Language of document : ECLI:EU:C:2015:717

Causa C‑194/14 P

AC‑Treuhand AG

contro

Commissione europea

«Impugnazione – Concorrenza – Intese – Mercati europei degli stabilizzatori a base di stagno e degli stabilizzatori termici ESBO/esteri – Articolo 81, paragrafo 1, CE – Ambito di applicazione – Impresa di consulenza che non opera nel mercato di riferimento – Nozioni di “accordo tra imprese” e di “pratica concordata” – Calcolo dell’importo delle ammende – Orientamenti del 2006 per il calcolo delle ammende – Competenza estesa al merito»

Massime – Sentenza della Corte (Seconda Sezione) del 22 ottobre 2015

1.        Intese – Imputazione ad un’impresa – Decisione della Commissione che stabilisce la corresponsabilità di un’impresa di consulenza non attiva sul mercato di cui trattasi ma che ha contribuito attivamente e intenzionalmente all’intesa – Ammissibilità – Presupposti

(Art. 81, § 1, CE)

2.        Diritto dell’Unione europea – Principi generali del diritto – Principio di legalità delle pene – Portata

(Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, art. 49, § 1)

3.        Concorrenza – Ammende – Importo – Determinazione – Fissazione dell’importo di base – Non applicazione della metodologia prevista dagli orientamenti – Ammissibilità – Presupposti

(Art. 81, § 1, CE; regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, § 2; comunicazione della Commissione 2006/C 210/02, punti 13 e 37)

4.        Concorrenza – Ammende – Decisione con cui vengono inflitte ammende – Obbligo di motivazione – Portata – Indicazione degli elementi di valutazione che hanno permesso alla Commissione di misurare la gravità e la durata dell’infrazione – Indicazione sufficiente – Obbligo della Commissione di indicare gli elementi numerici relativi alle modalità di calcolo delle ammende – Insussistenza

(Artt. 81, § 1, CE e 253 CE; regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, § 2)

5.        Concorrenza – Ammende – Importo – Determinazione – Potere discrezionale della Commissione – Sindacato giurisdizionale – Competenza del giudice dell’Unione estesa al merito – Portata

(Artt. 261 TFUE e 263 TFUE; Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, art. 47; regolamento del Consiglio n. 1/2003, artt. 23, § 3, e 31)

1.        Un’impresa di consulenza può essere ritenuta responsabile di un’infrazione all’articolo 81, paragrafo 1, CE qualora contribuisca attivamente e con piena cognizione di causa ad attuare o a monitorare un’intesa tra produttori attivi in un mercato distinto da quello su cui essa stessa opera.

Infatti, qualora si tratti dell’attuazione o del monitoraggio di accordi e di pratiche concordate aventi un oggetto anticoncorrenziale, si può concludere nel senso della partecipazione di un’impresa all’infrazione e della sua responsabilità per tutti i diversi elementi che include, se la Commissione dimostra che l’impresa interessata ha inteso contribuire con il proprio comportamento agli obiettivi comuni perseguiti da tutti i partecipanti ed era a conoscenza dei comportamenti materiali progettati o adottati da altre imprese per conseguire tali obiettivi, o poteva ragionevolmente prevederli ed era disposta ad accettarne il rischio. In tale ambito, le nozioni di «accordo» e di «pratica concordata» non presuppongono una limitazione reciproca della libertà d’azione in uno stesso mercato in cui siano presenti tutte le parti.

Inoltre, nulla nel tenore letterale dell’articolo 81, paragrafo 1, CE indica che il divieto ivi enunciato riguarda solamente le parti di tali accordi o pratiche concordate attive nei mercati interessati dai medesimi. Il testo di tale disposizione si riferisce per contro in generale a tutti gli accordi e le pratiche concordate che, in rapporti orizzontali o verticali, falsano la concorrenza nel mercato comune, indipendentemente dal mercato in cui le parti sono attive, così come dal fatto che solo il comportamento commerciale di una di esse sia interessato dai termini degli accordi in questione.

