Language of document : ECLI:EU:C:2023:934

SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

30 novembre 2023 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Politica d’asilo – Regolamento (UE) n. 604/2013 – Articoli da 3 a 5, 17 e 27 – Regolamento (UE) n. 603/2013 – Articolo 29 – Regolamento (UE) n. 1560/2003 – Allegato X – Diritto all’informazione del richiedente protezione internazionale – Opuscolo comune – Colloquio personale – Domanda di protezione internazionale presentata in precedenza in un primo Stato membro – Nuova domanda presentata in un secondo Stato membro – Soggiorno irregolare nel secondo Stato membro – Procedura di ripresa in carico – Violazione del diritto di informazione – Mancanza di colloquio personale – Protezione contro il rischio di refoulement indiretto – Fiducia reciproca – Controllo giurisdizionale della decisione di trasferimento – Portata – Constatazione dell’esistenza, nello Stato membro richiesto, di carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale – Clausole discrezionali – Rischio di violazione del principio di non-refoulement nello Stato membro richiesto»

Nelle cause riunite C‑228/21, C‑254/21, C‑297/21, C‑315/21 e C‑328/21,

aventi ad oggetto cinque domande di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE, proposte dalla Corte suprema di cassazione (Italia), con ordinanza del 29 marzo 2021, pervenuta in cancelleria l’8 aprile 2021 (C‑228/21), dal Tribunale di Roma (Italia), con ordinanza del 12 aprile 2021, pervenuta in cancelleria il 22 aprile 2021 (C‑254/21), dal Tribunale di Firenze (Italia), con ordinanza del 29 aprile 2021, pervenuta in cancelleria il 10 maggio 2021 (C‑297/21), dal Tribunale di Milano (Italia), con ordinanza del 14 aprile 2021, pervenuta in cancelleria il 17 maggio 2021 (C‑315/21) e dal Tribunale di Trieste (Italia), con ordinanza del 2 aprile 2021, pervenuta in cancelleria il 26 maggio 2021 (C‑328/21), nei procedimenti

Ministero dell’Interno, Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione – Unità Dublino (C‑228/21),

DG (C‑254/21),

XXX.XX (C‑297/21),

PP (C‑315/21),

GE (C‑328/21)

contro

CZA (C‑228/21),

Ministero dell’Interno, Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione – Unità Dublino (C‑254/21, C‑297/21, C‑315/21 e C‑328/21),

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta da A. Prechal, presidente di sezione, F. Biltgen, N. Wahl, J. Passer (relatore) e M.L. Arastey Sahún, giudici,

avvocato generale: J. Kokott

cancelliere: C. Di Bella, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’8 giugno 2022,

considerate le osservazioni presentate:

–        per XXX.XX, da C. Favilli e L. Scattoni, avvocate;

–        per GE, da C. Bove, avvocata;

–        per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da L. D’Ascia e D.G. Pintus, avvocati dello Stato;

–        per il governo tedesco, da J. Möller e R. Kanitz, in qualità di agenti;

–        per il governo francese, da A.-L. Desjonquères e J. Illouz, in qualità di agenti;

–        per il governo dei Paesi Bassi, da M.K. Bulterman, M. de Ree e A. Hanje, in qualità di agenti;

–        per la Commissione europea, da A. Azéma e C. Cattabriga, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 20 aprile 2023,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione dell’articolo 3, paragrafo 2, degli articoli 4 e 5, dell’articolo 17, paragrafo 1, dell’articolo 18, paragrafo 1, dell’articolo 20, paragrafo 5, e dell’articolo 27 del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (GU 2013, L 180, pag. 31; in prosieguo: il «regolamento Dublino III»), dell’articolo 29 del regolamento (UE) n. 603/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013 che istituisce l’«Eurodac» per il confronto delle impronte digitali per l’efficace applicazione del regolamento n. 604/2013 e per le richieste di confronto con i dati Eurodac presentate dalle autorità di contrasto degli Stati membri e da Europol a fini di contrasto, e che modifica il regolamento (UE) n. 1077/2011 che istituisce un’agenzia europea per la gestione operativa dei sistemi IT su larga scala nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia (GU 2013, L 181, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento Eurodac»), nonché dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

2        Tali domande sono state presentate nell’ambito di cinque controversie: la prima (causa C‑228/21), tra il Ministero dell’Interno, Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione – Unità Dublino (Italia) (in prosieguo: il «Ministero dell’Interno») e CZA, in merito alla decisione del Ministero dell’Interno di trasferirlo verso la Slovenia in seguito alla domanda di protezione internazionale che egli ha presentato in Italia; le altre quattro (cause C‑254/21, C‑297/21, C‑315/21 e C‑328/21), tra, da un lato, rispettivamente, DG, XXX.XX, PP e GE – ove i primi tre hanno anch’essi presentato una siffatta domanda in Italia e GE si trovava ivi in situazione di soggiorno irregolare – e, dall’altro, il Ministero dell’Interno, in merito alla decisione di quest’ultimo di trasferirli, per quanto riguarda DG, verso la Svezia, per quanto riguarda XXX.XX e PP, verso la Germania e, per quanto riguarda GE, verso la Finlandia.

 Contesto normativo

 La direttiva «qualifiche»

3        Il capo II, intitolato «Valutazione delle domande di protezione internazionale», della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9; in prosieguo la «direttiva “qualifiche”»), contiene segnatamente l’articolo 8, intitolato «Protezione all’interno del paese d’origine». Tale articolo così dispone:

«1.      Nell’ambito dell’esame della domanda di protezione internazionale, gli Stati membri possono stabilire che il richiedente non necessita di protezione internazionale se, in una parte del territorio del paese d’origine, questi:

a)      non ha fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corre rischi effettivi di subire danni gravi; oppure

b)      ha accesso alla protezione contro persecuzioni o danni gravi di cui all’articolo 7;

e può legalmente e senza pericolo recarsi ed essere ammesso in quella parte del paese e si può ragionevolmente supporre che vi si stabilisca.

2.      Nel valutare se il richiedente ha fondati motivi di temere di essere perseguitato o corre rischi effettivi di subire danni gravi, oppure ha accesso alla protezione contro persecuzioni o danni gravi in una parte del territorio del paese d’origine conformemente al paragrafo 1, gli Stati membri tengono conto al momento della decisione sulla domanda delle condizioni generali vigenti in tale parte del paese, nonché delle circostanze personali del richiedente, in conformità dell’articolo 4. A tal fine gli Stati membri assicurano che informazioni precise e aggiornate pervengano da fonti pertinenti, quali l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo».

4        L’articolo 15 della direttiva «qualifiche», intitolato «Danno grave», contenuto nel capo V, intitolato «Requisiti per la protezione sussidiaria», prevede quanto segue:

«Sono considerati danni gravi:

(...)

c)      la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale».

 Regolamento Dublino III

5        I considerando 18 e 19 del regolamento Dublino III così recitano:

«(18)       È opportuno organizzare un colloquio personale con il richiedente al fine di agevolare la determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale. Non appena sia presentata la domanda di protezione internazionale, il richiedente dovrebbe essere informato dell’applicazione del presente regolamento e della possibilità, nel corso del colloquio, di fornire informazioni sulla presenza negli Stati membri di familiari, parenti o persone legate da altri vincoli di parentela, al fine di agevolare il processo di determinazione dello Stato membro competente.

(19)      Al fine di assicurare una protezione efficace dei diritti degli interessati, si dovrebbero stabilire garanzie giuridiche e il diritto a un ricorso effettivo avverso le decisioni relative ai trasferimenti verso lo Stato membro competente, ai sensi, in particolare, dell’articolo 47 della [Carta]. Al fine di garantire il rispetto del diritto internazionale è opportuno che un ricorso effettivo avverso tali decisioni verta tanto sull’esame dell’applicazione del presente regolamento quanto sull’esame della situazione giuridica e fattuale dello Stato membro in cui il richiedente è trasferito».

6        L’articolo 3 di tale regolamento, intitolato «Accesso alla procedura di esame di una domanda di protezione internazionale», contenuto nel capo II, intitolato «Principi generali e garanzie», ai paragrafi 1 e 2, così dispone:

«1.      Gli Stati membri esaminano qualsiasi domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un paese terzo o da un apolide sul territorio di qualunque Stato membro, compreso alla frontiera e nelle zone di transito. Una domanda d’asilo è esaminata da un solo Stato membro, che è quello individuato come Stato competente in base ai criteri enunciati al capo III.

2.      Quando lo Stato membro competente non può essere designato sulla base dei criteri enumerati nel presente regolamento, è competente il primo Stato membro nel quale la domanda è stata presentata.

Qualora sia impossibile trasferire un richiedente verso lo Stato membro inizialmente designato come competente in quanto si hanno fondati motivi di ritenere che sussistono carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti in tale Stato membro, che implichino il rischio di un trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della [Carta], lo Stato membro che ha avviato la procedura di determinazione dello Stato membro competente prosegue l’esame dei criteri di cui al capo III per verificare se un altro Stato membro possa essere designato come competente.

Qualora non sia possibile eseguire il trasferimento a norma del presente paragrafo verso un altro Stato membro designato in base ai criteri di cui al capo III o verso il primo Stato membro in cui la domanda è stata presentata, lo Stato membro che ha avviato la procedura di determinazione diventa lo Stato membro competente».

7        L’articolo 4 di detto regolamento, intitolato «Diritto di informazione» è così formulato:

«1.      Non appena sia presentata una domanda di protezione internazionale ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 2, in uno Stato membro, le autorità competenti dello stesso informano il richiedente dell’applicazione del presente regolamento, specificando in particolare:

a)      le finalità del presente regolamento e le conseguenze dell’eventuale presentazione di un’altra domanda in uno Stato membro diverso, nonché le conseguenze dello spostarsi da uno Stato membro a un altro durante le fasi in cui si determina lo Stato membro competente ai sensi del presente regolamento e in cui è esaminata la domanda di protezione internazionale;

b)      i criteri di determinazione dello Stato membro competente, la gerarchia di tali criteri nelle varie fasi della procedura e la loro durata, compreso il fatto che una domanda di protezione internazionale presentata in uno Stato membro può comportare che tale Stato membro diventi competente ai sensi del presente regolamento anche se tale competenza non si basi su tali criteri;

c)      il colloquio personale ai sensi dell’articolo 5 e la possibilità di presentare informazioni relative alla presenza di familiari, parenti o persone legate da altri vincoli di parentela negli Stati membri, compresi i modi in cui il richiedente può presentare tali informazioni;

d)      la possibilità di impugnare una decisione di trasferimento e, ove applicabile, di chiedere la sospensione del trasferimento;

e)      il fatto che le autorità competenti degli Stati membri possono scambiarsi dati relativi al richiedente al solo scopo di rispettare i loro obblighi derivanti dal presente regolamento;

f)      il diritto di accesso ai propri dati e il diritto di chiedere che tali dati siano rettificati se inesatti o che siano cancellati se trattati illecitamente, nonché le procedure da seguire per esercitare tali diritti, compresi gli estremi delle autorità di cui all’articolo 35 e delle autorità nazionali garanti per la protezione dei dati personali che sono responsabili in merito alla tutela dei dati personali.

2.      Le informazioni di cui al paragrafo 1 sono fornite al richiedente per iscritto in una lingua che il richiedente comprende o che ragionevolmente si suppone a lui comprensibile. A questo fine gli Stati membri si avvalgono dell’opuscolo comune redatto conformemente al paragrafo 3.

Ove necessario per la corretta comprensione del richiedente, le informazioni sono fornite anche oralmente, ad esempio in relazione con il colloquio personale di cui all’articolo 5.

3.      La Commissione [europea], mediante atti di esecuzione, redige un opuscolo comune, nonché un apposito opuscolo per i minori non accompagnati, contenenti quanto meno le informazioni di cui al paragrafo 1 del presente articolo. Detto opuscolo comune contiene anche informazioni riguardanti l’applicazione del [regolamento Eurodac] e, in particolare, lo scopo per il quale i dati di un richiedente possono essere trattati nell’ambito di Eurodac. L’opuscolo comune è realizzato in modo da consentire agli Stati membri di completarlo con informazioni aggiuntive specifiche per ciascuno Stato membro. Tali atti di esecuzione sono adottati secondo la procedura di esame di cui all’articolo 44, paragrafo 2, del presente regolamento».

8        Ai sensi dell’articolo 5 del medesimo regolamento, intitolato «Colloquio personale»:

«1.      Al fine di agevolare la procedura di determinazione dello Stato membro competente, lo Stato membro che ha avviato la procedura di determinazione effettua un colloquio personale con il richiedente. Il colloquio permette anche la corretta comprensione delle informazioni fornite al richiedente ai sensi dell’articolo 4.

2.      Il colloquio personale può non essere effettuato qualora:

a)      il richiedente sia fuggito; o

b)      dopo aver ricevuto le informazioni di cui all’articolo 4, il richiedente abbia già fornito informazioni pertinenti per determinare lo Stato membro competente in altro modo. Gli Stati membri che non effettuano il colloquio offrono al richiedente l’opportunità di presentare ogni altra informazione pertinente per determinare correttamente lo Stato membro competente prima che sia adottata la decisione di trasferire il richiedente verso lo Stato membro competente ai sensi dell’articolo 26, paragrafo 1.

3.      Il colloquio personale si svolge in tempo utile e, in ogni caso, prima che sia adottata la decisione di trasferire il richiedente verso lo Stato membro competente ai sensi dell’articolo 26, paragrafo 1.

4.      Il colloquio personale è effettuato in una lingua che il richiedente comprende o che ragionevolmente si suppone a lui comprensibile e nella quale questi è in grado di comunicare. Ove necessario, gli Stati membri si avvalgono di un interprete che sia in grado di garantire una comunicazione adeguata tra il richiedente e la persona che effettua il colloquio personale.

5.      Il colloquio personale si svolge in condizioni tali da garantire un’adeguata riservatezza. Esso è condotto da una persona qualificata a norma del diritto nazionale.

6.      Lo Stato membro che effettua il colloquio personale redige una sintesi scritta dello stesso che contenga almeno le principali informazioni fornite dal richiedente durante il colloquio. Tale sintesi può assumere la forma di una relazione o di un modulo standard. Lo Stato membro provvede affinché il richiedente e/o l’avvocato o altro consulente legale che rappresenta il richiedente abbiano tempestivamente accesso alla sintesi».

9        L’articolo 7, paragrafo 3, del regolamento Dublino III così dispone:

«Ai fini dell’applicazione dei criteri di cui agli articoli 8, 10 e 16, gli Stati membri tengono conto di qualsiasi elemento di prova disponibile per quanto riguarda la presenza nel territorio di uno Stato membro, di familiari, parenti o persone legate da altri vincoli di parentela con il richiedente, a condizione che tali prove siano prodotte prima che un altro Stato membro accolga la richiesta di presa o ripresa in carico dell’interessato ai sensi, rispettivamente, degli articoli 22 e 25, e che le precedenti domande di protezione internazionale del richiedente non siano state ancora oggetto di una prima decisione sul merito».

10      L’articolo 17 di tale regolamento, intitolato «Clausole discrezionali», al paragrafo 1, prevede quanto segue:

«In deroga all’articolo 3, paragrafo 1, ciascuno Stato membro può decidere di esaminare una domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, anche se tale esame non gli compete in base ai criteri stabiliti nel presente regolamento.

Lo Stato membro che decide di esaminare una domanda di protezione internazionale ai sensi del presente paragrafo diventa lo Stato membro competente e assume gli obblighi connessi a tale competenza. Se applicabile, esso ne informa, utilizzando la rete telematica “DubliNet” istituita a norma dell’articolo 18 del regolamento (CE) n. 1560/2003 [della Commissione, del 2 settembre 2003, recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo (GU 2003, L 222, pag. 3], lo Stato membro precedentemente competente, lo Stato membro che ha in corso la procedura volta a determinare lo Stato membro competente o quello al quale è stato chiesto di prendere o riprendere in carico il richiedente.

