Language of document : ECLI:EU:C:2018:801

Causa C652/16

Nigyar Rauf Kaza Ahmedbekova e Rauf Emin Ogla Ahmedbekov

contro

Zamestnik-predsedatel na Darzhavna agentsia za bezhantsite

(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Administrativen sad Sofia-grad)

«Rinvio pregiudiziale – Politica comune in materia di asilo e di protezione sussidiaria – Norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale – Direttiva 2011/95/UE – Articoli 3, 4, 10 e 23 – Domande di protezione internazionale presentate separatamente da membri di una stessa famiglia – Esame su base individuale – Presa in considerazione delle minacce incombenti su un familiare nell’ambito dell’esame su base individuale della domanda di un altro familiare – Disposizioni più favorevoli che possono essere mantenute o adottate dagli Stati membri al fine di estendere l’asilo o la protezione sussidiaria ai familiari del beneficiario di protezione internazionale – Valutazione dei motivi di persecuzione – Partecipazione di un cittadino azero alla proposizione di un ricorso contro il suo paese dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo – Norme comuni di procedura – Direttiva 2013/32/UE – Articolo 46 – Diritto a un ricorso effettivo – Esame completo ed ex nunc – Motivi di persecuzione o elementi di fatto taciuti dinanzi all’autorità accertante ma dedotti nell’ambito del ricorso proposto avverso la decisione adottata da tale autorità»

Massime – Sentenza della Corte (Seconda Sezione) del 4 ottobre 2018

1.        Controlli alle frontiere, asilo e immigrazione – Politica d’asilo – Status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria – Direttiva 2011/95 – Procedura di esame di una domanda di protezione internazionale – Esame dei fatti e delle circostanze – Presa in considerazione delle minacce di persecuzione e di danni gravi incombenti su un familiare del richiedente

(Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2011/95, art. 4)

2.        Controlli alle frontiere, asilo e immigrazione – Politica d’asilo – Status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria – Direttiva 2011/95 – Procedure ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale – Direttiva 2013/32 – Procedura di esame di una domanda di protezione internazionale – Domande presentate separatamente da membri di una stessa famiglia – Modalità di trattazione Valutazione congiunta delle domande – Inammissibilità – Sospensione della valutazione di una delle domande fino alla chiusura della procedura relativa a un’altra domanda – Inammissibilità

(Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2011/95, artt. 4, § 3, e 23, § 1; direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2013/32, art. 31, § 2)

3.        Controlli alle frontiere, asilo e immigrazione – Politica d’asilo – Status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria – Direttiva 2011/95 – Norme più favorevoli – Normativa nazionale che consente di estendere lo status di rifugiato o di protezione sussidiaria ai familiari di una persona beneficiaria di tale status – Ammissibilità – Presupposti

(Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2011/95, art. 3)

4.        Controlli alle frontiere, asilo e immigrazione – Politica d’asilo – Procedure ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale – Direttiva 2013/32 – Procedura di esame di una domanda di protezione internazionale – Domanda che può essere considerata inammissibile dagli Stati membri – Domanda presentata da una persona per sé e per suo figlio e fondata sull’esistenza di un legame familiare con un’altra persona, che abbia separatamente presentato una domanda – Esclusione

[Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2013/32, art. 33, § 2, e)]

5.        Controlli alle frontiere, asilo e immigrazione – Politica d’asilo – Status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria – Direttiva 2011/95 – Requisiti per la concessione dello status di rifugiato – Rischio di subire persecuzioni – Motivi di persecuzione – Valutazione – Nozione di appartenenza a un determinato gruppo sociale – Persona che ha partecipato alla proposizione di un ricorso contro il suo paese d’origine dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo – Esclusione – Nozione di opinione politica – Partecipazione alla proposizione di tale ricorso – Inclusione – Presupposti

[Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2011/95, art. 10, § 1, d) ed e)]

