Language of document : ECLI:EU:T:1998:118

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Terza Sezione)

9 giugno 1998 (1)

«Recupero di dazi doganali — Regolamento (CEE) n. 1697/79 —

Regolamento (CEE) n. 2454/93»

Nelle cause riunite T-10/97 e T-11/97,

Unifrigo Gadus Srl, società di diritto italiano, con sede in Napoli,

e

CPL Imperial 2 SpA, società di diritto italiano, con sede in Pescara,

con l'avv. Giuseppe Celona, del foro di Milano, con domicilio eletto in Lussemburgo presso lo studio dell'avv. Georges Margue, 20, rue Philippe II,

ricorrenti,

contro

Commissione delle Comunità europee, rappresentata inizialmente dai signori Fernando Castillo de la Torre e Paolo Stancanelli, in seguito solo dal signor Stancanelli, membri del servizio giuridico, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo presso il signor Carlos Gómez de la Cruz, membro del servizio giuridico, Centre Wagner, Kirchberg,

convenuta,

aventi ad oggetto una domanda di annullamento della decisione della Commissione 8 ottobre 1996, C(96) 2780 def., che dispone il recupero di dazi doganali, e una domanda di risarcimento del danno asseritamente subito dalle ricorrenti,

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO

DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Terza Sezione),

composto dalla signora V. Tiili, presidente, e dai signori C.P. Briët e A. Potocki, giudici,

cancelliere: J. Palacio González, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 3 marzo 1998,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Fatti all'origine del ricorso e svolgimento del procedimento

1.
    Le ricorrenti sono società che operano nel commercio dei prodotti ittici.

2.
    Nel periodo compreso fra il 1990 e il 1991 esse importavano dalla Norvegia talune partite di merluzzo. Tali importazioni venivano effettuate sulla base di certificati EUR 1 che attestavano l'origine norvegese dei prodotti. Di conseguenza, potevano beneficiare del regime tariffario preferenziale applicabile a questo tipo di prodotti, nell'ambito dei contingenti tariffari comunitari previsti dal regolamento (CEE) del Consiglio 4 dicembre 1989, n. 3692, recante apertura e modalità di gestione dei contingenti tariffari comunitari per i merluzzi e per i pesci della specie Boreogadus saida, secchi, salati o in salamoia, originari della Norvegia (1990) (GU L 362, pag. 3), e dal regolamento (CEE) del Consiglio 4 dicembre 1990, n. 3523, recante apertura e modalità di gestione di contingenti tariffari comunitari per determinati prodotti agricoli e della pesca, originari di taluni paesi dell'EFTA (GU L 343, pag. 4).

3.
    Nel corso del 1993 l'amministrazione doganale norvegese informava spontaneamente le autorità italiane di aver accertato che l'esportatore non era in grado di provare l'origine norvegese dei prodotti.

4.
    Il 4 agosto e il 23 novembre 1993 veniva notificata dalla dogana di Verona alla CPL Imperial 2 SpA (in prosieguo la: «CPL Imperial 2») e, rispettivamente, alla

Unifrigo Gadus Srl (in prosieguo: la «Unifrigo Gadus») la decisione di procedere ad un recupero dei dazi doganali.

5.
    Rivendicando la sua buona fede, la società CPL Imperial 2, tramite uno spedizioniere doganale che la rappresentava, con lettera 3 dicembre 1993 chiedeva all'amministrazione italiana di non procedere al recupero dei dazi all'importazione, facendo presente che la mancata riscossione di quei dazi era addebitabile ad un errore dell'autorità competente che non poteva essere ragionevolmente scoperto da un operatore in buona fede. Essa chiedeva inoltre alle autorità italiane di sottoporre la questione alla Commissione. La società Unifrigo Gadus dichiara di aver proceduto in maniera analoga.

6.
    Con lettera 30 gennaio 1996 le ricorrenti confermavano tramite il loro rappresentante di aver preso conoscenza della documentazione che le autorità nazionali si apprestavano a presentare alla Commissione e di non aver nulla da aggiungere in proposito.

7.
    Con lettera 6 febbraio 1996, ricevuta il 12 aprile successivo, le autorità italiane trasmettevano alla Commissione la documentazione relativa all'istanza proposta dalle ricorrenti e da una terza impresa, che non è parte delle presenti cause. Esse chiedevano alla Commissione di decidere se, nel caso specie, fosse giustificato non procedere al recupero dei dazi all'importazione, per un importo totale di 148 890 000 LIT, in conformità all'art. 5, n. 2, del regolamento (CEE) del Consiglio 24 luglio 1979, n. 1697, relativo al recupero a posteriori dei dazi all'importazione o dei dazi all'esportazione che non sono stati corrisposti dal debitore per le merci dichiarate per un regime doganale comportante l'obbligo di effettuarne il pagamento (GU L 197, pag. 1) (in prosieguo: il «regolamento n. 1697/79»).

