Language of document : ECLI:EU:T:2005:430

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

29 novembre 2005 (*)

«Concorrenza – Art. 81 CE – Intesa – Mercato del fosfato di zinco – Ammenda – Art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 – Gravità e durata dell’infrazione – Principi di proporzionalità e di parità di trattamento – Ricorso di annullamento»

Nella causa T-62/02,

Union Pigments AS, già Waardals AS, con sede in Bergen (Norvegia), rappresentata dagli avv.ti J. Magne Langseth e T. Olavson Laake,

ricorrente,

contro

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal sig. F. Castillo de la Torre, in qualità di agente, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

avente ad oggetto una domanda di annullamento parziale della decisione della Commissione 11 dicembre 2001, 2003/437/CE, relativa a un procedimento a norma dell’articolo 81 del Trattato CE e dell’articolo 53 dell’Accordo SEE (Caso COMP/E-1/37.027 – Fosfato di zinco) (GU 2003, L 153, pag. 1), ovvero, in subordine, una domanda di riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente,

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO

DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Quinta Sezione),

composto dalla sig.ra P. Lindh, presidente, nonché dai sigg. R. García‑Valdecasas e J.D. Cooke, giudici,

cancelliere: sig. J. Plingers, amministratore,

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 2 luglio 2004,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        La Union Pigments AS (già Waardals AS; in prosieguo: la «ricorrente» oppure la «Union Pigments»), società di diritto norvegese, produce fosfato di zinco e qualità modificate di fosfato di zinco. Il suo fatturato mondiale ammontava nel 2000 ad EUR 7,09 milioni.

2        Benché le loro formule chimiche possano variare leggermente, gli ortofosfati di zinco rappresentano un prodotto chimico omogeneo, designato con la denominazione generica di «fosfato di zinco». Il fosfato di zinco, che si ottiene dall’ossido di zinco e dall’acido fosforico, viene frequentemente usato come pigmento minerale anticorrosione nell’industria delle vernici. Esso viene commercializzato sul mercato tanto come fosfato di zinco standard, quanto come fosfato di zinco modificato o «attivato».

3        Nel 2001 i seguenti cinque produttori europei detenevano la maggior parte del mercato mondiale del fosfato di zinco: la Dr. Hans Heubach GmbH & Co. KG (in prosieguo: la «Heubach), la James M. Brown Ltd (in prosieguo: la «James Brown»), la Société nouvelle des couleurs zinciques SA (in prosieguo: la «SNCZ»), la Trident Alloys Ltd (in prosieguo: la «Trident») (precedentemente la Britannia Alloys & Chemicals Ltd; in prosieguo: la «Britannia») e la Union Pigments. Tra il 1994 ed il 1998 il valore del mercato del fosfato di zinco standard ammontava a circa EUR 22 milioni annui a livello mondiale ed a circa EUR 15‑16 milioni annui a livello dello Spazio economico europeo (SEE). Nell’ambito del SEE, la Heubach, la SNCZ, la Trident (precedentemente la Britannia) e la Union Pigments detenevano quote del mercato del fosfato di zinco standard assai simili, intorno al 20%. La James Brown deteneva una quota di mercato nettamente inferiore. Gli acquirenti del fosfato di zinco sono i grandi fabbricanti di vernici. Il mercato delle vernici è dominato da alcuni gruppi chimici multinazionali.

4        Il 13 e il 14 maggio 1998 la Commissione ha proceduto, simultaneamente e senza preavviso, ad alcuni accertamenti presso gli uffici della Heubach, della SNCZ e della Trident, a norma dell’art. 14, n. 2, del regolamento del Consiglio 6 febbraio 1962, n. 17, primo regolamento d’applicazione degli articoli 85 e 86 del Trattato (GU 1962, n. 13, pag. 204). Dal 13 al 15 maggio 1998, a seguito di una richiesta della Commissione a norma dell’art. 8, n. 3, del Protocollo 23 dell’Accordo SEE, l’Autorità di vigilanza dell’Associazione europea di libero scambio (EFTA) ha effettuato, simultaneamente e senza preavviso, alcuni accertamenti presso gli uffici della Union Pigments, a norma dell’art. 14, n. 2, del capitolo II del Protocollo 4 dell’Accordo tra gli Stati EFTA sull’istituzione di un’Autorità di vigilanza e di una Corte di giustizia.

5        Nel corso del procedimento amministrativo la Union Pigments e la Trident hanno informato la Commissione della loro volontà di cooperare pienamente con quest’ultima, in conformità della comunicazione della Commissione 18 luglio 1996, sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi d’intesa tra imprese (GU 1996, C 207, pag. 4; in prosieguo: la «comunicazione sulla cooperazione»), ed hanno entrambe rilasciato delle dichiarazioni in merito all’intesa (in prosieguo: la «dichiarazione della Union Pigments» e la «dichiarazione della Trident»).

6        Il 2 agosto 2000 la Commissione ha adottato una comunicazione degli addebiti nei confronti delle imprese destinatarie della decisione costituente l’oggetto del presente ricorso (v. infra, punto 7), ivi inclusa la ricorrente.

7        In data 11 dicembre 2001 la Commissione ha adottato la decisione 2003/437/CE, relativa a un procedimento a norma dell’articolo 81 del Trattato CE e dell’articolo 53 dell’Accordo SEE (Caso COMP/E‑1/37.027 – Fosfato di zinco) (GU 2003, L 153, pag. 1). La decisione presa in considerazione ai fini della presente sentenza è quella che è stata notificata alle imprese interessate e che è allegata al ricorso introduttivo (in prosieguo: la «decisione impugnata»). Tale decisione è, per taluni aspetti, diversa da quella pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea.

8        Nella decisione impugnata la Commissione afferma che tra il 24 marzo 1994 ed il 13 maggio 1998 è esistita un’intesa che ha visto riunite la Britannia (la Trident a partire dal 15 marzo 1997), la Heubach, la James Brown, la SNCZ e la Union Pigments. L’intesa sarebbe stata limitata al fosfato di zinco standard. In primo luogo, i membri dell’intesa avrebbero messo in atto un accordo di ripartizione del mercato con quote di vendita per i produttori. In secondo luogo, i detti membri avrebbero fissato dei prezzi «minimi» o «raccomandati» a ciascuna riunione e li avrebbero in genere rispettati. In terzo luogo, sarebbe stata effettuata, in una certa misura, una spartizione della clientela.

9        Il dispositivo della decisione impugnata è formulato nei seguenti termini:

«Articolo 1

Britannia (...), (...) Heubach (...), James (...) Brown (...), [SNCZ], Trident (...) e [Union Pigments] hanno violato le disposizioni dell’articolo 81, paragrafo 1, del Trattato CE e dell’articolo 53, paragrafo 1, dell’Accordo SEE partecipando a un accordo continuato e/o a una pratica concordata nel settore del fosfato di zinco.

La durata dell’infrazione è stata la seguente:

a) nel caso di (...) Heubach (...), James (...) Brown (...), [SNCZ] e [Union Pigments]: dal 24 marzo 1994 al 13 maggio 1998;

b) nel caso di Britannia (...): dal 24 marzo 1994 al 15 marzo 1997;

c) nel caso di Trident (...): dal 15 marzo 1997 al 13 maggio 1998.

(...)

Articolo 3

Per l’infrazione di cui all’articolo 1, sono irrogate le seguenti ammende:

a) Britannia (...): 3,37 milioni di EUR,

b) (...) Heubach (...): 3,78 milioni di EUR,

c) James (...) Brown (...): 940 000 EUR,

d) [SNCZ]: 1,53 milioni di EUR,

e) Trident (...): 1,98 milioni di EUR,

f) [Union Pigments]: 350 000 EUR.

(...)»

10      Ai fini del calcolo dell’importo delle ammende, la Commissione ha utilizzato il metodo esposto negli Orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del Trattato CECA (GU 1998, C 9, pag. 3; in prosieguo: gli «orientamenti») e la comunicazione sulla cooperazione.

11      La Commissione ha così anzitutto fissato un «importo di base», calcolato in funzione della gravità e della durata dell’infrazione (v. ‘considerando’ 261‑313 della decisione impugnata).

12      Quanto al primo criterio, la detta istituzione ha ritenuto che l’infrazione dovesse essere qualificata come «molto grave», e ciò in considerazione della natura del comportamento in esame, del suo impatto effettivo sul mercato del fosfato di zinco e del fatto che esso aveva interessato l’intero mercato comune e, dopo la sua creazione, l’intero SEE (‘considerando’ 300 della decisione impugnata). Indipendentemente dal carattere molto grave dell’infrazione, la Commissione ha chiarito che avrebbe tenuto conto delle ridotte dimensioni del mercato in questione (‘considerando’ 303 della decisione impugnata).

13      La Commissione ha applicato un «trattamento differenziato» alle imprese coinvolte, al fine, da un lato, di tener conto dell’effettiva capacità economica di queste ultime di pregiudicare sensibilmente la concorrenza e, dall’altro, di fissare l’ammenda ad un livello che ne garantisse una sufficiente efficacia deterrente (‘considerando’ 304 della decisione impugnata). A tale scopo, essa ha suddiviso le imprese in questione in due categorie, in base alla loro «importanza relativa sul mercato interessato». La Commissione si è dunque fondata sul fatturato realizzato nel SEE da ciascuna delle dette imprese nel corso dell’ultimo anno dell’infrazione con la vendita del prodotto in questione, ed ha tenuto conto del fatto che la ricorrente, la Britannia (la Trident a partire dal 15 marzo 1997), la Heubach e la SNCZ erano «i maggiori produttori di fosfato di zinco nel SEE e detenevano quote di mercato alquanto simili, che si aggiravano intorno al 20% o superavano tale valore» (‘considerando’ 307 e 308 della decisione impugnata). La ricorrente è stata inquadrata, al pari della Britannia, della Heubach, della SNCZ e della Trident, nella prima categoria («importo di partenza» di EUR 3 milioni). La James Brown, la cui quota di mercato era «decisamente inferiore», è stata inquadrata nella seconda categoria («importo di partenza» di EUR 750 000) (‘considerando’ 308 e 309 della decisione impugnata).

14      Quanto al criterio relativo alla durata, la Commissione ha ritenuto che l’infrazione imputabile alla ricorrente fosse di durata «media», essendosi protratta dal 24 marzo 1994 al 13 maggio 1998 (‘considerando’ 310 della decisione impugnata). Essa ha di conseguenza aumentato del 40% l’importo di partenza della ricorrente, arrivando così ad un «importo di base» di EUR 4,2 milioni (‘considerando’ 310 e 313 della decisione impugnata).

15      La Commissione ha poi reputato che nel caso di specie non sussistessero circostanze aggravanti o attenuanti (‘considerando’ 314‑336 della decisione impugnata). Essa ha inoltre respinto gli argomenti relativi alla «difficoltà del contesto economico» in cui aveva avuto luogo l’intesa ed alle caratteristiche specifiche delle imprese interessate (‘considerando’ 337‑343 della decisione impugnata). La Commissione ha dunque fissato a EUR 4,2 milioni l’importo dell’ammenda «prima dell’applicazione della comunicazione [sulla cooperazione]» relativamente alla ricorrente (‘considerando’ 344 della decisione impugnata).

16      Inoltre, la Commissione ha ricordato il limite che, a norma dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, l’ammenda da infliggere a ciascuna delle imprese interessate non poteva superare. L’importo dell’ammenda della ricorrente prima dell’applicazione della comunicazione sulla cooperazione è stato così ridotto ad EUR 700 000 e quello della SNCZ ad EUR 1,7 milioni. Gli importi dell’ammenda prima dell’applicazione della comunicazione sulla cooperazione per le altre imprese sono rimasti entro il limite del detto tetto massimo (‘considerando’ 345 della decisione impugnata).

17      Infine, la Commissione ha concesso alla ricorrente una riduzione del 50% ai sensi della comunicazione sulla cooperazione, tenuto conto del fatto che la detta ricorrente aveva fornito alla Commissione informazioni dettagliate in merito alle attività dell’intesa (‘considerando’ 354‑356 della decisione impugnata). L’importo finale dell’ammenda inflitta alla ricorrente è dunque risultato di EUR 350 000 (‘considerando’ 370 della decisione impugnata).

 Procedimento e conclusioni delle parti

18      Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 1° marzo 2002, la ricorrente ha proposto l’odierno ricorso.

19      Con ricorso depositato in cancelleria il medesimo giorno, la ricorrente ha presentato una domanda di provvedimenti provvisori intesa ad ottenere un ordine di sospensione dell’esecuzione dell’art. 3, lett. f), e dell’art. 4 della decisione impugnata nella parte in cui le infliggono un’ammenda.

20      Poiché le parti si sono accordate sulla soluzione da dare al giudizio cautelare, il presidente del Tribunale, con ordinanza 1° luglio 2002, causa T-62/02 R, Waardals/Commissione (non pubblicata nella Raccolta), ha ordinato la cancellazione del relativo procedimento dal ruolo, riservando la decisione sulle spese.

21      Con lettera in data 18 novembre 2003, la Commissione ha informato il Tribunale che la Union Pigments costituiva l’oggetto di una procedura di liquidazione giudiziaria e che essa supponeva che la società suddetta avrebbe rinunciato al proprio ricorso. In risposta ad un quesito del Tribunale, l’amministratore giudiziario della Union Pigments ha segnalato, con lettera 12 dicembre 2003, che quest’ultima società aveva costituito l’oggetto di una procedura di liquidazione giudiziaria nel giugno 2003, ma che egli aveva autorizzato gli avvocati della Union Pigments a proseguire la procedura.

22      Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Quinta Sezione) ha deciso di aprire la fase orale e, a titolo di misure di organizzazione del procedimento, ha invitato la Commissione a produrre taluni documenti ed a rispondere ad alcuni quesiti scritti. La detta istituzione ha ottemperato a tali richieste.

23      Le parti hanno svolto le loro difese orali e risposto ai quesiti del Tribunale all’udienza tenutasi il 2 luglio 2004.

24      La ricorrente conclude che il Tribunale voglia:

–        annullare ovvero riformare l’art. 1 della decisione impugnata nella parte relativa alla durata dell’infrazione ascrittale;

–        annullare l’art. 3, lett. f), della decisione impugnata ovvero ridurre l’importo dell’ammenda;

–        accogliere la sua domanda di misure di organizzazione del procedimento e di misure istruttorie e, in particolare, procedere alla citazione ed all’audizione di testimoni, nonché concedere ad essa ricorrente l’accesso alla relazione della Commissione relativa all’audizione del 17 gennaio 2001;

–        condannare la Commissione alle spese.

25      La Commissione conclude che il Tribunale voglia:

–        rigettare il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

 In diritto

26      La ricorrente deduce due motivi a sostegno del proprio ricorso. Il primo riguarda errori di valutazione dei fatti e degli elementi di prova nell’applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, mentre con il secondo viene dedotta l’erroneità del calcolo dell’importo dell’ammenda nonché la violazione di principi generali.

1.      Quanto al primo motivo, relativo ad errori di valutazione dei fatti e degli elementi di prova nell’applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17

27      La ricorrente fa valere che il calcolo dell’importo dell’ammenda effettuato dalla Commissione si basa su una valutazione erronea dei fatti e degli elementi di prova. La Commissione non avrebbe tenuto sufficientemente conto delle osservazioni formulate dalla ricorrente a proposito delle circostanze della fattispecie e della sua partecipazione all’intesa. La ricorrente addebita alla Commissione di aver limitato il proprio esame della fattispecie tanto sotto il profilo temporale quanto sotto il profilo fattuale. Tale approccio non avrebbe consentito alla Commissione di tener conto di elementi che potevano giustificare, ad esempio, un aumento dell’importo dell’ammenda da infliggere ad alcune delle imprese coinvolte, a motivo della gravità dell’infrazione e di altre circostanze, e presenterebbe dunque lo svantaggio di trattare allo stesso modo tutte tali imprese e di ridurre le possibilità per la ricorrente di beneficiare di una decisione più favorevole.

28      Tale motivo si compone di due parti, con le quali la ricorrente fa valere che:

–        la Commissione ha commesso un errore di valutazione quanto alla durata della partecipazione di essa ricorrente all’infrazione ed al suo ritiro dall’intesa;

–        la Commissione ha commesso errori di valutazione dei fatti e degli elementi di prova relativamente alla ricorrente ed al suo ruolo nell’intesa.

