Language of document : ECLI:EU:C:2022:271

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

GIOVANNI PITRUZZELLA

presentate il 7 aprile 2022(1)

Causa C460/20

TU,

RE

contro

Google LLC

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesgerichtshof (Corte federale di giustizia, Germania)]

«Rinvio pregiudiziale – Protezione dei dati a carattere personale – Richiesta di deindicizzazione di informazioni asseritamente false e di rimozione di immagini sotto forma di miniature (“thumbnailsˮ)»






I.      Introduzione

1.        Con la domanda di pronuncia pregiudiziale oggetto delle presenti conclusioni il Bundesgerischsthof (Corte federale di giustizia, Germania; in prosieguo: il «BGH») pone alla Corte due quesiti vertenti sull’interpretazione dell’articolo 17, paragrafo 3, lettera a), del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati) (2) (in prosieguo: il «RGPD») e degli articoli 12, lettera b), e 14, primo comma, lettera a), della direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati (3), letti alla luce degli articoli 7, 8, 11 e 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»). Tali quesiti sono stati sollevati nel quadro di un’azione intentata da TU e RE (in prosieguo, congiuntamente: i «ricorrenti») contro Google LLC (in prosieguo: «Google» o la «resistente»), volta a ottenere, da un lato, la deindicizzazione di alcuni link visualizzati nelle ricerche effettuate tramite il motore di ricerca gestito dalla convenuta, che rimandano ad articoli di un terzo pubblicati in rete nei quali vengono individuati i ricorrenti e, dall’altro, la cessazione della visualizzazione delle foto di cui è corredato uno di tali articoli sotto forma di cosiddette miniature («thumbnails»).

2.        È noto che un motore di ricerca non si limita a ospitare i contenuti prodotti da altri nella rete, ma ha un ruolo attivo nella diffusione dell’informazione. La «ricchezza della rete» sarebbe solo potenziale se l’utente non potesse accedere all’informazione di cui ha bisogno grazie ai motori di ricerca e, nel vasto oceano dell’informazione prodotta in Internet, tante informazioni resterebbero praticamente inaccessibili senza l’intermediazione di tali motori. Quando il motore di ricerca permette all’utente di effettuare una ricerca a partire da alcune parole chiave, come il nome di una persona, effettua delle scelte circa i siti da inserire nei risultati della ricerca e circa l’ordine da dare loro nell’elenco dei risultati, con enormi ricadute sulla diffusione delle informazioni. Queste selezioni sono effettuate dall’algoritmo impiegato e quindi dipendono dai criteri di selezione che il gestore del motore di ricerca ha scelto nell’attività di programmazione. Scelte ulteriori sono realizzate su larga scala nell’ambito delle politiche di «content moderation» effettuate dalla piattaforma in base agli standards da essa adottati, ad esempio per difendere il suo modello di business, per tutelare certe sensibilità diffuse presso gli utenti o per adempiere delle obbligazioni legali. Queste attività comportano decisioni circa i contenuti da non pubblicare nei risultati delle ricerche effettuate dagli utenti.

3.        Il motore di ricerca opera pertanto come un «gatekeeper» dell’informazione, espressione con cui si designano le entità la cui attività è necessaria per permettere l’inserimento nel circuito della comunicazione democratica delle opinioni o delle informazioni prodotte da terzi. Questa funzione di controllo dei «cancelli» da cui passa il flusso delle informazioni, operata dai motori di ricerca come Google, ha conseguenze importanti sia sulla libertà di espressione e d’informazione sancita dall’articolo 11 della Carta, sia sui diritti al rispetto della vita privata e alla tutela dei dati personali enunciati agli articoli 7 e 8 della stessa. In particolare, l’inclusione, nell’elenco dei risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, di una pagina web e delle informazioni in essa contenute relative a questa persona, facilita notevolmente l’accessibilità di tali informazioni a qualsiasi utente di Internet e può svolgere un ruolo decisivo per la diffusione di dette informazioni e quindi per l’esercizio della libertà di espressione e d’informazione. Per la stessa ragione, detta inclusione è idonea a costituire un’ingerenza più rilevante nel diritto fondamentale al rispetto della vita privata della persona interessata che non la pubblicazione da parte dell’editore della suddetta pagina web, come la Corte ha avuto modo di precisare nella sua giurisprudenza (4).

4.        Nella domanda di decisione pregiudiziale oggetto delle presenti conclusioni, la specificità della funzione svolta dai motori di ricerca e la tensione che questa determina tra i diritti fondamentali di cui agli articoli 7, 8 e 11 della Carta viene in rilievo in uno scenario non ancora esaminato dalla Corte, vale a dire quello in cui la persona interessata contesta la veridicità dei dati trattati e chiede, per tale ragione, la deindicizzazione dei link che rinviano a contenuti editi da terzi in cui figurano tali dati.

II.    Contesto normativo

5.        Oltre agli articoli 7, 8, 11 e 16 della Carta, che enunciano rispettivamente il diritto al rispetto della vita privata, il diritto alla protezione dei dati di carattere personale, la libertà di espressione e d’informazione e la libertà d’impresa, vengono in rilievo, ai fini della presente analisi, in particolare, gli articoli 12, lettera b), e 14, primo comma, lettera a), della direttiva 95/46, al cui testo mi limito a rinviare, nonché l’articolo 17 del RGPD. Quest’ultimo sancisce, al paragrafo 1, il diritto dell’interessato di ottenere la cancellazione dei dati personali che lo riguardano, in particolare ove tali dati siano stati trattati illecitamente, e il correlativo obbligo del titolare del trattamento di procedere a tale cancellazione. Il paragrafo 3, lettera a), di tale articolo precisa che il paragrafo 1 non si applica nella misura in cui il trattamento sia necessario «per l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione». Le altre disposizioni della direttiva 95/46 e del RGPD pertinenti ai fini dell’esame della domanda di decisione pregiudiziale saranno richiamate nel corso dell’analisi.

III. Controversia principale e procedimento dinanzi alla Corte

6.        TU opera in posizione di responsabile per diverse società che offrono servizi finanziari o detiene una partecipazione nelle stesse. RE era la compagna di TU e, fino a maggio 2015, procuratrice di una di tali società. Il sito www.g...net (in prosieguo: «g-net») pubblicava, rispettivamente in data 27 aprile 2015, 4 giugno 2015 e 16 giugno 2015, tre articoli che esprimevano opinioni critiche e dubbi sulla serietà del modello di investimento di diverse delle suddette società. L’articolo del 4 giugno 2015 era corredato di quattro foto, tre di TU e una di RE, in cui i ricorrenti venivano rappresentati alla guida di macchine di lusso, in un elicottero e davanti ad un aereo charter. Unitamente agli articoli, tali immagini potevano suggerire che i ricorrenti beneficiassero di un lusso finanziato da terzi. Il gestore del sito g-net, stando alle informazioni legali («Impressum»), è la G-LLC. Lo scopo societario della G-LLC, secondo le sue stesse indicazioni, è «contribuire in modo sostenibile, attraverso un’informazione attiva e una costante trasparenza, alla prevenzione della frode sul piano economico e sociale». Diverse pubblicazioni forniscono tuttavia un resoconto critico sul modello societario della G-LLC, accusandola tra l’altro del tentativo di ricattare le imprese con la pubblicazione, in un primo tempo, di valutazioni sfavorevoli cui seguirebbe l’offerta, dietro pagamento di un cosiddetto contributo di protezione, di cancellarle. Gli articoli del 4 giugno 2015 e del 16 giugno 2015 venivano inclusi nell’elenco dei risultati delle ricerche prodotto con l’immissione nel motore di ricerca gestito da Google di nome e cognome dei ricorrenti, sia isolatamente che in collegamento ad alcuni nomi di società, mentre l’articolo del 27 aprile 2015 compariva nelle ricerche a partire da determinati nomi di società. Detti risultati contenevano un link verso gli articoli in questione. Google inseriva inoltre sotto forma di «thumbnails», nel riepilogo dei risultati della sua ricerca per immagini, le foto dei ricorrenti contenute nell’articolo del 4 giugno 2015.

7.        I ricorrenti hanno chiesto alla resistente, da un lato, di deindicizzare gli articoli in questione, che, a loro avviso, contengono un certo numero di allegazioni errate e di opinioni diffamatorie basate su fatti non veritieri, e, dall’altro, di rimuovere le miniature dalla lista dei risultati di ricerca. Essi affermavano di essere stati vittime di ricatto da parte della G-LLC. La resistente rifiutava di dar seguito a detta domanda, rinviando al contesto professionale in cui gli articoli e le immagini controverse si iscrivono e invocando la sua ignoranza quanto alla pretesa falsità delle informazioni in essi contenute. L’azione è stata respinta nei primi due gradi di giudizio.

8.        È in tale contesto che il Bundesgerichtshof (Corte federale di giustizia) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se sia compatibile con il diritto dell’interessato al rispetto della sua vita privata [articolo 7 della Carta] e alla protezione dei dati personali che lo riguardano (articolo 8 della Carta) – ai fini della ponderazione da effettuarsi ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 3, lettera a), del [RGPD] tra diritti e interessi contrastanti di cui agli articoli 7, 8, 11 e 16 della Carta nell’ambito dell’esame della domanda di deindicizzazione dallo stesso presentata nei confronti del titolare del trattamento di un servizio di ricerca su Internet – basarsi in modo decisivo, allorché il link di cui viene chiesta la deindicizzazione rimanda a un contenuto che contiene allegazioni di fatto e giudizi di valore fondati su allegazioni di fatto, di cui l’interessato contesta l’esattezza e la cui legittimità dipende dalla questione della veridicità delle allegazioni di fatto ivi contenute, anche sulla circostanza se l’interessato possa ragionevolmente ottenere una tutela giuridica nei confronti del fornitore di contenuti, per esempio attraverso un’ingiunzione, consentendo quindi di chiarire almeno provvisoriamente la questione dell’attendibilità del contenuto visualizzato nell’elenco dei risultati dal titolare del trattamento del motore di ricerca.

