Language of document : ECLI:EU:T:2011:68

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

3 marzo 2011 (*)

«Concorrenza – Intese – Mercato dei progetti relativi ad apparecchiature di comando con isolamento in gas – Decisione che constata un’infrazione all’art. 81 CE e all’art. 53 dell’accordo SEE – Ripartizione del mercato – Effetti all’interno del mercato comune – Nozione di infrazione continuata – Durata dell’infrazione – Prescrizione – Ammende – Proporzionalità – Circostanze aggravanti – Ruolo di impresa leader – Circostanze attenuanti – Cooperazione»

Nella causa T‑110/07,

Siemens AG, con sede in Berlino (Germania) e Monaco di Baviera (Germania), rappresentata inizialmente dagli avv.ti I. Brinker, T. Loest, e C. Steinle, successivamente dagli avv.ti Brinker e Steinle,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata inizialmente dai sigg. F. Arbault e O. Weber, successivamente dai sigg. X. Lewis e R. Sauer, e infine dal sig. Sauer e dalla sig.ra A. Antoniadis, in qualità di agenti,

convenuta,

avente ad oggetto, in via principale, una domanda di annullamento parziale della decisione della Commissione 24 gennaio 2007, C (2006) 6762 def., relativa ad un procedimento ai sensi dell’articolo 81 [CE] e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (caso COMP/F/38.899 – Apparecchiature di comando con isolamento in gas), nonché, in subordine, una domanda di riduzione dell’ammenda inflitta alla ricorrente,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione),

composto dalle sig.re I. Pelikánová (relatore), presidente, K. Jürimäe e dal sig. S. Soldevila Fragoso, giudici,

cancelliere: sig.ra K. Andová, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 16 dicembre 2009,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        La ricorrente, Siemens AG, è una società quotata in borsa che opera nel settore dell’ingegneria elettrica e dell’elettronica. Essa ha sede a Berlino e a Monaco di Baviera (Germania).

2        Le apparecchiature di comando con isolamento in gas (in prosieguo: le «GIS») servono a controllare il flusso di energia nelle reti elettriche. Si tratta di apparecchiature elettriche pesanti, utilizzate come componente principale nelle sottostazioni elettriche «chiavi in mano». Le sottostazioni sono stazioni elettriche ausiliarie che convertono la corrente elettrica. Oltre al trasformatore, sono elementi costitutivi delle sottostazioni i sistemi di controllo, i relè, le batterie, i caricabatteria e le apparecchiature di comando. La funzione di un’apparecchiatura di comando è di proteggere il trasformatore da sovraccarichi e/o di isolare il circuito e un trasformatore in caso di guasto.

3        L’isolamento delle apparecchiature di comando può essere ottenuto mediante l’impiego di gas, di aria o attraverso una combinazione di entrambi. Le GIS sono vendute in tutto il mondo come parti integranti di sottostazioni elettriche «chiavi in mano» o come apparecchiature separate da integrare in dette sottostazioni. Esse rappresentano circa il 30‑60% del prezzo totale di tali sottostazioni.

4        Il 3 marzo 2004 la società ABB Ltd denunciava alla Commissione l’esistenza di pratiche anticoncorrenziali nel settore delle GIS e presentava una richiesta orale di immunità dalle ammende ai sensi della comunicazione della Commissione, del 19 febbraio 2002, relativa all’immunità dalle ammende e alla riduzione dell’importo delle ammende nei casi di cartelli tra imprese (GU 2002, C 45, pag. 3; in prosieguo: la «comunicazione sulla cooperazione»).

5        Le pratiche denunciate dalla ABB consistevano in un coordinamento a livello mondiale della vendita di progetti di GIS che implicava la ripartizione dei mercati, l’attribuzione di quote di mercato e il mantenimento delle stesse, l’assegnazione di progetti di GIS a produttori prestabiliti e la manipolazione delle procedure di gara («bid ridding») per garantire che i contratti fossero aggiudicati a tali produttori, la fissazione dei prezzi mediante complessi accordi sui progetti di GIS che non erano assegnati, la risoluzione dei contratti di licenza stipulati con società non appartenenti all’intesa [in prosieguo, anche: il «cartello»] e lo scambio di informazioni commerciali sensibili.

6        La richiesta orale di immunità dalle ammende presentata dalla ABB veniva integrata con osservazioni orali e prove documentali. Il 25 aprile 2004 la Commissione concedeva alla ABB un’immunità condizionale.

7        Sulla base delle dichiarazioni della ABB la Commissione avviava un’indagine e, in data 11 e 12 maggio 2004, svolgeva accertamenti presso le sedi della Areva T&D SA, della Siemens AG, del gruppo VA Tech, della Hitachi Ltd e della Japan AE Power Systems Corp (in prosieguo: la «JAEPS»).

8        Il 20 aprile 2006 la Commissione emanava una comunicazione degli addebiti che veniva notificata a 20 società, tra le quali la Siemens.

9        La Commissione procedeva ad un’audizione il 18 e il 19 luglio 2006.

10      Il 24 gennaio 2007 la Commissione adottava la decisione C (2006) 6762 def., relativa ad un procedimento ai sensi dell’articolo 81 [CE] e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (caso COMP/F/38.899 – Apparecchiature di comando con isolamento in gas) (in prosieguo: la «decisione impugnata»). La decisione veniva notificata alla Siemens l’8 febbraio 2007.

11      Oltre che alla Siemens, la decisione impugnata veniva inviata alle società ABB, Alstom SA, Areva SA, Areva T&D AG, Areva T&D Holding SA e Areva T&D SA, Fuji Electric Holdings Co., Ltd e Fuji Electric Systems Co., Ltd (in prosieguo, congiuntamente: la «Fuji»), Hitachi Ltd e Hitachi Europa Ltd (in prosieguo, congiuntamente: la «Hitachi»), JAEPS, Mitsubishi Electric System Corp. (in prosieguo: la «Melco»), Nuova Magrini Galileo SpA, Schneider Electric SA, Siemens AG Österreich, Siemens Transmission & Distribution Ltd (in prosieguo: la «Reyrolle»), Siemens Transmission & Distribution SA, Toshiba Corp. e VA Tech Transmission & Distribution GmbH & Co. KEG.

12      Ai punti 113‑123 della decisione impugnata, la Commissione ha affermato che le varie imprese aderenti all’intesa avevano coordinato l’assegnazione dei progetti di GIS a livello mondiale, ad eccezione di taluni mercati, in base a regole concordate, volte segnatamente a rispettare quote che riflettevano in buona sostanza il valore delle loro quote di mercato storiche. Essa ha precisato che l’attribuzione dei progetti di GIS era effettuata sulla base di una quota globale «giapponese» e di una quota globale «europea», le quali dovevano essere successivamente ripartite, rispettivamente, tra i produttori giapponesi e tra quelli europei. Un accordo firmato a Vienna il 15 aprile 1988 (in prosieguo: l’«accordo GQ») stabiliva norme che consentivano di assegnare i progetti di GIS ora ai produttori giapponesi, ora ai produttori europei, e di imputare il loro valore alla rispettiva quota.

