuava un controllo a fini «statistici», nel senso economico del termine, tendente essenzialmente a verificare l’impatto della ristrutturazione dell’impresa interessata sulla riduzione delle quote e i bilanci da attuare. Per contro, la conformità dell’attuazione della ristrutturazione rispetto alla normativa di cui trattasi veniva verificata in un secondo tempo, ossia dopo l’attuazione delle misure previste dal piano di ristrutturazione.

215    Di conseguenza, occorre respingere la censura vertente sulla violazione del principio della tutela del legittimo affidamento.

216    In quarto e ultimo luogo, la Repubblica italiana eccepisce la violazione del principio di buona amministrazione e del dovere di sollecitudine, in sostanza per il motivo che prima dell’indagine EX/2010/010/IT la Commissione sapeva che le imprese italiane beneficiarie dell’aiuto alla ristrutturazione per smantellamento completo intendevano mantenere i silos controversi, ma non avrebbe sollevato alcuna obiezione prima della prima comunicazione del 9 dicembre 2010.

217    Occorre ricordare che, tra le garanzie offerte dall’ordinamento giuridico dell’Unione nei procedimenti amministrativi, figura in particolare il principio di buona amministrazione, sancito dall’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 (GU 2000, C 364, pag. 1), al quale si ricollega l’obbligo per l’istituzione competente di esaminare con cura e imparzialità tutti gli elementi pertinenti della fattispecie (v. sentenza del 27 settembre 2012, Applied Microengineering/Commissione, T‑387/09, EU:T:2012:501, punto 76 e giurisprudenza citata).

218    Al principio di buona amministrazione si ricollega inoltre il dovere di sollecitudine dell’amministrazione (conclusioni dell’avvocato generale Van Gerven nella causa Nölle, C‑16/90, EU:C:1991:233, paragrafo 28). In particolare, dalla giurisprudenza emerge che il dovere di sollecitudine implica in particolare che, nel pronunciarsi sulla situazione di un funzionario o di un agente, l’amministrazione prenda in considerazione l’insieme degli elementi idonei a determinare la sua decisione e, nel fare ciò, tenga conto non solo dell’interesse del servizio, ma anche di quello del funzionario interessato (v. sentenza del 5 dicembre 2006, Angelidis/Parlamento, T‑416/03, EU:T:2006:375, punto 117 e giurisprudenza citata).

219    Nel caso di specie, in primo luogo, dagli atti non risulta che prima dell’indagine EX/2010/010/IT la Commissione abbia esaminato la questione dello smantellamento effettivo di tutti gli impianti di produzione da parte delle imprese italiane partecipanti al regime di ristrutturazione (v. punti da 188 a 190 supra). A tale proposito si deve ricordare che prima dell’indagine EX/2010/010/IT il mantenimento dei silos non era illegittimo poiché l’attuazione del regime di ristrutturazione era ancora in corso (v. punto 211 supra). In secondo luogo, contrariamente a quanto afferma la Repubblica italiana, non è affatto dimostrato che prima dell’indagine EX/2010/010/IT la Commissione fosse informata del fatto che le imprese italiane beneficiarie dell’aiuto alla ristrutturazione per smantellamento completo intendessero conservare i silos controversi al termine delle operazioni di smantellamento. In terzo luogo, in caso di dubbi sulla corretta applicazione della normativa di cui trattasi, spettava alla Repubblica italiana interrogare la Commissione, cosa che però essa non ha fatto (v. punti da 199 a 201 supra). Pertanto, non si può addebitare alla Commissione di avere comunicato alle autorità italiane la sua posizione relativa allo smantellamento dei silos controversi per la prima volta nella prima comunicazione del 9 dicembre 2010. Di conseguenza, la Repubblica italiana non ha dimostrato l’esistenza di una violazione del principio di buona amministrazione e del dovere di sollecitudine.

220    Alla luce di quanto precede, occorre respingere la prima parte del terzo motivo e, pertanto, il terzo motivo nella sua interezza.

 Sul quarto motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 31, paragrafo 3, secondo comma, del regolamento n. 1290/2005, dell’articolo 11, paragrafo 3, secondo comma, del capo 3 del regolamento n. 885/2006 e delle linee guida della Commissione definite nel documento VI/5330/97, nonché dell’obbligo di motivazione

221    Il quarto motivo si articola, in sostanza, in due parti, vertenti, la prima, sulla violazione dell’obbligo di motivazione, dell’articolo 31, paragrafo 3, secondo comma, del regolamento n. 1290/2005, dell’articolo 11, paragrafo 3, secondo comma, e del capo 3 del regolamento n. 885/2006, nonché sul mancato esame della posizione dell’organo di conciliazione e, la seconda, sulla violazione delle linee guida della Commissione definite nel documento VI/5330/97.

 Sulla prima parte del quarto motivo, vertente, in sostanza, sulla violazione dell’obbligo di motivazione, dell’articolo 31, paragrafo 3, secondo comma, del regolamento n. 1290/2005, dell’articolo 11, paragrafo 3, secondo comma, e del capo 3 del regolamento n. 885/2006, nonché sul mancato esame della posizione dell’organo di conciliazione

222    La Repubblica italiana sostiene, in sostanza, che la decisione impugnata viola l’articolo 31, paragrafo 3, secondo comma, del regolamento n. 1290/2005, l’articolo 11, paragrafo 3, secondo comma, e il capo 3 del regolamento n. 885/2006. Inoltre, essa eccepisce, in sostanza, il mancato esame della posizione dell’organo di conciliazione, nonché un difetto di motivazione della decisione impugnata su tale punto.

223    La Commissione contesta gli argomenti della Repubblica italiana.

224    In primo luogo, per quanto riguarda l’asserita violazione dell’articolo 31, paragrafo 3, secondo comma, del regolamento n. 1290/2005, dell’articolo 11, paragrafo 3, secondo comma, e del capo 3 del regolamento n. 885/2006, occorre rilevare, al pari della Commissione, che la Repubblica italiana si limita ad affermare che tali violazioni sono state commesse, senza per nulla suffragare le sue affermazioni.

225    Orbene, in applicazione dell’articolo 76, lettera d), del regolamento di procedura, il ricorso deve contenere, oltre all’oggetto della controversia, i motivi e gli argomenti dedotti nonché un’esposizione sommaria di detti motivi, il che non avviene nel caso di specie.

226    Pertanto, si deve respingere, in quanto irricevibile, la censura della Repubblica italiana vertente sulla violazione dell’articolo 31, paragrafo 3, secondo comma, del regolamento n. 1290/2005, dell’articolo 11, paragrafo 3, secondo comma, e del capo 3 del regolamento n. 885/2006.

227    In secondo luogo, per quanto riguarda la censura relativa al mancato esame, da parte della Commissione, della posizione espressa dall’organo di conciliazione nella sua relazione, va ricordato che, ai sensi dell’articolo 31, paragrafo 3, del regolamento n. 1290/2005:

«Prima che sia adottata una decisione di rifiuto del finanziamento, i risultati delle verifiche della Commissione e le risposte dello Stato membro interessato costituiscono oggetto di comunicazioni scritte, in base alle quali le parti cercano di raggiungere un accordo sulle misure da adottare.

In assenza di accordo, lo Stato membro può chiedere che sia avviata una procedura volta a conciliare le rispettive posizioni nel termine di quattro mesi, il cui esito costituisce oggetto di una relazione alla Commissione, che la esamina prima di una decisione di rifiuto del finanziamento».

