Language of document : ECLI:EU:T:2005:284

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quarta Sezione)

13 luglio 2005 (*)

«Marchio comunitario – Marchio denominativo TOP – Rifiuto di registrazione – Art. 115, n. 4, del regolamento (CE) n. 40/94 – “Nozione di comunicazioni scritte” – Violazione del principio del termine ragionevole – Violazione dei diritti della difesa – Impedimenti assoluti alla registrazione – Art. 7, n. 1, lett. b) e c), del regolamento n. 40/94»

Nella causa T‑242/02,

The Sunrider Corp., con sede in Torrance, California (Stati Uniti), rappresentata inizialmente dall’avv. M. Bra, successivamente dall’avv. N. Dontas, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), rappresentato dai sigg. O. Waelbroeck e P. Geroukalos, in qualità di agenti,

convenuto,

avente ad oggetto un ricorso proposto contro la decisione della prima commissione di ricorso dell’UAMI 30 maggio 2002 (procedimento R 314/1999‑1), riguardante una domanda di registrazione quale marchio comunitario del marchio denominativo TOP,

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Quarta Sezione),

composto dal sig. H. Legal, presidente, dal sig. P. Mengozzi e dalla sig.ra I. Wiszniewska‑Białecka, giudici,

cancelliere: sig. H. Jung

visto il ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 14 agosto 2002,

visto il controricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 20 dicembre 2002,

in seguito all’udienza del 24 novembre 2004,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti della controversia

1        Il 21 agosto 1997 la ricorrente, società di diritto statunitense, ha presentato una domanda di marchio comunitario presso l’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI).

2        Il marchio di cui è stata richiesta la registrazione è il segno denominativo TOP. I prodotti per i quali è stata chiesta la registrazione del marchio rientrano nelle classi 5 e 29 dell’Accordo di Nizza 15 giugno 1957, sulla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, come riveduto e modificato, e corrispondono, rispettivamente, alle seguenti descrizioni:

classe 5: «Capsule o polveri alimentari alle erbe; integratori nutrizionali alle erbe»;

classe 29: «Integratori nutrizionali alle erbe».

3        La domanda è stata depositata in greco, l’inglese è stato indicato come seconda lingua.

4        Con lettera 19 marzo 1998, redatta in inglese, l’esaminatore ha informato la ricorrente che il marchio richiesto non appariva idoneo ad essere registrato come marchio comunitario ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1).

5        Il 19 maggio 1998 la ricorrente ha presentato le sue osservazioni, redatte in inglese. In tali osservazioni la ricorrente indicava, in particolare, che il suo marchio aveva acquistato carattere distintivo per l’uso che ne era stato fatto su scala mondiale e che doveva, di conseguenza, essere ammesso alla registrazione ai sensi dell’art. 7, n. 3, del regolamento n. 40/94. Essa faceva del pari valere che il marchio TOP era già stato registrato in Canada, in Ungheria, in Irlanda, in Corea, in Thailandia nonché negli Stati Uniti e che erano state presentate domande di registrazione a Hong Kong, in Indonesia, in Malesia e nel Regno Unito. A sostegno delle sue affermazioni essa allegava copie di numerosi certificati di registrazione nonché diversi altri documenti redatti in inglese o accompagnati da una traduzione in tale lingua.

6        Con fax in data 9 aprile 1999 l’esaminatore ha notificato alla ricorrente la decisione, di pari data, che si pronunciava sulla sua domanda di registrazione. La detta decisione, redatta in inglese, indicava che per il marchio richiesto era stata negata la registrazione in quanto era privo di carattere distintivo ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94 e che era descrittivo dei prodotti considerati, ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. c), dello stesso regolamento. La decisione indicava del pari che gli elementi di prova prodotti dalla ricorrente non consentivano di dimostrare che il marchio di cui trattasi avesse acquistato carattere distintivo ai sensi dell’art. 7, n. 3, del regolamento n. 40/94.

7        Il 7 giugno 1999 la ricorrente ha proposto ricorso contro la decisione 9 aprile 1999. Il ricorso era redatto in inglese.

8        Il 9 agosto 1999 la ricorrente ha depositato una memoria, in greco, contenente i motivi del ricorso, alla quale era allegata una versione tradotta in inglese, precisando, nella sua lettera d’accompagnamento, che la lingua del procedimento di registrazione era il greco e che la traduzione in inglese della detta memoria era fornita al solo fine di agevolarne la lettura.

9        Con lettera 3 aprile 2000 il relatore nel detto procedimento dinanzi alla commissione di ricorso, sig. K., ha invitato la ricorrente, da un lato, a pronunciarsi sull’interpretazione della nozione di «comunicazioni scritte» di cui all’art. 115, n. 4, del regolamento n. 40/94 e a precisare se l’uso dell’ inglese nel corso del procedimento dinanzi all’esaminatore le avesse provocato inconvenienti e, dall’altro, a presentare le sue osservazioni sull’applicazione dell’art. 7, n. 1, lett. b) e c), del regolamento n. 40/94. La ricorrente veniva del pari informata del fatto che le era consentito presentare nuovi elementi di prova a sostegno del suo argomento relativo al carattere distintivo acquisito mediante l’uso ai sensi dell’art. 7, n. 3, del regolamento n. 40/94.

10      Mediante fax del 1º giugno 2000, redatto in inglese, la ricorrente ha presentato alla commissione di ricorso nuovi elementi ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. b), e dell’art. 7, n. 3, del regolamento n. 40/94 e ha prodotto diversi documenti tutti redatti in inglese.

11      Con lettera 23 maggio 2001, redatta in inglese, la sig.ra M. ha informato la ricorrente di essere ormai incaricata del procedimento in quanto relatrice e che, lo stesso giorno, in applicazione dell’art. 11 del regolamento (CE) della Commissione 5 febbraio 1996, n. 216, che stabilisce il regolamento di procedura delle commissioni di ricorso dell’UAMI (GU L 28, pag. 11), aveva invitato il presidente dell’UAMI a presentare le sue osservazioni sull’interpretazione della nozione di «comunicazioni scritte» di cui all’art. 115, n. 4, del regolamento n. 40/94 e sulle conseguenze che comporterebbe per l’UAMI il riconoscimento di un obbligo, nei procedimenti ex parte, di notificare le sue decisioni nella lingua di deposito della domanda di marchio.

12      Il 14 febbraio 2002 il vicepresidente dell’UAMI incaricato degli affari giuridici ha presentato le sue osservazioni ai sensi dell’art. 11 del regolamento n. 216/96. Queste ultime, redatte in inglese, sono state notificate alla ricorrente il 15 febbraio 2002. La ricorrente è stata invitata a presentare le sue osservazioni entro il 18 aprile 2002. Essa non ha ottemperato a tale invito.

13      Con decisione della prima commissione di ricorso dell’UAMI 30 maggio 2002, emanata nel procedimento R 314/1991‑1 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), il ricorso è stato respinto.

