Language of document : ECLI:EU:T:2011:498

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quarta Sezione)

20 settembre 2011 (*)

«Marchio comunitario – Domanda di marchio comunitario figurativo raffigurante lo stemma sovietico – Impedimento assoluto alla registrazione – Contrarietà all’ordine pubblico o al buon costume – Art. 7, n. 1, lett. f), del regolamento (CE) n. 207/2009»

Nella causa T‑232/10,

Couture Tech Ltd, con sede a Tortola (Isole Vergini britanniche), rappresentata dal sig. B. Whyatt, barrister,

ricorrente,

contro

Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), rappresentato dal sig. G. Schneider, in qualità di agente,

convenuto,

avente ad oggetto un ricorso proposto contro la decisione della seconda commissione di ricorso dell’UAMI 5 marzo 2010 (procedimento R 1509/2008‑2), riguardante una domanda di registrazione come marchio comunitario del segno figurativo raffigurante lo stemma sovietico,

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione),

composto dalle sig.re I. Pelikánová (relatore), presidente, K. Jürimäe e dal sig. M. van der Woude, giudici,

cancelliere: sig. E. Coulon

visto il ricorso depositato nella cancelleria del Tribunale il 21 maggio 2010,

visto il controricorso depositato nella cancelleria del Tribunale il 7 settembre 2010,

vista le decisione del presidente del Tribunale 9 dicembre 2010 che respinge l’stanza di ricusazione promossa dalla ricorrente,

dal momento che le parti non hanno presentato domanda di fissazione di udienza entro il termine di un mese dalla notifica della chiusura della fase scritta del procedimento e avendo pertanto deciso, su relazione del giudice relatore e in applicazione dell’art. 135 bis del regolamento di procedura del Tribunale, di statuire senza fase orale del procedimento,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        Il 22 dicembre 2006 la ricorrente, Couture Tech Ltd, depositava presso l’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI) una domanda di registrazione di marchio comunitario, in forza del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94 sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), come modificato [sostituito dal regolamento (CE) del Consiglio 26 febbraio 2009, n. 207, sul marchio comunitario (GU L 78, pag. 1)].

2        Il marchio di cui si chiedeva la registrazione è il segno figurativo riprodotto qui di seguito:

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3        I prodotti e i servizi per i quali veniva chiesta la registrazione rientrano nelle classi 3, 14, 18, 23, 26 e 43 ai sensi dell’accordo di Nizza 15 giugno 1957, sulla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, come riveduto e modificato.

4        Con decisione 27 agosto 2008, l’esaminatore respingeva la domanda di registrazione perché il marchio richiesto era contrario all’ordine pubblico o al buon costume ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. f), del regolamento n. 40/94 [divenuto art. 7, n. 1, lett. f), del regolamento n. 207/2009], in combinato disposto con l’art. 7, n. 2, del regolamento n. 40/94 [divenuto art. 7, n. 2, del regolamento n. 207/2009].

5        Il 20 ottobre 2008 la ricorrente proponeva ricorso avverso la decisione dell’esaminatore.

6        Con decisione 5 marzo 2010 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), la seconda commissione di ricorso dell’UAMI respingeva il ricorso. La commissione di ricorso dichiarava, in via preliminare, che il marchio richiesto consisteva nell’esatta raffigurazione dello stemma dell’ex Unione delle repubbliche socialiste sovietiche (URSS). Richiamando a fondamento la normativa e la prassi amministrativa in Ungheria, Lettonia e Repubblica ceca, la commissione di ricorso considerava che i simboli legati all’ex URSS sarebbero stati percepiti come contrari all’ordine pubblico e al buon costume da una parte rilevante del pubblico interessato, ossia il pubblico generico, che vive in quella parte dell’Unione europea che è stata assoggettata al regime sovietico. La commissione di ricorso ne deduceva che il marchio richiesto era contrario all’art. 7, n. 1, lett. f), del regolamento n. 207/2009, almeno per quel che riguardava il territorio dell’Ungheria e della Lettonia. Orbene, secondo la commissione di ricorso, si evince dall’art. 7, n. 2, del regolamento n. 207/2009 che è sufficiente che un segno sia giudicato contrario all’ordine pubblico o al buon costume in un solo Stato membro perché ne sia negata la registrazione. Ciò premesso, la commissione di ricorso dichiarava che al marchio doveva essere negata la registrazione in forza dell’art. 7, n. 1, lett. f), e dell’art. 7, n. 2, del regolamento n. 207/2009.

