Language of document : ECLI:EU:C:2007:737

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

VERICA TRSTENJAK

presentate il 29 novembre 2007 1(1)

Causa C‑14/07

Ingenieurbüro Michael Weiss und Partner GbR

contro

Industrie- und Handelskammer Berlin;

interveniente:

Nicholas Grimshaw & Partners Ltd

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesgerichtshof (Germania)]

«Cooperazione giudiziaria in materia civile – Regolamento (CE) n. 1348/2000 – Notificazione di atti giudiziari ed extragiudiziali – Rifiuto della ricezione – Concetto di atto – Allegati non tradotti di un atto di ricorso tradotto – Lingua dello Stato membro mittente – Scelta della lingua e del foro competente contenuta nel contratto concluso tra professionisti, il cui inadempimento costituisce l’oggetto della controversia»





I –    Introduzione

1.        La presente causa concerne l’interpretazione dell’art. 8, n. 1, del regolamento (CE) del Consiglio 29 maggio 2000, n. 1348, relativo alla notificazione e alla comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile o commerciale (in prosieguo: il «regolamento n. 1348/2000») (2), ed in particolare la questione se il destinatario possa rifiutare di ricevere l’atto oggetto della notificazione proveniente dall’estero, nel caso in cui l’atto di ricorso oggetto della notificazione, relativo ad un procedimento civile straniero, sia stato sì tradotto nella lingua ufficiale dello Stato membro richiesto, ma non siano stati tradotti in tale lingua ufficiale gli allegati al detto ricorso, ed il destinatario dichiari di non comprendere la lingua dello Stato membro mittente, benché egli, nell’esercizio della sua attività commerciale, abbia concluso un contratto in cui è stato convenuto l’utilizzo della lingua dello Stato membro mittente per la corrispondenza tra le parti, da un lato, e le autorità e le istituzioni pubbliche, dall’altro.

2.        La presente domanda di pronuncia pregiudiziale è proposta dal Bundesgerichtshof nell’ambito di un procedimento per risarcimento danni avviato su domanda della Industrie- und Handelskammer Berlin (Camera di Commercio e Industria di Berlino; in prosieguo: la «IHK Berlin») contro lo studio di architettura Nicholas Grimshaw & Partners Ltd, una società di diritto inglese (in prosieguo: lo «studio Grimshaw»), in relazione alla difettosa progettazione di un edificio. La IHK Berlin ha chiamato in garanzia nel processo lo studio Grimshaw. In via incidentale è sorta una controversia tra le parti in merito alla validità della notificazione del ricorso allo studio Grimshaw. Lo studio di ingegneria Weiss und Partner, con sede ad Aquisgrana (in prosieguo: lo «studio Weiss») è stato chiamato in causa come terzo.

II – Contesto normativo

3.        L’ottavo ed il decimo ‘considerando’ del regolamento n. 1348/2000 dispongono quanto segue:

«(8)      Per garantire l’efficacia del regolamento, la facoltà di denegare la notificazione o la comunicazione degli atti deve essere limitata a situazioni eccezionali.

(10)      A tutela degli interessi del destinatario è opportuno che la notificazione o la comunicazione sia redatta nella lingua o in una delle lingue ufficiale/i del luogo in cui deve effettuarsi oppure in un’altra lingua dello Stato membro mittente compresa dal destinatario».

4.        L’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000 dispone quanto segue:

«Rifiuto di ricezione dell’atto

1.      L’organo ricevente informa il destinatario che può rifiutare di ricevere l’atto oggetto della notificazione o della comunicazione se è redatto in una lingua diversa da una delle seguenti lingue:

a)      la lingua ufficiale dello Stato membro richiesto oppure, qualora lo Stato membro richiesto abbia più lingue ufficiali, la lingua o una delle lingue ufficiali del luogo in cui deve essere eseguita la notificazione o la comunicazione,

oppure

b)      una lingua dello Stato membro mittente compresa dal destinatario».

III – Fatti principali, procedimento principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

5.        La IHK Berlin, sulla base di un contratto di prestazioni professionali di architettura del 16 febbraio 1994, chiede allo studio Grimshaw, una società di diritto inglese con sede a Londra, un risarcimento danni per progettazione difettosa. Nel predetto contratto lo studio Grimshaw si era impegnato alla realizzazione di un progetto per un intervento edilizio a Berlino. Al paragrafo 3.2.6 di tale contratto è stabilito quanto segue:

«L’opera sarà prestata in lingua tedesca. La corrispondenza tra [la IHK Berlin] e [lo studio Grimshaw] e le autorità ed istituzioni pubbliche sarà scambiata in lingua tedesca».

Al paragrafo 10.2 del contratto è stabilito quanto segue:

«Il foro competente per eventuali controversie è quello di Berlino».

Al paragrafo 10.4 del contratto è stabilito quanto segue:

«Al presente contratto si applica il diritto tedesco».

6.        Ai fini della notificazione allo studio Grimshaw, la IHK Berlin ha depositato presso i giudici tedeschi copia dell’atto di ricorso e di tutti gli allegati ivi citati. Gli allegati comprendono il contratto di prestazioni professionali di architettura concluso tra le parti, accordi successivi relativi a tale contratto con relativa bozza, un estratto del capitolato e vari altri scritti, tra l’altro anche dello studio Grimshaw, concernenti la corrispondenza scambiata con le ditte incaricate di accertare ed eliminare i difetti denunciati. In base a quanto riferito dal Bundesgerichtshof, allo studio Grimshaw, prima della proposizione del ricorso, non erano però noti tutti gli allegati, in particolare non lo erano gli atti relativi all’accertamento e all’eliminazione dei difetti e ai relativi costi. Inoltre, il contenuto degli allegati cui fa riferimento la IHK Berlin è in parte riprodotto nell’atto di ricorso.

7.        L’atto di ricorso del 29 maggio 2002, con il quale la IHK Berlin chiedeva allo studio Grimshaw il risarcimento dei danni in forza del contratto di prestazioni professionali di architettura, era stato notificato allo studio Grimshaw in lingua tedesca già il 20 dicembre 2002. Dopo che lo studio Grimshaw in un primo momento aveva rifiutato di ricevere il ricorso per difetto di traduzione in lingua inglese, il 23 maggio 2003 gli venivano recapitati a Londra l’atto di ricorso tradotto in lingua inglese, nonché gli allegati redatti in lingua tedesca senza relativa traduzione.

8.        Con memoria del 13 giugno 2003 lo studio Grimshaw contestava la regolarità della notificazione, in quanto gli allegati non erano stati tradotti in inglese e, pertanto, sul fondamento dell’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000, rifiutava di ricevere il ricorso, ritenendone priva di effetti la notificazione. Lo studio Grimshaw, peraltro, eccepiva anche la prescrizione e chiamava in causa lo studio Weiss, il quale partecipa al procedimento pendente dinanzi ai giudici tedeschi in qualità di interveniente.

9.        Dall’ordinanza di rinvio può evincersi che il Landgericht Berlin con sentenza incidentale ha dichiarato che il ricorso è stato regolarmente notificato il 23 maggio 2003. L’impugnazione dello studio Grimshaw è stata respinta con sentenza dal Kammergericht Berlin. Contro tale sentenza del Kammergericht l’interveniente, cioè lo studio Weiss, ha presentato istanza di revisione dinanzi all’attuale giudice a quo, cioè il Bundesgerichtshof.

10.      Il Bundesgerichtshof rileva che, in base al regolamento di procedura civile tedesco, l’atto di ricorso, il quale faccia rinvio a documenti ivi allegati, costituisce con essi un tutt’uno, ed il convenuto deve ricevere tutte quelle informazioni fornite dal ricorrente che sono necessarie per la sua difesa. Pertanto, non si può valutare la regolarità della notificazione di un atto di ricorso indipendentemente dalla notificazione degli allegati, adducendo che le informazioni essenziali sarebbero già ricavabili dall’atto di ricorso e che il diritto alla difesa sarebbe salvo in quanto il convenuto potrebbe ancora adeguatamente difendersi nel corso del procedimento.

11.      Una deroga a tale principio è ammessa, secondo il Bundesgerichtshof, allorché l’esigenza del convenuto di essere informato non risulti pregiudicata in modo sostanziale, ad esempio perché un allegato, non accluso all’atto di ricorso, gli è stato trasmesso praticamente nello stesso momento della proposizione del ricorso, oppure perché il convenuto conosceva tutta la documentazione già prima della proposizione del ricorso. Il giudice a quo rileva che nel presente caso lo studio Grimshaw non conosceva tutti gli atti, in particolare non conosceva quelli concernenti l’accertamento e l’eliminazione dei difetti e i relativi costi. Tali atti non potrebbero essere considerati quali dettagli insignificanti, giacché dalla loro valutazione potrebbe dipendere la decisione di depositare una memoria difensiva.

12.      Il Bundesgerichtshof osserva, altresì, che nessuno degli organi legittimati a rappresentare lo studio Grimshaw comprende il tedesco, ed è dell’avviso che sia possibile interpretare il regolamento n. 1348/2000 nel senso che la ricezione non possa essere rifiutata per la ragione che gli allegati non sono stati tradotti. L’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000 non si esprime, infatti, in merito al rifiuto della ricezione di allegati. Inoltre, in base al formulario previsto dall’art. 4, n. 3, prima frase, del regolamento n. 1348/2000 per le domande di notificazione negli Stati membri dell’Unione europea, è necessario fornire indicazioni sulla natura dell’atto e sulla lingua utilizzata solo in relazione all’atto da notificare (punti 6.1 e 6.3 del formulario), ma non in relazione ai documenti allegati, per i quali si richiede soltanto di indicarne il numero (punto 6.4 del formulario). Ad avviso del Bundesgerichtshof, tuttavia, si deve solo stabilire se l’atto in questione sia un atto oggetto della notificazione ai sensi del regolamento n. 1348/2000; la configurazione del formulario non può avere alcuna influenza su tale decisione.

13.      Per il caso in cui non si ritenga possibile rifiutare la ricezione solo sulla base del motivo che gli allegati non sono tradotti, il Bundesgerichtshof ritiene che il contratto, in cui la ricorrente e la convenuta avevano stabilito che la corrispondenza fosse scambiata in lingua tedesca, non basterebbe, a suo avviso, per negare il diritto della convenuta di rifiutare la ricezione ai sensi dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1348/2000. Tale clausola, infatti, non significa che la convenuta comprende la lingua ai sensi del regolamento n. 1348/2000.