8.
    Questa richiesta veniva esaminata nell'ambito della procedura descritta agli artt. 871 e seguenti del regolamento (CEE) della Commissione 2 luglio 1993, n. 2454, che fissa talune disposizioni d'applicazione del regolamento (CEE) del Consiglio n. 2913/92, che istituisce un codice doganale comunitario (GU L 253, pag. 1) (in prosieguo: il «regolamento n. 2454/93»).

9.
    La Commissione consultava gli esperti rappresentanti degli Stati membri nel corso della riunione del comitato per il codice doganale del 3 giugno 1996. L'8 ottobre 1996 essa adottava la decisione C(96) 2780 def. (in prosieguo: la «decisione»), il cui art. 1 è formulato come segue: «I dazi all'importazione, dell'importo di 148 890 000 LIT e oggetto della domanda presentata dall'Italia in data 2 febbraio 1996, devono essere ricuperati».

10.
    A seguito dell'emanazione della decisione, le ricorrenti ricevevano ciascuna dalla direzione delle dogane di Verona una lettera, datata 22 novembre 1996, in cui si chiedeva il pagamento dei dazi doganali, ossia 31 200 000 LIT per quanto riguarda la Unifrigo Gadus e 95 010 000 LIT per quanto riguarda la CPL Imperial 2, più gli

interessi di mora. L'importo richiesto alla CPL Imperial 2 comprende l'importo dei dazi doganali corrispondente alla bolletta doganale n. 7338 F.

11.
    A seguito di ciò, con atti registrati nella cancelleria del Tribunale il 17 gennaio 1997, le ricorrenti hanno proposto i ricorsi in esame.

12.
    Con ordinanza del presidente della Terza Sezione 9 febbraio 1998, ai sensi dell'art. 50 del regolamento di procedura, è stata disposta la riunione delle cause T-10/97 e T-11/97 ai fini della fase orale e della sentenza.

13.
    Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Terza Sezione) ha deciso di iniziare la fase orale. Nell'ambito delle misure di organizzazione del procedimento le ricorrenti sono state invitate a produrre determinati documenti, ciò che hanno fatto con lettera 23 gennaio 1998.

14.
    Le parti hanno svolto le loro difese orali ed hanno risposto ai quesiti posti dal Tribunale all'udienza del 3 marzo 1998.

Conclusioni delle parti

15.
    Le ricorrenti concludono che il Tribunale voglia:

—    dichiarare ricevibili i ricorsi;

—    annullare la decisione;

—    in subordine, dichiarare che la decisione non ha effetto sul diritto delle ricorrenti a che il dazio in questione non sia recuperato;

—    in ulteriore subordine, condannare la Commissione a rimborsare alle ricorrenti l'intera somma che esse siano tenute a pagare a titolo di dazio a posteriori, le penalità e gli accessori;

—    in ogni caso, annullare la decisione nella parte riguardante gli interessi;

—    condannare la convenuta alle spese.

16.
    Nella sola causa T-11/97 la ricorrente, CPL Imperial 2, conclude altresì che il Tribunale voglia:

—    in subordine, annullare la decisione, in quanto impone il recupero dell'importo dei dazi doganali corrispondente alla bolletta doganale n. 7338 F.

17.
    La Commissione conclude che il Tribunale voglia:

—    respingere i ricorsi;

—    condannare le ricorrenti alle spese.

Sulla domanda d'annullamento della decisione

18.
    Occorre rilevare, in via preliminare, che, per giurisprudenza costante, le norme di procedura si applicano, come si ritiene in generale, a tutte le controversie pendenti all'atto della loro entrata in vigore, a differenza delle norme sostanziali, che, secondo la comune interpretazione, non riguardano rapporti giuridici definiti anteriormente alla loro entrata in vigore [v., in particolare, sentenza della Corte 6 luglio 1993, cause riunite C-121/91 e C-122/91, CT Control (Rotterdam) e JCT Benelux/Commissione, Racc. pag. I-3873, punto 22].

19.
    Ne consegue — il che non è contestato dalle parti — che la normativa applicabile al procedimento dinanzi alla Commissione è quella enunciata dal regolamento n. 2454/93 e che le disposizioni sostanziali applicabili ai fatti di causa sono quelle dell'art. 5, n. 2, del regolamento n. 1697/79.