 Conclusioni delle parti

7        La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        dichiarare il ricorso ricevibile;

–        annullare la decisione impugnata;

–         condannare l’UAMI alle spese.

8        L’UAMI chiede che il Tribunale voglia:

–         respingere il ricorso;

–         condannare la ricorrente alle spese.

 In diritto

9        La ricorrente deduce due motivi, attinenti, il primo, alla violazione dell’art. 7, n. 1, lett. f), e dell’art. 7, n. 2, del regolamento n. 207/2009 e, il secondo, alla violazione dei principi di tutela del legittimo affidamento e di certezza del diritto.

 Sul primo motivo, attinente alla violazione dell’art. 7, n. 1, lett. f), e dell’art. 7, n. 2, del regolamento n. 207/2009

10      Il primo motivo si divide in due parti. La prima attiene a un errore di diritto che la commissione di ricorso avrebbe commesso nell’interpretazione dell’art. 7, n. 1, lett. f), e dell’art. 7, n. 2, del regolamento n. 207/2009. La seconda attiene a un errore di valutazione che la commissione di ricorso avrebbe commesso nell’applicare queste stesse disposizioni al marchio richiesto.

 Sulla prima parte, attinente a un errore di diritto nell’interpretazione dell’art. 7, n. 1, lett. f), e dell’art. 7, n. 2, del regolamento n. 207/2009

–       Argomenti delle parti

11      La ricorrente sostiene, in primo luogo, che, contrariamente a quanto considerato dalla commissione di ricorso, dall’art. 7, n. 2, del regolamento n. 207/2009 non si evince che un segno debba essere escluso dalla registrazione se è viziato da un impedimento assoluto alla registrazione previsto all’art. 7, n. 1, del medesimo regolamento, in una sola parte dell’Unione.

12      Infatti, secondo la ricorrente, l’art. 7, n. 2, del regolamento n. 207/2009 ha un’altra finalità. Tale disposizione si applicherebbe allorché taluni diritti nazionali o non prevedono disposizioni corrispondenti a ciascuno degli impedimenti assoluti elencati all’art. 7, n. 1, del regolamento n. 207/2009, o prevedono impedimenti assoluti ulteriori rispetto a quelli elencati nella suddetta disposizione. Applicarla significherebbe che, a prescindere da quali siano gli impedimenti assoluti previsti nei vari Stati membri, i soli impedimenti rilevanti nell’ambito del procedimento di registrazione di un marchio comunitario siano quelli elencati all’art. 7, n. 1, del regolamento n. 207/2009.

13      La ricorrente ritiene che la sua posizione sia corroborata dall’impiego dei termini «anche se» di cui all’art. 7, n. 2, del regolamento n. 207/2009. Infatti, l’interpretazione di detta disposizione difesa dalla commissione di ricorso supporrebbe che tali termini siano intesi significare «qualora», «se» o «basti che», così fondandosi su una lettura sbagliata.

14      La ricorrente aggiunge che, sebbene l’art. 7, n. 2, del regolamento n. 207/2009 si riferisca a tutti gli impedimenti assoluti alla registrazione elencati all’art. 7, n. 1, del medesimo regolamento, l’interpretazione fornitane dalla commissione di ricorso non sarebbe applicabile a ciascuno di tali motivi e, in particolare, a quello elencato all’art. 7, n. 1, lett. b), del suddetto regolamento.

15      In secondo luogo, basandosi sulla sua interpretazione dell’art. 7, n. 2, del regolamento n. 207/2009, la ricorrente fa valere che, contrariamente a quanto ritenuto dalla commissione di ricorso, le nozioni di «ordine pubblico» e di «buon costume» di cui all’art. 7, n. 1, lett. f), del medesimo regolamento devono essere interpretate nel senso di riferirsi all’ordine pubblico e al buon costume dell’Unione. Il contenuto di tali nozioni dovrebbe perciò essere analizzato con riferimento al diritto dell’Unione, agli obiettivi e ai principi fondamentali sui quali essa si fonda e a cui partecipano tutti gli Stati membri, nonché alle convenzioni internazionali come la convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»). La normativa, l’ordine pubblico e il buon costume dei vari Stati membri, che possono differire da quelli esistenti al livello dell’Unione, sarebbero invece irrilevanti.