13      Ai punti 124‑132 della decisione impugnata, poi, la Commissione ha precisato che le varie imprese aderenti al cartello avevano raggiunto un accordo orale (in prosieguo: l’«intesa comune») in base al quale i progetti di GIS in Giappone, da un lato, e nei territori dei membri europei dell’intesa, dall’altro – definiti congiuntamente i «paesi d’origine» dei progetti di GIS – erano riservati, rispettivamente, ai membri giapponesi e ai membri europei del cartello. I progetti di GIS nei «paesi d’origine» non costituivano oggetto di scambi di informazioni tra i due gruppi e non erano imputati alle rispettive quote. L’accordo GQ prevedeva altresì norme per lo scambio delle informazioni necessarie al funzionamento dell’intesa tra i due gruppi di produttori, il quale era assicurato in particolare dai segretari di ciascun gruppo, per la manipolazione delle procedure di gara e per la fissazione dei prezzi dei progetti di GIS che non potevano essere assegnati. A termini del suo allegato 2, l’accordo GQ si applicava al mondo intero, eccezion fatta per Stati Uniti, Canada, Giappone e 17 paesi dell’Europa occidentale. Inoltre, in forza dell’intesa comune, i progetti di GIS nei paesi europei diversi dai «paesi d’origine» erano parimenti riservati al gruppo europeo, mentre i produttori giapponesi si impegnavano a non presentare offerte per i progetti di GIS in Europa.

14      Secondo la Commissione, la ripartizione dei progetti di GIS tra i produttori europei era disciplinata da un accordo firmato anch’esso a Vienna il 15 aprile 1988, intitolato «E-Group Operation Agreement for GQ-Agreement» (Accordo operativo del gruppo E ai fini dell’accordo GQ) (in prosieguo: l’«accordo EQ»). L’assegnazione dei progetti di GIS in Europa seguiva le stesse regole e procedure applicabili all’assegnazione dei progetti di GIS in altri paesi. In particolare, anche i progetti di GIS in Europa dovevano essere notificati, elencati, ripartiti, gestiti oppure attribuiti ad un prezzo minimo.

15      Al punto 142 della decisione impugnata, la Commissione ha constatato che, nell’accordo GQ e nell’accordo EQ, nonché ai fini dell’organizzazione e del funzionamento dell’intesa, i singoli membri dell’intesa erano identificati da un codice, composto da cifre per i membri europei e da lettere per quelli giapponesi. I codici originali sono stati sostituiti da numeri a partire da luglio 2002.

16      All’art. 1, lett. o), della decisione impugnata, la Commissione ha constatato che la Siemens ha partecipato all’infrazione dal 15 aprile 1988 al 1° settembre 1999 e dal 26 marzo 2002 all’11 maggio 2004.

17      Per l’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata alla Siemens è stata inflitta, all’art. 2, lett. m), della citata decisione, un’ammenda di importo pari a EUR 396 562 500.

 Procedimento e conclusioni delle parti

18      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 16 aprile 2007 la Siemens ha proposto il presente ricorso.

19      Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Seconda Sezione) ha deciso di avviare la fase orale del procedimento.

20      Nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento previste all’art. 64 del suo regolamento di procedura, il Tribunale ha invitato le parti a rispondere a quesiti scritti. Le parti hanno ottemperato a detta richiesta nei termini impartiti.

21      Le parti hanno svolto le loro difese e risposto ai quesiti orali del Tribunale all’udienza che ha avuto luogo il 16 dicembre 2009.

22      La Siemens chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata nella parte in cui la riguarda;

–        in via subordinata, ridurre l’importo dell’ammenda inflittale;

–        condannare la Commissione alle spese.

23      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la Siemens alle spese.

 In diritto

24      A sostegno del suo ricorso di annullamento la Siemens invoca tre motivi vertenti, rispettivamente, su una violazione dell’art. 81, n. 1, CE e dell’art. 53 dell’accordo sullo Spazio economico europeo (in prosieguo: l’«accordo SEE»), su una violazione dell’art. 25 del regolamento (CE) del Consiglio 16 dicembre 2002, n. 1/2003, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 [CE] e 82 [CE] (GU 2003, L 1, pag. 1), e su errori di diritto nel calcolo dell’importo dell’ammenda.

I –  Sul primo motivo, vertente sulla violazione dell’art. 81, n. 1, CE e dell’art. 53, n. 1, dell’accordo SEE

25      Il primo motivo si articola in due capi. Nell’ambito del primo capo la Siemens lamenta una «insufficiente descrizione delle violazioni imputate»; nell’ambito del secondo, invoca un’«analisi scorretta dei supposti accordi e dei loro effetti sul mercato comune».

A –  Sul primo capo del primo motivo, concernente un’«insufficiente descrizione delle violazioni imputate»

1.     Argomenti delle parti

26      La Siemens ritiene che la Commissione non abbia descritto con precisione né abbia dimostrato adeguatamente la violazione che le imputa. In sostanza, detta istituzione, in primo luogo, non avrebbe provato che i comportamenti censurati integrassero un’unica violazione continuata; in secondo luogo, avrebbe omesso di illustrare gli effetti concreti dell’intesa sul mercato comune e, in terzo luogo, non avrebbe dimostrato la sua complessiva intenzione di partecipare, in due riprese, alla medesima infrazione.

27      Secondo la Commissione, tale motivo non è sufficientemente dimostrato e dovrebbe pertanto essere respinto. Peraltro, le allegazioni della Siemens sarebbero infondate.

2.     Giudizio del Tribunale

28      Occorre constatare che il primo capo del primo motivo contiene unicamente censure che o sono sollevate anche in altre parti del ricorso o devono comunque essere esaminate contestualmente all’esame di altri motivi fatti valere dalla Siemens sempre con riferimento all’art. 1 della decisione impugnata, che constata l’infrazione addebitata. Infatti, la censura relativa all’omessa dimostrazione della continuità dei comportamenti censurati è dedotta altresì nell’ambito del secondo capo del secondo motivo e quella attinente all’intenzione complessiva della Siemens di partecipare alla suddetta infrazione deve essere trattata parimenti in tale contesto. Allo stesso modo, la censura che verte sulla mancata illustrazione degli effetti concreti dell’intesa sul mercato comune è allegata pure, in maniera ben più dettagliata, nell’ambito del secondo capo del primo motivo. Risulta quindi evidente che il presente capo non ha carattere autonomo.

29      Conseguentemente, non occorre statuire sul primo capo del primo motivo.

B –  Sul secondo capo del primo motivo, concernente un’«analisi scorretta dei supposti accordi e dei loro effetti sul mercato comune»

30      Nell’ambito del secondo capo del primo motivo la Siemens solleva tre censure vertenti, rispettivamente, sull’assenza di un’intesa che abbia sortito effetti all’interno del SEE, sull’assenza di una ripartizione geografica dei mercati tra i produttori giapponesi e quelli europei e sull’assenza di una tutela dei «paesi d’origine».