20.
    A sostegno delle loro domande di annullamento le ricorrenti hanno dedotto, in sostanza, cinque motivi.

Sul primo motivo, relativo all'incompetenza della Commissione

Argomenti delle parti

21.
    Le ricorrenti rilevano che, secondo l'art. 873 del regolamento n. 2454/93, la Commissione ha il potere assoluto di decidere se si debba procedere o meno alla contabilizzazione a posteriori dei dazi non riscossi anche quando le autorità doganali ritengano che siano soddisfatte le condizioni di cui all'art. 220, n. 2, lett. b), del regolamento (CEE) del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913, che istituisce un codice doganale comunitario (GU L 302, pag. 1) (o, in passato, all'art. 5, n. 2, del regolamento n. 1697/79). Tale disposizione è in contrasto con i principi enunciati dalla giurisprudenza della Corte, in forza dei quali, quando sussistono i presupposti di cui all'art. 220, n. 2, lett. b), sussiste un diritto dell'importatore a che il dazio non sia contabilizzato a posteriori. La Commissione non aveva quindi il potere di adottare la decisione.

22.
    La Commissione deduce, in primo luogo, che il motivo è irricevibile, poiché le ricorrenti, in quanto persone giuridiche, non sono riguardate direttamente e individualmente dal regolamento n. 2454/93.

23.
    Essa rileva inoltre che, contrariamente alle asserzioni delle ricorrenti, gli artt. 871 e seguenti del detto regolamento non consentono affatto alla Commissione di

eludere l'applicazione del diritto del debitore alla non riscossione del dazio nel caso in cui ne ricorrano le condizioni.

Giudizio del Tribunale

24.
    L'asserita irricevibilità del motivo presuppone che le ricorrenti domandino l'annullamento, ai sensi dell'art. 173 del Trattato, di talune disposizioni del regolamento n. 2454/93. Ciò non avviene, tuttavia, nel presente caso. Come le ricorrenti confermano nella replica, il motivo da esse dedotto è da intendersi piuttosto come una domanda diretta a un'interpretazione delle dette disposizioni conforme ai principi del diritto comunitario.

25.
    Ciò considerato, va disattesa la tesi dell'asserita irricevibilità del motivo.

26.
    Nel merito, è pacifico che, ove siano soddisfatte le condizioni di cui all'art. 5, n. 2, del regolamento n. 1697/79, il debitore ha diritto a che non si proceda al recupero (v., in particolare, sentenze della Corte 27 giugno 1991, causa C-348/89, Mecanarte, Racc. pag. I-3277, punto 12; 4 maggio 1993, causa C-292/91, Weis, Racc. pag. I-2219, punto 15, e 14 maggio 1996, cause riunite C-153/94 e C-204/94, Faroe Seafood e a., Racc. pag. I-2465, punto 84).

27.
    L'art. 871 del regolamento n. 2454/93 dispone, dal canto suo, che: «Eccettuati i casi di cui all'articolo 869, quando l'autorità doganale ritenga che siano soddisfatte le condizioni di cui all'articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del codice o abbia dei dubbi sulla portata dei criteri di questa disposizione in ordine al caso considerato, tale autorità lo sottopone alla Commissione affinché sia risolto conformemente alla procedura di cui agli articoli da 872 a 876». L'art. 873 dello stesso regolamento prevede che «la Commissione decide se si debba procedere o meno alla contabilizzazione a posteriori dei dazi non riscossi».

28.
    Gli artt. 871 e 873 del regolamento n. 2454/93 conferiscono così alla Commissione un potere decisionale, in particolare nel caso in cui le autorità competenti ritengano che ricorrano le condizioni affinché non si proceda alla contabilizzazione a posteriori dei dazi non riscossi.

29.
    Questo potere decisionale ha lo scopo di garantire l'applicazione uniforme del diritto comunitario (v., per quanto riguarda la disposizione applicabile prima dell'entrata in vigore dell'art. 871 del regolamento n. 2454/93, sentenze della Corte26 giugno 1990, causa C-64/89, Deutsche Fernsprecher, Racc. pag. I-2535, punto 13, Mecanarte, citata, punto 33, e Faroe Seafood e a., citata, punto 80).

30.
    Orbene, il sistema del rinvio alla Commissione sarebbe privo di senso se essa fosse tenuta a conformarsi al parere espresso dalle autorità doganali nella loro domanda.

31.
    D'altro canto, questo potere decisionale non consente affatto alla Commissione di porre in non cale il diritto del debitore a che non si proceda al recupero dei dazi

quando, in esito all'esame, essa concluda che ricorrono le condizioni affinché l'impresa possa beneficiare della non riscossione.

32.
    Il primo motivo dev'essere, di conseguenza, disatteso.

Sul secondo motivo, relativo alla violazione degli artt. 871-874 del regolamento n. 2454/93

Argomenti delle parti

33.
    Le ricorrenti ricordano, nella prima parte di tale motivo, che l'art. 871 del regolamento n. 2454/93 dispone che la Commissione può (e quindi deve) chiedere che le siano forniti ulteriori elementi informativi «quando si constati che gli elementi d'informazione comunicati dallo Stato membro non consentono di deliberare con cognizione di causa sul caso all'esame».