16      A tale proposito, la ricorrente sostiene che, diversamente dai marchi nazionali, il ruolo del marchio comunitario è quello di partecipare allo sviluppo dell’attività economica all’interno del mercato comune. Di conseguenza, in particolare in forza dei ‘considerando’ secondo, terzo e quarto del regolamento n. 207/2009, il marchio comunitario sarebbe disciplinato da un diritto dell’Unione unico, godrebbe di una protezione uniforme e produrrebbe i suoi effetti su tutto il territorio dell’Unione. 

17      Del pari, secondo il dodicesimo ‘considerando’ del regolamento n. 207/2009, l’UAMI sarebbe un organo indipendente operante nell’ambito del diritto dell’Unione. Ciò premesso, la ricorrente ritiene che sia l’UAMI sia il giudice dell’Unione siano tenuti ad attuare tale regolamento sulla base di una politica indipendente da quella di ciascuno degli Stati membri singolarmente considerati.

18      Peraltro, l’approccio che consiste nel prendere in considerazione l’ordine pubblico e il buon costume dei vari Stati membri appesantirebbe eccessivamente il procedimento di registrazione di un marchio comunitario a discapito del richiedente. Esso imporrebbe anche al richiedente un marchio contrario all’ordine pubblico o al buon costume solamente in uno dei 27 Stati membri dell’Unione di ottenere e conservare 26 registrazioni nazionali. Circostanza ancor più evidente allorché, mentre in forza dell’art. 110, n. 2, del regolamento n. 207/2009, l’uso di un marchio comunitario può essere vietato in uno Stato membro, fra l’altro a norma del diritto penale di tale Stato, tale circostanza non giustifica la decadenza del titolare del marchio comunitario interessato dai suoi diritti.

19      La ricorrente ritiene che la sua posizione sia confortata dalla giurisprudenza in base alla quale il regime comunitario dei marchi costituisce un sistema autonomo la cui applicazione è indipendente da qualsiasi sistema nazionale. Infatti, tale giurisprudenza implicherebbe che non occorra prendere in considerazione gli elementi provenienti dagli Stati membri, né la conformità dell’uso del marchio comunitario al diritto penale di questi stessi Stati.

20      In subordine, anche supponendo che il Tribunale ritenga che occorra prendere in considerazione l’ordine pubblico e il buon costume negli Stati membri presi singolarmente, la ricorrente sostiene che l’esame condotto dall’UAMI deve allora tener conto di tutti gli Stati membri o di taluni gruppi di questi Stati, e non soltanto di quelli che esso sceglie di indicare. In particolare, occorrerebbe praticare un «equilibrio», in cui il punto di vista di uno Stato membro o di un gruppo di Stati membri non deve imporsi a tutta l’Unione.

21      L’UAMI critica la fondatezza degli argomenti della ricorrente.

–       Giudizio del Tribunale

22      In primo luogo, secondo la giurisprudenza, l’art. 7, n. 2, del regolamento n. 207/2009 deve essere interpretato nel senso che la registrazione di un marchio dev’essere negata se esso è viziato da uno degli impedimenti elencati all’art. 7, n. 1, del medesimo regolamento in una parte dell’Unione. Una parte del genere può essere eventualmente costituita da un solo Stato membro (v., in tal senso, sentenza della Corte 22 giugno 2006, causa C‑25/05 P, Storck/UAMI, Racc. pag. I‑5719, punti 81 e 83).

23      Quanto agli argomenti della ricorrente che confutano tale interpretazione, va osservato, innanzi tutto, che tale interpretazione non è contraria al dettato dell’art. 7, n. 2, del regolamento n. 207/2009. Infatti, l’impiego dei termini «anche se» in tale disposizione implica che, qualora un segno sia viziato da un impedimento assoluto alla registrazione solamente in una parte dell’Unione, ciò non osta all’applicazione dell’art. 7, n. 1, del regolamento n. 207/2009. Quindi, da una lettura del combinato disposto dei nn. 1 e 2 dell’art. 7 di detto regolamento, la registrazione di un marchio deve essere negata qualora esso sia viziato da un impedimento assoluto alla registrazione in tutto il territorio dell’Unione o, qualora sia il caso, soltanto in una parte di tale territorio.

24      Inoltre, sebbene l’art. 7, n. 2, del regolamento n. 207/2009 sia formulato in termini generali, dal suo dettato non si evince tuttavia che la regola in esso contemplata debba essere necessariamente applicabile a ognuno degli impedimenti alla registrazione elencati all’art. 7, n. 1, di detto regolamento. Dopotutto, per quanto riguarda l’impedimento assoluto alla registrazione di cui all’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 207/2009, specificamente messo in risalto dalla ricorrente, è perfettamente possibile che un segno sia privo di carattere distintivo solo in una parte dell’Unione, in particolare perché ha un contenuto semantico soltanto in determinate lingue o perché esistono prassi difformi connesse alla commercializzazione dei prodotti o dei servizi di cui trattasi.