31      Tali tre censure sono strettamente connesse. Da un lato, infatti, la seconda e la terza si riferiscono a constatazioni della Commissione che, qualora rispondano a vero, dimostrano l’esistenza di un’intesa che ha avuto effetti nel SEE, ossia dimostrano l’oggetto della prima censura. Dall’altro, le tre censure sono collegate ugualmente dal fatto che vertono tutte sugli stessi elementi di prova invocati dalla Commissione. Appare quindi opportuno esaminarle congiuntamente.

1.     Argomenti delle parti

32      Per quanto riguarda la prima fase della sua partecipazione, corrispondente al periodo 1988‑1999, la Siemens fa valere che l’infrazione che le è addebitata non è sufficientemente dimostrata nella decisione impugnata. In particolare, la Commissione avrebbe ingiustamente considerato che l’accordo GQ e l’accordo EQ provano un’infrazione che ha avuto effetti all’interno del SEE, mentre tale spazio sarebbe stato espressamente escluso dall’ambito di applicazione di detti accordi. Una tale infrazione non sarebbe dimostrata neppure dagli altri elementi di prova addotti dalla Commissione.

33      Secondo la Siemens, la Commissione non ha dimostrato che, nell’ambito dell’intesa comune, i produttori europei e quelli giapponesi avessero deciso di non intervenire gli uni sui mercati degli altri. Una tale ripartizione geografica dei mercati non sarebbe dimostrata né dall’esclusione esplicita dall’ambito di applicazione dell’accordo GQ di 17 Stati europei né dall’asserita imputazione dei progetti di GIS in Europa alla quota globale e neppure dalle dichiarazioni della Hitachi o della Fuji invocate dalla Commissione. Al contrario, i partecipanti all’accordo GQ si sarebbero astenuti dal commercializzare i propri prodotti in determinati mercati europei esclusivamente a ragione di difficoltà tecniche ed economiche di accesso a tali mercati.

34      La Siemens contesta sia l’esistenza di una ripartizione geografica dei mercati europei conformemente al principio dei «paesi d’origine» ovvero dei «mercati locali», sia la sua adesione ai supposti «precedenti accordi in Europa» invocati dalla Commissione per corroborare la tesi di una ripartizione dei mercati all’interno del SEE. Le prove presentate dalla Commissione al riguardo sarebbero insufficienti. Infine, l’assenza di attività di determinati produttori su taluni mercati nazionali si spiegherebbe altrimenti che con l’esistenza di un’intesa illecita.

35      La Commissione contesta le argomentazioni della Siemens.

2.     Giudizio del Tribunale

36      Si deve osservare, in limine, che nelle sue memorie la Siemens ammette espressamente i fatti, così come esposti nella decisione impugnata, relativi alla seconda fase della sua partecipazione all’infrazione, compresa tra il 2002 e il 2004. Il primo motivo sollevato dalla Siemens verte, dunque, unicamente sulla prima fase della sua partecipazione all’infrazione, corrispondente al periodo 1988‑1999. Di conseguenza, gli elementi di prova sui quali la Commissione si fonda devono essere esaminati nell’ambito del presente capo del primo motivo solo nella misura in cui si riferiscono a quest’ultimo periodo ovvero permettono di trarre conclusioni al riguardo.

37      Ebbene, si deve respingere l’argomento della Commissione secondo il quale sarebbe legittimo proiettare le osservazioni relative al periodo 2002‑2004 al periodo anteriore, poiché si tratterebbe di un’infrazione continuata. Infatti, senza che occorra, in tale fase, pronunciarsi sull’esistenza di un’infrazione unica che inglobi entrambi i periodi della partecipazione della Siemens al cartello, occorre valutare caso per caso se e come elementi di prova relativi ad un dato periodo dell’infrazione possono fornire indicazioni valide altresì per un’altra fase della partecipazione all’infrazione.

38      Peraltro, la tesi della Commissione secondo cui la Siemens si limita a contestare l’impatto dell’intesa sulla concorrenza nel SEE, mentre nella decisione impugnata essa le imputa di aver concluso un’intesa finalizzata a falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune, non può condurre a limitare l’esame dei fatti addebitati alla Siemens. Infatti, risulta dalle argomentazioni complessivamente svolte dalla Siemens nelle sue memorie che essa nega non soltanto che l’intesa censurata abbia avuto effetti all’interno del mercato comune e del SEE (esclusi Liechtenstein e Islanda), ma anche che fosse diretta a falsare la concorrenza in seno al mercato comune e al SEE.

39      Oggetto della controversia tra le parti è, dunque, in sostanza, se la Commissione abbia o meno dimostrato, per il periodo compreso tra il 1988 e il 1999, l’esistenza di un’intesa idonea a dispiegare effetti all’interno del mercato comune e del SEE.

40      Occorre pertanto stabilire se l’accordo GQ e l’accordo EQ, in quanto prove documentali, provino l’esistenza di un’intesa che ha potuto incidere sul mercato comune e sul SEE. Al riguardo non vi è motivo di distinguere tra le due alternative prospettate dall’art. 81, n. 1, CE. Infatti, secondo una giurisprudenza costante, per valutare se una pratica concordata sia vietata ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE, è superfluo prendere in considerazione i suoi effetti concreti laddove risulti che essa mira ad impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune (v. sentenza della Corte 4 giugno 2009, causa C‑8/08, T‑Mobile Netherlands e a., Racc. pag. I‑4529, punto 29 e la giurisprudenza ivi citata). Tale giurisprudenza è applicabile, per analogia, all’art. 53, n. 1, dell’accordo SEE.

41      In caso di risposta negativa, sarà poi necessario stabilire se l’intesa comune invocata dalla Commissione sia sufficientemente dimostrata da una serie di altri elementi.

42      Tuttavia, prima di procedere a tale verifica, occorre ricordare le regole applicabili in materia di onere della prova, dal momento che le parti sono di diverso avviso altresì a tale riguardo.

a)     Sull’onere della prova

43      Si deve ricordare, per prima cosa, che spetta alla Commissione fornire la prova delle infrazioni all’art. 81, n. 1, CE che essa constata e produrre gli elementi di prova idonei a dimostrare adeguatamente l’esistenza dei fatti che integrano l’infrazione (sentenze della Corte 17 dicembre 1998, causa C‑185/95 P, Baustahlgewebe/Commissione, Racc. pag. I‑8417, punto 58, e 8 luglio 1999, causa C‑49/92 P, Commissione/Anic Partecipazioni, Racc. pag. I‑4125, punto 86).