 Quanto alla prima parte del motivo, relativa alla durata della partecipazione della ricorrente all’infrazione ed al suo ritiro dall’intesa

 Argomenti delle parti

29      La ricorrente sostiene che la Commissione ha commesso un errore di valutazione quanto alla durata della sua partecipazione all’infrazione ed al suo ritiro dall’intesa. Secondo una costante giurisprudenza, spetterebbe alla Commissione provare non soltanto l’esistenza dell’intesa, ma anche la sua durata (sentenze del Tribunale 7 luglio 1994, causa T‑43/92, Dunlop Slazenger/Commissione, Racc. pag. II‑441, punto 79, e 13 dicembre 2001, causa T‑48/98, Acerinox/Commissione, Racc. pag. II‑3859, punto 55). La ricorrente ricorda come la Commissione abbia constatato che essa aveva partecipato all’infrazione dal 24 marzo 1994 al 13 maggio 1998, vale a dire per quattro anni ed un mese [decisione impugnata, art. 1, lett. a)]. Tuttavia, la Commissione, pur avendo constatato che la ricorrente si era ritirata momentaneamente dall’intesa (‘considerando’ 125 della decisione impugnata), fornirebbe un’impressione inesatta di tale ritiro mettendo in dubbio che esso «effettivamente [ci sia] stato» (‘considerando’ 130 della decisione impugnata).

30      La ricorrente ricorda che ha ufficialmente annunciato il proprio ritiro dall’intesa mediante telecopia in data 24 aprile 1995 in risposta ad una sollecitazione inviata dal Consiglio europeo delle federazioni dell’industria chimica (in prosieguo: il «CEFIC»), riguardante i dati statistici per il mese di maggio, e che tale ritiro è durato fino al mese di agosto 1995. La ricorrente asserisce che tale ritiro è durato da cinque a sei mesi, vale a dire dal marzo 1995 – mese per il quale essa non ha comunicato alcun dato numerico relativo al mercato – fino alla metà di agosto dello stesso anno. In subordine, la ricorrente fa valere di aver preso la decisione di ritirarsi dall’intesa «immediatamente dopo la riunione [del 27 marzo 1995]», e ciò in conformità delle conclusioni della nota del 30 marzo 1995.

31      La ricorrente afferma che la Commissione ha erroneamente ritenuto che il suo ritiro dall’intesa fosse un atto privo di effetti. Essa precisa che, senza i suoi dati, le statistiche preparate dal CEFIC non potevano essere corrette e che esse avevano dunque minor valore per l’intesa. La ricorrente aggiunge che ha ottenuto un ordinativo dal cliente Tekno Winter (in prosieguo: la «Teknos»), al quale aveva fornito un container, dopo essersi ritirata dal club nell’aprile 1995, e ciò al di fuori dell’accordo di spartizione realizzato dagli altri membri dell’intesa. In risposta all’argomento addotto dalla Commissione nella decisione impugnata, secondo cui il detto ritiro non dimostra un comportamento commerciale totalmente autonomo, poiché il fatto di sapere che l’intesa continuava a funzionare doveva aver avuto un influsso sulle decisioni commerciali della ricorrente, quest’ultima fa valere che il fatto di non essere più soggetta alle restrizioni imposte dal cartello le ha consentito di agire in danno di quest’ultimo. L’aver ottenuto un ordinativo dalla Teknos potrebbe essere considerato soltanto come la prova di un «comportamento commerciale totalmente autonomo». Quanto all’argomento della Commissione secondo cui occorre presumere che, salvo prova contraria, un’impresa che resti attiva sul mercato tenga conto delle informazioni scambiate con i propri concorrenti per determinare il proprio comportamento su quest’ultimo, la ricorrente replica che la Commissione non può aver voluto dire che essa ricorrente avrebbe dovuto ritirarsi dal mercato. Inoltre, la ricorrente afferma che non avrebbe avuto alcun motivo di accordare fede alle informazioni ricevute o di agire di conseguenza, posto che, da un lato, i prezzi raccomandati non venivano rispettati nei paesi nordici ed i prezzi praticati erano inferiori ai costi – «i quali, si può supporre, non erano molto inferiori a quelli della ricorrente» – e che, dall’altro, gli scambi di informazioni sono effettivamente cessati a partire dal marzo 1995.

32      Nella sua replica la ricorrente aggiunge che non si è limitata a comportarsi come un’impresa che persegua, malgrado la concertazione con i propri concorrenti, una politica più o meno indipendente sul mercato (sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑327/94, SCA Holding/Commissione, Racc. pag. II‑1373, punto 142). Infatti, essa avrebbe direttamente contrastato gli effetti anticoncorrenziali ricercati dagli altri partecipanti (sentenza SCA Holding/Commissione, cit. supra, punto 143). Il principio di certezza del diritto imporrebbe alla Commissione di provare che la ricorrente ha preso parte a pratiche restrittive della concorrenza durante tale periodo (sentenza del Tribunale 20 marzo 2002, causa T‑21/99, Dansk Rørindustri/Commissione, Racc. pag. II‑1681, punto 62). Orbene, la Commissione non avrebbe fornito tale prova nel caso di specie. Di conseguenza, occorrerebbe concludere che la ricorrente non ha partecipato all’intesa durante il periodo in questione. Quanto all’affermazione della Commissione secondo cui il carattere continuato dell’infrazione sarebbe potuto mancare se il ritiro dall’intesa avesse avuto come effetto di privare le informazioni scambiate di qualsiasi utilità, la ricorrente replica che ciò è precisamente quanto avvenuto nel caso di specie, in quanto le informazioni scambiate tra gli altri partecipanti non presentavano alcuna utilità in assenza di dati numerici provenienti da essa.

33      La ricorrente aggiunge che la Commissione fornisce un’impressione inesatta di ciò che è avvenuto laddove qualifica il suo ritiro dall’intesa come «momentaneo». Essa asserisce che, quando ha receduto dall’intesa, essa non aveva intenzione di farlo per un breve periodo soltanto. Ciò sarebbe provato segnatamente dal fatto che essa ha ottenuto un ordinativo dalla Teknos.

34      La ricorrente fa valere che la decisione impugnata sembra presupporre che essa abbia partecipato alla riunione dell’intesa tenutasi a Londra il 12 giugno 1995. Ora, la Commissione, quando solleva la questione se essa ricorrente abbia partecipato o no a tale riunione, senza però concludere sul punto, fonda la propria decisione su una valutazione inesatta dei fatti e degli elementi di prova. La ricorrente ricorda che ha informato la Commissione, nella sua dichiarazione nonché nella sua risposta alla comunicazione degli addebiti, di una riunione che essa aveva avuto con un rappresentante della Heubach a Heathrow (Londra) il 12 giugno 1995. L’obiettivo e l’ordine del giorno di questa riunione non avrebbero tuttavia avuto nulla che vedere con l’intesa. La ricorrente ammette che una riunione del cartello abbia potuto aver luogo a Heathrow lo stesso giorno, ma insiste sul fatto che non vi ha partecipato. La ricorrente ritiene che non sia possibile fare ipotesi sulle numerose ragioni che hanno potuto spingere la Heubach a proporre tale luogo e tale data per una riunione. Essa afferma di aver fatto presente nella propria dichiarazione che la Heubach ha approfittato di tale riunione per comunicarle che essa avrebbe dovuto rientrare nel club, ma di avere declinato l’invito a prendere parte alla riunione di quest’ultimo, ciò che ha del resto indotto gli altri partecipanti a considerarla come un’«estranea».

35      Per parte sua, la Commissione nega che la ricorrente si sia effettivamente ritirata dall’intesa e nega altresì di avere erroneamente omesso di prendere in considerazione tale circostanza (‘considerando’ 230‑234 della decisione impugnata). Essa fa valere, in particolare, che il presunto ritiro dall’intesa durato tre mesi e sei giorni deve essere valutato alla luce del fatto che l’infrazione in questione consisteva nella partecipazione ad un accordo e/o ad una pratica concordata (sentenza della Corte 16 dicembre 1975, cause riunite da 40/73 a 48/73, 50/73, da 54/73 a 56/73, 111/73, 113/73 e 114/73, Suiker Unie e a./Commissione, Racc. pag. 1663, punti 164 e 173).

 Giudizio del Tribunale

36      Risulta dalla giurisprudenza che spetta alla Commissione provare non soltanto l’esistenza dell’intesa, ma anche la sua durata (sentenze Acerinox/Commissione, cit. supra al punto 29, punto 55, e Dunlop Slazenger/Commissione, cit. supra al punto 29, punto 79). Nella fattispecie, è pacifico che la ricorrente ha partecipato all’intesa dal 24 marzo 1994 fino al marzo o aprile 1995, e dal 1° agosto 1995 fino al 13 maggio 1998. La ricorrente fa valere di essersi ritirata dall’intesa dal mese di marzo 1995 fino al 1° agosto 1995.

37      Il Tribunale constata come esistano effettivamente indizi che tendono a dimostrare che la ricorrente si è ritirata dall’intesa per un certo periodo. Infatti, rispondendo ad una richiesta del CEFIC di comunicare le proprie statistiche per il marzo 1995, la ricorrente ha fatto presente, con telecopia in data 24 aprile 1995, che essa «si ritirava dal sottogruppo dell’associazione dei produttori di fosfato di zinco» e che, per tale motivo, non avrebbe più trasmesso alcuna statistica. Tale risposta è conforme alla nota interna scritta il 30 marzo 1995 dal direttore delle vendite agli altri membri della direzione della ricorrente (in prosieguo: la «nota del 30 marzo 1995») contenente la raccomandazione di ritirarsi dall’intesa. Inoltre, è pacifico che la ricorrente non ha comunicato le proprie statistiche alle altre imprese coinvolte nel periodo dal 24 aprile al 1° agosto 1995.

38      Tuttavia, il Tribunale ritiene che la Commissione fosse legittimata a concludere che la ricorrente aveva partecipato all’intesa, senza un’interruzione effettiva, nel periodo tra il 24 marzo 1994 ed il 13 maggio 1998.

39      Secondo la giurisprudenza, il comportamento del concorrente leale si caratterizza per il modo autonomo con cui egli determina la politica che intende seguire sul mercato comune (sentenza Suiker Unie e a./Commissione, cit. supra al punto 35, punto 173). Anche ammettendo che la ricorrente si sia astenuta dal partecipare alle attività dell’intesa dalla fine del mese di marzo 1995 fino al 1° agosto 1995, occorre ritenere che essa non abbia ripreso alcuna vera politica autonoma sul mercato nel corso di questo breve periodo. Il vantaggio che essa ritraeva dall’accesso alle statistiche degli altri membri non è venuto meno il giorno in cui la ricorrente si è ritirata dall’intesa. È lecito supporre che essa abbia tenuto conto delle informazioni già scambiate con i propri concorrenti, anche in occasione della riunione del 27 marzo 1995, per determinare il proprio comportamento su tale mercato durante il suo presunto ritiro dall’intesa (v., in tal senso, sentenze della Corte 8 luglio 1999, causa C-49/92 P, Commissione/Anic Partecipazioni, Racc. pag. I‑4125, punto 121, e causa C‑199/92 P, Hüls/Commissione, Racc. pag. I‑4287, punto 162). Occorre aggiungere che la ricorrente riconosce di essersi nuovamente aggregata all’intesa nell’agosto 1995, in quanto aveva un urgente bisogno di informazioni relative al mercato (punto 67 della dichiarazione della Union Pigments).

40      Inoltre, si deve rilevare che la ricorrente, quando si è nuovamente aggregata all’intesa, ha fornito agli altri membri statistiche che coprivano in retrospettiva l’intero periodo del suo presunto ritiro. Di conseguenza, la decisione di non trasmettere più statistiche ha avuto soltanto effetti limitati. Va aggiunto che la ricorrente non ha negato che la quota di mercato che deteneva nel 1995 coincideva con quella concordata in occasione delle riunioni dell’intesa.

41      La ricorrente fa valere di aver fornito alla Teknos un container dopo essersi ritirata dall’intesa, e ciò al di fuori dell’accordo di spartizione. Tuttavia, la Commissione era legittimata a concludere che la ricorrente aveva ottenuto tale ordinativo in quanto aveva agito sulla base delle informazioni ricevute nell’ambito degli accordi dell’intesa (v., in tal senso, la giurisprudenza cit. supra al punto 39). In base all’accordo di assegnazione della Teknos, nessun produttore diverso da quello cui spettava il «turno» poteva fatturare un prezzo inferiore a quello fissato per la Teknos. È pacifico che la ricorrente ha effettuato la fornitura corrispondente all’ordinativo della Teknos nell’aprile 1995 (‘considerando’ 230 della decisione impugnata). La Commissione poteva legittimamente concludere che tale ordinativo era stato ottenuto dalla ricorrente in quanto essa conosceva il prezzo fissato in occasione della riunione precedente, vale a dire quella del 27 marzo 1995. Il comportamento della ricorrente a questo proposito costituisce un esempio classico di partecipante ad un’intesa che sfrutta quest’ultima a proprio profitto, circostanza questa di cui non si può tener conto per attenuare la sua responsabilità (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑308/94, Cascades/Commissione, Racc. pag. II‑925, punto 230).

42      Occorre inoltre osservare che la ricorrente non si è ritirata dall’intesa per denunciare quest’ultima alla Commissione o anche per riprendere un comportamento di concorrenza leale e indipendente sul mercato in questione. Al contrario, risulta dalla nota del 30 marzo 1995 che la ricorrente ha tentato di utilizzare il suo presunto ritiro per meglio sfruttare l’intesa a proprio vantaggio. Secondo la nota suddetta, essa ha ritenuto che gli altri partecipanti avessero attuato una cooperazione interna nell’ambito dell’intesa e si fossero spartiti clienti e mercati a suo danno. Malgrado una richiesta in tal senso presentata dalla ricorrente in occasione della riunione dell’intesa del 27 marzo 1995, gli altri partecipanti non erano disposti a prendere in considerazione un aumento della sua quota di mercato. Tale fatto viene menzionato nella nota predetta come una ragione per ritirarsi dall’intesa. Tale nota dimostra altresì che la ricorrente contemplava espressamente la possibilità di aggregarsi nuovamente all’intesa in un momento successivo. Poiché la ricorrente non si è ritirata in modo netto dall’intesa e ha di nuovo partecipato a quest’ultima già pochi mesi dopo il suo presunto ritiro, il Tribunale ritiene che essa abbia utilizzato tale ritiro per tentare di ottenere migliori condizioni in seno all’intesa, ciò che costituisce un altro esempio di partecipante che sfrutta l’intesa a proprio profitto (v., in tal senso, la giurisprudenza cit. supra al punto 41).

43      Il fatto che la ricorrente non abbia assistito alla sola riunione del 12 giugno 1995 non può avere come effetto di attenuare la sua partecipazione all’intesa, dato che quest’ultima è durata più di quattro anni. Si deve aggiungere che la ricorrente era in contatto con le altre imprese interessate durante il periodo in questione, così come risulta dal fatto che essa ha avuto una riunione con la Heubach il 12 giugno 1995 all’aeroporto di Heathrow, vale a dire nello stesso giorno e nel medesimo luogo in cui si è svolta una riunione dell’intesa.

44      Ne discende che la prima parte del primo motivo dev’essere respinta.

 Quanto alla seconda parte del motivo, riguardante gli errori di valutazione dei fatti e degli elementi di prova in relazione alla ricorrente ed al suo ruolo nell’intesa

45      Tale seconda parte del primo motivo si compone di cinque censure, con le quali la ricorrente sostiene che la Commissione ha commesso errori di valutazione per quanto riguarda:

–        l’evoluzione della situazione della ricorrente a partire dall’inizio degli accertamenti;

–        il suo influsso sul mercato in questione;

–        la sua partecipazione all’intesa prima del 1994 ed il fatto che essa non è stata un’istigatrice dell’infrazione;

–        il fatto che essa non era membro a pieno titolo dell’intesa;

–        il fatto che essa ha immediatamente posto termine all’infrazione.

 Quanto alla prima censura, relativa all’evoluzione della situazione della ricorrente a partire dall’inizio degli accertamenti

–       Argomenti delle parti

46      La ricorrente afferma che la Commissione non ha tenuto nel debito conto il deterioramento della sua situazione finanziaria, malgrado essa avesse menzionato tale fatto nelle sue comunicazioni con la detta istituzione prima dell’adozione della decisione impugnata. Dovrebbero essere presi in considerazione anche alcuni sviluppi più recenti.

47      In primo luogo, la ricorrente fa valere che la Commissione erroneamente constata, nella decisione impugnata, che essa ricorrente «attualmente occupa circa 30 persone» (‘considerando’ 28). Essa asserisce di aver segnalato alla Commissione che aveva soltanto 25 dipendenti.

48      In secondo luogo, la ricorrente fa valere la propria critica situazione finanziaria. Il suo fatturato sarebbe passato da corone norvegesi (NOK) 68,7 milioni nel 1997 a NOK 57,2 milioni (pari ad EUR 6,92 milioni circa) nel 2001. A suo dire, le sue attività sono poco redditizie, come dimostrerebbero le perdite di EUR 317 589 e di EUR 310 659 da essa subite, rispettivamente, nel 2000 e nel 2001. La ricorrente aggiunge che essa, nel 1997, mostrava un risultato netto prima delle imposte di NOK 1 148 837, ma che, nel 2000 e nel 2001, tale risultato indicava una perdita, rispettivamente, di NOK-3 413 554 e di NOK-3 496 000. Inoltre, il suo patrimonio netto sarebbe considerevolmente diminuito soprattutto a causa delle perdite significative registrate nel 2000 e nel 2001. Nel 2001 il suo patrimonio netto sarebbe ammontato a sole NOK 466 095 (pari ad EUR 58 300 circa). Esso rappresenterebbe il 15% dell’ammenda inflitta dalla Commissione.

