Language of document : ECLI:EU:T:2018:948

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Prima Sezione ampliata)

13 dicembre 2018 (*)

[Testo rettificato con ordinanza del 21 marzo 2019]

«Responsabilità extracontrattuale – Politica estera e di sicurezza comune – Misure restrittive adottate nei confronti dell’Iran – Congelamento dei capitali – Inclusione e mantenimento del nome della parte ricorrente negli elenchi delle persone e delle entità alle quali si applicano misure restrittive – Danno morale»

Nella causa T‑559/15,

Post Bank Iran, con sede a Teheran (Iran), rappresentata da D. Luff, avvocato,

ricorrente,

contro

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da B. Driessen e M. Bishop, in qualità di agenti,

convenuto,

sostenuto da:

Commissione europea, rappresentata da F. Ronkes Agerbeek e R. Tricot, in qualità di agenti,

interveniente,

avente ad oggetto una domanda presentata ai sensi dell’articolo 268 TFUE e diretta a ottenere il risarcimento del danno che la ricorrente avrebbe asseritamente subito a seguito dell’adozione della decisione 2010/644/PESC del Consiglio, del 25 ottobre 2010, recante modifica della decisione 2010/413/PESC concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran [e] che abroga la posizione comune 2007/140/PESC (GU 2010, L 281, pag. 81), del regolamento (UE) n. 961/2010 del Consiglio, del 25 ottobre 2010, concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran e che abroga il regolamento (CE) n. 423/2007 (GU 2010, L 281, pag. 1), della decisione 2011/783/PESC del Consiglio, del 1o dicembre 2011, che modifica la decisione 2010/413/PESC relativa a misure restrittive nei confronti dell’Iran (GU 2011, L 319, pag. 71), del regolamento di esecuzione (UE) n. 1245/2011 del Consiglio, del 1o dicembre 2011, che attua il regolamento n. 961/2010 (GU 2011, L 319, pag.11), e del regolamento (UE) n. 267/2012 del Consiglio, del 23 marzo 2012, concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran e che abroga il regolamento n. 961/2010 (GU 2012, L 88, pag. 1), mediante i quali il nome della ricorrente è stato inserito e mantenuto negli elenchi delle persone e delle entità alle quali si applicano misure restrittive,

IL TRIBUNALE (Prima Sezione ampliata),

composto da I. Pelikánová (relatore), presidente, V. Valančius, P. Nihoul, J. Svenningsen e U. Öberg, giudici,

cancelliere: N. Schall, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 20 marzo 2018,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        La presente causa si inserisce nel contesto delle misure restrittive adottate per far pressione sulla Repubblica islamica dell’Iran affinché quest’ultima ponga fine alle attività nucleari che presentano un rischio di proliferazione e allo sviluppo di sistemi di lancio di armi nucleari (in prosieguo: la «proliferazione nucleare»).

2        La Post Bank Iran, ricorrente, è una società di diritto iraniano che esercita attività di banca postale.

3        Il 9 giugno 2010, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione 1929 (2010), destinata ad ampliare la portata delle misure restrittive imposte dalle precedenti risoluzioni 1737 (2006), del 27 dicembre 2006, 1747 (2007), del 24 marzo 2007, e 1803 (2008), del 3 marzo 2008, e a instaurare misure restrittive aggiuntive nei confronti della Repubblica islamica dell’Iran.

4        Con decisione 2010/413/PESC del Consiglio, del 26 luglio 2010, concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran e che abroga la posizione comune 2007/140/PESC (GU 2010, L 195, pag. 39), il nome della ricorrente è stato inserito nell’elenco contenuto nell’allegato II di detta decisione.

5        Di conseguenza, il nome della ricorrente è stato inserito nell’elenco che figura nell’allegato V del regolamento (CE) n. 423/2007 del Consiglio, del 19 aprile 2007, concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran (GU 2007, L 103, pag. 1).

6        L’inserimento del nome della ricorrente nell’elenco di cui al precedente punto 5 ha avuto effetto dalla data di pubblicazione del regolamento di esecuzione (UE) n. 668/2010 del Consiglio, del 26 luglio 2010, che attua l’articolo 7, paragrafo 2 del regolamento n. 423/2007 (GU 2010, L 195, pag. 25) nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, vale a dire dal 27 luglio 2010. Esso ha avuto come effetto il congelamento dei capitali e delle risorse economiche della ricorrente (in prosieguo: le «misure restrittive»).

7        L’inserimento del nome della ricorrente negli elenchi citati ai precedenti punti 4 e 5 si fondava sui seguenti motivi:

«[La ricorrente] si è trasformata da banca interna in banca di facilitazione del commercio internazionale dell’Iran. Agisce per conto della Banca Sepah (indicata [nella risoluzione] 1747 del [Consiglio di sicurezza]) effettuando operazioni per suo conto al fine di occultarne il coinvolgimento ed aggirare così le sanzioni. Nel 2009 [la ricorrente] ha agevolato transazioni fra industrie iraniane della difesa e beneficiari stranieri per conto della Banca Sepah. Ha agevolato transazioni con una società di copertura della Tranchon Commercial Bank della RPDC ([Repubblica popolare democratica di Corea]), di cui è nota l’attività di agevolazione di transazioni connesse alla proliferazione fra l’Iran e la RPDC».

8        Con lettera del 29 luglio 2010, il Consiglio dell’Unione europea ha informato la ricorrente dell’inserimento del suo nome negli elenchi citati ai precedenti punti 4 e 5. Una copia di questi ultimi atti era allegata a tale lettera.

9        Con lettera del 12 settembre 2010, la ricorrente ha chiesto al Consiglio di riconsiderare l’inserimento del suo nome negli elenchi in questione, alla luce delle informazioni che essa gli comunicava.

10      Con decisione 2010/644/PESC, del 25 ottobre 2010, recante modifica della decisione 2010/413 (GU 2010, L 281, pag. 81), il Consiglio, dopo aver sottoposto a riesame la situazione della ricorrente, ha mantenuto il nome di quest’ultima nell’elenco contenuto nell’allegato II della decisione 2010/413, con effetto dal giorno stesso, per i seguenti motivi:

«[La ricorrente] si è trasformata da banca interna in banca di facilitazione del commercio internazionale dell’Iran. Agisce per conto della Banca Sepah (indicata nella [risoluzione] 1747 del [Consiglio di sicurezza]) effettuando operazioni per suo conto al fine di occultarne il coinvolgimento ed aggirare così le sanzioni. Nel 2009 [la ricorrente] ha agevolato transazioni fra industrie iraniane della difesa e beneficiari stranieri per conto della Banca Sepah. Ha agevolato transazioni con una società di copertura della Tranchon Commercial Bank della RPDC, di cui è nota l’attività di agevolazione di transazioni connesse alla proliferazione fra l’Iran e la RPDC».

11      Con l’adozione del regolamento (UE) n. 961/2010 del Consiglio, del 25 ottobre 2010, concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran e che abroga il regolamento n. 423/2007 (GU 2010, L 281, pag. 1), il nome della ricorrente è stato inserito nell’elenco contenuto nell’allegato VIII di detto regolamento, con effetto dal 27 ottobre 2010.

12      Con lettera del 28 ottobre 2010, ricevuta dalla ricorrente il 29 ottobre 2010, il Consiglio ha comunicato a quest’ultima che, a seguito di riesame della sua situazione alla luce delle osservazioni contenute nella lettera del 12 settembre 2010, essa doveva restare soggetta a misure restrittive.

13      Con lettera del 28 dicembre 2010, la ricorrente ha contestato i fatti addebitatile dal Consiglio. Ai fini dell’esercizio dei suoi diritti della difesa, essa ha chiesto di avere accesso al fascicolo.

14      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 7 gennaio 2011, la ricorrente ha proposto un ricorso volto segnatamente, in sostanza, all’annullamento degli elenchi menzionati ai precedenti punti 4 e 5, nella parte in cui la riguardavano. Tale ricorso è stato iscritto a ruolo con il numero T‑13/11.

15      Con lettera del 22 febbraio 2011, il Consiglio ha fornito alla ricorrente gli estratti che la riguardavano, risultanti dalle proposte di inserimento trasmesse dagli Stati membri, come figuravano nelle sue note di trasmissione indicate con i numeri 13413/10 EXT 5, 13414/10 EXT 5 e 6723/11.