14      Nella detta decisione la commissione di ricorso, in primo luogo, ha considerato, riferendosi in particolare alla sentenza del Tribunale 12 luglio 2001, causa T‑120/99, Kik/UAMI (Racc. pag. II‑2235, punto 61), che la facoltà, conferita all’UAMI dall’art. 115, n. 4, del regolamento n. 40/94, di inviare al richiedente di un marchio comunitario comunicazioni scritte nella seconda lingua indicata da quest’ultimo doveva essere interpretata in maniera restrittiva, e che essa non copriva gli atti procedurali a carattere decisorio (punti 20‑22 della decisione impugnata). Essa ha, di conseguenza, constatato che nella fattispecie l’esaminatore aveva violato l’art. 115, n. 4, del regolamento n. 40/94 notificando alla ricorrente la decisione che concludeva il procedimento d’esame della domanda di marchio in inglese, mentre tale domanda era stata presentata in greco. La commissione di ricorso ha tuttavia considerato che l’uso dell’inglese non aveva leso i diritti della difesa della ricorrente in quanto la ricorrente stessa aveva utilizzato tale lingua nella sua corrispondenza con l’esaminatore e, successivamente, nel suo ricorso.

15      In secondo luogo, la commissione di ricorso ha annullato la decisione dell’esaminatore per vizio di motivazione e violazione dei diritti della difesa nell’applicazione dell’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94 e ha ordinato che i diritti di ricorso fossero rimborsati alla ricorrente. In applicazione dell’art. 62, n. 1, del regolamento n. 40/94, la commissione di ricorso ha esaminato nel merito la domanda di registrazione della ricorrente e l’ha respinta per il carattere descrittivo e per l’assenza di carattere distintivo del marchio richiesto nonché per l’insussistenza di elementi che consentissero di dimostrare che quest’ultimo aveva acquistato carattere distintivo mediante l’uso.

 Conclusioni delle parti

16      La ricorrente conclude che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata fatta eccezione per la parte in cui è stata accolta la sua domanda di annullamento della decisione dell’esaminatore 9 aprile 1999 ed è stato ordinato il rimborso dei diritti di ricorso;

–        condannare l’UAMI a rimborsare le spese di traduzione da essa sostenute nell’ambito dei procedimenti dinanzi all’esaminatore e dinanzi alla commissione di ricorso;

–        in subordine, condannare l’UAMI a risarcirle il danno subito per l’eccessiva durata del procedimento dinanzi alla commissione di ricorso;

–        in ogni caso, condannare l’UAMI alle spese, ivi comprese quelle attinenti al procedimento dinanzi alla commissione di ricorso.

17      L’UAMI conclude che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

 Sulle conclusioni d’annullamento

18      In via principale, la ricorrente solleva sostanzialmente cinque motivi a sostegno delle sue conclusioni d’annullamento. Il primo motivo riguarda la violazione dell’art. 115, n. 4, del regolamento n. 40/94. Con il suo secondo motivo, la ricorrente censura la durata eccessiva del procedimento. Il terzo motivo è tratto dalla violazione dei diritti della difesa. Il quarto motivo riguarda la violazione dell’obbligo di motivazione. Il quinto motivo attiene alla violazione dell’art. 7, n. 1, lett. b) e c), del regolamento n. 40/94.

19      In subordine la ricorrente solleva un sesto motivo, relativo alla violazione dell’art. 7, n. 3, del regolamento n. 40/94.

 Sul primo motivo, riguardante la violazione dell’art. 115, n. 4, del regolamento n. 40/94

 Argomenti delle parti

20      Secondo la ricorrente la decisione impugnata è inficiata, in primo luogo, da un errore di diritto in quanto la commissione di ricorso ha considerato, a torto, che non fosse necessario annullare la decisione dell’esaminatore per violazione dell’art. 115, n. 4, del regolamento n. 40/94, giacché l’uso dell’inglese in tale decisione, nonché nel corso del procedimento dinanzi all’esaminatore, non aveva leso i diritti della difesa. Essa sostiene che l’uso dell’inglese è stato imposto dall’UAMI, mentre la lingua del procedimento era il greco. Ciò avrebbe avuto l’effetto di rendere più difficile l’esercizio dei diritti della difesa e di obbligarla a far tradurre tutti i documenti del procedimento, esponendola a spese supplementari.

21      In secondo luogo, secondo la ricorrente, la decisione impugnata è inficiata da una violazione delle forme sostanziali, in quanto la commissione di ricorso stessa ha continuato a rivolgersi ad essa in inglese. In particolare, la ricorrente sottolinea che la lettera 3 aprile 2000, con la quale il primo relatore del procedimento la invitava a pronunciarsi su un certo numero di questioni, riguardanti la portata dell’art. 115, n. 4, del regolamento n. 40/94 e l’applicazione dell’art. 7, n. 1, lett. b) e c), e dell’art. 7, n. 3, dello stesso regolamento, era redatta in inglese. Essa osserva del pari che la lettera 23 maggio 2001, con la quale il nuovo relatore del procedimento la informava del fatto che una domanda di osservazioni ai sensi dell’art. 11 del regolamento n. 216/96 era stata inviata al presidente dell’UAMI, nonché la nota in data 14 febbraio 2002, adottata da quest’ultimo in risposta a tale domanda, erano state ugualmente redatte in inglese.

22      A fronte dell’uso sistematico dell’inglese da parte della commissione di ricorso nelle sue comunicazioni con la ricorrente, quest’ultima avrebbe considerato di essere tenuta a rispondere in inglese.

23      Così il procedimento sarebbe proseguito in una lingua diversa dalla lingua procedurale, e ciò in violazione dell’art. 115, n. 4, del regolamento n. 40/94. La detta disposizione, prevedendo che l’UAMI può inviare comunicazioni scritte al richiedente nella seconda lingua indicata da quest’ultimo, riguarderebbe infatti solo le lettere d’accompagnamento o le comunicazioni che non producono effetti giuridici nei confronti del richiedente e non ledono in alcun modo i suoi diritti della difesa. Tale non sarebbe, nella fattispecie, il caso della lettera 3 aprile 2000, che invitava la ricorrente a depositare osservazioni su diversi aspetti del procedimento e a produrre nuovi documenti, e della nota in data 14 febbraio 2002 proveniente dal gabinetto del presidente dell’UAMI.

24      L’UAMI fa osservare, sostanzialmente, che il comportamento della ricorrente, tanto nel corso della fase d’esame della sua domanda di registrazione quanto nel corso del procedimento dinanzi alla commissione di ricorso, è equivalso ad accordo da parte sua riguardo all’uso dell’inglese.