44      Ciò osservato, l’esistenza di un dubbio nella mente del giudice deve andare a vantaggio dell’impresa destinataria della decisione con cui si constata un’infrazione. Pertanto, il giudice non può concludere che la Commissione abbia dimostrato in modo giuridicamente valido l’esistenza dell’infrazione di cui è causa se nutre ancora dubbi al riguardo, soprattutto nell’ambito di un ricorso volto all’annullamento di una decisione che infligge un’ammenda (sentenza del Tribunale 27 settembre 2006, cause riunite T‑44/02 OP, T‑54/02 OP, T‑56/02 OP, T‑60/02 OP e T‑61/02 OP, Dresdner Bank e a./Commissione, Racc. pag. II‑3567, punto 60).

45      Infatti, in tale ultima ipotesi, occorre anzitutto riconoscere che il principio della presunzione di innocenza, quale risulta in particolare dall’art. 6, n. 2, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»), fa parte dei diritti fondamentali che, secondo la costante giurisprudenza della Corte, peraltro riaffermata dall’art. 6, n. 2, TUE, costituiscono principi generali del diritto comunitario. Considerata la natura delle infrazioni di cui trattasi nonché la natura e il grado di severità delle sanzioni che vi sono connesse, il principio della presunzione d’innocenza si applica in particolare alle procedure relative a violazioni delle norme sulla concorrenza applicabili alle imprese che possono sfociare nell’irrogazione di multe o ammende (v., in tal senso, sentenze della Corte 8 luglio 1999, causa C‑199/92 P, Hüls/Commissione, Racc. pag. I‑4287, punti 149 e 150, e causa C‑235/92 P, Montecatini/Commissione, Racc. pag. I‑4539, punti 175 e 176).

46      Così, la Commissione è tenuta a raccogliere elementi di prova sufficientemente precisi e concordanti per dimostrare l’infrazione (sentenza Dresdner Bank e a./Commissione, punto 44 supra, punto 62) e per corroborare la ferma convinzione che le infrazioni dedotte costituiscano restrizioni della concorrenza rilevanti ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE (sentenza del Tribunale 21 gennaio 1999, cause riunite T‑185/96, T‑189/96 e T‑190/96, Riviera Auto Service e a./Commissione, Racc. pag. II‑93, punto 47).

47      Tuttavia, occorre sottolineare che non tutte le prove prodotte dalla Commissione devono necessariamente rispondere a tali criteri con riferimento ad ogni elemento dell’infrazione. È sufficiente che la serie di indizi invocati dall’istituzione, complessivamente considerata, risponda a tale requisito (v. sentenza Dresdner Bank e a./Commissione, punto 44 supra, punto 63 e la giurisprudenza ivi citata).

48      Inoltre, tenuto conto tanto della notorietà del divieto di partecipare ad accordi anticoncorrenziali quanto della clandestinità in cui tali accordi si svolgono, non si può pretendere che la Commissione produca documenti che attestino in modo esplicito un contatto tra gli operatori interessati. Gli elementi frammentari e sporadici di cui la Commissione potrebbe disporre dovrebbero in ogni caso poter essere completati con deduzioni che permettano di ricostituire taluni dettagli. L’esistenza di una pratica o di un accordo anticoncorrenziale può dunque essere dedotta da un certo numero di coincidenze e di indizi i quali, considerati nel loro insieme, possono rappresentare, in mancanza di un’altra spiegazione coerente, la prova di una violazione delle regole sulla concorrenza (sentenza Dresdner Bank e a./Commissione, punto 44 supra, punti 64 e 65, e sentenza della Corte 7 gennaio 2004, cause riunite C‑204/00 P, C‑205/00 P, C‑211/00 P, C‑213/00 P, C‑217/00 P e C‑219/00 P, Aalborg Portland e a./Commissione, Racc. pag. I‑123, punti 55‑57).

49      Tuttavia, quando la Commissione si basa unicamente sul comportamento sul mercato delle imprese in questione per concludere per l’esistenza di un’infrazione, è sufficiente a queste ultime dimostrare l’esistenza di circostanze che mettono in una luce diversa i fatti dimostrati dalla Commissione e che consentono in tal modo di sostituire una diversa spiegazione plausibile dei fatti a quella adottata dalla Commissione per concludere per l’esistenza di una violazione delle norme di concorrenza comunitarie (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 8 luglio 2004, cause riunite T‑67/00, T‑68/00, T‑71/00 e T‑78/00, JFE Engineering e a./Commissione, Racc. pag. II‑2501, punto 186 e la giurisprudenza ivi citata).

50      Per quanto riguarda i mezzi di prova che possono essere invocati per dimostrare l’infrazione all’art. 81 CE e all’art. 53 dell’accordo SEE, occorre osservare che in diritto comunitario prevale il principio della libertà di forma dei mezzi probatori (sentenza del Tribunale 8 luglio 2004, causa T‑50/00, Dalmine/Commissione, Racc. pag. II‑2935, punto 72). In particolare, nessuna norma né alcun principio generale del diritto comunitario impediscono alla Commissione di avvalersi, contro un’impresa, delle dichiarazioni di altre imprese incriminate. Se così non fosse, l’onere della prova dei comportamenti contrari agli artt. 81 CE e 82 CE, che incombe alla Commissione, sarebbe insostenibile e incompatibile con il compito di vigilanza sulla corretta applicazione di tali disposizioni ad essa attribuito dal Trattato CE (sentenza JFE Engineering e a./Commissione, punto 49 supra, punto 192).

51      Pertanto, l’esistenza di una spiegazione alternativa dei fatti rileva unicamente quando la Commissione si basa solo sul comportamento sul mercato delle imprese in questione. Infatti, una tale spiegazione è irrilevante nel momento in cui l’esistenza dell’infrazione non è semplicemente presunta, bensì comprovata. Peraltro, in virtù del principio della libertà di forma dei mezzi probatori evocato al punto precedente, tutti i mezzi di prova sono ammessi per dimostrare un’infrazione, di modo che l’esistenza di una spiegazione alternativa è priva di pertinenza quando un’infrazione è sufficientemente dimostrata con prove diverse dalle prove documentali (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 20 aprile 1999, cause riunite da T‑305/94 a T‑307/94, da T‑313/94 a T‑316/94, T‑318/94, T‑325/94, T‑328/94, T‑329/94 e T‑335/94, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, Racc. pag. II‑931, punti 727 e 728).

52      Nel caso di specie occorre, quindi, quanto agli elementi contestati dalla Siemens, verificare se l’infrazione che le viene addebitata dalla Commissione nella decisione impugnata sia dimostrata da qualche elemento di prova o sia dedotta unicamente dal comportamento delle imprese in causa sul mercato. Solo in quest’ultima ipotesi occorrerà accertare, in un secondo momento, se esistano spiegazioni alternative del comportamento sul mercato di dette imprese in questione sufficientemente plausibili da revocare in dubbio le constatazioni effettuate nella decisione impugnata.