Lo Stato membro che diventa competente ai sensi del presente paragrafo lo indica immediatamente nell’Eurodac ai sensi del [regolamento Eurodac], aggiungendo la data in cui è stata adottata la decisione di esaminare la domanda».

11      L’articolo 18 di detto regolamento, intitolato «Obblighi dello Stato membro competente», è così formulato:

«1.      Lo Stato membro competente in forza del presente regolamento è tenuto a:

a)      prendere in carico, alle condizioni specificate negli articoli 21, 22 e 29, il richiedente che ha presentato domanda in un altro Stato membro;

b)      riprendere in carico, alle condizioni di cui agli articoli 23, 24, 25 e 29, il richiedente la cui domanda è in corso d’esame e che ha presentato domanda in un altro Stato membro oppure si trova nel territorio di un altro Stato membro senza un titolo di soggiorno;

c)      riprendere in carico, alle condizioni di cui agli articoli 23, 24, 25 e 29, un cittadino di un paese terzo o un apolide che ha ritirato la sua domanda in corso d’esame e che ha presentato una domanda in un altro Stato membro o che si trova nel territorio di un altro Stato membro senza un titolo di soggiorno;

d)      riprendere in carico, alle condizioni di cui agli articoli 23, 24, 25 e 29, un cittadino di un paese terzo o un apolide del quale è stata respinta la domanda e che ha presentato domanda in un altro Stato membro oppure si trova nel territorio di un altro Stato membro senza un titolo di soggiorno.

2.      Per quanto riguarda i casi che rientrano nell’ambito di applicazione del paragrafo 1, lettere a) e b), lo Stato membro competente esamina o porta a termine l’esame della domanda di protezione internazionale presentata dal richiedente.

Nei casi che rientrano nell’ambito di applicazione del paragrafo 1, lettera c), qualora lo Stato membro competente abbia interrotto l’esame di una domanda in seguito al ritiro di quest’ultima da parte del richiedente, prima di una decisione sul merito di primo grado, detto Stato membro provvede affinché al richiedente sia concesso il diritto di chiedere che l’esame della domanda sia portato a termine o di presentare una nuova domanda di protezione internazionale, che non sarà trattata come domanda reiterata di cui alla direttiva 2013/32/UE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 60; in prosieguo la “direttiva ’procedure’”)]. In tali casi gli Stati membri provvedono affinché l’esame della domanda sia portato a termine.

Nei casi che rientrano nell’ambito di applicazione del paragrafo 1, lettera d), qualora la domanda sia stata respinta solo in primo grado, lo Stato membro competente assicura che l’interessato abbia o abbia avuto la possibilità di ricorrere a un mezzo di impugnazione efficace ai sensi dell’articolo 46 della [direttiva “procedure”]».

12      L’articolo 19 del medesimo regolamento, intitolato «Cessazione delle competenze», così dispone:

«1.      Se uno Stato membro rilascia al richiedente un titolo di soggiorno, gli obblighi previsti all’articolo 18, paragrafo 1, ricadono su detto Stato membro.

2.      Gli obblighi di cui all’articolo 18, paragrafo 1, vengono meno se lo Stato membro competente può stabilire, quando gli viene chiesto di prendere o riprendere in carico un richiedente o un’altra persona ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 1, lettera c) o d), che l’interessato si è allontanato dal territorio degli Stati membri per almeno tre mesi, sempre che l’interessato non sia titolare di un titolo di soggiorno in corso di validità rilasciato dallo Stato membro competente.

La domanda presentata dopo il periodo di assenza di cui al primo comma è considerata una nuova domanda e dà inizio a un nuovo procedimento di determinazione dello Stato membro competente.

3.      Gli obblighi di cui all’articolo 18, paragrafo 1, lettere c) e d), vengono meno se lo Stato membro competente può stabilire, quando gli viene chiesto di riprendere in carico un richiedente o un’altra persona ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 1, lettera c) o d), che l’interessato ha lasciato il territorio degli Stati membri conformemente a una decisione di rimpatrio o di un provvedimento di allontanamento emessa da quello Stato membro a seguito del ritiro o del rigetto della domanda.

La domanda presentata dopo che [ha] avuto luogo un allontanamento effettivo è considerata una nuova domanda e dà inizio a un nuovo procedimento di determinazione dello Stato membro competente».

13      L’articolo 20 del regolamento Dublino III intitolato «Avvio della procedura» e che figura nella sezione I, il cui titolo è «Avvio della procedura», del capo VI, intitolato «Procedure di presa in carico e ripresa in carico», così dispone:

«1.      La procedura di determinazione dello Stato membro competente è avviata non appena una domanda di protezione internazionale è presentata per la prima volta in uno Stato membro.

2.      La domanda di protezione internazionale si considera presentata non appena le autorità competenti dello Stato membro interessato ricevono un formulario presentato dal richiedente o un verbale redatto dalle autorità. Nel caso di domanda non scritta, il periodo che intercorre dalla dichiarazione di volontà e la stesura del relativo verbale deve essere quanto più breve possibile.

(...)

5.      Lo Stato membro nel quale è stata presentata per la prima volta la domanda di protezione internazionale è tenuto, alle condizioni di cui agli articoli 23, 24, 25 e 29 e al fine di portare a termine il procedimento di determinazione dello Stato membro competente, a riprendere in carico il richiedente che si trova in un altro Stato membro senza un titolo di soggiorno o ha presentato colà una nuova domanda di protezione internazionale dopo aver ritirato la prima domanda presentata in uno Stato membro diverso durante il procedimento volto a determinare lo Stato membro competente.

(...)».

14      L’articolo 21 di tale regolamento, intitolato «Presentazione di una richiesta di presa in carico», al suo paragrafo 1, primo comma, prevede quanto segue:

«Lo Stato membro che ha ricevuto una domanda di protezione internazionale e ritiene che un altro Stato membro sia competente per l’esame della stessa può chiedere a tale Stato membro di prendere in carico il richiedente quanto prima e, al più tardi, entro tre mesi dopo la presentazione della domanda ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 2».

15      L’articolo 23 di detto regolamento, intitolato «Presentazione di una richiesta di ripresa in carico qualora sia stata presentata una nuova domanda nello Stato membro richiedente», prevede quanto segue:

1.      Uno Stato membro presso il quale una persona di cui all’articolo 18, paragrafo 1, lettere b), c) o d), abbia presentato una nuova domanda di protezione internazionale che ritenga che un altro Stato membro sia competente ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 5, e dell’articolo 18, paragrafo 1, lettere b), c) o d), può chiedere all’altro Stato membro di riprendere in carico tale persona.

(...)

3.      Se la richiesta di ripresa in carico non è presentata entro i termini prescritti al paragrafo 2, la competenza per l’esame della domanda di protezione internazionale spetta allo Stato membro in cui la nuova domanda è stata presentata».

16      L’articolo 24 del medesimo regolamento, intitolato «Presentazione di una richiesta di ripresa in carico qualora non sia stata presentata una nuova domanda nello Stato membro richiedente», al paragrafo 1, così dispone:

«Uno Stato membro sul cui territorio una persona di cui all’articolo 18, paragrafo 1, lettere b), c) o d), soggiorna senza un titolo di soggiorno e presso cui non è stata presentata una nuova domanda di protezione internazionale che ritenga che un altro Stato membro sia competente ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 5, e dell’articolo 18, paragrafo 1, lettere b), c) o d), può chiedere all’altro Stato membro di riprendere in carico tale persona».

17      L’articolo 26 del regolamento Dublino III, intitolato «Notifica di una decisione di trasferimento», contenuto nella sezione IV, intitolata «Garanzie procedurali», del capo VI del regolamento in parola, è così formulato:

«1.      Quando lo Stato membro richiesto accetta di prendere o riprendere in carico un richiedente o un’altra persona di cui all’articolo 18, paragrafo 1, lettera c) o d), lo Stato membro richiedente notifica all’interessato la decisione di trasferirlo verso lo Stato membro competente e, se del caso, di non esaminare la sua domanda di protezione internazionale. Se l’interessato è rappresentato da un avvocato o un altro consulente legale, gli Stati membri possono scegliere di notificare la decisione a tale avvocato o consulente legale invece che all’interessato e, se del caso, comunicare la decisione all’interessato.

2.      La decisione di cui al paragrafo 1 contiene informazioni sui mezzi di impugnazione disponibili, compreso quello sul diritto di chiedere l’effetto sospensivo, ove applicabile, e sui termini per esperirli e sui termini relativi all’esecuzione del trasferimento e contiene, se necessario, le informazioni relative al luogo e alla data in cui l’interessato deve presentarsi, nel caso in cui si rechi nello Stato membro competente con i propri mezzi.

Gli Stati membri provvedono affinché le informazioni sulle persone o sugli enti che possono fornire assistenza legale all’interessato siano comunicate a quest’ultimo unitamente alla decisione di cui al paragrafo 1, sempre che non siano già state comunicate in precedenza.

3.      Qualora l’interessato non sia assistito o rappresentato da un avvocato o da un altro consulente legale, gli Stati membri lo informano dei principali elementi della decisione, e in ogni caso dei mezzi di impugnazione disponibili e dei termini per esperirli, in una lingua che il richiedente capisce o che è ragionevole supporre possa capire».

18      L’articolo 27 di tale regolamento, intitolato «Mezzi di impugnazione», contenuto nella medesima sezione IV, al suo paragrafo 1, così dispone:

«Il richiedente o altra persona di cui all’articolo 18, paragrafo 1, lettera c) o d), ha diritto a un ricorso effettivo avverso una decisione di trasferimento, o a una revisione della medesima, in fatto e in diritto, dinanzi a un organo giurisdizionale».

19      L’articolo 29 di detto regolamento, intitolato «Modalità e termini», contenuto nella sezione VI, intitolata, «Trasferimenti», del capo VI, al suo paragrafo 2, così dispone:

«Se il trasferimento non avviene entro il termine di sei mesi, lo Stato membro competente è liberato dall’obbligo di prendere o riprendere in carico l’interessato e la competenza è trasferita allo Stato membro richiedente. Questo termine può essere prorogato fino a un massimo di un anno se non è stato possibile effettuare il trasferimento a causa della detenzione dell’interessato, o fino a un massimo di diciotto mesi qualora questi sia fuggito».

 La direttiva «procedure»

20      Il capo II, intitolato, «Principi fondamentali e garanzie» della direttiva «procedure», contiene in particolare l’articolo 9. Tale articolo, intitolato «Diritto di rimanere nello Stato membro durante l’esame della domanda», al suo paragrafo 3, così dispone:

«Gli Stati membri possono estradare un richiedente in un paese terzo ai sensi del paragrafo 2 soltanto se le autorità competenti hanno accertato che la decisione di estradizione non comporterà il “refoulement” diretto o indiretto, in violazione degli obblighi internazionali e dell’Unione [europea] di detto Stato membro».

21      L’articolo 14 della direttiva «procedure», intitolato «Colloquio personale», è così formulato:

«1.      Prima che l’autorità accertante decida, è data facoltà al richiedente di sostenere un colloquio personale sulla sua domanda di protezione internazionale con una persona competente, a norma del diritto nazionale, a svolgere tale colloquio. I colloqui personali sul merito di una domanda di protezione internazionale sono condotti dal personale dell’autorità accertante. Il presente comma lascia impregiudicato l’articolo 42, paragrafo 2, lettera b).

Qualora le domande simultanee di protezione internazionale da parte di un numero elevato di cittadini di paesi terzi o apolidi rendano impossibile all’atto pratico all’autorità accertante svolgere tempestivamente colloqui sul merito di ogni domanda, gli Stati membri possono disporre che il personale di un’altra autorità partecipi temporaneamente allo svolgimento di tali colloqui. In questi casi, il personale di detta altra autorità riceve in anticipo la formazione pertinente (...).

(...)

2.      Il colloquio personale sul merito della domanda può essere omesso se:

a)      l’autorità accertante è in grado di prendere una decisione positiva riguardo allo status di rifugiato basandosi sulle prove acquisite; oppure

b)      l’autorità accertante reputa che il richiedente asilo sia incapace o non sia in grado di sostenere un colloquio personale a causa di circostanze persistenti che sfuggono al suo controllo. In caso di dubbio, l’autorità accertante consulta un professionista del settore medico per stabilire se lo stato che rende il richiedente incapace o non in grado di sostenere il colloquio sia temporaneo o di lungo periodo.

Quando non viene sostenuto il colloquio personale a norma della lettera b) oppure, ove applicabile, con la persona a carico, devono essere compiuti ragionevoli sforzi al fine di consentire al richiedente o alla persona a carico di produrre ulteriori informazioni.

3.      La mancanza di un colloquio personale a norma del presente articolo non osta a che l’autorità accertante prenda una decisione sulla domanda di protezione internazionale.

4.      La mancanza di un colloquio personale a norma del paragrafo 2, lettera b), non incide negativamente sulla decisione dell’autorità accertante.

5.      A prescindere dall’articolo 28, paragrafo 1, gli Stati membri, all’atto di decidere riguardo a una domanda di protezione internazionale, possono tener conto del fatto che il richiedente non si sia presentato al colloquio personale, a meno che non avesse validi motivi per farlo».

22      L’articolo 15 di tale direttiva, intitolato «Criteri applicabili al colloquio personale», così dispone:

«1.      Il colloquio personale si svolge, di norma, senza la presenza dei familiari, a meno che l’autorità accertante non ritenga che un esame adeguato deve comportare la presenza di altri familiari.

2.      Il colloquio personale si svolge in condizioni atte ad assicurare la riservatezza adeguata.

3.      Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché il colloquio personale si svolga in condizioni che consentano al richiedente di esporre in modo esauriente i motivi della sua domanda. A tal fine gli Stati membri:

a)      provvedono affinché la persona incaricata di condurre il colloquio abbia la competenza per tener conto del contesto personale e generale in cui nasce la domanda, compresa l’origine culturale, il genere, l’orientamento sessuale, l’identità sessuale o la vulnerabilità del richiedente;

b)      se possibile prevedono, su istanza del richiedente, che a condurre il colloquio sia una persona del suo stesso sesso, a meno che l’autorità accertante abbia motivo di ritenere che tale domanda si basi su motivi non connessi alle difficoltà del richiedente di presentare i motivi della sua domanda in modo comprensibile;

c)      selezionano un interprete idoneo a garantire una comunicazione appropriata fra il richiedente e la persona incaricata di condurre il colloquio. Il colloquio si svolge nella lingua prescelta dal richiedente, tranne se esiste un’altra lingua che capisce e nella quale è in grado di comunicare chiaramente. Se possibile gli Stati membri prevedono, su istanza del richiedente, un interprete del suo stesso sesso, a meno che l’autorità accertante abbia motivo di ritenere che tale domanda si basi su motivi non connessi alle difficoltà del richiedente di presentare i motivi della sua domanda in modo comprensibile;

d)      provvedono affinché la persona che conduce il colloquio sul merito di una domanda di protezione internazionale non indossi un’uniforme militare o di polizia;

e)      provvedono affinché i colloqui con i minori siano condotti con modalità consone alla loro età.

4.      Gli Stati membri possono prevedere norme relative alla presenza di terzi durante un colloquio personale».

23      Il capo III di detta direttiva, intitolato «Procedure di primo grado», contiene gli articoli da 31 a 43.

24      L’articolo 33 della medesima direttiva, intitolato «Domande inammissibili», al suo paragrafo 2, così dispone:

«Gli Stati membri possono giudicare una domanda di protezione internazionale inammissibile soltanto se:

a)      un altro Stato membro ha concesso la protezione internazionale;

(...)».