16      Con lettera del 29 luglio 2011, la ricorrente ha nuovamente contestato la veridicità dei fatti che le erano stati addebitati dal Consiglio.

17      Con decisione 2011/783/PESC, del 1o dicembre 2011, che modifica la decisione 2010/413 (GU 2011, L 319, pag. 71), e il suo regolamento di esecuzione (UE) n. 1245/2011, del 1o dicembre 2011, che attua il regolamento (UE) n. 961/2010 (GU 2011, L 319, pag. 11), il Consiglio, in seguito a riesame della situazione della ricorrente, ha mantenuto il nome di quest’ultima negli elenchi contenuti nell’allegato II della decisone 2010/413, come modificata dalla decisone 2010/644, e nell’allegato VIII del regolamento n. 961/2010, con effetto, rispettivamente, dal 1o dicembre e dal 2 dicembre 2011.

18      Con lettera del 5 dicembre 2011, il Consiglio ha informato la ricorrente che essa doveva restare soggetta a misure restrittive.

19      Con lettera del 13 gennaio 2012, la ricorrente ha nuovamente chiesto l’accesso al fascicolo.

20      La decisione 2012/35/PESC del Consiglio, del 23 gennaio 2012, che modifica la decisione 2010/413 (GU 2012, L 19, pag. 22), è entrata in vigore il giorno della sua adozione. Il suo articolo 1, punto 7, ha modificato, a decorrere da quest’ultima data, l’articolo 20 della decisione 2010/413, introducendo, segnatamente, un nuovo criterio basato su un sostegno, anche finanziario, fornito al governo iraniano.

21      Con lettera del 21 febbraio 2012, il Consiglio ha trasmesso alla ricorrente i documenti relativi alla «decisione (…) del 1o dicembre 2011 di mantenere in vigore le misure restrittive nei [suoi confronti]».

22      Con l’adozione del regolamento (UE) n. 267/2012 del Consiglio, del 23 marzo 2012, concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran e che abroga il regolamento n. 961/2010 (GU 2012, L 88, pag. 1), il nuovo criterio basato su un sostegno, anche finanziario, fornito al governo iraniano è stato introdotto all’articolo 23, paragrafo 2, lettera d), del suddetto regolamento. Inoltre, il nome della ricorrente è stato inserito, per gli stessi motivi già menzionati al precedente punto 10, nell’elenco contenuto nell’allegato IX del regolamento n. 267/2012 (in prosieguo, unitamente agli elenchi contenuti nell’allegato II della decisione 2010/413, come modificata dalla decisione 2010/644, e nell’allegato VIII del regolamento n. 961/2010, gli «elenchi controversi»), con effetto dal 24 marzo 2012.

23      Con memoria depositata presso la cancelleria del Tribunale il 4 giugno 2012, la ricorrente ha adattato le sue conclusioni nella causa T‑13/11 affinché quest’ultime fossero volte, in sostanza, all’annullamento di tutti gli elenchi controversi, nella parte in cui la riguardavano.

24      Con sentenza del 6 settembre 2013, Post Bank Iran/Consiglio (T‑13/11, non pubblicata, EU:T:2013:402), il Tribunale ha segnatamente annullato gli elenchi controversi, nella parte in cui riguardavano la ricorrente, con la motivazione che questi non erano corroborati da prove. Non essendo stata impugnata, detta sentenza è divenuta definitiva e ha acquisito autorità di cosa giudicata.

25      Con decisione 2013/661/PESC, del 15 novembre 2013, che modifica la decisione 2010/413 (GU 2013, L 306, pag. 18), e con regolamento di esecuzione (UE) n. 1154/2013, del 15 novembre 2013, che attua il regolamento n. 267/2012 (GU 2013, L 306, pag. 3), il Consiglio ha mantenuto le misure restrittive adottate nei confronti della ricorrente sul fondamento del nuovo criterio basato su un sostegno, anche finanziario, fornito al governo iraniano. Tali atti sono entrati in vigore il 16 novembre 2013, giorno della loro pubblicazione nella Gazzetta ufficiale.

26      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 29 gennaio 2014, la ricorrente ha proposto un ricorso di annullamento degli atti del 15 novembre 2013 che mantengono le misure restrittive adottate nei suoi confronti. Tale ricorso è stato iscritto a ruolo con il numero T‑68/14.

27      Con sentenza del 3 maggio 2016, Post Bank Iran/Consiglio (T‑68/14, non pubblicata, EU:T:2016:263), il Tribunale ha respinto il ricorso e ha condannato la ricorrente alle spese.

28      Con lettera del 25 luglio 2015, la ricorrente ha presentato al Consiglio una previa richiesta di risarcimento del danno asseritamente subito a causa delle misure restrittive adottate nei suoi confronti, in applicazione del regolamento di esecuzione n. 668/2010 e della decisione 2010/413. Il Consiglio non ha risposto a tale lettera.

 Procedimento e conclusioni delle parti

29      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 25 settembre 2015, la ricorrente ha proposto il presente ricorso. La causa è stata assegnata, per ragioni di connessione, alla Prima Sezione del Tribunale.

30      Il 2 febbraio 2016, il Consiglio ha depositato il controricorso.

31      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 16 marzo 2016, la Commissione europea ha chiesto di intervenire nel presente procedimento a sostegno delle conclusioni del Consiglio.

32      Il 12 aprile e il 4 maggio 2016, il Consiglio e la ricorrente hanno depositato le loro rispettive osservazioni su tale istanza di intervento.

33      Con decisione del presidente della Prima Sezione del Tribunale del 18 maggio 2016, adottata ai sensi dell’articolo 144, paragrafo 4, del regolamento di procedura del Tribunale, la Commissione è stata autorizzata a intervenire nella presente controversia.

34      Il 27 maggio 2016, la ricorrente ha depositato la replica.

35      Il 22 luglio 2016, il Consiglio ha depositato la controreplica.

36      Il 19 luglio 2016, la Commissione ha depositato la sua memoria di intervento. Il Consiglio e la ricorrente hanno depositato, rispettivamente il 7 settembre e il 13 ottobre 2016, le loro osservazioni su tale memoria.

37      Su proposta del giudice relatore, il Tribunale (Prima Sezione) ha adottato una misura di organizzazione del procedimento consistente nel sentire le parti su un’eventuale sospensione del procedimento in attesa della pronuncia della decisione della Corte nella causa C‑45/15 P, Safa Nicu Sepahan/Consiglio. Le parti principali hanno presentato le loro osservazioni al riguardo entro il termine impartito.

38      Essendo stata modificata la composizione delle sezioni del Tribunale, in applicazione dell’articolo 27, paragrafo 5, del regolamento di procedura, il giudice relatore è stato assegnato alla Prima Sezione, alla quale, di conseguenza, è stata attribuita la presente causa.

39      Alla luce delle osservazioni delle parti principali, il presidente della Prima Sezione del Tribunale, con decisione del 10 ottobre 2016, ha deciso di sospendere il procedimento nella presente causa.

40      A seguito della pronuncia della sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (C‑45/15 P, EU:C:2017:402), su proposta del giudice relatore, il Tribunale (Prima Sezione) ha adottato una misura di organizzazione del procedimento consistente nel sentire le parti sulle conseguenze che le medesime avrebbero tratto da tale sentenza per la presente causa. Le parti principali hanno presentato le loro osservazioni al riguardo entro il termine impartito. Nelle sue osservazioni, la ricorrente ha dichiarato, in particolare, di rinunciare alla sua domanda risarcitoria, nella parte riguardante il risarcimento di un danno materiale.

41      Nessuna delle parti principali ha chiesto lo svolgimento di un’udienza di discussione, ai sensi dell’articolo 106, paragrafo 1, del regolamento di procedura, entro il termine impartito.

42      Il 15 dicembre 2017, il Tribunale, in applicazione dell’articolo 28 del regolamento di procedura e su proposta della Prima Sezione, ha deciso di rinviare la presente causa dinanzi a un collegio giudicante in composizione ampliata.