49      La ricorrente ricorda che non è stata in grado di ottenere una garanzia bancaria per garantire il pagamento dell’ammenda e che ha pertanto presentato dinanzi al Tribunale una domanda di provvedimenti provvisori diretta ad ottenere la sospensione dell’esecuzione del detto pagamento. Essa aggiunge che recentemente non ha potuto onorare tutti i suoi debiti.

50      La Commissione ritiene che questa prima censura non sia pertinente ai fini della valutazione della legittimità della decisione impugnata.

–       Giudizio del Tribunale

51      il Tribunale ritiene che con tale censura non venga effettivamente dedotta un’erronea valutazione dei fatti e degli elementi di prova. Vero è che la Commissione ha constatato, nella decisione impugnata, che la ricorrente «[a quel tempo] occupa[va] circa 30 persone» (‘considerando’ 28), quando invece la ricorrente stessa le aveva fatto presente che ne aveva alle sue dipendenze soltanto 25. Tuttavia, ciò non vale a inficiare la legittimità della decisione impugnata. Inoltre, si deve rilevare come la ricorrente invochi soprattutto una situazione finanziaria critica e come essa non miri a dimostrare errori di fatto sul punto nella decisione impugnata. In particolare, i suoi argomenti relativi all’evoluzione della sua situazione economica dopo l’adozione della decisione impugnata non sono pertinenti ai fini di una valutazione dei presunti errori di fatto contenuti nella decisione stessa.

52      In realtà, gli argomenti dedotti nell’ambito di questa prima censura attinente alla seconda parte del primo motivo sono pertinenti soltanto in relazione ai fatti che potevano essere presi in considerazione per quanto riguarda l’ultima parte del secondo motivo, relativo all’impossibilità di pagare l’ammenda (v. infra, punti 172‑181).

 Quanto alla seconda censura, relativa all’influsso della ricorrente sul mercato in questione

–       Argomenti delle parti

53      La ricorrente imputa alla Commissione di non aver tenuto nel debito conto il fatto che essa poteva influire assai poco sul mercato e che il suo margine di manovra era limitato a causa dei suoi rapporti con i distributori e con i clienti. In primo luogo, per quanto riguarda la sua rete di distribuzione, la ricorrente afferma che, per molti anni, ha venduto tutta la propria produzione di fosfato di zinco destinato all’Europa continentale alla BASF nell’ambito di un accordo di coproduzione. La ricorrente precisa che fabbricava fosfato di zinco, che essa imballava in sacchi o pacchetti recanti il marchio BASF e che veniva poi venduto come prodotto BASF. In considerazione della sua dipendenza nei confronti della BASF e della grande differenza di dimensioni e di potenza tra essa e questa società, la ricorrente non avrebbe praticamente esercitato alcun influsso sul prezzo delle sue forniture alla BASF. Malgrado la scadenza dell’accordo con la BASF nel 1997, quest’ultima società sarebbe rimasta un cliente importante. Inoltre, la ricorrente fa osservare come la Wengain Ltd (in prosieguo: la «Wengain»), suo distributore esclusivo sul mercato britannico per vari prodotti, compreso il fosfato di zinco, avesse importato e venduto altri prodotti provenienti da diverse imprese, sicché essa poteva offrire tutta una gamma di prodotti all’industria delle vernici. La Wengain avrebbe acquistato i prodotti dalla ricorrente ad un prezzo basato su una fornitura gratuita e li avrebbe rivenduti nel Regno Unito a prezzi che stabiliva essa stessa. Per quanto riguarda i clienti importanti e le forniture superiori a dieci tonnellate, la ricorrente sarebbe stata legittimata a partecipare ai negoziati ed a fornire la merce direttamente. Tenuto conto della sua rete di distribuzione, la ricorrente avrebbe disposto soltanto di un limitato margine di manovra per quanto riguarda i quantitativi ed avrebbe avuto soltanto poche possibilità di influire sulle vendite e sui prezzi. La situazione sarebbe stata diversa soltanto nei confronti dei clienti diretti della ricorrente.

54      In secondo luogo, la ricorrente sostiene che la Commissione non ha tenuto sufficientemente conto del fatto che essa si trovava in una situazione di dipendenza rispetto ai propri concorrenti, i quali erano anche suoi clienti. La ricorrente avrebbe fornito del cromato di zinco alla Heubach ed alla SNCZ. Quest’ultima sarebbe il cliente più importante della ricorrente per quanto riguarda tale prodotto. Taluni clienti e concorrenti della ricorrente avrebbero voluto ottenere prezzi più elevati per il fosfato di zinco al fine di rendere più competitivo il prezzo del fosfato di zinco modificato. Non volendo rovinare i rapporti che intratteneva con i propri concorrenti, che erano anche suoi clienti, la ricorrente afferma di aver subito forti pressioni da parte loro affinché si aggregasse all’intesa. La ricorrente precisa che, contrariamente a quanto affermato dalla Commissione, essa asserisce non di essere stata costretta a partecipare all’infrazione, bensì di aver subito delle pressioni da parte dei propri concorrenti e di non aver potuto prendere in considerazione alcun’altra soluzione a quell’epoca.

55      La Commissione nega che la ricorrente abbia avuto soltanto una possibilità assai limitata di influire sui prezzi praticati nei confronti dei clienti e che non si sia tenuto nel debito conto, nella decisione impugnata, il fatto che essa dipendeva dai propri concorrenti, che erano anche suoi clienti.

56      In risposta all’affermazione della ricorrente secondo cui essa non ha avuto alcun influsso, ovvero soltanto uno scarso influsso, sui quantitativi venduti nel Regno Unito e in Germania, la Commissione fa presente che tale circostanza, anche se fosse esatta, sarebbe priva di qualsiasi rilevanza, in quanto le quote di mercato venivano calcolate a livello del SEE.

57      La Commissione fa altresì rilevare come i dati riportati negli allegati 23‑25 del ricorso introduttivo, riguardanti le vendite di fosfato, non corrispondano esattamente a quelli che le sono stati comunicati con lettera in data 17 marzo 1999. La Commissione sottolinea che la ricorrente non spiega tali divergenze. 

–       Giudizio del Tribunale

58      In primo luogo, quanto all’argomento secondo cui la Commissione ha commesso un errore di valutazione in merito all’influsso esercitato dalla ricorrente sui propri «distributori», occorre rilevare che, nell’ambito del presente procedimento, la ricorrente non ha fornito la prova del fatto che la Commissione abbia commesso un tale errore.

59      Infatti, contrariamente all’affermazione della ricorrente secondo cui essa vendeva tutti i propri quantitativi di fosfato di zinco destinati all’Europa continentale nell’ambito del suo accordo di coproduzione con la BASF, risulta dagli allegati del ricorso introduttivo che la ricorrente ha fornito fosfato di zinco ad altre imprese nell’Europa continentale. Inoltre, l’accordo di coproduzione tra la ricorrente e la BASF ha avuto termine nell’aprile 1997. Infine, la ricorrente ha cominciato a intrattenere rapporti con gli ex-clienti della BASF (punto 77 della dichiarazione della Union Pigments). Se pure la BASF ha esercitato un influsso considerevole sulla ricorrente prima dell’aprile 1997, tale influsso non ha potuto essere così importante durante l’ultimo anno dell’accordo.

60      Quanto alla Wengain, il distributore della ricorrente nel Regno Unito, occorre ricordare come la ricorrente abbia partecipato all’intesa per porre fine alla guerra dei prezzi che era importante nel Regno Unito. La stessa ricorrente ha ammesso, da un lato, che aveva potuto organizzare una controffensiva nel Regno Unito durante tale guerra dei prezzi (punto 45 della dichiarazione della Union Pigments) e, dall’altro, che uno dei vantaggi dell’intesa era stato la fine della guerra dei prezzi nel Regno Unito alla quale essa aveva partecipato (punto 49 della dichiarazione della Union Pigments e nota interna del 30 marzo 1995). Tali fatti dimostrano che la ricorrente ha potuto influire sul comportamento della Wengain sul mercato britannico relativamente ai prezzi.

61      Ad ogni modo, è pacifico che la quota di mercato della ricorrente era assai simile a quella che le era stata attribuita nell’ambito dell’intesa. Ne consegue che essa ha sufficientemente influito sui propri distributori al fine di attuare l’accordo sulle quote. Inoltre, nella sua dichiarazione la ricorrente ha ammesso che, anno dopo anno, l’intesa aveva come risultato una migliore «coerenza» quanto ai prezzi, tranne che nei paesi nordici (punto 73 della dichiarazione della Union Pigments). Ne consegue che la Commissione era legittimata a concludere che la ricorrente aveva sufficientemente influito sui propri distributori al fine di garantire l’attuazione dell’accordo sui prezzi.

62      Risulta da quanto precede che il primo argomento dedotto a sostegno di questa seconda censura deve essere respinto.

63      Quanto, in secondo luogo, all’argomento relativo ad una presunta dipendenza della ricorrente dai propri clienti e concorrenti (v. supra, punto 54), anche a supporre che la ricorrente abbia subito delle pressioni, essa non può avvalersi di tale circostanza, in quanto avrebbe potuto denunciare tali pressioni alle autorità competenti e presentare dinanzi alla Commissione una denuncia a norma dell’art. 3 del regolamento n. 17, anziché partecipare alle attività in questione (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 20 marzo 2002, causa T‑17/99, KE KELIT/Commissione, Racc. pag. II‑1647, punto 50 e giurisprudenza ivi citata). Per giunta, dopo essersi asseritamente ritirata dall’intesa nel 1995, la ricorrente, secondo quanto da essa stessa dichiarato, vi ha fatto rientro al fine di ottenere informazioni sul mercato (punto 67 della dichiarazione della Union Pigments), e non a motivo delle pressioni subite. Occorre aggiungere che l’argomento della ricorrente secondo cui essa era obbligata a partecipare all’infrazione non è coerente con il suo presunto ritiro.

64      Da tutto quanto sopra esposto risulta che la presente censura deve essere respinta.

 Quanto alla terza censura, relativa al fatto che la ricorrente non è stata un’istigatrice dell’infrazione 

–       Argomenti delle parti

65      La ricorrente asserisce che la Commissione ha commesso errori di fatto in relazione ai contatti avuti da essa ricorrente con i membri dell’intesa prima del marzo 1994. La ricorrente rileva che, secondo la Commissione, l’intesa nel settore in questione è stata creata nel marzo 1994 (‘considerando’ 81 della decisione impugnata). Orbene, l’intesa avrebbe avuto inizio prima di tale data e prima che la ricorrente venisse invitata ad aggregarvisi. La ricorrente sostiene che gli «altri concorrenti» avevano già raggiunto un accordo su una forma di ripartizione dei mercati e che i suoi tre principali concorrenti, ossia la SNCZ, la Britannia e la Heubach, detenevano dunque la medesima quota di mercato, pari al 24%. La ricorrente afferma di aver sospettato che esistesse un’«intesa dentro l’intesa», una «cerchia ristretta», che funzionava prima che essa venisse invitata alla riunione del 24 marzo 1994. L’esistenza di tale «cerchia ristretta» sarebbe corroborata dalle constatazioni della Commissione secondo cui la Trident ha dichiarato che vi erano stati regolari contatti tra la Pasminco Europe-ISC Alloys (il predecessore della Trident) e i suoi concorrenti dal 1989 al 1994 ed un responsabile delle vendite era regolarmente in contatto con alcuni concorrenti, in particolare mediante una linea telefonica diretta (‘considerando’ 76 della decisione impugnata). A dire della ricorrente, essa non ha mai avuto contatti con il responsabile in questione in merito allo stato del mercato ed al livello dei prezzi. Il fatto che le altre imprese coinvolte abbiano costituito l’intesa prima che la ricorrente venisse invitata ad aggregarsi a loro chiarirebbe, almeno in parte, che essa non ha fatto parte della cerchia ristretta formata dai membri fondatori.

66      La ricorrente aggiunge che il fatto che l’intesa esistesse prima della riunione del 24 marzo 1994 è confermato dalla constatazione della Commissione secondo cui nell’ottobre 1993 ha avuto luogo una riunione, il cui obiettivo «[era] quello di porre fine alla guerra dei prezzi e di mettere un po’ d’ordine nel mercato» (‘considerando’ 315 della decisione impugnata). La ricorrente sostiene di non aver partecipato a tale riunione. Pur avendo essa chiarito, tanto nella sua risposta alla comunicazione degli addebiti quanto oralmente, che non aveva assistito a tale riunione, la Commissione non avrebbe preso posizione in merito a tale questione ed avrebbe unicamente constatato, nelle decisione impugnata, che la ricorrente contestava la propria partecipazione alla riunione in questione (‘considerando’ 86 della decisione impugnata). Il fatto che la Commissione non abbia apparentemente cercato di verificare i fatti relativi a tale riunione avrebbe arrecato pregiudizio alla ricorrente. In risposta all’argomento della Commissione secondo cui la stessa ricorrente, nelle sue dichiarazioni del 2 settembre 1998, ha menzionato la riunione del 24 marzo 1994 come una «prima riunione del club», la ricorrente afferma che intendeva manifestamente la «prima riunione alla quale [essa] era stata presente».

67      La ricorrente ricorda poi che, nella decisione impugnata, la Commissione conclude che non ha potuto identificare un capofila particolare e che l’intesa costituisce una «iniziativa congiunta della maggior parte dei concorrenti nel settore del fosfato di zinco» (‘considerando’ 319 della decisione impugnata). La ricorrente addebita alla Commissione di non aver tenuto conto del fatto che gli altri partecipanti all’intesa avevano preso l’iniziativa di costituire il cartello e che essi avevano già tenuto una prima riunione prima che essa ricorrente venisse invitata ad aggregarsi. Posto che la ricorrente non aveva partecipato alla riunione del 1993, evento questo che era stato all’origine dell’intesa, sarebbe ingiusto trattare la ricorrente allo stesso modo degli altri partecipanti per quanto riguarda la creazione dell’intesa. Se si dovesse rivelare esatto che la prima riunione tra i cinque produttori ha avuto luogo al più tardi il 24 marzo 1994, la Commissione avrebbe leso la ricorrente non tenendo conto del fatto che alcune riunioni multilaterali tra gli altri quattro produttori avevano avuto luogo prima del 1994. Secondo la ricorrente, la Heubach si è comportata come la capofila di fatto del cartello, quantomeno nei suoi confronti. Essa aggiunge che non è necessario che l’intesa sia stata imposta da uno dei suoi partecipanti per indurre la Commissione a designare un capofila.

68      Quanto al rifiuto della Commissione di accordarle un trattamento differenziato per il fatto che gli altri partecipanti avevano creato l’intesa prima che essa venisse invitata a parteciparvi, la ricorrente ribadisce che quanto verificatosi prima e dopo il periodo in questione non può essere considerato come totalmente irrilevante. La scelta della Commissione di prendere in considerazione taluni elementi avrebbe influito sulla valutazione della gravità della partecipazione della ricorrente in danno di quest’ultima. Anche se la Commissione dovesse limitare i propri accertamenti e la decisione impugnata ad un certo periodo che avrebbe pochi effetti sull’importanza dell’ammenda per gli altri, occorrerebbe che la ricorrente non ne subisse danno per il fatto di non beneficiare del trattamento differenziato di cui essa, senza questo, avrebbe assai probabilmente goduto.

69      La Commissione replica che non ha mai affermato né che la ricorrente fosse un’istigatrice dell’intesa né che essa avesse partecipato alla riunione dell’ottobre 1993. Essa si sarebbe limitata a constatare l’esistenza di un’infrazione a partire dal 1994. Benché sia possibile che un’intesa sia esistita prima di tale data, sarebbe chiaro che tale intesa non è oggetto della decisione impugnata e sarebbe dunque inutile proseguire il dibattito su tale punto. La Commissione fa osservare che la ricorrente, nelle sue dichiarazioni del 2 settembre 1998, fa riferimento alla riunione del 24 marzo 1994 quale «prima riunione del ‘club’». La detta istituzione rinvia all’esame di tale questione nella sezione relativa alle eventuali circostanze attenuanti.

70      Ad ogni modo, la ricorrente non trarrebbe alcun vantaggio da una constatazione secondo cui gli altri destinatari della decisione impugnata erano dei «capofila», ovvero secondo cui essi avevano un’intesa anche su altri mercati o da più tempo.