25      L’articolo 34 della direttiva «procedure», intitolato «Norme speciali in ordine al colloquio sull’ammissibilità», al suo paragrafo 1, primo comma, prevede quanto segue:

«Prima che l’autorità accertante decida sull’ammissibilità di una domanda di protezione internazionale, gli Stati membri consentono al richiedente di esprimersi in ordine all’applicazione dei motivi di cui all’articolo 33 alla sua situazione particolare. A tal fine, gli Stati membri organizzano un colloquio personale sull’ammissibilità della domanda. Gli Stati membri possono derogare soltanto ai sensi dell’articolo 42, in caso di una domanda reiterata».

 Il regolamento Eurodac

26      L’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento Eurodac è così formulato:

«Ai fini del presente regolamento si intende per:

(...)

b)      “Stato membro d’origine”:

(...)

iii)      in relazione alle persone di cui all’articolo 17, paragrafo 1, lo Stato membro che trasmette [i] dati [personali] al sistema centrale e che riceve i risultati del confronto;

(...)».

27      L’articolo 3, paragrafo 1, di tale regolamento così dispone:

«L’Eurodac consta di:

a)      una banca dati centrale informatizzata per le impronte digitali (“sistema centrale”) (...)

(...)».

28      Ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 1, di detto regolamento:

«Al fine di stabilire se un cittadino di un paese terzo o un apolide soggiornante irregolarmente nel suo territorio abbia precedentemente presentato una domanda di protezione internazionale in un altro Stato membro, ciascuno Stato membro può trasmettere al sistema centrale qualsiasi dato relativo alle impronte digitali eventualmente rilevate di tale cittadino di paese terzo o apolide, purché di età non inferiore a 14 anni, insieme al numero di riferimento assegnato.

Di norma, la verifica dell’avvenuta presentazione di una domanda di protezione internazionale in un altro Stato membro ha luogo quando:

a)      il cittadino di un paese terzo o l’apolide dichiara di avere presentato una domanda di protezione internazionale, ma non indica lo Stato membro in cui l’ha presentata;

b)      il cittadino di un paese terzo o l’apolide non chiede protezione internazionale ma rifiuta di essere rimpatriato nel suo paese di origine affermando che vi si troverebbe in pericolo; oppure

c)      il cittadino di un paese terzo o l’apolide cerca di evitare l’allontanamento con altri mezzi, rifiutandosi di cooperare alla propria identificazione, in particolare non esibendo alcun documento di identità oppure esibendo documenti falsi».

29      L’articolo 29 del medesimo regolamento, intitolato «Diritti dell’interessato» così dispone:

«1.      Lo Stato membro d’origine provvede a informare la persona di cui a[ll’]articol[o] (...) 17, paragrafo 1, per iscritto e se necessario oralmente, in una lingua che la persona comprende o che ragionevolmente si suppone a lei comprensibile:

(...)

b)      dello scopo per cui i suoi dati saranno trattati nell’Eurodac, compresa una descrizione delle finalità del [regolamento Dublino III], conformemente all’articolo 4 dello stesso, nonché una spiegazione, in forma intelligibile e con un linguaggio semplice e chiaro, del fatto che è ammesso l’accesso degli Stati membri e di Europol all’Eurodac a fini di contrasto;

(...)

2.      (...)

Per quanto riguarda la persona di cui all’articolo 17, paragrafo 1, le informazioni di cui al paragrafo 1 del presente articolo sono fornite al più tardi quando i dati che la concernono sono trasmessi al sistema centrale. Questo obbligo non sussiste nei casi in cui fornire dette informazioni risulta impossibile o implicherebbe uno sforzo sproporzionato.

(...)

3.      È redatto un opuscolo comune contenente quanto meno le informazioni di cui al paragrafo 1 del presente articolo e all’articolo 4, paragrafo 1, del [regolamento Dublino III], secondo la procedura di cui all’articolo 44, paragrafo 2, di detto regolamento.

L’opuscolo è scritto in modo chiaro e semplice, in una lingua che la persona interessata comprende o che (…) ragionevolmente si suppone a lei comprensibile.

L’opuscolo è realizzato in modo da consentire agli Stati membri di completarlo con informazioni aggiuntive specifiche per ciascuno Stato membro. Tali informazioni specifiche includono quanto meno i diritti dell’interessato, la possibilità di ricevere assistenza da parte delle autorità nazionali di controllo nonché gli estremi dell’ufficio del responsabile del trattamento e delle autorità nazionali di controllo.

(...)».

30      L’articolo 37 del regolamento Eurodac, intitolato «Risarcimento dei danni», così dispone:

«1.      Le persone e gli Stati membri che hanno subito un danno in conseguenza di un trattamento illecito di dati o di qualsiasi altro atto incompatibile con il presente regolamento hanno diritto di ottenere un risarcimento dallo Stato membro responsabile del pregiudizio. Lo Stato membro è esonerato in tutto o in parte da tale responsabilità se prova che l’evento dannoso non gli è imputabile.

(...)

3.      Le azioni proposte contro uno Stato membro per il risarcimento dei danni di cui ai paragrafi 1 e 2 sono disciplinate dalle leggi dello Stato membro convenuto».

 Regolamento n. 1560/2003

31      L’articolo 16 bis del regolamento n. 1560/2003, come modificato dal regolamento di esecuzione (UE) n. 118/2014 della Commissione del 30 gennaio 2014 (GU 2014, L 39, pag. 1) (in prosieguo: il «regolamento n. 1560/2003»), intitolato «Opuscoli informativi per i richiedenti protezione internazionale», così dispone:

«1.      Nell’allegato X figura un opuscolo comune che informa tutti i richiedenti protezione internazionale sulle disposizioni del [regolamento Dublino III] e sull’applicazione del [regolamento Eurodac].

(...)

4.      L’allegato XIII contiene informazioni per i cittadini di paesi terzi e gli apolidi soggiornanti irregolarmente in uno Stato membro».

32      Come previsto da tale articolo 16 bis, paragrafo 1, l’allegato X al regolamento n. 1560/2003 contiene un modello dell’opuscolo comune menzionato all’articolo 4, paragrafi 2 e 3 del regolamento Dublino III e all’articolo 29, paragrafo 3, del regolamento Eurodac (in prosieguo: l’«opuscolo comune»). La parte A di tale allegato, intitolata «Informazioni sul regolamento Dublino per i richiedenti protezione internazionale, a norma dell’articolo 4 del [regolamento Dublino III]», raggruppa un certo numero di spiegazioni relative alla procedura di determinazione dello Stato membro competente e alla sua applicazione concreta nonché all’applicazione del regolamento Eurodac, informazioni relative ai diritti dell’interessato nonché diverse raccomandazioni e domande per l’interessato dirette al corretto svolgimento di tale procedura. Nella parte finale di tale parte A sono contenuti un riquadro e una nota a piè pagina ad esso relativa, così formulati:

«Se ritenete che un altro [Stato membro] possa essere competente per l’esame della vostra domanda, riceverete informazioni più dettagliate sulla procedura da seguire e sulle sue conseguenze su di voi e sui vostri diritti(1).

(...)

(1)      Le informazioni fornite sono quelle previste nella parte B del presente allegato».

33      La parte B di detto allegato, intitolata «La procedura Dublino – Informazioni per i richiedenti protezione internazionale soggetti alla procedura Dublino, a norma dell’articolo 4 del [regolamento Dublino III]» contiene il modello di opuscolo comune che viene consegnato all’interessato quando le autorità nazionali competenti hanno ragione di ritenere che un altro Stato membro possa essere competente per l’esame della richiesta di protezione internazionale. Essa prevede spiegazioni più specifiche relative alla procedura applicabile nella fattispecie nonché, anche in questo caso, informazioni sui diritti dell’interessato e diverse raccomandazioni e domande per l’interessato dirette al corretto svolgimento della procedura. Nel testo di tale parte B figura la seguente menzione, corredata da una nota:

«– le vostre impronte digitali sono state rilevate in un altro [Stato membro] (e conservate in una banca dati europea denominata Eurodac [1]);

(...)

(1)      Per ulteriori informazioni su Eurodac si veda, nella parte A, la sezione “Perché chiedete di rilevare le mie impronte digitali?”».

34      L’allegato XIII al regolamento n. 1560/2003 contiene il modello delle «Informazioni per cittadini di paesi terzi e apolidi soggiornanti irregolarmente in uno Stato membro, a norma dell’articolo 29, paragrafo 3, del regolamento [Eurodac]». Tale allegato contiene segnatamente le indicazioni e la nota seguenti:

«Se soggiornate irregolarmente in un[o] [Stato membro] (...), le autorità possono rilevare le vostre impronte digitali e trasmetterle a una banca dati di impronte digitali denominata “Eurodac”. Questo serve unicamente a controllare se avete già presentato in precedenza una domanda di asilo. I dati relativi alle vostre impronte non saranno conservati nella banca dati Eurodac, ma se avete chiesto asilo in precedenza in un altro [Stato membro] potreste essere ritrasferiti in tale paese.

(...)

Se le nostre autorità ritengono che potreste aver chiesto protezione internazionale in un altro [Stato membro], il quale potrebbe essere competente per l’esame della domanda, riceverete informazioni più dettagliate sulla procedura da seguire e sulle sue conseguenze per voi e per i vostri diritti (2)

(...)

(2)      Le informazioni fornite sono quelle previste alla parte B dell’allegato X».

 Procedimenti principali e questioni pregiudiziali

 Causa C228/21

35      CZA ha presentato una domanda di protezione internazionale in Italia. A seguito di verifica, la Repubblica italiana si è rivolta alla Repubblica di Slovenia, Stato membro in cui CZA aveva presentato in precedenza una prima domanda di protezione internazionale, ai fini di ripresa in carico ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 1, lettera b), del regolamento Dublino III, ripresa in carico che è stata accettata il 16 aprile 2018.

36      CZA ha contestato la decisione di trasferimento adottata nei suoi confronti dinanzi al Tribunale di Catanzaro (Italia), che ha annullato tale decisione per il motivo che l’obbligo di informazione enunciato all’articolo 4 del regolamento Dublino III non era stato rispettato.

37      Il Ministero dell’Interno ha presentato ricorso avverso tale decisione dinanzi alla Corte suprema di cassazione (Italia), giudice del rinvio nella causa C‑228/21, facendo valere un’errata applicazione dell’articolo 4 del regolamento Dublino III.

38      In tale contesto la Corte suprema di cassazione ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      se l’articolo 4 del [regolamento Dublino III] debba essere interpretato nel senso che con il ricorso proposto, ai sensi dell’articolo 27 del [regolamento Dublino III], nei confronti di una decisione di trasferimento adottata da uno Stato membro, secondo il meccanismo dell’articolo 26 del regolamento ed in base all’obbligo di ripresa in carico di cui all’articolo 18, paragrafo 1, lettera b), del medesimo regolamento, possa farsi valere la sola mancata consegna dell’opuscolo informativo disciplinata dall’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento, da parte dello Stato che ha adottato il provvedimento di trasferimento;

2)      se l’articolo 27 del regolamento, letto in combinazione con il considerando 18 e il considerando 19 e con l’articolo 4 del medesimo regolamento, debba essere interpretato nel senso che il rimedio effettivo in caso di accertata violazione degli obblighi previsti dall’articolo 4 impone al Giudice l’adozione di una decisione di annullamento della decisione di trasferimento;

3)      in caso di risposta negativa al quesito sub 2) se l’articolo 27 del regolamento, letto in combinazione con il considerando 18 e il considerando 19 e con l’articolo 4 del medesimo regolamento, debba essere interpretato nel senso che il rimedio effettivo in caso di accertata violazione degli obblighi previsti dall’articolo 4 impone al Giudice di verificare la rilevanza di tale violazione alla luce delle circostanze allegate dal ricorrente e consente di confermare la decisione di trasferimento tutte le volte che non emergano ragioni per l’adozione di una decisione di trasferimento di contenuto diverso».

 Causa C254/21

39      DG, che afferma di essere cittadino afgano, ha presentato, in Svezia, una domanda di protezione internazionale, che è stata definitivamente respinta.

40      Nel frattempo, DG si è trasferito in Italia, dove ha presentato una seconda domanda di protezione internazionale. La Repubblica italiana, dopo una verifica nella banca dati Eurodac, si è rivolta al Regno di Svezia ai fini di ripresa in carico ai sensi dell’articolo 18, lettera d), del regolamento Dublino III, ripresa in carico che quest’ultimo Stato membro ha accettato, il che ha portato all’adozione, da parte della Repubblica italiana, di una decisione di trasferimento.

41      DG ha contestato tale decisione di trasferimento dinanzi al Tribunale di Roma (Italia), giudice del rinvio nella causa C‑254/21, per violazione dell’articolo 4 della Carta e dell’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento Dublino III.

42      Secondo DG, il Regno di Svezia ha respinto la sua domanda di protezione internazionale senza valutare la situazione generale di violenza indiscriminata esistente in Afghanistan. La decisione di trasferimento della Repubblica italiana violerebbe l’articolo 4 della Carta a motivo del rischio di «refoulement indiretto» al quale tale decisione esporrebbe DG, nel senso che essa potrebbe portare il Regno di Svezia a respingerlo verso l’Afghanistan, paese terzo in cui sarebbe esposto a un rischio di trattamenti inumani e degradanti. Di conseguenza, DG chiede al giudice del rinvio di dichiarare la Repubblica italiana competente per l’esame della sua domanda di protezione internazionale, in applicazione dell’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento Dublino III.

43      Il Ministero dell’Interno contesta la fondatezza di tale domanda. La domanda di protezione internazionale potrebbe essere esaminata da un solo Stato membro, nella specie, il Regno di Svezia. L’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento Dublino III avrebbe una portata circoscritta ai casi di ricongiungimento familiare o giustificati da particolari ragioni umanitarie e caritatevoli.

44      In tale contesto il Tribunale di Roma ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      se il diritto ad un ricorso effettivo ai sensi dell’articolo 47 della [Carta] impone di ritenere che gli articoli 4 e 19 della stessa Carta, nelle circostanze di cui alla causa principale, offrano protezione anche contro il rischio di refoulement indiretto a seguito di un trasferimento verso uno Stato membro dell’Unione che non ha carenze sistemiche ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, del [regolamento Dublino III] (in assenza di altri Stati membri competenti sulla base dei criteri di cui al Capo III e IV) che ha già esaminato e respinto la prima domanda di protezione internazionale;

2)      se il giudice del Paese membro dove è stata presentata la seconda domanda di protezione internazionale, investito di un ricorso ai sensi dell’articolo 27 del [regolamento Dublino III] – e quindi competente a valutare il trasferimento all’interno dell’Unione ma non a decidere la domanda di protezione – debba valutare come esistente il rischio di refoulement indiretto verso un paese terzo, allorquando il Paese membro dove è stata presentata la prima domanda di protezione internazionale abbia diversamente valutato la nozione di “protezione all’interno del paese d’origine” ai sensi dell’articolo 8 della [direttiva 2011/95];

3)      se la valutazione del [rischio di] refoulement indiretto, a seguito della diversa interpretazione del bisogno di “protezione all’interno del paese di origine” tra due Stati membri, sia compatibile con l’articolo 3, paragrafo 1, (...) del [regolamento Dublino III] e con il generale divieto per i cittadini di un paese terzo di decidere il Paese dell’Unione dove presentare la domanda di protezione internazionale;

4)      in caso di risposta affermativa ai precedenti quesiti:

a)      se la valutazione dell’esistenza del [rischio di] refoulement indiretto, operata dall’autorità giurisdizionale dello Stato dove il richiedente ha presentato la seconda domanda di protezione internazionale a seguito del rigetto della prima domanda, obblighi all’applicazione della clausola di cui all’articolo 17, paragrafo 1, definita dal regolamento “clausola discrezionale”;

b)      quali siano i criteri che il giudice adito [ai sensi dell’]articolo 27 del regolamento debba utilizzare, per poter valutare il rischio di refoulement indiretto, oltre quelli individuati al capo III e IV, tenuto conto che tale rischio è stato già escluso dal Paese che ha esaminato la prima domanda di protezione internazionale».