14.      Infine, per il caso in cui una clausola contrattuale non possa essere considerata una presunzione di comprensione di una lingua, il Bundesgerichtshof si chiede se la ricezione di un atto di ricorso possa essere sempre rifiutata qualora gli allegati non siano tradotti, oppure se siano ammesse eccezioni, ad esempio nell’ipotesi in cui il convenuto già disponga di una traduzione degli allegati o l’allegato sia riprodotto alla lettera nell’atto di ricorso e questo sia tradotto. Un’eccezione potrebbe, tuttavia, essere ammessa anche nel caso in cui gli atti trasmessi come allegati siano redatti nella lingua validamente concordata dalle parti mediante contratto. Il Bundesgerichtshof richiama l’ipotesi di contraenti deboli, eventualmente da tutelare, come i consumatori nel caso di contratti transfrontalieri, i quali potrebbero aver consentito per contratto a che la corrispondenza sia scambiata nella lingua del contraente professionista. Senonché nel presente caso lo studio Grimshaw ha concluso il contratto nell’esercizio della sua attività commerciale. Non emerge alcuna particolare esigenza di tutela di tale studio e, quindi, alcuna necessità di riconoscergli il diritto di rifiutare la ricezione.

15.      Il Bundesgerichtshof, poiché nutre dubbi circa l’interpretazione del regolamento n. 1348/2000, ha sospeso il procedimento e ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000 debba essere interpretato nel senso che non sussiste il diritto del destinatario di rifiutare la ricezione ai sensi dell’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000, qualora soltanto gli allegati di un atto oggetto della notificazione non siano redatti nella lingua dello Stato membro richiesto oppure in una lingua dello Stato membro mittente compresa dal destinatario.

2)      In caso di soluzione negativa della prima questione:

Se l’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1348/2000 debba essere interpretato nel senso che la lingua dello Stato membro mittente è “compresa” dal destinatario ai sensi del suddetto regolamento già per il fatto che questi, nell’esercizio della sua attività commerciale, ha convenuto in un contratto concluso con il richiedente che la corrispondenza sia scambiata nella lingua dello Stato membro mittente.

3)      In caso di soluzione negativa della seconda questione:

Se l’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000 debba essere interpretato nel senso che il destinatario in ogni caso non può invocare l’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000 per rifiutare la ricezione di tali allegati ad un atto redatti in una lingua diversa dalla lingua dello Stato membro richiesto o da una lingua dello Stato membro mittente compresa dal destinatario, qualora egli, nell’esercizio della sua attività commerciale, concluda un contratto in cui convenga che la corrispondenza sia scambiata nella lingua dello Stato membro mittente, e gli allegati trasmessi riguardino tale corrispondenza e siano redatti nella lingua convenuta».

16.      Nel procedimento sono intervenuti lo studio Grimshaw, lo studio Weiss, la IHK Berlin, i governi francese, italiano, slovacco e ceco, nonché la Commissione.

17.      All’udienza del 24 ottobre 2007 lo studio Weiss, lo studio Grimshaw, il governo francese e la Commissione hanno presentato osservazioni orali e hanno risposto alle domande loro poste dalla Corte.

IV – Argomenti dei soggetti che hanno presentato osservazioni alla Corte

A –    Sulla prima questione pregiudiziale

18.      Secondo lo studio Weiss l’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000 deve essere interpretato nel senso che il diritto del destinatario di rifiutare la ricezione ai sensi dell’art. 8, n. 1, del citato regolamento, sussiste anche nel caso in cui gli allegati di un atto oggetto della notificazione non siano redatti nella lingua dello Stato membro richiesto oppure in una lingua dello Stato membro mittente compresa dal destinatario.

19.      Lo studio Grimshaw sostiene che il diritto del destinatario di rifiutare la ricezione sussiste nel caso in cui non siano redatti nella lingua dello Stato membro richiesto oppure in una lingua dello Stato membro mittente compresa dal destinatario i soli allegati di un atto oggetto della notificazione. Già in base alla lettera dell’art. 8 del regolamento n. 1348/2000 vanno considerati come atti non soltanto gli atti di ricorso redatti dagli avvocati, ma tutti gli scritti e i documenti trasmessi per essere notificati. La ratio degli artt. 5, n. 1, e 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000 depone in modo decisivo nel senso che devono essere considerati «atti» anche gli allegati ad un atto di ricorso. Lo studio Grimshaw richiama anche i regolamenti di procedura della Corte (art. 29, n. 3) e del Tribunale di primo grado (art. 35, n. 3), dai quali risulta che atto di ricorso e allegati sono considerati come un tutt’uno. Sia l’uno sia gli altri devono essere redatti nella stessa lingua, e cioè, se del caso, nella lingua compresa dal convenuto. Fare riferimento, per stabilire se sia necessaria la traduzione, a ciò che serve per la difesa del convenuto, non costituisce, invece, un criterio che garantisce a sufficienza la certezza del diritto. Piuttosto devono essere tradotti tutti gli allegati, poiché la loro conoscenza dovrebbe consentire di decidere non solo se difendersi, ma anche in che modo difendersi. Alcuni mezzi di difesa potrebbero emergere soltanto dagli allegati e non essere necessariamente rilevati nella prospettazione fornita dal ricorrente. Lo studio Grimshaw ritiene, infine, che la mancata traduzione di tutti gli allegati di un atto di ricorso violi il principio dell’uguale trattamento, giacché in un procedimento tedesco di rilievo meramente nazionale sarebbero invece disponibili in tedesco tutti gli allegati.

20.      La IHK Berlin rileva che lo studio Grimshaw, insieme all’atto di ricorso, ha ricevuto anche gli allegati ivi citati. La IHK Berlin sostiene che il diritto del destinatario di rifiutare la ricezione ai sensi dell’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000 concerne, in base alla lettera e alla sistematica, soltanto gli atti giudiziari redatti. Gli allegati non sono atti in tal senso. Piuttosto essi costituiscono altri documenti da trasmettere. Per raggiungere lo scopo di informare il convenuto circa l’oggetto ed il motivo del ricorso, non è necessario tradurre voluminosi allegati, in cui magari rileva soltanto una singola clausola. La prova dei fatti affermati va fornita nel corso del processo, durante il quale è in ogni momento possibile far tradurre determinati documenti non tradotti al momento della proposizione del ricorso. Obbligare il ricorrente a tradurre tutti gli allegati potrebbe rivelarsi molto dispendioso ed in contrasto con l’obiettivo di accelerazione perseguito dal regolamento.

21.      Il governo francese osserva che la traduzione di tutti i documenti trasmessi in una lingua compresa dal destinatario costituisce un presupposto necessario per la tutela dei suoi interessi e per la garanzia dei diritti di difesa. Il governo francese sostiene, altresì, che per tutti i documenti interessati dalla notificazione valgono le medesime regole di trasmissione e, in particolare, i medesimi obblighi di traduzione, indipendentemente dal fatto che si tratti degli atti stessi oggetto della notificazione o dei relativi allegati. Gli allegati sono, infatti, parte integrante dell’atto. Del resto, l’art. 8, n. 2, del regolamento n. 1348/2000 prevede che l’organo ricevente restituisca all’organo mittente i documenti di cui si chiede la traduzione, se il destinatario rifiuta il documento oggetto della notificazione. Dalla lettera di tale articolo risulta, quindi, che può essere pretesa la traduzione di tutti i documenti trasmessi, e non solo dell’atto oggetto della notificazione.

22.      Il governo italiano, rilevando l’uso del sostantivo al plurale «atti», sostiene che l’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000 deve essere interpretato nel senso che il destinatario può rifiutare di ricevere l’atto oggetto della notificazione se i relativi allegati sono redatti in una lingua diversa dalla lingua ufficiale dello Stato membro richiesto oppure da una lingua dello Stato membro mittente compresa dal destinatario. Pertanto, si dovrebbe riconoscere al destinatario della notificazione il diritto di rifiutare l’atto anche qualora i requisiti di traduzione, previsti all’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000, non risultino soddisfatti soltanto in relazione ad un allegato o ad alcuni allegati.

23.      Il governo slovacco sostiene che – tenuto conto della disciplina contenuta nel regolamento n. 1348/2000, soprattutto nei suoi ‘considerando’ – al fine di ottenere un’interpretazione ed un’applicazione uniforme del regolamento stesso, nel concetto di «atto oggetto della notificazione» devono essere ricompresi non solo l’atto principale, ma anche gli allegati notificati al destinatario insieme al predetto atto. Il destinatario, per poter acquisire piena familiarità con l’atto che gli è stato notificato nella presente causa, e per poter far valere efficacemente i suoi diritti dinanzi al giudice dello Stato membro mittente, deve conoscere esattamente, nel suo insieme, il contenuto dell’atto oggetto della notificazione. Per tale motivo il governo slovacco ritiene che l’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000 debba essere interpretato nel senso che il destinatario ha il diritto, ai sensi dell’art. 8, n. 1, di rifiutare di ricevere un atto oggetto della notificazione anche qualora soltanto gli allegati dell’atto oggetto della notificazione non siano redatti nella lingua dello Stato membro richiesto o nella lingua dello Stato membro mittente compresa dal destinatario.

24.      Il governo ceco sostiene che gli allegati all’atto di ricorso devono essere concepiti come un tutt’uno insieme all’atto di ricorso e che ad essi deve applicarsi il medesimo regime linguistico. A favore di questa tesi depone principalmente il fatto che gli allegati all’atto di ricorso hanno un’importanza tale per il convenuto e per il giudice nell’ambito del processo da giustificare un’interpretazione del diritto ad un giusto processo tale per cui detto diritto includa anche l’informazione del convenuto in merito al contenuto degli allegati. Gli allegati dovrebbero essere tradotti anche nel caso in cui il ricorrente ne citi le parti principali nel ricorso proposto o ne faccia in altro modo menzione. Occorre garantire che sia raggiunto un equilibrio tra le parti di modo che esse partecipino alla controversia ad armi pari. Quando il ricorrente allega un documento all’atto di ricorso, si può dare per scontato che ne conosca il contenuto, e tale possibilità deve essere offerta anche al convenuto. La menzione delle parti rilevanti nello stesso atto di ricorso non influisce sul diritto del convenuto. L’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000 deve, quindi, essere interpretato nel senso che il destinatario ha il diritto di rifiutare di ricevere un atto anche quando soltanto gli allegati di tale atto sono redatti in una lingua diversa dalla lingua ufficiale o da una lingua comprensibile al destinatario.

25.      La Commissione rileva preliminarmente che gli allegati di un atto di ricorso di regola hanno lo scopo di fornire informazioni aggiuntive all’atto di ricorso ovvero di comprovare l’esattezza di dati contenuti nell’atto di ricorso. Pertanto gli allegati in via di principio costituiscono parte integrante del ricorso. Del resto l’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000 impiega un concetto generico quando parla di atto oggetto della notificazione, il che induce ad attribuire un significato ampio a tale concetto; esso potrebbe comprendere tanto l’atto di ricorso quanto i suoi allegati. Il formulario allegato al regolamento n. 1348/2000 non chiarisce che cosa sia un atto oggetto della notificazione.