2)      Se, nel caso di una domanda di deindicizzazione presentata nei confronti del titolare del trattamento di un servizio di ricerca su Internet, che nell’ambito di una ricerca nominativa individua le foto di persone fisiche caricate in Internet da terzi con un collegamento al nome della persona e che nell’elenco dei risultati visualizza le foto reperite come miniature (“thumbnailsˮ) – ai fini della ponderazione tra diritti e interessi contrastanti di cui agli articoli 7, 8, 11 e 16 della Carta, da effettuarsi ai sensi degli articoli 12, lettera b), e 14, primo comma, lettera a), della direttiva [95/46] e dell’articolo 17, paragrafo 3, lettera a), del [RGPD] – si debba tener conto in modo determinante del contesto della pubblicazione originaria da parte del terzo, anche quando il motore di ricerca, visualizzando la miniatura, in effetti rimanda al sito di detto terzo, ma senza menzionarlo concretamente, cosicché il servizio di ricerca su Internet non visualizza il relativo contesto».

9.        Hanno depositato osservazioni scritte nella presente causa, le parti nel procedimento principale, i governi rumeno, austriaco e greco, nonché la Commissione. All’udienza tenutasi dinanzi alla Corte il 24 gennaio 2022, hanno presentato le loro osservazioni orali le parti nel procedimento principale e la Commissione.

IV.    Analisi

10.      Prima di passare all’esame delle questioni pregiudiziali occorre richiamare la giurisprudenza della Corte sugli obblighi che incombono al gestore di un motore di ricerca nel caso in cui l’attività di quest’ultimo comporti il trattamento di dati personali, in particolare, laddove venga in rilievo il diritto della persona interessata da tale trattamento alla cancellazione dei dati che la riguardano. Come si vedrà, tali obblighi sono commisurati, per usare le parole della Corte, alle «responsabilità, alle competenze e alle possibilità» del gestore del motore di ricerca (5), a loro volta inscindibilmente legate al ruolo che quest’ultimo svolge nell’ecosistema di Internet, quale brevemente descritto nell’introduzione delle presenti conclusioni.

A.      La giurisprudenza della Corte

11.      Quattro punti fermi emergono dalla giurisprudenza della Corte in materia di trattamento dei dati personali nel contesto dell’attività dei motori di ricerca.

12.      Il primo riguarda la qualificazione dell’attività dei motori di ricerca e la sua sussunzione nell’ambito di applicazione della legislazione dell’Unione in materia di protezione dei dati personali.

13.      Nella sentenza del 13 maggio 2014, Google Spain e Google (6) (in prosieguo: la «sentenza Google Spain»), la Corte ha affermato che l’attività di un motore di ricerca consistente nel trovare informazioni pubblicate o inserite da terzi su Internet, nell’indicizzarle in modo automatico, nel memorizzarle temporaneamente e, infine, nel metterle a disposizione degli utenti di Internet secondo un determinato ordine di preferenza, deve essere qualificata come «trattamento di dati personali», ai sensi dell’articolo 2, lettera b), della direttiva 95/46, qualora tali informazioni contengano «dati personali» (7). È irrilevante al riguardo la circostanza che tali dati abbiano già costituito l’oggetto di una pubblicazione su Internet e non vengano modificati dal suddetto motore di ricerca (8). Corollario di tale qualificazione dell’attività dei motori di ricerca è la seconda affermazione che si ritrova nella sentenza Google Spain. Il gestore di un motore di ricerca, in quanto soggetto che determina le finalità e gli strumenti dell’attività di tale motore, deve essere considerato come «responsabile», ai sensi dell’articolo 2, lettera d), della direttiva 95/46, del trattamento di dati personali che tale attività comporta (9). In proposito la Corte ha precisato che, escludere dalla nozione di «responsabile» ai sensi di tale disposizione il gestore di un motore di ricerca per il solo motivo che egli non esercita alcun controllo sui dati personali pubblicati sulle pagine web di terzi, sarebbe contrario alla finalità della suddetta disposizione, consistente nel garantire, mediante un’ampia definizione di detta nozione, una tutela efficace e completa delle persone interessate (10).

14.      Il secondo punto fermo che emerge dalla giurisprudenza della Corte riguarda le potenziali gravi ingerenze nei diritti fondamentali delle persone interessate derivanti dall’operare di un motore di ricerca.

15.      Come si è già avuto modo di osservare, Internet aumenta esponenzialmente i rischi di pregiudizio ai diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali a causa delle modalità attraverso le quali si produce e si distribuisce l’informazione in rete. Ben cosciente di tale realtà, nella sentenza Google Spain, la Corte, da un lato, ha precisato che il trattamento di dati personali effettuato nell’ambito dell’attività di un motore di ricerca si distingue da e si aggiunge a quello effettuato dagli editori di siti web, consistente nel far apparire tali dati su una pagina Internet (11). Dall’altro, essa ha sottolineato che un trattamento di dati personali effettuato dal gestore di un motore di ricerca «può incidere significativamente sui diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali, nel caso in cui la ricerca con l’aiuto di tale motore venga effettuata a partire dal nome di una persona fisica, dal momento che detto trattamento consente a qualsiasi utente di Internet di ottenere, mediante l’elenco di risultati, una visione complessiva strutturata delle informazioni relative a questa persona reperibili su Internet, che toccano potenzialmente una moltitudine di aspetti della sua vita privata e che, senza il suddetto motore di ricerca, non avrebbero potuto – o solo difficilmente avrebbero potuto – essere connesse tra loro, e consente dunque di stabilire un profilo più o meno dettagliato di tale persona». L’effetto dell’ingerenza nei suddetti diritti della persona interessata risulta, inoltre, «moltiplicato in ragione del ruolo importante che svolgono Internet e i motori di ricerca nella società moderna, i quali conferiscono alle informazioni contenute in un siffatto elenco di risultati carattere ubiquitario» (12). Pertanto, secondo la Corte, «nella misura in cui l’attività di un motore di ricerca può incidere, in modo significativo e in aggiunta all’attività degli editori di siti web, sui diritti fondamentali alla vita privata e alla protezione dei dati personali, il gestore di tale motore di ricerca quale soggetto che determina le finalità e gli strumenti di questa attività deve assicurare, nell’ambito delle sue responsabilità, delle sue competenze e delle sue possibilità, che detta attività soddisfi le prescrizioni della direttiva 95/46, affinché le garanzie previste da quest’ultima possano sviluppare pienamente i loro effetti e possa essere effettivamente realizzata una tutela efficace e completa delle persone interessate, in particolare del loro diritto al rispetto della loro vita privata» (13). Nella sentenza del 24 settembre 2019, GC e a. (Deindicizzazione di dati sensibili) (14) (in prosieguo: la «sentenza GC») la Corte ha ribadito la piena applicabilità al gestore di un motore di ricerca di tutti gli obblighi che incombono al «responsabile» o al «titolare» di un trattamento di dati personali in virtù rispettivamente della direttiva 95/46 e del RGPD, incusi i divieti e le restrizioni riguardanti il trattamento di dati sensibili di cui all’articolo 8, paragrafi 1 e 5 di tale direttiva e all’articolo 9, paragrafo 1, e 10 del RGPD. In tale sentenza, essa ha precisato che se le specificità del trattamento effettuato dal gestore di un motore di ricerca nell’ambito della sua attività non possono giustificare la sua esenzione dall’osservanza di tali disposizioni, dette specificità possono tuttavia influenzare la portata della responsabilità e degli obblighi concreti che incombono a tale gestore. Poiché quest’ultimo è responsabile non del fatto che dati sensibili compaiono su una pagina web pubblicata da terzi, ma dell’indicizzazione di tale pagina, è solo a causa di tale indicizzazione che le disposizioni relative al trattamento di tali dati sono ad esso applicabili e, quindi, «per il tramite di una verifica da effettuare, sotto il controllo delle autorità nazionali competenti, sulla base di una richiesta presentata dalla persona interessata» (15).

16.      Il terzo punto fermo stabilito dalla Corte riguarda la necessità di prendere in considerazione tutti i diritti fondamentali in gioco nel contesto di una domanda di deindicizzazione rivolta al gestore di un motore di ricerca e di operare un bilanciamento di tali diritti che tenga conto, oltre che delle circostanze del caso concreto, delle caratteristiche tecnologiche dell’ambiente di Internet.