43      Su proposta del giudice relatore, il Tribunale ha deciso di avviare la fase orale del procedimento, di raccogliere le osservazioni delle parti principali quanto a una possibile riunione della presente causa con la causa T‑558/15, Iran Insurance/Consiglio, ai fini della fase orale del procedimento, e di porre alcuni quesiti alle parti. Le parti hanno ottemperato nei termini impartiti.

44      Con decisione del 9 febbraio 2018, il presidente della Prima Sezione del Tribunale ha deciso di riunire la presente causa e la causa T‑558/15 ai fini della fase orale del procedimento.

45      Le parti hanno svolto le loro difese e hanno risposto ai quesiti orali del Tribunale all’udienza del 20 marzo 2018. Nelle sue risposte, la ricorrente ha segnatamente precisato quale fosse il profilo di illegittimità constatato nella sentenza del 6 settembre 2013, Post Bank Iran/Consiglio (T‑13/11, non pubblicata, EU:T:2013:402), che essa adduceva a sostegno della sua domanda risarcitoria, circostanza di cui si è preso atto nel verbale di udienza.

46      In seguito a modifica delle sue conclusioni (v. punti 40 supra), la ricorrente chiede, in sostanza, che il Tribunale voglia:

–        condannare il Consiglio a versarle l’importo di EUR 1 000 000, a titolo di risarcimento del danno morale che essa ha subito a seguito dell’illegittimo inserimento del suo nome negli elenchi controversi, tra luglio 2010 e novembre 2013, in applicazione della decisione 2010/644, del regolamento n. 961/2010, della decisione 2011/783, del regolamento di esecuzione n. 1245/2011 e del regolamento n. 267/2012;

–        condannare il Consiglio alle spese.

47      Il Consiglio chiede, in sostanza, che il Tribunale voglia:

–        respingere parzialmente il ricorso per difetto di competenza a conoscerne e, per il resto, in quanto manifestamente infondato;

–        condannare la ricorrente alle spese.

48      La Commissione chiede che il ricorso venga respinto nella sua integralità.

 In diritto

 Sulla competenza del Tribunale a conoscere del ricorso

49      [Come rettificato con ordinanza del 21 marzo 2019] Nella controreplica, il Consiglio ritiene che, nei limiti in cui la ricorrente ha fondato la sua domanda risarcitoria sull’illegittimità dell’inserimento del suo nome nell’elenco contenuto nell’allegato II della decisione 2010/413, come modificata dalla decisione 2010/644, il Tribunale non sia competente a statuire sul presente ricorso, in quanto l’articolo 275, secondo comma, TFUE non attribuisce al Tribunale la competenza a statuire su una domanda di risarcimento fondata sull’illegittimità di un atto che rientra nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune (PESC).

50      Nelle sue risposte scritte ai quesiti del Tribunale (punto 43 supra), la ricorrente sostiene che l’eccezione di irricevibilità del Consiglio è irricevibile, in quanto tardiva, e che è infondata in quanto gli atti PESC sono stati attuati, nel caso di specie, da regolamenti adottati ai sensi dell’articolo 215 TFUE.

51      Al riguardo, occorre rammentare che un’eccezione di irricevibilità che sia stata sollevata in sede di controreplica, quando invece avrebbe potuto essere sollevata già in sede di controricorso, deve essere considerata tardiva (v., in tal senso, sentenza del 18 febbraio 2016, Jannatian/Consiglio, T‑328/14, non pubblicata, EU:T:2016:86, punto 29). Orbene, la presente eccezione di irricevibilità, che avrebbe potuto essere eccepita dal Consiglio già in sede di controricorso, è tardiva e, in quanto tale, irricevibile.

52      Tuttavia, ai sensi dell’articolo 129 del regolamento di procedura, il Tribunale può statuire d’ufficio, in qualsiasi momento, sentite le parti, sui motivi di irricevibilità di ordine pubblico, tra i quali figura, secondo la giurisprudenza, la competenza del giudice dell’Unione europea a conoscere del ricorso (v., in tal senso, sentenze del 18 marzo 1980, Ferriera Valsabbia e a./Commissione, 154/78, 205/78, 206/78, da 226/78 a 228/78, 263/78, 264/78, 31/79, 39/79, 83/79 e 85/79, EU:C:1980:81, punto 7, e del 17 giugno 1998, Svenska Journalistförbundet/Consiglio, T‑174/95, EU:T:1998:127, punto 80).

53      Orbene, dall’articolo 24, paragrafo 1, secondo comma, sesta frase, TUE e dall’articolo 275, primo comma, TFUE risulta che la Corte di giustizia dell’Unione europea non è, in generale, competente quanto alle disposizioni di diritto primario in materia di PESC, né per quanto riguarda gli atti giuridici adottati sulla base di tali disposizioni. Soltanto in via eccezionale, conformemente all’articolo 275, secondo comma, TFUE, il giudice dell’Unione è competente nel settore della PESC. Tale competenza comprende, da un lato, il controllo del rispetto dell’articolo 40 TUE e, dall’altro, i ricorsi di annullamento proposti dai singoli, alle condizioni previste all’articolo 263, quarto comma, TFUE avverso misure restrittive adottate dal Consiglio nell’ambito della PESC. Per contro, l’articolo 275, secondo comma, TFUE non attribuisce alla Corte di giustizia dell’Unione europea alcuna competenza a conoscere di un qualsivoglia ricorso per risarcimento danni (sentenza del 18 febbraio 2016, Jannatian/Consiglio, T‑328/14, non pubblicata, EU:T:2016:86, punto 30).

54      Ne consegue che un ricorso per risarcimento diretto a ottenere la riparazione del danno asseritamente subito a seguito dell’adozione di un atto in materia di PESC esula dalla competenza del Tribunale (sentenza del 18 febbraio 2016, Jannatian/Consiglio, T‑328/14, non pubblicata, EU:T:2016:86, punto 31).

55      Per contro, il Tribunale si è sempre riconosciuto competente a conoscere di una domanda di risarcimento del danno asseritamente subito da parte di una persona o di un’entità a causa di misure restrittive adottate nei suoi confronti, conformemente all’articolo 215 TFUE (v., in tal senso, sentenze dell’11 luglio 2007, Sison/Consiglio, T‑47/03, non pubblicata, EU:T:2007:207, punti da 232 a 251, e del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punti da 45 a 149).

56      Nel caso di specie, le misure restrittive adottate nei confronti della ricorrente, rispettivamente con la decisione 2010/644 e la decisione 2011/783, sono state attuate dal regolamento n. 961/2010, dal regolamento di esecuzione n. 1245/2011 e dal regolamento n. 267/2012, adottati ai sensi dell’articolo 215 TFUE.

57      Ne consegue che, se è vero che il Tribunale non è competente a conoscere della domanda di risarcimento della ricorrente, nei limiti in cui tale domanda è diretta a ottenere il risarcimento del danno che la ricorrente avrebbe subito a causa delle misure restrittive adottate nei suoi confronti nella decisione 2010/644 e nella decisione 2011/783, esso è tuttavia competente a conoscere di questa medesima domanda nei limiti in cui essa verte sul risarcimento del danno che la ricorrente avrebbe subito a causa dell’attuazione delle suddette misure mediante il regolamento n. 961/2010, il regolamento di esecuzione n. 1245/2011 e il regolamento n. 267/2012 (in prosieguo: gli «atti controversi»).

58      Di conseguenza, occorre esaminare il presente ricorso soltanto nei limiti in cui esso è diretto a ottenere il risarcimento del danno che la ricorrente asserisce di aver subito in quanto le misure restrittive adottate nei suoi confronti nella decisione 2010/644 e nella decisione 2011/783 sono state attuate dagli atti controversi.

 Sulla ricevibilità del ricorso

59      Senza sollevare eccezioni con atto separato, la Commissione sostiene che, in considerazione della data di presentazione del presente ricorso, ossia il 25 settembre 2015, quest’ultimo è stato presentato dopo il termine di cinque anni previsto all’articolo 46 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, nei limiti in cui esso è diretto ad ottenere il risarcimento di un danno che si sarebbe verificato prima del 25 ottobre 2010. Conformemente alla giurisprudenza, il presente ricorso dovrebbe essere quindi dichiarato parzialmente irricevibile. Secondo la Commissione, la prescrizione parziale del ricorso può essere esaminata d’ufficio in quanto questione di ordine pubblico.