25      Infatti, non solo la ricorrente non si sarebbe mai opposta alla circostanza che l’esaminatore corrispondeva con essa in inglese, ma essa stessa si sarebbe costantemente rivolta all’esaminatore in tale lingua. Sarebbe solo nella lettera 9 agosto 1998, in cui esponeva i motivi del ricorso contro la decisione dell’esaminatore, che la ricorrente si sarebbe per la prima volta lamentata dell’uso dell’inglese nella corrispondenza con l’UAMI e avrebbe reclamato l’uso del greco. Peraltro, anche dopo tale data, la ricorrente avrebbe continuato a rivolgersi alla commissione di ricorso in inglese.

26      L’UAMI ricorda del pari che, al punto 61 della citata sentenza Kik/UAMI, il Tribunale ha considerato che l’art. 115, n. 4, del regolamento n. 40/94 garantisce l’uso della lingua di deposito in quanto lingua procedurale e, perciò, in quanto lingua nella quale gli atti del procedimento aventi carattere decisorio devono essere redatti. Orbene, nella fattispecie, secondo l’UAMI, il solo atto avente carattere decisorio adottato dopo che la ricorrente ha chiesto per la prima volta l’uso della lingua procedurale è costituito dalla decisione impugnata che è stata redatta in greco.

27      Infine, l’UAMI contesta l’affermazione della ricorrente secondo cui l’esercizio dei suoi diritti della difesa sarebbe stato ostacolato dall’uso dell’inglese. Da una parte, infatti, risulterebbe dallo scambio di corrispondenza tra gli uffici dell’UAMI e la ricorrente che tanto quest’ultima, che è una società americana, quanto il suo rappresentante comprendono l’inglese. D’altro lato, dal fatto che il complesso delle osservazioni presentate dalla ricorrente nonché la maggior parte dei documenti prodotti da quest’ultima dinanzi all’UAMI erano redatti in inglese risulterebbe che l’uso di questa lingua costituiva in realtà l’opzione più pratica per la ricorrente.

 Giudizio del Tribunale

28      In via preliminare si deve rilevare che, nell’ambito del presente motivo, la ricorrente deduce, in sostanza, due distinte censure. Da un lato, essa contesta i motivi che avrebbero condotto la commissione di ricorso a concludere che, alla luce delle circostanze della fattispecie, l’illegittimità commessa dall’esaminatore nell’adottare la sua decisione in inglese non comporterebbe l’annullamento di quest’ultima per violazione dei diritti della difesa. D’altro lato, essa contesta alla commissione di ricorso di aver accolto un’interpretazione restrittiva dell’art. 115, n. 4, del regolamento n. 40/94.

29      Per quanto riguarda la prima censura, occorre rilevare che la commissione di ricorso ha annullato la decisione dell’esaminatore per motivi diversi dalla violazione del regime linguistico del procedimento e che essa stessa ha esaminato nel merito la domanda di marchio comunitario all’origine della presente controversia. In tali circostanze, e tenuto conto del fatto che la ricorrente non sostiene che l’annullamento della decisione dell’esaminatore in base alla constatazione della violazione dell’art. 115, n. 4, del regolamento n. 40/94 avrebbe dovuto indurre la commissione di ricorso a rinviare il procedimento dinanzi all’esaminatore invece di procedere al suo esame nel merito, si deve considerare che la ricorrente non ha alcun interesse a che il Tribunale valuti se la commissione di ricorso si sia a torto astenuta dal basare l’annullamento di tale decisione sulla constatazione sopra menzionata. Tale censura è pertanto irricevibile.

30      È tuttavia compito del Tribunale esaminare se la circostanza che la decisione dell’esaminatore sia stata notificata alla ricorrente in una lingua diversa dalla lingua procedurale abbia potuto avere un’incidenza sull’esercizio da parte della ricorrente del suo diritto di ricorso e dei suoi diritti della difesa nel corso del procedimento dinanzi alla commissione di ricorso e, pertanto, sulla legittimità della decisione impugnata.

31      Riguardo alla seconda censura si deve anzitutto ricordare che l’art. 115, n. 4, del regolamento n. 40/94, che stabilisce il regime linguistico applicabile ai procedimenti ex parte dinanzi all’UAMI, indica come lingua procedurale la lingua utilizzata per il deposito della domanda di marchio comunitario. La stessa disposizione conferisce all’UAMI la facoltà di inviare comunicazioni scritte al richiedente nella seconda lingua indicata da quest’ultimo, qualora la domanda di marchio comunitario sia stata depositata in una lingua diversa da quelle dell’UAMI.

32      Occorre anzitutto ricordare che nella sua sentenza 9 settembre 2003, pronunciata su un ricorso contro una sentenza del Tribunale nella causa C‑361/01 P, Kik/UAMI (Racc. pag. I‑8283), la Corte ha constatato che risulta dall’art. 115, n. 4, del regolamento n. 40/94 che la facoltà di utilizzare la seconda lingua indicata nella domanda di registrazione per inviare comunicazioni scritte al richiedente è un’eccezione al principio dell’uso della lingua del procedimento e che la nozione di comunicazioni scritte deve quindi essere interpretata restrittivamente (punto 45 della sentenza). Essa ha poi considerato che, poiché il procedimento è costituito da tutti gli atti che devono essere compiuti nella trattazione di una domanda, ne deriva che rientrano nella nozione di «atti di procedura», ai sensi dell’art. 115, n. 4, del regolamento n. 40/94, tutti gli atti richiesti o previsti dalla normativa comunitaria per il trattamento della domanda di marchio comunitario, nonché quelli che sono necessari per questo trattamento, che si tratti di notifiche, di domande di rettifica, di chiarimenti o di altri atti. Tutti questi atti devono quindi essere redatti dall’UAMI nella lingua utilizzata per la presentazione della domanda (punto 46 della sentenza). Diversamente dagli atti di procedura, le «comunicazioni scritte» di cui all’art. 115, n. 4, seconda frase, del regolamento n. 40/94 sono tutte le comunicazioni il cui contenuto non può essere equiparato ad un atto di procedura, quali i documenti di accompagnamento con cui l’Ufficio trasmette atti di procedura o comunica informazioni ai richiedenti (punto 47 della sentenza).

33      Alla luce di tale interpretazione occorre, nella fattispecie, valutare se la decisione impugnata risulti inficiata dalla violazione dell’art. 115, n. 4, del regolamento n. 40/94.

34      Va in proposito constatato anzitutto che la comunicazione del primo relatore nel procedimento, il sig. K., in data 3 aprile 2000, che invitava la ricorrente a presentare osservazioni su diverse questioni sollevate dal ricorso e a produrre nuovi elementi di prova, rientra incontestabilmente nella nozione di «atti di procedura» ai fini dell’applicazione dell’art. 115, n. 4, del regolamento n. 40/94, definita dalla Corte al punto 46 della citata sentenza 9 settembre 2003, Kik/UAMI.