17.      A tale proposito, se, da un lato, la Corte ha escluso che l’ingerenza nei diritti fondamentali della persona interessata prodotta dalla visualizzazione di informazioni che la concernono nei risultati di una ricerca effettuata a partire dal suo nome tramite un motore di ricerca su Internet possa, data la gravità potenziale di tale ingerenza, giustificarsi sulla base del semplice interesse economico del gestore di tale motore, dall’altro lato, essa ha riconosciuto che «la soppressione di link dall’elenco di risultati potrebbe, a seconda dell’informazione in questione, avere ripercussioni sul legittimo interesse degli utenti di Internet (…) ad avere accesso a quest’ultima» (16). In tali situazioni occorre, secondo la Corte, «ricercare un giusto equilibrio segnatamente tra tale interesse e i diritti fondamentali della persona di cui trattasi derivanti dagli articoli 7 e 8 della Carta» (17). Tale esigenza è ribadita nella sentenza GC con riferimento all’articolo 17 del RGPD che ha codificato il diritto alla cancellazione dei dati personali (o «diritto all’oblio») riconosciuto dalla Corte nella sentenza Google Spain (18) e che prevede espressamente, al paragrafo 3, lettera a), come peraltro rilevato dalla stessa Corte, il requisito del bilanciamento tra i diritti sopra richiamati (19). In tale sentenza, la Corte conferma anche quanto già affermato nella sentenza Google Spain sui criteri in base ai quali effettuare tale bilanciamento, ribadendo che «sebbene i diritti della persona interessata tutelati dagli articoli 7 e 8 della Carta prevalgano, di norma, sulla libertà di informazione degli utenti di Internet, tale equilibrio può nondimeno dipendere, in casi particolari, dalla natura dell’informazione di cui trattasi e dal suo carattere sensibile per la vita privata della persona interessata, nonché dall’interesse del pubblico a disporre di tale informazione, il quale può variare, in particolare, a seconda del ruolo che tale persona riveste nella vita pubblica» (20). Al di là delle formulazioni adottate dalla Corte, emerge in particolare dalla sentenza GC che il bilanciamento si opera tra diritti fondamentali di pari rilevanza, che costituiscono condizioni imprescindibili per il buon funzionamento di una società democratica. Non si può dunque prospettare in termini astratti la prevalenza degli uni sull’altro, ma è necessario raggiungere l’equilibrio in modo tale da realizzare una coesistenza che arrechi a ciascuno dei diritti fondamentali in gioco il minor pregiudizio possibile. Discende altresì da tale sentenza che tale equilibrio si sposta dai diritti al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali enunciati agli articoli 7 e 8 della Carta verso il diritto di informare e di essere informati consacrato all’articolo 11 della Carta quanto più la persona in questione svolge un ruolo pubblico e vi è dunque un interesse degli internauti a ricevere le informazioni che la riguardano (21).

18.      Il quarto punto fermo che emerge dalla giurisprudenza della Corte è l’attribuzione al gestore del motore di ricerca, in quanto titolare del trattamento di dati personali effettuato per le esigenze di funzionamento di tale motore, del ruolo di ponderare i diritti fondamentali in gioco, al fine di assicurare che tale trattamento soddisfi le prescrizioni del RGPD (e in precedenza quelle della direttiva 95/46) (22). Tale ruolo è stato poi codificato nell’articolo 17 del RGPD.

19.      Quando viene in rilievo il «diritto all’oblio», il gestore del motore di ricerca è dunque tenuto a decidere, sulla base dell’insieme dei diritti e degli interessi coinvolti e alla luce dell’insieme delle circostanze del singolo caso di specie, quali contenuti sono da ricomprendere nell’elenco delle ricerche effettuate per il tramite di tale motore e quali invece sono da escludere da tale elenco. Qualora il responsabile (o titolare in virtù del RGPD) del trattamento non dia seguito alla domanda di deindicizzazione, la persona interessata può adire l’autorità di controllo o l’autorità giudiziaria affinché queste effettuino le verifiche necessarie e ingiungano al gestore l’adozione delle misure conseguenti (23). In tale contesto, giova ricordare che, il 26 novembre 2014, il gruppo di lavoro articolo 29 (24) ha adottato delle linee guida per l’implementazione della sentenza Google Spain (25), intese a fornire informazioni su come le autorità di protezione dei dati riunite in seno al gruppo di lavoro intendano dare esecuzione a tale sentenza. Tali linee guida contengono altresì un elenco non esaustivo dei criteri comuni che le autorità di protezione dei dati applicheranno nel trattare, caso per caso, i reclami presentati ai loro uffici nazionali in seguito al rifiuto di cancellazione dall’elenco dei risultati da parte dei motori di ricerca. È in applicazione di tali linee guida che, in particolare, Google procede all’esame delle domande di deindicizzazione che le vengono rivolte.

20.      È alla luce dei principi fin qui esposti che occorre esaminare le questioni pregiudiziali poste dal BGH.

B.      Sulla prima questione pregiudiziale

21.      Google contesta la ricevibilità della prima questione pregiudiziale che avrebbe carattere ipotetico poiché la soluzione prospettata dal BGH si presenterebbe sotto la forma di una costruzione astratta, svincolata dai fatti della causa principale. La Corte non disporrebbe inoltre degli elementi necessari a dare una risposta utile.

22.      A tale proposito, ritengo vada in primo luogo disatteso l’argomento di Google secondo cui la decisione di rinvio non sarebbe, sul punto, adeguatamente circostanziata. Il BGH ha infatti, a mio avviso, fornito un quadro sufficientemente preciso e completo del contesto fattuale che caratterizza la controversia sottoposta al suo esame e della necessità, in tale contesto, di ottenere una risposta alla prima questione pregiudiziale. La Corte dispone di tutti gli elementi necessari a rispondere a tale questione e ciò indipendentemente dal fatto che il giudice del rinvio non precisi né se i ricorrenti nel procedimento principale dispongano effettivamente di una tutela giurisdizionale nei confronti del fornitore di contenuti né quali sarebbero le conseguenze di un eventuale accertamento negativo di tale circostanza. In secondo luogo, il solo fatto che, ad avviso del BGH, sia necessario, ai fini della soluzione della controversia sottoposta al suo esame, verificare in via preliminare la correttezza della metodologia che esso ritiene applicabile in una situazione quale quella del procedimento principale, definita in termini generali ed astratti, non implica che la questione pregiudiziale con cui la Corte viene interrogata al riguardo assuma carattere ipotetico, ove risulti che la risposta a tale questione è suscettibile di consentire al giudice del rinvio, previ gli accertamenti fattuali necessari, di risolvere la controversia principale. Infine, rilevo che gli ulteriori argomenti avanzati da Google a sostegno dell’irricevibilità della prima questione pregiudiziale vertono in sostanza sulle implicazioni di un’eventuale accoglimento da parte della Corte della soluzione proposta dal giudice del rinvio e riguardano quindi il merito di tale questione.

a)      Osservazioni preliminari

23.      Con la prima questione pregiudiziale, la Corte è chiamata in sostanza a precisare quali siano gli obblighi che incombono al gestore di un motore di ricerca nel trattare una domanda di deindicizzazione che si fonda sull’allegazione, non accompagnata da elementi di prova, della falsità di talune delle informazioni che figurano nel contenuto indicizzato, nella specie alcuni articoli contenenti dati e commenti sul modello di investimento e sui risultati delle società gestite dai ricorrenti nel procedimento principale. Considerando, alla luce in particolare del contesto professionale degli articoli in questione e dell’importanza dell’informazione per gli investitori dato il settore a rischio in cui operano i ricorrenti (26), che una deindicizzazione non si giustificherebbe se non nel caso in cui le informazioni contestate fossero realmente false, il BGH si chiede se spetti ai ricorrenti nel procedimento principale apportare la prova, o un certo grado di evidenza, della non veridicità di tali informazioni ovvero se incomba a Google presumere fondate le allegazioni di detti ricorrenti e procedere alla deindicizzazione richiesta o cercare di chiarire essa stessa i fatti. Il BGH propone di risolvere la questione in funzione dell’esistenza di una ragionevole possibilità, per la persona interessata, di ottenere una protezione giurisdizionale, ad esempio tramite una misura provvisoria, direttamente contro il fornitore del contenuto e interroga, in sostanza, la Corte sulla correttezza di un’interpretazione dell’articolo 17, paragrafo 3, lettera a), del RGPD in tal senso.

24.      Con argomentazioni parzialmente diverse, tutte le parti e gli interessati che hanno presentato osservazioni nel presente procedimento si oppongono alla soluzione proposta dal BGH (27), quanto meno nella misura in cui tale soluzione implichi, contrariamente alla giurisprudenza richiamata ai paragrafi da 11 a 19 delle presenti conclusioni, che il bilanciamento di interessi ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 3, lettera a), del RGPD sia effettuato in base al solo criterio dell’esistenza di una ragionevole possibilità di tutela giurisdizionale nei confronti del fornitore del contenuto.

25.      Per parte mia, rilevo che risulta chiaramente dalla decisione di rinvio che il BGH si è posto la questione dell’eventuale rilevanza da accordare al suddetto criterio solo dopo aver effettuato un bilanciamento dei diritti enunciati agli articoli 7, 8 e 11 della Carta sulla base dell’insieme delle circostanze del caso di specie e aver concluso, muovendo dall’ipotesi della veridicità delle informazioni oggetto di contestazione, nel senso della prevalenza del diritto degli internauti all’informazione. L’ipotesi cui si riferisce il BGH è dunque quella in cui, debitamente ponderati tutti gli altri fattori pertinenti, l’accoglimento o il rigetto della domanda di deindicizzazione dipende unicamente dalla veridicità o dalla falsità delle informazioni di cui si chiede la cancellazione. Ne consegue che un’eventuale risposta affermativa della Corte alla questione posta dal BGH non avrebbe come conseguenza che l’accoglimento o il rigetto di una domanda di deindicizzazione fondata sulla pretesa inesattezza delle informazioni rese accessibili dal motore di ricerca dipenderebbe dalla sola circostanza della possibilità, per la persona interessata, di ottenere una protezione nei confronti del fornitore del contenuto, né, contrariamente a quanto sostiene Google, implicherebbe, nel caso in cui tale protezione non fosse disponibile, che il gestore di un motore di ricerca sarebbe automaticamente tenuto a procedere alla deindicizzazione. Siffatti risultati sarebbero peraltro contrari a una corretta articolazione tra le disposizioni di cui ai paragrafi 1 e 3, lettera a), dell’articolo 17 del RGPD, che esclude ogni automatismo suscettibile d’interferire con la realizzazione da parte del titolare del trattamento, dell’autorità di controllo o del giudice del necessario bilanciamento dei diritti fondamentali in gioco. Una risposta affermativa della Corte alla prima questione pregiudiziale implicherebbe semplicemente che, laddove il diritto all’informazione degli utenti di internet e la libertà d’espressione del fornitore del contenuto appaiano, sulla base dell’insieme delle circostanze pertinenti, prevalere sui diritti del richiedente e l’accoglimento della domanda di deindicizzazione si giustifichi solo nel caso di effettiva falsità delle informazioni contestate, sarebbe permesso al giudice nazionale e, in fase precontenziosa, al gestore del motore di ricerca, fondarsi in modo determinante, ove tale falsità non sia manifesta e il richiedente non abbia apportato quanto meno un inizio di prova in tal senso, sulla suddetta circostanza. A ben vedere, peraltro, l’esistenza o meno di una ragionevole possibilità di ottenere una tutela giurisdizionale nei confronti del fornitore di contenuti non solo non può, di per sé, costituire un criterio esclusivo o determinante ai fini del rigetto o dell’accoglimento di una domanda di deindicizzazione, qualunque ne sia il fondamento, ma non costituisce nemmeno un criterio pertinente ai fini del bilanciamento da operare ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 3, lettera a), del RGPD. In effetti, di per sé, detto criterio nulla dice sull’esistenza di un diritto alla cancellazione dei dati che figurano nel contenuto controverso né sulla necessità, per l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione, di mantenere l’indicizzazione di tale contenuto.