–       Giudizio del Tribunale

71      Anzitutto, benché il fascicolo contenga talune indicazioni secondo cui i produttori di fosfato di zinco hanno intrattenuto contatti anticoncorrenziali prima del 24 marzo 1994 (v., ad esempio, ‘considerando’ 76‑80, 82‑86 e 225 della decisione impugnata), il Tribunale ritiene che la Commissione potesse ragionevolmente concludere che l’infrazione aveva avuto inizio soltanto con la riunione tenuta alla data suddetta. Al riguardo, occorre rilevare che la ricorrente ha contestato la propria partecipazione ad una riunione svoltasi nell’ottobre 1993 (‘considerando’ 86 della decisione impugnata), sicché la Commissione era legittimata a concludere che la prima riunione alla quale avevano assistito tutte le imprese interessate era quella del 24 marzo 1994. Inoltre, quest’ultima riunione era la prima delle riunioni regolari dell’intesa. Occorre aggiungere che le prime riunioni dell’intesa in data 24 marzo e 3 maggio 1994 coincidono con la lettera del CEFIC del 26 maggio 1994, che annunciava la creazione del gruppo di statistica fosfato di zinco (‘considerando’ 66, 109 e 112 della decisione impugnata).

72      Ad ogni modo, anche a supporre che l’infrazione sia iniziata a una data anteriore, ciò non cambierebbe nulla per la ricorrente, in quanto essa ha partecipato all’infrazione soltanto a partire dal 24 marzo 1994. L’argomento della ricorrente secondo cui l’intesa ha avuto inizio nell’ottobre 1993 è dunque privo di qualsiasi rilevanza ai fini della domanda di annullamento della decisione impugnata.

73      La ricorrente fa valere che la Commissione avrebbe dovuto constatare che gli altri partecipanti, e segnatamente la Heubach, avevano preso l’iniziativa di costituire il cartello e che la Commissione ha travisato il ruolo distinto della ricorrente. Se è vero che, ai sensi degli orientamenti, l’attività di «organizzazione dell’infrazione o istigazione a commetterla» può essere una circostanza aggravante che giustifica l’aumento dell’importo di base (punto 2, terzo trattino), nella fattispecie la Commissione ha ritenuto che «il cartello sia stato un’iniziativa congiunta della maggior parte dei concorrenti nel settore del fosfato di zinco e che, di conseguenza, non è possibile individuare uno specifico capofila» (‘consierando’ 319 della decisione impugnata). Pertanto, contrariamente a quanto la ricorrente pare lasciare intendere, la Commissione non ha aumentato le ammende a tale titolo. Ne consegue che la ricorrente non è stata lesa dalla succitata conclusione della Commissione. Inoltre, la fondatezza di tale conclusione non può essere rimessa in discussione per il fatto che dal fascicolo non risulta che un’impresa abbia assunto l’iniziativa di costituire il cartello (v., ad esempio, ‘considerando’ 314‑318 della decisione impugnata).

74      Ne consegue che tale terza censura non è fondata.

 Quanto alla quarta censura, relativa al fatto che la ricorrente non era membro a pieno titolo dell’intesa 

–       Argomenti delle parti

75      La ricorrente sostiene che la Commissione è incorsa in un errore non tenendo conto del fatto che essa non era membro a pieno titolo dell’intesa e non era considerata come tale dagli altri membri. A questo proposito la ricorrente deduce una serie di fatti. In primo luogo, essa non avrebbe partecipato alla prima riunione, svoltasi nell’ottobre 1993. In secondo luogo, ed in generale, essa avrebbe cooperato soltanto con molta reticenza all’intesa. La ricorrente si riferisce dunque al fatto, riconosciuto dalla Commissione, che il CEFIC ha dovuto, il 15 giugno 1994, trasmetterle un sollecito affinché fornisse delle informazioni (‘considerando’ 109 della decisione impugnata). In terzo luogo, le constatazioni della Commissione relative a note riguardanti una riunione tenutasi il 27 marzo 1995 a Londra dimostrerebbero che la ricorrente non beneficiava di una parità di trattamento in quanto membro. La ricorrente rileva come uno dei suoi dipendenti abbia annotato nella propria agenda, alla data del 27 marzo 1995, che essa ricorrente aveva previsto di chiedere, in occasione di tale riunione, di essere trattata come un «membro a pieno titolo con assegnazione di clienti» (‘considerando’ 122 della decisione impugnata). Dopo tale riunione, il suo direttore delle vendite avrebbe menzionato, in una nota del 30 marzo 1995, che gli altri partecipanti «non [avevano] voluto discutere l’aumento della [sua] quota di mercato» (‘considerando’ 122 della decisione impugnata). La ricorrente rileva inoltre come la Commissione affermi anche che essa ricorrente pensava che gli altri membri dell’intesa «la ingannassero» (‘considerando’ 124 della decisione impugnata).

76      In quarto luogo, la ricorrente fa presente che non ha partecipato all’accordo di spartizione della Teknos. Essa sostiene che, come rilevato dalla Commissione (‘considerando’ 99 della decisione impugnata), la ragione per cui, una volta soltanto, le altre tre imprese avevano deciso unilateralmente che la ricorrente avrebbe dovuto fornire un container alla Teknos era di evitare che questa società sospettasse l’esistenza di un accordo. Tuttavia, tale ordinativo sarebbe intervenuto a discapito di altri affari in Finlandia. La nota del 30 marzo 1995 costituisce, ad avviso della ricorrente, la prova del fatto che essa non ha partecipato all’accordo di spartizione della Teknos. La ricorrente addebita alla Commissione di non trarre alcuna conclusione dal fatto che essa ha ricevuto un ordinativo dalla Teknos dopo essersi ritirata dal club nell’aprile 1995 (‘considerando’ 131 della decisione impugnata). Orbene, il solo approccio corretto sarebbe stato di concludere che la ricorrente non aveva partecipato a tale accordo, ciò che rappresenta una prova ulteriore del fatto che essa non era membro a pieno titolo dell’intesa. Per quanto riguarda l’affermazione della Commissione secondo cui «la ricorrente stessa riconosce» di aver beneficiato dell’assegnazione della Teknos per una durata di sei mesi, la ricorrente ribadisce che tale cliente le è stato attribuito una volta soltanto e non per una durata di sei mesi.

77      La ricorrente respinge l’affermazione della Commissione secondo cui gli elementi di prova dimostrano come essa ricorrente non abbia avuto un ruolo passivo nell’intesa. Essa ritiene che tali elementi di prova, pur riflettendo forse un contegno un po’ ingenuo per quanto riguarda le attività del club, non consentano di concludere a favore di un ruolo attivo o passivo. Il fatto di raccogliere documenti quali quelli trovati dalla Commissione negli uffici della ricorrente non sarebbe incompatibile con un ruolo passivo. In realtà, il ruolo della ricorrente sarebbe stato più attivo se essa avesse fatto sparire o distrutto tali documenti. La ricorrente aggiunge che il fatto che essa abbia riservato delle sale di riunione a turno di tanto in tanto non fa che sottolineare il carattere passivo della sua partecipazione. Quanto ai tentativi fatti dalla Commissione per dare l’impressione che la ricorrente avesse omesso di rivelare l’esistenza della riunione del 9 gennaio 1995, la ricorrente asserisce che essa non aveva ritenuto tale riunione – il cui oggetto era di tentare di migliorare le sue relazioni con una delle altre società – come una «riunione del club». Neppure tale elemento dovrebbe assumere rilievo nella valutazione della sua condotta.

78      La descrizione fornita dalla Commissione dei rappresentanti della ricorrente alle riunioni dell’intesa sarebbe ingannevole e darebbe l’erronea impressione che essi fossero di un livello altrettanto elevato di quello dei rappresentanti delle altre imprese interessate. La Commissione avrebbe constatato che le altre imprese erano rappresentate da membri della direzione al livello più elevato, vale a dire da amministratori delegati, da direttori generali o da presidenti, e che la ricorrente era rappresentata da un «[amministratore] e [dal] direttore vendite internazionali» (‘considerando’ 71 della decisione impugnata). Se è vero che in effetti il sig. R. portava il titolo di «amministratore», tale titolo non costituirebbe tuttavia una denominazione giuridica e non rivelerebbe nulla circa la posizione, i poteri o le responsabilità del suo titolare, che erano paragonabili piuttosto a quelli del sig. B., direttore delle vendite. Per contro, le altre imprese avevano scelto dei rappresentanti al livello più elevato delle loro rispettive direzioni. Il sig. W. sarebbe stato, all’inizio dell’infrazione, l’amministratore delegato della ricorrente.

79      La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente. Essa sottolinea che quest’ultima non era costretta a partecipare all’intesa ed afferma che risulta dai fatti esposti nella decisione impugnata, suffragati da numerose prove dirette raccolte presso gli uffici della ricorrente, che il ruolo di quest’ultima non può essere qualificato come «passivo». Al contrario, gli elementi di prova dimostrerebbero che essa ha dato attuazione agli accordi conclusi dall’intesa.

80      La Commissione asserisce che la ricorrente ha beneficiato dell’assegnazione di clienti. Nel suo controricorso la detta istituzione rileva che nel 1997 la Teknos è stata assegnata alla ricorrente per una durata di sei mesi, circostanza questa che viene riconosciuta dalla stessa ricorrente. Nella sua controreplica la Commissione ammette che essa «ha erroneamente fatto riferimento ad un’altra assegnazione di clienti», ma ricorda che il fatto che nella decisione impugnata si sia concluso che la Teknos era stata assegnata alla ricorrente non viene contestato da quest’ultima.

–       Giudizio del Tribunale

81      Il Tribunale ritiene che la Commissione fosse legittimata a concludere che la ricorrente aveva partecipato a pieno titolo all’intesa. Infatti, come verrà dimostrato qui di seguito, la ricorrente ha preso parte all’infrazione in tutti i suoi principali aspetti.

82      In primo luogo, è pacifico che la ricorrente ha regolarmente partecipato alle riunioni dell’intesa. La Commissione ha giustamente constatato che la ricorrente aveva assistito a quindici delle sedici riunioni multilaterali identificate nel corso dell’intesa (‘considerando’ 102, 107, 112, 116, 120, 132, 133, 137, 151, 157, 168 e 181 della decisione impugnata). Inoltre, la ricorrente aveva anche organizzato alcune di queste riunioni (‘considerando’ 120, 136 e 160 della decisione impugnata). L’affermazione della ricorrente secondo cui essa non ha assistito alla riunione dell’ottobre 1993 non è pertinente, in quanto la Commissione ha concluso che l’intesa aveva avuto inizio soltanto il 24 marzo 1994.

83      L’argomento della ricorrente secondo cui essa non era rappresentata da persone di livello altrettanto elevato di quello dei rappresentanti delle altre imprese coinvolte non dimostra che essa non fosse un membro a pieno titolo dell’intesa. Contrariamente a ciò che la ricorrente lascia intendere, la Commissione non ha dichiarato che le altre imprese erano rappresentate da membri della direzione al livello più elevato. Essa ha semplicemente identificato i rappresentanti abituali delle imprese in occasione delle riunioni dell’intesa. Inoltre, il livello di rappresentanza della ricorrente, anche se si trattava soltanto del direttore delle vendite, era sufficientemente importante per dimostrare la piena partecipazione della ricorrente a tali riunioni.

84      In secondo luogo, la ricorrente non nega di aver pienamente partecipato all’accordo relativo alle quote (punti 51‑53 della dichiarazione della Union Pigments). Inoltre, la nota interna del 30 marzo 1995 dimostra che essa ha persino chiesto un aumento della propria quota di mercato (‘considerando’ 122 della decisione impugnata). Come previsto dall’accordo, la ricorrente ha inviato informazioni relative ai propri volumi di vendite prima al CEFIC e poi al successore di questo, il Verband der Mineralfarbenindustrie eV (punti 51‑53 della dichiarazione della Union Pigments; ‘considerando’ 109, 110, 130, 134, 144, 153 e 184 della decisione impugnata). In cambio la ricorrente ha ricevuto informazioni sulle vendite realizzate dagli altri membri del cartello, fatto questo che era idoneo ad influire sul suo comportamento in seno all’intesa e sul mercato (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 9 luglio 2003, causa T‑220/00, Cheil Jedang/Commissione, Racc. pag. II‑2473, punto 207). Il fatto che il CEFIC abbia dovuto inviare un sollecito alla ricorrente affinché questa fornisse informazioni (‘considerando’ 109 della decisione impugnata) non è sufficiente per dimostrare che la ricorrente abbia cooperato soltanto con molta reticenza all’intesa.

85      In terzo luogo, la ricorrente non nega, nella sua dichiarazione, di aver partecipato alla fissazione dei prezzi indicativi (v. punti 49, 60 e 73 della dichiarazione della Union Pigments). Essa ha anche riconosciuto, nella sua nota del 30 marzo 1995, di aver ottenuto prezzi più elevati grazie all’intesa (‘considerando’ 125 della decisione impugnata; v. anche punti 49 e 73 della dichiarazione della Union Pigments).

86      In quarto luogo, la Commissione ha potuto concludere che la ricorrente aveva partecipato all’assegnazione di clienti. La ricorrente contesta soltanto la propria partecipazione all’accordo di assegnazione della Teknos, e non la propria partecipazione alle altre assegnazioni considerate nella decisione impugnata. Quanto alla Teknos, è possibile che vi sia stata un’assegnazione di tale cliente prima del marzo 1995 senza la partecipazione della ricorrente (‘considerando’ 122‑124 della decisione impugnata). Tuttavia, la ricorrente ha ammesso di aver fornito un container alla Teknos (punto 69 della dichiarazione della Union Pigments). La spiegazione da essa fornita, secondo cui tale fornitura era stata effettuata soltanto affinché la Teknos non sospettasse l’esistenza dell’accordo, non può essere accolta. Inoltre, secondo la Trident, il prezzo da fatturare alla Teknos costituiva l’oggetto di un accordo e si era convenuto che nessun produttore diverso da quello cui spettava il «turno» potesse fatturare un prezzo inferiore a quello concordato (‘considerando’ 96 della decisione impugnata). Secondo una nota della ricorrente relativa ad una riunione del 4 febbraio 1997, essa ricorrente ha apparentemente accettato di fissare i suoi prezzi al di sopra di quelli della SNCZ in quanto la Teknos era stata assegnata a quest’ultima per sei mesi (‘considerando’ 138 e 139 della decisione impugnata). Tale fatto dimostra anche la partecipazione della ricorrente all’accordo di assegnazione della Teknos. Per giunta, quest’ultima società era uno dei principali clienti della ricorrente (‘considerando’ 97 e 270 della decisione impugnata) e, secondo la Trident, la ricorrente era disposta a prendere l’iniziativa di una guerra dei prezzi al fine di conservarlo (‘considerando’ 97 della decisione impugnata). Il Tribunale giudica dunque che non è dimostrato che la ricorrente non abbia partecipato all’assegnazione di tale cliente, quantomeno dopo aver avuto conoscenza di tale assegnazione.

87      Ad ogni modo, anche se la ricorrente non avesse partecipato all’accordo di assegnazione della Teknos, la Commissione era legittimata a decidere che la società predetta era responsabile dell’assegnazione di clienti. A tale riguardo, occorre ricordare che un’impresa che abbia preso parte ad un’infrazione multiforme alle regole della concorrenza attraverso comportamenti suoi propri, rientranti nella nozione di accordo o di pratica concordata a scopo anticoncorrenziale ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE e diretti a contribuire alla realizzazione dell’infrazione nel suo complesso, può essere responsabile anche dei comportamenti attuati da altre imprese nell’ambito della medesima infrazione per tutto il periodo della sua partecipazione alla stessa, quando sia accertato che l’impresa considerata è al corrente dei comportamenti illeciti delle altre partecipanti, o che può ragionevolmente prevederli ed è pronta ad accettarne i rischi (sentenza Commissione/Anic Partecipazioni, cit. supra al punto 39, punto 203, e sentenza del Tribunale 20 marzo 2002, causa T‑23/99, LR AF 1998/Commissione, Racc. pag. II‑1705, punto 158).

88      Infine, la Commissione era legittimata a non concludere nel senso dell’esistenza dell’«intesa in seno all’intesa» fatta valere dalla ricorrente (‘considerando’ 122‑125 della decisione impugnata). Quest’ultima, infatti, non ha fornito una prova sufficiente dell’esistenza di tale cerchia ristretta. Ad ogni modo, ciò non può incidere sul fatto che la ricorrente ha pienamente partecipato all’infrazione identificata nella decisione impugnata.

89      Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che la presente quarta censura deve essere respinta perché infondata.