34.
    La Commissione non poteva quindi basarsi sulla sola asserzione delle autorità norvegesi che mette in discussione la validità dei certificati d'origine, quando tale asserzione era stata contestata dalla Suprema Corte norvegese, lo Høyesterett, molto prima dell'adozione della decisione, con sentenza 2 aprile 1993. Non procedendo ad un ulteriore esame, la Commissione non ha deciso con piena cognizione di causa.

35.
    Nella seconda parte di tale motivo le ricorrenti sostengono che, tenuto conto dei brevi termini previsti dagli artt. 871-874 del regolamento n. 2454/93, il recupero dei dazi non poteva essere disposto. Infatti, nel caso di specie, le importazioni sono intervenute nel 1990 e nel 1991 e le ricorrenti hanno chiesto alle autorità nazionali italiane di adire la Commissione nel dicembre 1993; ciononostante, la decisione è stata adottata solo l'8 ottobre 1996 e trasmessa alle ricorrenti il 22 novembre successivo.

36.
    La Commissione replica di aver agito in conformità alle norme enunciate agli artt. 871-874 del regolamento n. 2454/93 (v., in particolare, sentenze della Corte 7 dicembre 1993, causa C-12/92, Huygen e a., Racc. pag. I-6381, e Faroe Seafood, citata, punti 16 e 63; sentenza del Tribunale 9 novembre 1995, causa T-346/94, France-aviation/Commissione, Racc. pag. II-2841, punti 30-36).

Giudizio del Tribunale

37.
    Per quanto riguarda la prima parte di questo motivo, occorre ricordare che, ai sensi dell'art. 871, primo comma, del regolamento n. 2454/93, «la pratica inviata alla Commissione [dalle autorità doganali] deve contenere tutti gli elementi necessari per un attento esame del caso». Il terzo comma dello stesso articolo così dispone: «Quando si constati che gli elementi d'informazione comunicati dallo Stato membro non consentono di deliberare con cognizione di causa sul caso all'esame,

la Commissione può chiedere che le vengano comunicate informazioni complementari».

38.
    Nel caso di specie le autorità norvegesi hanno informato quelle italiane del fatto che l'esportatore non era in grado di dimostrare l'origine norvegese dei prodotti. Orbene, qualora un controllo a posteriori non consenta di confermare l'origine della merce indicata nel certificato EUR 1, si deve ritenere che essa sia di origine ignota e che, pertanto, il certificato EUR 1 e la tariffa preferenziale siano stati concessi indebitamente. In tal caso le autorità doganali dello Stato membro importatore devono, in via di principio, procedere al recupero dei dazi doganali non riscossi al momento dell'importazione (sentenze Huygen, citata, punto 17, e Faroe Seafood e a., citata, punto 1).

39.
    Dopo che le autorità norvegesi avevano informato le autorità italiane del fatto che l'esportatore non era in grado di provare l'origine norvegese dei prodotti di cui si tratta, né le autorità italiane né le ricorrenti hanno contestato tale conclusione.

40.
    In particolare, anche se le ricorrenti hanno fatto valere la loro buona fede, non hanno tuttavia messo in dubbio, nella corrispondenza intrattenuta con le autorità italiane, le informazioni delle autorità norvegesi. Il rappresentante delle ricorrenti ha confermato peraltro, con lettera 30 gennaio 1996, di non avere nulla da aggiungere alla pratica trasmessa alla Commissione dalle autorità italiane.

41.
    Di conseguenza, la Commissione era legittimata a ritenere che la documentazione trasmessale fosse completa e di non dover quindi richiedere informazioni complementari.

42.
    Ad abundantiam, si rileva che il solo elemento non figurante nella documentazione trasmessa alla Commissione, e di cui le ricorrenti si sono avvalse, è la sentenza 2 aprile 1993 dello Høyesterett. Ora, risulta che tale sentenza è stata emessa in un procedimento penale nei confronti di due persone per falsificazione di certificati sanitari relativi a prodotti ittici esportati in diversi paesi. Come rileva la Commissione, lo Høyesterett si è pronunciato solamente su tale questione, e non ha accertato che i prodotti di cui si tratta fossero originari della Norvegia.

43.
    In merito alla seconda parte del motivo, occorre ricordare che, ai sensi dell'art. 871, secondo comma, del regolamento n. 2454/93, «la Commissione accusa immediata ricezione della pratica [trasmessa dalle autorità di uno Stato membro] allo Stato membro interessato». L'art. 872, primo comma, dello stesso regolamento dispone: «La Commissione trasmette agli Stati membri copia della pratica di cui all'articolo 871, primo comma, entro quindici giorni dal ricevimento». Da parte sua, l'art. 873, secondo comma, prima frase, stabilisce che la decisione «deve essere presa entro sei mesi dalla data di ricevimento da parte della Commissione della pratica di cui all'articolo 871, primo comma». Infine, ai sensi dell'art. 874, primo comma, «la decisione di cui all'articolo 873 deve essere notificata allo Stato membro interessato

il più presto possibile e comunque entro trenta giorni dalla scadenza del termine di cui al medesimo articolo».