6.        Controlli alle frontiere, asilo e immigrazione – Politica d’asilo – Procedure ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale – Direttiva 2013/32 – Ricorso avverso la decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale – Diritto a un ricorso effettivo – Obbligo di esaminare gli elementi di fatto e di diritto – Portata – Obbligo di esaminare i motivi di concessione della protezione internazionale o gli elementi di fatto dedotti per la prima volta nell’ambito di detto ricorso – Presupposti

(Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2013/32, artt. 40, § 1, e 46, § 3)

1.      L’articolo 4 della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, deve essere interpretato nel senso che, nell’ambito dell’esame su base individuale di una domanda di protezione internazionale, si deve tener conto delle minacce di persecuzione e di danni gravi incombenti su un familiare del richiedente, al fine di determinare se quest’ultimo, a causa del legame familiare con detta persona minacciata, sia a sua volta esposto a siffatte minacce.

Dal regime di riconoscimento dello status uniforme in materia di asilo o di protezione sussidiaria stabilito dal legislatore dell’Unione discende, quindi, che l’esame della domanda di protezione internazionale, richiesto dall’articolo 4 della direttiva 2011/95, mira a determinare se il richiedente – o, eventualmente, la persona a nome della quale questi presenta la domanda – abbia il timore fondato di essere personalmente perseguitato o corra personalmente un rischio effettivo di danni gravi. Sebbene risulti da quanto precede che una domanda di protezione internazionale non può essere accolta, in quanto tale, per il motivo che un familiare del richiedente ha un timore fondato di persecuzione o corre un rischio effettivo di danni gravi, occorre per contro, com’è stato esposto dall’avvocato generale al paragrafo 32 delle sue conclusioni, tener conto di siffatte minacce incombenti su un familiare del richiedente al fine di determinare se il richiedente, a causa del legame familiare con detta persona minacciata, sia a sua volta esposto a minacce di persecuzione o di danni gravi. A tale riguardo, e come sottolineato nel considerando 36 della direttiva 2011/95, i familiari di una persona minacciata rischiano di norma di trovarsi anch’essi in una situazione vulnerabile.

(v. punti 49‑51, dispositivo 1)

2.      La direttiva 2011/95 e la direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, devono essere interpretate nel senso che non ostano a che le domande di protezione internazionale presentate separatamente da membri di una stessa famiglia siano oggetto di misure volte a gestire un’eventuale connessione, ma ostano a che tali domande siano oggetto di una valutazione congiunta. Esse ostano altresì a che la valutazione di una di dette domande sia sospesa fino alla chiusura della procedura d’esame relativa a un’altra di tali domande.

Le direttive 2011/95 e 2013/32 non precisano come debba essere gestita l’eventuale connessione tra siffatte domande di protezione internazionale, che possono vertere parzialmente su fatti o circostanze identiche. In assenza di disposizioni specifiche, gli Stati membri hanno un margine di discrezionalità a tale riguardo. Ciò posto, occorre ricordare, in primo luogo, che l’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2011/95 richiede un esame su base individuale di ogni domanda, in secondo luogo, che, ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 1, di tale direttiva, gli Stati membri provvedono a che possa essere preservata l’unità del nucleo familiare e, in terzo luogo, che l’articolo 31, paragrafo 2, della direttiva 2013/32 prevede che gli Stati membri provvedono affinché l’autorità accertante conduca e porti a termine, quanto prima possibile, un esame adeguato e completo.

Dai requisiti di un esame su base individuale e di un esame completo delle domande di protezione internazionale risulta che le domande presentate separatamente da membri di una stessa famiglia, sebbene possano essere soggette a misure volte a gestire un’eventuale connessione, devono essere oggetto di un esame della situazione di ciascuna persona interessata. Di conseguenza, tali domande non possono essere oggetto di una valutazione congiunta.