 Quanto alla quinta censura, relativa al fatto che la ricorrente ha posto immediatamente termine all’infrazione

–       Argomenti delle parti

90      La ricorrente sostiene che la Commissione non ha tenuto nel debito conto il fatto che, a seguito degli accertamenti effettuati presso le imprese, essa ha immediatamente posto termine all’infrazione. La ricorrente afferma di aver deciso di cooperare pienamente con la Commissione nell’ambito di tali accertamenti e di essere ancora determinata a farlo. A seguito dei detti accertamenti, la ricorrente avrebbe annullato la riunione prevista ad Amsterdam senza fornirne i motivi ed avrebbe chiaramente segnalato alla Heubach che non avrebbe più comunicato alcun dato statistico. Il 15 luglio 1998 la ricorrente avrebbe inviato una telecopia ai partecipanti all’intesa informandoli del proprio ritiro da quest’ultima. La ricorrente avrebbe rifiutato di accettare l’invito ad aggregarsi alla nuova associazione, la European Manufacturers of Zinc Phosphates (in prosieguo: la «EMZP»), ed avrebbe informato la Commissione della creazione di quest’ultima. In realtà, il comportamento della ricorrente per quanto riguarda la EMZP dimostrerebbe che essa ha immediatamente adottato le misure che la Commissione avrebbe successivamente imposto nell’ambito della comunicazione degli addebiti. Tale comportamento avrebbe giustificato la concessione di un diverso trattamento alla ricorrente. La Commissione non avrebbe tuttavia tenuto nel debito conto tali circostanze. La ricorrente le addebita, più in particolare, di non aver operato una distinzione netta tra essa e le altre imprese coinvolte per quanto riguarda la EMZP. La Commissione fornirebbe un’impressione inesatta del comportamento della ricorrente laddove afferma che a tale associazione sono state fornite informazioni ad opera dei «partecipanti all’intesa» (‘considerando’ 254 della decisione impugnata), senza specificare chiaramente che la ricorrente non vi aveva preso parte.

91      La Commissione ricorda che essa non è tenuta a ridurre l’importo dell’ammenda per il fatto che la ricorrente ha posto termine all’infrazione dopo il suo primo intervento (sentenza LR AF 1998/Commissione, cit. supra al punto 87, punto 324) e che il fatto di tener conto di una circostanza attenuante nel caso di specie non avrebbe alcun effetto sull’importo definitivo dell’ammenda.

–       Giudizio del Tribunale

92      Occorre rilevare che il punto 3, terzo trattino, degli orientamenti prevede una diminuzione dell’importo di base in presenza della circostanza attenuante costituita dall’«aver posto fine alle attività illecite sin dai primi interventi della Commissione (in particolare allo stadio degli accertamenti)». Tuttavia, la Commissione non può essere tenuta, come norma generale, a considerare la cessazione di un’infrazione come una circostanza attenuante. La reazione di un’impresa all’avvio di un’indagine relativa alle sue attività può essere valutata soltanto tenendo conto del contesto particolare del caso specifico (sentenza LR AF 1998/Commissione, cit. supra al punto 87, punto 324).

93      Nel caso di specie, la Commissione, in data 13 e 14 maggio 1998, ha proceduto ad accertamenti presso diverse imprese, mentre l’Autorità di vigilanza EFTA ha proceduto ad accertamenti presso la ricorrente dal 13 al 15 maggio 1998. All’art. 1 della decisione impugnata la Commissione conclude che l’intesa è durata dal 24 marzo 1994 al 13 maggio 1998. Ne consegue che il fatto che le imprese abbiano cessato l’infrazione sin dai primi interventi della Commissione è stato preso in considerazione.

94      Ad ogni modo, la ricorrente non ha dimostrato di aver posto termine alla propria partecipazione all’intesa sin dall’intervento della Commissione. Infatti, essa ha informato gli altri partecipanti del proprio ritiro soltanto in data 15 luglio 1998 (v. supra, punto 90).

95      Per quanto riguarda l’argomento della ricorrente relativo al fatto che essa ha cooperato pienamente con la Commissione a seguito degli accertamenti, occorre notare come essa abbia contattato la Commissione soltanto il 17 luglio 1998 (‘considerando’ 57 della decisione impugnata). Inoltre, essa ha beneficiato della riduzione massima ai sensi del punto D della comunicazione sulla cooperazione, pari al 50%.

96      Per quanto riguarda la EMZP, è sufficiente precisare che tale organizzazione è stata creata il 31 luglio 1998 e che essa non è dunque implicata nell’infrazione in questione (‘considerando’ 42 della decisione impugnata). Pertanto, la non adesione della ricorrente a tale associazione è irrilevante nel caso di specie.

97      Ne consegue che questa quinta censura e dunque il primo motivo nella sua interezza devono essere respinti perché infondati.

2.     Quanto al secondo motivo, relativo ad un calcolo erroneo dell’importo dell’ammenda e alla violazione di principi generali

98      La ricorrente sostiene che, avendo la Commissione fondato la decisione impugnata su un’erronea valutazione dei fatti e degli elementi di prova, tale decisione è viziata anche per quanto riguarda l’importo di base dell’ammenda e viola dunque l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, i principi riconosciuti dalla prassi decisionale, gli orientamenti e la comunicazione sulla cooperazione. Tale motivo si compone di sei parti, riguardanti i seguenti aspetti della decisione impugnata:

–        la gravità dell’infrazione ed il trattamento differenziato;

–        la durata dell’infrazione;

–        l’erronea applicazione di circostanze aggravanti e la mancata presa in considerazione di circostanze attenuanti;

–        l’erronea applicazione della comunicazione sulla cooperazione;

–        la violazione dei principi di parità di trattamento e di proporzionalità;

–        l’inutilità di accrescere l’effetto dissuasivo e l’impossibilità di pagare l’ammenda.

 Quanto alla prima parte del motivo, relativa alla gravità dell’infrazione ed al trattamento differenziato

 Argomenti delle parti

99      Ad avviso della ricorrente, la Commissione non poteva qualificare l’infrazione da essa commessa come «molto grave» (‘considerando’ 300 della decisione impugnata). La ricorrente sostiene che tale infrazione avrebbe dovuto essere considerata come «meno grave» e che essa avrebbe meritato un trattamento differenziato se la Commissione avesse tenuto nel debito conto le circostanze del caso, e in particolare il fatto che essa non aveva fatto parte degli istigatori dell’intesa né della cerchia ristretta, che non era stata membro a pieno titolo dell’intesa, che si era ritirata da quest’ultima per un periodo di cinque o sei mesi, che il suo ritiro aveva avuto un impatto negativo sull’intesa e che il suo ruolo era stato soltanto passivo, mentre quello di propulsore dell’intesa era esercitato da altri partecipanti. Inoltre, l’effetto concreto dell’infrazione che le viene addebitata sarebbe stato insignificante, posto che una gran parte della sua produzione è stata acquistata dalla BASF o venduta per il tramite dei suoi distributori. Infatti, i prezzi da essa praticati si sarebbero regolarmente collocati al di sotto del «livello raccomandato».

100    La ricorrente fa poi valere che la Commissione non ha tenuto conto del peso relativo delle imprese coinvolte allorché ha applicato un trattamento differenziato. Considerata la diversità di dimensioni relativamente marcata di tali imprese, rispecchiata dai loro fatturati e dal numero di dipendenti, e vista la capacità effettiva della ricorrente di nuocere, l’importo di base di quest’ultima avrebbe dovuto essere considerevolmente meno elevato di quello delle altre imprese. Inoltre, la Commissione avrebbe dovuto tener conto dell’esistenza di una cooperazione tra gli altri partecipanti, in particolare tra la Heubach, la SNCZ e la Trident, di fronte ad una piccola impresa come la ricorrente. Quest’ultima sottolinea che il suo influsso era diverso da quello che le altre imprese coinvolte esercitavano ed era considerevolmente inferiore alla quota di mercato utilizzata dalla Commissione quale base per il calcolo dell’importo dell’ammenda (al riguardo, v. supra, punto 53).

101    Alla luce di quanto precede, la ricorrente sostiene che la Commissione ha fissato un importo di base eccessivo nei suoi confronti.

102    Ad avviso della Commissione, la ricorrente confonde la questione della gravità dell’infrazione con quella della sua partecipazione a quest’ultima. Per quanto riguarda le allegazioni relative al trattamento differenziato, essa ricorda di aver suddiviso le imprese in due categorie, laddove la ricorrente è stata inquadrata nella prima assieme ad altre tre imprese. Poiché la quota di mercato della ricorrente, da essa stessa valutata in misura pari al 30% circa, era di gran lunga la più elevata, non vi era, secondo la Commissione, alcuna ragione di accordarle un trattamento particolare. Nella sua controreplica la Commissione aggiunge che la ricorrente non fornisce alcun pertinente elemento di prova per dimostrare che essa non rientrava tra i principali produttori di fosfato di zinco del SEE e che era stata ingiustamente inquadrata nella stessa categoria di questi ultimi.

 Giudizio del Tribunale

103    In conformità del punto 1 A degli orientamenti, la Commissione si è esplicitamente impegnata a prendere in considerazione, per valutare la gravità dell’infrazione, oltre alla natura propria di quest’ultima ed all’ampiezza del mercato geografico interessato, il suo impatto concreto sul mercato qualora esso sia misurabile. Nel presente caso, tutti tali criteri vengono menzionati al ‘considerando’ 300 della decisione impugnata.

104    Risulta da tale decisione, nonché dagli orientamenti, i cui principi vengono in essa applicati, che, se è vero che la gravità dell’infrazione viene in un primo momento valutata in base agli elementi propri dell’infrazione stessa, quali la sua natura e il suo impatto sul mercato, nondimeno, in un secondo momento, tale valutazione viene modulata in funzione delle circostanze proprie dell’impresa interessata, il che porta la Commissione a prendere in considerazione, oltre alle dimensioni e alle capacità dell’impresa stessa, non soltanto le eventuali circostanze aggravanti, ma anche, se del caso, le circostanze attenuanti (v. sentenza del Tribunale 30 settembre 2003, cause riunite T‑191/98 e da T‑212/98 a T‑214/98, Atlantic Container Line e a./Commissione, Racc. pag. II‑3275, punto 1530 e giurisprudenza ivi citata).

105    Gli argomenti addotti dalla ricorrente nell’ambito di questa prima parte del motivo riguardano la sua partecipazione all’infrazione, piuttosto che elementi propri di quest’ultima. Il Tribunale ritiene che gli argomenti relativi al fatto che la ricorrente non aveva fatto parte né degli istigatori dell’intesa né della «cerchia ristretta», che essa non era stata membro a pieno titolo dell’intesa e che il suo ruolo era soltanto passivo debbano essere valutati nell’ambito dell’esame della questione relativa alle circostanze aggravanti ed attenuanti (v. infra, punti 118‑133). Quanto al ritiro della ricorrente dall’intesa, tale aspetto rientra nella questione relativa alla durata dell’infrazione, che verrà trattata infra ai punti 111‑114.

106    Per quanto riguarda l’argomento della ricorrente secondo cui l’effetto concreto della sua infrazione è stato insignificante, è sufficiente rilevare che gli effetti da prendere in considerazione per fissare il livello generale delle ammende non sono quelli risultanti dal comportamento effettivo che un’impresa asserisce di aver tenuto, bensì quelli risultanti dall’infrazione complessivamente considerata alla quale tale impresa ha partecipato (sentenza Commissione/Anic Partecipazioni, cit. supra al punto 39, punto 152, e sentenza del Tribunale 9 luglio 2003, causa T‑224/00, Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, Racc. pag. II‑2597, punto 160).

107    Quanto alla censura secondo cui la Commissione non ha tenuto conto né del peso relativo delle imprese coinvolte nell’applicazione del trattamento differenziato né della capacità effettiva della ricorrente di nuocere, essa va esaminata nell’ambito della censura relativa alla presunta violazione dei principi di parità di trattamento e di proporzionalità (v. infra, punti 148‑165).

108    Infine, il Tribunale ha già respinto gli altri argomenti addotti dalla ricorrente nell’ambito della seconda parte del primo motivo, vale a dire il fatto che vi sarebbe stata una cerchia ristretta (v. supra, punto 88) e che essa ricorrente avrebbe avuto uno scarso influsso sul mercato (v. supra, punti 58‑62).

 Quanto alla seconda parte del motivo, relativa alla durata dell’infrazione

 Argomenti delle parti

109    La ricorrente fa valere che erroneamente la Commissione, da un lato, ha concluso che essa aveva commesso un’infrazione di ugual durata rispetto agli altri partecipanti, vale a dire quattro anni e un mese, e, dall’altro, ha di conseguenza aumentato del 40% l’importo di partenza dell’ammenda adottato con riferimento alla gravità dell’infrazione. La Commissione non avrebbe tenuto conto del fatto che la ricorrente si era ritirata dall’intesa per un periodo di cinque o sei mesi. Di conseguenza, la detta istituzione avrebbe violato il principio di parità di trattamento nonché la propria prassi decisionale, ed avrebbe mal applicato gli orientamenti. Secondo la ricorrente, l’aumento dell’importo di partenza per tener conto della durata avrebbe dovuto essere di molto inferiore al 40%.

110    La Commissione rinvia agli argomenti da essa fatti valere in risposta alla prima parte del primo motivo.

 Giudizio del Tribunale

111    Come indicato sopra ai punti 36‑44, la Commissione era legittimata a concludere che la ricorrente aveva partecipato all’infrazione in modo ininterrotto dal 24 marzo 1994 al 13 maggio 1998. Pertanto, la seconda parte del secondo motivo non può essere accolta.

112    Ad ogni modo, anche se gli argomenti della ricorrente dovessero essere fondati, l’importo finale dell’ammenda non verrebbe modificato. La Commissione rimarrebbe legittimata a concludere che la ricorrente ha commesso un’infrazione di durata media, protrattasi segnatamente dal 24 marzo 1994 fino al marzo 1995 e successivamente dall’agosto 1995 fino al 13 maggio 1998. Un aumento per la durata pari al 35% sarebbe appropriato. Tuttavia, tenuto conto delle operazioni di calcolo che risultano necessarie in base all’applicazione della comunicazione sulla cooperazione, nonché del limite massimo del 10% del fatturato realizzato nel corso dell’esercizio sociale precedente dall’impresa interessata, un aumento del 35% circa anziché del 40% non modificherebbe l’importo finale dell’ammenda della ricorrente.

113    Infine, per quanto riguarda l’argomento addotto dalla ricorrente all’udienza secondo cui la Commissione non avrebbe dovuto aumentare le ammende del 10% per ciascun anno, è sufficiente constatare che esso non è stato dedotto con il ricorso introduttivo del giudizio e costituisce dunque un motivo nuovo, irricevibile a norma dell’art. 48, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale.

114    Per tali diverse ragioni, la seconda parte del secondo motivo deve essere respinta.

 Quanto alla terza parte del motivo, relativa all’erronea applicazione di circostanze aggravanti e alla mancata presa in considerazione di circostanze attenuanti

 Argomenti delle parti

115    In primo luogo, la ricorrente sostiene che non è giustificato che la Commissione ritenga applicabili nei suoi confronti alcune circostanze aggravanti includendola tra i partecipanti che avevano assunto l’«iniziativa congiunta» di creare l’intesa. La ricorrente aggiunge che la Commissione non ha sufficientemente preso in considerazione il fatto che le altre imprese erano state all’origine dell’intesa ed avevano costituito una «cerchia ristretta», quando invece essa ricorrente si era aggregata all’intesa soltanto in un momento successivo e non ne era mai stata membro a pieno titolo. Non concedendo un trattamento più favorevole alla ricorrente per tali ragioni, la Commissione avrebbe violato gli orientamenti.

116    In secondo luogo, la ricorrente fa valere che la Commissione, ritenendo che non dovesse applicarsi nella fattispecie alcuna circostanza attenuante, ha commesso un errore ed ha violato la propria prassi decisionale nonché gli orientamenti. La ricorrente, previo rinvio ai propri argomenti sopra esposti, afferma che la Commissione ha omesso di tener conto del fatto che essa era stata invitata ad aggregarsi ad un’intesa già esistente, che non aveva mai fatto parte della «cerchia ristretta» e che non si era mai vista assegnare alcun cliente, tranne che in un caso, al fine di proteggere gli altri membri dell’intesa. La Commissione non avrebbe preso in considerazione neppure il fatto che, in pratica, la ricorrente aveva dato attuazione agli accordi controversi soltanto in modo assai limitato, come dimostrato dal suo ritiro dall’intesa, dai prezzi meno elevati che essa praticava sul mercato nordico e dal fatto, constatato dalla Commissione (‘considerando’ 118 della decisione impugnata), che essa, in occasione delle riunioni, era spesso in conflitto con altri partecipanti, in particolare con la Britannia sulle questioni delle vendite nel Regno Unito e della guerra dei prezzi. Inoltre, la ricorrente reputa che la Commissione non abbia tenuto conto del fatto che essa era stata, in una certa misura, costretta ad aggregarsi all’intesa in quanto, da un lato, taluni dei partecipanti a quest’ultima erano anche suoi importanti clienti e, dall’altro, essa stava per perdere il suo più importante cliente e distributore nel continente, vale a dire la BASF.