53      Al contrario, secondo la giurisprudenza, tenuto conto della notorietà del divieto di accordi anticoncorrenziali e della clandestinità nella quale tali accordi sono attuati, la prova di un’intesa può risultare da una serie di indizi concordanti (v. punto 48 supra). Pertanto, la Siemens non può pretendere di escludere una tale prova con l’argomento che, singolarmente presi, i diversi indizi fatti valere dalla Commissione non sono sufficienti a provare i comportamenti che le vengono addebitati. Infatti, per definizione, i vari elementi che fanno parte della serie di indizi concordanti offerti dalla Commissione non possono, presi singolarmente, costituire prove complete di un comportamento illecito.

54      Quanto al valore probatorio che occorre riconoscere ai differenti elementi di prova, si deve sottolineare che l’unico criterio pertinente per valutare le prove liberamente prodotte consiste nella loro attendibilità (v. sentenza del Tribunale 8 luglio 2004, causa T‑44/00, Mannesmannröhren-Werke/Commissione, Racc. pag. II‑2223, punto 84 e la giurisprudenza ivi citata; sentenze Dalmine/Commissione, punto 50 supra, punto 72, e JFE Engineering e a./Commissione, punto 49 supra, punto 273). Secondo le regole generalmente applicabili in materia di prova, l’affidabilità e, pertanto, il valore probatorio di un documento dipendono dalla sua fonte, dalle circostanze in cui è stato redatto, dal suo destinatario e dalla ragionevolezza e attendibilità del suo contenuto (sentenza del Tribunale 15 marzo 2000, cause riunite T‑25/95, T‑26/95, da T‑30/95 a T‑32/95, da T‑34/95 a T‑39/95, da T‑42/95 a T‑46/95, T‑48/95, da T‑50/95 a T‑65/95, da T‑68/95 a T‑71/95, T‑87/95, T‑88/95, T‑103/95 e T‑104/95, Cimenteries CBR e a./Commissione, Racc. pag. II‑491, punto 1053; conclusioni del giudice Vesterdorf facente funzione di avvocato generale nella causa decisa con sentenza del Tribunale 24 ottobre 1991, causa T‑1/89, Rhône-Poulenc/Commissione, Racc. pagg. II‑867, II‑869, in particolare pag. II‑956). In particolare, occorre riconoscere speciale valore alla circostanza che un documento sia stato redatto in collegamento immediato coi fatti (sentenze del Tribunale 11 marzo 1999, causa T‑157/94, Ensidesa/Commissione, Racc. pag. II‑707, punto 312, e 16 dicembre 2003, cause riunite T‑5/00 e T‑6/00, Nederlandse Federatieve Vereniging voor de Groothandel op Elektrotechnisch Gebied e Technische Unie/Commissione, Racc. pag. II‑5761, punto 181) o da un testimone diretto degli stessi (sentenza JFE Engineering e a./Commissione, punto 49 supra, punto 207). Inoltre, le dichiarazioni contrarie agli interessi del dichiarante devono essere considerate, in linea di principio, come elementi di prova particolarmente affidabili (sentenza JFE Engineering e a./Commissione, punto 49 supra, punti 207, 211 e 212).

b)     Sul valore probatorio dell’accordo GQ e dell’accordo EQ

55      Per quanto riguarda, anzitutto, l’accordo GQ, le parti convengono sul fatto che esso prevede l’attuazione di un’intesa sui progetti di GIS a livello mondiale, inclusi segnatamente scambi di informazioni sulle gare d’appalto e sui mercati, per mezzo di formulari standard, l’attribuzione di una quota, rispettivamente, al gruppo di produttori europei e a quello dei giapponesi, l’attribuzione di mercati all’interno dell’intesa, la manipolazione delle gare d’appalto, la fissazione di prezzi minimi e la lotta alle imprese esterne al cartello. Tuttavia, occorre rilevare che, come afferma la Siemens, l’accordo GQ escludeva expressis verbis la sua applicazione in Europa. Infatti, il suo allegato 2, relativo al suo ambito di applicazione territoriale, definisce cinque gruppi di territori dei quali il primo comprende l’Europa e il Mediterraneo eccettuati i 12 Stati membri della Comunità all’epoca nonché l’Austria, la Svezia, la Svizzera, la Finlandia e la Norvegia. Quanto al SEE, i soli paesi rientranti nell’ambito di applicazione dell’accordo GQ sono, dunque, il Liechtenstein e l’Islanda, circostanza pertinente a partire soltanto dall’entrata in vigore dell’accordo SEE, ossia il 1° gennaio 1994. Il secondo gruppo comprende l’Asia, Giappone escluso.

56      Il testo dell’accordo GQ non costituisce, dunque, di per sé, la prova di un’intesa che ha avuto effetti all’interno del mercato comune e del SEE.

57      Per quanto riguarda, poi, l’accordo EQ, occorre ricordare che esso costituisce solo un accordo di attuazione dell’accordo GQ, come confermano la sua stessa denominazione e le disposizioni del preambolo, a termini delle quali, in particolare, l’accordo EQ è applicabile nell’ambito dell’esecuzione dell’accordo GQ e le sue regole sono secondarie rispetto a quelle contenute in tale accordo. In sostanza, l’accordo EQ contiene regole per la ridistribuzione della quota comune «europea» tra i produttori europei. Questa ridistribuzione avveniva conformemente alla procedura prevista all’art. 4 dell’accordo EQ e secondo le quote stabilite all’art. 8 dello stesso.

58      Poiché, dunque, l’accordo EQ si limita sostanzialmente a ventilare una quota comune «europea» ai sensi dall’accordo GQ, il quale esclude, come osservato poc’anzi, il mercato comune e la parte più significativa del SEE, il testo dell’accordo EQ non vale a dimostrare un’intesa con effetti sul mercato comune e nel SEE. Pertanto, com’è stato affermato al punto 39 supra, si deve verificare se la Commissione sia riuscita a dimostrare in altra maniera l’esistenza di tali effetti. Le conclusioni che è possibile trarre, al di là del loro tenore letterale, dall’accordo GQ e dall’accordo EQ, saranno oggetto dei punti 140 e segg. della presente sentenza, relativi agli elementi di prova documentali.

c)     Sulla prova dell’accordo comune

59      Occorre osservare, preliminarmente, che la circostanza che le clausole dell’accordo GQ, alle quali rinvia anche l’accordo EQ, escludano espressamente dal loro ambito di applicazione i mercati europei e giapponesi non può essere considerata automaticamente una prova del fatto che l’intesa non avesse effetti sui mercati europei né una prova dell’assenza di ripartizione geografica o per «paesi d’origine». Detta esclusione, infatti, se è vero che può significare che le imprese in questione esercitavano sui detti mercati una concorrenza non falsata, può anche significare che l’attribuzione e il controllo delle quote tra i gruppi europeo e giapponese non fosse necessaria per tali mercati, perché essi erano comunque esclusivamente riservati all’uno o all’altro dei due gruppi, così come l’ha interpretata la Commissione.