60      Il Consiglio ritiene che la questione della prescrizione non sembri porsi, nel caso di specie, atteso che la ricorrente chiede il risarcimento soltanto per l’inserimento del suo nome negli elenchi controversi dopo il 25 settembre 2010. Esso indica tuttavia che, se vi fosse una situazione di prescrizione, quest’ultima potrebbe essere rilevata d’ufficio in quanto questione di ordine pubblico.

61      La ricorrente conclude per il rigetto della presente eccezione di irricevibilità in quanto irricevibile e in quanto non può essere esaminata d’ufficio dal Tribunale perché non si tratta di un motivo di irricevibilità di ordine pubblico. In ogni caso, tale eccezione di irricevibilità non sarebbe fondata. La ricorrente aggiunge che detta questione della prescrizione non sarebbe più rilevante a seguito della rinuncia alla sua domanda di risarcimento del danno materiale.

62      Per quanto riguarda la presente eccezione di irricevibilità, addotta dalla Commissione, occorre rilevare che le conclusioni del Consiglio vertenti sul rigetto del presente ricorso non si fondano affatto sulla prescrizione parziale dell’azione che è alla base di tale ricorso. Orbene, ai sensi dell’articolo 40, quarto comma, e dell’articolo 53, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea nonché dell’articolo 142, paragrafo 1, del regolamento di procedura, le conclusioni dell’istanza d’intervento possono avere come oggetto soltanto l’adesione, totale o parziale, alle conclusioni di una delle parti principali. Inoltre, l’interveniente accetta di assumere la causa nello stato in cui essa si trova all’atto del suo intervento, conformemente all’articolo 142, paragrafo 3, del regolamento di procedura.

63      Ne consegue che l’interveniente non è legittimato a sollevare in maniera autonoma un’eccezione di irricevibilità e che il Tribunale non è pertanto tenuto a esaminare i motivi invocati esclusivamente da quest’ultimo e che non siano di ordine pubblico (v., in tal senso, sentenze del 24 marzo 1993, CIRFS e a./Commissione, C‑313/90, EU:C:1993:111, punto 22, e del 3 luglio 2007, Au Lys de France/Commissione, T‑458/04, non pubblicata, EU:T:2007:195, punto 32).

64      Inoltre, è già stato statuito che, nei limiti in cui l’azione per responsabilità extracontrattuale dell’Unione è disciplinata, ai sensi dell’articolo 340 TFUE, dai principi generali comuni agli ordinamenti degli Stati membri e nei limiti in cui da un esame comparativo dei sistemi giuridici degli Stati membri risulta che, in linea generale, e salvo poche eccezioni, il giudice non può sollevare d’ufficio il motivo fondato sulla prescrizione dell’azione, non occorre esaminare d’ufficio un problema dell’eventuale prescrizione dell’azione in questione (sentenze del 30 maggio 1989, Roquette frères/Commissione, 20/88, EU:C:1989:221, punti 12 e 13, e dell’8 novembre 2012, Evropaïki Dynamiki/Commissione, C‑469/11 P, EU:C:2012:705, punto 51).

65      Di conseguenza, occorre respingere, in quanto irricevibile, l’eccezione di irricevibilità sollevata dalla Commissione.

 Sulla ricevibilità degli elementi di prova prodotti in allegato alla replica

66      Nella controreplica, il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, conclude per il rigetto degli elementi di prova prodotti negli allegati da R.1 a R.15 alla replica in quanto tardivi e, pertanto, irricevibili. Secondo il Consiglio, tali elementi avrebbero potuto e dovuto, conformemente alla giurisprudenza, essere prodotti in sede di ricorso.

67      Nelle loro risposte scritte ai quesiti del Tribunale (v. punto 43 supra), il Consiglio e la Commissione riconoscono che, a causa della modifica delle conclusioni del ricorso (v. punto 40 supra), non è più necessario statuire sulla ricevibilità degli elementi di prova prodotti negli allegati da R.2 a R.15 alla replica, i quali vertevano soltanto sul danno materiale asseritamente subito dalla ricorrente.

68      La ricorrente ammette anch’essa che, a causa della modifica delle conclusioni (v. punto 40 supra), l’eccezione di irricevibilità rimane pertinente soltanto rispetto all’allegato R.1 alla replica. Essa conclude per il rigetto dell’eccezione di irricevibilità sulla base del rilievo che l’allegato R.1 alla replica contiene elementi di prova supplementari di fatti che sono stati già ben dimostrati nel ricorso e che sono necessari per confutare gli argomenti addotti dal Consiglio nel controricorso. Il Consiglio avrebbe pienamente potuto esercitare i suoi diritti della difesa rispetto ai suddetti elementi nella controreplica. La Commissione avrebbe parimenti avuto la possibilità di esaminare e valutare gli elementi in parola.

69      Nel caso di specie, dalle conclusioni modificate della ricorrente risulta che il presente ricorso ha ad oggetto una domanda di risarcimento del danno morale asseritamente subito da quest’ultima a seguito dell’adozione, da parte del Consiglio, degli atti controversi. Si tratta pertanto di un ricorso mediante il quale la ricorrente tenta di far valere la responsabilità extracontrattuale dell’Unione.

70      Orbene, secondo una giurisprudenza ben consolidata, nell’ambito di un ricorso per responsabilità extracontrattuale, spetta alla parte ricorrente fornire elementi di prova al giudice dell’Unione per dimostrare l’esistenza e la portata del danno che afferma di avere subito [v. sentenze del 28 gennaio 2016, Zafeiropoulos/Cedefop, T‑537/12, non pubblicata, EU:T:2016:36, punto 91 e giurisprudenza ivi citata, e del 26 aprile 2016, Strack/Commissione, T‑221/08, EU:T:2016:242, punto 308 (non pubblicata)].

71      Il giudice dell’Unione ha certo riconosciuto che, in taluni casi, segnatamente quando è difficile quantificare il danno lamentato, non è indispensabile precisare nel ricorso la sua entità esatta né quantificare l’importo del risarcimento richiesto (v. sentenza del 28 febbraio 2013, Inalca e Cremonini/Commissione, C‑460/09 P, EU:C:2013:111, punto 104 e giurisprudenza ivi citata).

72      Il ricorso nella presente causa è stato proposto il 25 settembre 2015. In esso la ricorrente ha quantificato il danno morale che riteneva di aver subito fondandosi sugli elementi contenuti negli allegati al suddetto ricorso.

73      In via preliminare, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 76, lettera f), del regolamento di procedura, che è entrato in vigore il 1o luglio 2015 e che, pertanto, è applicabile al presente ricorso, ogni ricorso deve contenere, se del caso, le prove e le offerte di prova.

74      Inoltre, l’articolo 85, paragrafo 1, del regolamento di procedura dispone che le prove e le offerte di prova sono presentate nell’ambito del primo scambio di memorie. Il paragrafo 2 di questo medesimo articolo aggiunge che le parti possono ancora produrre prove od offerte di prova nella replica e nella controreplica a sostegno della loro argomentazione, a condizione che il ritardo nella presentazione delle stesse sia giustificato. In quest’ultimo caso, a sensi dell’articolo 85, paragrafo 4, del regolamento di procedura, il Tribunale statuisce sulla ricevibilità delle prove prodotte o delle offerte di prova dedotte dopo che le altre parti sono state poste in condizione di presentare le loro osservazioni su queste ultime.

75      La decadenza prevista all’articolo 85, paragrafo 1, del regolamento di procedura non riguarda la prova contraria né l’ampliamento delle deduzioni istruttorie a seguito di una prova contraria della controparte [v. sentenza del 22 giugno 2017, Biogena Naturprodukte/EUIPO (ZUM wohl), T‑236/16, EU:T:2017:416, punto 17 e giurisprudenza ivi citata].

76      Dalla giurisprudenza relativa all’applicazione della decadenza prevista all’articolo 85, paragrafo 1, del regolamento di procedura risulta che le parti devono motivare il ritardo relativo alla presentazione delle loro prove od offerte di prova nuove (sentenza del 18 settembre 2008, Angé Serrano e a./Parlamento, T‑47/05, EU:T:2008:384, punto 54) e che il giudice dell’Unione ha il potere di verificare la fondatezza del motivo del ritardo relativo alla produzione di tali prove o di tali offerte di prova nonché, a seconda dei casi, il contenuto di queste ultime, e ha il potere di respingerle qualora tale produzione tardiva non sia giustificata in modo giuridicamente adeguato o fondata (sentenze del 14 aprile 2005, Gaki-Kakouri/Corte di giustizia, C‑243/04 P, non pubblicata, EU:C:2005:238, punto 33, e del 18 settembre 2008, Angé Serrano e a./Parlamento, T‑47/05, EU:T:2008:384, punto 56).