26.      Sempre a parere della Commissione, il decimo ‘considerando’ del regolamento n. 1348/2000 fornisce la motivazione del regime linguistico di cui all’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000. La necessità di una traduzione degli allegati deve essere valutata in base alla sua incidenza sugli interessi del destinatario del ricorso. Non sarebbe, pertanto, necessario tradurre gli allegati se il loro contenuto è riprodotto nell’atto di ricorso stesso. Per contro, la comprensione linguistica degli allegati sarebbe importante per tutelare gli interessi del destinatario nel caso in cui l’atto di ricorso rinvii ad allegati senza riprodurne il contenuto. Pertanto, se gli allegati contengono dati importanti non contenuti nell’atto di ricorso, il convenuto potrebbe rifiutarne la ricezione se gli allegati non sono tradotti.

B –    Sulla seconda questione pregiudiziale

27.      Secondo lo studio Weiss non è conforme al regolamento n. 1348/2000 far dipendere il diritto di rifiutare la ricezione dal fatto che il destinatario ha concluso con la sua controparte processuale un contratto in cui ha convenuto che la corrispondenza sia scambiata nella lingua dello Stato membro mittente. Una siffatta clausola non costituisce un indizio del fatto che il destinatario della notificazione comprende effettivamente la lingua dello Stato membro mittente. In particolare, per la gestione della corrispondenza egli potrebbe avvalersi anche dei servizi di uno studio di traduzione. La pattuizione di una lingua contrattuale non può essere equiparata al consenso a gestire una controversia nella corrispondente lingua processuale. È noto che la gestione di una controversia – già a causa dello specifico linguaggio giuridico – richiede evidentemente un livello superiore di conoscenza della lingua straniera da parte del destinatario rispetto a quello richiesto per la gestione di un rapporto contrattuale nel proprio settore specialistico.

28.      Secondo lo studio Grimshaw l’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000 non può essere interpretato nel senso che la lingua dello Stato membro mittente è «compresa» dal destinatario per il solo fatto che questi, nell’esercizio della sua attività commerciale, in un contratto concluso con il richiedente abbia pattuito che la corrispondenza sia scambiata nella lingua dello Stato membro mittente. Il fatto che il destinatario di un atto, nell’esercizio della sua attività commerciale, in un contratto concluso con il richiedente abbia pattuito che la corrispondenza sia scambiata nella lingua dello Stato membro mittente, costituisce semplicemente un indizio della conoscenza della lingua. Se la notificazione del ricorso fosse stata effettuata sulla scorta di indizi, risulterebbe pregiudicato il diritto alla difesa. Il fatto che il destinatario abbia pattuito in un contratto che la corrispondenza sia scambiata nella lingua dello Stato membro mittente, non significa ancora che questi comprenda anche effettivamente tale lingua. Da un punto di vista dogmatico, inoltre, non sarebbe affatto possibile spiegare perché una clausola contrattuale pattuita tra privati, che in base alla volontà delle parti dovrebbe valere soltanto per la regolare gestione del contratto tra queste due persone private, debba avere un effetto limitativo sul diritto soggettivo pubblico alla difesa, che il destinatario vanta nei confronti dei giudici nella loro veste di autorità pubbliche.

29.      Ad avviso della IHK Berlin l’accordo delle parti di utilizzare una determinata lingua per il loro rapporto giuridico, divenuto controverso, prevale sull’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1348/2000. Un siffatto accordo fonda la presunzione semplice che il destinatario comprende un atto che riguarda il rapporto giuridico di specie e che è redatto nella lingua convenuta. Avendo le parti convenuto quale sia la lingua rilevante per il loro rapporto giuridico, allora tale pattuizione serve per un’agevole gestione del contratto e viene in rilievo anche nel caso in cui si dovesse giungere ad un conflitto e perfino ad un’azione legale. Con tale accordo le parti hanno vicendevolmente rinunciato ad invocare l’art. 8, n. l, lett. b), del regolamento n. 1348/2000 in caso di ricezione di un atto redatto nella lingua contrattuale.

30.      Il governo francese è, prima di tutto, dell’avviso che sia compito dei giudici nazionali valutare, alla luce dei fatti del singolo caso, se la lingua dello Stato membro mittente possa essere considerata comprensibile per il destinatario ai sensi dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1348/2000. Il fatto che la lingua dello Stato membro mittente sia stata scelta dalle parti contrattuali per la corrispondenza potrebbe essere considerato un elemento utile ai fini di tale valutazione.

31.      Tale circostanza da sola, tuttavia, non basta per ritenere che la lingua dello Stato membro mittente sia comprensibile per il destinatario ai sensi dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1348/2000, e per esonerare il giudice nazionale da una verifica nel singolo caso. Se, infatti, la lingua dello Stato membro mittente fosse ritenuta comprensibile per il destinatario sol perché una clausola contrattuale prevede che la corrispondenza debba essere scambiata in questa lingua, allora verrebbe in tal modo introdotta una presunzione legale che va ben al di là di quanto previsto dal regolamento.

32.      Ad avviso del governo italiano l’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000 deve essere interpretato nel senso che il destinatario ha il diritto di rifiutare di ricevere un atto oggetto della notificazione, ovvero gli allegati a tale atto, qualora non siano redatti nella lingua ufficiale dello Stato membro richiesto o in una lingua dello Stato membro mittente compresa dal destinatario; la lingua contrattuale scelta dalle parti per la loro corrispondenza non sarebbe rilevante, nemmeno nel caso in cui gli allegati all’atto siano stati notificati al destinatario in questa lingua contrattualmente convenuta. La facoltà di rifiutare un atto redatto in una lingua diversa da quella nota al destinatario della notificazione non potrebbe venir meno solo per il fatto che le parti hanno concordato l’utilizzo di quella lingua nella loro corrispondenza. È lecito dubitare del fatto che accordi relativi alla scelta contrattuale di una lingua possano vincolare la controparte contrattuale al suo utilizzo anche nella fase in cui sorgano difficoltà nel rapporto contrattuale, in particolare nel caso in cui il conflitto sorto tra le parti sia portato dinanzi al giudice.

33.      A parere del governo slovacco l’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1348/2000 non può essere interpretato nel senso che la lingua dello Stato membro mittente è «compresa» dal destinatario solo per il fatto che tra questi ed il richiedente esiste l’accordo di scambiarsi la corrispondenza relativa all’esercizio della loro attività commerciale nella lingua dello Stato membro mittente. La Repubblica slovacca ritiene che un accordo privato, intervenuto tra il destinatario ed il richiedente, circa l’utilizzo della lingua dello Stato membro mittente nella corrispondenza relativa all’esercizio della loro attività commerciale, sia irrilevante al fine di assicurare una regolare notificazione ai sensi del regolamento.

34.      Ad avviso del governo ceco l’accordo relativo all’utilizzo di una determinata lingua nell’ambito dell’attività commerciale non implica necessariamente la conoscenza di tale lingua ai fini dell’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000. L’accordo delle parti relativo all’utilizzo di una determinata lingua può essere preso in considerazione dal giudice per verificare se il rifiuto di accettare un atto costituisca un esercizio abusivo del diritto, ma di per sé non fornisce alcuna risposta univoca. Il consenso all’utilizzo di una determinata lingua nella corrispondenza tra due imprenditori di per sé non significa ancora che entrambe le parti comprendano a tal punto la lingua da essere in grado di difendere efficacemente i loro diritti in un procedimento in cui il ricorso e i relativi allegati sono redatti in una determinata lingua. Il governo ceco propone, pertanto, di risolvere negativamente la seconda questione.

35.      La Commissione rileva che all’interno del regolamento n. 1348/2000 in generale, e all’interno dell’art. 8, n. 1 in particolare, non vi è alcun elemento che induca in particolare a ritenere che la questione se la lingua dello Stato mittente sia «compresa» dal destinatario possa essere valutata sulla base di una mera presunzione, anziché sulla base di un’effettiva capacità. La parola «compresa» richiama uno stato di fatto oggettivo, e non una mera presunzione, anche qualora questa possa fondarsi su alcuni indizi, quali, ad esempio, l’accordo contrattuale relativo alla lingua da utilizzare nella corrispondenza. Pertanto, nel presente caso, la circostanza che il destinatario, nell’esercizio della sua attività commerciale, in un contratto concluso con la ricorrente ha concordato di scambiarsi la corrispondenza nella lingua dello Stato membro mittente, potrebbe semplicemente essere richiamata come elemento utile per dimostrare la comprensione di tale lingua; tale accordo, tuttavia, di per sé non costituisce ancora prova sufficiente del fatto che la destinataria comprende anche effettivamente la lingua dello Stato membro mittente.

C –    Sulla terza questione pregiudiziale

36.      Lo studio Weiss osserva che se il diritto di rifiutare la ricezione di allegati non tradotti fosse subordinato alla duplice condizione che essi siano redatti in una lingua convenuta e riguardino l’oggetto del contratto, allora il convenuto dovrebbe decidere, entro un breve termine, se esercitare o meno tale diritto, senza poter valutare, sulla scorta di una traduzione, se tali condizioni siano soddisfatte, in particolare se vi sia un legame con il rapporto contrattuale. Il solo fatto che il convenuto si è obbligato a gestire il rapporto contrattuale in una determinata lingua non potrebbe bastare per attribuirgli l’intenzione di limitare il proprio diritto alla difesa a tal punto da rinunciare ad essere informato dell’oggetto della controversia in una lingua a lui (normalmente) comprensibile.

37.      Lo studio Grimshaw rileva che se l’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000 dovesse essere interpretato nel senso che il destinatario in ogni caso non può invocare l’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000 per rifiutare la ricezione del ricorso, qualora egli, nell’esercizio della sua attività commerciale, concluda un contratto in cui convenga che la corrispondenza sia scambiata nella lingua dello Stato membro mittente, e gli allegati trasmessi riguardino tale corrispondenza e siano redatti nella lingua convenuta, allora nell’applicazione dell’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000 si introdurrebbe un giudizio di valore relativo all’eventuale sussistenza di un comportamento sleale da parte del convenuto. L’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000 non deve essere interpretato nel senso che il destinatario in ogni caso non può farvi riferimento per rifiutare la ricezione di tali allegati ad un atto redatti in una lingua diversa dalla lingua dello Stato membro richiesto o da una lingua dello Stato membro mittente compresa dal destinatario, qualora egli, nell’esercizio della sua attività commerciale, concluda un contratto in cui convenga che la corrispondenza sia scambiata nella lingua dello Stato membro mittente, e gli allegati trasmessi riguardino tale corrispondenza e siano redatti nella lingua convenuta.

38.      La IHK Berlin ritiene che il destinatario non possa invocare l’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000 per rifiutare la ricezione degli allegati di un atto, qualora egli, nell’esercizio della sua attività commerciale, abbia convenuto per contratto con il mittente che la corrispondenza sia scambiata nella lingua dello Stato membro mittente, e gli allegati trasmessi riguardino tale corrispondenza e siano redatti nella lingua convenuta. In tal caso l’esercizio del diritto di rifiutare la ricezione integrerebbe un abuso.