35      Infatti, a differenza della comunicazione della sig.ra M. in data 23 maggio 2001, che si limitava ad informare la ricorrente sullo stato del procedimento e sui passi effettuati per la trattazione del suo ricorso, la comunicazione in data 3 aprile 2000, che è stata adottata ai sensi dell’art. 4, n. 2, del regolamento n. 216/96, mirava a chiedere alla ricorrente osservazioni supplementari sul regime linguistico del procedimento e a completarne l’istruttoria.

36      Data la natura della detta comunicazione, si deve constatare che, rivolgendosi alla ricorrente in una lingua diversa da quella di procedura, la commissione di ricorso ha violato il regime linguistico applicabile, ai sensi dell’art. 115, n. 4, del regolamento n. 40/94, ai procedimenti ex parte dinanzi all’UAMI. Il procedimento dinanzi alla commissione di ricorso è pertanto viziato da irregolarità.

37      Inoltre la nota in data 14 febbraio 2002 contiene le osservazioni del presidente dell’UAMI, richieste ai sensi dell’art. 11 del regolamento n. 216/96, a norma del quale la commissione di ricorso, su sua iniziativa o su richiesta scritta e motivata del presidente dell’Ufficio, può invitare quest’ultimo a presentare per iscritto od oralmente osservazioni su questioni d’interesse generale che sorgano nell’ambito di procedimenti dinanzi ad essa pendenti. Si deve considerare che la detta nota, pur essendo un documento interno all’UAMI, costituisce un atto di procedura nel senso precisato dalla Corte al punto 46 della citata sentenza 9 settembre 2003, Kik/UAMI. Infatti, nei limiti in cui l’art. 11, seconda frase, del regolamento n. 216/96 dispone che le parti hanno il diritto di prendere posizione sulle osservazioni richieste ai sensi della prima frase dello stesso articolo, queste ultime costituiscono prese di posizione dell’UAMI nei confronti delle quali le parti esercitano i diritti della difesa e di cui queste ultime hanno pertanto il diritto di ricevere comunicazione nella lingua di procedura.

38      Ne consegue che, nella fattispecie, inviando alla ricorrente la nota 14 febbraio 2002 in una lingua diversa dalla lingua di procedura, la commissione di ricorso ha reiterato l’irregolarità che inficiava la comunicazione datata 3 aprile 2000.

39      Occorre a questo punto esaminare se, alla luce delle circostanze della fattispecie, si possa concludere che le irregolarità constatate ai precedenti punti 36 e 38 abbiano effettivamente leso i diritti della difesa della ricorrente. Si deve del pari valutare se, ed eventualmente in quale misura, abbia potuto interferire con l’esercizio da parte della ricorrente del suo diritto di ricorso la circostanza che la decisione dell’esaminatore sia stata notificata alla ricorrente in una lingua diversa dalla lingua di procedura, quando, manifestamente, un atto di natura decisoria non può essere equiparato ad una «comunicazione scritta» nel senso precisato dalla Corte nella citata sentenza 9 settembre 2003, Kik/UAMI.

40      In proposito è importante rilevare, in primo luogo, che nella sua memoria 9 agosto 1999, in cui si esponevano i motivi di ricorso nei confronti della decisione dell’esaminatore, la ricorrente ha esaminato esaustivamente il contenuto della decisione impugnata, replicando puntualmente ai diversi aspetti del ragionamento su cui si fondava il dispositivo di quest’ultima. Essa ha così sollevato nei confronti della detta decisione, oltre alla censura relativa alla violazione dell’art. 115, n. 4, del regolamento n. 40/94, due motivi attinenti alla violazione delle forme sostanziali, relativi rispettivamente alla violazione del suo diritto di essere sentita e alla insufficienza e contraddittorietà della motivazione, nonché due motivi di merito, diretti a contestare la valutazione dell’esaminatore riguardo alla mancanza di carattere distintivo del marchio richiesto e all’insussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 7, n. 3, del regolamento n. 40/94, nonché un motivo attinente alla violazione del principio di parità di trattamento.

41      Risulta da tale memoria che la ricorrente è stata in grado di comprendere pienamente i motivi della decisione dell’esaminatore e pertanto di replicarvi nell’ambito del suo ricorso. Non può pertanto concludersi che la circostanza che la ricorrente si sia vista notificare la decisione dell’esaminatore in una lingua diversa dalla lingua di procedura abbia concretamente leso l’esercizio del suo diritto di ricorso o abbia reso quest’ultimo più difficile o che tale circostanza abbia in qualsiasi modo interferito con l’esercizio dei suoi diritti della difesa nel corso del procedimento dinanzi alla commissione di ricorso.

42      In secondo luogo, per quanto riguarda la comunicazione del sig. K. in data 3 aprile 2000, si deve constatare che la ricorrente ha risposto a tale comunicazione mediante fax in data 1º giugno 2000, replicando a tutti i punti che le erano stati sottoposti. Da un lato, essa ha contestato tanto la pertinenza quanto la fondatezza delle osservazioni del relatore riguardo alla violazione da parte dell’esaminatore del regime linguistico del procedimento. D’altro lato, essa ha respinto l’approccio sostenuto dal relatore riguardo alla censura relativa alla violazione del suo diritto di essere sentita e ha spiegato le ragioni per le quali il marchio richiesto non poteva essere considerato come descrittivo. Inoltre essa si è avvalsa della possibilità che le era stata offerta di produrre nuovi documenti miranti a dimostrare che il marchio di cui trattasi aveva acquistato un carattere distintivo mediante l’uso.

43      In tali circostanze si deve constatare che la ricorrente è stata in grado tanto di comprendere pienamente la portata delle questioni sollevate nella comunicazione in data 3 aprile 2000 quanto di esercitare la facoltà che le era stata accordata di produrre nuovi elementi di prova.

44      Per quanto riguarda, infine, la nota in data 14 febbraio 2002, contenente le osservazioni richieste dalla commissione di ricorso ai sensi dell’art. 11 del regolamento n. 216/96, si deve rilevare che la ricorrente, invitata a pronunciarsi sulla detta nota, se ne è astenuta. Orbene, indipendentemente dalla questione se tale astensione sia imputabile alla circostanza che la detta nota le era stata comunicata in una lingua diversa dalla lingua di procedura, è importante rilevare che la commissione di ricorso non ha seguito l’interpretazione proposta dal gabinetto del presidente dell’UAMI. Pertanto, anche ammesso che, a causa della lingua nella quale la nota era stata redatta, la ricorrente non sia stata in grado di comprenderne pienamente il contenuto, si deve constatare che tale circostanza non ha potuto in alcun modo influenzare la sua difesa.

45      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono si deve concludere che, malgrado le irregolarità procedurali commesse dalla commissione di ricorso, nella fattispecie i diritti della difesa della ricorrente non sono stati lesi.