Peraltro, se il comportamento tenuto da un’impresa di consulenza si inserisce direttamente negli sforzi delle parti dell’accordo relativi tanto alla negoziazione quanto al controllo dell’applicazione degli obblighi sottoscritti da queste ultime nell’ambito delle intese, dato che lo scopo stesso dei servizi forniti da tale impresa di consulenza sulla base dei contratti di prestazione di servizi conclusi con le suddette parti era la realizzazione, con piena cognizione di causa, degli obiettivi anticoncorrenziali di cui trattasi, vale a dire la fissazione dei prezzi, la ripartizione dei mercati e dei clienti nonché lo scambio di informazioni commerciali sensibili, non si può ritenere che gli interventi dell’impresa di consulenza, in tale qualità, costituissero meri servizi periferici, senza un nesso con gli obblighi assunti dai produttori e le conseguenti restrizioni della concorrenza.

(v. punti 26, 27, 30, 33, 35, 38, 39)

2.        Il principio di legalità dei reati e delle pene non può pertanto essere interpretato come un divieto di graduale chiarimento, da una causa all’altra, delle norme sulla responsabilità penale da parte di un’interpretazione giurisprudenziale, a condizione che il risultato sia ragionevolmente prevedibile al momento della commissione dell’infrazione, alla luce in particolare dell’interpretazione vigente a quell’epoca nella giurisprudenza relativa alla disposizione legale in questione.

La portata della nozione di prevedibilità dipende in larga parte dal contenuto del testo di cui si tratta, dal settore interessato, nonché dal numero e dalla qualità dei suoi destinatari. La prevedibilità della legge non impedisce che l’interessato sia portato a ricorrere a un illuminato parere legale al fine di valutare, in una misura ragionevole in base alle circostanze della causa, le conseguenze che possono risultare da un atto determinato. Ciò vale in particolare per i professionisti, abituati a dover dare prova di grande prudenza nello svolgimento del loro lavoro. Da questi ultimi ci si può inoltre attendere una cura particolare nel valutare i rischi che esso comporta.

(v. punti 41, 42)

3.        Anche se il punto 13 degli orientamenti per i calcolo delle ammende inflitte ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1/2003 mira ad assumere, in linea di principio, come base iniziale ai fini del calcolo dell’ammenda inflitta ad un’impresa un importo che rifletta l’importanza economica dell’infrazione ed il peso relativo dell’impresa interessata nell’infrazione medesima, la Commissione può scostarsi dalla metodologia di calcolo delle ammende prevista da tali orientamenti fissando in modo forfettario, sulla base del punto 37 dei medesimi, l’importo di base delle ammende inflitte in modo forfettario in un caso in cui i mercati interessati dalle infrazioni constatate siano mercati in cui l’impresa che ha contribuito attivamente alle infrazioni non è presente, di modo che nessuna parte del fatturato realizzato da tale impresa può derivare da prodotti oggetto di tali infrazioni.

(v. punti 64, 66‑67)

4.        V. il testo della decisione.

(v. punto 68)

5.        Per quanto concerne il sindacato giurisdizionale delle decisioni della Commissione, ove essa decida di infliggere un’ammenda o una penalità di mora per violazione delle norme sulla concorrenza, oltre al controllo di legittimità previsto all’articolo 263 TFUE, il giudice dell’Unione dispone di una competenza estesa al merito conferitagli dall’articolo 31 del regolamento n. 1/2003, conformemente all’articolo 261 TFUE, che lo autorizza a sostituire la sua valutazione a quella della Commissione e, di conseguenza, a sopprimere, ridurre o aumentare l’ammenda o la penalità inflitta.

Tuttavia, l’esercizio di tale competenza estesa al merito non equivale a un controllo d’ufficio e il procedimento dinanzi ai giudici dell’Unione è di tipo contraddittorio. Ad eccezione dei motivi di ordine pubblico che il giudice è tenuto a sollevare d’ufficio, spetta pertanto al ricorrente sollevare i motivi diretti avverso la decisione controversa e produrre elementi di prova a sostegno di detti motivi.

Per contro, per soddisfare i requisiti del principio della tutela giurisdizionale effettiva sancito all’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, e tenuto conto dell’articolo 23, paragrafo 3, del regolamento n. 1/2003, il giudice dell’Unione è tenuto, nell’esercizio delle competenze previste agli articoli 261 TFUE e 263 TFUE, ad esaminare ogni censura, di fatto o di diritto, diretta a dimostrare che l’importo dell’ammenda non è adeguato alla gravità e alla durata dell’infrazione.

(v. punti 74‑76)