39.      Il governo francese, facendo leva sul tenore letterale dell’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000, ritiene che il destinatario abbia il diritto di rifiutare la ricezione di un atto e dei suoi allegati se questi sono redatti nella lingua convenuta dalle parti per la loro corrispondenza, e questa lingua non è una lingua dello Stato membro richiesto, né una lingua dello Stato membro mittente compresa dal destinatario. Non è, pertanto, necessario introdurre, né direttamente né indirettamente, una deroga al diritto di rifiutare la ricezione di un atto redatto in una lingua diversa dalle lingue previste nell’art. 8 del regolamento n. 1348/2000. Una diversa interpretazione pregiudicherebbe la piena efficacia del regolamento.

40.      Il governo italiano sostiene che un rifiuto della ricezione può essere considerato abusivo solo nel caso in cui gli allegati siano integralmente riprodotti nell’atto giudiziario tradotto nella lingua del destinatario, ovvero nel caso in cui questi allegati siano già noti al destinatario nella loro totalità indipendentemente dalla notificazione, essendo integralmente contenuti nella corrispondenza intervenuta tra le parti, la quale viene scambiata, secondo la loro volontà, nella lingua dello Stato mittente. Queste due condizioni, tuttavia, non sono state oggetto d’esame nel presente caso. Il rifiuto del destinatario di ricevere l’atto dovrebbe essere considerato legittimo. Da questo punto di vista, la seconda parte della terza questione pregiudiziale, la quale presuppone circostanze di fatto escluse dal giudice a quo, dovrebbe essere ritenuta irricevibile, essendo irrilevante ai fini della decisione.

41.      Il governo slovacco ritiene che l’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000 debba essere interpretato nel senso che il destinatario ha il diritto di rifiutare di ricevere un atto oggetto della notificazione o i relativi allegati che non siano redatti nella lingua ufficiale dello Stato membro richiesto o in una lingua dello Stato membro mittente compresa dal destinatario; in tale ambito la lingua contrattuale scelta dalle parti per la loro corrispondenza sarebbe priva di rilevanza, anche nel caso in cui gli allegati all’atto siano stati notificati al destinatario in questa lingua contrattualmente convenuta.

42.      Il governo ceco rinvia, in relazione alla terza questione pregiudiziale, alle osservazioni svolte sulla seconda questione, e ritiene che la soluzione della terza questione sia già contenuta nella soluzione della seconda questione.

43.      La Commissione si basa sulla lettera del decimo ‘considerando’ del regolamento n. 1348/2000 e sostiene a sua volta la tesi che gli interessi del destinatario di un atto sono sufficientemente tutelati qualora questi abbia, o possa avere conoscenza del contenuto degli allegati non tradotti. Nel procedimento principale la clausola contrattuale relativa all’utilizzo di una lingua riguarda non solo la corrispondenza tra le parti, ma anche la corrispondenza con le autorità e le istituzioni pubbliche. È quindi compresa anche la corrispondenza in caso di contrasto di opinioni sugli obblighi contrattuali, nonché la corrispondenza relativa ad un procedimento giudiziario. La Commissione, tuttavia, avverte che potrebbe risultare opportuna una diversa interpretazione di una clausola contenuta in un contratto stipulato tra una parte debole e una parte forte, come nel caso di contratto concluso con i consumatori.

V –    Valutazione dell’avvocato generale

A –    Osservazioni introduttive

44.      Il regolamento n. 1348/2000 è diretto in primo luogo a migliorare e ad accelerare la trasmissione fra gli Stati membri, a fini di notificazione, degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile o commerciale. Tale obiettivo è indirettamente destinato al «buon funzionamento del mercato interno» (3). Tale considerazione vale per tutte le controversie in materia civile e commerciale, ad esempio per le controversie nascenti da contratti tra professionisti, da contratti conclusi con i consumatori e anche da atti illeciti. Occorre sottolineare che il concetto di materia civile e commerciale di cui al regolamento n. 1348/2000 non corrisponde a quello del diritto nazionale (4).

45.      Nella presente causa sono state poste tre questioni pregiudiziali. La prima questione pregiudiziale è di portata generale per le notificazioni in tutta la materia civile e commerciale. La seconda e la terza, invece, devono essere limitate al particolare settore delle notificazioni che riguardano i contratti conclusi tra professionisti.

46.      Nello sforzo di trovare un compromesso tra l’interesse del ricorrente ad una notificazione celere ed economica e l’interesse del convenuto alla conoscenza del contenuto del ricorso contro di lui proposto, il regolamento n. 1348/2000, secondo l’opinione della dottrina, rinuncia a traduzioni dispendiose quanto a tempo e denaro, qualora il destinatario comprenda la lingua dello Stato mittente (5).

47.      Occorre considerare che la trasmissione e la notificazione di atti si trovano al crocevia tra amministrazione della giustizia, tutela del convenuto ed economia processuale. Il conseguimento degli obiettivi sopra menzionati può, pertanto, risultare problematico per il fatto che una trasmissione più veloce degli atti può comportare un sacrificio nella tutela del convenuto, ad esempio quando non venga più garantita al convenuto la possibilità di predisporre efficacemente la sua difesa – sia ciò dovuto a motivi linguistici, temporali o ad altri motivi. A sua volta, la tutela del convenuto non può tuttavia comportare che al ricorrente sia sottratto il suo giudice costituito per legge, ad esempio mediante la possibilità per il convenuto di vanificare la notificazione (6). Occorre espressamente sottolineare che la tutela del convenuto, ovverosia il suo diritto alla difesa, prevale sull’economia processuale. La scelta di un regime semplificato di notificazione internazionale nel regolamento n. 1348/2000 non può in alcun modo incidere sulle garanzie giuridiche che devono essere assicurate al convenuto, vale a dire, nella presente causa, al destinatario (7).

48.      Nella presente causa viene in rilievo anche il problema della conoscenza della lingua dello Stato membro mittente da parte del destinatario che si trova nello Stato membro richiesto. In una ricerca la Commissione ha già richiamato l’attenzione sul problema dell’accertamento delle conoscenze linguistiche, constatando che l’eccezione del difetto di conoscenza della lingua dello Stato membro mittente costituisce il principale problema in caso di rifiuto della notificazione (8).

49.      In base al regolamento n. 1348/2000 la notificazione degli atti non tradotti non è priva di effetti (9). Il difetto di traduzione può essere sanato (10). La Corte ha stabilito che l’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000 deve essere interpretato nel senso «che, qualora il destinatario di un atto lo abbia rifiutato in quanto non redatto in una lingua ufficiale dello Stato membro destinatario o in una lingua dello Stato membro mittente che il destinatario comprenda, il mittente ha la possibilità di rimediarvi inviando la traduzione richiesta» (11).

50.      Secondo la Corte, l’art. 8 del regolamento n. 1348/2000 deve essere interpretato nel senso «che, qualora il destinatario di un atto lo abbia rifiutato in quanto non redatto in una lingua ufficiale dello Stato membro destinatario o in una lingua dello Stato membro mittente che il destinatario comprenda, questa situazione può essere sanata inviando la traduzione dell’atto secondo le modalità previste dal regolamento e nel più breve tempo possibile; per risolvere i problemi connessi al modo in cui la mancanza di traduzione dev’essere sanata, non previsti dal regolamento come interpretato dalla Corte, il giudice nazionale è tenuto ad applicare il suo diritto processuale nazionale, vegliando nel contempo affinché sia garantita la piena efficacia di tale regolamento, nel rispetto delle sue finalità» (12).

51.      Il Bundesgerichtshof espone che, in base al diritto tedesco, l’atto di ricorso in senso stretto e i documenti ivi citati e ad esso allegati costituiscono un tutt’uno, sicché anche gli allegati fanno parte del ricorso (13). A garanzia del suo diritto di difesa, il convenuto deve ricevere, con la notificazione del ricorso, quelle informazioni di cui ha bisogno per decidere se e in che modo difendersi contro il ricorso (14).

B –    Sulla prima questione pregiudiziale

52.      Con la prima questione il giudice a quo desidera sostanzialmente sapere se il diritto di rifiutare la ricezione di un «atto», previsto dall’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000, concerna soltanto il ricorso o si estenda pure ai relativi allegati.

53.      La prima questione è formulata in termini generali e riguarda tutte le controversie in materia civile e commerciale. Come constatato sopra al paragrafo 44, il concetto di materia civile e commerciale di cui al regolamento n. 1348/2000 non corrisponde a quello del diritto nazionale (15).

54.      Ad eccezione della IHK Berlin, tutti i soggetti che hanno presentato osservazioni alla Corte ritengono che l’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000 debba essere interpretato nel senso che il concetto di «atto» comprende, nel caso di notificazione del ricorso in un procedimento civile, anche gli allegati.

55.      Il concetto generale (genus) di «atto» non è definito nel regolamento in esame. Poiché dall’ordinanza di rinvio, dai commenti della dottrina (16), dalle osservazioni presentate dalla Commissione e dal governo slovacco si evince che il diritto processuale degli Stati membri non è uniforme, risulta necessario, a livello di diritto comunitario, definire il concetto di «atto» ai sensi del regolamento n. 1348/2000 in modo uniforme ed autonomo. In via di principio, l’ordinamento giuridico comunitario non definisce i concetti del diritto primario e del diritto derivato ispirandosi ad uno o più ordinamenti giuridici nazionali, a meno che ciò non sia espressamente previsto nella norma in questione (17). L’art. 8 del regolamento n. 1348/2000 non contiene, tuttavia, alcun rinvio al diritto processuale nazionale degli Stati membri. Secondo la costante giurisprudenza della Corte, ai concetti di una disposizione di diritto comunitario, la quale non contenga alcun espresso richiamo al diritto degli Stati membri per quanto riguarda la determinazione del suo senso e della sua portata, deve di regola essere data un’interpretazione autonoma ed uniforme in tutta la Comunità, da effettuarsi tenendo conto del contesto della disposizione e dello scopo perseguito dalla normativa di cui trattasi (18).

56.      Considerazioni di ordine letterale e sistematico militano a favore di un’interpretazione estensiva del controverso concetto di «atto» nel processo civile nazionale, nonché a favore della tesi secondo cui il diritto del destinatario di rifiutare la ricezione, previsto dall’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000, sussiste anche nel caso in cui soltanto gli allegati di un atto oggetto della notificazione non siano redatti nella lingua dello Stato membro richiesto o in una lingua dello Stato membro mittente compresa dal destinatario.