46      Ne consegue che il primo motivo deve essere respinto.

 Sul secondo motivo, relativo alla durata eccessiva del procedimento dinanzi alla commissione di ricorso

 Argomenti delle parti

47      La ricorrente sostiene che la commissione di ricorso ha violato l’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, nella parte in cui dispone che le controversie devono essere risolte in un termine ragionevole. Tale disposizione sarebbe applicabile alle commissioni di ricorso dell’UAMI, in quanto queste ultime esercitano funzioni giurisdizionali e sono quindi tenute al rispetto dei principi procedurali di diritto comunitario, nel novero dei quali rientrerebbe quello del termine ragionevole.

48      La ricorrente sottolinea che, nella fattispecie, il ricorso contro la decisione dell’esaminatore che nega la registrazione è stato depositato il 7 giugno 1999 e che la decisione impugnata è stata adottata il 30 maggio 2002 e comunicata alla ricorrente il 24 giugno 2002, vale a dire più di due anni dopo la proposizione del ricorso. Tale durata sarebbe eccessiva, tanto più che si trattava di un procedimento ex parte.

49      Secondo la ricorrente siffatta durata dovrebbe comportare l’annullamento della decisione impugnata.

50      L’UAMI contesta l’applicabilità dell’art. 6 della CEDU alle commissioni di ricorso. È ben vero che il regolamento n. 40/94 prescrive che i loro membri presentino numerose garanzie di indipendenza, tuttavia le commissioni di ricorso costituirebbero solo l’organo di grado più elevato dell’UAMI e sarebbero partecipi della sua natura di organo amministrativo preposto alla gestione del sistema dei marchi comunitari. Quindi, il ricorso dinanzi ad una delle commissioni costituirebbe un ricorso amministrativo interno piuttosto che un ricorso giurisdizionale.

 Giudizio del Tribunale

51      Si deve rilevare che il principio del rispetto di un termine ragionevole, ripreso, in quanto componente del principio di buona amministrazione, dall’art. 41, n. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 (GU C 364, pag. 1), si impone in qualsiasi procedimento amministrativo comunitario (v., in questo senso, sentenze del Tribunale, 22 ottobre 1997, cause riunite T‑213/95 e T‑18/96, SCK e FNK/Commissione, Racc. pag. II‑1739; 7 ottobre 1999, causa T‑228/97, Irish Sugar/Commissione, Racc. pag. II‑2969, punto 276, per quanto riguarda i procedimenti d’applicazione delle regole di concorrenza; 30 settembre 2003, causa T‑196/01, Aristoteleio Panepistimio Thessalonikis/Commissione, Racc. pag. II‑3987, punto 229, relativa ad un procedimento di soppressione di fondi strutturali; 30 maggio 2002, causa T‑197/00, Onidi/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A-69 e II‑325, punto 91, e 12 settembre 2000, causa T‑259/97, Teixeira Neves/Corte di giustizia, Racc. PI pagg. I‑A-169 e II‑773, punto 123, riguardo ai procedimenti disciplinari nei confronti dei dipendenti comunitari).

52      Il detto principio deve quindi essere applicato anche ai procedimenti dinanzi ai diversi organi dell’UAMI, ivi compresi quelli dinanzi alle commissioni di ricorso.

53      Nondimeno, secondo una giurisprudenza costante, la violazione del principio dell’osservanza del termine ragionevole, ammettendo che sia provata, non giustifica un annullamento automatico della decisione impugnata (sentenza del Tribunale Aristoteleio Panepistimio Thessalonikis/Commissione, cit., punto 233 e giurisprudenza citata).

54      Nelle circostanze della fattispecie, il secondo motivo, nella parte in cui è fatto valere dalla ricorrente a sostegno delle sue conclusioni d’annullamento, deve essere respinto in quanto inefficace.

55      Per di più, in un caso come quello della fattispecie, in cui l’UAMI è stato investito di una domanda di registrazione di un marchio comunitario, il richiedente non ha alcun interesse a che il Tribunale, nell’ambito di un ricorso d’annullamento contro la decisione di una commissione di ricorso che conferma il rigetto della domanda di registrazione, annulli la detta decisione per il solo fatto che sarebbe stata adottata oltre un termine ragionevole. Siffatto annullamento non farebbe infatti altro che ritardare ulteriormente la presa di posizione dell’UAMI sulla domanda di registrazione depositata e ciò a danno del richiedente.

 Sul terzo motivo, relativo alla violazione dell’art. 73 del regolamento n. 40/94

 Argomenti delle parti

56      Secondo la ricorrente la commissione di ricorso ha violato l’art. 73 del regolamento n. 40/94, in quanto, per suffragare la sua valutazione riguardo alla mancanza di carattere distintivo del marchio richiesto, si è basata, al punto 45 della decisione impugnata, sui risultati di una ricerca effettuata su Internet non comunicati in precedenza alla ricorrente.

57      L’UAMI fa osservare che gli elementi menzionati al punto 45 della decisione impugnata svolgono solo un ruolo secondario nell’ambito del ragionamento seguito dalla commissione di ricorso riguardo alla mancanza di carattere distintivo del marchio di cui trattasi.

 Giudizio del Tribunale

58      Si deve ricordare che ai sensi dell’art. 73, seconda frase, del regolamento n. 40/94, le decisioni dell’UAMI possono essere fondate esclusivamente su motivi in ordine ai quali le parti hanno potuto presentare le proprie deduzioni.

59      In conformità di tale disposizione, una commissione di ricorso dell’Ufficio può fondare la propria decisione soltanto su elementi di fatto o di diritto sui quali le parti hanno potuto presentare le loro osservazioni (sentenza della Corte 21 ottobre 2004, causa C‑447/02 P, KWS Saat/UAMI, Racc. pag. I‑10107, punto 42). Pertanto, nel caso in cui la commissione di ricorso raccolga d’ufficio elementi di fatto destinati a fungere da fondamento della propria decisione, essa è tenuta obbligatoriamente a comunicarli alle parti affinché queste possano far conoscere le loro osservazioni (sentenza KWS Saat/UAMI, cit., punto 43).

60      Nella fattispecie al punto 45 della decisione impugnata la commissione di ricorso rileva che «i prodotti rivendicati appartengono alla categoria dei prodotti nutrizionali e sanitari, nella quale termini come “TOP” sono comunemente utilizzati nella zona anglofona della Comunità per presentare un elenco di corrispondenti top products, come rivela una rapida ricerca su Internet». Di seguito è indicato l’indirizzo del sito Internet nel quale è stata effettuata la detta ricerca.

61      Orbene è pacifico che la commissione di ricorso non ha comunicato alla ricorrente né il contenuto del detto sito Internet né i risultati della ricerca menzionata al detto punto della decisione impugnata.