26.      Fatte tali precisazioni, ai fini della risposta da dare alla prima questione pregiudiziale, occorre, a mio avviso, partire dal chiarire l’importanza, nella ponderazione dei diritti fondamentali in gioco in una fattispecie quale quella in esame nel procedimento principale, da un lato, del ruolo svolto dalla persona interessata nella vita pubblica ai sensi della giurisprudenza della Corte e, dall’altro, dell’esistenza di una contestazione circa la veridicità delle informazioni trattate.

b)      Lingerenza nei diritti fondamentali tutelati dagli articoli 7 e 8 della Carta e il ruolo della persona nella vita pubblica

27.      I diritti fondamentali al rispetto della vita privata ed alla tutela dei dati personali, nonostante la loro rilevanza nel diritto costituzionale dell’Unione, non rivestono carattere assoluto (28). Come emerge in particolare dall’articolo 17, paragrafo 3, lettera a), del RGPD, il diritto alla protezione dei dati personali deve essere considerato in relazione alla sua funzione sociale ed essere bilanciato con altri diritti fondamentali, conformemente al principio di proporzionalità (29). In quest’opera di bilanciamento occorre dare il giusto peso al diritto di informare del titolare della pagina web di cui si chiede la deindicizzazione e al diritto del pubblico a ricevere l’informazione contenuta in tale pagina web.

28.      Ora, come emerge dalla giurisprudenza della Corte richiamata sopra, questo interesse può variare, in particolare, a seconda del «ruolo che riveste nella vita pubblica» la persona cui si riferisce l’informazione. Tale espressione ricomprende, per quanto di interesse nel presente procedimento, non solo situazioni in cui tale persona riveste cariche politiche, che, per definizione, la espongono al controllo democratico dell’opinione pubblica, ma anche situazioni in cui essa assume ruoli economici di rilievo (30). Più in generale, il buon funzionamento del mercato ha come condizione imprescindibile la fiducia sia degli altri operatori economici che dei consumatori. Tale fiducia richiede l’accesso del pubblico alle informazioni che riguardano le persone che rivestono ruoli professionali suscettibili di incidere sulle dinamiche di mercato e sugli interessi dei consumatori, talora in modo addirittura più marcato rispetto agli atti dei decisori politici. Naturalmente queste informazioni sono essenzialmente quelle riferibili ai loro ruoli professionali ma possono estendersi anche ad aspetti della loro sfera privata qualora essi siano legati o possano comunque condizionare la loro attività professionale e incidere sulla fiducia del pubblico. Sotto questo profilo, giova rilevare che la Corte ha già avuto modo di affermare che l’accettazione di un ruolo economico comporta l’accettazione di una limitazione dell’ambito di tutela della vita privata (31).

29.      Nel caso in cui la persona interessata rivesta un ruolo pubblico nel senso sopra precisato, non solo ove tale ruolo sia effettivamente prominente, ma anche nel caso in cui abbia un ambito più limitato, nel quadro del bilanciamento da effettuarsi ai sensi dell’articolo 17, paragrafi 1 e 3, del RGPD, il diritto ad informare e il diritto a essere informati possono assumere, alla luce dell’insieme delle circostanze pertinenti, un peso prevalente rispetto ai diritti fondamentali tutelati dagli articoli 7 e 8 della Carta. Nelle circostanze del procedimento principale, militano nel senso di una tale prevalenza, come rilevato dal giudice del rinvio, anche il contesto professionale e la natura giornalistica delle pubblicazioni in questione, nonché la natura delle informazioni contestate, che riguardano prevalentemente l’operato delle società gestite dai ricorrenti.

c)      La veridicità dellinformazione e le modalità del bilanciamento

30.      La tendenza del diritto alla libertà di espressione e di informazione a prevalere sul diritto alla tutela della vita privata e sul diritto alla protezione dei dati personali ove la persona interessata rivesta un ruolo di rilievo nella vita pubblica si inverte nel caso in cui si appuri il carattere non veritiero delle informazioni oggetto della domanda di deindicizzazione. In una siffatta ipotesi, anzi, potrebbe probabilmente sostenersi che in realtà il diritto di informare e il diritto di essere informati non entrano neanche in gioco, non potendo questi ultimi ricomprendere il diritto di diffondere e di accedere a falsità. Anche senza tagliare il nodo gordiano del rapporto tra diritto alla libertà di espressione e di informazione e veridicità dell’informazione (32), può più semplicemente osservarsi che tale diritto, nella sua duplice valenza, attiva e passiva, se riferito ad un’informazione falsa, non può comunque essere posto sullo stesso piano dei diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla tutela dei dati personali. In questo caso, infatti, opera un criterio di prevalenza radicato in uno dei valori fondamentali dell’Unione europea, che è quello della dignità umana.

31.      L’articolo 2 TUE, ricollegandosi peraltro alle tradizioni costituzionali degli Stati membri, nell’elenco dei valori su cui si fonda l’Unione pone al primo posto il rispetto della dignità umana. Dal canto suo, l’articolo 1 della Carta afferma perentoriamente che «la dignità umana è inviolabile» e che «deve essere rispettata e tutelata». Nell’«Unione di valori» che è l’Unione, la dignità umana ha una sorta di primazia, è il punto di appoggio su cui si basa gran parte della costruzione europea. Se la dignità umana è inviolabile e deve essere sempre rispettata e tutelata, senza che siano previsti, come avviene per la gran parte dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta, degli interessi che ne giustifichino la limitazione, non potrà invocarsi nessuna ragione giuridica, neppure quella che si riferisce all’esercizio di un diritto fondamentale, per sacrificarla (33). Ora, un’informazione non veritiera non soltanto lede il diritto fondamentale della persona cui si riferisce alla tutela dei dati personali, ma finisce per colpire la sua dignità, poiché ne prospetta una rappresentazione falsa, producendo un’alterazione della sua identità. Ciò vale soprattutto nell’ecosistema di Internet, in cui l’informazione si diffonde rapidamente, è permanente e, grazie all’operato dei motori di ricerca, determina una profilazione accurata della persona. Nel mondo dei bit, la diffusione di informazioni false sul conto di qualcuno è uno sfregio permanente della sua identità, che, oggi, è definita soprattutto nella rete, e un pregiudizio grave alla sua dignità.

32.      Ciò detto, rilevo che lo stesso RGPD offre una chiara risposta alla questione del rilievo da attribuire alla veridicità dei dati personali trattati. Fra i principi applicabili al trattamento di tali dati, elencati all’articolo 5, paragrafo 1, di tale regolamento, figura, alla lettera d), il principio di «esattezza», in base al quale, da un lato, i dati personali devono essere «esatti e, se necessario, aggiornati» e, dall’altro, «i dati inesatti rispetto alle finalità per le quali sono trattati» devono essere cancellati o rettificati tempestivamente (34). L’esattezza dei dati costituisce, secondo la Corte, una delle «condizioni di liceità» del trattamento dei dati personali (35) ed entra quindi in rilievo ai fini, in particolare, dell’applicazione dell’articolo 17, paragrafo 1, lettera d), RGDP.

33.      Laddove venga in rilievo la veridicità dell’informazione trattata dal gestore del motore di ricerca, come nella fattispecie in causa nel procedimento principale, la questione del bilanciamento dei diritti fondamentali in gioco si pone dunque in termini del tutto peculiari, quanto meno nella fase in cui la veridicità o la falsità dell’informazione non sia ancora stata accertata. In questa fase, la questione centrale è infatti quella di stabilire qual è il soggetto che deve procedere a un tale accertamento e con quali modalità.