57.      Già il fatto che normalmente nel regolamento si impieghi in modo generico, e quindi senza alcuna indicazione limitativa, il concetto generale di «atto» dovrebbe indurre – e su questo punto mi trovo d’accordo con le osservazioni dello studio Weiss, dello studio Grimshaw e dei governi ceco, francese, italiano e slovacco – ad interpretare in modo estensivo tale concetto nel processo civile, dovrebbe cioè far propendere per la tesi che, almeno in via di principio, il regolamento ha voluto ricomprendere nel suo ambito di applicazione tutti gli allegati del ricorso nel processo civile, e non solo le memorie (19). Del resto in tale regolamento non compare il concetto di «memoria».

58.      Il senso della notificazione nel processo civile consiste nel garantire che il destinatario della notificazione prenda conoscenza del contenuto di un atto a tutela del suo diritto di difesa. Ciò presuppone necessariamente che egli possa comprendere l’atto (20). Poiché, tuttavia, nonostante la posizione preminente della lingua inglese nel traffico commerciale e giuridico, non esiste una moderna lingua franca, la formale notificazione di un atto di ricorso comprensivo di allegati deve essere accompagnata da una traduzione che fornisca al destinatario della notificazione l’indispensabile conoscenza del contenuto dell’atto oggetto della notificazione (21). Da questo punto di vista gli allegati di un atto di ricorso costituiscono una sua accessione e seguono il generale principio giuridico accessio cedit principali (22).

59.      Tale conclusione non è contestabile nemmeno alla luce del formulario allegato al regolamento n. 1348/2000. Anche tale formulario, al punto 6 intitolato «atto da notificare», fa riferimento, al punto 6.4, al «numero dei documenti». Come correttamente rileva la Commissione, ciò può valere come un indizio favorevole ad un’interpretazione estensiva del concetto di «atto», in quanto i documenti allegati sono forniti con l’atto da notificare. Giustamente lo studio Weiss rileva che nella prassi gli allegati non vengono riprodotti integralmente nell’atto di ricorso del processo civile, ma ne viene citata soltanto l’affermazione centrale con contestuale rinvio agli stessi. Per tale motivo il principio del diritto alla difesa impone di tradurre anche gli allegati, perché altrimenti non risulterebbero comprensibili nel loro complesso le argomentazioni svolte dalla parte nel processo civile.

60.      Il Tribunale di primo grado ha già preso posizione nel senso che in un procedimento avviato con un ricorso diretto «gli allegati alle memorie dell’altra parte, compresi gli intervenienti, in via di principio devono essere tradotti nella lingua di procedura. Tale regola serve soprattutto a tutelare la posizione giuridica di una parte che intende contestare la legittimità di un provvedimento amministrativo emanato dai giudici comunitari, indipendentemente dalla lingua utilizzata dall’organo interessato, in particolare nella fase precontenziosa» (23).

61.      Con la traduzione degli atti, costituiti nel processo civile dall’atto di ricorso e dai suoi allegati, viene garantita la tutela del convenuto. Gli allegati, tuttavia, possono essere estremamente lunghi; potrebbe risultare inopportuno pretendere la traduzione degli allegati ad un atto di ricorso che siano particolarmente voluminosi. L’art. 29, n. 3, terzo comma, del regolamento di procedura della Corte, per il caso in cui all’atto di ricorso siano allegati atti o documenti voluminosi, prevede quanto segue: «(…) quando trattasi di atti o documenti voluminosi, è ammessa la presentazione di traduzioni per estratto. La Corte può in qualunque momento ordinare, d’ufficio o ad istanza di parte, una traduzione più completa od integrale».

62.      Una siffatta soluzione potrebbe essere proposta anche per la notificazione transfrontaliera in materia civile e commerciale. Nel caso di allegati particolarmente voluminosi, che non sono redatti nella lingua dello Stato membro richiesto o in una lingua dello Stato membro mittente compresa dal destinatario, potrebbe essere ammessa la presentazione di una traduzione limitata ai soli passaggi ai quali l’atto di ricorso fa riferimento. Soluzioni analoghe sono note anche all’art. 52, n. 2, della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen del 14 giugno 1985 fra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni (24). A me sembra che una siffatta soluzione – se si considera il diritto alla difesa del convenuto e, in generale, l’esigenza di tutelare il convenuto in caso di notificazioni in materia civile e commerciale – non possa essere adeguata. Ci si può agevolmente immaginare il frequente caso di un consumatore il quale, nella sua veste di consumatore, conclude un contratto all’estero (in Europa), contenente una clausola attributiva di competenza non abusiva (25) e al quale viene imposta la lingua del contraente professionista. Non ci si può aspettare che un consumatore medio conosca la lingua dello Stato membro straniero.

63.      Tuttavia, il diritto del destinatario alla traduzione degli atti non può mai essere interpretato in modo da ostare allo scopo del regolamento n. 1348/2000, il quale consiste in primo luogo nel miglioramento e nell’accelerazione della trasmissione fra gli Stati membri di atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile o commerciale (26).

64.      Come già accennato, il difetto di traduzione dell’atto – atto che in concreto comprende, nel processo civile tedesco, sia l’atto di ricorso sia i suoi allegati – può essere sanato con una successiva notificazione della traduzione degli allegati, ovvero, in caso di allegati particolarmente voluminosi, con una successiva notificazione di una traduzione dei passaggi ai quali l’atto di ricorso fa espressamente riferimento per corroborare le proprie affermazioni (27).

65.      Per tali motivi propongo di risolvere la prima questione pregiudiziale come segue: l’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000 deve essere interpretato nel senso che, in caso di notificazione di un atto comprensivo di allegati, sussiste il diritto del destinatario di rifiutare la ricezione ai sensi dell’art. 8, n. 1, anche nel caso in cui soltanto gli allegati dell’atto oggetto della notificazione non siano redatti nella lingua dello Stato membro richiesto, o in una lingua dello Stato membro mittente compresa dal destinatario.

C –    Sulla seconda questione pregiudiziale

66.      Con la seconda questione il giudice a quo desidera sostanzialmente sapere se si possa presumere che la lingua dello Stato mittente sia «compresa» dal destinatario ai sensi dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1348/2000, qualora, in un contratto concluso nell’esercizio dell’attività commerciale, sia stato concordato di usare tale lingua nella corrispondenza tra le parti nonché nella corrispondenza con le autorità e le istituzioni pubbliche.

67.      Ad avviso della dottrina tedesca, la formulazione dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1348/2000, secondo cui il destinatario può rifiutare di ricevere l’atto oggetto della notificazione se non è redatto in una lingua dello Stato membro mittente compresa dal destinatario, offre all’interprete solo pochi elementi sicuri (28).

68.      Le notificazioni si trovano al crocevia tra amministrazione della giustizia, tutela del convenuto ed economia processuale: nel processo civile esse consentono al ricorrente di mettere in moto l’amministrazione della giustizia. In alcuni ordinamenti giuridici, infatti, la notificazione dell’atto di ricorso può determinare la litispendenza e serve a salvare i termini. Il convenuto, a sua volta, attraverso la consegna dell’atto di ricorso viene a conoscenza dell’avvio del procedimento – ed in tal modo si garantisce il suo diritto alla difesa (29). Le disposizioni in materia di notificazione devono garantire un rapporto equilibrato tra questi fondamentali diritti processuali (30). È, quindi, da una parte necessario che le disposizioni in materia di notificazione non determinino un eccessivo sacrificio nella tutela del convenuto, consentendo, al tempo stesso, un rapido svolgimento del processo. Dall’altra parte, la tutela del convenuto non può assumere una dimensione tale da rendere impossibile al ricorrente lo svolgimento del processo giurisdizionale, in modo da precludergli, in definitiva, l’accesso al giudice (31).

69.      Nella presente causa vengono sostenute due tesi opposte. Secondo la IHK Berlin, la pattuizione contrattuale della lingua tedesca, vale a dire della lingua dello Stato mittente, fonda anche la presunzione semplice che il destinatario comprende un tale atto qualora esso riguardi il concreto rapporto giuridico e sia redatto nella lingua convenuta. Per contro, il governo francese è dell’avviso che tale circostanza di per sé non basti per ritenere che la lingua dello Stato membro mittente sia comprensibile per il destinatario ai sensi dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1348/2000. Se, infatti, la lingua dello Stato membro mittente venisse considerata comprensibile per il destinatario solo per il fatto che una clausola contrattuale prevede che la corrispondenza debba essere scambiata in tale lingua, allora verrebbe in tal modo introdotta una presunzione legale che andrebbe ben al di là di quanto previsto dal regolamento.

70.      In dottrina è stata formulata la tesi secondo cui l’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000 combinerebbe, in sede di accertamento delle conoscenze linguistiche in caso di notificazione all’estero, criteri oggettivi e soggettivi (32). Secondo tale tesi, il criterio oggettivo dovrebbe essere costituito dalla lingua ufficiale dello Stato membro richiesto, mentre il criterio soggettivo dovrebbe essere costituito dalle conoscenze linguistiche della lingua dello Stato membro mittente possedute dal destinatario (33).

71.      Il Bundesgerichtshof, nella sua domanda di pronuncia pregiudiziale, ha rilevato che nessuno degli organi legittimati a rappresentare lo studio Grimshaw comprende il tedesco. È, tuttavia, pacifico che il contratto all’origine del presente procedimento e la corrispondenza sono redatti in lingua tedesca e che come foro competente è stato concordato quello di Berlino.

72.      In dottrina è stato osservato che l’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000 non indica in modo univoco il soggetto alle cui conoscenze linguistiche si debba fare riferimento in caso di notificazione di un atto ad una persona giuridica (34). Al momento, l’unica soluzione praticabile per poter risolvere tale questione parrebbe essere quella di fare riferimento alla sede della persona giuridica quale criterio di collegamento per determinare le conoscenze linguistiche della persona giuridica (35). Nel nostro caso verrebbe quindi in rilievo la lingua inglese, atteso che lo studio Grimshaw ha sede a Londra. Nel caso specifico, tuttavia, nel contratto di prestazioni professionali del 16 febbraio 1994 è stata concordata la lingua tedesca per la corrispondenza.

73.      Occorre, quindi, verificare se la determinazione contrattuale di una determinata lingua possa fondare la presunzione che le parti conoscono tale lingua con conseguente esclusione del diritto di rifiutare la ricezione (36).

74.      È difficile accertare se il destinatario, in base alle sue personali conoscenze linguistiche, sia in grado di comprendere un atto redatto in una lingua diversa dalla lingua dello Stato membro richiesto. La comprensione, o la non-comprensione, di una lingua straniera da parte di una persona dipende, in definitiva, da un suo giudizio personale (37). Rudimentali conoscenze linguistiche certamente non basteranno per la comprensione di atti giudiziari. Il livello di conoscenza della lingua, pertanto, deve essere così elevato da consentire sostanzialmente la comprensione linguistica anche di memorie giuridiche (38). Ciò è ben probabile che avvenga nel caso in cui il destinatario abbia contrattualmente concordato, come nel presente caso, di scambiare la corrispondenza con le autorità e le istituzioni pubbliche dello Stato mittente nella lingua di tale Stato. Il concetto di istituzione pubblica fa presumere che sia stata concordata la lingua della corrispondenza delle parti con tutti gli organi dello Stato, tra cui rientrano anche i giudici, e non solo gli organi esecutivi (39).