117    La Commissione ritiene, da un lato, che sia sufficiente rilevare come la decisione impugnata non abbia ritenuto sussistenti circostanze aggravanti nei confronti della ricorrente. Dall’altro, essa reputa che gli argomenti di quest’ultima relativi alle presunte circostanze attenuanti debbano essere respinti.

 Giudizio del Tribunale

118    Come risulta dalla giurisprudenza, qualora un’infrazione sia stata commessa da più imprese, è necessario determinare la gravità relativa della partecipazione di ciascuna di esse all’infrazione medesima (sentenze Suiker Unie e a./Commissione, cit. supra al punto 35, punto 623, e Commissione/Anic Partecipazioni, cit. supra al punto 39, punto 150), per determinare se esistano, nei loro confronti, circostanze aggravanti o attenuanti.

119    Questa conclusione costituisce la conseguenza logica del principio di personalità delle pene e delle sanzioni, secondo il quale un’impresa può essere sanzionata esclusivamente per fatti ad essa individualmente ascritti, principio applicabile in qualsiasi procedimento amministrativo suscettibile di concludersi con l’inflizione di sanzioni in forza della normativa comunitaria sulla concorrenza (sentenza del Tribunale 13 dicembre 2001, cause riunite T‑45/98 e T‑47/98, Krupp Thyssen Stainless e Acciai speciali Terni/Commissione, Racc. pag. II‑3757, punto 63).

120    I punti 2 e 3 degli orientamenti prevedono una modulazione dell’importo di base dell’ammenda sulla scorta di determinate circostanze aggravanti e attenuanti proprie di ciascuna impresa interessata.

121    Anzitutto, per quanto riguarda l’argomento della ricorrente secondo cui la Commissione ha ritenuto applicabile una circostanza aggravante nei suoi confronti includendola tra i partecipanti che avevano assunto l’iniziativa congiunta di creare l’intesa, è sufficiente osservare come esso sia infondato in punto di fatto. Infatti, la Commissione non ha ritenuto applicabile alcuna circostanza aggravante nei confronti della ricorrente (‘considerando’ 314‑319 della decisione impugnata). Ad ogni modo, se la Commissione avesse concluso per l’esistenza di una circostanza aggravante per quanto riguarda le altre imprese coinvolte, alla luce del fatto che esse erano le capofila o le istigatrici dell’infrazione, ciò non avrebbe in alcun modo modificato l’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente.

122    Per le stesse ragioni, l’argomento della ricorrente secondo cui la Commissione avrebbe dovuto constatare l’esistenza di una circostanza aggravante per il fatto che le altre imprese avevano costituito una cerchia ristretta, non può essere accolto (al riguardo, v. supra, punto 88).

123    Occorre poi rigettare anche la domanda diretta ad ottenere la riduzione dell’importo dell’ammenda sulla scorta di circostanze attenuanti.

124    In primo luogo, la ricorrente fa valere di essere stata invitata ad aggregarsi ad un’intesa già esistente, di non aver fatto parte della cerchia ristretta e di non essersi mai vista assegnare un cliente. Come indicato sopra al punto 71, la Commissione era legittimata a non concludere nel senso che l’intesa esistesse prima del 24 marzo 1994. Inoltre, nessun elemento del fascicolo dimostra l’esistenza della cerchia ristretta asserita dalla ricorrente (al riguardo, v. supra, punto 88). Infine, la Commissione era legittimata a concludere che la ricorrente aveva partecipato all’accordo di assegnazione dei clienti, ivi compresa la Teknos (v. supra, punto 86).

125    Inoltre, il Tribunale reputa che, per principio, il partecipante ad un’infrazione non possa invocare una circostanza attenuante attinente al comportamento degli altri partecipanti alla medesima infrazione. Nel caso di specie, il fatto che gli altri membri dell’intesa si fossero impegnati in un momento precedente, ovvero più radicalmente, in tale cartello potrebbe costituire, se del caso, una circostanza aggravante da applicare nei loro confronti, ma non una circostanza attenuante in favore della ricorrente.

126    Quanto all’argomento della ricorrente secondo cui il suo ruolo nell’intesa era soltanto passivo, occorre rilevare come il «ruolo esclusivamente passivo o emulativo» di un’impresa nella realizzazione dell’infrazione costituisca effettivamente, ove dimostrato, una circostanza attenuante, ai sensi del punto 3, primo trattino, degli orientamenti. Tale ruolo passivo implica l’assunzione, da parte dell’impresa interessata, di un «profilo basso», vale a dire una mancanza di partecipazione attiva all’elaborazione dell’accordo o degli accordi anticoncorrenziali. Risulta dalla giurisprudenza che, tra gli elementi atti a dimostrare il ruolo passivo di un’impresa nell’ambito di un’intesa, possono essere presi in considerazione il carattere notevolmente più sporadico della partecipazione di tale impresa alle riunioni rispetto ai membri ordinari dell’intesa, come pure il suo ingresso tardivo sul mercato oggetto dell’infrazione, indipendentemente dalla durata della sua partecipazione a quest’ultima, oppure ancora il rilascio di espresse dichiarazioni in tal senso da parte di rappresentanti di imprese terze che hanno partecipato all’infrazione (v. sentenza Cheil Jedang/Commissione, cit. supra al punto 84, punti 167 e 168 e giurisprudenza ivi citata, e sentenza del Tribunale 29 aprile 2004, cause riunite T‑236/01, T‑239/01, da T‑244/01 a T‑246/01, T‑251/01 e T‑252/01, Tokai Carbon e a./Commissione, Racc. pag. II‑1181, punto 331). Tuttavia, come già constatato sopra ai punti 82‑87, la ricorrente non ha dimostrato l’esistenza di un tale «profilo basso» nel caso di specie.

127    In secondo luogo, la ricorrente ritiene che avrebbe dovuto beneficiare di una riduzione dell’importo dell’ammenda in ragione del fatto che essa «aveva dato attuazione agli accordi controversi soltanto in misura assai ristretta». La ricorrente sembra dunque imputare alla Commissione di non aver ritenuto applicabile una circostanza attenuante attinente alla non applicazione di fatto degli accordi illeciti, ai sensi del punto 3, secondo trattino, degli orientamenti.

128    A tal fine occorre verificare se le circostanze addotte dalla ricorrente siano tali da dimostrare che essa, durante il periodo in cui ha aderito agli accordi illeciti, si sia effettivamente sottratta all’applicazione di questi ultimi adottando un comportamento concorrenziale sul mercato (v., in tal senso, sentenza Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, cit. supra al punto 106, punto 268 e giurisprudenza ivi citata).

129    Poiché la ricorrente ha pienamente partecipato all’intesa (v. supra, punti 81‑87), il Tribunale reputa che essa non abbia adottato un comportamento concorrenziale sul mercato ai sensi della giurisprudenza citata sopra al punto 128. Occorre sottolineare, a questo proposito, come la ricorrente abbia ammesso di aver posto termine al suo presunto ritiro nell’agosto 1995 al fine di beneficiare dell’infrazione (punto 67 della dichiarazione della Union Pigments). In tal modo, essa ha manifestamente rifiutato la possibilità di adottare un comportamento concorrenziale sul mercato ed ha preferito trarre vantaggio dall’intesa.

130    Per quanto riguarda l’argomento della ricorrente secondo cui essa ha venduto prodotti al di sotto del prezzo raccomandato, occorre rilevare che il fatto che un’impresa, della quale sia dimostrata la partecipazione ad un accordo con i propri concorrenti in materia di prezzi, non si sia comportata sul mercato in maniera conforme a quella concordata con tali concorrenti non costituisce necessariamente un elemento che deve essere preso in considerazione a titolo di circostanza attenuante. Infatti, un’impresa che persegua, malgrado l’accordo con i propri concorrenti, una politica in deroga a quella convenuta può semplicemente tentare di utilizzare l’intesa a proprio profitto (v., in tal senso, sentenza Cascades/Commissione, cit. supra al punto 41, punto 230).

131    Quanto all’argomento della ricorrente secondo cui essa era in concorrenza con la Britannia malgrado l’intesa, si deve rilevare come sia pacifico che tali imprese hanno tentato di stornare clienti dalle altre imprese nel 1994 e che, il 9 gennaio 1995, la James Brown ha organizzato una riunione con la Britannia e la ricorrente per tentare di migliorare la situazione (‘considerando’ 117 della decisione impugnata). Sembra che le parti non abbiano potuto concludere un accordo per risolvere le difficoltà della situazione in corso. Vero è che tale conflitto dimostra un certo livello di concorrenza tra le imprese in questione. Tuttavia, la Commissione non ha affermato, nella decisione impugnata, che l’intesa aveva impedito qualsiasi concorrenza sul mercato. Inoltre, la ricorrente non ha addotto elementi di prova che dimostrino che il suo conflitto con la Britannia sia continuato per tutta la durata dell’infrazione.

132    Ad ogni modo, è chiaro che la ricorrente ha partecipato alla riunione del 9 gennaio 1995, per il fatto che si riteneva pregiudicata dalla concorrenza e intendeva dunque concludere un nuovo accordo.

133    In terzo luogo, la ricorrente sostiene che la Commissione avrebbe dovuto tener conto del fatto che essa era stata costretta ad aggregarsi all’intesa. Come già constatato dal Tribunale, tale argomento deve essere respinto (v. supra, punto 63).

134    Ne consegue che la terza parte del secondo motivo deve essere respinta perché infondata.

 Quanto alla quarta parte del motivo, relativa all’erronea applicazione della comunicazione sulla cooperazione

 Argomenti delle parti

135    La ricorrente ritiene che la riduzione del 50% accordatale dalla Commissione ai sensi della comunicazione sulla cooperazione sia insufficiente. Essa rileva che la nuova comunicazione della Commissione relativa all’immunità dalle ammende e alla riduzione dell’importo delle ammende nei casi di cartelli tra imprese (GU 2002, C 45, pag. 3; in prosieguo: la «nuova comunicazione») si distingue dalla comunicazione sulla cooperazione per il fatto che quest’ultima esige che un’impresa fornisca elementi di prova «determinanti» e non prevede un’immunità totale per le imprese che abbiano svolto un ruolo di iniziazione o determinante nell’attività illecita. La ricorrente sostiene che, sebbene la decisione impugnata dia l’impressione che l’intesa fosse il risultato di un’iniziativa congiunta, la Commissione riconosce ora di non aver mai preteso che essa ricorrente fosse stata un’istigatrice o avesse svolto un ruolo determinante nell’intesa. Inoltre, la ricorrente sostiene di aver trasmesso alla Commissione informazioni che le hanno consentito di avere conoscenza del fatto che gli altri partecipanti avevano deciso, dopo gli accertamenti, di creare la EMZP. La ricorrente fa osservare che, nella decisione della Commissione 21 ottobre 1998, 1999/60/CE, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 85 del Trattato CE (Caso n. IV/35.691/E-4: intesa tubi preisolati) (GU 1999, L 24, pag. 1), la Løgstør, una delle imprese che avevano beneficiato di una riduzione, aveva avvertito la Commissione che i membri del cartello avevano deciso di continuare l’attività di quest’ultimo dopo gli accertamenti. La ricorrente aggiunge che essa ha fornito alla Commissione chiarimenti orali e liste di riunioni. Infine, la ricorrente nega di aver affermato che l’indagine condotta presso gli uffici delle parti dell’intesa non aveva fornito motivi sufficienti per avviare il procedimento.

136    La Commissione sostiene che la distinzione invocata dalla ricorrente tra la comunicazione sulla cooperazione e la nuova comunicazione è priva di qualsiasi rilevanza, in quanto essa non ha mai asserito che la ricorrente fosse stata un’istigatrice o avesse svolto un ruolo determinante nell’intesa. Quanto all’argomento della ricorrente secondo cui la Commissione non ha correttamente applicato, nel caso di specie, la comunicazione sulla cooperazione, esso sarebbe privo di qualsiasi fondamento.

 Giudizio del Tribunale

137    In via preliminare, è importante rilevare che, come constatato ai ‘considerando’ 351‑353 della decisione impugnata, nessuna delle imprese coinvolte soddisfaceva i presupposti di applicazione del punto B o del punto C della comunicazione sulla cooperazione. Il comportamento di tali imprese doveva dunque essere valutato ai sensi del punto D della detta comunicazione, intitolato «Significativa riduzione dell’ammontare dell’ammenda».

138    Ai sensi del punto D, n. 1, «[u]n’impresa che coopera senza che siano soddisfatte tutte le condizioni di cui ai punti B e C beneficia di una riduzione dal 10% al 50% dell’ammontare dell’ammenda che le sarebbe stata inflitta in assenza di cooperazione».

139    Nella fattispecie, la Commissione ha accordato alla ricorrente una riduzione dell’ammenda del 50%, vale a dire la riduzione massima che la Commissione poteva concedere sulla base del punto D, n. 1, della comunicazione sulla cooperazione (‘considerando’ 354‑356 della decisione impugnata). La ricorrente sostiene che la Commissione avrebbe dovuto concederle una riduzione ancor più elevata. Tuttavia, essa non contesta l’applicazione del punto D, n. 1, nel caso di specie. Inoltre, la ricorrente non nega che la Commissione ha raccolto prove decisive e dirette dell’infrazione nell’ambito degli accertamenti effettuati presso i suoi uffici e che essa non soddisfa dunque i presupposti per l’applicazione dei titoli B e C. Poiché la Commissione ha accordato alla ricorrente la riduzione massima del 50%, in conformità del punto D, n. 1, della comunicazione sulla cooperazione, il Tribunale ritiene che l’argomento della ricorrente a questo riguardo sia totalmente infondato.

140    Quanto alla nuova comunicazione, essa è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale soltanto il 19 febbraio 2002 e, a norma del suo punto 28, sostituisce la comunicazione sulla cooperazione soltanto a partire dal 14 febbraio 2002. Alla luce di tali fatti, la nuova comunicazione non è pertinente nel caso di specie (v., in tal senso, sentenza Tokai Carbon e a./Commissione, cit. supra al punto 126, punto 273). Per giunta, l’argomento fatto valere al riguardo dalla ricorrente (v. supra, punto 135) è irrilevante in quanto la Commissione non ha mai asserito che la ricorrente medesima fosse un’istigatrice o avesse svolto un ruolo determinante nell’intesa.

141    Da quanto precede risulta che la quarta parte del secondo motivo va respinta.

 Quanto alla quinta parte del motivo, relativa alla violazione dei principi di parità di trattamento e di proporzionalità

 Argomenti delle parti

142    La ricorrente sostiene che è stata sanzionata in maniera relativamente più severa rispetto ai «membri della cerchia ristretta», i quali hanno però avuto un ruolo più attivo nella creazione e nella gestione dell’intesa e hanno partecipato a quest’ultima in modo ininterrotto. Di conseguenza, la Commissione avrebbe violato i principi di parità di trattamento e di proporzionalità ed avrebbe disatteso gli orientamenti.

143    La ricorrente ricorda che essa ha beneficiato di una riduzione per il fatto che l’ammenda superava il 10% del suo fatturato complessivo. Orbene, l’importo di base della ricorrente (EUR 4,2 milioni) sarebbe superiore al 60% del suo fatturato complessivo nel 2001. Per contro, l’ammenda inflitta alla Britannia, alla Heubach e alla James Brown non supererebbe il 10% dei loro rispettivi fatturati mondiali. L’importo finale dell’ammenda inflitta alla ricorrente, dopo l’applicazione della comunicazione sulla cooperazione, supererebbe il 5% di tale fatturato, un’ammenda altrettanto severa di quella irrogata alla Heubach. Sebbene, dopo l’applicazione della comunicazione sulla cooperazione, la ricorrente abbia beneficiato di una riduzione del 50% e la Heubach di una riduzione del 10% – il che indicherebbe che quest’ultima doveva essere sanzionata più severamente, in una proporzione dell’80% –, l’importo finale dell’ammenda indica che la sanzione inflitta alla Heubach sarebbe stata soltanto dell’8% più severa di quella inflitta alla ricorrente. Di conseguenza, la Commissione avrebbe violato i principi di parità di trattamento e di proporzionalità.

144    Inoltre, la Commissione avrebbe preso come importo di partenza per il calcolo dell’ammontare dell’ammenda lo stesso importo di EUR 3 milioni per praticamente tutte le imprese, indipendentemente dalle loro dimensioni. La ricorrente rileva che, sebbene le imprese in questione disponessero di quote di mercato più o meno simili, le loro rispettive dimensioni erano, e sono tuttora, significativamente differenti, come attestato dai loro fatturati, ciò che costituisce un elemento importante per stabilire il loro «reale» influsso sul mercato. Scegliendo lo stesso importo di partenza per tutti i partecipanti, la Commissione avrebbe inflitto una sanzione molto più pesante alle imprese che, come la ricorrente, avevano un fatturato meno elevato. La Commissione avrebbe violato il principio di proporzionalità in quanto le ammende non sono proporzionate alla potenza di ciascuna impresa, determinata in base alla sua quota di mercato, alle sue dimensioni ed al suo fatturato.