77      È già stato dichiarato che la presentazione tardiva di prove o di offerte di prove di una parte può essere giustificata dal fatto che la parte in parola non poteva disporre anteriormente delle prove in questione o qualora la produzione tardiva della controparte giustifichi che il fascicolo venga completato di modo da garantire il rispetto del principio del contraddittorio (sentenze del 14 aprile 2005, Gaki-Kakouri/Corte di giustizia, C‑243/04 P, non pubblicata, EU:C:2005:238, punto 32, e del 18 settembre 2008, Angé Serrano e a./Parlamento, T‑47/05, EU:T:2008:384, punto 55).

78      Nel caso di specie, la ricorrente ha fornito un certo numero di prove a sostegno della domanda di risarcimento per l’asserito danno morale, nell’allegato R.1 alla replica, senza fornire alcuna giustificazione specifica per il ritardo nella loro produzione.

79      Nei limiti in cui, nelle sue risposte ai quesiti del Tribunale (v. punto 43 supra), la ricorrente ha fatto valere la circostanza che l’allegato R.1 alla replica conteneva elementi di prova supplementari di fatti che erano già stati ben dimostrati nel ricorso, tale giustificazione deve essere respinta in quanto inconferente, dal momento che la mera circostanza che i fatti siano già stati dimostrati non è tale da giustificare la produzione tardiva di nuovi elementi di prova.

80      Nei limiti in cui, in queste medesime risposte, essa ha affermato che l’allegato R.1 alla replica conteneva elementi di prova necessari per confutare gli argomenti addotti dal Consiglio nel controricorso, occorre rilevare che gli elementi contenuti in tale allegato sono stati prodotti dalla ricorrente al solo fine di dimostrare, conformemente alla giurisprudenza citata al precedente punto 70, l’esistenza e la portata del danno morale lamentato, come quantificato nel ricorso, e non per confutare elementi di prova che siano stati prodotti dal Consiglio in allegato al suddetto controricorso. Il fatto che, in tale controricorso, il Consiglio abbia eccepito che la ricorrente non avrebbe dimostrato, in modo giuridicamente adeguato, l’esistenza e la portata del danno asseritamente subito non può essere qualificato come prova contraria, ai sensi della giurisprudenza citata al precedente punto 75, e non consente di considerare gli elementi che figurano nell’allegato R.1 alla replica un ampliamento delle offerte di prova apportato a seguito di una prova contraria, né di ritenere che la produzione tardiva di tali elementi sia, pertanto, giustificata dalla necessità di rispondere agli argomenti del Consiglio e di garantire il rispetto del principio del contraddittorio.

81      Ne consegue che gli elementi prodotti nell’allegato R.1 alla replica devono essere respinti in quanto irricevibili e non saranno, quindi, presi in considerazione nella fase dell’esame nel merito del ricorso.

 Nel merito

82      Ai sensi dell’articolo 340, secondo comma, TFUE «[i]n materia di responsabilità extracontrattuale, l’Unione deve risarcire, conformemente ai principi generali comuni ai diritti degli Stati membri, i danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell’esercizio delle loro funzioni». Secondo costante giurisprudenza, il sorgere della responsabilità extracontrattuale dell’Unione, a sensi dell’articolo 340, secondo comma, TFUE, per comportamento illecito dei suoi organi, è subordinato alla compresenza di un insieme di condizioni, ossia l’illegittimità del comportamento contestato alle istituzioni, l’effettiva sussistenza del danno e l’esistenza di un nesso di causalità tra l’asserito comportamento e il danno lamentato (v. sentenze del 9 settembre 2008, FIAMM e a./Consiglio e Commissione, C‑120/06 P e C‑121/06 P, EU:C:2008:476, punto 106 e giurisprudenza ivi citata; del’11 luglio 2007, Schneider Electric/Commissione, T‑351/03, EU:T:2007:212, punto 113, e del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punto 47).

83      A sostegno del presente ricorso, la ricorrente fa valere che nel caso di specie le tre condizioni summenzionate sono soddisfatte.

84      Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, conclude per il rigetto del presente ricorso, in quanto infondato, sulla base del rilievo che la ricorrente non ha dimostrato, come le incombeva, che ricorrano tutte le condizioni per la sussistenza della responsabilità extracontrattuale dell’Unione.

85      Secondo costante giurisprudenza, le condizioni per la sussitenza della responsabilità extracontrattuale dell’Unione, ai sensi dell’articolo 340, secondo comma, TFUE, come già enumerate al precedente punto 82, sono cumulative (sentenza del 7 dicembre 2010, Fahas/Consiglio, T‑49/07, EU:T:2010:499, punti 92 e 93, e ordinanza del 17 febbraio 2012, Dagher/Consiglio, T‑218/11, non pubblicata, EU:T:2012:82, punto 34). Ne consegue che, qualora una di tali condizioni non sia soddisfatta, il ricorso deve essere respinto nella sua integralità (sentenza del 26 ottobre 2011, Dufour/BCE, T‑436/09, EU:T:2011:634, punto 193).

86      Occorre pertanto verificare, nel caso di specie, se la ricorrente fornisca la prova, ad essa incombente, dell’illegittimità del comportamento che la stessa contesta al Consiglio, ossia l’adozione degli atti controversi, dell’effettiva sussistenza del danno morale che asserisce di aver subito e dell’esistenza di un nesso di causalità tra detta adozione e il danno dalla stessa lamentato.

 Sull’asserita illegittimità

87      La ricorrente sostiene che la condizione relativa all’illegittimità del comportamento di un’istituzione è soddisfatta, in quanto l’adozione degli atti controversi costituisce una violazione sufficientemente qualificata, da parte del Consiglio, di una norma giuridica preordinata ad attribuire diritti ai singoli tale da far sorgere, secondo la giurisprudenza, la responsabilità extracontrattuale dell’Unione.

88      A tal riguardo, la ricorrente sostiene che l’inserimento e il mantenimento del suo nome negli elenchi controversi, in applicazione degli atti controversi, sono manifestamente illegittimi, come statuito dal Tribunale nella sentenza del 6 settembre 2013, Post Bank Iran/Consiglio (T‑13/11, non pubblicata, EU:T:2013:402). Inoltre, le disposizioni normative che sarebbero state violate nel caso di specie sarebbero volte, segnatamente, a tutelare gli interessi individuali delle persone e delle entità considerate, alle quali esse attribuirebbero diritti (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punti 57 e 58).

89      Secondo la ricorrente, costituisce una violazione sufficientemente qualificata di tali disposizioni il fatto che il Consiglio inserisca o mantenga il nome di una persona negli elenchi quando lo stesso non dispone di informazioni o di elementi di prova che dimostrino, in modo giuridicamente adeguato, la fondatezza delle misure restrittive adottate (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punti 59, 63 e 68). Nel caso di specie, il Consiglio avrebbe adottato gli atti controversi a seguito dei quali, tra luglio 2010 e novembre 2013, sarebbero state adottate misure restrittive nei suoi confronti, senza il minimo elemento di prova del comportamento addebitatole.

90      Infine, la ricorrente ritiene che il Consiglio non possa sostenere che le disposizioni che esso ha violato erano vaghe, ambigue o poco chiare, poiché, al momento dell’adozione degli atti controversi, era chiaro che il Consiglio era tenuto a produrre elementi di prova a sostegno delle misure restrittive dallo stesso adottate.

91      Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, non contesta l’illegittimità degli atti controversi, ma ritiene che detta illegittimità non sia tale da far sorgere la responsabilità extracontrattuale dell’Unione, dal momento che essa non costituisce una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica preordinata a conferire diritti ai singoli. Una simile violazione avrebbe potuto essere dimostrata soltanto se si fosse fornita la prova, conformemente alla giurisprudenza, che il Consiglio aveva gravemente e manifestamente ecceduto i limiti del suo potere discrezionale, il che non è avvenuto nel caso di specie.