44.
    Nel caso di specie le ricorrenti non invocano alcun elemento atto a dimostrare che queste disposizioni siano state disattese. Così, né il termine trascorso tra la data delle importazioni e la data della decisione della Commissione né quello tra la data nella quale le imprese chiedono alle autorità nazionali di adire la Commissione e la data in cui dette autorità adiscono effettivamente la Commissione sono disciplinati dalla citate disposizioni. Tali termini non hanno, di conseguenza, alcuna influenza sul rispetto, da parte della Commissione, dei termini previsti dalle disposizioni stesse.

45.
    Considerato quanto precede, il secondo motivo dev'essere disatteso.

Sul terzo e sul quarto motivo, relativi alla violazione dell'art. 5, n. 2, del regolamento n. 1697/79 e del principio generale del legittimo affidamento

Argomenti delle parti

46.
    Le ricorrenti sostengono che un dazio può essere recuperato solo quando l'importatore avrebbe dovuto rendersi conto di aver tratto vantaggio da un errore o da una disattenzione dell'autorità doganale (sentenze della Corte 15 dicembre 1983, causa 283/82, Schoellershammer/Commissione, Racc. pag. 4219, punto 7; 15 maggio 1986, causa 160/84, Oryzomyli Kavallas e a./Commissione, Racc. pag. 1633, punto 21, e 1° aprile 1993, causa C-250/91, Hewlett Packard France, Racc. pag. I-1819, punti 45 e 46).

47.
    Ne consegue che quando, come nel caso di specie, la falsificazione dei certificati d'origine ad opera dell'impresa esportatrice non poteva essere sospettata dall'impresa importatrice non può procedersi al recupero (sentenze Deutsche Fernsprecher, citata, punto 17, e Hewlett Packard France, citata, punto 28; sentenza della Corte 18 gennaio 1996, causa C-446/93, SEIM, Racc. pag. I-73, punti 40-48).

48.
    Inoltre, la Commissione avrebbe a torto ritenuto, nella decisione, che l'eventuale invalidità dei certificati EUR 1 rientri nel rischio commerciale.

49.
    Le ricorrenti concludono che, poiché esse non erano in grado di sospettare l'errore commesso, il recupero dei dazi sarebbe contrario al principio del legittimo affidamento. Esse ricordano in proposito che, secondo la giurisprudenza, l'art. 5, n. 2, del regolamento n. 1697/79 è espressione di una clausola generale di equità.

50.
    La Commissione sostiene che una delle tre condizioni cumulative enunciate all'art. 5, n. 2, del regolamento n. 1697/79, come interpretato dalla giurisprudenza, vale a dire il fatto che i dazi non sono stati riscossi a seguito di un errore delle

stesse autorità competenti, non ricorre nel caso di specie (v., in particolare, sentenze Mecanarte e Faroe Seafood, citate).

51.
    Inoltre, in un caso quale quello di specie il debitore non può invocare il legittimo affidamento (v., in particolare, sentenza della Corte 13 novembre 1984, cause riunite 98/83 e 230/83, Van Gend & Loos e Bosman/Commissione, Racc. pag. 3763, e le citate sentenze Mecanarte e Faroe Seafood e a.).

52.
    La Commissione conclude che il debitore deve assumersi il rischio commerciale che discende da una dichiarazione d'origine ingiustificata da parte dell'esportatore (sentenze della Corte 11 dicembre 1980, causa 827/79, Acampora, Racc. pag. 3731, punto 8, e SEIM, citata, punto 45), rischio nei cui confronti egli doveva premunirsi (sentenza Faroe Seafood, citata, punto 114).

Giudizio del Tribunale

53.
    L'art. 5, n. 2, del regolamento n. 1697/79 così dispone: «Le autorità competenti hanno la facoltà di non procedere al ricupero a posteriori dell'importo dei dazi all'importazione o dei dazi all'esportazione qualora tali dazi non siano stati riscossi a causa di un errore delle autorità competenti medesime che non poteva ragionevolmente essere scoperto dal debitore, purché questi abbia, dal canto suo, agito in buona fede e osservato tutte le disposizioni previste, per la sua dichiarazione in dogana, dalla regolamentazione vigente».

54.
    Secondo costante giurisprudenza, le condizioni enunciate in questo articolo sono cumulative (v., in particolare, sentenze Mecanarte, citata, punto 12, e Faroe Seafood e a., citata, punto 83).

55.
    La prima di queste condizioni è l'esistenza di un errore delle stesse autorità competenti.

56.
    Non viene contestato che le autorità doganali norvegesi sono autorità competenti ai sensi dell'art. 5, n. 2, del regolamento n. 1697/79 (sentenze Mecanarte, citata, punto 22, e Faroe Seafood e a., citata, punto 88).