25      Infine, occorre rilevare che, sebbene gli impedimenti assoluti alla registrazione di cui all’art. 7, n. 1, del regolamento n. 207/2009 siano gli unici rilevanti nell’ambito del procedimento di registrazione di un marchio comunitario, prescindendo dagli impedimenti assoluti alla registrazione previsti dal diritto degli Stati membri, ciò è dovuto alla natura del regolamento quale atto obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in tutti gli Stati membri. A tal proposito, la formulazione di detta disposizione prevede un elenco esaustivo di impedimenti assoluti alla registrazione che non si riferisce a quelli previsti dalle legislazioni degli Stati membri. Allo stesso modo, l’art. 1, n. 1, del regolamento n. 207/2009 precisa che i marchi comunitari sono registrati alle condizioni e secondo le modalità previste da detto regolamento. Di conseguenza, l’interpretazione dell’art. 7, n. 2, del regolamento n. 207/2009 proposta dalla ricorrente non può essere accolta in quanto priverebbe di effetto utile detto paragrafo.

26      Date tali circostanze, occorre dichiarare che, come affermato dalla commissione di ricorso, dall’art. 7, n. 1, lett. f), e n. 2, del regolamento n. 207/2009 si evince che la registrazione di un marchio deve essere negata quando esso è contrario all’ordine pubblico o al buon costume in una parte dell’Unione, laddove tale parte può essere eventualmente costituita da un solo Stato membro.

27      In secondo luogo, per quanto riguarda il sapere se le nozioni di «ordine pubblico» e di «buon costume» debbano essere interpretate unicamente facendo riferimento alle circostanze comuni a tutti gli Stati membri o se occorra prendere in considerazione anche le circostanze specifiche degli Stati membri singolarmente considerati, va rilevato che, secondo la giurisprudenza, la funzione sostanziale del marchio è di identificare l’origine commerciale del prodotto o servizio, al fine di consentire così al consumatore che acquista il prodotto o il servizio qualificato dal marchio di fare, al momento di un successivo acquisto, la stessa scelta, qualora l’esperienza si riveli positiva, o di fare un’altra scelta, qualora essa risulti negativa [sentenza del Tribunale 27 febbraio 2002, causa T‑34/00, Eurocool Logistik/UAMI (EUROCOOL), Racc. pag. II‑683, punto 37].

28      Infatti, un marchio è destinato a essere utilizzato dal pubblico composto dai consumatori dei prodotti e dei servizi che esso qualifica.

29      L’interesse generale sotteso all’impedimento assoluto alla registrazione previsto all’art. 7, n. 1, lett. f), del regolamento n. 207/2009 è quello di evitare la registrazione di segni che pregiudicherebbero l’ordine pubblico o il buon costume al momento di un simile utilizzo nel territorio dell’Unione.

30      Ciò premesso, l’esistenza dell’impedimento assoluto alla registrazione previsto all’art. 7, n. 1, lett. f), del regolamento n. 207/2009 deve essere valutata con riferimento alla percezione del consumatore medio dei prodotti o dei servizi per i quali è richiesta la registrazione, situato nel territorio dell’Unione.

31      Orbene, da un lato, i consumatori situati nel territorio dell’Unione sono, per definizione, situati nel territorio di uno Stato membro.

32      Dall’altro, i segni percepibili dal pubblico come contrari all’ordine pubblico o al buon costume non sono gli stessi in tutti gli Stati membri, in particolare per ragioni linguistiche, storiche, sociali o culturali.

33      Pertanto, la percezione che un marchio sia o meno contrario all’ordine pubblico o al buon costume è influenzata da circostanze proprie dello Stato membro in cui sono situati i consumatori che fanno parte del pubblico di riferimento.

34      Di conseguenza, bisogna considerare che, per l’applicazione dell’impedimento assoluto alla registrazione di cui all’art. 7, n. 1, lett. f), del regolamento n. 207/2009, occorre prendere in considerazione non soltanto le circostanze comuni a tutti gli Stati membri dell’Unione, ma anche le circostanze proprie di taluni Stati membri singolarmente considerati che possono influenzare la percezione del pubblico di riferimento situato nel territorio di tali Stati.