34.      Prima di affrontare tale questione, ritengo opportuno fare ancora alcune precisazioni sul modo in cui si presenta l’operazione di bilanciamento tra i diritti fondamentali in gioco ove si tratti dell’attività dei motori di ricerca.

d)      Il bilanciamento tra diritti fondamentali in rapporto alle possibilità, le competenze e le responsabilità del gestore del motore di ricerca

35.      Le modalità del bilanciamento tra diritti fondamentali confliggenti che incombe al gestore di un motore di ricerca nell’esaminare una domanda di deindicizzazione risentono necessariamente delle caratteristiche del contesto tecnologico in cui si colloca il conflitto. La tensione tra la libertà di informazione, nel suo duplice aspetto attivo e passivo, da una parte, e i diritti al rispetto della vita privata e alla tutela dei dati personali, dall’altro, si atteggia diversamente nel mondo dei bit. La tecnologia di Internet non soltanto condiziona il modo in cui il diritto all’informazione e i diritti al rispetto della vita privata e alla tutela dei dati personali interagiscono, ma anche le modalità del loro bilanciamento. È per tale ragione che la giurisprudenza della Corte sul «diritto all’oblio» sopra richiamata fa riferimento alle «possibilità» del gestore di un motore di ricerca, alle sue «competenze» e alle sue «responsabilità». Ciò vale anche nel caso in cui la domanda di deindicizzazione sia fondata sulla pretesa falsità delle informazioni che figurano nella pagina web cui rinvia il link da deindicizzare. Il gestore di un motore di ricerca non può essere obbligato a svolgere un monitoraggio generalizzato sui contenuti ospitati e a verificare la veridicità degli stessi. Un simile monitoraggio sarebbe peraltro estremamente difficile da operare. Allo stesso modo non rientra nelle possibilità del gestore di un motore di ricerca verificare a posteriori se il contenuto di un articolo pubblicato su una pagina web inserita nell’elenco dei risultati di una ricerca è vero o falso, non disponendo delle informazioni che sono a disposizione dell’editore web e non disponendo dei poteri per effettuare un tale accertamento.

36.      Al tempo stesso, però, non si può non tenere conto della speciale responsabilità che ha il gestore di un motore di ricerca in quanto «gatekeeper» dell’informazione. Dal momento che svolge un ruolo attivo, non meramente tecnico e neutrale, nella diffusione dell’informazione in rete, sul quale ha costruito il suo modello di business e da cui trae i propri profitti, tale gestore dovrà parimenti svolgere un ruolo attivo nell’eliminazione dai risultati della ricerca di contenuti in cui figurano dati personali falsi, purché tale ruolo resti nell’ambito delle sue competenze e delle sue possibilità. In proposito, rilevo che la speciale responsabilità connessa alla funzione di «gatekeeper» dell’informazione che hanno determinate piattaforme, è sottolineata dalla sentenza del 3 ottobre 2019, Glawischnig-Piesczek (36), in cui la Corte ha statuito che le disposizioni della direttiva sul commercio elettronico (37) non precludono ai giudici nazionali di ordinare a un prestatore di servizi di hosting di rimuovere o bloccare l’accesso non solo a un’informazione dichiarata precedentemente illecita, in quanto diffamatoria, ma anche a contenuti equivalenti, al fine di evitare una sua disseminazione malgrado la rimozione del contenuto originario. L’effettività della tutela dei diritti individuali in relazione alle precipue modalità attraverso cui si diffonde l’informazione in Internet giustifica, dunque, secondo la Corte, anche a detrimento degli interessi economici della piattaforma, un obbligo specifico di monitoraggio (un monitoraggio generale sarebbe incompatibile con l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva sul commercio elettronico) purché non si determini un peso eccessivo sugli intermediari. Nella medesima direzione si muovono le misure dirette a contrastare la diffusione della disinformazione e dei discorsi d’odio nella rete (38) e la tendenza del diritto dell’Unione a imporre alle piattaforme come Google, in campi specifici, maggiori obblighi di controllo in relazione ai contenuti ospitati (39).

e)      Le diverse soluzioni prospettate nel presente procedimento 

37.      Nel quadro generale fin qui tratteggiato, le soluzioni prospettate in particolare dalle parti nel procedimento principale e dal giudice del rinvio non mi convincono.

38.      Contrariamente a quanto prospettano i ricorrenti nel procedimento principale, non si può procedere a una deindicizzazione sulla base della sola richiesta unilaterale dell’interessato che asserisce, senza provarlo, che il contenuto in questione contiene informazioni false, soprattutto se, come sembra essere il caso di tali ricorrenti, si tratta di persone rispetto alla cui attività, per il ruolo che occupano nel mercato, sussiste in linea di principio un diritto del pubblico all’informazione. Una simile soluzione rimetterebbe alla scelta unilaterale dell’interessato la deindicizzazione dei contenuti che lo riguardano, senza possibilità di sindacare la fondatezza delle allegazioni suscettibili di giustificarla, e determinerebbe un sacrificio eccessivo e ingiustificato del diritto di informare dell’editore web e del diritto del pubblico di essere informato, disconoscendo il ruolo che tali diritti hanno in una società democratica.

39.      Non convince però neppure la soluzione prospettata da Google, che, escludendo qualsiasi coinvolgimento del gestore del motore di ricerca, imporrebbe alla persona interessata di rivolgersi all’editore della pagina web chiedendo la rimozione del contenuto di cui si contesta la falsità. Se si dovesse seguire una tale soluzione, l’arma nelle mani di chi ritiene lesi i suoi diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali sarebbe un’arma spuntata. Di fronte al diniego di rimozione dell’informazione da parte dell’editore web, infatti, questa continuerebbe a essere diffusa grazie al motore di ricerca e, nel caso in cui fosse effettivamente falsa, continuerebbe a ledere in modo ingiustificato i diritti fondamentali della persona interessata. Siamo, perciò, nell’ipotesi opposta a quella precedente, in cui il bilanciamento tra i diversi diritti fondamentali sarebbe integralmente a favore del diritto all’informazione con un sacrificio sproporzionato e ingiustificabile dei diritti fondamentali tutelati dagli articoli 7 e 8 della Carta.

40.      Per quanto concerne, infine, la soluzione prospettata dal giudice del rinvio, che obbliga la persona interessata, ove possibile, a rivolgersi all’autorità giudiziaria contro l’editore web, essa conduce altresì, a mio avviso, a un sacrificio sproporzionato dei diritti di cui agli articoli 7 e 8 della Carta. In primo luogo, la rapidità con cui si diffonde l’informazione in Internet e la difficoltà di una successiva rimozione, ove sia accertata la falsità della stessa, confligge con i tempi delle procedure giudiziarie, sia pure d’urgenza, e il pregiudizio che ne deriva per la persona interessata potrebbe essere anche irreparabile. In secondo luogo, tale soluzione potrebbe rivelarsi difficilmente praticabile in tutti quei casi, che non sono infrequenti nell’ecosistema di Internet, in cui esistono consistenti ostacoli pratici a citare in giudizio il gestore del sito web in cui figura il contenuto contestato, che può risiedere in uno Stato terzo o essere di difficile identificazione. Inoltre, qualora si riconoscesse alla possibilità di agire in giudizio contro il fornitore del contenuto un’importanza decisiva ai fini della tutela dei diritti della persona interessata in circostanze quali quelle del procedimento principale ne conseguirebbe una deresponsabilizzazione del gestore del motore di ricerca, in sé contraria sia al riconoscimento della natura autonoma del trattamento dei dati personali collegato all’operatività dei motori di ricerca, sia al principio, stabilito dalla Corte, secondo cui la persona interessata deve potersi rivolgere al titolare di tale trattamento ai fini di ottenere la deindicizzazione dei dati che la concernono indipendentemente da una previa cancellazione di tali dati da parte del soggetto che per primo ha messo in linea il contenuto controverso. Come ho già avuto modo di osservare, tale principio, unitamente al ruolo riconosciuto ai motori di ricerca nella diffusione dei contenuti su internet e conseguentemente nell’amplificazione del pregiudizio che deriva per i singoli dalla pubblicazione online di informazioni che li riguardano si oppone infatti a qualunque soluzione che sollevi il gestore di un motore di ricerca dall’obbligo, che gli incombe in quanto titolare del trattamento, di rispettare le condizioni di liceità del trattamento, tra le quali figura l’esattezza dei dati trattati.

41.      In ognuna delle soluzioni passate in rassegna la bilancia pende totalmente a favore di uno dei diritti in giuoco, mentre occorre trovare un punto di equilibrio che porti al minore sacrificio possibile dei diritti fondamentali coinvolti. Negli sviluppi che seguono spiegherò come, a mio avviso, va individuato questo punto di equilibrio.

f)      La soluzione proposta e il «procedural data due process»

42.      In una fattispecie come quella in causa nel procedimento principale, in cui il diritto alla deindicizzazione dipende in sostanza dall’accertamento della veridicità delle informazioni che figurano nel contenuto deindicizzato e quindi dall’esattezza dei dati personali trattati dal gestore del motore di ricerca, l’unica via percorribile consiste, a mio avviso, nell’individuazione di una specifica «procedural fairness».

43.      Nell’ecosistema di Internet si sono affermati «poteri privati» – anche a causa delle caratteristiche tecniche del mezzo e delle dinamiche economiche che portano inevitabilmente alla concentrazione di potere economico e sociale in capo a poche piattaforme – che possono condizionare fortemente l’esercizio dei diritti fondamentali, segnatamente quelli enunciati agli articoli 7, 8 e 11 della Carta. In particolare, l’incidenza sul godimento effettivo di tali diritti fondamentali è una conseguenza ineluttabile del ruolo di «gatekeepers» dell’informazione che alcune di tali piattaforme svolgono. Per far fronte a questo fenomeno, nella giurisprudenza sul «diritto all’oblio», la Corte ha in sostanza riconosciuto efficacia orizzontale diretta ai diritti fondamentali di cui agli articoli 7 e 8 della Carta. Il passo logicamente conseguenziale, per rendere effettivi tali diritti, è quello di riconoscere ai privati sufficienti garanzie procedurali nei confronti delle piattaforme elettroniche responsabili del trattamento dei dati personali, cui corrispondano correlativi obblighi in capo a queste ultime, adeguati naturalmente alle caratteristiche del mezzo tecnologico e alle peculiarità dei conflitti tra diritti fondamentali che si svolgono nell’ambiente di Internet. Nel mondo di Internet si avverte, a mio modo di vedere, il bisogno di una qualche forma di «procedural data due process» (40).