 Causa C297/21

45      XXX.XX, che afferma di essere cittadino afgano, ha presentato, in Germania, una domanda di protezione internazionale, che è stata definitivamente respinta e seguita da ordine di espulsione definitivo.

46      Nel frattempo, XXX.XX si è trasferito in Italia dove ha presentato una seconda domanda di protezione internazionale. La Repubblica italiana, dopo una verifica nella banca dati Eurodac, si è rivolta alla Repubblica federale di Germania ai fini di ripresa in carico ai sensi dell’articolo 18, lettera d), del regolamento Dublino III, ripresa in carico che quest’ultimo Stato membro ha accettato, il che ha portato all’adozione, da parte della Repubblica italiana, di una decisione di trasferimento.

47      XXX.XX ha contestato tale decisione di trasferimento dinanzi al Tribunale di Firenze (Italia), giudice del rinvio nella causa C‑297/21, per violazione dell’articolo 4 della Carta nonché dell’articolo 3, paragrafo 2, e dell’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento Dublino III.

48      Secondo XXX.XX, la Repubblica italiana ha respinto la sua domanda senza valutare la situazione generale di violenza indiscriminata esistente in Afghanistan. La decisione di trasferimento in parola violerebbe l’articolo 4 della Carta a motivo del rischio di «refoulement indiretto» al quale tale decisione esporrebbe XXX.XX, nel senso che essa potrebbe portare la Repubblica federale di Germania a respingerlo verso l’Afghanistan. Di conseguenza, XXX.XX chiede al giudice del rinvio di annullare la decisione di trasferimento emessa nei suoi confronti e di applicare in suo favore l’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento Dublino III.

49      Il Ministero dell’Interno contesta la fondatezza di tale domanda. La domanda di protezione internazionale potrebbe essere esaminata da un solo Stato membro, nella specie, la Repubblica federale di Germania. Il procedimento avviato con un ricorso avverso una decisione di trasferimento adottata ai sensi dell’articolo 18 del regolamento Dublino III non avrebbe ad oggetto una nuova valutazione del rischio connesso a un eventuale «refoulement» verso il paese d’origine, ma la valutazione della legittimità della decisione di trasferimento verso la Germania, fermo restando che tale Stato membro è tenuto al rispetto del divieto assoluto di respingere XXX.XX verso un paese terzo ove potrebbe essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti.

50      In tale contesto, il Tribunale di Firenze ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      In via principale, se l’articolo 17, paragrafo 1 del [regolamento Dublino III] debba essere interpretato, in ossequio agli articoli 19 e 47 della [Carta] e 27 [del regolamento Dublino III] nel senso che al giudice dello Stato membro, investito dell’impugnazione del provvedimento dell’Unità Dublino, sia consentito affermare la competenza dello Stato nazionale che dovrebbe eseguire il trasferimento in base all’articolo 18, paragrafo 1, lettera d), qualora accerti la sussistenza, nello Stato membro competente, del rischio di violazione del principio di non refoulement per respingimento del richiedente verso il proprio paese di origine, dove il richiedente sarebbe esposto a pericolo di morte o di trattamenti inumani e degradanti.

2)      In via subordinata, se l’articolo 3, paragrafo 2 del [regolamento Dublino III] debba essere interpretato in ossequio agli articoli 19 e 47 della [Carta] e 27 [del regolamento Dublino III], nel senso che sia consentito al giudice di affermare la competenza dello Stato tenuto ad eseguire il trasferimento ai sensi della lettera d) dell’articolo 18, paragrafo 1 del medesimo regolamento, qualora risulti accertata:

a)      la sussistenza nello Stato membro competente del rischio di violazione del principio di non refoulement per respingimento del richiedente verso il proprio paese di origine, dove sarebbe esposto a pericolo di morte o di subire trattamenti inumani o degradanti;

b)      l’impossibilità di eseguire il trasferimento verso altro Stato designato [in] base ai criteri di cui al capo III del [regolamento Dublino III]».

 Causa C315/21

51      PP, nato in Pakistan, ha presentato una domanda di protezione internazionale in Germania.

52      PP si è trasferito in Italia dove ha presentato una seconda domanda di protezione internazionale. La Repubblica italiana, dopo una verifica nella banca dati Eurodac, si è rivolta alla Repubblica federale di Germania ai fini di ripresa in carico ai sensi dell’articolo 18, lettera b), del regolamento Dublino III, ripresa in carico che quest’ultimo Stato membro ha accettato ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 1, lettera d), del medesimo regolamento, il che ha portato all’adozione, da parte della Repubblica italiana, di una decisione di trasferimento.

53      PP ha chiesto l’annullamento di tale decisione di trasferimento dinanzi al Tribunale di Milano (Italia), giudice del rinvio nella causa C‑315/21, da un lato, per violazione del suo diritto di informazione, stabilito all’articolo 4 del regolamento Dublino III, e, dall’altro, per il motivo che tale decisione lo sottopone illegittimamente al rischio di un «refoulement indiretto» da parte della Repubblica federale di Germania verso il Pakistan.

54      Il Ministero dell’Interno contesta la fondatezza di tali rivendicazioni. Da un lato, esso avrebbe fornito la prova dello svolgimento del colloquio personale di cui all’articolo 5 del regolamento Dublino III; dall’altro, dalla giurisprudenza della Corte suprema di cassazione emergerebbe che il giudice del rinvio in tale causa non potrebbe rilevare violazioni formali del regolamento Dublino III, né potrebbe entrare nel merito della situazione di PP, nella misura in cui tale valutazione spetterebbe allo Stato membro già ritenuto competente, ossia la Repubblica federale di Germania. Inoltre, la violazione dell’articolo 4 del regolamento Dublino III sarebbe insufficiente per invalidare la decisione di trasferimento nei confronti di PP, in assenza di una concreta lesione dei diritti di quest’ultimo.

55      Per quanto riguarda il rischio di «refoulement indiretto», il Ministero dell’Interno afferma che si deve considerare che l’articolo 18, paragrafo 2, ultimo comma, del regolamento Dublino III – in forza del quale lo Stato membro competente deve assicurare che l’interessato abbia o abbia avuto la possibilità di ricorrere a un mezzo di impugnazione efficace – sia rispettato in tutti gli Stati membri, nella misura in cui tale obbligo risulta da un regolamento dell’Unione, direttamente applicabile. Allo stesso modo, sarebbe garantito anche il generale principio di non-refoulement sancito dalla Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [Recueil des traités des Nations unies, vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954)], entrata in vigore il 22 aprile 1954, e ratificata da tutti gli Stati membri. Tenuto conto della fiducia reciproca cui devono essere improntate le relazioni tra Stati membri, gli organi giurisdizionali di uno Stato membro non potrebbero quindi verificare se la possibilità di ricorrere avverso il rigetto di una domanda di protezione internazionale sia garantita in un altro Stato membro, designato quale Stato membro competente.

56      In tale contesto, il Tribunale di Milano ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      se gli articoli 4 e 5 del [regolamento Dublino III] debbano essere interpretati nel senso che la loro violazione comporti di per sé l’illegittimità del provvedimento impugnato ai sensi dell’articolo 27 [del regolamento Dublino III], a prescindere dalle concrete conseguenze della suddetta violazione sul contenuto del provvedimento e sulla individuazione dello Stato membro competente;

2)      se l’articolo 27 [del regolamento Dublino III] letto in combinato disposto con l’articolo 18, paragrafo 1, lettera a) ovvero con gli articoli 18, paragrafo [1], lettere b), c), d) e con l’articolo 20, paragrafo 5, [del regolamento Dublino III], debba essere interpretato nel senso di individuare oggetti di impugnazione diversi tra loro, differenti doglianze da far valere in sede di ricorso giurisdizionale e differenti profili di violazioni di obblighi informativi e di colloquio personale ai sensi degli articoli 4 e 5 del [regolamento Dublino III].

3)      In caso di risposta affermativa al punto 2): se gli articoli 4 e 5 del [regolamento Dublino III] debbano essere interpretati nel senso che le garanzie informative ivi previste spettano solo nell’ipotesi prevista dall’articolo 18, paragrafo 1, lettera a) e non anche nella procedura di ripresa in carico, ovvero debbano essere interpretati nel senso che in quest’ultima procedura spettino quantomeno obblighi informativi in relazione alla cessazione della competenza di cui all’articolo 19 o alle carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti che implichino il rischio di trattamenti inumani e degradanti ai sensi dell’articolo 4 della [Carta] di cui all’articolo 3 paragrafo 2, del [regolamento Dublino III].

4)      Se l’articolo 3, paragrafo 2, debba essere interpretato nel senso che rientrano tra le “carenze sistemiche nella procedura di asilo” anche le eventuali conseguenze delle decisioni di rigetto della domanda di protezione internazionale già definitive adottate dal giudice dello Stato Membro che effettua la ripresa in carico, qualora il giudice adito ai sensi dell’articolo 27 del [regolamento Dublino III] ritenga concreto il rischio per il ricorrente di subire un trattamento inumano e degradante in caso di rimpatrio nel paese di origine da parte dello Stato membro, anche in considerazione della ritenuta sussistenza di un conflitto armato generalizzato ai sensi dell’articolo 15 lettera c) [della direttiva 2011/95]».

 Causa C328/21

57      GE, originario dell’Iraq, ha presentato una domanda di protezione internazionale in Finlandia.

58      GE si è poi trasferito in Italia dove è stato segnalato per soggiorno irregolare. La Repubblica italiana, dopo una verifica nella banca dati Eurodac, si è rivolta alla Repubblica di Finlandia ai fini di ripresa in carico ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 1), lettera b), del regolamento Dublino III, ripresa in carico che quest’ultimo Stato membro ha accettato ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 1, lettera d), del medesimo regolamento, il che ha portato all’adozione, da parte della Repubblica italiana, di una decisione di trasferimento.

59      GE contesta tale decisione di trasferimento dinanzi al Tribunale di Trieste (Italia), giudice del rinvio nella causa C‑328/21. A sostegno del ricorso, afferma che detta decisione di trasferimento viola l’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento Dublino III, il principio di non‑refoulement, l’articolo 17, del regolamento Eurodac, l’articolo 20 del regolamento Dublino III nonché gli obblighi di informazione previsti dall’articolo 29 del regolamento Eurodac e dall’articolo 4 del regolamento Dublino III.

60      Il Ministero dell’Interno contesta la fondatezza di tali rivendicazioni.

61      In tali circostanze, il Tribunale di Trieste (Italia) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      [Si] chiede (...) di chiarire quali siano le conseguenze giuridiche imposte dal diritto dell’Unione europea in ordine ai provvedimenti di trasferimento per ripresa in carico di cui al capo VI, sezione III, [del regolamento Dublino III], qualora lo Stato abbia omesso di fornire le informazioni previste dall’articolo 4 [del regolamento Dublino III] e dall’articolo 29 [del regolamento Eurodac].

2)      In particolare, nel caso in cui sia stato attivato un rimedio pieno ed effettivo avverso la decisione di trasferimento, si chiede alla Corte di giustizia dell’Unione europea:

a)      Se l’articolo 27 del [regolamento Dublino III] debba essere interpretato:

–        nel senso che l’omessa consegna dell’opuscolo informativo previsto dall’articolo 4, paragrafi 2 e 3 [del regolamento Dublino III] ad una persona che versi nelle condizioni descritte dall’articolo 23 paragrafo 1 [del regolamento Dublino III] determina di per sé l’insanabile nullità del provvedimento di trasferimento (ed eventualmente anche la competenza a conoscere della domanda di protezione internazionale da parte dello Stato membro al quale la persona ha proposto la nuova domanda);

–        oppure nel senso che è onere del ricorrente dimostrare in giudizio che, se gli fosse stato consegnato l’opuscolo, il procedimento avrebbe avuto un esito diverso;

b)      Se l’articolo 27 del [regolamento Dublino III] deve essere interpretato:

–        nel senso che l’omessa consegna dell’opuscolo informativo previsto all’articolo 29 [del regolamento Eurodac] ad una persona che versi nelle condizioni descritte dall’articolo 24, paragrafo 1, [del regolamento Dublino III], determina di per sé l’insanabile nullità del provvedimento di trasferimento (ed eventualmente anche la conseguente necessaria offerta della possibilità di presentare una nuova domanda di protezione internazionale);

–        oppure nel senso che è onere del ricorrente dimostrare in giudizio che, se gli fosse stato consegnato l’opuscolo, il procedimento avrebbe avuto un esito diverso».

 Procedimento dinanzi alla Corte

62      I giudici del rinvio nelle cause C‑254/21, C‑297/21, C‑315/21 e C‑328/21 hanno chiesto l’applicazione del procedimento accelerato o del trattamento in via prioritaria previsti, rispettivamente, dall’articolo 105 e dall’articolo 53, paragrafo 3, del regolamento di procedura della Corte.

63      A sostegno di tali domande, detti giudici adducono in sostanza, l’intenzione di rimuovere la situazione d’incertezza in cui versano gli interessati, la necessità che discende tanto dal diritto dell’Unione quanto dal diritto nazionale che le decisioni di cui al procedimento principale siano adottate celermente, in particolare tenuto conto del numero rilevante di procedimenti pendenti vertenti su questioni analoghe, nonché l’urgenza che vi sarebbe nel porre fine alle divergenze che caratterizzano la giurisprudenza nazionale in materia.

64      Con decisioni del presidente della Corte del 14 giugno e del 6 luglio 2021, detti giudici sono stati informati del rigetto delle domande di procedimento accelerato. Tali decisioni si basano, in sostanza, sui seguenti motivi. Da un lato, l’efficacia delle decisioni di trasferimento di cui trattasi in dette cause è stata sospesa in attesa della risposta della Corte. Dall’altro lato, gli argomenti invocati da detti giudici non erano tali da dimostrare la necessità di statuire mediante procedimento accelerato ai sensi dell’articolo 105 del regolamento di procedura.

65      Al riguardo, occorre rammentare che, secondo una costante giurisprudenza, non sono sufficienti, in quanto tali, a giustificare il ricorso al procedimento accelerato, né il mero interesse dei singoli, per quanto importante e legittimo, a che sia determinata il più rapidamente possibile la portata dei diritti ad essi conferiti dal diritto dell’Unione, né il numero rilevante di persone o di situazioni giuridiche potenzialmente interessate dalla decisione che un giudice nazionale deve adottare dopo aver adito la Corte in via pregiudiziale (ordinanza del presidente della Corte del 22 novembre 2018, Globalcaja, C‑617/18, EU:C:2018:953, punti 13 e 14 nonché giurisprudenza ivi citata), né l’argomento relativo al fatto che ogni domanda di pronuncia pregiudiziale vertente sul regolamento Dublino III richiederebbe una risposta fornita celermente (ordinanza del presidente della Corte del 20 dicembre 2017, M.A. e a., C‑661/17, EU:C:2017:1024, punto 17 e giurisprudenza ivi citata), né la circostanza che la domanda di pronuncia pregiudiziale sia stata presentata nell’ambito di un procedimento avente, nell’ordinamento nazionale, carattere urgente o che il giudice nazionale sia tenuto a fare tutto il possibile per garantire una rapida definizione del procedimento principale (ordinanza del presidente della Corte del 25 gennaio 2017, Hassan, C‑647/16, EU:C:2017:67, punto 12 e giurisprudenza ivi citata), né, infine, la necessità di uniformare la giurisprudenza nazionale divergente (ordinanza del presidente della Corte del 30 aprile 2018, Oro Efectivo, C‑185/18, EU:C:2018:298, punto 17).

66      Per quanto riguarda le domande di trattamento in via prioritaria, i giudici del rinvio nelle cause C‑315/21 e C‑328/21 sono stati informati che non vi era luogo di disporre un tale trattamento ai sensi dell’articolo 53, paragrafo 3, del regolamento di procedura, restando inteso che tale decisione del presidente della Corte non costituisce un rigetto delle loro domande, in quanto il regolamento di procedura non prevede la possibilità, per il giudice nazionale, di chiedere il trattamento in via prioritaria di una domanda di pronuncia pregiudiziale sul fondamento di tale disposizione.