75.      Per questo motivo dovrebbero essere utilizzati, ove possibile, soltanto criteri generali ed oggettivi, tra cui rientrano lo scambio negoziale e la corrispondenza nella lingua dello Stato membro mittente. L’accertamento di conoscenze linguistiche individuali comporta enormi difficoltà per tutte le parti processuali, salvo che per il destinatario (40). Nel caso in cui sia controverso se il destinatario comprende la lingua dello Stato membro mittente, tale circostanza può essere acclarata solo per mezzo di un’istruzione probatoria dinanzi al giudice nazionale presso il quale pende il processo. Può così essere provato che il destinatario dell’atto comprende la lingua dello Stato membro mittente nella quale tale atto è redatto (41).

76.      La determinazione di una lingua contrattuale serve ad evitare o a ridurre i problemi di comprensione tra parti che non parlano la stessa lingua (42). Se le parti di un contratto si accordano per l’uso di una lingua contrattuale nei loro rapporti giuridici internazionali, ciò costituisce un indizio del fatto che entrambe dominano tale lingua. Se venisse contrattualmente stabilita, per i loro rapporti giuridici internazionali, la competenza dei giudici dello Stato mittente o l’applicabilità del diritto dello Stato mittente (43), un siffatto consenso contrattuale alla celebrazione del processo nella lingua dello Stato mittente può essere considerato come un ulteriore indizio della conoscenza di tale lingua. Nel caso concreto oggetto della presente causa, al paragrafo 10.2 del contratto di prestazioni professionali è stato concordato come foro competente quello di Berlino.

77.      Vero è che può senz’altro darsi il caso in cui una delle parti del contratto in realtà non comprende la lingua contrattuale. Tuttavia questa parte, che in occasione del tentativo di notificarle un atto fa valere l’ignoranza della lingua, attraverso una valida pattuizione relativa alla lingua contrattuale ha manifestato verso l’esterno di disporre di un’adeguata conoscenza di tale lingua (44). Dal punto di vista dell’onesto partecipante al traffico giuridico, essa ha oggettivamente creato l’apparenza di comprendere la lingua dello Stato membro mittente.

78.      Attraverso la determinazione contrattuale della lingua del contratto, del diritto applicabile e, soprattutto, del foro competente, si suscita, inoltre, anche nell’altra parte del contratto l’affidamento nel fatto che si dispone di un’adeguata conoscenza della lingua dello Stato membro mittente (45). Ciò vale soprattutto nel caso in cui sia stato contrattualmente stabilito per la corrispondenza tra le parti contrattuali e le autorità e le istituzioni pubbliche l’uso della lingua dello Stato membro mittente (46).

79.      Con un siffatto accordo contrattuale una parte del contratto manifesta di disporre di un’adeguata conoscenza della lingua per quanto attiene alla corrispondenza con le autorità e con le altre istituzioni pubbliche. In tal caso deve quindi ritenersi fondata la presunzione, valida fino a prova contraria (praesumptio juris tantum), che il destinatario dispone, ai sensi dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1348/2000, di un’adeguata conoscenza della lingua per comprendere anche la lingua burocratica, in cui rientra pure la lingua giudiziaria del diritto processuale. In un caso siffatto potrebbe risultare precluso l’esercizio del diritto di rifiutare la ricezione di cui all’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000 (47). Poiché, tuttavia, si tratta solo di una presunzione valida fino a prova contraria, il destinatario ha la possibilità di confutarla in base al diritto delle prove dello Stato membro in cui si celebra il processo civile.

80.      A questo proposito desidero ancora richiamare l’attenzione su un’ordinanza del Tribunale di primo grado. Nella causa T‑366/04, Hensotherm/UAMI (48), relativa ad un’impresa svedese che aveva scelto l’inglese come lingua di procedura per la procedura amministrativa dinanzi all’UAMI e che aveva redatto in questa lingua le proprie memorie, il Tribunale ha ritenuto infondata l’eccezione di tale impresa secondo la quale essa, quale impresa svedese operante a livello internazionale, non conoscerebbe la lingua inglese.

81.      L’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1348/2000 deve essere, pertanto, interpretato nel senso che sussiste una presunzione valida fino a prova contraria del fatto che il destinatario di un atto comprende, ai sensi del citato regolamento, la lingua di uno Stato membro mittente, se egli, nell’esercizio della sua attività commerciale, conviene in un contratto che la corrispondenza tra le parti contrattuali, da un lato, e le autorità e le istituzioni pubbliche dello Stato membro mittente, dall’altro, sia scambiata nella lingua di questo Stato membro mittente. Poiché, tuttavia, si tratta solo di una presunzione valida fino a prova contraria, il destinatario ha la possibilità di confutarla in base al diritto delle prove dello Stato membro in cui si celebra il processo.

82.      Una siffatta conclusione non può valere in generale a proposito dei contratti conclusi con i consumatori, giacché la corrispondenza di un consumatore inesperto del settore e privo di conoscenze giuridiche non può, in base a parametri oggettivi, essere equiparata all’attività e alla corrispondenza di un contraente professionista. Per questo motivo la soluzione della seconda questione deve essere limitata solo allo specifico caso in cui un professionista, nell’esercizio della sua attività commerciale, conviene in un contratto che la corrispondenza tra le parti contrattuali, da un lato, e le autorità e le istituzioni pubbliche dello Stato membro mittente, dall’altro, sia scambiata nella lingua di questo Stato membro mittente.

D –    Sulla terza questione pregiudiziale

83.      Con la terza questione il Bundesgerichtshof desidera in sostanza sapere se il destinatario in via di principio non possa invocare, per difetto di traduzione degli allegati, l’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000 nel caso in cui egli, nell’esercizio della sua attività commerciale, concluda un contratto in cui convenga che la corrispondenza sia scambiata nella lingua dello Stato mittente.

84.      Dall’ottavo ‘considerando’ del regolamento n. 1348/2000 risulta che «per garantire l’efficacia del regolamento, la facoltà di denegare la notificazione o la comunicazione degli atti deve essere limitata a situazioni eccezionali». Nel diritto comunitario le eccezioni devono essere interpretate restrittivamente: singularia non sunt extendenda (49).

85.      Lo studio Grimshaw, nelle sue osservazioni sulla seconda questione, segnala l’impossibilità, dal punto di vista dogmatico, di spiegare perché una clausola contrattuale pattuita tra privati, la quale in base alla volontà delle parti deve valere soltanto per la gestione del contratto, dovrebbe avere un effetto limitativo sul diritto soggettivo pubblico alla difesa.

86.      Talune perplessità in merito ad una siffatta interpretazione estensiva dell’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000 sorgono soprattutto in virtù dei paragrafi 10.2 e 10.4 del contratto di prestazioni professionali di architettura, in cui è pattuito che «il foro competente per eventuali controversie è quello di Berlino», e che al contratto in parola si applica il diritto tedesco. Questa clausola contrattuale, combinata con la clausola relativa alla lingua, in cui si è convenuto di utilizzare per la corrispondenza con le autorità e le istituzioni pubbliche (50) dello Stato membro mittente la lingua dello Stato membro mittente, dà luogo, nel caso concreto, ad una valida rinuncia ad un diritto fondamentale (51). In concreto nella presente causa ciò significa che l’accettazione della competenza dei giudici dello Stato membro mittente implica, al tempo stesso, il riconoscimento della lingua usata dal giudice in un concreto processo civile. Una considerazione analoga vale anche per i compromessi arbitrali in cui le parti di un contratto internazionale determinano liberamente in anticipo la lingua del procedimento arbitrale.

87.      Come giustamente segnala la Commissione (52), l’accordo concluso tra lo studio Grimshaw e la IHK Berlin in relazione all’uso della lingua tedesca fa parte del loro contratto ed è, quindi, rilevante ai fini del suo adempimento. Questa parte del contratto, tuttavia, non si riferisce soltanto alla corrispondenza rilevante ai fini dell’adempimento di questo contratto, ma si estende anche alla corrispondenza in caso di contrasto di opinioni sugli obblighi contrattuali, nonché alla corrispondenza relativa ad un procedimento giudiziario sorto in merito.

88.      In un caso del genere la necessità della traduzione di un atto dalla lingua dello Stato membro mittente nella lingua dello Stato membro richiesto non può più essere fondata con l’esigenza di tutelare gli interessi del destinatario. Colui che, di propria volontà, in un contratto concluso tra professionisti concorda con la sua controparte contrattuale l’impiego di un determinato regime linguistico per la corrispondenza, non può successivamente far valere l’argomento che l’applicazione di tale regime non tutela i suoi legittimi interessi. Tale argomento, infatti, integrerebbe un venire contra factum proprium (53). La richiesta di una traduzione degli allegati redatti nella lingua dello Stato membro mittente non ha più nulla a che fare, in un caso siffatto, con lo scopo di tutela perseguito con la previsione del diritto di rifiutare la ricezione di cui all’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000; con l’accettazione di un tale regime linguistico contrattuale viene negato l’interesse ad una traduzione nella lingua dello Stato membro richiesto, sicché il diritto di rifiutare la ricezione ai sensi dell’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000 perde il proprio fondamento giustificativo.

89.      In caso contrario bisognerebbe tradurre l’atto nella lingua dello Stato membro richiesto (54) anche in presenza delle seguenti tre condizioni: esistenza di un contratto concluso tra le parti nell’esercizio della loro attività commerciale, in cui è stato concordato l’uso della lingua dello Stato membro mittente per la corrispondenza con le autorità e con le istituzioni pubbliche di questo Stato membro mittente; scelta di un foro competente nello Stato membro mittente; scelta del diritto dello Stato membro mittente come diritto applicabile. Un siffatto risultato, tuttavia, contrasterebbe con lo scopo del regolamento n. 1348/2000 (55).

90.      Infine desidero ancora segnalare che una siffatta soluzione non sarebbe adeguata nel caso di contratti transfrontalieri conclusi con i consumatori. In un caso del genere la parte più forte, ad esempio un’impresa, potrebbe imporre alla parte più debole, ad esempio un consumatore, la propria lingua, che il consumatore non comprende. Nel caso di un consumatore che non comprende la lingua «impostagli» dall’impresa, sarebbe giustificato il diritto di rifiutare la ricezione degli atti non tradotti (56).