92      Nella sentenza del 6 settembre 2013, Post Bank Iran/Consiglio (T‑13/11, non pubblicata, EU:T:2013:402), il Tribunale ha constatato l’illegittimità degli atti controversi.

93      Tuttavia, occorre ricordare che, secondo consolidata giurisprudenza del Tribunale, l’accertamento dell’illegittimità di un atto giuridico, per quanto censurabile, non è sufficiente per considerare soddisfatta la condizione per far sorgere la responsabilità extracontrattuale dell’Unione per illegittimità del comportamento contestato alle istituzioni (sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punto 50; v. anche, in tal senso, sentenze del 6 marzo 2003, Dole Fresh Fruit International/Consiglio e Commissione, T‑56/00, EU:T:2003:58, punti da 72 a 75, e del 23 novembre 2011, Sison/Consiglio, T‑341/07, EU:T:2011:687, punto 31). L’eventuale annullamento di uno o più atti del Consiglio da cui sia scaturito il danno invocato dalla ricorrente, ancorché l’annullamento sia stato deciso da sentenza del Tribunale pronunciata anteriormente alla proposizione dell’azione risarcitoria, non costituisce la prova inconfutabile di una violazione sufficientemente qualificata da parte dell’istituzione medesima che consenta di dichiarare, ipso iure, la responsabilità extracontrattuale dell’Unione (sentenza del 13 dicembre 2017, HTTS/Consiglio, T‑692/15, attualmente oggetto di impugnazione, EU:T:2017:890, punto 48).

94      La condizione relativa all’esistenza di un comportamento illegittimo delle istituzioni dell’Unione richiede la violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica preordinata a conferire diritti ai singoli (v. sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, C‑45/15 P, EU:C:2017:402, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).

95      Il requisito di una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica preordinata a conferire diritti ai singoli è diretto, a prescindere dalla natura dell’atto illecito in questione, ad evitare che il rischio di dover risarcire i danni addotti dalle persone interessate ostacoli la capacità dell’istituzione interessata di esercitare pienamente le sue funzioni nell’interesse generale, sia nell’ambito della sua attività normativa o implicante scelte di politica economica sia nell’ambito della propria competenza amministrativa, senza per questo lasciare a carico dei singoli l’onere delle conseguenze di violazioni flagranti e inescusabili (v. sentenze del 23 novembre 2011, Sison/Consiglio, T‑341/07, EU:T:2011:687, punto 34 e giurisprudenza ivi citata, e del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punto 51).

96      Dopo aver individuato le norme giuridiche che la ricorrente ritiene siano state violate nel caso di specie, occorrerà esaminare, in primo luogo, se tali norme siano preordinate a conferire diritti ai singoli e, in secondo luogo, se il Consiglio abbia commesso una violazione sufficientemente qualificata di tali norme.

–       Sulle norme giuridiche asseritamente violate

97      All’udienza, in risposta ai quesiti orali del Tribunale, la ricorrente ha precisato, quanto alle norme giuridiche la cui violazione era stata accertata nella sentenza del 6 settembre 2013, Post Bank Iran/Consiglio (T‑13/11, non pubblicata, EU:T:2013:402), che essa rinviava unicamente alla constatazione, ai punti 133 e 134 di tale sentenza, secondo cui gli atti controversi, nei limiti in cui applicavano il criterio dell’«aiuto» fornito a una persona o un’entità il cui nome era inserito negli elenchi al fine di aggirare o violare misure restrittive, non erano fondati, in quanto essi non erano corroborati da prove, e violavano, in sostanza, l’articolo 20, paragrafo 1, lettera b), della decisione 2010/413, l’articolo 16, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 961/2010 e l’articolo 23, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 267/2012.

–       Sulla questione se le norme giuridiche asseritamente violate siano preordinate a conferire diritti ai singoli

98      Dalla giurisprudenza emerge che le disposizioni che enunciano, in termini tassativi, le condizioni alle quali possono essere adottate misure restrittive mirano essenzialmente a tutelare gli interessi individuali delle persone e delle entità che possono essere interessate da tali misure, limitando le ipotesi in cui tali misure possono essere legittimamente applicate (v., in tal senso, sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punto 57; v. anche, in tal senso e per analogia, sentenza del 23 novembre 2011, Sison/Consiglio, T‑341/07, EU:T:2011:687, punto 51).

99      Disposizioni del genere garantiscono in tal modo la tutela degli interessi individuali delle persone e delle entità che possono essere interessate da misure restrittive e sono pertanto da considerarsi norme giuridiche preordinate a conferire diritti ai singoli. Qualora non ricorrano le condizioni sostanziali in questione, la persona o l’entità interessata ha infatti il diritto di non vedersi applicare misure restrittive. Un tale diritto implica necessariamente che la persona o l’entità cui siano applicate misure restrittive a condizioni non previste dalle disposizioni in questione possa chiedere il risarcimento delle conseguenze pregiudizievoli delle misure stesse, quando la loro applicazione si riveli fondata su una violazione sufficientemente qualificata delle norme sostanziali applicate dal Consiglio (v., in tal senso, sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punto 58; v. anche, in tal senso e per analogia, sentenza del 23 novembre 2011, Sison/Consiglio, T‑341/07, EU:T:2011:687, punto 52 e giurisprudenza ivi citata).

100    Ne consegue che le norme che la ricorrente ritiene siano state violate nel caso di specie sono norme giuridiche che conferiscono diritti ai singoli, tra i quali figura la ricorrente in quanto persona cui fanno riferimento gli atti controversi.

–       Sulla questione se il Consiglio abbia commesso una violazione sufficientemente qualificata delle norme giuridiche asseritamente violate

101    La Corte ha già avuto occasione di precisare che la violazione di una norma giuridica che conferisce diritti ai singoli può essere considerata sufficientemente qualificata quando implica un travalicamento manifesto e grave, da parte dell’istituzione interessata, dei limiti imposti al suo potere discrezionale, tenendo presente che gli elementi da prendere in considerazione al riguardo sono, in particolare, il grado di chiarezza e di precisione della norma violata, nonché il margine di discrezionalità che tale norma violata riserva all’autorità dell’Unione (v. sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, C‑45/15 P, EU:C:2017:402, punto 30 e giurisprudenza ivi citata).

102    Secondo la giurisprudenza, quando tale autorità dispone soltanto di un margine di discrezionalità considerevolmente ridotto, se non addirittura inesistente, la semplice trasgressione del diritto dell’Unione può bastare per accertare l’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata (v. sentenza dell’11 luglio 2007, Sison/Consiglio, T‑47/03, non pubblicata, EU:T:2007:207, punto 235 e giurisprudenza ivi citata).

103    Dalla giurisprudenza risulta, infine, che una violazione del diritto dell’Unione è, in ogni caso, manifestamente qualificata qualora si sia protratta nonostante la pronuncia di una sentenza dichiarativa dell’inadempimento addebitato oppure di una sentenza pregiudiziale, o malgrado l’esistenza di una giurisprudenza consolidata del giudice dell’Unione in materia, dalle quali risulti il carattere illegittimo del comportamento in questione (v. sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, C‑45/15 P, EU:C:2017:402, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).

104    Quando il Consiglio ha adottato gli atti controversi, vale a dire tra il 25 ottobre 2010 e il 23 marzo 2012, dalla giurisprudenza emergeva già chiaramente e precisamente che, in caso di contestazione, il Consiglio doveva fornire le informazioni e gli elementi di prova che dimostrassero che le condizioni di applicazione del criterio dell’«aiuto» ad aggirare o violare misure restrittive, di cui all’articolo 20, paragrafo 1, lettera b), della decisione 2010/413, all’articolo 16, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 961/2010 e all’articolo 23, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 267/2012, erano soddisfatte. D’altronde, la Corte è già stata chiamata ad accertare, sulla base della giurisprudenza antecedente all’adozione degli atti controversi, che l’obbligo incombente al Consiglio di fornire, in caso di contestazione, le informazioni o gli elementi di prova che suffraghino le misure restrittive adottate nei confronti di una persona o di un’entità risultava da una consolidata giurisprudenza (v. sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, C‑45/15 P, EU:C:2017:402, punti da 35 a 40 e giurisprudenza ivi citata).