228    Da tale disposizione discende che, prima di adottare una decisione di rifiuto del finanziamento, la Commissione è tenuta unicamente a «esaminare» la relazione dell’organo di conciliazione e, pertanto, che tale relazione non è vincolante nei suoi confronti.

229    Peraltro, nel caso di specie, dalla relazione dell’organo di conciliazione del 10 febbraio 2013 risulta che, tenuto conto delle difficoltà di interpretazione della normativa di cui trattasi che la Commissione stessa aveva dovuto affrontare, l’organo di conciliazione aveva invitato la Commissione a prevedere di ridurre o di astenersi dall’imporre qualsiasi rettifica finanziaria, in applicazione del documento VI/5330/97.

230    Orbene, nella lettera del 28 marzo 2014, inviata alle autorità italiane dalla Commissione in seguito alla pronuncia della sentenza del 14 novembre 2013, SFIR e a. (da C‑187/12 a C‑189/12, EU:C:2013:737), quest’ultima ha escluso in sostanza la possibilità di ridurre o di astenersi dall’imporre qualsiasi rettifica a causa delle difficoltà di interpretazione della normativa in questione, affermando, in particolare, che la maggior parte dei 23 Stati membri che avevano partecipato al regime di ristrutturazione del settore dello zucchero avevano chiaramente interpretato tale normativa nel senso di un obbligo di smantellamento dei silos, e, pertanto, che la normativa in questione non sollevava problemi interpretativi.

231    Procedendo in tal modo, la Commissione ha quindi implicitamente ma necessariamente preso posizione sul parere espresso dall’organo di conciliazione nella sua relazione.

232    Infine, contrariamente a quanto affermato dalla Repubblica italiana, una motivazione adeguata può consistere in una riproduzione letterale di osservazioni già formulate dalla Commissione.

233    Pertanto, la Repubblica italiana non ha ragione di invocare né il mancato esame della posizione espressa dall’organo di conciliazione, né un difetto di motivazione della decisione impugnata riguardo a tale posizione.

234    Tenuto conto di quanto precede, occorre respingere la prima parte del quarto motivo.

 Sulla seconda parte del quarto motivo, vertente sulla violazione delle linee guida definite nel documento VI/5330/97

235    La Repubblica italiana, sostenuta dalla Repubblica francese e dall’Ungheria, contesta alla Commissione di aver violato le linee guida definite nel documento VI/5330/97 per il motivo che, in sostanza, tenuto conto, da un lato, delle difficoltà obiettive di interpretazione della normativa di cui trattasi riguardo alla questione della conservazione dei silos in caso di smantellamento completo e, dall’altro, dell’adozione immediata, da parte delle autorità italiane, di misure per porre rimedio alle irregolarità constatate dalla Commissione, quest’ultima avrebbe dovuto ridurre l’importo della rettifica finanziaria relativa alla ristrutturazione dell’industria dello zucchero, se non addirittura astenersi da qualsiasi rettifica, conformemente alle linee guida definite nel documento VI/5330/97. In proposito, essa rileva che tale soluzione sarebbe stata altresì conforme ai principi di equità e di buona amministrazione.

236    La Commissione contesta gli argomenti della Repubblica italiana.

237    Secondo l’allegato 2 del documento VI/5330/97, intitolato «Conseguenze finanziarie nell’ambito della liquidazione dei conti del FEAOG [“Garanzia”] delle insufficienze nei controlli eseguiti dagli Stati membri», si devono applicare rettifiche finanziarie qualora la Commissione accerti che gli Stati membri non hanno effettuato i controlli specificamente richiesti dai regolamenti applicabili o, in ogni caso, essenziali per garantire la regolarità della spesa effettuata a titolo della sezione «Garanzia» del FEAOG.

238    L’allegato 2 del documento VI/5330/97, sotto il titolo «Casi limite», secondo comma (in prosieguo: il «caso limite previsto all’allegato 2 del documento VI/5330/97»), prevede quanto segue:

«Qualora le insufficienze siano dovute a difficoltà di interpretazione dei testi comunitari, esclusi i casi in cui si può ragionevolmente presumere che lo Stato membro interpelli la Commissione in proposito, nonché qualora le autorità nazionali abbiano preso misure efficaci per rimediare alle insufficienze non appena queste sono emerse si potrà tenere conto di questi fattori attenuanti e applicare l’aliquota più bassa o non applicare alcuna rettifica».

239    In via preliminare occorre ricordare che, adottando norme di comportamento amministrativo dirette a produrre effetti esterni, come le linee guida oggetto del documento VI/5330/97, e annunciando con la loro pubblicazione o con la loro comunicazione agli Stati membri, come nel caso di specie, che esse saranno applicate da quel momento in avanti ai casi a cui si riferiscono, l’istituzione in questione, nella fattispecie, nella presente causa, la Commissione, si autolimita nell’esercizio del suo potere discrezionale e non può discostarsi da tali norme, pena una sanzione, eventualmente, a titolo di violazione di principi generali del diritto, quali i principi della parità di trattamento, della certezza del diritto o della tutela del legittimo affidamento. Non si può quindi escludere che, in presenza di talune condizioni e a seconda del loro contenuto, siffatte norme di comportamento dotate di una portata generale possano produrre effetti giuridici e che, in particolare, l’amministrazione non se ne possa discostare, in un caso specifico, senza fornire ragioni compatibili con i principi generali del diritto, quali la parità di trattamento o la protezione del legittimo affidamento, a condizione che un tale approccio non sia contrario ad altre regole superiori del diritto dell’Unione [v., in tal senso, sentenze del 9 settembre 2011, Grecia/Commissione, T‑344/05, non pubblicata, EU:T:2011:440, punto 192; del 16 settembre 2013, Spagna/Commissione, T‑3/07, non pubblicata, EU:T:2013:473, punto 84 e giurisprudenza citata, e del 10 luglio 2014, Grecia/Commissione, T‑376/12, EU:T:2014:623, punto 106 (non pubblicata)].

240    Peraltro, occorre osservare che il caso limite previsto all’allegato 2 del documento VI/5330/97 è un fattore di ponderazione che non dà automaticamente diritto alla sua applicazione. Infatti, come dimostra la formulazione letterale del documento VI/5330/97 che lo prevede, la sua applicazione è subordinata alle condizioni, da un lato, che l’insufficienza accertata dalla Commissione nel corso della procedura di verifica di conformità derivi da difficoltà di interpretazione della normativa dell’Unione europea e, dall’altro, che le autorità nazionali abbiano fatto il necessario per rimediare all’insufficienza dal momento in cui la stessa è stata individuata dalla Commissione.

241    Per quanto concerne la prima condizione per l’applicazione del caso limite previsto all’allegato 2 del documento VI/5330/97, occorre anzitutto rilevare che la Repubblica italiana, la Repubblica francese e l’Ungheria hanno sostenuto che più Stati membri avevano avuto difficoltà nell’interpretazione dei regolamenti nn. 320/2006 e 968/2006, in particolare per quanto riguarda la nozione di «impianti di produzione» e la possibilità di mantenere i silos di stoccaggio nell’ambito dello smantellamento completo di un sito di produzione di zucchero. Inoltre, la Repubblica francese e l’Ungheria hanno sostenuto che la Commissione stessa aveva avuto difficoltà interpretative e che la sua posizione aveva subito un’evoluzione nel corso del tempo. Peraltro, l’organo di conciliazione ha ritenuto che la Commissione avesse avuto difficoltà interpretative, dato che nel 2006 essa aveva chiesto un parere al suo servizio giuridico. Si deve infine necessariamente constatare che la sentenza del 14 novembre 2013, SFIR e a. (da C‑187/12 a C‑189/12, EU:C:2013:737) ha risolto soltanto la questione delle condizioni nelle quali un silo non rientra nella qualificazione di impianto di produzione soggetto all’obbligo di smantellamento, ma non si è pronunciata né sulla questione del momento in cui occorreva valutare l’uso dei silos, né su quella se l’obbligo di smantellamento implicasse necessariamente la demolizione degli impianti di produzione.