60      Si deve sottolineare che un accordo diretto a tutelare le posizioni privilegiate tradizionali dei partecipanti al cartello, rispettivamente, sui mercati europeo e giapponese, ove dimostrato, già costituisce per sé un’intesa con effetti sul mercato comune, in quanto elimina la concorrenza potenziale dei produttori giapponesi sul mercato comune. Ciò sarebbe vero perfino nell’ipotesi in cui la Commissione non riuscisse a dimostrare che i produttori europei si sono ulteriormente spartiti il mercato europeo. Ad ogni modo, come risulterà in prosieguo, la Commissione ha dimostrato a sufficienza la totalità dei fatti contestati dalla Siemens nell’ambito del primo motivo.

61      Al fine di provare l’esistenza e la portata dell’intesa comune, la Commissione menziona, nella decisione impugnata, una serie di elementi fra i quali, in particolare, le dichiarazioni della ABB, del testimone M., della Fuji e della Hitachi, il fatto che né la Alstom né le società del gruppo Areva né il gruppo facente capo alla VA Technologie (in prosieguo: il gruppo «VA Tech») hanno apertamente negato l’intesa comune, un elenco di progetti di GIS discussi in seno all’intesa, fornito dalla ABB, e taluni elementi di prova documentali. Occorre dunque esaminare la portata e il valore probatorio di ciascuno di tali elementi.

 Sulle dichiarazioni della ABB e del testimone M.

62      La ABB ha dichiarato che i territori dell’Europa occidentale e giapponesi erano protetti e che certuni tentativi dei produttori giapponesi di rispondere ciononostante a bandi di gara europei avevano causato problemi in seno all’intesa, ma erano stati rintuzzati. Nella sua dichiarazione del 3 febbraio 2005 la ABB ha peraltro indicato che i risultati dell’attribuzione dei progetti di GIS nel mercato comune – esclusi i «paesi d’origine» – erano successivamente imputati alle quote mondiali dei produttori europei del cartello. Infine, nella dichiarazione del 4 ottobre 2005, la ABB ha ammesso l’esistenza di un sistema «paesi d’origine» in base al quale, se non vi era che un produttore in tali paesi, era costui ad assicurarsi i progetti, mentre se i produttori erano più di uno, i progetti venivano spartiti tra di loro.

63      La Siemens fa valere, al riguardo, che le dichiarazioni della ABB sono mere affermazioni di parte di detta società, sprovviste di efficacia probatoria se non corroborate da prove precise e verificabili. La Commissione ritiene, da parte sua, che le dichiarazioni di un’impresa che speri di ottenere un’immunità dalle ammende abbiano un valore probatorio particolare, per il semplice fatto che vanno contro i naturali interessi del dichiarante.

64      Quanto al grado di attendibilità da riconoscere alle dichiarazioni della ABB, si deve rilevare che, nella fattispecie, in quanto prima società a denunciare l’intesa, la ABB poteva ragionevolmente sperare di beneficiare dell’immunità totale dalle ammende prevista al punto 8 della comunicazione sulla cooperazione. Pertanto, non si può escludere che essa abbia potuto indursi ad esagerare l’importanza del comportamento illecito denunciato per nuocere alle proprie concorrenti sul mercato.

65      Ciò non significa, tuttavia, che le dichiarazioni della ABB debbano essere considerate del tutto inattendibili. Al riguardo è stato affermato che il fatto di chiedere il beneficio dell’applicazione della comunicazione sulla cooperazione al fine di ottenere una riduzione dell’ammenda non spinge necessariamente a presentare elementi probatori deformati. Infatti, ogni tentativo di indurre la Commissione in errore potrebbe rimettere in discussione la sincerità e la completezza della cooperazione del richiedente e, pertanto, mettere in pericolo la possibilità che benefici pienamente della comunicazione sulla cooperazione (sentenza del Tribunale 16 novembre 2006, causa T‑120/04, Peróxidos Orgánicos/Commissione, Racc. pag. II‑4441, punto 70).

66      Nondimeno, nella misura in cui altre imprese ugualmente accusate di aver partecipato all’intesa comune le contestano, le dichiarazioni di ABB devono essere suffragate da altri elementi probatori per poter costituire una prova sufficiente dell’esistenza e della portata dell’intesa comune (v., in tal senso, sentenze del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑337/94, Enso-Gutzeit/Commissione, Racc. pag. II‑1571, punto 91, e 25 ottobre 2005, causa T‑38/02, Groupe Danone/Commissione, Racc. pag. II‑4407, punto 285).

67      Occorre dunque verificare in quale misura le dichiarazioni della ABB relative alla ripartizione del mercato tra i produttori europei e giapponesi e all’esistenza di «paesi d’origine» siano corroborate dagli altri elementi di prova invocati dalla Commissione.

68      A tal titolo si deve constatare che la Commissione si riferisce in particolare, nella decisione impugnata, alle dichiarazioni del testimone M., ex dipendente della ABB e suo rappresentante per l’attuazione dell’intesa dal 1988 ad aprile 2002.

69      Ebbene, per quanto attiene alla natura delle dichiarazioni del sig. M., si deve sottolineare, in limine, che la sua testimonianza non può essere qualificata diversa e autonoma da quella della ABB. Infatti, non solo egli è stato alle dipendenze di tale società per tutta la sua vita lavorativa – per quanto, osserva giustamente la Commissione, ciò non escluda qualunque divergenza di interessi tra loro –, ma poi si è presentato alla Commissione come mandatario della ABB per assolvere l’obbligo di cooperazione funzionale al beneficio dell’immunità dalle ammende di quest’ultima, conformemente al punto 11 della comunicazione sulla cooperazione, facendosi peraltro assistere dal legale della ABB, come risulta chiaramente dalla premessa della trascrizione delle dichiarazioni da lui rese durante l’audizione del 23 settembre 2005. La Commissione ha inoltre assimilato, per esempio nelle note a piè pagina nn. 90 e 91 della decisione impugnata, le testimonianze del sig. M. a quelle della ABB.

70      Ne consegue che le dichiarazioni del sig. M. non possono essere considerate un altro elemento di prova a sostegno delle dichiarazioni della ABB, ai sensi della giurisprudenza citata al punto 66 supra, bensì devono essere ritenute parte di queste ultime. Ciò non vuol dire che manchino di qualunque valore probatorio. In particolare, esse possono valere a precisare le dichiarazioni della ABB. Nondimeno, le informazioni tratte dalla testimonianza del sig. M. devono essere corroborate da altri elementi di prova perché possano costituire una prova sufficiente dell’esistenza e della portata dell’intesa comune, allo stesso titolo di quelle tratte dalle dichiarazioni della ABB, e ciò sebbene il sig. M. non abbia, a differenza della ABB, un interesse personale ad enfatizzare l’illiceità del comportamento dei concorrenti di quest’ultima. Identiche considerazioni valgono, peraltro, per le dichiarazioni del sig. V.‑A., dipendente della ABB ascoltato dalla Commissione nelle stesse condizioni descritte al punto precedente per il sig. M.