91.      Per tale ragione la terza questione deve essere risolta nel senso che l’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000 deve essere interpretato nel senso che il destinatario non può invocare l’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000 per rifiutare la ricezione degli allegati ad un atto di ricorso che non sono redatti nella lingua dello Stato membro richiesto, bensì nella lingua dello Stato membro mittente, convenuta contrattualmente tra le parti nell’esercizio della loro attività commerciale per la corrispondenza con le autorità e le istituzioni pubbliche dello Stato membro mittente, qualora il destinatario, nell’esercizio della sua attività commerciale, concluda un contratto in cui convenga che la corrispondenza con le autorità e le istituzioni pubbliche dello Stato membro mittente sia scambiata nella lingua di questo Stato membro mittente, e gli allegati trasmessi riguardino tale corrispondenza e siano altresì redatti nella lingua convenuta.

VI – Conclusione

92.      Alla luce di quanto sopra esposto, propongo alla Corte di risolvere le questioni poste dal Bundesgerichtshof nei seguenti termini:

1)      L’art. 8, n. 1, del regolamento (CE) del Consiglio 29 maggio 2000, n. 1348, relativo alla notificazione e alla comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile o commerciale, deve essere interpretato nel senso che, in caso di notificazione di un atto comprensivo di allegati, sussiste il diritto del destinatario di rifiutare la ricezione ai sensi dell’art. 8, n. 1, anche nel caso in cui soltanto gli allegati dell’atto oggetto della notificazione non siano redatti nella lingua dello Stato membro richiesto ovvero in una lingua dello Stato membro mittente compresa dal destinatario.

2)      L’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1348/2000 deve essere interpretato nel senso che sussiste una presunzione valida fino a prova contraria del fatto che il destinatario di un atto comprende, ai sensi del citato regolamento, la lingua di uno Stato membro mittente, se egli, nell’esercizio della sua attività commerciale, conviene in un contratto che la corrispondenza tra le parti contrattuali, da un lato, e le autorità e le istituzioni pubbliche dello Stato membro mittente, dall’altro, sia scambiata nella lingua di questo Stato membro mittente. Poiché, tuttavia, si tratta solo di una presunzione valida fino a prova contraria, il destinatario ha la possibilità di confutarla in base al diritto delle prove dello Stato membro in cui si celebra il processo.

3)      L’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000 deve essere interpretato nel senso che il destinatario non può invocare lo stesso per rifiutare la ricezione degli allegati ad un atto di ricorso che non sono redatti nella lingua dello Stato membro richiesto, bensì nella lingua dello Stato membro mittente convenuta contrattualmente tra le parti nell’esercizio della loro attività commerciale per la corrispondenza con le autorità e le istituzioni pubbliche dello Stato membro mittente, qualora il destinatario, nell’esercizio della sua attività commerciale, concluda un contratto in cui convenga che la corrispondenza con le autorità e le istituzioni pubbliche dello Stato membro mittente sia scambiata nella lingua di questo Stato membro mittente, e gli allegati trasmessi riguardino tale corrispondenza e siano altresì redatti nella lingua convenuta.


1 – Lingua originale: il tedesco.


2 – GU L 160, pag. 37.


3 – Conclusioni dell’avvocato generale Stix-Hackl, presentate il 28 giugno 2005 nella causa C‑443/03, Leffler (sentenza 8 novembre 2005, Racc. pag. I‑9611), paragrafo 19.


4 – V. Rijavec, «Pomen sodb Sodišča ES za opredelitev pojma civilne ali gospodarske zadeve z mednarodnim elementom», in Podjetje in Delo – PiD 32 (2007), pag. 1147, in particolare pag. 1151 e segg.; Mayr-Czernich, Europäisches Zivilprozessrecht, eine Einführung, 2006, pagg. 55 e segg. La nozione di materia civile e commerciale è stabilita dalla Corte indipendentemente dal regolamento. La nozione di materia civile e commerciale va quindi considerata come una nozione autonoma, da interpretare facendo riferimento, da un lato, agli obiettivi e al sistema della Convenzione concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni e, dall’altro, ai principi generali desumibili dal complesso degli ordinamenti nazionali (sentenza 14 novembre 2002, causa C‑271/00, Gemeente Steenbergen, Racc. pag. I‑1489, punto 28), il che significa che per la sua interpretazione non è decisivo il diritto di uno degli Stati membri. La giurisprudenza della Corte relativa alla Convenzione concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni ed al regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 2000, n. 44/2001, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (GU 2001, L 12, pag. 1), può essere presa in considerazione per stabilire se si verte in materia civile o commerciale ai sensi del regolamento n. 1348/2000 [Jastrow, «Europäische Zustellungsverordnung», in Gebauer-Wiedmann, Zivilrecht unter europäischem Einfluss, 2005, pag. 1284, e Heiderhoff, «Verordnung (EG) Nr. 1348/2000 des Rates vom 29. Mai 2000 über die Zustellung gerichtlicher und außergerichtlicher Schriftstücke in Zivil- oder Handelssachen in den Mitgliedstaaten», in Rauscher (a cura di), Europäisches Zivilprozessrecht, Kommentar, vol. 2, II ed., 2006, pag. 1185].


5 – Stadler, «Neues europäisches Zustellungsrecht», in IPRax, 21 (2001), pag. 514, in particolare pag. 517. In questa disposizione può ravvisarsi una fondamentale, ulteriore evoluzione del diritto europeo delle notificazioni. La necessità della traduzione di atti redatti in una lingua straniera nella lingua ufficiale dello Stato membro richiesto si spiega, nel diritto internazionale classico, con l’idea di sovranità dello Stato, in cui la notificazione deve essere eseguita (Bajons, «Internationale Zustellung und Recht auf Verteidigung», in Wege zur Globalisierung des Rechts: Festschrift für Rolf A. Schütze zum 65. Geburtstag, 1999, pag. 49, in particolare pag. 71).


6 – Conclusioni dell’avvocato generale Stix-Hackl nella causa Leffler, cit. alla nota 3, paragrafo 20.


7 – V. Bajons, op. cit. alla nota 5, pag. 49, in particolare pag. 67. L’Autrice sottolinea che il principio del diritto alla difesa per entrambe le parti include anche, sul versante del convenuto, la possibilità di prendere conoscenza del contenuto degli atti speditigli. Ciò presuppone quanto meno che il convenuto possa effettivamente rendersi conto di che tipo di atti si tratta.


8 – Commissione, Study on the application of Council Regulation 1348/2000 on the service of judicial and extra judicial documents in civil or commercial matters, 2000, pag. 41 e segg.


9 – Così Sujecki, «Das Übersetzungserfordernis und dessen Heilung nach der Europäischen Zustellungsverordnung: Entscheidung des Europäischen Gerichtshofes vom 8. November 2005», in ZEuP, 15 (2007), pag. 353, in particolare pag. 359, con rinvio alle conclusioni dell’avvocato generale Stix-Hackl nella causa Leffler, cit. alla nota 3, paragrafo 36. In senso analogo anche Rösler, Siepmann, «Zum Sprachenproblem im Europäischen Zustellungsrecht», in NJW, 2006, pag. 475, in particolare pag. 476, nonché De Leval-Lebois, «Signifier en Europe sur la base du Règlement 1348/2000; bilan après un an et démi d’application», in Imperat lex: liber amicorum Pierre Marchal, 2003, pag. 261, in particolare pag. 274.


10 – Così nella sentenza Leffler, cit. alla nota 3, punti 38, 39 e 53. V., a proposito della notificazione regolata dalla Convenzione 27 settembre 1968, concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, anche Gaudemet-Tallon, Compétence et exécution des jugements en Europe: règlement no. 44/2001: Conventions de Bruxelles et de Lugano, III ed., 2003, pag. 338.


11 – Sentenza Leffler, cit. alla nota 3, punto 53. Tale causa è una delle poche che si occupano dell’art. 8 del regolamento n. 1348/2000. In dottrina si è giustamente rilevato che dall’esercizio del diritto di rifiutare la ricezione non consegue l’inefficacia della notificazione eseguita (Rösler, Siepmann, op. cit. alla nota 9, pag. 475, in particolare pag. 476).


12 – Sentenza Leffler, cit. alla nota 3, punto 71. V. anche, sull’inefficacia della notificazione e sulla possibilità di sanare una notificazione, le osservazioni di Eckelmans, «Signification et notification», in Revue de droit commercial belge – RDC 2006, pag. 362, in particolare pag. 367.


13 – V. anche Sujecki, «Das Annahmeverweigerungsrecht im europäischen Zustellungsrecht», in EuZW, 18 (2007), pag. 363, in particolare pag. 364.


14 – Ordinanza di rinvio del Bundesgerichtshof, Az. VII ZR 164/05, punti 13 e segg., consultabile sul sito internet www.bundesgerichtshof.de. In tale ordinanza si fa riferimento agli artt. 131 e 253 ZPO.


15 – V. Rijavec, op. cit. alla nota 4, pag. 1147, in particolare pag. 1151 e segg.; Mayr-Czernich, op. cit. alla nota 4, pag. 55 e segg.; Jastrow, op. cit. alla nota 4, pag. 1284, nonché Heiderhoff, op. cit. alla nota 4, pag. 1185.


16 – V. Sujecki, op. cit. alla nota 3, pag. 364, e Lebois, «L’amorce d’un droit procédural européen: les règlements 1348/2000 et 1206/2001 en matière de signification, notification et de preuves face au procès social», in de Leval, Hubin, Espace judiciaire et social européen: actes du colloque des 5 et 6 novembre 2001, pag. 327, in particolare pag. 339 e segg. In quest’ultima trattazione si richiama l’attenzione sul fatto che nello stesso diritto processuale civile nazionale di alcuni Stati membri (Spagna, Gran Bretagna, Belgio, Paesi Bassi) vi sono differenze nel processo civile dinanzi ai giudici ordinari e dinanzi ai giudici del lavoro per quanto concerne il contenuto e l’estensione delle memorie e degli allegati coi quali viene instaurato il processo.


17 – V. sentenze 14 gennaio 1982, causa 64/81, Corman (Racc. pag. 13, punto 8), e 2 aprile 1998, causa C‑296/95, EMU Tabac (Racc. pag. I‑1605, punto 30). I concetti del diritto comunitario non possono essere definiti mediante rinvio alle disposizioni normative degli Stati membri (sentenza 23 marzo 1982, causa 53/81, Levin, Racc. pag. 1035, punti 10 e segg.; Schütz-Bruha-König, Casebook Europarecht, 2004, pag. 451 e seg.).


18 – V. le mie conclusioni presentate il 3 maggio 2007 nella causa C‑62/06, Zefeser (Racc. Pag. I‑11995, paragrafo 32).