242    Alla luce delle circostanze richiamate al precedente punto 241, e contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, si deve necessariamente constatare che la normativa di cui trattasi sollevava difficoltà interpretative riguardo alla questione del mantenimento dei silos in caso di smantellamento completo.

243    Tale constatazione non può essere inficiata dall’argomento della Commissione secondo il quale essa ha sempre fornito agli Stati membri che le avevano posto la questione informazioni perfettamente coerenti per quanto concerne l’obbligo di smantellamento dei silos, argomento che non è suffragato e, in ogni caso, non incide sulla constatazione dell’esistenza di difficoltà oggettive di interpretazione della normativa di cui trattasi riguardo alla questione del mantenimento dei silos in caso di smantellamento completo.

244    Nel caso di specie, la prima condizione per l’applicazione del caso limite previsto all’allegato 2 del documento VI/5330/97 è quindi soddisfatta.

245    Per quanto concerne la seconda condizione di applicazione del caso limite previsto all’allegato 2 del documento VI/5330/97, secondo la quale lo Stato membro deve avere adottato misure dirette a porre rimedio all’insufficienza dal momento in cui essa è stata individuata, occorre rilevare che la Repubblica italiana ha immediatamente adottato misure per conformarsi alla posizione della Commissione espressa nella prima comunicazione del 9 dicembre 2010, chiedendo all’AGEA di sospendere lo svincolo delle garanzie costituite dai beneficiari degli aiuti alla ristrutturazione conformemente all’articolo 16 del regolamento n. 968/2006. Inoltre, la Repubblica italiana ha prodotto le lettere inviate dall’AGEA alle imprese italiane beneficiarie degli aiuti alla ristrutturazione, che indicavano che l’AGEA non poteva svincolare le garanzie e che tali imprese erano state diffidate formalmente a procedere alla demolizione dei silos entro il 30 settembre 2011.

246    Anche la seconda condizione per l’applicazione del caso limite previsto all’allegato 2 del documento VI/5330/97 risultava quindi soddisfatta.

247    Tuttavia, dall’impiego del verbo «potere» nella formulazione del caso limite previsto all’allegato 2 del documento VI/5330/97 deriva che la Commissione dispone di un margine discrezionale ai fini della sua applicazione e, pertanto, che essa non è obbligata a ridurre la rettifica finanziaria né ad astenersi dall’imporla anche se le condizioni ricordate al precedente punto 240 sono soddisfatte.

248    In particolare, la Commissione può rifiutare di applicare il caso limite previsto all’allegato 2 del documento VI/5330/97 qualora tale applicazione possa comportare la violazione di principi generali del diritto dell’Unione, quali i principi di proporzionalità e di parità di trattamento.

249    A tale proposito occorre rilevare che nell’allegato del verbale della riunione bilaterale del 4 maggio 2011 viene ricordata la posizione difesa dalla Commissione nell’ambito di tale riunione, secondo la quale, evitando lo smantellamento, i produttori di zucchero italiani avevano ottenuto un aiuto alla ristrutturazione per smantellamento completo, non avevano sostenuto alcuna spesa per lo smantellamento dei silos controversi e avevano tratto un beneficio finanziario dall’uso di tali silos, mentre i produttori degli altri Stati membri che avevano smantellato i loro silos di stoccaggio avevano dovuto sopportare tutte le relative spese senza ricavarne alcun beneficio. La Commissione concludeva quindi che, in applicazione del principio della parità di trattamento, essa non poteva accettare il mantenimento dei silos controversi in Italia dopo avere negato tale diritto ad altri Stati membri.

250    Tale posizione è ribadita dalla Commissione nel suo controricorso, in cui essa rileva che il mantenimento dei silos controversi avrebbe conferito un vantaggio significativo ai produttori italiani rispetto ai loro concorrenti di altri Stati membri che hanno proceduto al loro smantellamento.

251    Tenuto conto di quanto precede, la Commissione ha ritenuto correttamente, in sostanza, che, in assenza di demolizione dei silos controversi, l’applicazione del caso limite previsto all’allegato 2 del documento VI/5330/97 avrebbe provocato una disparità di trattamento tra i produttori di zucchero italiani e quelli di altri Stati membri che avevano dovuto procedere alla demolizione dei silos per ottenere l’aiuto alla ristrutturazione per smantellamento totale.

252    Pertanto, non si può criticare la Commissione per non avere applicato il caso limite previsto all’allegato 2 del documento VI/5330/97.

253    Tenuto conto di quanto precede, occorre respingere la seconda parte del quarto motivo e, pertanto, il quarto motivo nella sua interezza.

 Sul quinto motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 9, paragrafo 3, del regolamento n. 883/2006 e del principio della parità di trattamento, nonché sul travisamento dei fatti

254    Il quinto motivo è dedotto a sostegno della domanda di annullamento della rettifica applicata per il pagamento tardivo del saldo dei premi di macellazione relativi all’anno di domanda 2004 e si articola, in sostanza, in tre parti attinenti, la prima, alla violazione dell’articolo 9, paragrafo 3, del regolamento n. 883/2006, la seconda, alla violazione del principio della parità di trattamento e, la terza, al travisamento dei fatti.

 Sulla prima parte del quinto motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 9, paragrafo 3, del regolamento n. 883/2006

255    La Repubblica italiana addebita alla Commissione, in sostanza, di non avere ammesso che il superamento dei termini di pagamento del saldo dei premi di macellazione relativi all’anno di domanda 2004 (in prosieguo: i «pagamenti controversi») derivava dall’esistenza di condizioni di gestione particolari, ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 3, del regolamento n. 883/2006, le quali avrebbero giustificato un’assenza di rettifica nel caso di specie.

256    La Commissione contesta la censura della Repubblica italiana.

257    Ai sensi del considerando 15 del regolamento n. 883/2006:

«La normativa agricola comunitaria prevede nell’ambito del FEAGA alcuni termini per l’erogazione degli aiuti ai beneficiari, che devono essere rispettati dagli Stati membri. Ogni pagamento effettuato dopo questi termini regolamentari, il cui ritardo non sia giustificato, deve essere considerato una spesa irregolare e come tale non dovrebbe essere oggetto di rimborsi da parte della Commissione. Tuttavia, per modulare l’impatto finanziario in modo proporzionale al ritardo constatato al momento del pagamento, è opportuno che la Commissione proceda ad una riduzione graduata dei pagamenti in funzione dell’entità del superamento dei termini. Occorre inoltre prevedere un margine forfettario, che consenta in particolare di non applicare le riduzioni quando i ritardi di pagamento derivano da procedimenti contenziosi».