57.
    Nel caso di specie è certo che l'errore all'origine delle presenti cause è quello commesso dall'esportatore, che ha dichiarato l'origine norvegese dei prodotti, origine che, successivamente, non è stato in grado di provare.

58.
    Dal testo stesso dell'art. 5, n. 2, del regolamento n. 1697/79 discende che il legittimo affidamento del debitore merita la tutela prevista da questo articolo solo se sono state le autorità competenti «medesime» a porre in essere i presupposti sui quali riposava il legittimo affidamento. Così, solo gli errori imputabili ad un comportamento attivo delle autorità competenti danno diritto al non recupero dei dazi doganali (v. le citate sentenze Mecanarte, punto 23, e Faroe Seafood e a., punto 91).

59.
    Questa condizione non può essere considerata soddisfatta qualora le autorità competenti siano indotte in errore — in particolare sull'origine della merce — da dichiarazioni inesatte dell'esportatore di cui esse non debbono verificare o valutare la validità (sentenze Mecanarte, citata, punto 24, e Faroe Seafood e a., citata, punto 92).

60.
    Inoltre, il debitore non può nutrire un legittimo affidamento quanto alla validità dei certificati per il fatto che essi sono stati inizialmente accettati dalle autorità doganali di uno Stato membro, dato che le operazioni effettuate dagli uffici doganali nell'ambito dell'accettazione iniziale delle dichiarazioni non ostano affatto all'esercizio di controlli successivi (sentenza Faroe Seafood, citata, punto 93).

61.
    Ne consegue che il fatto che le competenti autorità norvegesi abbiano attestato nei certificati EUR 1 che le merci erano originarie del territorio norvegese o il fatto che le autorità italiane abbiano inizialmente accettato l'origine delle merci dichiarata in tali certificati non sono sufficienti perché sussista errore delle autorità competenti ai sensi dell'art. 5, n. 2, del regolamento n. 1697/79 (sentenza Faroe Seafood e a., citata, punto 94).

62.
    E' indubbio che la possibilità di controllare il certificato EUR 1 successivamente all'importazione, senza che l'importatore ne sia stato prima avvertito, può cagionare difficoltà a quest'ultimo qualora egli abbia importato in buona fede merci che godono di preferenze tariffarie sulla base di certificati inesatti o falsificati a suainsaputa. Occorre però rilevare, anzitutto, che la Comunità europea non è tenuta a sopportare le conseguenze pregiudizievoli di comportamenti scorretti dei fornitori degli importatori, inoltre che l'importatore può agire in giudizio per risarcimento nei confronti dell'autore del falso e, infine, che, nel calcolare i vantaggi realizzabili mediante il commercio di prodotti che possono fruire di preferenze tariffarie, l'operatore economico accorto e al corrente della normativa vigente deve valutare i rischi inerenti al mercato che gli interessa ed accettarli come facenti parte della categoria dei normali inconvenienti dell'attività commerciale (sentenza della Corte 17 luglio 1997, causa C-97/95, Pascoal & Filhos, Racc. pag. I-4209, punto 59).

63.
    Infatti, tocca agli operatori economici adottare, nell'ambito dei loro rapporti contrattuali, i provvedimenti necessari per premunirsi contro i rischi di un'azione di recupero (sentenze Faroe Seafood e a., citata, punto 114, e Pascoal & Filhos, citata, punto 60).

64.
    Risulta dal complesso di questi elementi che a ragione la Commissione ha concluso che, nel caso di specie, non sussisteva alcun errore delle autorità competenti medesime ai sensi dell'art. 5, n. 2, del regolamento n. 1697/79 e che le ricorrenti non potevano invocare il principio del legittimo affidamento.

65.
    Poiché le condizioni stabilite dall'art. 5, n. 2, del regolamento n. 1697/79 sono cumulative, la Commissione non doveva esaminare gli altri presupposti per

l'applicazione di questa disposizione, dal momento che il primo non era comunque soddisfatto. Del pari, non occorre esaminare gli argomenti delle ricorrenti relativi a tali altri presupposti.

66.
    Il terzo e il quarto motivo devono quindi essere disattesi.

Sul quinto motivo, relativo alla violazione dell'obbligo di motivazione

Argomenti delle parti

67.
    Le ricorrenti addebitano alla Commissione di essersi limitata, nella decisione, ad affermare, del tutto apoditticamente, che i certificati EUR 1 «non erano validi».

68.
    Ora, un esame più approfondito, tanto più giustificato in quanto le ricorrenti erano assenti dalla procedura, avrebbe consentito alla Commissione di accertare che la sentenza pronunciata in primo grado nei confronti della società esportatrice norvegese dai giudici di tale Stato, e che dichiarava il certificato di origine un falso redatto da tale società esportatrice, era stata riformata dalla sentenza dello Høyesterett 2 aprile 1993 proprio sul punto dell'origine dei prodotti.