105    Inoltre, atteso che l’obbligo del Consiglio di verificare e di accertare la fondatezza delle misure restrittive adottate nei confronti di un persona o di un’entità prima dell’adozione di tali misure è dettato dal rispetto dei diritti fondamentali della persona o dell’entità interessata e, in particolare, del suo diritto a una tutela giurisdizionale effettiva, quest’ultimo non dispone, al riguardo, di un margine di discrezionalità (sentenza del 18 febbraio 2016, Jannatian/Conseil, T‑328/14, non pubblicata, EU:T:2016:86, punto 52; v. anche, in tal senso, sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punti da 59 a 61). Pertanto, nel caso di specie, il Consiglio non disponeva di alcun margine di discrezionalità quanto all’adempimento di tale obbligo.

106    Pertanto, non rispettando il suo obbligo di suffragare gli atti controversi, il Consiglio ha commesso, nel caso di specie, una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica che conferisce diritti a un singolo, vale a dire alla ricorrente.

107    Di conseguenza, la condizione dell’illegittimità del comportamento contestato al Consiglio, ossia l’adozione degli atti controversi, è soddisfatta relativamente alle norme giuridiche invocate dalla ricorrente, la cui violazione è accertata ai punti 133 e 134 della sentenza del 6 settembre 2013, Post Bank Iran/Consiglio (T‑13/11, non pubblicata, EU:T:2013:402).

 Sul presunto danno e sull’esistenza di un nesso di causalità tra l’illegittimità del comportamento contestato e tale danno

108    La ricorrente sostiene di aver dimostrato il carattere reale e certo del danno morale che essa ha subito a causa degli atti controversi. Essa fa valere che gli atti controversi, nei limiti in cui hanno inciso sulla sua reputazione, le hanno causato un danno morale considerevole, che essa valuta ex aequo et bono per un importo pari a 1 milione di euro, come aveva già indicato nella sua lettera al Consiglio del 25 luglio 2015. Essa sostiene, a tal riguardo, che, in una situazione comparabile, il giudice dell’Unione ha già constatato e riconosciuto un risarcimento per il danno morale di una società corrispondente a un pregiudizio alla sua reputazione (sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punti 80 e 83).

109    Contrariamente a quanto avrebbe fatto valere il Consiglio, basandosi su una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo la «Corte EDU»), ossia la sentenza della Corte EDU del 19 luglio 2011, Uj c. Ungheria (CE:ECHR:2011:0719JUD002395410), la ricorrente ritiene che le società abbiano una dimensione morale e possano subire un danno morale, ad esempio in seguito a un pregiudizio arrecato alla loro reputazione e alla loro capacità di condurre le loro attività commerciali. Il riferimento fatto dal Consiglio a detta sentenza della Corte EDU sarebbe inappropriato in quanto tale sentenza esaminerebbe la tutela della reputazione soltanto rispetto alle limitazioni che possono essere apportate alla libertà di espressione. Il mantenimento di una buona reputazione sarebbe un elemento particolarmente importante nel mercato bancario, all’interno del quale essa interverrebbe, in quanto tale mercato si baserebbe sui rapporti di fiducia tra gli operatori. La ricorrente fa valere che, prima dell’adozione degli atti controversi, essa godeva di una buona reputazione a livello internazionale, come dimostrerebbe il fatto che essa esercitava attività bancarie a un simile livello. Inoltre, essa avrebbe effettuato investimenti considerevoli per pubblicizzare i suoi servizi internazionali, in Iran, al fine di trasmettere l’immagine di un operatore finanziario internazionale. Gli atti controversi, che avrebbero associato il suo nome a una grave minaccia per la pace e per la sicurezza internazionali e che avrebbero determinato l’involontaria cessazione delle sue attività nell’Unione, avrebbero inciso in maniera negativa sulla sua reputazione. La ripresa delle relazioni con i partner professionali del settore, quali la Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication (SWIFT), e con i suoi ex clienti nel mercato finanziario internazionale sarebbe costosa. In ogni caso, nel settore commerciale, non appena un operatore involontariamente cessa la sua attività, i danni alla sua reputazione e alla sua credibilità sarebbero evidenti e inevitabili. Per ripristinare la propria reputazione, sarebbe necessario condurre una campagna pubblicitaria a livello mondiale, per un costo stimato di 45 milioni di dollari USA (USD) (circa EUR 38,7 milioni). Atteso che essa non avrebbe ancora valutato con precisione i costi connessi al ripristino della sua reputazione, il Tribunale potrebbe nominare, nell’ambito di un mezzo istruttorio, un esperto indipendente per procedere a tale la valutazione. Infine, la ricorrente sostiene che non è necessario dimostrare che essa ha sostenuto delle spese, segnatamente pubblicitarie, per ripristinare la sua reputazione. Le sarebbe sufficiente far valere l’esistenza di un pregiudizio alla sua reputazione, per il cui ripristino sarebbe necessario sostenere spese considerevoli.

110    Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, ritiene che la condizione relativa all’esistenza di un danno non sia soddisfatta nel caso di specie. Gli atti controversi non sarebbero sanzioni di natura penale inflitte alla ricorrente e non avrebbero l’obiettivo di causarle un danno. Essi sarebbero volti soltanto a scoraggiare la proliferazione nucleare. Pertanto, la ricorrente non sarebbe stata stigmatizzata come un’organizzazione che costituisce, in quanto tale, una minaccia per la pace e per la sicurezza internazionali e, del resto, essa non apporterebbe alcun elemento di prova in tal senso. La ricorrente sarebbe stata unicamente identificata come una persona che ha agevolato operazioni commerciali connesse alla proliferazione nucleare, circostanza che sarebbe sufficiente a giustificare l’inserimento del suo nome negli elenchi controversi. La ricorrente non fornirebbe alcun elemento che dimostri che essa abbia subito un danno morale a seguito dell’adozione di tali atti, come richiederebbe la giurisprudenza. Nulla proverebbe che essa abbia goduto di una buona reputazione a livello internazionale, che abbia subito un lucro cessante a causa del pregiudizio arrecato alla sua reputazione e che abbia sostenuto spese in campagne pubblicitarie o altro per ripristinare questa medesima reputazione. L’articolo di stampa prodotto in allegato al ricorso, vertente sul costo stimato di una campagna pubblicitaria a livello mondiale, sarebbe privo di rilevanza poiché riguarderebbe una società senza collegamenti con la ricorrente, operante in un settore di attività e in un continente diversi da quelli in cui essa agisce e senza connessione con le misure restrittive adottate dall’Unione. Le allegazioni della ricorrente che figurano nella replica non dimostrerebbero l’esistenza di un pregiudizio arrecato alla sua reputazione, in particolare al di fuori dell’Iran, e, di conseguenza, di un relativo danno morale. Inoltre, la ricorrente non fornirebbe alcuna spiegazione né alcun elemento di prova a sostegno delle sue allegazioni secondo cui la ripresa delle relazioni con la SWIFT sarebbe costosa. In ogni caso, come constatato dalla Corte EDU al paragrafo 22 della sentenza del 19 luglio 2011, Uj c. Ungheria (CE:ECHR:2011:0719JUD002395410), esisterebbe una distinzione tra il pregiudizio arrecato alla reputazione commerciale di una società e il pregiudizio arrecato alla reputazione di un persona relativamente al suo status sociale, ove il primo di tali pregiudizi sarebbe privo di dimensione morale. Il Tribunale stesso avrebbe richiamato tale giurisprudenza in una causa vertente su misure restrittive (sentenza del 12 febbraio 2015, Akhras/Consiglio, T‑579/11, non pubblicata, EU:T:2015:97, punto 152). La ricorrente tenterebbe di eludere l’obbligo ad essa incombente di dimostrare l’esistenza del danno che essa asserisce di aver subito e di quantificarlo, chiedendo al Tribunale di nominare un esperto nell’ambito di un mezzo istruttorio. Qualora il Tribunale dovesse ritenere che sussista la responsabilità extracontrattuale dell’Unione, esso dovrebbe considerare, conformemente alla giurisprudenza, che l’annullamento degli atti controversi ha rappresentato una riparazione adeguata del danno morale subito dalla ricorrente. In ogni caso, l’importo di 1 milione di euro richiesto dalla ricorrente a titolo di risarcimento del danno morale che essa avrebbe subito sarebbe eccessivo, alla luce della giurisprudenza, e non dimostrato.