258    L’articolo 9 del regolamento n. 883/2006, come modificato dal regolamento (CE) n. 451/2009 della Commissione, del 29 maggio 2009, che modifica il regolamento n. 883/2006 (GU 2009, L 135, pag. 12), così prevede:

«Le spese pagate oltre i termini prescritti sono ammissibili al finanziamento comunitario con le seguenti riduzioni dei pagamenti mensili:

a)      quando le spese pagate con ritardo rappresentano fino al 4% delle spese pagate nel rispetto dei termini, non è operata alcuna riduzione;

b)      una volta superato il margine del 4%, le spese supplementari pagate con ritardo sono ridotte secondo le seguenti modalità:

–      le spese pagate nel primo mese successivo al mese in cui scadeva il termine di pagamento sono ridotte del 10%,

–      le spese pagate nel secondo mese successivo al mese in cui scadeva il termine di pagamento sono ridotte del 25%,

–      le spese pagate nel terzo mese successivo al mese in cui scadeva il termine di pagamento sono ridotte del 45%,

–      le spese pagate nel quarto mese successivo al mese in cui scadeva il termine di pagamento sono ridotte del 70%,

–      le spese pagate oltre il quarto mese successivo al mese in cui scadeva il termine di pagamento sono ridotte del 100%,

c)      il margine del 4% di cui al paragrafo 1, lettere a), e b), è portato al 5% per i pagamenti il cui termine scade dopo il 15 ottobre 2009.

(...)

3. La Commissione applica una ripartizione temporale diversa da quella prevista ai paragrafi 1 e 2 e/o tassi di riduzione inferiori o nulli qualora si verifichino condizioni di gestione particolari per talune misure, o se gli Stati membri presentano giustificazioni fondate.

(...)».

259    Secondo la giurisprudenza, le spese di finanziamento a carico del FEAOG devono essere calcolate supponendo che i termini previsti dalla regolamentazione agricola applicabile siano rispettati. Di conseguenza, quando le autorità nazionali procedono al pagamento degli aiuti dopo lo spirare del termine, esse imputano al FEAOG spese irregolari e, pertanto, non ammissibili (v., in tal senso e per analogia, sentenze del 28 ottobre 1999, Italia/Commissione, C‑253/97, EU:C:1999:527, punto 126, e del 12 settembre 2007, Grecia/Commissione, T‑243/05, EU:T:2007:270, punto 116). Pertanto, lo Stato membro deve organizzare il suo sistema di controlli tenendo conto del termine per i pagamenti degli aiuti impartito dal diritto dell’Unione. D’altronde, il margine del 4% o del 5% previsto dall’articolo 9, paragrafo 1, lettere a) e c), del regolamento n. 883/2006 è diretto proprio a consentire agli Stati membri di effettuare controlli supplementari, precisando che il numero di mesi di ritardo non ha alcuna influenza per i pagamenti che non oltrepassano tale margine (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 12 settembre 2007, Grecia/Commissione, T‑243/05, EU:C:2007:270, punto 116).

260    Inoltre, secondo la giurisprudenza, spetta allo Stato membro dimostrare la sussistenza delle condizioni di cui all’articolo 9, paragrafo 3, del regolamento n. 883/2006, vale a dire provare che si verificano condizioni di gestione particolari per talune misure o presentare giustificazioni fondate. Esso deve, in particolare, dimostrare che i ritardi non hanno ecceduto limiti ragionevoli (v., in tal senso e per analogia, sentenze del 18 settembre 2003, Grecia/Commissione, C‑331/00, EU:C:2003:472, punto 117; dell’11 giugno 2009, Grecia/Commissione, T‑33/07, non pubblicata, EU:T:2009:195, punto 372, e del 26 settembre 2012, Italia/Commissione, T‑84/09, non pubblicata, EU:T:2012:471, punto 136).

261    Infine, dato che l’articolo 9, paragrafo 3, del regolamento n. 883/2006 introduce una deroga, esso deve essere interpretato restrittivamente (v., per analogia, sentenza del 26 settembre 2012, Italia/Commissione, T‑84/09, non pubblicata, EU:T:2012:471, punto 137 e giurisprudenza citata).

262    Nella fattispecie, la Repubblica italiana non contesta l’esistenza dei ritardi nei pagamenti. Essa non contesta neppure che le spese pagate in ritardo eccedano il margine del 5% delle spese pagate nel rispetto dei termini. La stessa sostiene tuttavia che i ritardi erano giustificati da condizioni di gestione particolari. A suo avviso, tali condizioni di gestione particolari erano caratterizzate dalla pendenza, in Italia, di vari procedimenti contenziosi di natura complessa vertenti sulla regolarità di talune spese dalla stessa effettuate e dal fatto che, a causa di tali procedimenti, l’Agenzia veneta per i pagamenti in agricoltura (AVEPA, Italia) aveva sospeso la totalità dei versamenti dovuti alle imprese coinvolte in tali procedimenti.

263    In primo luogo, occorre ricordare che con una segnalazione del Nucleo Antifrodi Carabinieri di Parma (Italia) in data 7 febbraio 2005, l’AVEPA e l’AGEA erano state informate dell’esistenza di una presunta frode commessa ai danni del Fondo, relativamente, in particolare, a premi speciali ai bovini maschi e a pagamenti per l’estensivizzazione per gli anni dal 2000 al 2003 percepiti da diverse imprese italiane.

264    In seguito a tale segnalazione è stato avviato un procedimento penale a carico di tali imprese dinanzi al Tribunale di Treviso (Italia), con un’udienza preliminare fissata al 2 ottobre 2006.

265    Tenuto conto di quanto precede, l’AVEPA ha adottato un provvedimento di sospensione di tutti i pagamenti dovuti a due imprese interessate da tale procedimento penale, conformemente all’articolo 33, paragrafo 1, del decreto legislativo n. 228/2001 del 18 maggio 2001 (in prosieguo: il «decreto legislativo n. 228»), ai sensi del quale: «[i] procedimenti per erogazioni da parte degli Organismi pagatori riconosciuti (...) sono sospesi riguardo ai beneficiari nei cui confronti siano pervenute, da parte di organismi di accertamento e di controllo, notizie circostanziate di indebite percezioni di erogazioni a carico del bilancio comunitario o nazionale, finché i fatti non siano definitivamente accertati».

266    Parallelamente, la Procura presso la Corte dei Conti per il Veneto (Italia) ha iniziato un’azione contabile dinanzi alla Corte dei Conti per il Veneto (Italia) per i medesimi fatti. Il 23 settembre 2009 tale giudice ha disposto il sequestro conservativo ante causam dei beni delle imprese beneficiarie coinvolte nel procedimento, nonché dei pagamenti di cui esse erano creditrici nei confronti dell’AVEPA, ad eccezione, in particolare, dei pagamenti controversi.

267    Alla luce di tale decisione, il 19 ottobre 2009 l’AVEPA ha riavviato il pagamento di talune somme sospese che non erano ricomprese nel sequestro conservativo ante causam, tra cui i premi di macellazione relativi all’anno di domanda 2004, oggetto dei pagamenti controversi.

268    Peraltro, si deve necessariamente constatare che la Repubblica italiana non ha affermato che i pagamenti controversi erano oggetto del procedimento penale e del procedimento contabile menzionati ai precedenti punti 264 e 266. Al contrario, nell’ambito della procedura di verifica di cui trattasi, essa ha ammesso che i pagamenti controversi relativi alle linee di bilancio 050302092124023, 050302102124033 e 050302992128007 non erano specificamente rinvenibili in una sentenza, invocando nel contempo l’«inscindibile connessione» tra, da un lato, i pagamenti di cui trattasi nei procedimenti descritti ai precedenti punti da 263 a 266, e, dall’altro, i pagamenti controversi.