44.      Un privato ha, in base al RGPD, il diritto di chiedere la deindicizzazione di una pagina web contenete dati che lo riguardano e che egli considera non veritieri. L’esercizio di tale diritto comporta tuttavia, a mio avviso, l’onere di indicare gli elementi su cui si basa la richiesta e di fornire un principio di prova della falsità dei contenuti di cui si richiede la deindicizzazione, ove ciò non risulti, in particolare in relazione alla natura delle informazioni di cui trattasi, manifestamente impossibile o eccessivamente difficile (41). L’imposizione di un tale onere appare coerente con la lettera e all’economia del RGPD, in cui i diversi diritti di rettifica, cancellazione, limitazione del trattamento e opposizione, riconosciuti all’interessato sono sottoposti a condizioni specifiche e spetta a chi intende avvalersene allegare l’esistenza delle relative condizioni.

45.      A fronte di una tale richiesta di deindicizzazione, il gestore del motore di ricerca, in virtù del ruolo che svolge nella diffusione dell’informazione e delle responsabilità che ne derivano, è tenuto a effettuare le verifiche dirette a confermare o meno la fondatezza della domanda e che rientrano nelle sue concrete possibilità. Tali verifiche potranno effettuarsi sui dati che ospita e che si riferiscono alla persona in questione e all’editore della pagina web ove è pubblicato il contenuto contestato, dati che il gestore del motore di ricerca può analizzare rapidamente ricorrendo agli strumenti tecnologici di cui dispone. Inoltre, purché possibile, il gestore del motore di ricerca dovrà attivare rapidamente un contraddittorio con l’editore web che ha diffuso inizialmente l’informazione, che sarà in tal modo messo nella condizione di esporre le ragioni a sostegno della veridicità dei dati personali trattati e della liceità del trattamento. Infine, il gestore del motore di ricerca dovrà decidere sull’accoglimento o meno della domanda di deindicizzazione, dando conto succintamente delle ragioni della decisione.

46.      Solo nel caso in cui permangano dubbi consistenti sulla veridicità o falsità delle informazioni in questione o qualora il peso delle informazioni false nel contesto della pubblicazione di si tratta è manifestamente poco rilevante e tali informazioni non hanno un carattere sensibile, il gestore del motore di ricerca potrà rigettare la domanda. La persona interessata potrà allora rivolgersi all’autorità giudiziaria, che ha il potere di fare le verifiche del caso, o all’autorità di controllo di cui all’articolo 51 del RGPD, nel quadro di un reclamo contro la decisione del gestore del motore di ricerca.

47.      Se il contenuto riguarda una persona che ha un ruolo pubblico, secondo l’accezione precedentemente indicata, poiché il diritto all’informazione ha, in linea di principio, un peso maggiore di quelli enunciati agli articoli 7 e 8 della Carta, la scelta di deindicizzare dovrà fondarsi su dei riscontri particolarmente pregnanti circa la falsità delle informazioni. In casi del genere, ove residui un ragionevole dubbio sulla veridicità o falsità dell’informazione, la deindicizzazione dovrà, a mio avviso, escludersi. In ogni caso, a maggior ragione quando il contenuto controverso riguarda una persona in virtù del ruolo che essa riveste nella vita pubblica, non potrà accordarsi la deindicizzazione ove si esprimano solo opinioni, sia pure fortemente critiche e anche dai toni molto vivaci e irriverenti, o si tratti di satira (42). La rettifica dei dati non veritieri riguarda, infatti, informazioni sui dati e non opinioni, che contribuiscono comunque allo sviluppo del dibattito pubblico in una società democratica, purché non scivolino nella diffamazione. È chiaro, invece, che, anche in caso di iniziale rigetto della domanda, il gestore del motore di ricerca sarà tenuto a procedere alla deindicizzazione ove la falsità dell’informazione sia ulteriormente accertata giudizialmente.

48.      Infine, qualora le circostanze del caso lo consiglino al fine di evitare un pregiudizio irreparabile per la persona interessata, il gestore del motore di ricerca potrà procedere ad una sospensione temporanea dell’indicizzazione (43), oppure all’indicazione, nei risultati della ricerca, che la veridicità di talune delle informazioni che figurano nel contenuto cui rinvia il link in questione è contestata (44), fermo restando, comunque, il diritto, in primis, dell’editore web di contestare una tale iniziativa dinanzi all’autorità giudiziaria.

49.      La soluzione proposta realizza, a mio avviso, una composizione equilibrata dei diversi diritti coinvolti sfuggendo altresì al pericolo di trasformare Google nel «giudice della verità» o di realizzare una sorta di censura privata dell’informazione sulla rete. Quest’ultimo rischio potrebbe facilmente realizzarsi ove si imponessero al motore di ricerca obblighi generali di non ospitare pubblicazioni contenenti informazioni false ovvero obblighi generali di accertamento della falsità o meno di informazioni oggetto di una domanda di deindicizzazione. In questo caso, infatti, per evitare eventuali responsabilità il motore di ricerca sarebbe incoraggiato a deindicizzare tutti i contenuti dubbi, anche in assenza di elementi che ragionevolmente portino a ritenerli falsi, con grave pregiudizio della libertà d’informazione. Per contrastare tale rischio giova la proceduralizzazione dell’esercizio del diritto alla deindicizzazione, che ponga specifici oneri a tutte le parti coinvolte.

50.      Sulla base dell’insieme delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di rispondere alla prima questione pregiudiziale che l’articolo 17, paragrafo 3, lettera a), del RGPD deve essere interpretato nel senso che, ai fini della ponderazione da effettuarsi tra i diritti fondamentali in conflitto di cui agli articoli 7, 8, 11 e 16 della Carta nell’ambito dell’esame di una domanda di deindicizzazione presentata al gestore di un motore di ricerca sul fondamento della pretesa falsità delle informazioni che figurano nel contenuto indicizzato non ci si può basare in modo decisivo sulla circostanza se l’interessato possa ragionevolmente ottenere una tutela giuridica nei confronti del fornitore del contenuto, per esempio attraverso un’ingiunzione. Nell’ambito di una tale domanda, incombe all’interessato fornire un principio di prova della falsità dei contenuti di cui si richiede la deindicizzazione ove ciò non risulti, in particolare in relazione alla natura delle informazioni di cui trattasi, manifestamente impossibile o eccessivamente difficile. Spetta al gestore del motore di ricerca effettuare le verifiche circa l’allegata inesattezza dei dati trattati che rientrano nelle sue concrete possibilità, anche contattando, ove possibile, l’editore della pagina web indicizzata. Qualora le circostanze del caso lo consiglino al fine di evitare un pregiudizio irreparabile per la persona interessata, il gestore del motore di ricerca potrà procedere ad una sospensione temporanea dell’indicizzazione, oppure all’indicazione, nei risultati della ricerca, che la veridicità di talune delle informazioni che figurano nel contenuto cui rinvia il link in questione è contestata.

C.      Sulla seconda questione pregiudiziale

51.      Con la seconda questione pregiudiziale, il BGH chiede in sostanza alla Corte se, ai fini della ponderazione tra i diritti e gli interessi in conflitto di cui agli articoli 7, 8, 11 e 16 della Carta, da effettuarsi ai sensi degli articoli 12, lettera b), e 14, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 95/46 e dell’articolo 17, paragrafo 3, lettera a), del RGPD, nell’ambito di una domanda di deindicizzazione indirizzata al gestore di un motore di ricerca, nella sua qualità di titolare del trattamento, e volta ad ottenere la rimozione dai risultati di una ricerca per immagini, effettuata a partire dal nome di una persona fisica, di fotografie, visualizzate sotto forma di miniature, che rappresentano tale persona, si debba tener conto in modo determinante del contesto della pubblicazione su Internet in cui compaiono originariamente le suddette fotografie, contesto che il motore di ricerca non visualizza, ma al quale si limita a rinviare tramite un link che appare contestualmente alle suddette miniature. Il BGH spiega che se, prese isolatamente, le foto dei ricorrenti non apportano nessun contributo al dibattito pubblico, tuttavia, nel contesto dell’articolo in cui si inseriscono, esse contribuiscono a veicolare le informazioni e le opinioni che vi sono espresse.

52.      Google ritiene che tale questione sia ipotetica, da un lato, poiché, contrariamente a quanto emergerebbe dalla decisione di rinvio, la controversia principale non avrebbe ad oggetto una domanda di deindicizzazione dei risultati di una ricerca per immagini effettuata a partire dal nome dei ricorrenti, ma il divieto generale di visualizzare le miniature delle immagini che compaiono in uno degli articoli controversi e, dall’altro, perché le fotografie in questione non sarebbero più indicizzate da Google dal mese di settembre 2017 e gli articoli controversi non sarebbero più disponibili sul sito g-net a partire dal 28 giugno 2018. A questo proposito, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante della Corte, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolarità del caso, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale ai fini della pronuncia della propria decisione, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte (45). Il diniego della Corte di statuire su una questione pregiudiziale proposta da un giudice nazionale è possibile solo quando appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcuna relazione con la realtà effettiva o con l’oggetto della causa principale, qualora il problema sia di natura teorica oppure, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una risposta utile alle questioni che le vengono sottoposte (46). Nel caso di specie, non risulta manifestamente dal fascicolo di cui dispone la Corte che l’interrogativo del giudice del rinvio sull’interpretazione delle disposizioni della direttiva 95/46 e del RGPD non sia reale, o che la loro interpretazione non abbia alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto del procedimento principale. Quanto, in particolare, al fatto che né le fotografie in questione né gli articoli controversi appaiano più sul sito g-net, il giudice del rinvio spiega che esso parte dal principio che la rimozione di tali contenuti ha un carattere puramente temporaneo e che i ricorrenti nel procedimento principale conservano un interesse a che sia deciso sulla loro domanda di deindicizzazione. In siffatte circostanze, la realtà e l’utilità dell’interpretazione richiesta non possono, a mio avviso, essere revocate in dubbio.