67      Con decisione del 6 luglio 2021, le cause C‑228/21, C‑254/21, C‑297/21, C‑315/21 e C‑328/21 sono state riunite ai fini della fase scritta e della fase orale del procedimento, nonché della sentenza.

 Sulle questioni pregiudiziali

68      Le domande di pronuncia pregiudiziale sono state presentate nell’ambito di controversie relative alla legittimità di decisioni di trasferimento emesse, in forza delle disposizioni nazionali che attuano l’articolo 26, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, dal Ministero dell’Interno.

69      In tutte le cause di cui ai procedimenti principali, le decisioni di trasferimento sono state adottate nei confronti degli interessati non al fine della loro presa in carico da parte dello Stato membro richiesto, in forza dell’articolo 18, paragrafo 1, lettera a), del regolamento Dublino III, ma della loro ripresa in carico da parte di tale Stato membro, in forza dell’articolo 18, paragrafo 1, lettere b) o d), di detto regolamento, a seconda dei casi.

70      Nelle cause di cui al procedimento principale vengono sollevate, a seconda dei casi, l’una, l’altra o entrambe le seguenti problematiche.

71      La prima problematica, di cui trattasi nelle cause C‑228/21, C‑315/21 e C‑328/21, riguarda il diritto di informazione, di cui all’articolo 4 del regolamento Dublino III e all’articolo 29 del regolamento Eurodac, nonché lo svolgimento del colloquio personale, previsto dall’articolo 5 del regolamento Dublino III. Più precisamente, essa riguarda le conseguenze che si devono trarre, per la legittimità della decisione di trasferimento, dalla mancata consegna dell’opuscolo comune menzionato dall’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento Dublino III e dall’articolo 29, paragrafo 3, del regolamento Eurodac, nonché dal mancato svolgimento del colloquio personale previsto dall’articolo 5 del regolamento Dublino III.

72      La seconda problematica, di cui trattasi nelle cause C‑254/21, C‑297/21 e C‑315/21, riguarda la presa in considerazione, da parte del giudice incaricato dell’esame della legittimità della decisione di trasferimento, del rischio di «refoulement indiretto» dell’interessato e, di conseguenza, di violazione del principio di non-refoulement da parte dello Stato membro competente.

 Sulle questioni nelle cause C228/21 e C328/21 nonché sulle due prime questioni nella causa C315/21

73      Con tali questioni, che occorre esaminare congiuntamente, i giudici del rinvio nelle cause C‑228/21, C‑315/21 e C‑328/21 chiedono, in sostanza, se il regolamento Dublino III, in particolare gli articoli 4, 5 e 27 nonché il regolamento Eurodac, segnatamente l’articolo 29, debbano essere interpretati nel senso che la mancata consegna dell’opuscolo comune e/o il mancato svolgimento del colloquio personale previsti da tali disposizioni implicano la nullità della decisione di trasferimento adottata nell’ambito di una procedura di ripresa in carico di una persona di cui all’articolo 23, paragrafo 1, o all’articolo 24, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, indipendentemente dalle conseguenze concrete della violazione di cui sopra sul contenuto di tale decisione di trasferimento e sulla determinazione dello Stato membro competente.

74      È in tale contesto che occorre esaminare la portata, rispettivamente, del diritto di informazione e del diritto al colloquio personale e, successivamente, le conseguenze connesse alla violazione di tali diritti.

 Sul diritto di informazione (articolo 4 del regolamento Dublino III e articolo 29 del regolamento Eurodac)

75      Occorre, innanzitutto, rilevare che le cause di cui al procedimento principale riguardano decisioni di trasferimento adottate non nell’ambito di procedure di presa in carico in forza dell’articolo 21 del regolamento Dublino III, bensì procedure di ripresa in carico di persone menzionate agli articoli 23 e 24 di tale regolamento. In particolare, nella causa C‑228/21, tale ripresa in carico riguarda una persona che ha presentato in precedenza una domanda di protezione internazionale in un altro Stato membro in cui essa è in corso d’esame, il che costituisce la situazione di cui all’articolo 18, paragrafo 1, lettera b), di tale regolamento. Inoltre, nelle cause C‑315/21 e C‑328/21, la ripresa in carico riguarda persone che hanno, ognuna, presentato in precedenza una domanda di protezione internazionale in un altro Stato membro in cui essa è stata respinta, il che corrisponde alla situazione di cui all’articolo 18, paragrafo 1, lettera d), di detto regolamento.

76      Inoltre, nelle cause C‑228/21 e C‑315/21, le persone interessate hanno ciascuna presentato una domanda di asilo successiva in Italia, mentre nella causa C‑328/21, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale emerge che GE non ha presentato una domanda di protezione internazionale in Italia, ma vi si trovava in situazione irregolare. Emerge, tuttavia, dal fascicolo di cui dispone la Corte in tale causa che GE sostiene di non essere stato trattato come tale solo in quanto il Ministero dell’Interno non ha debitamente preso in considerazione la sua domanda di protezione internazionale, circostanza che spetterà al giudice del rinvio verificare.

77      È in questo contesto di domande di protezione internazionale successive (cause C‑228/21 e C‑315/21) e, previa verifica da parte del giudice del rinvio, di un soggiorno irregolare successivo a una domanda di protezione internazionale presentata in un altro Stato membro (causa C‑328/21) che viene posta alla Corte la questione di stabilire se e in che misura l’obbligo di informazione previsto dall’articolo 4 del regolamento Dublino III e quello previsto dall’articolo 29, paragrafo 1, del regolamento Eurodac si impongano allo Stato membro.

78      Ai fini dell’interpretazione di una norma di diritto dell’Unione, si deve tener conto non soltanto della lettera della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (v., in tal senso, sentenza del 7 novembre 2019, UNESA e a., da C‑105/18 a C‑113/18, EU:C:2019:935, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).

79      Per quanto riguarda, innanzitutto, la formulazione delle disposizioni di cui trattasi e, in primo luogo, di quella dell’articolo 4 del regolamento Dublino III, occorre rilevare, da un lato, che, ai sensi del paragrafo 2 di tale articolo 4, «[l]e informazioni di cui al paragrafo 1 sono fornite (…) per iscritto» e «[g]li Stati membri si avvalgono dell’opuscolo comune redatto conformemente al paragrafo 3». Dall’altro, né il paragrafo 1 di detto articolo 4, né il rinvio, in esso contenuto, all’articolo 20, paragrafo 2, del medesimo regolamento operano una distinzione a seconda che la domanda di protezione internazionale a cui fanno riferimento sia una prima domanda o una domanda successiva. In particolare, quest’ultima disposizione, descrive in generale il momento in cui si ritiene che una domanda di protezione internazionale sia stata presentata. Essa non può quindi essere intesa come riferita unicamente a una prima domanda. Del resto, e come indicato dall’avvocato generale al paragrafo 75 delle sue conclusioni, tale interpretazione si deduce altresì dall’articolo 23, paragrafo 2, secondo comma, ultima frase, del regolamento Dublino III, che rinvia all’articolo 20, paragrafo 2, del medesimo regolamento per quanto attiene a una domanda di protezione internazionale successiva a una prima domanda.

80      Da quanto precede discende che, in base ad un’interpretazione letterale, l’articolo 4 del regolamento Dublino III richiede la consegna dell’opuscolo comune non appena sia presentata una domanda di protezione internazionale, indipendentemente dal fatto che si tratti, o meno, di una prima domanda.

81      Quanto, in secondo luogo, all’articolo 29 del regolamento Eurodac, oggetto della seconda questione, lettera b), nella causa C‑328/21, occorre rilevare, innanzitutto, che il paragrafo 1, lettera b), di tale articolo dispone che «[l]o Stato membro d’origine provvede a informare la persona di cui a[ll]’articol[o] (...) 17, paragrafo 1», ossia ogni cittadino di paese terzo o apolide soggiornante irregolarmente nel territorio di uno Stato membro, «per iscritto (...) dello scopo per cui i suoi dati saranno trattati nell’Eurodac, compresa una descrizione delle finalità del [regolamento Dublino III], conformemente all’articolo 4 dello stesso (...)».

82      Inoltre, l’articolo 29, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento Eurodac, precisa che, «[p]er quanto riguarda la persona di cui all’articolo 17, paragrafo 1, le informazioni di cui al paragrafo 1 del presente articolo sono fornite al più tardi quando i dati che la concernono sono trasmessi al sistema centrale. (...)».

83      Infine, l’articolo 29, paragrafo 3, del regolamento Eurodac prevede che «[è] redatto un opuscolo comune contenente quanto meno le informazioni di cui al paragrafo 1 del presente articolo e all’articolo 4, paragrafo 1, del [regolamento Dublino III], secondo la procedura di cui all’articolo 44, paragrafo 2, di detto regolamento».

84      Ne consegue che, in base ad un’interpretazione letterale, l’articolo 29 del regolamento Eurodac esige che venga consegnato l’opuscolo comune a ogni cittadino di paese terzo o apolide soggiornante irregolarmente nel territorio di uno Stato membro e le cui impronte digitali sono acquisite e trasmesse al sistema centrale, tale consegna dovendo avvenire al più tardi al momento di detta trasmissione, indipendentemente dalla questione se tale persona abbia, o meno, presentato in precedenza una domanda di protezione internazionale in un altro Stato membro.

85      Tali interpretazioni letterali dell’articolo 4 del regolamento Dublino III e dell’articolo 29 del regolamento Eurodac sono poi corroborate dal contesto normativo in cui si inseriscono dette disposizioni.

86      Per quanto attiene, in primo luogo, all’articolo 4 del regolamento Dublino III, esso è contenuto nel capo II, intitolato «Principi generali e garanzie». Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 76 delle sue conclusioni, le disposizioni di tale capo sono destinate ad applicarsi all’insieme delle situazioni rientranti nell’ambito di applicazione del regolamento Dublino III e, di conseguenza, non soltanto a una situazione particolare, quale la presentazione per la prima volta di una domanda di protezione internazionale.

87      Emerge, inoltre, dall’articolo 16 bis, paragrafo 1, del regolamento n. 1560/2003 che l’opuscolo comune contenuto nell’allegato X a tale regolamento è volto a informare «tutti» i richiedenti protezione internazionale in merito alle disposizioni del regolamento Dublino III e sul regolamento Eurodac. Tale allegato X è suddiviso in due parti, ossia la parte A e la parte B. La parte A di tale allegato contiene un modello dell’opuscolo comune destinato a ogni richiedente protezione internazionale, indipendentemente dalla sua situazione. La parte B di detto allegato contiene un modello dell’opuscolo comune destinato, inoltre, a essere consegnato all’interessato in tutti i casi in cui lo Stato membro ritenga che un altro Stato membro potrebbe essere competente per l’esame della domanda d’asilo, ivi compreso – tenuto conto della genericità dei termini contenuti nel riquadro e nella nota a piè pagina ad esso relativa che figurano in tale parte A, menzionati al punto 32 della presente sentenza – quello nel quale sia in occasione della presentazione di una domanda di protezione internazionale successiva che lo Stato membro a cui essa è rivolta ritenga che un altro Stato membro potrebbe essere competente per l’esame di tale domanda.

88      Per quanto attiene, in secondo luogo, all’articolo 29 del regolamento Eurodac, occorre tener conto del fatto che l’articolo 1 di tale regolamento dispone che il sistema Eurodac ha lo scopo di «concorrere alla determinazione dello Stato membro competente, ai sensi del regolamento [Dublino III], per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno Stato membro da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, e di facilitare inoltre l’applicazione del regolamento [Dublino III] secondo le condizioni stabilite dal presente regolamento».

89      Al riguardo, l’allegato XIII al regolamento n. 1560/2003, intitolato «Informazioni per cittadini di paesi terzi e apolidi soggiornanti irregolarmente in uno Stato membro, a norma dell’articolo 29, paragrafo 3, del regolamento [Eurodac]», ha lo scopo di informare l’interessato del fatto che le autorità competenti dello Stato membro in cui egli soggiorna irregolarmente possono rilevare le sue impronte digitali, in base alla facoltà che è loro conferita dall’articolo 17 del regolamento Eurodac e che spetta loro esercitare quando ritengono necessario verificare se tale persona abbia presentato in precedenza una domanda di protezione internazionale in un altro Stato membro. Tale allegato XIII contiene un riquadro e una nota a piè pagina ad esso relativa, riportati al punto 34 della presente sentenza, in cui viene precisato, all’attenzione della persona in situazione di soggiorno irregolare, che, se le autorità competenti ritengono che tale persona possa aver chiesto protezione internazionale in un altro Stato membro, che potrebbe essere competente per il suo esame, detta persona riceverà informazioni più dettagliate sulla procedura da seguire e sulle sue conseguenze su di essa e per i suoi diritti, informazioni che figurano nella parte B dell’allegato X al regolamento n. 1560/2003.

90      Tale contesto normativo conferma che un cittadino di un paese terzo o un apolide soggiornante irregolarmente nel territorio di uno Stato membro e le cui impronte digitali sono acquisite e trasmesse al sistema centrale da parte dell’autorità competente di tale Stato membro, in esecuzione dell’articolo 17 del regolamento Eurodac, al fine di verificare l’esistenza di un’eventuale domanda di protezione internazionale già presentata in un altro Stato membro, deve ottenere la consegna, da parte delle autorità nazionali competenti, dell’opuscolo comune. Occorre aggiungere che tale consegna deve riguardare tanto la parte B dell’allegato X al regolamento n. 1560/2003, relativa alla situazione in cui le autorità competenti hanno ragione di ritenere che un altro Stato membro potrebbe essere competente per l’esame della domanda di protezione internazionale, quanto la parte A di tale allegato, nella quale si concentra la sostanza delle informazioni relative a Eurodac, come rispecchiato peraltro dalla nota a piè pagina contenuta nella parte B di tale allegato, menzionata al punto 33 della presente sentenza.

91      Infine, per quanto riguarda la finalità dell’obbligo di informazione, il governo italiano e la Commissione sostengono, nelle loro osservazioni, basandosi sulla sentenza del 2 aprile 2019 H. e R. (C‑582/17 e C‑583/17, EU:C:2019:280), che tale obbligo si inserisce nel contesto della determinazione dello Stato membro competente.

92      Secondo tali interessati, nel caso di procedure di ripresa in carico a titolo degli articoli 23 o 24 del regolamento Dublino III, procedure che sono applicabili alle persone di cui all’articolo 20, paragrafo 5, o all’articolo 18, paragrafo 1, lettere b), c) o d), di tale regolamento, l’operazione di determinazione dello Stato membro competente è, nelle ipotesi di cui a quest’ultima disposizione, già conclusa in uno Stato membro o, nell’ipotesi di cui a tale articolo 20, paragrafo 5, interrotta o ancora in corso, in uno Stato membro tenuto a portarla a termine. Non spetterebbe quindi allo Stato membro richiedente, nell’ambito della procedura di ripresa in carico, procedere a una determinazione – ossia quella dello Stato membro competente – che incomberebbe, a prescindere dal fatto che sia conclusa o meno, a un altro Stato membro.

93      Di conseguenza, il governo italiano e la Commissione ritengono che la consegna dell’opuscolo comune, in esecuzione degli obblighi di informazione previsti dall’articolo 4 del regolamento Dublino III e dall’articolo 29 del regolamento Eurodac, non perseguirebbe un fine utile nel contesto di una procedura di ripresa in carico, per quanto concerne, perlomeno, la questione della determinazione dello Stato membro competente.

94      Al riguardo, occorre, tuttavia, rilevare che la questione della determinazione dello Stato membro competente non è necessariamente definitivamente chiusa nella fase della procedura di ripresa in carico.