269    Alla luce di quanto precede, si deve considerare che i procedimenti nazionali invocati dalla Repubblica italiana non riguardano i pagamenti controversi e, pertanto, che la sospensione di questi ultimi non è la conseguenza di un procedimento giudiziario o di una sentenza, bensì dell’applicazione, da parte dell’AVEPA, dell’articolo 33, paragrafo 1, del decreto legislativo n. 228.

270    In secondo luogo occorre rilevare che la procedura di sospensione dei pagamenti prevista all’articolo 33 del decreto legislativo n. 228 è applicata in via preventiva. Essa consiste nel presumere l’esistenza di irregolarità, qualora gli organi di controllo emettano una segnalazione in tal senso ancor prima dell’accertamento definitivo dei fatti, e nell’erogare gli importi di cui trattasi al beneficiario solamente qualora quest’ultimo sia infine discolpato. Secondo la giurisprudenza, un simile approccio contrasta quindi, in linea di principio, con il rispetto dei termini di pagamento (sentenza del 26 settembre 2012, Italia/Commissione, T‑84/09, non pubblicata, EU:C:2012:471, punto 140).

271    Si deve pertanto constatare, al pari della Commissione, che nel caso di specie la procedura di sospensione dei pagamenti controversi non costituisce un’ipotesi di condizione di gestione particolare. Infatti, la procedura di sospensione dei pagamenti prevista all’articolo 33 del decreto legislativo n. 228 costituisce una deroga ai termini di pagamento che interferisce con il buon funzionamento delle norme dell’Unione applicabili (v., in tal senso, sentenza del 26 settembre 2012, Italia/Commissione, T‑84/09, non pubblicata, EU:C:2012:471, punto 142).

272    In terzo luogo, nonostante l’invito della Commissione, ricordato dall’organo di conciliazione nella sua relazione del 6 maggio 2014, la Repubblica italiana non ha prodotto nessun elemento al fine di dimostrare che il margine del 5% era stato superato esclusivamente a causa di pagamenti che erano stati oggetto di contestazione dinanzi agli organi giurisdizionali nazionali.

273    L’argomento esposto dalla Repubblica italiana nella replica, secondo il quale, in sostanza, la Commissione avrebbe richiesto a torto la dimostrazione che il ritardo dei pagamenti controversi traesse origine da una sola sentenza, dev’essere necessariamente respinto. Infatti, risulta in particolare dalla lettera del 18 gennaio 2012, inviata dalla Commissione alla Repubblica italiana ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento n. 885/2006, che ai fini dell’applicazione dell’articolo 9, paragrafo 3, del regolamento n. 883/2006 la Commissione ha chiesto alle autorità italiane di dimostrare che il margine del 4% di cui all’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 883/2006, successivamente portato al 5% ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, lettera c), del medesimo regolamento, era stato superato a causa di procedimenti giudiziari e non di una sola sentenza. Nella lettera del 18 gennaio 2012 la Commissione ha peraltro invitato un’ultima volta le autorità italiane a fornire copia delle sentenze indicanti gli importi eccedentari per ciascuna delle voci di bilancio seguenti: 050302092124023, 050302102124033 e 050302992128007.

274    In quarto e ultimo luogo, nemmeno la complessità dei procedimenti contenziosi dinanzi al Tribunale di Treviso e alla Corte dei Conti per il Veneto, nonché il carattere eccezionale del caso di specie, allegati dalla Repubblica italiana, possono giustificare il ritardo dei pagamenti controversi, dato che, come è stato ricordato al precedente punto 259, il margine del 5% di cui all’articolo 9, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 883/2006 serve appunto a dare agli Stati membri la possibilità di effettuare controlli aggiuntivi, senza che il numero di mesi di ritardo abbia conseguenze per i pagamenti che non superano tale soglia (v. anche, in tal senso e per analogia, sentenze del 5 luglio 2012, Grecia/Commissione, T‑86/08, EU:T:2012:345, punto 191, e del 26 settembre 2012, Italia/Commissione, T‑84/09, non pubblicata, EU:T:2012:471, punto 146).

275    Alla luce di quanto precede, la Commissione non è incorsa in errore nel considerare, da un lato, che il mancato rispetto dei termini di pagamento derivanti dai procedimenti giudiziari doveva rientrare nel margine del 5% di cui all’articolo 9, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 883/2006 e, dall’altro, che il fatto di effettuare pagamenti in ritardo a causa di una controversia destinata a stabilire l’ammissibilità di pagamenti precedentemente rifiutati o recuperati dalle autorità nazionali non costituiva una condizione di gestione particolare ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 3, del regolamento n. 883/2006, considerazione che la Commissione aveva reso nota alla Repubblica italiana nella lettera del 2 luglio 2014 (v. punto 41 supra).

276    Di conseguenza, occorre respingere la prima parte del quinto motivo.

 Sulla seconda parte del quinto motivo, vertente sulla violazione del principio della parità di trattamento

277    La Repubblica italiana addebita alla Commissione la violazione del principio della parità di trattamento in quanto essa ha applicato una rettifica per i pagamenti controversi, relativi al saldo dei premi di macellazione afferenti all’anno di domanda 2004, nonostante essi rientrassero in una situazione simile a quella dei pagamenti tardivi relativi alle spese oggetto del sequestro cautelare ante causam da parte della Corte dei Conti per il Veneto, dell’importo di circa EUR 4,4 milioni, per i quali la Commissione non ha applicato nessuna rettifica.

278    La Commissione contesta gli argomenti della Repubblica italiana.

279    Da una costante giurisprudenza risulta che il principio di parità di trattamento ovvero di non discriminazione richiede che situazioni analoghe non siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale, a meno che tale trattamento non sia oggettivamente giustificato (sentenze del 9 settembre 2004, Spagna/Commissione, C‑304/01, EU:C:2004:495, punto 31; del 14 dicembre 2004, Swedish Match, C‑210/03, EU:C:2004:802, punto 70, e del 21 luglio 2011, Nagy, C‑21/10, EU:C:2011:505, punto 47).

280    Nel suo controricorso, dopo avere osservato che l’argomento della Repubblica italiana non è chiaro, la Commissione ha spiegato che nonostante la tardività dei pagamenti oggetto del sequestro conservativo ante causam da parte della Corte dei Conti per il Veneto, questi ultimi non erano stati inclusi nella rettifica a causa della menzione, nelle diverse linee di bilancio sulle quali i pagamenti erano stati dichiarati, del margine del 4%, mentre ciò non era avvenuto nel caso dei pagamenti controversi.

281    Tali allegazioni non sono contestate dalla Repubblica italiana, che si limita ad affermare che tutti i pagamenti tardivi oggetto della procedura di verifica di cui trattasi dovevano essere giustificati in virtù di un’esigenza cautelare complessiva, manifestatasi nell’adozione, da parte dell’AVEPA, del provvedimento di sospensione di tutte le erogazioni dovute alle imprese coinvolte nei procedimenti pendenti in Italia, conformemente all’articolo 33 del decreto legislativo n. 228.

282    Da un lato, risulta rispettivamente dal punto 266 e dal punto 271 supra, che la Corte dei Conti per il Veneto non ha incluso i pagamenti controversi nelle somme oggetto del sequestro conservativo ante causam da essa pronunciato e, dall’altro, che la procedura di sospensione dei pagamenti prevista all’articolo 33 del decreto legislativo n. 228 è contraria al rispetto della normativa dell’Unione europea sui termini di pagamento. La Repubblica italiana non è quindi legittimata a invocare l’esistenza di un’esigenza conservativa complessiva che avrebbe giustificato la sospensione dei pagamenti controversi da parte dell’AVEPA.