53.      Passando al merito del quesito posto dal BGH, occorre anzitutto rilevare che, come correttamente osservato da Google, alle ricerche nominative per immagini attraverso un motore di ricerca su Internet si applicano le stesse regole che si applicano alle ricerche sul web. La giurisprudenza della Corte sopra richiamata, ai paragrafi da 11 a 19 delle presenti conclusioni, vale quindi anche nel caso di domande di deindicizzazione che si riferiscono ai risultati di questo tipo di ricerche. La visualizzazione, in tali risultati, di fotografie di persone fisiche sotto forma di miniature costituisce un trattamento di dati personali di cui il gestore del motore di ricerca assume la veste di «responsabile» o «titolare» ai sensi rispettivamente dell’articolo 2, lettera d), della direttiva 95/46 e dell’articolo 4, punto 7, del RGPD, rispondendo, nell’ambito delle sue responsabilità, delle sue competenze e delle sue possibilità, del rispetto delle prescrizioni contenute in tali atti. Nel caso di una domanda di deindicizzazione dei risultati di una ricerca per immagini, il gestore del motore di ricerca dovrà effettuare un bilanciamento tra i diversi diritti fondamentali in gioco e valutare se prevalgano i diritti dell’interessato al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali o la libertà di espressione e d’informazione. Nel fare ciò egli dovrà prendere in considerazione l’insieme degli elementi pertinenti (47).

54.      La questione di sapere se, tra tali elementi, debba figurare altresì il contenuto della pagina web nel quale la fotografia di cui si chiede la rimozione è inserita dipende, a mio avviso, dalla corretta identificazione dell’oggetto del trattamento di cui trattasi nonché dalla natura di tale trattamento. Nella controversia principale, come si è detto, i ricorrenti chiedono la deindicizzazione di quattro fotografie che li raffigurano. Orbene, tale domanda non ha ad oggetto né le informazioni contenute nel testo dell’articolo che appare sulla pagina web dell’editore contestualmente alle suddette fotografie, né queste ultime nella loro funzione di supporto visivo e descrittivo di tale testo e in quanto parte integrante dell’articolo in questione. L’indicizzazione tramite una ricerca web del link che rinvia a tale articolo e alle foto che esso contiene costituisce un distinto trattamento, avente un distinto oggetto, al quale i ricorrenti si oppongono con una separata domanda di deindicizzazione (riguardo alla quale il BGH ha sollevato la prima questione pregiudiziale).

55.      Reperendo le fotografie di persone fisiche pubblicate su Internet e riproducendole, nei risultati di una ricerca per immagini, sotto forma di miniature, indipendentemente dal contenuto nel quale si inseriscono e spogliandole del valore eventualmente informativo o descrittivo che era stato loro originariamente assegnato, il gestore di un motore di ricerca offre un servizio nel quale effettua un trattamento di dati personali autonomo e distinto sia da quello dell’editore della pagina web da cui sono tratte le fotografie, sia da quello, di cui tale gestore è parimenti responsabile, di indicizzazione di tale pagina. Come correttamente osservato dal BGH, data la natura di un tale trattamento, in cui una parte del contenuto creato da terzi, dotata di una propria autonomia, è estratta e visualizzata separatamente, il gestore del motore di ricerca sembra agire non in qualità di intermediario quanto piuttosto in qualità di creatore di contenuto.

56.      Risulta, a mio avviso, da quanto precede che, nel quadro del bilanciamento tra diritti fondamentali confliggenti da condurre in base alle pertinenti disposizioni della direttiva 95/46 e del RGPD ai fini dell’esame di una domanda di rimozione di fotografie che raffigurano una persona fisica dai risultati di una ricerca per immagini effettuata a partire dal nome di tale persona, si deve tener conto unicamente del valore informativo delle fotografie in quanto tali, indipendentemente dal contenuto nel quale queste ultime sono inserite nella pagina web da cui sono tratte. Viceversa, nel caso in cui fosse contestata, nel quadro di una domanda di deindicizzazione del link che rinvia a una pagina web, la visualizzazione di fotografie nel contesto del contenuto di tale pagina, sarebbe il valore informativo che tali fotografie rivestono nell’ambito di tale contesto a dover essere preso in considerazione ai fini di tale bilanciamento.

57.      Gli argomenti avanzati da Google nelle sue osservazioni scritte non consentono, a mio avviso, di infirmare una tale conclusione. Se è vero che, in una ricerca per immagini, le miniature appaiono corredate del link che rinvia al contenuto della pagina web in cui sono inserite, ciò non toglie che la loro visualizzazione da parte del motore di ricerca avviene in modo del tutto autonomo e svincolato dal contesto in cui le fotografie si inseriscono. Diversamente che nel caso di una ricerca web, i cui risultati non consentono la fruizione immediata del contenuto indicizzato, in una ricerca per immagini, la visualizzazione dei contenuti grafici, incluse le miniature di fotografie pubblicate su Internet, costituisce in sé il risultato ricercato dall’utente, indipendentemente dalla sua decisione successiva di accedere o meno alla pagina web di origine. La circostanza, sottolineata dal giudice del rinvio, che una tale visualizzazione risponde al modello d’impresa di Google e che non sarebbe tecnicamente possibile fare altrimenti non rimette parimenti in discussione la natura autonoma del trattamento di dati che tale visualizzazione comporta.

58.      Certo, non è escluso che, chiedendo la rimozione delle fotografie che la raffigurano la persona interessata cerchi, in realtà, di limitare l’accesso, via il link che accompagna tali fotografie, al contenuto nel quale queste sono inserite e alle informazioni eventualmente di interesse pubblico che vi figurano. Tuttavia, occorre rilevare a questo proposito che se la rimozione di fotografie dai risultati di una ricerca per immagini indubbiamente restringe le possibilità di accedere al contenuto in cui esse si inseriscono, quest’ultimo resta tuttavia direttamente accessibile via una ricerca web tradizionale. Una tale ricerca permette peraltro di visualizzare, tramite il link indicizzato, la totalità del contenuto, incluse le fotografie, che, nel loro contesto di origine, svolgono pienamente il ruolo loro eventualmente assegnato dall’editore web di veicolare e corroborare le informazioni fornite e le opinioni espresse. Così, nel procedimento principale, anche qualora la domanda di deindicizzazione degli articoli in causa dovesse essere respinta, data la prevalenza della libertà di espressione e di informazione sui diritti dei ricorrenti al rispetto della loro vita privata e alla protezione dei loro dati personali, l’eventuale accoglimento della domanda di rimozione delle fotografie che li raffigurano non limiterebbe in modo eccessivo né ingiustificato tale libertà, se, come afferma il BGH, tali fotografie hanno un valore scarsamente informativo ove avulse dal contesto in cui si inseriscono.

59.      Tenuto conto delle precisazioni contenute nel paragrafo che precede, la conclusione cui sono giunto al paragrafo 56 delle presenti conclusioni, lungi dal conferire una protezione quasi assoluta al diritto all’immagine, riconosce a tale diritto la giusta dimensione che esso riveste fra quelli che attengono alla personalità. L’immagine di un individuo è infatti uno dei principali attributi della sua personalità in quanto esprime la sua originalità e permette di differenziarlo dai suoi pari. Il diritto della persona alla protezione della sua immagine costituisce una delle condizioni per la sua realizzazione personale e presuppone il controllo della persona sulla propria immagine e, in particolare, la possibilità di rifiutarne la diffusione (48). Ne consegue che, se indubbiamente la libertà di espressione e d’informazione comprende la pubblicazione di fotografie (49), la tutela del diritto della persona alla riservatezza assume in tale contesto un’importanza particolare, data la capacità delle fotografie di veicolare informazioni particolarmente personali se non intime su un individuo o la sua famiglia (50).

60.      Sulla base dell’insieme delle considerazioni che precedono suggerisco alla Corte di rispondere alla seconda questione pregiudiziale che gli articoli 12, lettera b), e 14, primo comma, lettera a), della direttiva 95/46 e l’articolo 17, paragrafo 3, lettera a), del RGPD devono essere interpretati nel senso che, ai fini della ponderazione tra i diritti fondamentali in conflitto di cui agli articoli 7, 8, 11 e 16 della Carta, da effettuarsi nell’ambito di una domanda di deindicizzazione indirizzata al gestore di un motore di ricerca e volta ad ottenere la rimozione dai risultati di una ricerca per immagini, effettuata a partire dal nome di una persona fisica, di fotografie, visualizzate sotto forma di miniature, che rappresentano tale persona, non si deve tener conto del contesto della pubblicazione su Internet in cui compaiono originariamente le suddette fotografie.