95      Vero è che la Corte ha giudicato, in sostanza, ai punti da 67 a 80 della sentenza del 2 aprile 2019, H. e R. (C‑582/17 e C‑583/17, EU:C:2019:280), che, qualora sia già stata accertata la competenza per l’esame della domanda di protezione internazionale, non occorre procedere ad una nuova applicazione delle norme che disciplinano la procedura di determinazione di tale competenza, tra le quali figurano in particolare i criteri stabiliti al capo III del regolamento Dublino III.

96      Tuttavia, il fatto di non dover procedere a una siffatta nuova determinazione dello Stato membro competente non significa che, come altresì rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale al paragrafo 81 delle sue conclusioni, lo Stato membro che intende presentare o che ha presentato una richiesta di ripresa in carico possa ignorare elementi informativi che un richiedente gli comunicherebbe e che sarebbero tali da ostacolare una siffatta domanda di ripresa in carico nonché il successivo trasferimento di tale persona verso lo Stato membro richiesto.

97      Infatti, possono condurre alla modifica della determinazione dello Stato membro competente elementi di prova relativi a una cessazione delle competenze dello Stato membro richiesto in forza delle disposizioni dell’articolo 19 del regolamento Dublino III (v., in tal senso, sentenza del 7 giugno 2016, Karim, C‑155/15, EU:C:2016:410, punto 27), al mancato rispetto del termine di presentazione della domanda di ripresa in carico di cui all’articolo 23, paragrafo 3, di tale regolamento (v., per analogia, sentenza del 26 luglio 2017, Mengesteab, C‑670/16, EU:C:2017:587, punto 55), al mancato rispetto da parte dello Stato membro richiedente del termine di trasferimento di cui all’articolo 29, paragrafo 2, di detto regolamento (v., in tal senso, sentenza del 25 ottobre 2017, Shiri, C‑201/16, EU:C:2017:805, punto 46), all’esistenza di carenze sistemiche nello Stato membro richiesto, di cui all’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del medesimo regolamento (v., in tal senso, sentenza del 19 marzo 2019, Jawo, C‑163/17, EU:C:2019:218, punti 85 e 86), o ancora all’esistenza, tenuto conto dello stato di salute dell’interessato, di un rischio reale e acclarato di trattamenti inumani o degradanti in caso di trasferimento nello Stato membro richiesto (v., in tal senso, sentenza del 16 febbraio 2017, C.K. e a., C‑578/16 PPU, EU:C:2017:127, punto 96).

98      Inoltre, la Corte ha giudicato che, in virtù del principio di leale cooperazione, uno Stato membro non può validamente formulare una richiesta di ripresa in carico, in una situazione rientrante nell’articolo 20, paragrafo 5, del regolamento Dublino III, qualora l’interessato gli abbia trasmesso elementi che dimostrino in modo manifesto che tale Stato membro deve essere considerato lo Stato membro competente per l’esame della domanda di protezione internazionale, in applicazione dei criteri di competenza enunciati agli articoli da 8 a 10 di detto regolamento. In una tale situazione, detto Stato membro deve, al contrario, riconoscere la propria competenza (sentenza del 2 aprile 2019, H. e R., C‑582/17 e C‑583/17, EU:C:2019:280, punto 83).

99      Infine, l’articolo 7, paragrafo 3, del regolamento Dublino III prevede espressamente che «[a]i fini dell’applicazione dei criteri di cui agli articoli 8, 10 e 16, gli Stati membri tengono conto di qualsiasi elemento di prova disponibile per quanto riguarda la presenza nel territorio di uno Stato membro, di familiari, parenti o persone legate al richiedente da altri vincoli di parentela, a condizione che tali prove siano prodotte prima che un altro Stato membro accolga la richiesta di presa o ripresa in carico dell’interessato ai sensi, rispettivamente, degli articoli 22 e 25, e che le precedenti domande di protezione internazionale del richiedente non siano state ancora oggetto di una prima decisione sul merito».

100    Dai punti da 96 a 99 della presente sentenza discende che, contrariamente a quanto sostenuto dal governo italiano e dalla Commissione, l’interessato può far valere un certo numero di considerazioni che possono, nelle situazioni di cui all’articolo 18, paragrafo 1, lettere b), c) o d) del regolamento Dublino III, modificare la determinazione dello Stato membro competente avvenuta in precedenza in un altro Stato membro o, in una situazione rientrante nell’articolo 20, paragrafo 5, di tale regolamento, influire su una siffatta determinazione.

101    Pertanto, la finalità della consegna dell’opuscolo comune, il cui obiettivo è fornire all’interessato informazioni relative all’applicazione del regolamento Dublino III e ai suoi diritti nel contesto della determinazione dello Stato membro competente, corrobora, a sua volta, le interpretazioni dell’articolo 4 del regolamento Dublino III e dell’articolo 29 del regolamento Eurodac derivanti dalla formulazione di tali disposizioni ed enunciate ai punti 80 e 84 della presente sentenza.

102    Da tutte le considerazioni che precedono risulta che l’articolo 4 del regolamento Dublino III e l’articolo 29 del regolamento Eurodac devono essere interpretati nel senso che l’obbligo di fornire le informazioni in essi contemplate, in particolare l’opuscolo comune, si impone tanto nell’ambito di una prima domanda di protezione internazionale e di una procedura di presa in carico, previste rispettivamente dall’articolo 20, paragrafo 1, e dall’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, quanto nell’ambito di una domanda di protezione internazionale successiva e di una situazione, come quella di cui all’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento Eurodac, che possono dar luogo a procedure di ripresa in carico previste dall’articolo 23, paragrafo 1, e dall’articolo 24, paragrafo 1, del regolamento Dublino III.

 Sul colloquio personale (articolo 5 del regolamento Dublino III)

103    Dall’articolo 5, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, risulta che, al fine di agevolare la procedura di determinazione dello Stato membro competente, lo Stato membro che ha avviato la procedura di determinazione effettua un colloquio personale con il richiedente e che tale colloquio permette anche la corretta comprensione delle informazioni fornite al richiedente ai sensi dell’articolo 4 di tale regolamento.

104    In tali circostanze, le considerazioni relative all’obbligo di informazione, contenute ai punti da 96 a 100 della presente sentenza, sono rilevanti anche in riferimento al colloquio personale previsto dall’articolo 5 del regolamento Dublino III.

105    Infatti, mentre l’opuscolo comune è volto a informare l’interessato in merito all’applicazione del regolamento Dublino III, il colloquio personale costituisce il modo per verificare che tale interessato comprenda le informazioni contenute in tale opuscolo e rappresenta un’occasione privilegiata, se non la garanzia, per esso, di poter comunicare all’autorità competente elementi d’informazione che possono portare lo Stato membro interessato a non rivolgere a un altro Stato membro una richiesta di ripresa in carico e persino, se del caso, a impedire il trasferimento di detta persona.

106    Ne consegue che, contrariamente a quanto sostenuto dal governo italiano e dalla Commissione, l’articolo 5 del regolamento Dublino III deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di svolgere il colloquio personale in esso contemplato si impone tanto nell’ambito di una prima domanda di protezione internazionale e di una procedura di presa in carico, previste rispettivamente dall’articolo 20, paragrafo 1, e dall’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, quanto nell’ambito di una domanda di protezione internazionale successiva e di una situazione, come quella di cui all’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento Eurodac, che possono dar luogo a procedure di ripresa in carico previste dall’articolo 23, paragrafo 1, e dall’articolo 24, paragrafo 1, del regolamento Dublino III.

 Sulle conseguenze della violazione del diritto di informazione e del diritto al colloquio personale

107    Come già giudicato dalla Corte, la formulazione dell’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, che prevede che la persona destinataria di una decisione di trasferimento ha diritto a un ricorso effettivo avverso una siffatta decisione, non menziona alcuna limitazione degli argomenti che possono essere addotti nell’ambito di tale ricorso. Lo stesso vale per la formulazione dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera d), del medesimo regolamento, relativo all’informazione che deve essere fornita al richiedente dalle autorità competenti in merito alla possibilità di impugnare una decisione di trasferimento (sentenza del 7 giugno 2016, Ghezelbash, C‑63/15, EU:C:2016:409, punto 36).

108    Tuttavia, la portata del ricorso è precisata al considerando 19 del regolamento Dublino III, il quale indica che, al fine di garantire il rispetto del diritto internazionale, il ricorso effettivo istituito dal regolamento in parola avverso le decisioni di trasferimento deve avere ad oggetto, da una parte, l’esame dell’applicazione del citato regolamento e, dall’altra, l’esame della situazione giuridica e fattuale dello Stato membro verso il quale il richiedente è trasferito [sentenza del 15 aprile 2021, État belge (Elementi successivi alla decisione di trasferimento), C‑194/19, EU:C:2021:270, punto 33 e giurisprudenza ivi citata].

109    Inoltre, dalla giurisprudenza della Corte emerge che, alla luce, segnatamente, dell’evoluzione generale che ha conosciuto il sistema di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri in conseguenza dell’adozione del regolamento Dublino III e degli obiettivi perseguiti da tale regolamento, l’articolo 27, paragrafo 1, di detto regolamento dev’essere interpretato nel senso che il ricorso da esso previsto avverso una decisione di trasferimento deve poter avere ad oggetto tanto il rispetto delle norme che assegnano la competenza per l’esame di una domanda di protezione internazionale quanto le garanzie procedurali stabilite dal regolamento medesimo [sentenza del 15 aprile 2021, État belge (Elementi successivi alla decisione di trasferimento), C‑194/19, EU:C:2021:270, punto 34 e giurisprudenza ivi citata].

110    Orbene, tanto gli obblighi di informazione previsti dall’articolo 4 del regolamento Dublino III e dall’articolo 29, paragrafo 1, lettera b), e paragrafo 3, del regolamento Eurodac, quanto il colloquio personale previsto dall’articolo 5 del regolamento Dublino III, costituiscono garanzie procedurali che devono essere garantite alla persona che è o che può essere oggetto, in particolare, di una procedura di ripresa in carico in forza dell’articolo 23, paragrafo 1, o dell’articolo 24, paragrafo 1, di quest’ultimo regolamento. Ne consegue che il ricorso previsto dall’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento Dublino III avverso una decisione di trasferimento deve, in linea di principio, poter avere ad oggetto la violazione degli obblighi che tali disposizioni comportano e, in particolare, la mancata consegna dell’opuscolo comune, nonché il mancato svolgimento del colloquio personale.

111    Per quanto attiene alle conseguenze che possono essere collegate alla violazione dell’uno e/o dell’altro di tali obblighi, occorre rilevare che il regolamento Dublino III non fornisce precisazioni al riguardo.

112    Quanto al regolamento Eurodac, se è vero che esso stabilisce, all’articolo 37, la responsabilità degli Stati membri nei confronti delle persone e degli Stati membri che hanno subito un danno in conseguenza di un trattamento illecito di dati o di qualsiasi altro atto incompatibile con il medesimo regolamento, esso non fornisce nessuna precisazione quanto alle conseguenze che possono discendere, in relazione a una decisione di trasferimento, dal mancato rispetto dell’obbligo di informazione previsto dall’articolo 29, paragrafo 1, lettera b), e paragrafo 3, di tale regolamento, e rammentato, come già sottolineato al punto 89 della presente sentenza, nel riquadro nonché nella nota a piè pagina ad esso relativa contenuti nell’allegato XIII al regolamento n. 1560/2003.

113    Conformemente a una costante giurisprudenza della Corte, in mancanza di norme dell’Unione in materia, spetta, in virtù del principio di autonomia processuale, all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire le modalità processuali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la salvaguardia dei diritti dei singoli, a condizione tuttavia che esse non siano meno favorevoli rispetto a quelle relative a situazioni analoghe assoggettate al diritto interno (principio di equivalenza) e che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione (principio di effettività) [sentenza del 15 aprile 2021, État belge (Elementi successivi alla decisione di trasferimento), C‑194/19, EU:C:2021:270, punto 42 e giurisprudenza ivi citata]. Ciò vale, in particolare, per quanto riguarda le conseguenze giuridiche, in relazione a una decisione di trasferimento, della violazione dell’obbligo di informazione e/o dell’obbligo di svolgere un colloquio personale (v., in tal senso, sentenza del 16 luglio 2020, Addis, C‑517/17, EU:C:2020:579, punti 56 e 57, nonché giurisprudenza ivi citata).

114    Nel caso di specie, sembra tuttavia emergere dalle decisioni di rinvio e dalla formulazione delle questioni pregiudiziali che il diritto dello Stato membro cui appartengono i giudici di rinvio non consente, di per sé, di determinare dette conseguenze giuridiche in modo certo e che, con tali questioni, detti giudici chiedono specificamente in che modo siano chiamati a sanzionare siffatte violazioni.

115    In tali circostanze, la Corte deve stabilire quali conseguenze sono collegate, su tale piano, al principio di effettività.

116    Con riferimento, in primo luogo, alle conseguenze giuridiche che possono discendere, per quanto riguarda tale principio, dalla mancanza del colloquio personale previsto dall’articolo 5 del regolamento Dublino III, occorre, innanzitutto, fare riferimento alla sentenza del 16 luglio 2020, Addis (C‑517/17, EU:C:2020:579), pronunciata in relazione a una situazione in cui un cittadino di paese terzo, già beneficiario dello status di rifugiato in uno Stato membro, contestava all’autorità competente di un altro Stato membro in cui aveva presentato un’altra domanda di protezione internazionale, di non averlo ascoltato prima del rigetto, in quanto inammissibile, della sua domanda di asilo in forza dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva «procedure». Orbene, con detta sentenza, la Corte ha dichiarato che, tenuto conto del principio di effettività, gli articoli 14 e 34 di tale direttiva devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale in forza della quale la violazione dell’obbligo di dare al richiedente protezione internazionale la facoltà di sostenere un colloquio personale prima dell’adozione di una siffatta decisione di inammissibilità non comporta l’annullamento di tale decisione e il rinvio della causa dinanzi all’autorità accertante, a meno che detta normativa consenta a tale richiedente, nell’ambito del procedimento di ricorso avverso la decisione di cui trattasi, di esporre di persona tutti i suoi argomenti avverso detta decisione nel corso di un’audizione che rispetti le condizioni e le garanzie fondamentali applicabili, enunciate dall’articolo 15 di detta direttiva, e a meno che tali argomenti non siano atti a modificare la stessa decisione.

117    Al riguardo, la Corte ha in particolare sottolineato, al punto 70 della medesima sentenza, che gli articoli 14, 15 e 34 della direttiva «procedure», da un lato, enunciano, in termini vincolanti, l’obbligo per gli Stati membri di dare al richiedente la facoltà di sostenere un colloquio personale, nonché norme specifiche e dettagliate sulle modalità con cui tale colloquio deve essere svolto e, d’altro lato, mirano a garantire che il richiedente sia stato invitato a fornire, in collaborazione con l’autorità responsabile di tale colloquio, tutti gli elementi pertinenti per valutare l’ammissibilità e, se del caso, la fondatezza della sua domanda di protezione internazionale, il che conferisce allo stesso colloquio un’importanza fondamentale nel procedimento di esame di tale domanda.

118    La Corte ha aggiunto che, in mancanza di un colloquio personale dinanzi all’autorità competente, solo quando un siffatto colloquio è condotto dinanzi al giudice investito di un ricorso avverso la decisione di inammissibilità adottata da tale autorità e nel rispetto di tutte le condizioni previste dalla direttiva «procedure», è possibile garantire l’effettività del diritto di essere ascoltato in tale fase ulteriore del procedimento (sentenza del 16 luglio 2020, Addis, C‑517/17, EU:C:2020:579, punto 71).

119    Orbene, occorre rilevare che le conseguenze che discendono dall’applicazione dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva «procedure», ossia l’inammissibilità della domanda di protezione internazionale presentata in uno Stato membro da una persona già beneficiaria di una protezione internazionale concessa da un primo Stato membro e il suo rinvio nel primo Stato membro, non sono più gravi di quelle che discendono dall’applicazione dell’articolo 23, paragrafo 1, e dall’articolo 24, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, le quali espongono persone prive di protezione internazionale a una ripresa in carico.