Dall’altro lato, alla luce della norma di cui all’articolo 31, paragrafo 2, della direttiva 2013/32 secondo cui l’esame di una domanda di protezione internazionale deve essere espletato quanto prima possibile, nonché dello scopo di tale direttiva che consiste nel garantire che le domande di protezione internazionale siano trattate quanto prima possibile (sentenza del 25 luglio 2018, Alheto, C‑585/16, EU:C:2018:584, punto 109), l’esame della domanda di un membro della famiglia non dovrebbe dar luogo a una sospensione dell’esame della domanda di un altro membro di detta famiglia tale da far sì che quest’ultimo esame possa iniziare solo nel momento in cui la procedura di esame relativa alla domanda precedente sia già chiusa tramite l’adozione di una decisione dell’autorità accertante. Al contrario, per realizzare l’obiettivo di celerità e per facilitare il mantenimento dell’unità del nucleo familiare, occorre che le decisioni sulle domande provenienti dai membri di una stessa famiglia e che presentino una connessione siano adottate in un intervallo di tempo ravvicinato.

(v. punti 56‑58, 60, 65, dispositivo 2)

3.      L’articolo 3 della direttiva 2011/95 deve essere interpretato nel senso che consente a uno Stato membro, in caso di riconoscimento, in forza del sistema istituito da tale direttiva, della protezione internazionale a un membro di una famiglia, di prevedere l’estensione del beneficio di tale protezione ad altri membri di detta famiglia, purché questi ultimi non rientrino in una causa di esclusione di cui all’articolo 12 della stessa direttiva e la loro situazione presenti, a motivo dell’esigenza di mantenimento dell’unità del nucleo familiare, un nesso con la logica della protezione internazionale.

La Corte ha già rilevato che la precisazione contenuta in detto articolo 3, secondo cui una disposizione più favorevole deve essere compatibile con la direttiva 2011/95, significa che tale disposizione non deve compromettere l’economia generale o gli obiettivi di detta direttiva. Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 58 delle sue conclusioni, il riconoscimento automatico, in forza del diritto nazionale, dello status di rifugiato a familiari di una persona alla quale tale status è stato conferito in forza del sistema istituito dalla direttiva 2011/95, non è, a priori, privo di qualsiasi nesso con la logica della protezione internazionale.

(v. punti 71, 72, 74, dispositivo 3)

4.      Il motivo di inammissibilità enunciato all’articolo 33, paragrafo 2, lettera e), della direttiva 2013/32 non riguarda una situazione, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, nella quale una persona maggiorenne presenta, per sé e per suo figlio minore, una domanda di protezione internazionale fondata, in particolare, sull’esistenza di un legame familiare con un’altra persona, che ha separatamente presentato una domanda di protezione internazionale.

Il motivo di inammissibilità enunciato all’articolo 33, paragrafo 2, lettera e), della direttiva 2013/32 concerne la situazione specifica nella quale una persona che è a carico di un’altra persona acconsente previamente, conformemente all’articolo 7, paragrafo 2, di tale direttiva, a che una domanda di protezione internazionale sia presentata per proprio conto, e presenta poi essa stessa una domanda di protezione internazionale.

(v. punti 77, 81, dispositivo 4)

5.      La partecipazione del richiedente protezione internazionale alla proposizione di un ricorso contro il suo paese d’origine dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo non può in linea di principio essere considerata, nell’ambito della valutazione dei motivi di persecuzione contemplata all’articolo 10 della direttiva 2011/95, come prova dell’appartenenza di tale richiedente a un «determinato gruppo sociale», ai sensi del paragrafo 1, lettera d), di tale articolo, ma deve essere considerata come un motivo di persecuzione per «opinione politica», ai sensi del paragrafo 1, lettera e), del medesimo articolo, se sussistono fondati motivi di temere che la partecipazione alla proposizione di tale ricorso sia percepita da detto paese come un atto di dissidenza politica contro il quale esso potrebbe prevedere di esercitare rappresaglie.