V.      Conclusione

61.      Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di rispondere come segue alle questioni pregiudiziali poste dal BGH:

1)      L’articolo 17, paragrafo 3, lettera a), del regolamento 2016/679 deve essere interpretato nel senso che, ai fini della ponderazione tra i diritti fondamentali in conflitto di cui agli articoli 7, 8, 11 e 16 della Carta da effettuarsi nell’ambito dell’esame di una domanda di deindicizzazione presentata al gestore di un motore di ricerca sul fondamento della pretesa falsità delle informazioni che figurano nel contenuto indicizzato non ci si può basare in modo decisivo sulla circostanza se l’interessato possa ragionevolmente ottenere una tutela giuridica nei confronti del fornitore del contenuto, per esempio attraverso un’ingiunzione. Nell’ambito di una tale domanda, incombe all’interessato fornire un principio di prova della falsità dei contenuti di cui si richiede la deindicizzazione ove ciò non risulti, in particolare in relazione alla natura delle informazioni di cui trattasi, manifestamente impossibile o eccessivamente difficile. Spetta al gestore del motore di ricerca effettuare le verifiche circa l’allegata inesattezza dei dati trattati che rientrano nelle sue concrete possibilità, anche contattando, ove possibile, l’editore della pagina web indicizzata. Qualora le circostanze del caso lo consiglino al fine di evitare un pregiudizio irreparabile per la persona interessata, il gestore del motore di ricerca potrà procedere ad una sospensione temporanea dell’indicizzazione, oppure all’indicazione, nei risultati della ricerca, che la veridicità di talune delle informazioni che figurano nel contenuto cui rinvia il link in questione è contestata.

2)      Gli articoli 12, lettera b), e 14, primo comma, lettera a), della direttiva 95/46 e l’articolo 17, paragrafo 3, lettera a), del regolamento 2016/679 devono essere interpretati nel senso che, ai fini della ponderazione tra i diritti fondamentali in conflitto di cui agli articoli 7, 8, 11 e 16 della Carta, da effettuarsi nell’ambito di una domanda di deindicizzazione indirizzata al gestore di un motore di ricerca e volta ad ottenere la rimozione dai risultati di una ricerca per immagini, effettuata a partire dal nome di una persona fisica, di fotografie, visualizzate sotto forma di miniature, che rappresentano tale persona, non si deve tener conto del contesto della pubblicazione su Internet in cui compaiono originariamente le suddette fotografie.


1      Lingua originale: l’italiano.


2      GU 2016, L 119, pag. 1.


3      GU 1995, L 281, pag. 31.


4      V., in particolare, paragrafi 14 e 15 delle presenti conclusioni.


5      V. paragrafo 15 delle presenti conclusioni.


6      C‑131/12, EU:C:2014:317.


7      Vale a dire informazioni riguardanti persone fisiche identificate o identificabili, e dunque «dati personali» ai sensi dell’articolo 2, lettera a), della direttiva citata.


8      V. sentenza Google Spain, punti 28 e da 29 a 31.


9      V. sentenza Google Spain, punti 32 e 33. Nella versione italiana della direttiva 95/46 e del RGPD, la nozione di «responsabile del trattamento» ai sensi dell’articolo 2, lettera d), della direttiva 95/46 corrisponde attualmente a quella di «titolare del trattamento» ai sensi dell’articolo 4, punto 7, del RGPD.


10      V. sentenza Google Spain, punto 34.


11      V. sentenza Googe Spain, punto 35.


12      V. sentenza Google Spain, punto 80 e giurisprudenza citata; v. anche punti da 36 a 38 di tale sentenza.


13      V. sentenza Google Spain, punto 38.


14      C‑136/17, EU:C:2019:773.


15      V. sentenza GC, punti da 45 a 47.


16      V. sentenza Google Spain, punto 81.


17      V. sentenza Google Spain, punto 81.


18      V. sentenza Google Spain, in particolare punti 88 e 99. Il diritto alla cancellazione dei dati personali è stato dalla Corte desunto interpretando l’articolo 12, lettera b), e l’articolo 14, primo comma, lettera a), della direttiva 95/46.


19      V. sentenza GC, punti da 54 a 59.


20      V. sentenza GC, punto 66; in tal senso, sebbene senza un riferimento esplicito al diritto all’informazione sancito dall’articolo 11 della Carta, v. sentenza Google Spain, punto 81.


21      Nello stesso senso, v. anche sentenza del 24 settembre 2019, Google (Portata territoriale della deindicizzazione) (C‑507/17, EU:C:2019:772, punto 45).


22      L’esercizio del diritto alla deindicizzazione è stato infatti dalla Corte collegato al meccanismo previsto dagli articoli 12, lettera b), e 14, primo comma, lettera a), della direttiva 95/46, in base ai quali le relative domande possono essere direttamente presentate dalla persona interessata al responsabile del trattamento, il quale deve in tal caso procedere al debito esame della loro fondatezza e, eventualmente, porre fine al trattamento dei dati in questione, v. sentenza Google Spain, punto 77. V., per quanto riguarda il RGPD, esplicitamente, sentenza GL, punto 66.


23      V. sentenza Google Spain, punto 77.


24      Istituito in conformità all’articolo 29 della direttiva 95/46, il gruppo di lavoro articolo 29 è un organo consultivo europeo indipendente sulla protezione dei dati e della vita privata.


25      https://ec.europa.eu/newsroom/article29/items/667236/en.


26      Quelli esposti sono solo alcuni dei criteri considerati dal BGH, espressamente menzionati nella decisione di rinvio. Emerge tuttavia da una lettura di diversi passaggi di tale decisione, che questo giudice ha effettuato una valutazione globale dei diversi elementi che caratterizzano la fattispecie sottoposta al suo esame.


27      La posizione del governo greco sembra più sfumata.


28      V. sentenza GC, punto 58 e giurisprudenza citata.


29      V. sentenza GC, punto 57 e giurisprudenza citata.


30      V., in questo senso, Corte EDU, 19 ottobre 2017, Fuchsmann c. Germania, CE:ECHR:2017:1019JUD007123313, §§ 40 e 41 e 14 dicembre 2006, Verlagsgruppe News GmbH c. Austria, CE:ECHR:2006:1214JUD001052002, § 36.


31      V. sentenza del 9 marzo 2017, Manni (C‑398/15, EU:C:2017:197, punto 59).


32      Tale questione assume un rilievo particolare nel sistema statunitense, data l’ampia tutela accordata al diritto di parola dal primo emendamento della costituzione.


33      V. spiegazioni relative alla Carta, sub articolo 1 (GU 2007, C‑303, pag. 17).


34      V. anche considerando 39 e 71 del RGPD, nonché gli articoli 16 e 18, paragrafo 1, lettera a), rispettivamente sull’esercizio del diritto alla rettifica e del diritto di limitazione del trattamento.


35      In tal senso, v. sentenza GL, punto 64, nonostante, formalmente, il RGPD distingua i «principi applicabili al trattamento di dati personali», elencati all’articolo 5, dalle condizioni di «liceità del trattamento», enumerate all’articolo 6 di tale regolamento.


36      C‑18/18, EU:C:2019:821.


37      Direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno (GU 2000, L 178, pag. 1).


38      Mi riferisco, in particolare, al codice di condotta per contrastare l’illecito incitamento all’odio online, del 2016 (https://ec.europa.eu/info/policies/justice-and-fundamental-rights/combatting-discrimination/racism-and-xenophobia/eu-code-conduct-countering-illegal-hate-speech-online_en) e al codice di buone pratiche sulla disinformazione, del 2018 (https://digital-strategy.ec.europa.eu/en/policies/code-practice-disinformation), elaborati dalla Commissione e sottoscritti dalle principali piattaforme elettroniche.


39      In questo senso si muovono l’articolo 17 della direttiva 2019/790/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale e che modifica le direttive 96/9/CE e 2001/29/CE (GU 2019, L 130, pag. 92) e gli articoli 3 e 5 del regolamento (UE) 2021/784 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2021, relativo al contrasto della diffusione di contenuti terroristici online (GU 2021, L 172, pag. 79).


40      V. sul tema, K. Crawford, J. Schultz, Big Data and Due process: Towards a Framework to Redress Predictive Privacy Harms, Boston College Law Review, 2014, pag. 93.


41      Nella fattispecie sottoposta all’esame del BGH, le informazioni che si allegano false riguardano in sostanza i dati economici delle società gestite dai ricorrenti. In tali circostanze, è difficile sostenere che i ricorrenti nel procedimento principale sono nell’impossibilità di presentare quanto meno un inizio di prova della falsità dei dati ripresi negli articoli contestati.


42      V., inter alia, Corte EDU, 25 maggio 2021, Milosavlievic c Serbia, CE:ECHR:2021:0525JUD005757414, § 63.


43      La possibilità di una limitazione temporanea del trattamento dati è espressamente prevista dall’articolo 18, paragrafo 1, lettera a), del RGPD, per il caso in cui l’interessato contesti l’esattezza dei dati personali e per il periodo necessario al titolare del trattamento per verificare l’esattezza di tali dati personali.


44      V., per una soluzione di questo tipo, Corte EDU, 10 marzo 2009, Times Newspaper Ltd c. Regno Unito (n. 1 e n. 2), CE:ECHR:2009:0310JUD000300203.


45      V. sentenza del 24 febbraio 2022, Eulex Kosovo (C‑283/20, EU:C:2022:126, punto 28 e giurisprudenza citata).


46      V. sentenza del 24 febbraio 2022, Eulex Kosovo (C‑283/20, EU:C:2022:126, punto 29 e giurisprudenza citata).


47      Sugli elementi pertinenti ai fini di un tale bilanciamento ove il comportamento asseritamente lesivo riguardi la pubblicazione di foto, v., inter alia, Corte EDU, 7 febbraio 2012, Von Hannover c. Germania, CE:ECHR:2012:0207JUD004066008, §§ da 109 a 113 e giurisprudenza citata.


48      Corte EDU, 7 febbraio 2012, Von Hannover c. Germania, CE:ECHR:2012:0207JUD004066008, § 96.


49      Corte CEDU, 14 dicembre 2006, Verlagsgruppe c. Austria, CE:ECHR:2006:1214JUD001052002, §§ 29 e 40 e giurisprudenza citata.


50      Corte EDU, 7 febbraio 2012, Von Hannover c. Germania, CE:ECHR:2012:0207JUD004066008, § 103 e giurisprudenza citata.