120    Più specificamente, la situazione di cui all’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva «procedure» risulta, a priori, comportare conseguenze meno pesanti per l’interessato rispetto a quella, di cui all’articolo 18, paragrafo 1, lettera d), del regolamento Dublino III, in cui la richiesta di ripresa in carico riguarda una persona la cui domanda di protezione internazionale è stata respinta dallo Stato membro richiesto. Infatti, in quest’ultima ipotesi, la persona soggetta alla ripresa in carico non incorre, come quella la cui domanda di asilo è inammissibile, nel rinvio verso uno Stato membro in cui già beneficia della protezione internazionale, ma nell’allontanamento da parte dello Stato membro richiesto verso il suo paese di origine.

121    Inoltre, e come rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale ai paragrafi da 134 a 136 delle sue conclusioni, tanto la decisione d’inammissibilità della domanda di protezione internazionale adottata sul fondamento dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva «procedure» quanto la decisione di trasferimento che attua la ripresa in carico, di cui agli articoli 23 e 24 del regolamento Dublino III, richiedono che l’interessato non corra il rischio di una violazione dell’articolo 4 della Carta, ciò che, in un caso come nell’altro, il colloquio personale consente di garantire. Il colloquio personale consente, inoltre, di segnalare la presenza, nel territorio dello Stato membro richiedente, di familiari, parenti o persone legate al richiedente da altri vincoli di parentela. Esso consente altresì di escludere che un cittadino di un paese terzo o un apolide venga qualificato come soggiornante irregolare sebbene in realtà intendesse presentare una domanda di protezione internazionale.

122    Infine, occorre rilevare che, al pari del colloquio previsto dall’articolo 14 della direttiva «procedure», è possibile derogare all’obbligo di effettuare il colloquio personale previsto dall’articolo 5 del regolamento Dublino III solo in circostanze limitate. Al riguardo, così come il colloquio personale sul merito della domanda d’asilo può essere omesso, come risulta dall’articolo 14, paragrafo 2, lettera a), della direttiva «procedure», qualora l’autorità accertante sia in grado di prendere una decisione positiva riguardo allo status di rifugiato basandosi sulle prove acquisite, anche il combinato disposto dell’articolo 5, paragrafo 2, lettera b), e del paragrafo 3, del regolamento Dublino III richiede, nell’interesse della persona oggetto di un’eventuale ripresa in carico, che il colloquio personale previsto dall’articolo 5 di detto regolamento sia effettuato ogniqualvolta l’autorità competente potrebbe adottare una decisione di trasferimento contraria a quanto auspicato dall’interessato.

123    In tali circostanze, la giurisprudenza di cui alla sentenza del 16 luglio 2020, Addis (C‑517/17, EU:C:2020:579) è, per quanto riguarda le conseguenze collegate alla violazione dell’obbligo di effettuare il colloquio personale nel contesto di una decisione che respinge una domanda di protezione internazionale sul fondamento dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva «procedure», trasponibile alle procedure di ripresa in carico attuate in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 1, e dell’articolo 24, paragrafo 1, del regolamento Dublino III.

124    Ne consegue che, fatto salvo l’articolo 5, paragrafo 2, del regolamento Dublino III, la decisione di trasferimento deve essere annullata a seguito di ricorso presentato avverso quest’ultima ai sensi dell’articolo 27 di tale regolamento e che contesta la mancanza del colloquio personale previsto da tale articolo 5, a meno che la normativa nazionale consenta all’interessato, nell’ambito di detto ricorso, di esporre di persona tutti i suoi argomenti avverso tale decisione nel corso di un’audizione che rispetti le condizioni e le garanzie enunciate in detto articolo 5, e che tali argomenti non siano atti a modificare detta decisione.

125    In secondo luogo, nel caso in cui il colloquio personale previsto dall’articolo 5 del regolamento Dublino III, il cui carattere fondamentale nonché le garanzie procedurali che lo corredano sono state sottolineate in precedenza, sia effettivamente avvenuto, ma l’opuscolo comune che deve essere consegnato in esecuzione dell’obbligo di informazione previsto dall’articolo 4 di tale regolamento o dall’articolo 29, paragrafo 1, lettera b), del regolamento Eurodac non sia stato consegnato prima dello svolgimento di detto colloquio, occorre, al fine di soddisfare i requisiti derivanti dal principio di effettività, verificare se, in mancanza di tale irregolarità, il procedimento avrebbe potuto condurre a un risultato diverso (v., in tal senso, sentenza del 10 settembre 2013, G. e R., C‑383/13 PPU, EU:C:2013:533, punto 38 nonché giurisprudenza ivi citata).

126    Nel contesto di una siffatta violazione dell’obbligo di informazione, il compito del giudice nazionale deve dunque consistere nel verificare, in funzione delle circostanze di fatto e di diritto di ciascun caso di specie, se tale irregolarità procedurale abbia, nonostante lo svolgimento del colloquio personale, effettivamente privato colui che l’invoca della possibilità di far valere i propri argomenti in misura tale che il procedimento amministrativo nei suoi confronti avrebbe potuto condurre a un risultato diverso (v., in tal senso, sentenza del 10 settembre 2013, G. e R., C‑383/13 PPU, EU:C:2013:533, punto 44).

127    Alla luce di quanto precede, si deve ritenere, per quanto riguarda l’obbligo di informazione, che il diritto dell’Unione, in particolare gli articoli 4 e 27 del regolamento Dublino III nonché l’articolo 29, paragrafo 1, lettera b), del regolamento Eurodac, deve essere interpretato nel senso che, quando il colloquio personale previsto dall’articolo 5 del regolamento Dublino III è avvenuto, ma l’opuscolo comune che deve essere consegnato all’interessato in esecuzione dell’obbligo di informazione previsto dall’articolo 4 del regolamento Dublino III o dall’articolo 29, paragrafo 1, lettera b), del regolamento Eurodac non è stato consegnato, il giudice nazionale incaricato di valutare la legittimità della decisione di trasferimento può pronunciare l’annullamento di tale decisione solo se ritiene, tenuto conto delle circostanze di fatto e di diritto specifiche del caso di specie, che la mancata consegna dell’opuscolo comune abbia, nonostante lo svolgimento del colloquio personale, effettivamente privato tale persona della possibilità di far valere i propri argomenti in misura tale che il procedimento amministrativo nei suoi confronti avrebbe potuto condurre a un risultato diverso.

128    Di conseguenza, si deve rispondere alle questioni sollevate nelle cause C‑228/21 e C‑328/21, nonché alle due prime questioni sollevate nella causa C‑315/21, dichiarando che:

–        l’articolo 4 del regolamento Dublino III e l’articolo 29 del regolamento Eurodac devono essere interpretati nel senso che l’obbligo di fornire le informazioni in essi contemplate, in particolare l’opuscolo comune il cui modello è contenuto nell’allegato X al regolamento n. 1560/2003, si impone tanto nell’ambito di una prima domanda di protezione internazionale e di una procedura di presa in carico, previste rispettivamente dall’articolo 20, paragrafo 1, e dall’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, quanto nell’ambito di una domanda di protezione internazionale successiva e di una situazione, come quella di cui all’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento Eurodac, che possono dar luogo a procedure di ripresa in carico previste dall’articolo 23, paragrafo 1, e dall’articolo 24, paragrafo 1, del regolamento Dublino III;

–        l’articolo 5 del regolamento Dublino III deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di svolgere il colloquio personale in esso contemplato si impone tanto nell’ambito di una prima domanda di protezione internazionale e di una procedura di presa in carico, previste rispettivamente dall’articolo 20, paragrafo 1, e dall’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, quanto nell’ambito di una domanda di protezione internazionale successiva e di una situazione, come quella di cui all’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento Eurodac, che possono dar luogo a procedure di ripresa in carico previste dall’articolo 23, paragrafo 1, e dall’articolo 24, paragrafo 1, del regolamento Dublino III;

–        il diritto dell’Unione, in particolare gli articoli 5 e 27 del regolamento Dublino III, deve essere interpretato nel senso che, fatto salvo l’articolo 5, paragrafo 2, di tale regolamento, la decisione di trasferimento deve essere annullata a seguito di ricorso presentato avverso quest’ultima ai sensi dell’articolo 27 di detto regolamento e che contesta la mancanza del colloquio personale previsto da detto articolo 5, a meno che la normativa nazionale consenta all’interessato, nell’ambito di detto ricorso, di esporre di persona tutti i suoi argomenti avverso tale decisione nel corso di un’audizione che rispetti le condizioni e le garanzie enunciate in quest’ultimo articolo, e che tali argomenti non siano atti a modificare detta decisione.

–        il diritto dell’Unione, in particolare gli articoli 4 e 27 del regolamento Dublino III nonché l’articolo 29, paragrafo 1, lettera b), del regolamento Eurodac, deve essere interpretato nel senso che, quando il colloquio personale previsto dall’articolo 5 del regolamento Dublino III è avvenuto, ma l’opuscolo comune che deve essere consegnato all’interessato in esecuzione dell’obbligo di informazione previsto dall’articolo 4 del regolamento Dublino III o dall’articolo 29, paragrafo 1, lettera b), del regolamento Eurodac non è stato consegnato, il giudice nazionale incaricato di valutare la legittimità della decisione di trasferimento può pronunciare l’annullamento di tale decisione solo se ritiene, tenuto conto delle circostanze di fatto e di diritto specifiche del caso di specie, che, nonostante lo svolgimento del colloquio personale, la mancata consegna dell’opuscolo comune abbia effettivamente privato tale persona della possibilità di far valere i propri argomenti in misura tale che il procedimento amministrativo nei suoi confronti avrebbe potuto condurre a un risultato diverso.

 Sulle questioni prima, seconda e terza nella causa C254/21, sulla seconda questione nella causa C297/21 e sulla terza questione nella causa C315/21

129    Con tali questioni, che occorre esaminare congiuntamente, i giudici del rinvio nelle cause C‑254/21, C‑297/21 e C‑315/21 chiedono, in sostanza, se l’articolo 3, paragrafo 1, e paragrafo 2, secondo comma, del regolamento Dublino III, in combinato disposto con l’articolo 27 di tale regolamento nonché con gli articoli 4, 19 e 47 della Carta, consentano al giudice nazionale di esaminare l’esistenza di un rischio di refoulement indiretto al quale il richiedente protezione internazionale sarebbe esposto a seguito del suo trasferimento verso lo Stato membro richiesto, nella misura in cui quest’ultimo avrebbe già respinto una domanda di protezione internazionale riguardante tale richiedente, anche quando quest’ultimo Stato membro non presenta «carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti», ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento Dublino III. In particolare, i giudici del rinvio nelle cause C‑254/21 e C‑315/21 si chiedono se tale possibilità sussista quando il giudice nazionale fornisce alla nozione di «protezione all’interno del paese d’origine», ai sensi dell’articolo 8 della direttiva «qualifiche», un’interpretazione diversa da quella accolta dalle autorità dello Stato membro richiesto o ritiene, contrariamente a tali autorità, che esista nel paese di origine un conflitto armato, ai sensi dell’articolo 15, lettera c), di tale direttiva.

130    Al riguardo, occorre rammentare che il diritto dell’Unione poggia sulla premessa fondamentale secondo cui ciascuno Stato membro condivide con tutti gli altri Stati membri, e riconosce che questi condividono con esso, una serie di valori comuni sui quali l’Unione si fonda, così come precisato all’articolo 2 TUE. Tale premessa implica e giustifica l’esistenza della fiducia reciproca tra gli Stati membri nel riconoscimento di tali valori e, dunque, nel rispetto del diritto dell’Unione che li attua nonché nel fatto che i rispettivi ordinamenti giuridici nazionali sono in grado di fornire una tutela equivalente ed effettiva dei diritti fondamentali, riconosciuti dalla Carta, segnatamente agli articoli 1 e 4 di quest’ultima, che sanciscono uno dei valori fondamentali dell’Unione e dei suoi Stati membri (sentenza del 19 marzo 2019, Ibrahim e a., C‑297/17, C‑318/17, C‑319/17 e C‑438/17, EU:C:2019:219, punto 83 nonché giurisprudenza ivi citata), ossia la dignità umana che include segnatamente il divieto di trattamenti inumani o degradanti.

131    Il principio di fiducia reciproca tra gli Stati membri riveste un’importanza fondamentale nel diritto dell’Unione, per quanto riguarda, in particolare, lo spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia che l’Unione realizza e a titolo del quale, quest’ultima, conformemente all’articolo 67, paragrafo 2, TFUE, garantisce che non vi siano controlli sulle persone alle frontiere interne e sviluppa una politica comune in materia di asilo, immigrazione e controllo delle frontiere esterne, fondata sulla solidarietà tra Stati membri ed equa nei confronti dei cittadini dei paesi terzi. In tale contesto, il principio della fiducia reciproca impone a ciascuno di tali Stati di ritenere che, tranne in circostanze eccezionali, tutti gli altri Stati membri rispettino il diritto dell’Unione e, più in particolare, i diritti fondamentali riconosciuti da quest’ultimo (v., in tal senso, sentenza del 19 marzo 2019, Ibrahim e a., C‑297/17, C‑318/17, C‑319/17 e C‑438/17, EU:C:2019:219, punto 84 nonché giurisprudenza ivi citata).

132    Di conseguenza, nell’ambito di un sistema europeo comune di asilo si deve presumere che il trattamento riservato ai richiedenti protezione internazionale in ciascuno Stato membro sia conforme a quanto prescritto dalla Carta, dalla Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, nonché della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (v., in tal senso, sentenza del 19 marzo 2019, Jawo, C‑163/17, EU:C:2019:218, punto 82 nonché giurisprudenza ivi citata), e che il divieto di refoulement, diretto e indiretto, quale espressamente previsto dall’articolo 9 della direttiva «procedure», sia rispettato in ciascuno Stato membro.

133    Tuttavia, non si può escludere che tale sistema incontri, nella pratica, gravi difficoltà di funzionamento in un determinato Stato membro, cosicché sussisterebbe un grave rischio che taluni richiedenti protezione internazionale siano, in caso di trasferimento verso detto Stato membro, trattati in modo incompatibile con i loro diritti fondamentali (sentenza del 19 marzo 2019, Ibrahim e a., C‑297/17, C‑318/17, C‑319/17 e C‑438/17, EU:C:2019:219, punto 86 nonché giurisprudenza ivi citata).

134    Pertanto, la Corte ha già statuito che, ai sensi dell’articolo 4 della Carta, gli Stati membri, ivi compresi gli organi giurisdizionali nazionali, sono tenuti a non trasferire un richiedente asilo verso lo Stato membro competente, determinato conformemente al regolamento Dublino III, quando non possono ignorare che le carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo in tale Stato membro costituiscono motivi seri e comprovati di credere che il richiedente corra un rischio reale di subire trattamenti inumani o degradanti ai sensi di tale disposizione (v., in tal senso, sentenza del 19 marzo 2019, Jawo, C‑163/17, EU:C:2019:218, punto 85 e giurisprudenza ivi citata).

135    La Corte ha precisato che tale trasferimento è escluso qualora un siffatto rischio risulti da carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale nello Stato membro in occasione del trasferimento o in conseguenza di questo. Pertanto, è irrilevante, ai fini dell’applicazione del suddetto articolo 4, che l’interessato sia esposto a un grave rischio di subire un trattamento inumano o degradante, a causa del suo trasferimento verso lo Stato membro competente, ai sensi del regolamento Dublino III, al momento stesso del trasferimento, durante la procedura di asilo ovvero all’esito di quest’ultima (sentenza del 19 marzo 2019, Jawo, C‑163/17, EU:C:2019:218, punti 87 e 88).