69.
    Secondo le ricorrenti, a torto la Commissione asserisce che l'invalidità dei certificati d'origine non è stata contestata, dato che le ricorrenti hanno prodotto, in allegato ai loro ricorsi nella presente causa, la sentenza dello Høyesterett.

70.
    La Commissione ritiene che la decisione sia conforme ai requisiti dell'art. 190 del Trattato.

Giudizio del Tribunale

71.
    Per giurisprudenza costante, la motivazione prescritta dall'art. 190 del Trattato deve indicare, in modo chiaro e non equivoco, l'iter logico seguito dal suo autore in modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e di tutelare i loro diritti e alla Corte di esercitare il suo controllo (v., in particolare, sentenza della Corte 11 luglio 1990, causa C-323/88, Sermes, Racc. pag. II-3027, punto 38).

72.
    Nel caso di specie, nel preambolo della decisione la Commissione rileva consecutivamente che i certificati EUR 1 non sono validi, che questa invalidità rientra nel rischio dell'attività commerciale, che l'accettazione iniziale di questi certificati da parte delle autorità doganali non ha potuto far sorgere un legittimo affidamento in capo agli importatori e che non vi è stato errore commesso dalle autorità competenti medesime ai sensi dell'art. 5, n. 2, del regolamento n. 1697/79.

73.
    La decisione rispecchia quindi in maniera chiara e non equivoca il ragionamento della Commissione.

74.
    Ciò considerato, il motivo dev'essere disatteso.

Sulla domanda, proposta in subordine, diretta all'annullamento degli effetti della decisione

75.
    Le ricorrenti domandano che il Tribunale, nell'ipotesi in cui non dovesse pronunciare l'annullamento della decisione, dichiari che essa non ha effetto sul loro diritto a che non si proceda al recupero dei dazi.

76.
    A tenore dell'art. 174 del Trattato, se il ricorso d'annullamento proposto ai sensi dell'art. 173 è fondato, il Tribunale dichiara l'atto nullo e non avvenuto. Una domanda in subordine quale quella presentata dalle ricorrenti esula quindi dalla competenza del Tribunale ed è, di conseguenza, irricevibile.

Sulla domanda, proposta in subordine, diretta all'annullamento della decisione in quanto l'importo dei dazi richiesti comprende la bolletta n. 7338 F

Argomenti delle parti

77.
    Nella causa T-11/97 la ricorrente rileva che dalla lettera della dogana di Verona 22 novembre 1996, che le comunicava l'importo dei dazi doganali che dovevano essere recuperati, risulta che in tale totale è stato compreso l'importo relativo alla bolletta doganale 27 settembre 1990, 7338 F, che non riguarda prodotti la cui origine era stata contestata.

78.
    Essa conclude che occorre quindi annullare la decisione nella parte in cui si riferisce a tale importo, ossia 12 614 070 LIT.

79.
    La ricorrente ricorda che l'importo del debito doganale è espressamente indicato all'art. 1 della decisione.

80.
    La Commissione ribatte che questo motivo è irricevibile. Essa ricorda di essere stata adita dalle autorità italiane, su richiesta della ricorrente, unicamente per decidere se fossero soddisfatte le condizioni per l'applicazione dell'art. 5, n. 2, del regolamento n. 1697/79. Essa non si è quindi pronunciata né sull'esigibilità né sull'ammontare del debito doganale in questione. La ricorrente non può quindi far valere, nei confronti della decisione, motivi miranti a dimostrare l'illegittimità delle decisioni delle competenti autorità nazionali che impongono il pagamento dei dazi controversi. Una contestazione del genere rientra soltanto nella competenza del giudice nazionale [sentenza della Corte 12 marzo 1987, cause riunite 244/85 e 245/85, Cerealmangimi e Italgrani/Commissione, Racc. pag. 1303, punti 9-13; sentenza CT Control (Rotterdam) e JCT Benelux/Commissione, citata, punti 42-46].

Giudizio del Tribunale

81.
    Il potere decisionale conferito alla Commissione dagli artt. 871 e 873 del regolamento n. 2454/93 ha ad oggetto la sola verifica, in una data situazione di fatto, del ricorrere dei presupposti per l'applicazione dell'art. 5, n. 2, del regolamento n. 1697/79.

82.
    La Commissione non determina quindi l'importo del debito esigibile. Di fatto, il riferimento alla bolletta doganale n. 7338 F compare soltanto nella lettera delle autorità italiane all'impresa, datata 22 novembre 1996 e successiva, quindi, alla decisione.

83.
    E' ben vero che l'art. 1 della decisione recita: «I dazi all'importazione, dell'importo di 148 890 000 LIT e oggetto della domanda presentata dall'Italia in data 2 febbraio 1996, devono essere ricuperati». Tuttavia, l'importo indicato non corrisponde a un calcolo operato dalla Commissione, bensì al solo importo totale indicato dalle autorità italiane nella domanda, alla quale l'art. 1 del dispositivo fa esplicito riferimento.