19 – V. pure le conclusioni dell’avvocato generale Tizzano, presentate il 20 settembre 2001 nella causa C‑168/00, Leitner (Racc. pag. I‑2631, paragrafo 29), il quale è giunto ad un esito analogo a proposito dell’interpretazione dell’art. 5, n. 2, della direttiva del Consiglio 13 giugno 1990, 90/314/CEE, concernente i viaggi, le vacanze ed i circuiti «tutto compreso». In tale causa doveva essere interpretato il concetto di danni. L’avvocato generale, al paragrafo 29 delle sue conclusioni, ha rilevato che: «già il fatto che normalmente nella direttiva si impieghi in modo generico, e quindi senza alcuna indicazione limitativa, l’espressione “danni” dovrebbe indurre – e su questo punto mi trovo d’accordo con le osservazioni della Commissione e del governo belga – ad interpretare in modo estensivo la relativa nozione, dovrebbe cioè far propendere per la tesi che, almeno in via di principio, la direttiva ha voluto ricomprendere nel suo ambito di applicazione tutti i tipi di danno che presentano un nesso causale con l’inadempimento o la cattiva esecuzione del contratto».


20 – Heß, «Neue Formen der Rechtshilfe in Zivilsachen im europäischen Justizraum», in Recht der Wirtschaft und der Arbeit in Europa: Gedächtnisschrift für Wolfgang Blomeyer, 2004, pag. 617, in particolare pag. 629, parla addirittura di traduzione obbligatoria dell’atto e delle informazioni che lo accompagnano nella lingua del luogo di notificazione.


21 – V. Schütze, «Übersetzungen im europäischen und internationalen Zivilprozessrecht – Probleme der Zustellung», in RIW, 2006, pag. 352, in particolare pag. 355.


22 – In alcuni ordinamenti giuridici, al posto della massima accessio cedit principali, si usa la massima accessorium sequitur principale. Entrambe le massime affermano il principio secondo cui la cosa accessoria condivide necessariamente la sorte della cosa principale (Benke-Meissel, Juristenlatein, II ed., Vienna, 2002, pag. 4).


23 – Ordinanza del Tribunale di primo grado 26 giugno 1996, causa T‑11/95, BP Chemicals/Commissione (Racc. pag. II‑601, punto 9). Il Tribunale ha respinto la domanda, presentata da due intervenienti italiane, relativa alla mancata traduzione degli allegati alla loro memoria di intervento nella lingua di procedura (inglese).


24 – GU 2000, L 239, pag. 19. Il testo dell’art. 52, n. 2, della citata Convenzione dispone quanto segue: «Se vi è motivo di ritenere che il destinatario non comprenda la lingua nella quale l’atto è redatto, quest’ultimo – o almeno le parti importanti del medesimo – deve essere tradotto nella o nelle lingue della Parte contraente nel cui territorio si trova il destinatario. Se l’autorità che invia l’atto sa che il destinatario conosce soltanto un’altra lingua, l’atto – o almeno le parti importanti del medesimo – deve essere tradotto in quest’altra lingua».


25 – V. sulla clausola abusiva di attribuzione di competenza, sentenza 27 giugno 2000, cause riunite da C‑240/98 a C‑244/98, Océano Grupo Editorial (Racc. pag. I‑4941).


26 – V. paragrafo 44 delle presenti conclusioni.


27 – In tal senso sentenza Leffler, cit. alla nota 3, punti 38‑53, nonché Sujecki, op. cit. alla nota 13, pag. 364, il quale tuttavia non prende in considerazione il problema degli allegati particolarmente voluminosi e delle connesse esigenze di economia processuale (in termini di tempo e di costi di traduzione).


28 – Lindacher, «Europäisches Zustellungsrecht – die VO (EG) Nr. 1348/2000: Fortschritt, Auslegungsbedarf, Problemausblendung», in Zeitschrift für Zivilprozeß, vol. 114 (2001), pag. 179, in particolare pag. 187. L’Autore suggerisce di non dare rilievo, in sede di interpretazione dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1348/2000, alle conoscenze linguistiche individuali, al fine di rendere il criterio praticabile e dagli esiti prevedibili. Devono, invece, essere elaborati solidi criteri generali. Secondo tale opinione deve in ogni caso ritenersi che la lingua dello Stato membro mittente sia compresa dal destinatario, qualora questi sia cittadino dello Stato mittente. Lo stesso è a dirsi qualora il destinatario sia cittadino di uno Stato che ha la medesima lingua ufficiale.


29 – V. Heß, «Die Zustellung von Schriftstücken im europäischen Justizraum», in NJW, 2001, pag. 15.


30 – Sujecki, op. cit. alla nota 13, pag. 365.


31 – Ibidem.


32 – V. Malan, «La langue de la signification des actes judiciaires ou les incertitudes du règlement sur la signification et la notification des actes judiciaires et extrajudiciaires», in Les petites affiches – LPA 392 (2003), n. 77, pag. 6; Sladič, «Vročanje v civilnih in gospodarskih zadevah», in Podjetje in Delo – PiD, 31 (2005), pag. 1131, in particolare pag. 1147.


33 – La cittadinanza di una persona fisica non può essere utilizzata come criterio oggettivo. Se il destinatario della notificazione, pur possedendo la cittadinanza dello Stato mittente, non ne domina la lingua, può rifiutare di ricevere l’atto oggetto della notificazione. Si può pensare, ad esempio, a casi di acquisto della cittadinanza a seguito di matrimonio o alla naturalizzazione degli atleti (Schütze, «§ 1068», in Wieczorek-Schütze, Zivilprozessordnung und Nebengesetze, Großkommentar, pag. 9, punto 12). Vi sono, tuttavia, anche opinioni differenti. Deve ritenersi che il destinatario comprenda la lingua dello Stato membro mittente qualora abbia la cittadinanza di uno Stato che ha la stessa lingua ufficiale (Heiderhoff, op. cit. alla nota 4, pag. 1221).


34 – Sujecki, Das Übersetzungserfordernis und dessen Heilung nach der Europäischen Zustellungsverordnung: Entscheidung des Europäischen Gerichtshofes vom 8. November 2005, pag. 359, e Sujecki, op. cit. alla nota 13, pag. 364.


35 – Sujecki, Das Übersetzungserfordernis und dessen Heilung nach der Europäischen Zustellungsverordnung: Entscheidung des Europäischen Gerichtshofes vom 8. November 2005, pag. 359.


36 – Sujecki, op. cit. alla nota 13, pag. 364.


37 – V. Mayr-Czernich, op. cit. alla nota 4, pag. 182. Le difficoltà di accertamento delle conoscenze linguistiche individuali valgono tanto per l’organo mittente quanto per l’organo ricevente.


38 – V. Jastrow, op. cit. alla nota 4, 2005, pag. 1269, in particolare pag. 1306.


39 – V. Badura, Staatsrecht, III ed., 2003, pag. 658, e Maurer, Staatsrecht I, IV ed., 2005, pag. 6. Rileva Badura che l’organo statale che esercita le funzioni giurisdizionali è il giudice.


40 – Heiderhoff, op. cit. alla nota 4, pag. 1222.


41 – Sentenza Leffler, cit. alla nota 3 (punto 52).


42 – Può essere utile richiamare ancora la sentenza del Tribunale di primo grado 14 maggio 1998, causa T‑338/94, Finnboard/Commissione (Racc. pag. II‑1617, punti 48-55). In tale sentenza il Tribunale ha statuito che, nel caso in cui nessuna lingua ufficiale della Comunità sia espressamente applicabile, in forza della normativa comunitaria, nei rapporti tra la Commissione e un’impresa avente sede in un paese terzo, la quale abbia concorso in un’infrazione alle regole comunitarie in materia di concorrenza, la Commissione ben può scegliere come lingua per la comunicazione degli addebiti e della decisione la lingua di cui tale impresa si serve nella sua corrispondenza con le sue stesse controllate commerciali negli Stati membri della Comunità, anziché la lingua dello Stato membro in cui risiede il rappresentate dell’impresa.


43 – Una siffatta clausola potrebbe essere così formulata: «Il presente contratto e la sua interpretazione sono soggette al diritto della Repubblica federale di Germania. Unico foro competente è quello di Berlino».


44 – V. Sujecki, op. cit. alla nota 13, pag. 365 e seg. L’Autore, nel commentare l’ordinanza di rinvio nella presente causa, non tratta della questione del foro competente e del diritto applicabile.


45 – V. Sujecki, op. cit. alla nota 13, pag. 366. Qui può anche essere cercata un’analogia con la dottrina del negozio giuridico, in cui teoria della volontà e teoria della dichiarazione determinano il fondamento della validità di una dichiarazione di volontà.


46 – V. paragrafo 5 delle presenti conclusioni, in cui sono riprodotte le relative clausole contrattuali.


47 – Sujecki, op. cit. alla nota 13, pag. 366. Una differente conclusione concederebbe al destinatario dell’atto una facoltà troppo ampia di vanificare la notificazione. Inoltre una conclusione opposta comporterebbe che l’atto anche in questi casi dovrebbe in definitiva essere tradotto nella lingua dello Stato membro richiesto. L’Autore sottolinea altresì che il requisito della traduzione verrebbe a contrastare con gli scopi del regolamento n. 1348/2000, il quale, pur tenendo conto dell’esigenza di tutelare il destinatario della notificazione, intende limitare proprio i casi in cui è richiesta la traduzione in considerazione dei suoi elevati costi e della sua lunga durata, al fine di semplificare ed accelerare la notificazione nel suo complesso.


48 – Ordinanza del Tribunale di primo grado 6 settembre 2006 (Racc. pag. II-65, punti 43 e 44).


49 – Sentenza 9 settembre 2003, causa C‑151/02, Jaeger (Racc. pag. I‑8389, punto 89). In tale causa la Corte ha statuito che le deroghe previste all’art. 17 della direttiva del Consiglio 23 novembre 1993, 93/104/CE, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro (GU L 307, pag. 18), in quanto eccezioni al sistema comunitario in materia di organizzazione dell’orario di lavoro, devono essere interpretate in modo che la loro portata sia limitata a quanto strettamente necessario alla tutela degli interessi che tali deroghe permettono di proteggere.


50 – Sottolineo la somiglianza dei concetti di istituzione pubblica e di organo statale. V. anche nota 39 delle presenti conclusioni.


51 – Secondo Fischinger, P., «Der Grundrechtsverzicht», in JuS 2007, pag. 808, per rinuncia ad un diritto fondamentale deve intendersi il consenso del titolare di un diritto fondamentale a subire concreti attacchi ai suoi diritti fondamentali ed una limitazione degli stessi.


52 – Osservazioni della Commissione, punti 31 e 32.


53 – Soprattutto negli ordinamenti giuridici romanistici si preferisce usare l’espressione nemo auditur suam propriam turpitudinem allegans.


54 – Sujecki, op. cit. alla nota 13, pag. 366.


55 – V. paragrafo 44 delle presenti conclusioni.


56 – V. anche Sujecki, op. cit. alla nota 13, pag. 366, il quale ravvisa in siffatti casi una particolare esigenza di tutela del destinatario/consumatore, la quale tuttavia non sussiste nel caso di un contratto concluso tra le parti nell’esercizio della loro attività commerciale.