136    A tal riguardo, quando il giudice investito di un ricorso avverso una decisione di trasferimento dispone di elementi prodotti dall’interessato per dimostrare l’esistenza di un tale rischio, tale giudice è tenuto a valutare, sulla base di elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati, e alla luce del livello di tutela dei diritti fondamentali garantito dal diritto dell’Unione, l’esistenza di carenze vuoi sistemiche o generalizzate, vuoi che colpiscono determinati gruppi di persone (sentenza del 19 marzo 2019, Jawo, C‑163/17, EU:C:2019:218, punto 90).

137    Nel caso di specie, fatte salve le verifiche spettanti ai giudici del rinvio nelle cause C‑254/21, C‑297/21 e C‑315/21, non risulta che l’esistenza di siffatte carenze sia stata dedotta da DG, da XXX.XX o da PP nei confronti degli Stati membri che saranno determinati quali competenti per l’esame della loro domanda di protezione internazionale in tali tre cause.

138    Inoltre, nella sentenza del 16 febbraio 2017, C.K. e a. (C‑578/16 PPU, EU:C:2017:127), la Corte ha giudicato, in sostanza, che occorreva interpretare l’articolo 4 della Carta nel senso che, anche in assenza di fondati motivi di ritenere che sussistano carenze sistemiche nello Stato membro competente per l’esame della domanda di asilo, tale disposizione può essere invocata qualora non sia escluso che, in una fattispecie concreta, il trasferimento di un richiedente asilo nel quadro del regolamento Dublino III comporti un rischio reale e comprovato che tale richiedente sarà, in tal modo, sottoposto a trattamenti inumani o degradanti, ai sensi di detto articolo.

139    Tuttavia, si deve tener conto del fatto che, come emerge dal punto 96 di tale sentenza, nella causa che ha portato ad essa, il rischio reale e acclarato che il trasferimento dell’interessato l’esponesse a un trattamento inumano e degradante era legato al rischio di un deterioramento significativo e irrimediabile del suo stato di salute, nella misura in cui tale persona presentava già un disturbo mentale e fisico particolarmente grave. Orbene, fatte salve le verifiche da parte dei giudici del rinvio nelle cause C‑254/21, C‑297/21 e C‑315/21, nessuno dei ricorrenti in tali cause si trova in una situazione personale paragonabile.

140    Invece, la differenza di valutazione da parte dello Stato membro richiedente, da un lato, e dello Stato membro competente, dall’altro, del livello di protezione di cui può beneficiare il richiedente nel suo paese di origine, ai sensi dell’articolo 8 della direttiva «qualifiche», o dell’esistenza di minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, ai sensi dell’articolo 15, lettera c), di tale direttiva, è, in linea di principio, irrilevante ai fini del controllo della validità della decisione di trasferimento.

141    Infatti, tale interpretazione è l’unica compatibile con gli obiettivi del regolamento Dublino III, che mira segnatamente a stabilire un metodo chiaro e operativo di determinazione dello Stato membro competente e a prevenire movimenti secondari di richiedenti asilo tra gli Stati membri (v., in tal senso, sentenze del 21 dicembre 2011, N.S. e. a, C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865, punto 84, nonché del 2 aprile 2019, H. e R., C‑582/17 e C‑583/17, EU:C:2019:280, punto 77). Tali obiettivi escludono che il giudice che esamina la decisione di trasferimento effettui una valutazione nel merito del rischio di refoulement in caso di rinvio. Tale giudice deve infatti ritenere acquisito il fatto che l’autorità competente in materia di asilo dello Stato membro competente valuterà e determinerà correttamente il rischio di refoulement, nel rispetto dell’articolo 19 della Carta, e che il cittadino di paese terzo disporrà, conformemente alle prescrizioni derivanti dall’articolo 47 della Carta, di mezzi d’impugnazione effettivi per contestare, se del caso, la decisione di detta autorità al riguardo.

142    Tenuto conto dell’insieme di tali elementi, si deve rispondere alle questioni prima, seconda e terza nella causa C‑254/21, alla seconda questione nella causa C‑297/21 e alla terza questione nella causa C‑315/21 dichiarando che l’articolo 3, paragrafo 1, e paragrafo 2, secondo comma, del regolamento Dublino III, in combinato disposto con l’articolo 27 di tale regolamento nonché con gli articoli 4, 19 e 47 della Carta, deve essere interpretato nel senso che il giudice dello Stato membro richiedente, adito di un ricorso avverso una decisione di trasferimento, non può esaminare se sussista un rischio, nello Stato membro richiesto, di una violazione del principio di non-refoulement al quale il richiedente protezione internazionale sarebbe esposto a seguito del suo trasferimento verso tale Stato membro, o in conseguenza di questo, quando tale giudice non constati l’esistenza, nello Stato membro richiesto, di carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale. Divergenze di opinioni tra le autorità e i giudici dello Stato membro richiedente, da un lato, e le autorità e i giudici dello Stato membro richiesto, dall’altro, in relazione all’interpretazione dei presupposti sostanziali della protezione internazionale non dimostrano l’esistenza di carenze sistemiche.

 Sulla quarta questione, lettera a), nella causa C254/21 e sulla prima questione nella causa C297/21

143    Con tali questioni, che occorre esaminare congiuntamente, i giudici del rinvio nelle cause C‑254/21 e C‑297/21 chiedono, in sostanza, se l’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, in combinato disposto con l’articolo 27 di tale regolamento, nonché con gli articoli 4, 19 e 47 della Carta, debba essere interpretato nel senso che il giudice dello Stato membro che ha adottato la decisione di trasferimento, adito di un ricorso avverso tale decisione, può, o persino deve, dichiarare tale Stato membro competente qualora non condivida la valutazione dello Stato membro richiesto quanto all’eventuale respingimento dell’interessato.

144    Al riguardo, occorre rammentare che, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, una domanda di protezione internazionale è esaminata da un solo Stato membro, che è quello individuato come Stato competente in base ai criteri enunciati al capo III di tale regolamento.

145    In deroga a tale articolo 3, paragrafo 1, di detto regolamento, l’articolo 17, paragrafo 1, di quest’ultimo prevede che ciascuno Stato membro può decidere di esaminare una domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, anche se tale esame non gli compete in base a tali criteri.

146    Emerge chiaramente dal disposto dell’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento Dublino III che detta disposizione possiede natura facoltativa laddove lascia alla discrezionalità di ogni Stato membro la decisione di procedere all’esame di una domanda di protezione internazionale che è presentata allo stesso, anche se tale esame non spetta ad esso in forza dei criteri di determinazione dello Stato membro competente definiti da tale regolamento. L’esercizio di tale facoltà non è, peraltro, sottoposto ad alcuna condizione particolare. Detta facoltà è intesa a consentire a ciascuno Stato membro di decidere in piena autonomia, in base a considerazioni di tipo politico, umanitario o pragmatico, di accettare di esaminare una domanda di protezione internazionale, anche se esso non è competente in base ai criteri stabiliti da detto regolamento (sentenza del 23 gennaio 2019, M.A. e a., C‑661/17, EU:C:2019:53, punto 58).

147    Tenuto conto della portata del potere discrezionale in tal modo accordato agli Stati membri, spetta allo Stato membro interessato determinare le circostanze in cui intende far uso della facoltà conferita dalla clausola discrezionale prevista dall’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento Dublino III e accettare di esaminare esso stesso una domanda di protezione internazionale per la quale non è competente in base ai criteri definiti da detto regolamento (sentenza del 23 gennaio 2019, M.A. e a., C‑661/17, EU:C:2019:53, punto 59).

148    Al riguardo, occorre rilevare, in primo luogo che, dal carattere puramente facoltativo delle disposizioni dell’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento Dublino III e dal carattere discrezionale della facoltà che esse conferiscono allo Stato membro richiedente risulta che tali disposizioni, in combinato disposto con l’articolo 27 di tale regolamento e gli articoli 4, 19, e 47 della Carta, non possono essere interpretate nel senso che esse impongono al giudice di tale Stato membro di dichiarare quest’ultimo competente, per il motivo che detto giudice non condivide la valutazione dello Stato membro richiesto quanto al rischio di refoulement dell’interessato.

149    In secondo luogo, dal punto 142 della presente sentenza emerge che il giudice dello Stato membro richiedente, adito di un ricorso avverso una decisione di trasferimento, non può esaminare il rischio di una violazione del principio di non-refoulement da parte dello Stato membro richiesto al quale il richiedente protezione internazionale sarebbe esposto a seguito del suo trasferimento verso tale Stato membro o in conseguenza di quest’ultimo quando non sussistono, in detto Stato membro, carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale.

150    Di conseguenza, il giudice dello Stato membro richiedente non può obbligare quest’ultimo ad applicare la clausola discrezionale prevista dall’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento Dublino III per il motivo che esisterebbe, nello Stato membro richiesto, un rischio di violazione del principio di non-refoulement.

151    In terzo luogo, se le carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale nello Stato membro richiesto in occasione del trasferimento o in conseguenza di quest’ultimo dovessero essere acclarate, la competenza dello Stato membro richiedente si fonderebbe sull’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento Dublino III, cosicché non sarebbe necessario, per lo Stato membro richiedente, ricorrere all’articolo 17, paragrafo 1, del medesimo regolamento in una tale ipotesi.

152    Tenuto conto dell’insieme di tali elementi, si deve rispondere alla quarta questione, lettera a), nella causa C‑254/21 e alla prima questione nella causa C‑297/21 dichiarando che l’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, in combinato disposto con l’articolo 27 di tale regolamento nonché con gli articoli 4, 19 e 47 della Carta, deve essere interpretato nel senso che esso non impone al giudice dello Stato membro richiedente di dichiarare tale Stato membro competente qualora non condivida la valutazione dello Stato membro richiesto quanto al rischio di refoulement dell’interessato. In assenza di carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale nello Stato membro richiesto in occasione del trasferimento o in conseguenza di esso, il giudice dello Stato membro richiedente non può neppure obbligare quest’ultimo Stato membro a esaminare esso stesso una domanda di protezione internazionale sul fondamento dell’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento Dublino III per il motivo che esiste, secondo tale giudice, un rischio di violazione del principio di non-refoulement nello Stato membro richiesto.

 Sulla quarta questione, lettera b), nella causa C254/21

153    Tenuto conto della risposta fornita alla quarta questione, lettera a), nella causa C‑254/21, e alla prima questione nella causa C‑297/21, non occorre rispondere alla quarta questione, lettera b), nella causa C‑254/21.

 Sulle spese

154    Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:

1)            L’articolo 4 del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, e

       l’articolo 29 del regolamento (UE) n. 603/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che istituisce l’«Eurodac» per il confronto delle impronte digitali per l’efficace applicazione del regolamento n. 604/2013 e per le richieste di confronto con i dati Eurodac presentate dalle autorità di contrasto degli Stati membri e da Europol a fini di contrasto, e che modifica il regolamento (UE) n. 1077/2011 che istituisce un’agenzia europea per la gestione operativa dei sistemi IT su larga scala nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia,

       devono essere interpretati nel senso che:

       l’obbligo di fornire le informazioni in essi contemplate, in particolare l’opuscolo comune il cui modello è contenuto nell’allegato X al regolamento (CE) n. 1560/2003 della Commissione, del 2 settembre 2003, recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo, si impone tanto nell’ambito di una prima domanda di protezione internazionale e di una procedura di presa in carico, previste rispettivamente dall’articolo 20, paragrafo 1, e dall’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013, quanto nell’ambito di una domanda di protezione internazionale successiva e di una situazione, come quella di cui all’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 603/2013, che possono dar luogo a procedure di ripresa in carico previste dall’articolo 23, paragrafo 1, e dall’articolo 24, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013.

–        L’articolo 5 del regolamento n. 604/2013

       deve essere interpretato nel senso che:

       l’obbligo di svolgere il colloquio personale in esso contemplato si impone tanto nell’ambito di una prima domanda di protezione internazionale e di una procedura di presa in carico, previste rispettivamente dall’articolo 20, paragrafo 1, e dall’articolo 21, paragrafo 1, del medesimo regolamento, quanto nell’ambito di una domanda di protezione internazionale successiva e di una situazione, come quella di cui all’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 603/2013, che possono dar luogo a procedure di ripresa in carico previste dall’articolo 23, paragrafo 1, e dall’articolo 24, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013.

–        Il diritto dell’Unione, in particolare gli articoli 5 e 27 del regolamento n. 604/2013,

       deve essere interpretato nel senso che:

       fatto salvo l’articolo 5, paragrafo 2, di tale regolamento, la decisione di trasferimento deve essere annullata a seguito di ricorso presentato avverso quest’ultima ai sensi dell’articolo 27 di detto regolamento e che contesta la mancanza del colloquio personale previsto da detto articolo 5, a meno che la normativa nazionale consenta all’interessato, nell’ambito di detto ricorso, di esporre di persona tutti i suoi argomenti avverso tale decisione nel corso di un’audizione che rispetti le condizioni e le garanzie enunciate in quest’ultimo articolo, e che tali argomenti non siano atti a modificare detta decisione.

–        Il diritto dell’Unione, in particolare gli articoli 4 e 27 del regolamento n. 604/2013 nonché l’articolo 29, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 603/2013,

       deve essere interpretato nel senso che:

       quando il colloquio personale previsto dall’articolo 5 del regolamento n. 604/2013 è avvenuto, ma l’opuscolo comune che deve essere consegnato all’interessato in esecuzione dell’obbligo di informazione previsto dall’articolo 4 di tale regolamento o dall’articolo 29, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 603/2013 non è stato consegnato, il giudice nazionale incaricato di valutare la legittimità della decisione di trasferimento può pronunciare l’annullamento di tale decisione solo se ritiene, tenuto conto delle circostanze di fatto e di diritto specifiche del caso di specie, che, nonostante lo svolgimento del colloquio personale, la mancata consegna dell’opuscolo comune abbia effettivamente privato tale persona della possibilità di far valere i propri argomenti in misura tale che il procedimento amministrativo nei suoi confronti avrebbe potuto condurre a un risultato diverso.

2)      L’articolo 3, paragrafo 1, e paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 604/2013, in combinato disposto con l’articolo 27 di tale regolamento nonché con gli articoli 4, 19 e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,

deve essere interpretato nel senso che:

il giudice dello Stato membro richiedente, adito di un ricorso avverso una decisione di trasferimento, non può esaminare se sussista un rischio, nello Stato membro richiesto, di una violazione del principio di nonrefoulement al quale il richiedente protezione internazionale sarebbe esposto a seguito del suo trasferimento verso tale Stato membro, o in conseguenza di questo, quando tale giudice non constati l’esistenza, nello Stato membro richiesto, di carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale. Divergenze di opinioni tra le autorità e i giudici dello Stato membro richiedente, da un lato, e le autorità e i giudici dello Stato membro richiesto, dall’altro, in relazione all’interpretazione dei presupposti sostanziali della protezione internazionale non dimostrano l’esistenza di carenze sistemiche.

3)      L’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013, in combinato disposto con l’articolo 27 di tale regolamento nonché con gli articoli 4, 19 e 47 della Carta dei diritti fondamentali,

deve essere interpretato nel senso che:

esso non impone al giudice dello Stato membro richiedente di dichiarare tale Stato membro competente qualora non condivida la valutazione dello Stato membro richiesto quanto al rischio di refoulement dell’interessato. In assenza di carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale nello Stato membro richiesto in occasione del trasferimento o in conseguenza di esso, il giudice dello Stato membro richiedente non può neppure obbligare quest’ultimo Stato membro a esaminare esso stesso una domanda di protezione internazionale sul fondamento dell’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013 per il motivo che esiste, secondo tale giudice, un rischio di violazione del principio di non-refoulement nello Stato membro richiesto.

Prechal

Biltgen

Wahl

Passer

 

Arastey Sahún

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 30 novembre 2023.

Il cancelliere

 

La presidente di sezione

A. Calot Escobar

 

A. Prechal


*      * Lingua processuale: l’italiano