84.
    Ciò considerato, la domanda in esame dev'essere respinta, poiché non può influire sulla legittimità della decisione e rientra, in realtà, nella competenza del giudice nazionale chiamato a conoscere della legittimità dell'atto amministrativo italiano che ingiunge il recupero dei dazi.

Sulla domanda, proposta in subordine, diretta all'annullamento della decisione per quanto riguarda il pagamento degli interessi

Argomenti delle parti

85.
    Le ricorrenti rilevano che la somma loro richiesta dalle autorità doganali nella lettera 22 novembre 1996 è comprensiva anche di interessi e suscettibile di ulteriori interessi di mora.

86.
    Ora, l'art. 7 del regolamento n. 1697/79, applicabile al caso di specie, esclude che possano richiedersi interessi di mora sulle somme recuperate quando la mancata riscossione dei dazi è dovuta ad errore delle autorità competenti.

87.
    La Commissione ribatte che, per le ragioni esposte in precedenza (v., supra, punto 80), il motivo è irricevibile. Essa rileva che, comunque, dato che l'originaria mancata riscossione dei dazi non può essere imputata ad un errore delle autorità competenti, viene meno il presupposto dell'applicazione dell'art. 7.

Giudizio del Tribunale

88.
    Per le stesse ragioni esposte in precedenza, la domanda in oggetto dev'essere respinta (v. supra, punti 81-84).

Sulla domanda di risarcimento

Argomenti delle parti

89.
    Le ricorrenti contestano l'irricevibilità della domanda di risarcimento dei danni asserita dalla Commissione (sentenza del Tribunale 24 settembre 1996, causa T-485/93, Dreyfus/Commissione, Racc. pag. II-1101, punto 73).

90.
    Nel merito, esse ritengono che la Commissione abbia commesso un errore nell'istruzione della pratica, in quanto, da un lato, non ha agito con la diligenza richiesta dal regolamento n. 2454/93 e, dall'altro, non ha proceduto ad un ulteriore esame che era tenuta ad effettuare (sentenza della Corte 24 febbraio 1994, causa C-368/92, Chiffre, Racc. pag. I-605, punto 19 e 30).

91.
    Il danno subito a causa di questo comportamento negligente corrisponde all'importo dei dazi doganali che le ricorrenti dovranno infine versare alle autorità italiane.

92.
    La Commissione deduce, in via principale, che, secondo la giurisprudenza, quando la domanda di risarcimento dei danni mira, in realtà, ad eliminare le conseguenze derivanti dalla decisione il cui annullamento viene d'altra parte richiesto, come avviene nel caso di specie, essa dev'essere dichiarata irricevibile (sentenza della Corte 26 febbraio 1986, causa 175/84, Krohn/Commissione, Racc. pag. 753).

93.
    In subordine la Commissione fa valere l'infondatezza della domanda, dal momento che nel caso di specie non può esserle rimproverata alcuna negligenza.

Giudizio del Tribunale

94.
    Secondo giurisprudenza, l'irricevibilità di un ricorso d'annullamento proposto ai sensi dell'art. 173 del Trattato può, in via eccezionale, comportare quella di un ricorso per risarcimento del danno proposto ai sensi dell'art. 215 del Trattato quando quest'ultimo mira, in realtà, alla revoca di una decisione individuale divenuta definitiva (in particolare, sentenza Krohn/Commissione, citata, punto 33).

95.
    Nel caso di specie la Commissione non eccepisce l'irricevibilità del ricorso d'annullamento, ma ne fa valere soltanto l'infondatezza. La giurisprudenza citata dalla Commissione non è quindi applicabile nel caso di specie.

96.
    Nel merito, occorre rilevare che gli errori fatti valere dalle ricorrenti corrispondono alla prima e alla seconda parte del secondo motivo dedotto a sostegno della domanda d'annullamento.

97.
    L'esame effettuato dal Tribunale su queste due parti di motivo non ha messo in luce errori di diritto o di fatto della Commissione; ne consegue che a torto le ricorrenti imputano un errore a quest'ultima.

98.
    Di conseguenza, la domanda di risarcimento del danno asseritamente subito dev'essere respinta.

99.
    Ne discende che il ricorso dev'essere interamente respinto.

Sulle spese

100.
    Ai sensi dell'art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Le ricorrenti sono rimaste soccombenti e devono quindi essere condannate alle spese, in conformità alla domanda della convenuta.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Terza Sezione)

dichiara e statuisce:

1.
    I ricorsi sono respinti.

2.
    Le ricorrenti sono condannate alle spese.

Tiili
Briët
Potocki

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 9 giugno 1998.

Il cancelliere

Il presidente

H. Jung

V. Tiili


1: Lingua processuale: l'italiano.