283    Dall’altro lato, la Repubblica italiana non contesta il fatto che nelle linee di bilancio sulle quali i pagamenti corrispondenti all’importo di EUR 4,4 milioni erano stati dichiarati fosse menzionato il margine del 4%, mentre il margine del 5% non era menzionato nelle linee di bilancio afferenti ai pagamenti controversi.

284    Tenuto conto di quanto precede, la Repubblica italiana non ha dimostrato che i pagamenti controversi e quelli, di importo pari a EUR 4,4 milioni, rientranti nel margine del 4%, rientrassero in una situazione comparabile e, pertanto, che la Commissione avrebbe violato il principio della parità di trattamento imponendo una rettifica unicamente per i pagamenti controversi.

285    Di conseguenza, occorre respingere la seconda parte del quinto motivo.

 Sulla terza parte del quinto motivo, vertente su uno snaturamento dei fatti

286    La Repubblica italiana addebita alla Commissione di avere travisato i fatti. Nel ricorso, essa si limita ad affermare che «[a]lla luce di quanto detto, la decisione impugnata, per la parte contestata nel presente motivo, risulta illegittima per travisamento dei fatti».

287    La Commissione non ha contestato tale censura nelle sue memorie. Tuttavia, in udienza essa ha sollevato un’eccezione di irricevibilità avverso tale censura, per il motivo che la stessa sarebbe priva di chiarezza.

288    Altresì in udienza, la Repubblica italiana ha eccepito l’irricevibilità dell’eccezione di irricevibilità sollevata dalla Commissione, sostenendo che la sua tardività recava pregiudizio al carattere contraddittorio del procedimento dinanzi al Tribunale. La Repubblica italiana ha tuttavia precisato che il Tribunale poteva sollevare d’ufficio l’irricevibilità della censura in questione in udienza. Infine, nell’ipotesi in cui il Tribunale intendesse farlo, la Repubblica italiana ha precisato che, con la sua censura relativa al travisamento dei fatti, essa intendeva in sostanza contestare la valutazione delle circostanze di fatto del caso di specie effettuata dalla Commissione. Infatti, per la Repubblica italiana le circostanze del caso di specie giustificavano il ritardo dei pagamenti controversi.

289    Va ricordato che il giudice dell’Unione può legittimamente valutare, in considerazione delle circostanze del caso di specie, se la corretta amministrazione della giustizia giustifichi il rigetto di una censura nel merito, senza statuire preliminarmente sulla sua ricevibilità (v., in tal senso, sentenza del 26 febbraio 2002, Consiglio/Boehringer, C‑23/00 P, EU:C:2002:118, punto 52).

290    Dalle spiegazioni fornite dalla Repubblica italiana in udienza, ricordate al precedente punto 288, deriva che con la sua censura relativa al travisamento dei fatti essa intendeva, implicitamente ma necessariamente, addebitare alla Commissione un errore manifesto di valutazione degli elementi di fatto.

291    Orbene, dai precedenti punti da 263 a 275 risulta che le circostanze di fatto allegate dalla Repubblica italiana non costituivano condizioni di gestione particolari ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 3, del regolamento n. 883/2006 che avrebbero potuto giustificare la tardività dei pagamenti controversi. La Repubblica italiana non è quindi legittimata a eccepire l’esistenza di un errore manifesto di valutazione dal quale la decisione impugnata sarebbe viziata.

292    Poiché la terza parte del quinto motivo è infondata, occorre respingerla senza che sia necessario statuire sulle eccezioni di irricevibilità sollevate in udienza rispettivamente dalla Commissione e dalla Repubblica italiana.

293    Alla luce di quanto precede, occorre respingere il quinto motivo.

 Sul sesto motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 20 del regolamento n. 501/2008, nonché dei principi del legittimo affidamento e dell’imputabilità agli Stati membri delle rettifiche finanziarie

294    Il sesto motivo è sollevato a sostegno della domanda di annullamento della rettifica applicata per pagamento tardivo di talune spese relative alle azioni di informazione e di promozione dei prodotti agricoli. La Repubblica italiana critica la Commissione per averle applicato una rettifica finanziaria per il mancato rispetto del termine di 60 giorni di calendario, di cui all’articolo 20, primo comma, del regolamento n. 501/2008, tra il ricevimento della domanda di pagamento e il pagamento effettivo di taluni aiuti relativi alle azioni di informazione e di promozione dei prodotti agricoli che essa aveva concesso negli esercizi finanziari 2009 e 2010. In sostanza, la Repubblica italiana sostiene, in primo luogo, che il mancato rispetto del termine di pagamento fissato all’articolo 20, primo comma, del regolamento n. 501/2008 trae origine nell’impropria produzione, da parte dei servizi della Commissione, del testo italiano dell’articolo 20, secondo comma, seconda frase, di tale regolamento, nella versione precedente all’entrata in vigore della rettifica pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 18 ottobre 2012 (GU 2012, L 287, pag. 25; in prosieguo: la «disposizione controversa») e, pertanto, che il superamento del termine di cui all’articolo 20, primo comma, del regolamento n. 501/2008 non le sarebbe imputabile. Di conseguenza, a suo avviso è ingiusto porre a suo carico le conseguenze derivanti dall’applicazione della disposizione controversa, e ciò tanto più che, nella fattispecie, non potrebbe essere constatato alcun pregiudizio al bilancio dell’Unione. Inoltre, l’errore che essa avrebbe asseritamente commesso è manifestamente scusabile. In secondo luogo, essa sostiene che la rettifica finanziaria applicata dalla Commissione comporta l’attribuzione di una portata retroattiva alla disposizione controversa, in violazione del principio di tutela del legittimo affidamento.

295    La Commissione contesta gli argomenti della Repubblica italiana.

296    L’articolo 20 del regolamento n. 501/2008 così dispone:

«Lo Stato membro effettua i versamenti previsti agli articoli 18 e 19 entro 60 giorni di calendario dal ricevimento della domanda di pagamento.

Tale termine può tuttavia essere sospeso in qualunque momento del periodo di 60 giorni successivo alla prima registrazione della domanda di pagamento, mediante notifica all’organizzazione contraente creditrice che la domanda non è ricevibile, in quanto il credito non è esigibile oppure la domanda non è corredata dei documenti giustificativi necessari per le domande successive o lo Stato membro ritiene necessario richiedere informazioni supplementari o procedere a verifiche. Il termine continua a decorrere a partire dalla data di ricevimento delle informazioni richieste o dalla data delle verifiche effettuate dallo Stato membro, che devono essere trasmesse o rispettivamente effettuate entro un termine di 30 giorni di calendario a decorrere dalla notifica.

(...)».

297    La versione italiana dell’articolo 20, secondo comma, del regolamento n. 501/2008, prima della rettifica pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 18 ottobre 2012 disponeva quanto segue:

«Tale termine può tuttavia essere sospeso in qualunque momento del periodo di 60 giorni successivo alla prima registrazione della domanda di pagamento, mediante notifica all’organizzazione contraente creditrice che la domanda non è ricevibile, in quanto il credito non è esigibile oppure la domanda non è corredata dei documenti giustificativi necessari per le domande successive o lo Stato membro ritiene necessario richiedere informazioni supplementari o procedere a verifiche. Il termine decorre nuovamente a partire dalla data di ricevimento delle informazioni richieste o dalla data delle verifiche effettuate dallo Stato membro, che devono essere trasmesse o rispettivamente effettuate entro un termine di 30 giorni di calendario a decorrere dalla notifica».