62      Così facendo essa ha violato l’art. 73, seconda frase, del regolamento n. 40/94.

63      Nondimeno si deve rilevare che al punto 44 della decisione impugnata la commissione di ricorso ha considerato che «il termine “TOP” costituisc[e] attualmente una denominazione generica, usuale o comunemente utilizzata nel settore dei prodotti in questione, al pari di termini come “BEST”, “EXCELLENT”, “SUPER”». Al punto 46 essa ha osservato che «“TOP” serviva solo ad informare il segmento di pubblico interessato riguardo [ad] una caratteristica dei prodotti in questione, segnatamente che si trattava dei migliori integratori nutrizionali in commercio. Pertanto, il segmento di pubblico interessato, di fronte ai prodotti e servizi in questione, attribuirà a “TOP” l’unico ovvio significato specificato dianzi, senza immaginare un secondo significato per questo termine in quanto marchio».

64      Tali motivi, che si fondano su un ragionamento autonomo rispetto al riferimento ai risultati della ricerca su Internet menzionata al punto 45 della decisione impugnata, ragionamento per di più già noto alla ricorrente in quanto è quello seguito dall’esaminatore, sono sufficienti a giustificare il rigetto del presente motivo.

65      La constatazione contenuta al punto 45 della decisione impugnata, risultante dalle ricerche effettuate dalla commissione di ricorso secondo cui i termini quali «top» sono ampiamente utilizzati con riferimento ai prodotti in questione per presentare un elenco di «top products», serve solo a corroborare la conclusione secondo cui il termine «top» costituisce una denominazione abituale o ampiamente impiegata nel settore dei prodotti di cui trattasi e pertanto non costituisce un elemento necessario della motivazione del rifiuto della domanda di registrazione.

66      Ne consegue che l’irregolarità che inficia il punto 45 della decisione impugnata alla luce dell’art. 73, seconda frase, del regolamento n. 40/94 non può comportare l’annullamento di tale decisione [v., in questo senso, KWS Saat/UAMI, cit., punto 50, e sentenza del Tribunale 31 marzo 2004, causa T‑216/02, Fieldturf/UAMI (LOOKS LIKE GRASS… FEELS LIKE GRASS… PLAYS LIKE GRASS), Racc. pag. II‑1023, punto 41].

67      Il terzo motivo invocato dalla ricorrente a sostegno delle sue conclusioni d’annullamento non può pertanto essere accolto.

 Sul quarto motivo, relativo ad un vizio di motivazione

 Argomenti delle parti

68      La ricorrente sostiene che la motivazione della decisione impugnata contiene solo affermazioni vaghe e indeterminate, non in grado di corroborare le conclusioni della commissione di ricorso quanto al presunto carattere descrittivo e alla mancanza di carattere distintivo del marchio richiesto.

69      Riguardo, in particolare, alla parte della motivazione dedicata all’analisi del carattere distintivo del marchio di cui trattasi, la decisione impugnata si limiterebbe a proporre elementi emananti da un esame ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94, senza sviluppare un ragionamento autonomo riguardo all’applicazione dell’art. 7, n. 1, lett. b), dello stesso regolamento, e ciò contrariamente a quanto prescritto dalla costante giurisprudenza del Tribunale e, in particolare, dalla sentenza 27 febbraio 2002, causa T‑34/00, Eurocool Logistik/UAMI (EUROCOOL) (Racc. pag. II‑683, punto 25), secondo la quale gli impedimenti assoluti di cui all’art. 7, n. 1, lett. b) e c), del regolamento n. 40/94 sono indipendenti e hanno ciascuno un proprio settore d’applicazione.

70      La ricorrente ne deduce che la decisione impugnata è inficiata da un difetto di motivazione.

71      L’UAMI conclude per il rigetto del presente motivo, sostenendo che la motivazione della decisione impugnata consente alla ricorrente di conoscere i motivi del rifiuto della sua domanda di registrazione.

 Giudizio del Tribunale

72      Secondo una giurisprudenza costante, la motivazione delle decisioni dell’UAMI, il cui obbligo è sancito dall’art. 73, prima frase, del regolamento n. 40/94, deve consentire di far conoscere, se del caso, le ragioni del rigetto della domanda di registrazione e di contestare efficacemente la decisione controversa [sentenza del Tribunale 9 ottobre 2002, causa T‑173/00, KWS Saat/UAMI (Tonalità di arancio), Racc. pag. II‑3843, punti 54 e 55; v. del pari, in questo senso, sentenze del Tribunale 31 gennaio 2001, causa T‑135/99, Taurus-Film/UAMI (Cine Action), Racc. pag. II‑379, punto 35, e causa T‑136/99, Taurus-Film/UAMI (Cine Comedy), Racc. pag. II‑397, punto 35].

73      Nella fattispecie, da un lato, la commissione di ricorso ha esposto al punto 38 della decisione impugnata le ragioni che l’hanno indotta a concludere per il carattere descrittivo del marchio richiesto, ossia essenzialmente la circostanza che quest’ultimo si compone unicamente di un termine elogiativo che può servire in commercio ad informare il consumatore dell’elevato grado di qualità dei prodotti considerati.

74      D’altro lato, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, risulta dai punti 41‑50 della decisione impugnata che la commissione di ricorso è pervenuta alla conclusione che il detto marchio era sprovvisto di carattere distintivo mediante un ragionamento autonomo, basato sulla constatazione che il marchio per cui era richiesta la registrazione consisteva in una denominazione generale, abituale o ampiamente utilizzata con riferimento ai prodotti di cui trattasi.

75      Ne consegue che la motivazione della decisione impugnata, pur se succinta, consentiva alla ricorrente di conoscere le ragioni del rigetto della sua domanda di registrazione e di sviluppare utilmente i suoi motivi nell’ambito del presente ricorso.

76      Il quarto motivo, relativo alla violazione dell’obbligo di motivazione, deve essere respinto in quanto infondato.

 Sul quinto motivo, relativo alla violazione dell’art. 7, n. 1, lett. b) e c)

 Argomenti delle parti

77      In primo luogo, la ricorrente fa osservare che il divieto di registrare quale marchio comunitario segni puramente descrittivi, sancito all’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94, ha lo scopo di impedire la registrazione di segni che, per il fatto di corrispondere alla designazione abituale della categoria di prodotti o servizi di cui trattasi, sono privi della capacità di identificare l’impresa che commercializza i prodotti o servizi tutelati da tali segni. Di conseguenza, secondo la ricorrente, possono essere qualificati come segni puramente descrittivi solo i segni atti ad essere abitualmente utilizzati dal consumatore per designare direttamente e specificamente la qualità o per descrivere, allo stesso modo, una caratteristica dei prodotti o dei servizi interessati dalla domanda di registrazione.

78      Nella fattispecie, a parte affermazioni vaghe e generiche, la commissione di ricorso non avrebbe dimostrato che il termine «top», di cui è composto il marchio richiesto, è utilizzato o può essere utilizzato, in uno dei suoi diversi significati, come indicazione di una qualsivoglia caratteristica qualitativa dei prodotti di cui trattasi.