A tale riguardo, si deve rilevare che l’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2011/95 deve essere letto in combinato disposto con il paragrafo 2 del medesimo articolo. Ai sensi di tale paragrafo 2, nell’esaminare se un richiedente abbia un timore fondato di essere perseguitato, è irrilevante il fatto che questi possegga effettivamente le caratteristiche razziali, religiose, nazionali, sociali o politiche che provocano gli atti di persecuzione, purché una siffatta caratteristica gli venga attribuita dall’autore delle persecuzioni.

Pertanto, indipendentemente dalla questione se la partecipazione di un cittadino dell’Azerbaigian alla proposizione di un ricorso contro tale paese dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, al fine di far constatare una violazione delle libertà fondamentali da parte del regime che ivi è al potere, traduca un’«opinione politica» da parte di tale cittadino, occorre esaminare, nell’ambito della valutazione dei motivi di persecuzione invocati nella domanda di protezione internazionale presentata da detto cittadino, se sussistano fondati motivi di temere che tale partecipazione sia percepita da detto regime come un atto di dissidenza politica contro il quale esso potrebbe prevedere di esercitare rappresaglie. Qualora sussistano fondati motivi di temere che ciò si verifichi, si deve giungere alla conclusione che il richiedente subisce una minaccia grave e provata di persecuzione a causa della manifestazione, da parte sua, delle sue opinioni sulle politiche e i metodi del suo paese d’origine. Come deriva dalla formulazione stessa dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/95, la nozione di «opinione politica» figurante in tale disposizione ricomprende una siffatta situazione.

Per contro, il gruppo di persone di cui il richiedente protezione internazionale fa, eventualmente, parte nel momento in cui partecipa alla proposizione di un ricorso dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, non può in linea di principio essere qualificato come «gruppo sociale» ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2011/95. Infatti, affinché possa essere constatata l’esistenza di un «gruppo sociale», ai sensi di tale disposizione, devono essere soddisfatte due condizioni cumulative. Da un lato, i membri del gruppo devono condividere una «caratteristica innata» o una «storia comune che non può essere mutata», o ancora una caratteristica o una fede «così fondamentale per l’identità o la coscienza che una persona non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi». Dall’altro lato, tale gruppo deve avere un’identità propria nel paese terzo di cui trattasi, perché vi è percepito come «diverso» dalla società circostante (sentenza del 7 novembre 2013, X e a., C‑199/12 a C‑201/12, EU:C:2013:720, punto 45).

(v. punti 85‑90, dispositivo 5)

6.      L’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letto in combinato disposto con il riferimento al procedimento di ricorso contenuto all’articolo 40, paragrafo 1, di tale direttiva, deve essere interpretato nel senso che il giudice investito di un ricorso contro una decisione di diniego di protezione internazionale è in linea di principio tenuto a valutare, a titolo di «ulteriori dichiarazioni» e dopo aver richiesto un esame di queste ultime da parte dell’autorità accertante, i motivi di riconoscimento della protezione internazionale o gli elementi di fatto che, pur essendo relativi ad eventi o a minacce asseritamente verificatisi prima dell’adozione di detta decisione di diniego o addirittura prima della presentazione della domanda di protezione internazionale, sono per la prima volta dedotti durante il procedimento di ricorso. Tale giudice non vi è, per contro, tenuto se constata che tali motivi o detti elementi sono stati dedotti in una fase tardiva del procedimento di ricorso o non sono presentati in maniera sufficientemente concreta per poter essere debitamente esaminati, o ancora, qualora si tratti di elementi di fatto, se esso constata che questi ultimi non sono significativi o non sono sufficientemente distinti dagli elementi di cui l’autorità accertante ha già potuto tenere conto.