298    La rettifica pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 18 ottobre 2012 ha sostituito, nella disposizione controversa, l’espressione «decorre nuovamente» con l’espressione «continua a decorrere».

299    Peraltro, dalla giurisprudenza risulta che la necessità che i regolamenti dell’Unione siano interpretati in modo uniforme esclude la possibilità di prendere in considerazione un solo testo ed impone invece, in caso di dubbio, d’interpretarlo e di applicarlo alla luce dei testi redatti nelle altre lingue ufficiali (sentenza del 17 ottobre 1996, Lubella, C‑64/95, EU:C:1996:388, punto 17).

300    In primo luogo, per quanto riguarda le censure dedotte dalla Repubblica italiana, vertenti in sostanza sulla violazione dell’articolo 20 del regolamento n. 501/2008 e sull’assenza di imputabilità alle autorità italiane del superamento del termine di pagamento contemplato al primo comma di tale articolo, da un lato, occorre rilevare che la versione italiana dell’articolo 20, secondo comma, del regolamento n. 501/2008 era molto ambigua, in quanto, nella prima frase, essa si riferiva espressamente alla sospensione del termine di pagamento fissato al primo comma dell’articolo 20 di tale regolamento [«tale termine può (...) essere sospeso»] mentre, nella seconda parte, essa sembrava fare riferimento all’interruzione di tale medesimo termine [«[i]l termine decorre nuovamente a partire dalla data di ricevimento delle informazioni richieste o dalla data delle verifiche effettuate dallo Stato membro»].

301    Dall’altro lato, la Repubblica italiana non contesta l’allegazione della Commissione secondo la quale gli articoli 2941 e seguenti del codice civile italiano operano una distinzione tra la sospensione dei termini e l’interruzione del termini, in base alla quale con l’interruzione si inizia un nuovo periodo, mentre in caso di sospensione il periodo di tempo già maturato prima dell’intervento della causa di sospensione viene a sommarsi con quello che ricomincia a decorrere una volta venuto meno l’evento che ha giustificato la sospensione.

302    Pertanto, in applicazione della giurisprudenza rammentata al precedente punto 299, la Repubblica italiana non poteva interpretare la disposizione controversa nel senso che essa l’autorizzava, mediante richieste di informazioni o verifiche supplementari presso organizzazioni contraenti creditrici, a interrompere il termine fissato al primo comma dell’articolo 20 del regolamento n. 501/2008, senza prima verificare se le altre versioni linguistiche della disposizione controversa confermassero la sua interpretazione ed eventualmente interpretare e applicare tale disposizione alla luce delle versioni redatte nelle altre lingue ufficiali, nonché dell’impianto e della finalità della normativa di cui essa fa parte (v., per analogia, sentenze del 27 ottobre 1977, Bouchereau, 30/77, EU:C:1977:172, punto 14, e del 9 gennaio 2003, Givane e a., C‑257/00, EU:C:2003:8, punto 37).

303    Orbene, nella fattispecie, la Repubblica italiana ha applicato la disposizione controversa nonostante la sua ambiguità alla luce dell’articolo 20, secondo comma, prima frase, del regolamento n. 501/2008, senza prendere in considerazione le altre versioni linguistiche dell’articolo 20, secondo comma, del regolamento n. 501/2008, rendendosi così esclusivamente responsabile della violazione del termine di pagamento di cui all’articolo 20, primo comma, del regolamento n. 501/2008.

304    Pertanto, le censure vertenti sulla violazione dell’articolo 20 del regolamento n. 501/2008 e sull’assenza di imputabilità dei ritardi di pagamento alla Repubblica italiana devono essere respinte.

305    In secondo luogo, per quanto attiene alla presunta violazione del principio della tutela del legittimo affidamento a causa dell’applicazione retroattiva della disposizione controversa come rettificata nel 2012, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza, tale principio può essere invocato nei confronti di una normativa dell’Unione solo se l’Unione stessa ha precedentemente determinato una situazione tale da ingenerare un legittimo affidamento (v. sentenza del 15 gennaio 2002, Weidacher, C‑179/00, EU:C:2002:18, punto 31 e giurisprudenza citata; sentenza del 10 giugno 2009, Polonia/Commissione, T‑257/04, EU:T:2009:182, punto 245).

306    Orbene, nel caso di specie non è dimostrato che l’Unione abbia determinato una situazione che consentisse alla Repubblica italiana di credere alla correttezza della disposizione controversa e di aspettarsi legittimamente di poterla applicare.

307    In primo luogo, dalla comunicazione del 27 aprile 2010, inviata ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 1, primo comma, del regolamento n. 885/2006 (v. punto 43 supra), risulta in sostanza che, da un lato, in occasione di due precedenti indagini la Commissione aveva già constatato problemi di ritardi nei pagamenti per quanto concerne la Repubblica italiana e, dall’altro, che dal 2005 i servizi della Commissione avevano sempre spiegato, nei loro scambi con le autorità italiane, in che modo si dovevano interpretare le disposizioni che formavano ormai oggetto dell’articolo 20 del regolamento n. 883/2006.

308    Di conseguenza, in risposta a una misura di organizzazione del procedimento adottata in base all’articolo 89 del regolamento di procedura, la Commissione ha prodotto una lettera del 9 febbraio 2006 che aveva inviato alla Repubblica italiana nell’ambito di un’indagine precedente, nella quale affermava espressamente che il termine di pagamento deve ricominciare a decorrere dal momento della ricezione delle informazioni attese o dell’effettuazione della verifica (in francese nel testo: «le délai [de paiement doit] recommencer à courir dès que les informations attendues sont reçues ou que la vérification est effectuée»).

309    A tale proposito occorre precisare che la normativa applicabile ai fatti oggetto dell’indagine menzionata al precedente punto 308 non era l’articolo 20 del regolamento n. 501/2008, bensì l’articolo 12, paragrafo 5, del regolamento (CE) n. 94/2002 della Commissione, del 18 gennaio 2002, recante modalità d’applicazione del regolamento (CE) n. 2826/2000 del Consiglio relativo ad azioni d’informazione e di promozione dei prodotti agricoli sul mercato interno (GU 2002, L 17, pag. 30). Tuttavia, queste due disposizioni erano sostanzialmente identiche. Infatti, ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 5, del regolamento n. 94/2002:

«Lo Stato membro esegue i versamenti previsti ai paragrafi precedenti entro 60 giorni dal ricevimento della domanda. Tale termine può tuttavia essere sospeso in qualunque momento del periodo di 60 giorni successivo alla prima registrazione della domanda di pagamento mediante notifica al contraente creditore che la domanda non è accettabile, in quanto il credito non è esigibile o la domanda non è corredata dei documenti giustificativi necessari per le domande successive oppure lo Stato membro ritiene necessario richiedere informazioni supplementari o procedere a verifiche. Il termine continua a decorrere a partire dalla data di ricevimento delle informazioni richieste, che devono essere trasmesse entro un termine di 30 giorni. Salvo casi di forza maggiore, il ritardo nei versamenti suddetti comporta una riduzione del rimborso allo Stato membro conformemente alle norme previste dall’articolo 4 del regolamento (CE) n. 296/96».