35      Gli argomenti avanzati dalla ricorrente non inficiano questa conclusione.

36      Infatti, in primo luogo, il regime comunitario dei marchi è un sistema autonomo la cui applicazione è indipendente da ogni sistema nazionale [v. sentenza del Tribunale 13 settembre 2005, causa T‑140/02, Sportwetten/UAMI – Intertops Sportwetten (INTERTOPS), Racc. pag. II‑3247, punto 31, e giurisprudenza ivi citata]. Tale circostanza implica, in particolare, che l’esistenza dell’impedimento assoluto alla registrazione di cui all’art. 7, n. 1, lett. f), del regolamento n. 207/2009 deve essere valutata, in ogni caso, secondo il criterio previsto da tale disposizione, interpretato facendo riferimento alla percezione del pubblico di riferimento situato nel territorio dell’Unione o in una parte di tale territorio. Il carattere autonomo del regime comunitario dei marchi, invece, non osta a che siano prese in considerazione le circostanze peculiari degli Stati membri in grado di influenzare tale percezione.

37      Per quanto riguarda, in tale contesto, la legislazione e la prassi amministrativa di taluni Stati membri, richiamata dalla commissione di ricorso nella decisione impugnata, occorre rilevare che tali fattori non sono stati presi in considerazione per il loro valore normativo, ma in quanto indizi di fatto che consentono di valutare la percezione, da parte del pubblico di riferimento situato negli Stati membri interessati, dei simboli legati all’ex URSS. Date tali circostanze, non si può rimproverare alla commissione di ricorso di non aver tenuto conto del carattere autonomo del regime comunitario dei marchi a tale riguardo.

38      In secondo luogo, l’obiettivo di sviluppare il mercato comune non giustifica la lesione dell’ordine pubblico o del buon costume in una parte di tale mercato.

39      In terzo luogo, nei limiti in cui risulta dall’art. 76, n. 1, del regolamento n. 207/2009 che l’UAMI procede d’ufficio all’esame dei fatti, non si può considerare che l’interpretazione esposta al precedente punto 34 appesantisca, eccessivamente, il procedimento di registrazione a discapito del richiedente. Infatti, è all’UAMI che spetta esaminare l’esistenza degli impedimenti assoluti alla registrazione in tutte le parti dell’Unione. In seguito, spetta al richiedente presentare le proprie osservazioni sulle obiezioni effettivamente sollevate dall’esaminatore al termine del suo esame. 

40      In quarto luogo, la necessità di ottenere e conservare le registrazioni nazionali qualora un marchio sia viziato da un impedimento assoluto alla registrazione elencato all’art. 7, n. 1, del regolamento n. 207/2009 solamente in una parte dell’Unione è una diretta conseguenza del carattere unitario del marchio comunitario, sancito al terzo ‘considerando’ del regolamento n. 207/2009 nonché al suo art. 1, n. 2. Tale circostanza è quindi inerente alla struttura di detto regolamento.

41      In quinto luogo, l’art. 110, n. 2, del regolamento n. 207/2009 si riferisce al divieto dell’uso di un marchio comunitario che è stato registrato. Pertanto, tale disposizione non può essere richiamata nell’ambito dell’esame sull’esistenza dell’impedimento assoluto alla registrazione di cui all’art. 7, n. 1, lett. f), del regolamento n. 207/2009, che precede la registrazione del marchio.

42      Tenuto conto di tutto quanto precede, occorre dichiarare che la commissione di ricorso non ha commesso errori di diritto nel considerare, da un lato che, in forza dell’art. 7, n. 2, del regolamento n. 207/2009, la registrazione di un segno doveva essere negata se esso era viziato dall’impedimento assoluto alla registrazione previsto all’art. 7, n. 1, lett. f), dello stesso regolamento soltanto in una parte dell’Unione, compreso eventualmente il caso in cui lo fosse in un solo Stato membro e, dall’altro che, per l’interpretazione delle nozioni di «ordine pubblico» e di «buon costume», occorreva prendere in considerazione gli elementi peculiari degli Stati membri singolarmente considerati.

43      Di conseguenza, occorre respingere in quanto infondata la prima parte del primo motivo.

 Sulla seconda parte, attinente a un errore di valutazione nell’applicazione dell’art. 7, n. 1, lett. f), e n. 2, del regolamento n. 207/2009 al marchio richiesto

–       Argomenti delle parti

44      Basandosi sulla sua interpretazione dell’art. 7, n. 1, lett. f), e n. 2, del regolamento n. 207/2009 esposta nell’ambito del primo motivo, la ricorrente sostiene che il marchio richiesto non è contrario all’ordine pubblico o al buon costume dell’Unione e che quindi non se ne sarebbe dovuta negare la registrazione.