145    La ricorrente ricorda che gli orientamenti prevedono la classificazione delle infrazioni in tre categorie e, dunque, l’applicazione di un trattamento differenziato alle imprese implicate secondo la natura dell’infrazione ad esse ascritta. La ricorrente afferma che, come indicato dal Tribunale nella sentenza Acerinox/Commissione, cit. supra al punto 29 (punto 78), è inoltre «necessario valutare l’effettiva capacità economica degli autori dell’infrazione di arrecare un danno consistente agli altri operatori, in particolare ai consumatori, e fissare l’importo dell’ammenda ad un livello tale da garantirle un carattere sufficientemente dissuasivo [punto 1 A, quarto comma (degli orientamenti)]». La ricorrente rileva poi come il Tribunale abbia altresì statuito che, all’interno di ciascuna delle tre categorie sopra assunte, «al fine di tenere conto del peso specifico, e dunque dell’impatto reale sulla concorrenza del comportamento configurante infrazione di ciascuna impresa, in particolare qualora esista una disparità considerevole nella dimensione delle imprese che commettono il medesimo tipo di infrazione, può essere opportuno ponderare (...) l’importo determinato e adattare di conseguenza il punto di partenza generale secondo la caratteristica specifica di ogni impresa [punto 1 A, sesto comma (degli orientamenti)]». La ricorrente ricorda come, nella medesima causa, il Tribunale abbia concluso che le quote di mercato detenute da un’impresa sono pertinenti al fine di stabilire l’influsso che quest’ultima ha potuto esercitare sul mercato, ma non possono essere determinanti per concludere che un’impresa faccia parte di un’entità economica potente (sentenza Acerinox/Commissione, cit. supra al punto 29, punto 88; sentenza della Corte 17 dicembre 1998, causa C‑185/95 P, Baustahlgewebe/Commissione, Racc. pag. I‑8417, punto 139). La ricorrente afferma che, nel caso di specie, la Commissione non ha esaminato la questione se esistesse una disparità considerevole tra le imprese che hanno partecipato all’infrazione e ha omesso di tener conto in modo appropriato delle dimensioni e della potenza economica delle imprese coinvolte e, dunque, del loro influsso sul mercato. Il principio di parità di trattamento per uno stesso tipo di infrazione avrebbe dovuto portare la Commissione ad infliggere alle imprese in questione ammende di importo differente.

146    La ricorrente ritiene che la Commissione, se avesse correttamente fatto uso del proprio «ampio potere discrezionale», avrebbe dovuto prendere in considerazione i fattori che avrebbero giustificato un’ammenda meno elevata nei suoi confronti. La ricorrente fa presente che risulta ad esempio dalla sentenza della Corte 7 giugno 1983, cause riunite da 100/80 a 103/80, Musique diffusion française e a./Commissione (Racc. p. 1825), alla quale la Commissione rinvia nel suo controricorso, che tale istituzione deve, per valutare la gravità di un’infrazione, prendere in considerazione in particolare il volume e il valore delle merci oggetto dell’infrazione medesima nonché le dimensioni e la potenza economica dell’impresa e, quindi, l’influsso che questa ha potuto esercitare sul mercato (punto 120). La ricorrente ribadisce che essa non aveva in realtà il potere di imporre i prezzi concordati in seno all’intesa. Inoltre, la sua situazione finanziaria era, a suo dire, debole rispetto a quella delle altre imprese coinvolte. Pertanto, l’influsso che essa ha potuto esercitare sul mercato sarebbe considerevolmente inferiore alla quota di mercato che è servita quale base per il calcolo dell’ammenda da parte della Commissione.

147    La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente. Essa fa segnatamente osservare che quest’ultima passa sotto silenzio il fatto che l’ammenda che le è stata inflitta è di gran lunga la meno elevata. Tale ammenda sarebbe dieci volte inferiore a quella inflitta alla Heubach, malgrado che le due imprese avessero quote di mercato simili ed abbiano teoricamente dovuto ricavare il medesimo profitto dall’intesa.

 Giudizio del Tribunale

148    La ricorrente fa valere, in sostanza, che la Commissione, nel fissare l’importo delle ammende, non ha preso sufficientemente in considerazione le dimensioni e la responsabilità propria di essa ricorrente e ha dunque violato i principi di parità di trattamento e di proporzionalità. In tale contesto occorre altresì esaminare l’argomento della ricorrente secondo cui la Commissione non ha tenuto conto del peso relativo delle imprese nell’applicazione del trattamento differenziato e neppure della capacità effettiva della ricorrente di nuocere (v. supra, punto 107).

149    Anzitutto, occorre ricordare, da un lato, che il solo riferimento espresso al fatturato contenuto nell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 riguarda il limite massimo che l’importo di un’ammenda non può superare e, dall’altro, che tale limite si intende riferito al fatturato complessivo (sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, cit. supra al punto 146, punto 119). Rispettando tale limite, la Commissione può, in linea di principio, fissare l’ammenda basandosi sul fatturato di sua scelta, in termini di base geografica e di prodotti pertinenti (sentenza del Tribunale 15 marzo 2000, cause riunite T‑25/95, T‑26/95, da T‑30/95 a T‑32/95, da T‑34/95 a T‑39/95, da T‑42/95 a T‑46/95, T‑48/95, da T‑50/95 a T‑65/95, da T‑68/95 a T‑71/95, T‑87/95, T‑88/95, T‑103/95 e T‑104/95, Cimenteries CBR e a./Commissione, Racc. pag. II‑491, punto 5023), senza essere obbligata ad assumere a riferimento proprio il fatturato complessivo ovvero quello realizzato sul mercato dei prodotti in questione. Infine, se è vero che gli orientamenti non prevedono che il calcolo delle ammende venga effettuato in base ad un fatturato determinato, essi neppure ostano a che tale fatturato venga preso in considerazione, a condizione che la scelta effettuata dalla Commissione non sia viziata da un errore manifesto di valutazione (sentenza Tokai Carbon e a./Commissione, cit. supra al punto 126, punto 195).

150    Nel caso di specie, si deve ricordare come dalla decisione impugnata risulti che la Commissione ha reputato necessario procedere ad un trattamento differenziato delle imprese al fine di tener conto dell’«effettiva capacità economica dei colpevoli di pregiudicare sensibilmente la concorrenza e al fine di fissare l’ammenda ad un livello che ne garantisca una sufficiente efficacia deterrente» (‘considerando’ 304 della decisione impugnata). La Commissione ha aggiunto che era necessario «tener conto del peso specifico delle singole società e quindi dell’effettivo impatto sulla concorrenza del loro comportamento illecito». Ai fini della valutazione di tali elementi, la Commissione ha scelto di basarsi sul fatturato relativo alle vendite del fosfato di zinco standard nel SEE nel corso dell’ultimo anno dell’infrazione. Essa ha rilevato che la ricorrente era uno dei principali produttori di fosfato di zinco nel SEE, in quanto deteneva una quota di mercato del 20% circa, e l’ha dunque classificata nella prima categoria (‘considerando’ 308 della decisione impugnata). L’importo di partenza dell’ammenda è stato fissato, per tutte le imprese della prima categoria, a EUR 3 milioni. L’importo di partenza della James Brown, che aveva una quota di mercato del 5% circa, è stato fissato a EUR 750 000 circa.

151    La Commissione, pur avendo raffrontato l’importanza relativa delle imprese coinvolte sulla base del fatturato realizzato con le vendite di fosfato di zinco nel SEE, ha fatto riferimento anche alle quote di mercato delle imprese sul mercato in questione al fine di classificarle in due categorie differenti. Infatti, la Commissione ha stabilito le quote di mercato delle imprese in questione fondandosi, da un lato, sui fatturati realizzati sul mercato di cui trattasi menzionati nella tabella riportata nel ‘considerando’ 50 della decisione impugnata e, dall’altro, su informazioni contenute nel fascicolo. La fondatezza di tale metodo non viene contestata dalla ricorrente.

152    Nell’analisi della «effettiva capacità economica dei colpevoli di pregiudicare sensibilmente la concorrenza», che implica una valutazione della reale importanza di tali imprese sul mercato interessato, vale a dire del loro influsso su quest’ultimo, il fatturato complessivo fornisce soltanto una visione incompleta dello stato dei fatti. Non si può escludere, infatti, che un’impresa potente avente una moltitudine di attività differenti sia presente soltanto in modo accessorio su uno specifico mercato di prodotti. Allo stesso modo, non si può escludere che un’impresa con una posizione importante su un mercato geografico extracomunitario disponga soltanto di una debole posizione sul mercato comunitario o su quello del SEE. In tali ipotesi, il semplice fatto che l’impresa in questione realizzi un fatturato complessivo importante non significa necessariamente che essa eserciti un influsso determinante sul mercato di cui trattasi. Tale è il motivo per cui la Corte ha sottolineato, nella sentenza Baustahlgewebe/Commissione, cit. supra al punto 145 (punto 139), che, se è vero che le quote di mercato detenute da un’impresa non possono essere determinanti per concludere che essa fa parte di un gruppo economico potente, le dette quote sono però rilevanti al fine di determinare l’influsso che l’impresa in questione ha potuto esercitare sul mercato (v. sentenza Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, cit. supra al punto 106, punto 193). Nella fattispecie, la Commissione ha tenuto conto tanto della quota di mercato quanto del fatturato delle imprese in questione sul mercato di cui trattasi, elementi questi che avrebbero consentito di determinare l’importanza relativa di ciascuna impresa su tale mercato.

153    Ne consegue che la Commissione non ha commesso un errore manifesto di valutazione nella sua analisi della «effettiva capacità economica [degli autori dell’infrazione]», ai sensi del punto 1 A, quarto comma, degli orientamenti.

154    Inoltre, risulta da un raffronto dei fatturati realizzati sul mercato dalle imprese rientranti nella prima categoria e menzionati nella tabella contenuta nel ‘considerando’ 50 della decisione impugnata che giustamente tali imprese sono state raggruppate e si sono viste infliggere un identico importo di partenza specifico. Infatti, la ricorrente ha realizzato, nel 1998, un fatturato sul mercato in questione nel SEE di EUR 3,2 milioni. La Heubach, la Trident e la SNCZ avevano realizzato fatturati di EUR 3,7 milioni, 3,69 milioni e 3,9 milioni rispettivamente. La Britannia, che aveva cessato qualsiasi attività economica nel 1998, aveva realizzato, nel 1996, un fatturato sul mercato in questione nel SEE di EUR 2,78 milioni.

155    Ciò non toglie che la ripartizione per categorie deve rispettare il principio di parità di trattamento, in base al quale è vietato trattare situazioni analoghe in modo differente e situazioni differenti in modo identico, a meno che un trattamento siffatto non sia obiettivamente giustificato (sentenza del Tribunale 19 marzo 2003, causa T‑213/00, CMA CGM e a./Commissione, Racc. pag. II‑913; in prosieguo la «sentenza FETTCSA», punto 406). In questa stessa ottica, gli orientamenti prevedono, al punto 1 A, sesto comma, che una disparità «considerevole» nelle dimensioni delle imprese colpevoli di un’infrazione della stessa natura è, in particolare, idonea a giustificare una differenziazione ai fini della valutazione della gravità dell’infrazione stessa. Inoltre, secondo la giurisprudenza, l’importo delle ammende deve quanto meno essere proporzionato rispetto agli elementi presi in considerazione per valutare la gravità dell’infrazione (sentenza del Tribunale 12 luglio 2001, cause riunite T‑202/98, T‑204/98 e T‑207/98, Tate & Lyle e a./Commissione, Racc. pag. II‑2035, punto 106).

156    Conseguentemente, qualora la Commissione suddivida le imprese interessate in categorie ai fini della fissazione dell’importo delle ammende, la determinazione delle soglie di appartenenza per ogni singola categoria così individuata deve essere coerente ed obiettivamente giustificata (sentenze FETTCSA, punto 416, e LR AF 1998/Commissione, cit. supra al punto 87, punto 298).

157    Certo, nel caso di specie, la ricorrente, pur avendo realizzato un fatturato complessivo di soli EUR 7 milioni nel 2000, è stata classificata nello stesso gruppo della Britannia, della Heubach, della Trident e della SNCZ, che avevano rispettivamente un fatturato complessivo di EUR 55,7 milioni, 71 milioni, 76 milioni e 17 milioni. Tuttavia, da ciò non è possibile inferire una violazione né del principio di proporzionalità né del principio di parità di trattamento. Come chiarito sopra ai punti 150 e 151, tali diverse imprese sono state raggruppate in quanto avevano fatturati sul mercato in questione e quote di mercato che erano assai simili. Era coerente ed obiettivamente giustificato raggruppare le imprese su tale base. Inoltre, il Tribunale ritiene che la diversità delle dimensioni della ricorrente rispetto a quelle delle altre imprese coinvolte non fosse di importanza tale per cui essa avrebbe dovuto essere inquadrata in un gruppo differente (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 9 luglio 2003, causa T‑230/00, Daesang e Sewon Europe/Commissione, Racc. pag. II‑2733, punti 69‑77).

158    Occorre rilevare, ad abundantiam, che, nelle circostanze della presente fattispecie, si è tenuto sufficientemente conto del fatturato complessivo della ricorrente in sede di applicazione del tetto massimo del 10% previsto dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17. Come indicato sopra ai punti 16 e 17, l’importo dell’ammenda della ricorrente è stato ridotto a EUR 700 000 al fine di rispettare il detto tetto massimo, prima di essere ulteriormente ridotto ad EUR 350 000 per la cooperazione fornita. Il tetto massimo del 10% è inteso ad evitare che le ammende siano sproporzionate rispetto all’importanza dell’impresa (sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, cit. supra al punto 146, punto 119). L’applicazione di tale limite massimo nel caso di specie ha garantito che l’ammenda inflitta alla ricorrente fosse proporzionata alle sue dimensioni. In considerazione del carattere molto grave dell’infrazione e del fatto che quest’ultima è durata per più di quattro anni, l’importo dell’ammenda avrebbe potuto essere molto più elevato se la ricorrente non fosse stata una piccola impresa e non avesse beneficiato del tetto massimo del 10%.

159    La ricorrente sostiene che la sua ammenda, paragonata a quella delle altre imprese coinvolte, non è proporzionata alle sue dimensioni. Orbene, la Commissione non è obbligata ad effettuare il calcolo dell’importo dell’ammenda partendo da importi basati sul fatturato delle imprese interessate. Inoltre, essa non è tenuta a garantire, nel caso in cui delle ammende vengano inflitte a più imprese implicate in una medesima infrazione, che gli importi finali delle ammende alle quali conduce il suo calcolo per le imprese coinvolte rendano conto di qualsiasi differenza tra queste ultime quanto al loro fatturato complessivo o al loro fatturato sul mercato del prodotto in questione (sentenza Dansk Rørindustri/Commissione, cit. supra al punto 32, punto 202).

160    Quanto all’argomento della ricorrente secondo cui, dopo l’applicazione della comunicazione sulla cooperazione, essa ha beneficiato di una riduzione del 50% e la Heubach di una riduzione del 10%, ciò che indicherebbe che quest’ultima doveva essere sanzionata più severamente, in una proporzione dell’80%, è sufficiente constatare come la Commissione non sia obbligata a stabilire l’importo delle ammende sulla base delle riduzioni da essa accordate nell’ambito della comunicazione sulla cooperazione.

161    L’argomento della ricorrente secondo cui l’importo di base superava il 60% del suo fatturato complessivo non è pertinente. Il limite massimo fissato dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, imponendo che l’ammenda che verrà infine inflitta ad un’impresa venga ridotta nel caso in cui superi il 10% del fatturato di quest’ultima, indipendentemente dalle operazioni di calcolo intermedie destinate a prendere in considerazione la gravità e la durata dell’infrazione, non vieta alla Commissione di fare riferimento, nell’ambito del proprio calcolo, ad un importo intermedio superiore al 10% del fatturato dell’impresa in questione, purché l’ammenda da ultimo inflitta a tale impresa non superi il limite suddetto (sentenza Dansk Rørindustri/Commissione, cit. supra al punto 32, punto 205).

162    Inoltre, la ricorrente fa valere che la Commissione ha violato i principi di parità di trattamento e di proporzionalità e non ha tenuto conto degli orientamenti per il calcolo delle ammende, in quanto essa ricorrente è stata sanzionata in modo più severo rispetto ai «membri della cerchia ristretta». Tuttavia, come indicato sopra al punto 88, l’esistenza della presunta «cerchia ristretta» non è dimostrata.

163    Oltre a ciò, è giocoforza constatare come la ricorrente non abbia dimostrato che il proprio comportamento era «meno grave» di quello delle altre imprese implicate.