71      Quanto al contenuto delle dichiarazioni del sig. M., occorre rilevare che costui ha indicato che il principio di tutela dei mercati locali era di primaria importanza per la conclusione del cartello e che quest’ultimo non avrebbe potuto funzionare senza l’osservanza di tale principio.

72      Secondo il sig. M., è per questo motivo che, nel determinare le quote delle diverse imprese interessate al momento della creazione del cartello nel 1988, i rispettivi mercati locali dei produttori giapponesi ed europei, vale a dire, da un lato, il Giappone, quale mercato locale delle imprese giapponesi, e, dall’altro, la Germania, la Francia, la Svezia, la Svizzera e l’Italia, quali mercati domestici delle imprese europee, erano stati esclusi dal calcolo delle quote di mercato detenute da ciascuna impresa.

73      Il sig. M. ha altresì indicato che i paesi europei non «paesi d’origine» erano esclusi dal sistema di ripartizione dei progetti previsto dall’accordo GQ, al fine di non pregiudicare il funzionamento di talune pratiche collusive che si erano formate a livello locale tra i diversi produttori nel corso degli anni. Per contro, il volume di mercato di ciascun produttore era preso in considerazione per controllare il rispetto delle quote mondiali dei gruppi europeo e giapponese e delle quote di ciascuna impresa.

74      Secondo il sig. M. non esistevano ostacoli tecnici o commerciali insormontabili all’ingresso delle imprese giapponesi sul mercato europeo e un tale ingresso sarebbe stato possibile, a medio termine, tramite determinati investimenti. Pertanto, a suo avviso, le imprese giapponesi si astenevano dal penetrare il mercato europeo per rispettare le regole del cartello e non per ragioni tecniche.

75      Quanto all’attendibilità della testimonianza del sig. M., si deve tener conto del fatto che, per quasi tutta la durata del cartello, ossia dal 1988 al 2002, egli è stato uno dei rappresentanti della ABB nell’ambito del medesimo e che la stessa ABB era uno dei protagonisti dell’intesa. Egli è dunque stato testimone diretto dei fatti riferiti, cosicché la sua testimonianza deve essere considerata, in linea di principio, di elevato valore probatorio.

76      Peraltro, le dichiarazioni del sig. M. sono coerenti e chiare, sebbene egli non ricordi tutti i dettagli di fatto dell’attuazione dell’intesa cui ha partecipato, per conto della ABB, per 14 anni. Invero, in una testimonianza che copre un periodo così lungo, va considerata normale qualche piccola imprecisione nelle dichiarazioni.

77      Le dichiarazioni del sig. M. devono pertanto essere ritenute altamente affidabili, ancorché si tratti, come osservato supra, di dichiarazioni rese per conto della ABB.

78      Tale valutazione non è rimessa in discussione dagli argomenti avanzati dalla Siemens per contestare l’attendibilità della testimonianza del sig. M., anzitutto dalle pretese contraddizioni tra tale testimonianza e quella del sig. V.‑A. Infatti, dal momento che la testimonianza del sig. V.‑A. non contraddice quella del sig. M., non possono essere accolte le allegazioni della Siemens secondo le quali, da un lato, il sig. V.‑A. ha indicato che gli Stati membri del SEE, al pari di quelli nordamericani, erano esclusi dall’ambito di applicazione dell’accordo GQ e, dall’altro, la Commissione non avrebbe dimostrato in che misura la testimonianza del sig. V.‑A. fosse meno credibile di quella del sig. M.

79      Al riguardo occorre rilevare che il sig. V.‑A. medesimo ha affermato, nella dichiarazione del 21 settembre 2005, di aver partecipato solamente a 6‑10 riunioni operative tra il 1997 e il 1998, di aver avuto conoscenze limitate e di essere dipeso in tal senso dal sig. M., che era l’unico a disporre di talune informazioni, soprattutto in merito all’esclusione del Nord America e dell’Europa dall’ambito di applicazione dell’accordo GQ.

80      Inoltre, il sig. V.-A. ha rilevato una differenza tra l’esclusione dell’America del Nord e quella dell’Europa, precisando che gli Stati Uniti non partecipavano per paura di esporsi alle severe sanzioni che sono previste in tale paese per chi partecipa a un cartello, mentre, a suo avviso, i progetti europei sarebbero stati effettivamente trattati dalle imprese aderenti al cartello, ma non nell’ambito delle riunioni alle quali aveva partecipato lui stesso.

81      Infine, il sig. V.-A. ha indicato di essere stato testimone, durante le riunioni alle quali aveva partecipato, di discussioni tra i rappresentanti del gruppo dei produttori giapponesi e i rappresentanti del gruppo dei produttori europei a proposito dei presunti tentativi dei giapponesi di penetrare i mercati europei, in violazione di un accordo che li impegnava a non fare concorrenza ai produttori europei nell’Europa occidentale. Egli ha altresì precisato che non vedeva alcun ostacolo tecnico o commerciale insormontabile a che i produttori giapponesi penetrassero i mercati europei.

82      Le dichiarazioni del sig. V.-A. sul funzionamento dell’intesa per quanto a sua limitata (parole sue) conoscenza sono quindi compatibili con quelle del sig. M. e anzi addirittura le confermano sotto certi aspetti, soprattutto riguardo alla ripartizione dei mercati tra i produttori europei e giapponesi. Benché la Commissione non l’abbia precisato espressamente nella decisione impugnata, la testimonianza del sig. V.‑A. costituisce, dunque, un elemento a carico della Siemens piuttosto che a discarico. Pertanto, l’argomento della Siemens vertente su una contraddizione tra le testimonianze dei sigg. M. e V.‑A. deve essere respinto.

83      In conclusione, le dichiarazioni del sig. M., che beneficiano di una credibilità elevata, costituiscono un elemento di prova dell’esistenza di un principio di protezione dei «paesi d’origine», dell’assegnazione dei mercati europei, eccetto i «paesi d’origine», esclusivamente ai produttori europei e della rilevanza del volume di vendite di questi ultimi nel computo di quote mondiali da rispettare. Tuttavia, com’è stato constatato al punto 70 supra, le dichiarazioni del sig. M. devono essere corroborate da altri elementi di prova, così come quelle della ABB, affinché possano costituire una prova sufficiente dell’esistenza e della portata dell’intesa comune.

 Sulle dichiarazioni della Fuji

84      La Fuji ha dichiarato di essere stata al corrente dell’intesa comune secondo cui i produttori giapponesi dovevano tenersi lontani dal mercato europeo. Fa valere, tuttavia, che la propria astensione dal mercato europeo era dovuta principalmente al fatto di non poter seriamente pensare di fornire GIS in Europa per altri motivi, anzitutto perché la sua esigua quota di mercato mondiale non giustificava di affrontare i costi necessari alla costituzione di una base europea. Quanto all’unico progetto di GIS da essa realizzato in Europa, cioè un progetto nella Repubblica ceca nell’anno 1995, la Fuji asserisce di aver agito, nello specifico, come sottocontraente di un’altra società giapponese cui aveva ceduto il contratto GIS in questione in Giappone. Considera, pertanto, tale progetto come un progetto di GIS in Giappone, che non proverebbe la sua capacità generale di fornitura in Europa.