79      In secondo luogo, con riferimento all’applicazione dell’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, la ricorrente fa rilevare anzitutto che il carattere distintivo di un marchio deve essere valutato in relazione ai prodotti per i quali ne è stata chiesta la registrazione.

80      Essa ricorda poi che, conformemente alla giurisprudenza del Tribunale, l’assenza di carattere distintivo di un marchio di cui è stata chiesta la registrazione non può risultare dalla mera constatazione che il detto segno manca di originalità o di un po’ più di immaginazione.

81      Perciò, qualsiasi marchio, anche costituito da uno o più termini della lingua corrente, privo di qualsiasi elemento di originalità o di creatività, potrebbe essere registrato in quanto marchio comunitario, a condizione di essere in grado di individuare l’origine dei prodotti o dei servizi che esso serve a designare.

82      Orbene, né l’esaminatore né la commissione di ricorso avrebbero dimostrato che il termine «top» di cui è chiesta la registrazione non sia in grado di svolgere tale funzione.

83      Al contrario, componendosi di una parola semplice e breve, facile da memorizzare e la cui pronuncia è agevole in tutte le lingue della Comunità, il marchio di cui trattasi sarebbe in grado di individuare i prodotti della ricorrente e di distinguerli da quelli di un altro produttore.

84      L’UAMI osserva anzitutto, riferendosi all’applicazione dell’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94, che il marchio richiesto è composto esclusivamente da un termine che può servire a descrivere una delle caratteristiche dei prodotti di cui trattasi. In proposito l’UAMI precisa che il termine «top» è un termine elogiativo, frequentemente impiegato in inglese per descrivere la buona qualità dei prodotti considerati, e non si discosta in maniera percettibile dalla terminologia impiegata nel linguaggio corrente così da consentire ai consumatori interessati di considerarlo come un’indicazione dell’origine commerciale dei prodotti di cui trattasi.

85      Riguardo poi alla censura della ricorrente relativa alla presunta violazione dell’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, l’UAMI fa osservare, da un lato, che il termine «top» è un termine elogiativo di uso comune in inglese, generalmente utilizzato come denominazione generica tanto nel settore alimentare in genere quanto in quello specifico degli alimenti e degli integratori nutrizionali a base di erbe e, dall’altro, che a giusto titolo la commissione di ricorso ha considerato che il pubblico pertinente non percepirebbe il termine «top» come un’indicazione dell’origine commerciale dei prodotti di cui trattasi, ma piuttosto come un’informazione sulla qualità di tali prodotti.

 Giudizio del Tribunale

86      Occorre anzitutto esaminare la seconda censura della ricorrente, relativa alla violazione dell’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94.

87      Va ricordato che, ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94 sono esclusi dalla registrazione «i marchi privi di carattere distintivo».

88      I segni privi di carattere distintivo di cui all’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94 non sono idonei ad esercitare la funzione essenziale del marchio, cioè quella di identificare l’origine commerciale del prodotto o del servizio, al fine di consentire in tal modo al consumatore che acquista il prodotto o il servizio designato dal marchio di effettuare la medesima scelta in occasione di un successivo acquisto se l’esperienza si rivela positiva, ovvero di effettuare una scelta diversa se essa si rileva negativa [sentenza del Tribunale 9 ottobre 2002, causa T‑360/00, Dart Industries/UAMI (UltraPlus), Racc. pag. II‑3867, punto 42].

89      Il carattere distintivo di un segno può essere valutato soltanto in relazione ai prodotti o ai servizi per i quali è stata chiesta la registrazione, da un lato, e in relazione alla percezione che ne ha il pubblico pertinente, dall’altro (sentenza UltraPlus, cit., punto 43).

90      Nella fattispecie la commissione di ricorso ha dedotto l’assenza di carattere distintivo del termine «top» dalla constatazione del carattere elogiativo di tale termine e dal fatto che esso costituisce una designazione abituale o ampiamente utilizzata per i prodotti di cui trattasi (punti 44 e 46 della decisione impugnata). Inoltre la commissione di ricorso ha ritenuto che il consumatore, dal momento che percepirebbe tale termine come espressione di una decisa affermazione del produttore in relazione alla qualità dei propri prodotti, non lo identificherebbe come segno distintivo della loro origine (punto 46 della decisione impugnata).

91      In via preliminare si deve rilevare che, per determinare il carattere distintivo di un segno, non è necessario constatare che il segno è originale o fantasioso (v., in questo senso, sentenze del Tribunale Cine Action, cit., punto 31, EUROCOOL, cit., punto 45, e UltraPlus, cit., punto 45).

92      Per quanto riguarda il pubblico di riferimento, si deve rilevare, come fa la commissione di ricorso senza essere in proposito contestata dalla ricorrente, che gli alimenti e gli integratori nutrizionali a base di erbe sono destinati al grande consumo e, quindi, ai consumatori il cui livello di attenzione non è così specifico da influenzare la loro percezione del segno. Conseguentemente, il pubblico di riferimento è costituito da consumatori medi, normalmente informati e ragionevolmente attenti e accorti [v., in questo senso, sentenza della Corte 22 giugno 1999, causa C‑342/97, Lloyd Schuhfabrik Meyer, Racc. pag. I‑3819, punto 26; sentenze del Tribunale 7 giugno 2001, causa T‑359/99, DKV/UAMI (EuroHealth), Racc. pag. II‑1645, punto 27, e UltraPlus, cit., punto 46].

93      Si deve anzitutto considerare che il termine «top», in origine inglese, è utilizzato correntemente anche in altre lingue della Comunità, appartiene alla categoria dei superlativi e può essere utilizzato in quanto sostantivo autonomo o apposizione. Giacché il marchio proposto alla registrazione è composto unicamente da tale termine, si deve considerare che, dal punto di vista grammaticale, quest’ultimo funga da sostantivo.

94      Va osservato poi che, nella fattispecie, al contrario di quanto avveniva per il termine «ultraplus» nella causa conclusasi con la citata sentenza UltraPlus, il termine «top» è utilizzato nella sua struttura grammaticale abituale e non «si discosta sensibilmente da una costruzione lessicalmente corretta» ai sensi della citata sentenza UltraPlus (punto 47).

95      Inoltre, pur se è vero che, per il suo significato generico tendente ad esaltare indeterminatamente la natura, la funzione, la qualità o una delle qualità di qualsiasi prodotto o servizio, il segno «top» non consente al consumatore di immaginare a quale tipo di prodotto o di servizio si colleghi, resta pur sempre il fatto che, proprio per il suo impiego abituale tanto nel linguaggio corrente quanto in quello commerciale quale termine elogiativo generico, tale segno denominativo non può essere considerato atto ad identificare l’origine commerciale dei prodotti che esso designa e quindi a svolgere la funzione essenziale del marchio.