164    Infine, occorre notare, per quanto riguarda il principio di parità di trattamento, alla luce delle considerazioni sopra esposte, come l’applicazione degli orientamenti nel caso di specie abbia consentito di garantire che le due parti di cui si compone tale principio venissero rispettate. Da un lato, tutte le imprese coinvolte avevano una responsabilità comune ed analoga, in quanto esse hanno tutte partecipato ad un’infrazione molto grave. Pertanto, in un primo tempo, tale responsabilità è stata valutata in base agli elementi propri dell’infrazione, quali la sua natura e il suo impatto sul mercato. Dall’altro lato, in un secondo momento, la Commissione ha modulato tale valutazione in base alle circostanze proprie di ciascuna impresa interessata, ivi comprese le sue dimensioni e le sue capacità, la durata della sua partecipazione e la sua cooperazione.

165    Risulta da quanto precede che la quinta parte del secondo motivo deve essere respinta.

 Quanto alla sesta parte del motivo, relativa all’inutilità di accrescere l’effetto dissuasivo ed all’impossibilità di pagare l’ammenda

 Argomenti delle parti

166    La ricorrente fa valere che la Commissione ha commesso una violazione delle forme prescritte ad substantiam nonché dei principi di proporzionalità e di parità di trattamento, in quanto non ha tenuto conto del fatto che non vi era alcun motivo di accrescere l’effetto dissuasivo e che essa ricorrente non aveva i mezzi per pagare l’ammenda.

167    In primo luogo, la ricorrente sostiene che la Commissione ha violato i principi di proporzionalità e di parità di trattamento in quanto non si è interrogata sull’opportunità di misure di dissuasione meno severe. Al pari di quanto ha fatto in altri casi, la Commissione avrebbe dovuto prendere in considerazione non soltanto la quota di mercato della ricorrente, ma anche «le sue dimensioni generali, al fine di garantire che la sanzione [sarebbe stata] proporzionata e dissuasiva» [decisione della Commissione 5 dicembre 2001, 2002/742/CE, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 81 del Trattato CE e dell’articolo 53 dell’Accordo SEE (Caso COMP/E-1/36.604 – Acido citrico) (GU L 239, pag. 18)]. La ricorrente ricorda che si è ritirata dall’intesa nel 1995, che ha immediatamente posto fine all’infrazione quando la Commissione è intervenuta e che è stata la prima a cooperare con quest’ultima in occasione degli accertamenti. Dopo tale esperienza assai gravosa, la ricorrente avrebbe avuto la ferma intenzione di conformarsi alle norme sulla concorrenza e sarebbe dunque inutile l’adozione di severe misure dissuasive. La ricorrente ritiene che la Commissione avrebbe potuto, nei suoi confronti, validamente considerare l’opportunità di infliggerle soltanto un’ammenda simbolica. Essa sostiene che, pertanto, l’ammenda deve essere ridotta. La ricorrente teme di aver fatto le spese della volontà della Commissione di diffondere il messaggio – rispecchiato dal comunicato stampa della detta istituzione (IP/01/1797) – che le piccole e medie imprese non dovevano nutrire l’illusione che le loro dimensioni consentissero loro di beneficiare di un trattamento preferenziale quanto alle ammende.

168    In secondo luogo, la ricorrente sostiene che la Commissione avrebbe dovuto tener conto della sua capacità contributiva reale in conformità del punto 5, lett. b), degli orientamenti e della giurisprudenza (sentenza LR AF 1998/Commissione, cit. supra al punto 87, punto 308). Essa asserisce di trovarsi in una situazione finanziaria assai precaria. Se essa dovesse pagare l’ammenda, le sue possibilità di riprendersi e di ritrovare una posizione concorrenziale sul mercato sarebbero del tutto compromesse.

169    La Commissione avrebbe ammesso, nel proprio controricorso, che, in risposta a sue richieste, la ricorrente le «[aveva] fatto pervenire relazioni finanziarie che indicavano una cattiva situazione finanziaria». Tuttavia, la Commissione, da un lato, avrebbe addebitato alla ricorrente il fatto che essa non aveva manifestato «inquietudini quanto alla propria capacità di pagare una qualunque ammenda» e, dall’altro, avrebbe affermato che non poteva valutare l’effettiva capacità di pagamento della ricorrente in assenza di commenti di quest’ultima a tale proposito. La ricorrente risponde che la Commissione, quando ha domandato tali documenti, non l’ha invitata a trasmetterle propri commenti in merito alla propria capacità di pagamento. Inoltre, la precarietà della situazione finanziaria della ricorrente ed i suoi tentativi di ridurre in generale i costi a motivo di tale situazione sarebbero ben noti alla Commissione. Ad esempio, il 31 gennaio 2001, la ricorrente avrebbe inviato alla Commissione le traduzioni dei conti provvisori per l’anno 2000, che avrebbero mostrato un risultato finale negativo, prima delle imposte, di EUR 417 100. Con lettera in data 31 gennaio 2001, la Commissione avrebbe ringraziato la ricorrente per i conti annuali e le avrebbe assicurato che «sarebbero stati presi in considerazione nella valutazione finale».

170    In risposta all’argomento della Commissione secondo cui una riduzione dell’ammenda della ricorrente giustificata dal fatto che essa si trova in una situazione finanziaria difficile finirebbe col procurarle un vantaggio concorrenziale ingiustificato, la ricorrente sostiene che tale ipotesi non sussiste nel caso di specie. Infatti, il mercato sarebbe cambiato. Inoltre, essa afferma che i suoi proprietari e i suoi organi di gestione sono cambiati e che i nuovi proprietari e dirigenti, non più ostacolati da legami di famiglia, sono in grado di prendere ardite decisioni in materia di commercializzazione e di ristrutturazione dell’impresa, che sarebbero state considerate impossibili dai proprietari e dirigenti precedenti.

171    La Commissione contesta la fondatezza degli argomenti della ricorrente. Al riguardo essa rileva che quest’ultima non fa in alcun modo riferimento ad una incapacità di pagare in un «contesto sociale particolare» ai sensi degli orientamenti, e che essa non ha neppure fornito informazioni sul grado di redditività dell’impresa. Inoltre, la ricorrente non avrebbe mai manifestato inquietudini circa la propria capacità di pagare una qualsiasi ammenda.

 Giudizio del Tribunale

172    Quanto, anzitutto, al carattere dissuasivo dell’ammenda, occorre rilevare che l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 mira a conferire alla Commissione il potere di infliggere ammende al fine di consentirle di adempiere il compito di sorveglianza conferitole dal diritto comunitario (sentenze Musique diffusion française e a./Commissione, cit. supra al punto 146, punto 105, e Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, cit. supra al punto 106, punto 105). Questo compito comprende quello di reprimere le singole infrazioni, nonché implica il dovere di seguire una politica generale mirante ad applicare, in materia di concorrenza, i principi fissati dal Trattato e ad orientare in questo senso il comportamento delle imprese. Ne consegue che la Commissione deve provvedere affinché le ammende abbiano carattere dissuasivo (sentenza Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, cit. supra al punto 106, punti 105 e 106). Infatti, il carattere dissuasivo di un’ammenda inflitta a causa di una violazione della normativa comunitaria sulla concorrenza non può essere determinato soltanto in funzione della situazione particolare dell’impresa condannata (sentenza Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, cit. supra al punto 106, punto 110; v. anche sentenza della Corte 15 luglio 1970, causa 41/69, ACF Chemiefarma/Commissione, Racc. pag. 661, punti 170‑174).

173    Nella fattispecie, l’ammenda di EUR 350 000 inflitta alla ricorrente rappresenta soltanto il 4,9% del suo fatturato. Un’ammenda siffatta non può essere considerata sproporzionata né rispetto alle dimensioni della ricorrente né in rapporto alla natura dell’infrazione. Inoltre, la ricorrente non ha dimostrato una qualunque violazione del principio di parità di trattamento sotto questo profilo (v. supra, punti 149‑165).

174    Inoltre, quanto all’affermazione della ricorrente secondo cui la Commissione avrebbe dovuto infliggerle un’ammenda «simbolica», occorre rilevare come, ai sensi del punto 5, lett. d), degli orientamenti, la Commissione debba «riservarsi altresì la possibilità di infliggere, in taluni casi, un’ammenda “simbolica” di 1 000 [euro], senza procedere al calcolo in funzione della durata e delle circostanze aggravanti o attenuanti». La ricorrente non ha dimostrato in che modo un’ammenda simbolica sarebbe stata giustificata nel caso di specie. Tenuto conto del fatto che essa ha partecipato ad un’infrazione molto grave per un periodo di più di quattro anni, il Tribunale ritiene che una tale giustificazione non potrebbe d’altronde essere fornita se non con grande difficoltà. La cooperazione della ricorrente nell’ambito del procedimento non può giustificare un’ammenda di questo tipo. Come indicato sopra al punto 139, la ricorrente ha già beneficiato della riduzione massima del 50% in conformità del punto D, n. 1, della comunicazione sulla cooperazione. Inoltre, il fatto che la ricorrente abbia avuto l’intenzione di conformarsi alle norme sulla concorrenza prima dell’adozione della decisione impugnata non costituisce una ragione sufficiente perché la Commissione si limiti ad infliggerle un’ammenda simbolica. Occorre ricordare a questo proposito come dalla giurisprudenza risulti che la dissuasione dei terzi, e non soltanto quella dell’impresa interessata, è un importante obiettivo dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 (v. giurisprudenza citata supra al punto 172).

175    Quanto all’affermazione della ricorrente secondo cui la Commissione non ha tenuto sufficientemente conto della sua situazione finanziaria, occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, la Commissione, nel determinare l’importo dell’ammenda, non è obbligata a tener conto della situazione finanziaria deficitaria di un’impresa, considerato che ammettere un obbligo del genere si risolverebbe nel procurare un ingiustificato vantaggio concorrenziale alle imprese meno adattate alle condizioni del mercato (v. sentenze del Tribunale LR AF 1998/Commissione, cit. supra al punto 87, punto 308; 20 marzo 2002, causa T‑9/99, HFB e a./Commissione, Racc. pag. II‑1487, e FETTCSA, punto 351 nonché giurisprudenza ivi citata).

176    Tale giurisprudenza non può essere rimessa in discussione dal punto 5, lett. b), degli orientamenti, ai sensi del quale deve essere presa in considerazione la capacità contributiva reale di un’impresa. Infatti, tale capacità rileva soltanto nel suo «contesto sociale particolare», costituito dalle conseguenze che il pagamento dell’ammenda comporterebbe, in particolare, in termini di aumento della disoccupazione o di deterioramento dei settori economici a monte e a valle dell’impresa in questione (sentenza Tokai Carbon e a./Commissione, cit. supra al punto 126, punto 371). La ricorrente, pur avendo informato la Commissione della propria situazione finanziaria in occasione del procedimento precontenzioso, non ha invocato il punto 5, lett. b), degli orientamenti e non ha addotto alcun elemento idoneo a consentire alla Commissione di valutare il detto «contesto sociale particolare».

177    Peraltro, il fatto che un provvedimento assunto da un’autorità comunitaria cagioni il fallimento ovvero la liquidazione di una determinata impresa non è vietato, in quanto tale, dal diritto comunitario (v., in tal senso, sentenze della Corte 15 gennaio 1986, causa 52/84, Commissione/Belgio, Racc. pag. 89, punto 14, e 2 luglio 2002, causa C‑499/99, Commissione/Spagna, Racc. pag. I‑6031, punto 38). Infatti, la liquidazione di un’impresa nella sua forma giuridica attuale può certo pregiudicare gli interessi finanziari dei proprietari, degli azionisti o dei detentori di quote, ma ciò non significa che gli elementi personali, materiali e immateriali da cui l’impresa è costituita perdano anch’essi il loro valore (sentenza Tokai Carbon e a./Commissione, cit. supra al punto 126, punto 372).

178    Ad abundantiam, si deve constatare come la ricorrente non abbia dimostrato alcun nesso di causa ed effetto tra, da un lato, la decisione impugnata e l’imposizione dell’ammenda e, dall’altro, il suo fallimento. Risulta dal fascicolo che la ricorrente è stata dichiarata fallita il 2 giugno 2003, vale dire quasi 18 mesi dopo la data della decisione impugnata ed un anno dopo l’accordo da essa stipulato con la Commissione ai sensi del quale doveva pagare soltanto EUR 50 000 ogni sei mesi con effetto a partire dal 1° luglio 2002 (v. ordinanza Waardals/Commissione, cit. supra al punto 20). Malgrado i quesiti posti al riguardo dal Tribunale in occasione dell’udienza, la ricorrente non ha fornito precisazioni in merito alla natura del suo fallimento, né in merito agli altri suoi debiti che avevano giocato un ruolo in tale fallimento. Ne consegue che non è dimostrato che l’ammenda inflitta nel caso di specie avrebbe come risultato di provocare il fallimento della ricorrente.

179    Infine, la ricorrente non ha dimostrato che la Commissione si fosse impegnata a ridurre l’ammenda in considerazione della sua situazione finanziaria. Nella sua lettera del 31 gennaio 2001 la Commissione ha constatato che avrebbe preso in considerazione i conti annuali della ricorrente per l’anno 2000 al fine di determinare la sua responsabilità individuale. Ciò non configurava in alcun modo un impegno nel senso fatto valere dalla ricorrente, bensì piuttosto l’intenzione della Commissione di utilizzare i conti annuali per fissare il tetto massimo del 10% previsto dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17.

180    Alla luce delle considerazioni che precedono, l’ultimo motivo dedotto dalla ricorrente deve essere respinto.

181    Ne consegue che il ricorso deve essere respinto nella sua interezza.

 Quanto alle domande di misure di organizzazione del procedimento e di misure istruttorie

182    La ricorrente chiede al Tribunale, a titolo di misure di organizzazione del procedimento e di misure istruttorie, di procedere alla citazione e all’audizione di testimoni e di accordarle l’accesso alla relazione della Commissione relativa all’audizione del 17 gennaio 2001.

183    La Commissione si oppone a tale richiesta.

184    Il Tribunale giudica che, poiché la causa non presenta controversie quanto allo svolgimento dei fatti, non sussistono i presupposti per accogliere la detta domanda.

185    Ne consegue che il ricorso deve essere interamente respinto.

 Sulle spese

186    Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. La ricorrente, essendo rimasta soccombente, va condannata alle spese, ivi comprese quelle relative al procedimento sommario, in conformità delle conclusioni della Commissione in tal senso.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.









2)      La ricorrente è condannata alle spese, ivi comprese quelle relative al procedimento sommario.




Lindh

García-Valdecasas

Cooke

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 29 novembre 2005.

Il cancelliere

 

       Il presidente



E. Coulon

 

       P. Lindh       

Indice

Fatti

Procedimento e conclusioni delle parti

In diritto

1.  Quanto al primo motivo, relativo ad errori di valutazione dei fatti e degli elementi di prova nell’applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17

Quanto alla prima parte del motivo, relativa alla durata della partecipazione della ricorrente all’infrazione ed al suo ritiro dall’intesa

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Quanto alla seconda parte del motivo, riguardante gli errori di valutazione dei fatti e degli elementi di prova in relazione alla ricorrente ed al suo ruolo nell’intesa

Quanto alla prima censura, relativa all’evoluzione della situazione della ricorrente a partire dall’inizio degli accertamenti

–  Argomenti delle parti

–  Giudizio del Tribunale

Quanto alla seconda censura, relativa all’influsso della ricorrente sul mercato in questione

–  Argomenti delle parti

–  Giudizio del Tribunale

Quanto alla terza censura, relativa al fatto che la ricorrente non è stata un’istigatrice dell’infrazione

–  Argomenti delle parti

–  Giudizio del Tribunale

Quanto alla quarta censura, relativa al fatto che la ricorrente non era membro a pieno titolo dell’intesa

–  Argomenti delle parti

–  Giudizio del Tribunale

Quanto alla quinta censura, relativa al fatto che la ricorrente ha posto immediatamente termine all’infrazione

–  Argomenti delle parti

–  Giudizio del Tribunale

2.  Quanto al secondo motivo, relativo ad un calcolo erroneo dell’importo dell’ammenda e alla violazione di principi generali

Quanto alla prima parte del motivo, relativa alla gravità dell’infrazione ed al trattamento differenziato

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Quanto alla seconda parte del motivo, relativa alla durata dell’infrazione

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Quanto alla terza parte del motivo, relativa all’erronea applicazione di circostanze aggravanti e alla mancata presa in considerazione di circostanze attenuanti

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Quanto alla quarta parte del motivo, relativa all’erronea applicazione della comunicazione sulla cooperazione

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Quanto alla quinta parte del motivo, relativa alla violazione dei principi di parità di trattamento e di proporzionalità

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Quanto alla sesta parte del motivo, relativa all’inutilità di accrescere l’effetto dissuasivo ed all’impossibilità di pagare l’ammenda

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Quanto alle domande di misure di organizzazione del procedimento e di misure istruttorie

Sulle spese


* Lingua processuale: l'inglese.