310    Pertanto occorre considerare che, prima di adottare la decisione impugnata, la Commissione aveva ripetutamente informato le autorità italiane della maniera in cui si sarebbe dovuto calcolare il termine di pagamento di sessanta giorni dopo la sua sospensione.

311    In secondo luogo, in udienza la Repubblica italiana ha confermato che, al momento in cui la procedura di verifica in questione era stata avviata, era stata la stessa a informare la Commissione del problema di traduzione della disposizione controversa. Pertanto, la Repubblica italiana non ignorava che la disposizione controversa probabilmente non era corretta, ma ha comunque deliberatamente deciso di applicarla.

312    Alla luce di quanto precede, la Repubblica italiana non può pretendere che la disposizione controversa abbia determinato un legittimo affidamento nei suoi confronti.

313    In terzo e ultimo luogo, si deve respingere l’argomento della Repubblica italiana secondo il quale il mancato rispetto dei termini di pagamento non avrebbe causato un pregiudizio al bilancio dell’Unione e, pertanto, sarebbe iniquo addebitarle le conseguenze dell’applicazione della disposizione controversa.

314    Dalla giurisprudenza emerge infatti che il FEAGA finanzia soltanto gli interventi effettuati in conformità alle disposizioni del diritto dell’Unione nell’ambito dell’organizzazione comune dei mercati agricoli (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 24 febbraio 2005, Grecia/Commissione, C‑300/02, EU:C:2005:103, punto 32 e giurisprudenza citata).

315    Orbene, la normativa dell’Unione europea impone agli Stati membri di rispettare il termine di pagamento indicato all’articolo 20 del regolamento n. 501/2008, pena sanzioni finanziarie.

316    Anzitutto, dal considerando 15 del regolamento n. 883/2006, riportato al precedente punto 257, risulta che ogni pagamento effettuato dopo i termini fissati dalla normativa dell’Unione europea per l’erogazione degli aiuti ai beneficiari, il cui ritardo non sia giustificato, deve essere considerato una spesa irregolare che come tale non dovrebbe essere oggetto di rimborsi da parte della Commissione.

317    Inoltre, l’articolo 20, terzo comma, del regolamento n. 501/2008 dispone che «[s]alvo casi di forza maggiore, ogni ritardo nei versamenti comporta una riduzione dell’importo dell’anticipo mensile versato dalla Commissione allo Stato membro, conformemente alle norme previste dall’articolo 9 del regolamento (...) n. 883/2006».

318    Infine, ai sensi del considerando 19 del regolamento n. 501/2008, «[p]er le esigenze di gestione di bilancio è indispensabile prevedere una sanzione pecuniaria da comminare in caso di (...) ritardo nei pagamenti degli Stati membri».

319    Alla luce di quanto precede, il superamento, da parte della Repubblica italiana, del termine di pagamento previsto all’articolo 20, primo comma, del regolamento n. 501/2008 viola la normativa dell’Unione europea ed è sufficiente a rendere le spese irregolari e, pertanto, non ammissibili, senza che sia necessario dimostrare l’esistenza di un pregiudizio per il Fondo.

320    Pertanto, occorre respingere il sesto motivo.

321    Dal momento che nessuno dei motivi dedotti dalla Repubblica italiana risulta fondato, il ricorso è respinto integralmente.

 Sulle spese

322    A norma dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

323    La Repubblica italiana, rimasta soccombente, sopporterà le proprie spese e quelle sostenute dalla Commissione.

324    Infine, ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, le spese sostenute dagli Stati membri intervenuti nella causa restano a loro carico.

325    Pertanto, la Repubblica francese e l’Ungheria sopporteranno le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Repubblica italiana sopporterà le proprie spese e le spese della Commissione europea.

3)      La Repubblica francese e l’Ungheria sopporteranno le proprie spese.

Kanninen

Schwarcz

Iliopoulos

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 12 marzo 2019.

Il cancelliere

 

Il presidente

E. Coulon

 

H. Kanninen


Indice


Contesto normativo

Regolamento (CE) n. 320/2006

Regolamento (CE) n. 968/2006

Fatti

Decisione impugnata

Sulla rettifica finanziaria riguardante le spese sostenute nell’ambito del regime temporaneo di ristrutturazione dell’industria dello zucchero

Sulla rettifica finanziaria applicata per pagamento tardivo del saldo dei premi di macellazione relativi all’anno di domanda 2004

Sulla rettifica finanziaria applicata per pagamento tardivo di talune spese relative alle azioni di informazione e di promozione dei prodotti agricoli

Procedimento e conclusioni delle parti

In diritto

Sul primo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 31, paragrafo 4, del regolamento n. 1290/2005, delle prerogative della difesa e del principio del contraddittorio, nonché sull’insufficienza della motivazione

Sulla prima parte del primo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 31, paragrafo 4, del regolamento n. 1290/2005

Sulla seconda parte del primo motivo, vertente sulla violazione delle prerogative della difesa e del principio del contraddittorio

Sulla terza parte del primo motivo, vertente, in sostanza, sull’insufficienza della motivazione

Sul secondo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 11 del regolamento n. 885/2006, delle prerogative della difesa, dei regolamenti nn. 320/2006 e 968/2006 e della sentenza del 14 novembre 2013, SFIR e a. (da C 187/12 a C189/12)

Sulla prima parte del secondo motivo, vertente, in sostanza, sulla violazione dell’articolo 11 del regolamento n. 885/2006 e delle prerogative della difesa

Sulla seconda parte del secondo motivo, vertente sulla violazione dei regolamenti nn. 320/2006 e 968/2006 nonché della sentenza del 14 novembre 2013, SFIR e a. (da C 187/12 a C189/12)

Sul terzo motivo, vertente sulla violazione dei principi di tutela del legittimo affidamento, di leale cooperazione, del ne bis in idem e di buona amministrazione nonché del dovere di sollecitudine

Sulla seconda parte del terzo motivo, vertente sulla violazione del principio del ne bis in idem

Sulla prima parte del terzo motivo, riguardante la violazione dei principi di tutela del legittimo affidamento, di leale cooperazione e di buona amministrazione, nonché del dovere di sollecitudine

Sul quarto motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 31, paragrafo 3, secondo comma, del regolamento n. 1290/2005, dell’articolo 11, paragrafo 3, secondo comma, del capo 3 del regolamento n. 885/2006 e delle linee guida della Commissione definite nel documento VI/5330/97, nonché dell’obbligo di motivazione

Sulla prima parte del quarto motivo, vertente, in sostanza, sulla violazione dell’obbligo di motivazione, dell’articolo 31, paragrafo 3, secondo comma, del regolamento n. 1290/2005, dell’articolo 11, paragrafo 3, secondo comma, e del capo 3 del regolamento n. 885/2006, nonché sul mancato esame della posizione dell’organo di conciliazione

Sulla seconda parte del quarto motivo, vertente sulla violazione delle linee guida definite nel documento VI/5330/97

Sul quinto motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 9, paragrafo 3, del regolamento n. 883/2006 e del principio della parità di trattamento, nonché sul travisamento dei fatti

Sulla prima parte del quinto motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 9, paragrafo 3, del regolamento n. 883/2006

Sulla seconda parte del quinto motivo, vertente sulla violazione del principio della parità di trattamento

Sulla terza parte del quinto motivo, vertente su uno snaturamento dei fatti

Sul sesto motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 20 del regolamento n. 501/2008, nonché dei principi del legittimo affidamento e dell’imputabilità agli Stati membri delle rettifiche finanziarie

Sulle spese


*      Lingua processuale: l’italiano.