96      Infine, benché, come fa osservare la ricorrente, siffatto segno possa essere facilmente e immediatamente memorizzato dal pubblico pertinente, la circostanza che esso possa essere impiegato in quanto tale da qualsiasi produttore o fornitore di servizi per la pubblicità dei propri prodotti o servizi comporta che il suo uso non può essere riservato ad una sola impresa, anche se tale esclusività riguarderebbe solo un ambito specifico, quale quello degli alimenti o degli integratori nutrizionali a base di erbe e prodotti simili.

97      Risulta dalle considerazioni precedenti che la commissione di ricorso non ha commesso errori di valutazione nel concludere che il marchio proposto alla registrazione era privo di carattere distintivo.

98      La seconda censura avanzata nell’ambito del quinto motivo deve essere quindi respinta in quanto infondata.

99      Dal momento che la sussistenza di uno solo degli impedimenti assoluti alla registrazione previsti dall’art. 7, n. 1, del regolamento n. 40/94 è sufficiente per giustificare il rifiuto di registrazione di un marchio, si deve respingere il quinto motivo senza che sia necessario esaminare la prima censura, relativa ad un errore nell’applicazione dell’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94, non essendo quest’ultimo, in ogni caso, pertinente nella fattispecie.

 Sul sesto motivo, fatto valere in subordine, riguardante l’errore di valutazione nell’applicazione dell’art. 7, n. 3, del regolamento n. 40/94

 Argomenti delle parti

100    Secondo la ricorrente, la commissione di ricorso avrebbe erroneamente valutato gli elementi di prova da essa prodotti per dimostrare l’acquisto, da parte del marchio richiesto, di un carattere distintivo mediante l’uso, ai sensi dell’art. 7, n. 3, del regolamento n. 40/94. In particolare, essa imputa alla commissione di ricorso di aver esaminato tali diversi elementi separatamente invece di valutarli globalmente. Valutati nel loro complesso, siffatti elementi dimostrerebbero che la ricorrente ha ampiamente utilizzato il suo marchio prima del deposito della domanda di registrazione.

101    Secondo l’UAMI, la commissione di ricorso ha giustamente considerato che gli elementi prodotti dalla ricorrente non dimostravano l’acquisto di un carattere distintivo mediante l’uso.

 Giudizio del Tribunale

102    Risulta dai punti 53‑55 della decisione impugnata che la commissione di ricorso ha respinto la pertinenza come elementi di prova, da un lato, degli estratti dei cataloghi della ricorrente, in quanto non era possibile determinarne la data di pubblicazione né la portata della diffusione presso il pubblico stabilito nella Comunità, e, dall’altro, dei dati relativi al volume delle vendite della ricorrente, per il loro carattere non dettagliato e per il fatto che tali dati non erano certificati da un contabile, né accompagnati da fatture.

103    Riguardo agli estratti dell’opuscolo «Sun spot», pubblicato dalla ricorrente, riferentisi ai mesi di luglio 1993, gennaio 1995, febbraio 1996, giugno 1996 e agosto 1997, al punto 56 della decisione impugnata la commissione di ricorso ha considerato che, in mancanza di precisazioni riguardo alla tiratura e alle aree geografiche di distribuzione della detta pubblicazione, quest’ultima non costituiva un elemento idoneo a dimostrare che il marchio proposto alla registrazione possedesse un carattere distintivo nella parte considerata della Comunità.

104    Orbene, si deve constatare che la ricorrente non tenta neppure di contestare le conclusioni della commissione di ricorso riguardo alla mancata pertinenza degli elementi di prova prodotti o riguardo alla loro efficacia probatoria, giudicata insufficiente per giustificare l’applicazione, nella fattispecie, dell’art. 7, n. 3, del regolamento n. 40/94.

105    Essa si limita ad imputare alla commissione di ricorso di aver effettuato un’analisi frammentaria dei diversi elementi prodotti e di non averli valutati complessivamente.

106    In tali circostanze è sufficiente constatare che la commissione di ricorso non ha commesso errori di valutazione nell’esaminare separatamente la pertinenza e l’efficacia probatoria degli elementi prodotti dalla ricorrente, trattandosi di documenti e di informazioni di natura diversa.

107    Il sesto motivo fatto valere in subordine dalla ricorrente va pertanto respinto.

108    Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, si devono respingere le conclusioni d’annullamento.

 Sulle altre conclusioni

 Sulle conclusioni dirette a ottenere la condanna dell’UAMI al rimborso delle spese di traduzione sostenute dalla ricorrente nel corso dei procedimenti dinanzi all’esaminatore e dinanzi alla commissione di ricorso

 Argomenti delle parti

109    La ricorrente afferma di essere stata costretta a far tradurre in inglese tutti i documenti del procedimento per il fatto che l’esaminatore e la commissione di ricorso in maniera sistematica non hanno tenuto conto della lingua di procedura. Per tale fatto essa avrebbe sostenuto spese che ritiene debbano essere poste a carico dell’UAMI.

110    L’UAMI si oppone alle pretese della ricorrente.

 Giudizio del Tribunale

111    Si deve constatare che la ricorrente, a sostegno della sua domanda, non ha fornito nessun elemento atto a dimostrare la veridicità delle sue affermazioni né a determinare l’importo delle spese di traduzione che essa afferma di aver sostenuto.

112    In tali circostanze la detta domanda non può che essere respinta.

 Sulle conclusioni dirette a ottenere il risarcimento del danno subito a causa della presunta eccessiva durata del procedimento dinanzi alla commissione di ricorso

 Argomenti delle parti

113    In subordine la ricorrente chiede di essere risarcita per la durata del procedimento dinanzi alla commissione di ricorso, da essa ritenuta eccessiva.

114    L’UAMI fa osservare, da un lato, che la ricorrente non ha indicato il danno da essa subito per il presunto superamento del termine ragionevole da parte della commissione di ricorso e, dall’altro, che, date le circostanze della fattispecie, la durata del procedimento dinanzi alla commissione di ricorso non può essere considerata eccessiva.

 Giudizio del Tribunale

115    È sufficiente rilevare che la ricorrente non ha prodotto il minimo elemento atto a dimostrare l’esistenza di un qualsivoglia danno derivante dalla presunta eccessiva durata del procedimento dinanzi alla commissione di ricorso.

116    In tali circostanze si devono respingere le conclusioni della ricorrente dirette a ottenere un risarcimento per il presunto danno subito a causa dell’eccessiva durata del procedimento dinanzi alla commissione di ricorso.

117    Risulta da tutti i motivi esposti in precedenza che il ricorso deve essere integralmente respinto.

 Sulle spese

118    Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché l’UAMI ne ha fatto domanda, la ricorrente, rimasta soccombente, va condannata alle spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La ricorrente è condannata alle spese.

Legal

Mengozzi

Wiszniewska-Białecka

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 13 luglio 2005.

Il cancelliere

 

      Il presidente

H. Jung

 

      H. Legal


* Lingua processuale: il greco.