45      La ricorrente sostiene, a tal proposito, che, a differenza della svastica, la connotazione politica dello stemma dell’ex URSS è stata diluita e trasformata in una connotazione provocatoria, legata alla nozione di avanguardia, così che il marchio richiesto ha acquisito un «nuovo carattere distintivo».

46      La ricorrente aggiunge che l’emblema costitutivo del marchio richiesto non è stato vietato in alcuno Stato membro dell’Unione, e che la Commissione aveva peraltro respinto, nel 2005, una richiesta di divieto generale dei simboli comunisti. Il fatto che alcuni utilizzi di tali simboli siano eventualmente banditi in Ungheria e in Lettonia sarebbe irrilevante nell’ambito del procedimento di registrazione.

47      Infine, la ricorrente sostiene che non si esclude che divieti di uso di simboli come il marchio richiesto, previsti dalle normative ungherese e lettone, siano contrari alla CEDU.

48      L’UAMI critica la fondatezza degli argomenti della ricorrente.

–       Giudizio del Tribunale

49      Ai sensi l’art. 7, n. 1, lett. f), del regolamento n. 207/2009, è esclusa la registrazione dei marchi contrari all’ordine pubblico o al buon costume.

50      Risulta da quanto esposto nell’ambito della prima parte del presente motivo che l’esame relativo alla contrarietà di un segno all’ordine pubblico o al buon costume deve essere effettuato con riferimento alla percezione di tale segno, al momento del suo uso come marchio, da parte del pubblico di riferimento situato nell’Unione o in una parte di essa. Tale parte può eventualmente essere costituita da un solo Stato membro.

51      Nella fattispecie, in via preliminare, non si contesta che il pubblico di riferimento sia il grande pubblico. Di conseguenza, come giustamente rilevato dalla commissione di ricorso al punto 37 della decisione impugnata, occorre prendere in considerazione la percezione del consumatore medio all’interno di tale pubblico, che ha normali soglie di sensibilità e di tolleranza.

52      La conclusione della commissione di ricorso secondo la quale il marchio richiesto era contrario all’ordine pubblico o al buon costume si fonda, in particolare, sull’esame degli elementi relativi alla situazione in Ungheria, a causa dell’influenza determinante esercitata dall’ex URSS su tale Stato membro nella storia recente.

53      La commissione di ricorso si è riferita, in primo luogo, all’art. 269/B della 1978. évi IV. törvény a Büntetö Törvénykönyvröl (legge n. IV dell’anno 1978 sul codice penale; in prosieguo: il «codice penale ungherese»), intitolata «Uso dei simboli di dispotismo». Tale disposizione prevede quanto segue:

«1)      Incorre in infrazione, qualora il fatto non costituisca reato più grave, punibile con una multa, chiunque

a)      procuri

b)      usi pubblicamente ovvero

c)      mostri in pubblico

una croce uncinata, un emblema delle SS, una croce lanceolata, una falce e un martello, una stella rossa a cinque punte o qualsiasi altro simbolo che li riproduca.

2)      Non è punibile chi commette i fatti suddetti per fini divulgativi, educativi, scientifici, artistici o per informare di eventi passati o presenti.

3)      Le disposizioni dei paragrafi 1 e 2 non si applicano agli attuali emblemi ufficiali degli Stati».

54      La commissione di ricorso ha precisato che, secondo i commenti al codice penale ungherese, un simbolo designava un’idea, una persona o un evento e comprendeva un’insegna o un’immagine concepite per ricollegare tra loro detto segno e l’idea, la persona o l’evento designati. Peraltro, l’uso in pubblico includerebbe l’ipotesi di un segno figurante su un prodotto come marchio quando il prodotto è distribuito sul mercato.

55      In secondo luogo, la commissione di ricorso si è riferita alle linee direttrici del Magyar Szabadalmi Hivatal (Ufficio ungherese dei brevetti), divenuto, dal 1° gennaio 2011, il Szellemi Tulajdon Nemzeti Hivatala (Ufficio ungherese della proprietà intellettuale), secondo le quali i segni contenenti «simboli di dispotismo» erano considerati contrari all’ordine pubblico.

56      Alla luce di tali elementi, la commissione di ricorso ha ritenuto che il marchio richiesto fosse percepito come contrario all’ordine pubblico o al buon costume dal pubblico di riferimento situato in Ungheria per il fatto che esso simbolizza l’ex URSS.