Se è vero che dall’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32 risulta, quindi, che gli Stati membri sono tenuti ad adattare il loro diritto nazionale in modo tale che il trattamento dei ricorsi in questione preveda un esame, da parte del giudice, di tutti gli elementi di fatto e di diritto che gli consentano di procedere a una valutazione aggiornata del caso di specie (sentenza del 25 luglio 2018, Alheto, C‑585/16, EU:C:2018:584, punto 110), da ciò non deriva, per contro, che il richiedente protezione internazionale possa, senza esporsi a un esame complementare da parte dell’autorità accertante, modificare la causa della sua domanda e, così, le circostanze del caso di specie invocando, durante il procedimento di ricorso, un motivo di protezione internazionale che, pur essendo relativo ad eventi o a minacce asseritamente verificatisi prima dell’adozione della decisione di tale autorità, o addirittura prima della presentazione della domanda, è stato taciuto dinanzi a detta autorità. Occorre altresì ricordare che l’esame della domanda di protezione internazionale da parte dell’autorità accertante, che è un organo amministrativo o quasi giurisdizionale dotato di mezzi specifici e di personale specializzato in materia, costituisce una fase essenziale delle procedure comuni istituite dalla direttiva 2013/32, e che il diritto del richiedente di ottenere un esame completo ed ex nunc dinanzi a un giudice, riconosciuto dall’articolo 46, paragrafo 3, di tale direttiva, non può essere interpretato in un senso che attenui l’obbligo per il richiedente in questione di cooperare con tale autorità (v., in tal senso, sentenza del 25 luglio 2018, Alheto, C‑585/16, EU:C:2018:584, punto 116). Tale fase essenziale dinanzi all’autorità accertante sarebbe elusa se, senza la minima conseguenza procedurale, al richiedente fosse consentito, al fine di far annullare o sostituire dal giudice la decisione di diniego adottata da tale autorità, dedurre un motivo di protezione internazionale che, pur essendo relativo ad eventi o a minacce asseritamente già esistenti, non è stato invocato dinanzi a detta autorità e che quest’ultima non ha quindi potuto esaminare.

Di conseguenza, quando uno dei motivi di protezione internazionale menzionati al punto 95 della presente sentenza è invocato per la prima volta durante il procedimento di ricorso ed è relativo ad eventi o a minacce asseritamente verificatisi prima dell’adozione di tale decisione, o addirittura prima della presentazione della domanda di protezione internazionale, tale motivo deve essere qualificato come «ulteriore dichiarazione», ai sensi dell’articolo 40, paragrafo 1, della direttiva 2013/32. Come discende da tale disposizione, l’effetto di una siffatta qualifica è che il giudice investito del ricorso è tenuto ad esaminare tale motivo nell’ambito dell’esame della decisione oggetto del ricorso, purché tuttavia ciascuna delle «autorità competenti», che comprendono non soltanto tale giudice ma anche l’autorità accertante, abbia la possibilità esaminare, in tale contesto, detta ulteriore dichiarazione.

Al fine di determinare se, esso stesso, abbia la possibilità esaminare l’ulteriore dichiarazione nell’ambito del ricorso, spetta a detto giudice verificare, in forza delle norme di procedura giudiziaria previste dal suo diritto nazionale, se il motivo di protezione internazionale invocato per la prima volta dinanzi ad esso lo sia stato in una fase non tardiva del procedimento di ricorso e sia stato presentato in maniera sufficientemente concreta per poter essere debitamente esaminato. Sempre che da tale verifica derivi che il giudice ha la possibilità d’includere tale motivo nella sua valutazione del ricorso, spetta allo stesso richiedere, da parte dell’autorità accertante e ciò entro un termine che sia conforme all’obiettivo di celerità perseguito dalla direttiva 2013/32 (v., a tale riguardo, sentenza del 25 luglio 2018, Alheto, C‑585/16, EU:C:2018:584, punto 109), un esame di detto motivo, il cui risultato e le cui ragioni fondanti dovranno essere comunicati al richiedente e al giudice prima che quest’ultimo proceda all’audizione del richiedente e valuti il caso.

(v. punti 94, 96‑101, 103, dispositivo 6)