111    La Commissione aggiunge che il tipo di danno morale lamentato dalla ricorrente, ossia le spese di una campagna pubblicitaria per ripristinare la sua immagine, non è distinguibile da un danno materiale, di cui la ricorrente deve dimostrare il carattere reale e certo.

112    Per quanto riguarda la condizione dell’effettività del danno, secondo la giurisprudenza (v., in tal senso, sentenze del 27 gennaio 1982, De Franceschi/Consiglio e Commissione, 51/81, EU:C:1982:20, punto 9; del 13 novembre 1984, Birra Wührer e a./Consiglio e Commissione, 256/80, 257/80, 265/80, 267/80, 5/81, 51/81 e 282/82, EU:C:1984:341, punto 9, e del 16 gennaio 1996, Candiotte/Consiglio, T‑108/94, EU:T:1996:5, punto 54), la responsabilità extracontrattuale dell’Unione può sussistere soltanto qualora il ricorrente abbia effettivamente subito un danno reale e certo. Spetta al ricorrente dimostrare che tale condizione è soddisfatta (v. sentenza del 9 novembre 2006, Agraz e a./Commissione, C‑243/05 P, EU:C:2006:708, punto 27 e giurisprudenza ivi citata) e, in particolare, fornire prove concludenti in ordine sia all’esistenza sia alla portata del danno (v. sentenza del 16 settembre 1997, Blackspur DIY e a./Consiglio e Commissione, C‑362/95 P, EU:C:1997:401, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).

113    Più specificamente, ogni domanda di risarcimento di un danno, materiale o morale che sia, a titolo simbolico o per l’ottenimento di un vero e proprio indennizzo, deve precisare la natura del danno lamentato rispetto al comportamento contestato e, anche in maniera approssimativa, valutare l’insieme di tale danno (v. sentenza del 26 febbraio 2015, Sabbagh/Consiglio, T‑652/11, non pubblicata, EU:T:2015:112, punto 65 e giurisprudenza ivi citata).

114    La ricorrente, per il risarcimento del danno che la stessa qualifica come «morale», rinvia a un pregiudizio arrecato alla sua reputazione a causa dell’associazione del suo nome a una minaccia grave per la pace e per la sicurezza internazionali, la cui effettività è rivelata dal fatto che l’adozione degli atti controversi ha inciso sul comportamento dei terzi nei suoi confronti e la cui portata può essere misurata rispetto ai costi dell’investimento pubblicitario che la stessa dovrà effettuare per ripristinare detta immagine.

115    Il danno di cui la ricorrente chiede quindi il risarcimento, a titolo di danno morale, è di natura immateriale e corrisponde a un pregiudizio arrecato alla sua immagine o alla sua reputazione.

116    Orbene, dalla giurisprudenza resa sulla base dell’articolo 268 TFUE, letto in combinato disposto con l’articolo 340, secondo comma, TFUE, risulta che il danno morale può, in linea di principio, essere risarcito nei confronti di una persona giuridica (v., in tal senso, sentenze del 28 gennaio 1999, BAI/Commissione, T‑230/95, EU:T:1999:11, punto 37, e del 15 ottobre 2008, Camar/Commissione, T‑457/04 e T‑223/05, non pubblicata, EU:T:2008:439, punto 56 e giurisprudenza ivi citata) e che un tale danno può assumere la forma di un pregiudizio all’immagine o alla reputazione di tale persona (v. in tal senso, sentenze del 9 luglio 1999, New Europe Consulting e Brown/Commissione, T‑231/97, EU:T:1999:146, punti 53 e 69; dell’8 novembre 2011, Idromacchine e a./Commissione, T‑88/09, EU:T:2011:641, punti da 70 a 76, e del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punti da 80 a 85).

117    Nei limiti in cui il Consiglio intende far valere la giurisprudenza della Corte EDU, occorre rammentare che quest’ultima non esclude, alla luce della sua giurisprudenza e alla luce della suddetta prassi, che possa esservi, anche per una società commerciale, un danno diverso da un danno materiale che esiga un risarcimento pecuniario, dipendendo tale riparazione dalle circostanze di ciascun caso di specie (Corte EDU, 6 aprile 2000, Comingersoll S.A. c. Portogallo, CE:ECHR:2000:0406JUD003538297, §§ 32 e 35). Tale danno può comportare, per una siffatta società, elementi più o meno «oggettivi» e «soggettivi», tra i quali figura la reputazione dell’impresa, le cui conseguenze non si prestano a un calcolo esatto (Corte EDU, 6 aprile 2000, Comingersoll S.A. c. Portogallo, CE:ECHR:2000:0406JUD003538297, § 35). Come risulta dalla sentenza della Corte EDU del 2 febbraio 2016, Magyar Tartalomszolgáltatók Egyesülete e index.hu Zrt c. Ungheria (CE:ECHR:2016:0202JUD002294713, § 84), tale giurisprudenza della Corte EDU non è stata messa in discussione dalla sentenza della Corte EDU del 19 luglio 2011, Uj c. Ungheria (CE:ECHR:2011:0719JUD002395410), citata dal Consiglio, la quale ha soltanto specificato che il danno immateriale subito da una società era di natura commerciale piuttosto che morale.

118    Pertanto, occorre respingere sia gli argomenti della Commissione secondo cui il danno morale asseritamente subito dalla ricorrente sarebbe un danno materiale, sia gli argomenti del Consiglio secondo cui la ricorrente, in quanto società commerciale, non potrebbe ottenere un risarcimento per un danno morale corrispondente a un pregiudizio arrecato alla sua reputazione.

119    Per quanto riguarda l’effettività del danno morale asseritamente subito, si deve rammentare che, per quanto riguarda, in particolare, un simile danno, se la presentazione di prove o di offerte di prova non è necessariamente considerata una condizione per il riconoscimento di detto danno, incombe quantomeno alla parte ricorrente dimostrare che il comportamento contestato all’istituzione interessata era tale ad arrecarle un simile danno (v. sentenza del 16 ottobre 2014, Evropaïki Dynamiki/Commissione, T‑297/12, non pubblicata, EU:T:2014:888, punto 31 e giurisprudenza ivi citata; v. anche, in tal senso, sentenza del 28 gennaio 1999, BAI/Commissione, T‑230/95, EU:T:1999:11, punto 39).

120    Inoltre, se è pur vero che, nella sentenza del 28 maggio 2013, Abdulrahim/Consiglio e Commissione (C‑239/12 P, EU:C:2013:331), la Corte ha statuito che l’annullamento di misure restrittive illegittime può costituire una forma di riparazione del danno morale subito, ciò non comporta tuttavia che tale forma di riparazione sia necessariamente sufficiente, in tutti i casi, a garantire la riparazione integrale di tale danno, atteso che al riguardo ogni decisione deve essere adottata sulla base di una valutazione delle circostanze del caso di specie (v., in tal senso, sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, C‑45/15 P, EU:C:2017:402, punto 49).

121    Nel caso di specie, i soli elementi di prova ricevibili prodotti dalla ricorrente non permettono tuttavia di accertare che il riconoscimento dell’illegittimità del comportamento addebitato al Consiglio e l’annullamento degli atti controversi non sarebbero stati sufficienti, di per sé, a risarcire il danno morale asseritamente subito a causa del pregiudizio arrecato alla sua reputazione da parte degli atti controversi.

122    Di conseguenza, e senza che sia necessario esaminare la condizione relativa all’esistenza di un nesso di causalità, occorre respingere la domanda di risarcimento del danno morale formulata dalla ricorrente e, pertanto, il ricorso nella sua integralità.

 Sulle spese

123    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. La ricorrente, essendo rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese, conformemente alle conclusioni del Consiglio.

124    Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, le spese sostenute dalle istituzioni intervenute nella causa restano a loro carico. Pertanto, la Commissione sopporterà le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Prima Sezione ampliata)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Post Bank Iran sopporterà le proprie spese nonché quelle sostenute dal Consiglio dell’Unione europea.

3)      La Commissione europea sopporterà le proprie spese.

Pelikánová

Valančius

Nihoul

Svenningsen

 

Öberg

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 13 dicembre 2018.

Firme


*      Lingua processuale: l’inglese.