57      Per quanto riguarda la fondatezza di tale affermazione, occorre osservare, in via preliminare, che nell’ambito della valutazione sull’esistenza dell’impedimento assoluto alla registrazione di cui all’art. 7, n. 1, lett. f), del regolamento n. 207/2009, gli elementi del diritto nazionale, quali quelli esaminati dalla commissione di ricorso nel caso di specie, non sono applicabili per il loro valore normativo e quindi non costituiscono delle regole cui l’UAMI è vincolato. Infatti, come ricordato al precedente punto 36, il regime comunitario dei marchi costituisce un sistema autonomo la cui applicazione è indipendente da qualunque sistema nazionale.

58      Ciò nondimeno, tali elementi costituiscono indizi di fatto che consentono di valutare la percezione di talune categorie di segni da parte del pubblico di riferimento situato nello Stato membro interessato.

59      Infatti, nel caso di specie, si evince dalla disposizione dell’art. 269/B del codice penale ungherese, come interpretata dalla dottrina ed esplicitata dalla prassi amministrativa, che il legislatore ungherese ha ritenuto necessario vietare determinati usi di «simboli di dispotismo», fra cui la falce e martello e la stella rossa a cinque punte. Tale divieto, che riguarda anche l’uso come marchi dei segni interessati è accompagnato da sanzioni penali.

60      Orbene, la ricorrente non contesta l’affermazione della commissione di ricorso che il divieto dell’uso dei «simboli di dispotismo» come marchio implica che simboli del genere sono percepiti come contrari all’ordine pubblico o al buon costume in Ungheria.

61      E neanche viene contestato che il marchio richiesto sia una riproduzione dello stemma dell’ex URSS e che esso include, in particolare, una falce e un martello e una stella rossa a cinque punte.

62      Ciò premesso, occorre considerare che la commissione di ricorso non ha commesso errori di valutazione nel dichiarare che l’uso come marchio del marchio richiesto sarebbe percepito da una parte rilevante del pubblico di riferimento situato in Ungheria come contrario all’ordine pubblico o al buon costume ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. f), del regolamento n. 207/2009.

63      Gli argomenti della ricorrente non possono inficiare questa affermazione.

64      Infatti, risulta da quanto precede che, per quanto riguarda l’Ungheria, il contenuto semantico dello stemma dell’ex URSS non è stato diluito o trasformato al punto che non possa più essere percepito come simbolo politico. Infatti, come ricordato dalla commissione di ricorso, una parte essenziale del pubblico di riferimento situato in Ungheria ha conosciuto il periodo dell’influenza determinante dell’ex URSS.

65      A ciò si aggiunga il fatto che il marchio richiesto si limita a riprodurre lo stemma dell’ex URSS e non contiene dunque elementi aggiuntivi che possano diluire o trasformare il contenuto semantico di tale simbolo.

66      Il fatto che determinati usi dei «simboli di dispotismo» non siano banditi dal diritto ungherese è irrilevante nella fattispecie. Infatti, si evince dai precedenti punti 27‑29 e 50 che la valutazione sull’esistenza dell’impedimento assoluto alla registrazione previsto all’art. 7, n. 1, lett. f), del regolamento n. 207/2009 deve essere effettuata con riferimento al modo in cui tale segno sarebbe percepito al momento di essere usato come marchio.

67      In ultimo luogo, il Tribunale non è competente a valutare la conformità della disposizione dell’art. 269/B del codice penale ungherese alla CEDU. Ad ogni modo, tale circostanza non rileva nel caso di specie in quanto risulta dai precedenti punti 57 e 58 che detta disposizione deve essere presa in considerazione non per il suo valore normativo, ma come indizio di fatto che consente di valutare la percezione del pubblico di riferimento situato in Ungheria.

68      Per contro, secondo l’art. 6, n. 3, TUE, i diritti fondamentali, garantiti dalla  CEDU e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali. Di conseguenza, il rispetto di tali diritti fondamentali costituisce una condizione di legittimità degli atti dell’Unione, quali la decisione impugnata, e il giudice dell’Unione deve assicurarne l’osservanza.

69      A questo proposito, secondo l’art. 10, n. 1, della CEDU, ogni persona ha diritto alla libertà di espressione, la quale include in particolare la libertà di comunicare informazioni o idee senza ingerenza alcuna da parte delle autorità pubbliche.

70      Secondo l’art. 10, n. 2, della CEDU, l’esercizio della libertà di espressione può essere sottoposto a talune restrizioni previste dalla legge, che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, in particolare per la sicurezza nazionale, l’integrità territoriale o la pubblica sicurezza, per la difesa dell’ordine e la prevenzione dei reati o per la protezione della morale.

71      Orbene, la ricorrente non deduce nessun argomento al fine di dimostrare che il diniego di registrazione del marchio richiesto costituisce un’ingerenza nell’esercizio della libertà garantita dall’art. 10, n. 1, della CEDU non conforme ai requisiti del n. 2 del medesimo articolo. Comunque, la ricorrente non sarebbe quindi legittimata ad avvalersi della CEDU nell’ambito della presente controversia.

72      Alla luce di tutto quanto precede, occorre dichiarare che la commissione di ricorso non ha commesso alcun errore di valutazione nell’affermare che il marchio richiesto era contrario all’ordine pubblico o al buon costume nella percezione del pubblico di riferimento situato in Ungheria e che pertanto se ne doveva negare la registrazione ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. f), e n. 2, del regolamento n. 207/2009.

73      Pertanto, occorre respingere la seconda parte del primo motivo come infondata, senza che sia necessario valutare gli altri elementi esaminati dalla commissione di ricorso, relativi alla percezione del pubblico di riferimento situato in Lettonia e in Repubblica ceca.

74      Occorre respingere il primo motivo, essendo respinte le sue due parti.

 Sul secondo motivo, attinente alla violazione dei principi di tutela del legittimo affidamento e di certezza del diritto

 Argomenti delle parti

75      La ricorrente sostiene che la commissione di ricorso ha violato i principi di tutela del legittimo affidamento e di certezza del diritto, in quanto ha negato la registrazione del marchio richiesto, mentre l’UAMI aveva ammesso la registrazione del suo marchio n. 3958154, che si riferiva allo stesso segno e che era stato esaminato alle stesse condizioni del marchio richiesto. Quindi, procedendo alla registrazione del marchio n. 3958154, l’UAMI avrebbe fornito alla ricorrente implicite assicurazioni precise e incondizionate sulla registrabilità del segno interessato.

76      La ricorrente si oppone, in tale contesto, all’argomento della commissione di ricorso secondo il quale la registrazione del marchio n. 3958154 sarebbe il risultato di un errore. Infatti, non spetterebbe al richiedente stabilire se il risultato dell’esame sia affidabile. Al contrario, spetterebbe all’UAMI procedere ad un’analisi approfondita e adeguata e applicare il regolamento n. 207/2009 in maniera chiara e certa.

77      La ricorrente aggiunge che, per quanto le risulti, il procedimento di esame del marchio n. 3958154 non è viziato da alcun errore.

78      L’UAMI contesta la fondatezza degli argomenti della ricorrente.

 Giudizio del Tribunale

79      Secondo giurisprudenza, la legittimità delle decisioni delle commissioni di ricorso circa la registrazione di un segno quale marchio comunitario dev’essere unicamente valutata sulla base del regolamento n. 207/2009, quale interpretato dal giudice dell’Unione, e non sulla base di una prassi decisionale anteriore dell’UAMI [v., in tal senso, sentenza del Tribunale 27 febbraio 2002, causa T‑106/00, Streamserve/UAMI (STREAMSERVE), Racc. pag. II‑723, punto 66].

80      Di conseguenza, la ricorrente non può legittimamente pretendere che, registrando il marchio n. 3958154, l’UAMI le abbia fornito assicurazioni sulla registrabilità del marchio richiesto. A fortiori, la ricorrente non può validamente appellarsi alla violazione del principio della certezza del diritto a questo riguardo.

81      Inoltre, a prescindere dal sapere se la registrazione del marchio n. 3958154 sia il risultato di un errore, l’esame del primo motivo non ha consentito di dichiarare che la decisione impugnata, che è l’unica decisione oggetto del presente ricorso, è viziata da una qualsivoglia violazione del regolamento n. 207/2009.

82      Alla luce di tali considerazioni si deve respingere il secondo motivo e, pertanto, il ricorso nel suo complesso.

 Sulle spese

83      Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché l’UAMI ne ha fatto domanda, la ricorrente, rimasta soccombente, deve essere condannata alle spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Couture Tech Ltd è condannata alle spese.

Pelikánová

Jürimäe

Van der Woude

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 20 settembre 2011.

Firme


* Lingua processuale: l’inglese.