85      La Siemens obietta, a questo proposito, che la dichiarazione della Fuji è stata rilasciata solo dopo l’audizione menzionata al punto 9 supra, vale a dire in un momento in cui la Fuji non poteva più rendere una testimonianza imparziale e oggettiva, laddove, secondo la giurisprudenza, soltanto i documenti che sono stati citati o menzionati nella comunicazione degli addebiti costituirebbero mezzi di prova validi (v. sentenze della Corte 3 luglio 1991, causa C‑62/86, AKZO/Commissione, Racc. pag. I‑3359, punto 21, e del Tribunale Nederlandse Federatieve Vereniging voor de Groothandel op Elektrotechnisch Gebied e Technische Unie/Commissione, punto 54 supra, punto 34 e la giurisprudenza ivi citata).

86      Tale obiezione non può essere accolta. Infatti, la comunicazione degli addebiti deve consentire agli interessati di prendere realmente atto dei comportamenti di cui la Commissione fa loro carico. Tale esigenza è rispettata quando la decisione finale non pone a carico degli interessati infrazioni diverse da quelle contemplate nella comunicazione degli addebiti e prende in considerazione soltanto fatti sui quali gli interessati hanno avuto modo di manifestare il proprio punto di vista (sentenze della Corte 15 luglio 1970, causa 41/69, ACF Chemiefarma/Commissione, Racc. pag. 661, punto 94; del Tribunale 30 settembre 2003, cause riunite T‑191/98, da T‑212/98 a T‑214/98, Atlantic Container Line e a./Commissione, Racc. pag. II‑3275, punto 138, e 29 aprile 2004, cause riunite T‑236/01, T‑239/01, da T‑244/01 a T‑246/01, T‑251/01 e T‑252/01, Tokai Carbon e a./Commissione, Racc. pag. II‑1181, punto 47).

87      Se è dunque vero che le infrazioni addebitate ad un’impresa in una decisione non possono essere differenti da quelle enunciate nella comunicazione degli addebiti, non può dirsi altrettanto per i fatti contestati, giacché è sufficiente, al riguardo, che le imprese interessate abbiano avuto la possibilità di manifestare il proprio punto di vista su tutti i fatti loro imputati. Com’è già stato affermato, infatti, nessuna norma impedisce alla Commissione di comunicare alle parti, dopo aver inviato la comunicazione degli addebiti, nuovi documenti che essa ritiene possano sostenere la sua tesi, purché sia concesso alle imprese il tempo necessario per presentare il proprio punto di vista al riguardo (sentenza del Tribunale 20 marzo 2002, causa T‑23/99, LR AF 1998/Commissione, Racc. pag. II‑1705, punto 190; v. anche, nel medesimo senso, sentenza della Corte 25 ottobre 1983, causa 107/82, AEG-Telefunken/Commissione, Racc. pag. 3151, punto 29).

88      Ora, nella fattispecie, è pacifico che, con lettera del 25 agosto 2006, la Commissione ha comunicato alla Siemens le dichiarazioni della Fuji e l’ha invitata a presentare osservazioni al riguardo. Peraltro dette dichiarazioni non integravano censure ulteriori nei confronti della Siemens rispetto a quelle enunciate nella comunicazione degli addebiti, ma contenevano solamente un nuovo elemento di prova idoneo a fondare una censura già formulata nella comunicazione degli addebiti, e cioè il fatto che esisteva un’intesa comune tra i produttori giapponesi e quelli europei in base alla quale i produttori giapponesi non potevano accedere al mercato europeo.

89      Pertanto, le dichiarazioni della Fuji possono essere accolte come elementi di prova a carico contro la Siemens.

90      Quanto al grado di attendibilità da attribuire alle dichiarazioni della Fuji, si deve osservare che, nella misura in cui quest’ultima ha ammesso, se non altro indirettamente, che la sua assenza dal mercato europeo era dovuta in parte all’intesa comune, essa ha riconosciuto un fatto che la Commissione poteva addebitarle. Ebbene, com’è già stato affermato, le dichiarazioni contrarie agli interessi del dichiarante devono essere considerate, in linea di principio, come elementi di prova particolarmente affidabili (sentenza JFE Engineering e a./Commissione, punto 49 supra, punto 211).

91      Ciò è vero anche se, nella fattispecie, la Fuji ha chiesto di beneficiare della comunicazione sulla cooperazione. Infatti, in primo luogo, le dichiarazioni della Fuji non sono state rese nell’ambito di tale domanda, bensì in risposta alla comunicazione degli addebiti, per quanto i due documenti siano stati redatti quasi contemporaneamente. In secondo luogo, il riconoscimento da parte della Fuji del fatto di essere stata al corrente della ripartizione dei mercati europei e giapponesi non danneggia solamente le altre imprese – circostanza che renderebbe la sua dichiarazione sospetta –, ma anche se stessa, perché così ammette anche una propria infrazione. Per questo, nella fattispecie, le dichiarazioni della Fuji devono essere ritenute altamente affidabili.

92      Quanto, infine, al contenuto delle dichiarazioni della Fuji, occorre sottolineare che, in tali dichiarazioni, la Fuji non si limita ad ammettere una ripartizione dei mercati tra produttori europei e giapponesi, ma fornisce altresì dettagli sui rispettivi scopi delle imprese aderenti al cartello, che permettono di trarre altre conclusioni. La Fuji indica, infatti, che, per quanto la riguarda, non era l’intesa comune la causa principale della mancata penetrazione del mercato europeo e adduce tutta una serie di ragioni che l’avrebbero indotta a tale scelta. In particolare, l’argomento secondo il quale la sua quota di mercato mondiale era troppo esigua per giustificare le spese necessarie per la costituzione di una base europea permette di concludere che i produttori giapponesi – e, a contrario, i produttori europei – che detenevano una quota di mercato maggiore sarebbero stati in grado di superare gli ostacoli tecnici e commerciali all’ingresso sui mercati protetti dei rispettivi gruppi di produttori e di trarre profitto dall’investimento. In tale prospettiva, maggiore era la quota di mercato di una determinata impresa, meno calzante è l’argomento relativo a ostacoli tecnici e commerciali per tale impresa e, viceversa, maggiore è l’importanza del divieto, concordato nell’ambito dell’intesa comune, di insidiare i mercati dell’altro gruppo di produttori.

93      Ora, a far riferimento alle quote di mercato prospettate dalla Commissione ai punti 484-488 della decisione impugnata, quali fondate sui fatturati di vendita indicati dalle imprese medesime e non contestate nella fattispecie, risulta che la Fuji era di gran lunga il minore dei produttori di GIS partecipanti all’intesa, con non più del 2% del fatturato mondiale delle imprese partecipanti al cartello per progetti GIS. Le quote di mercato delle altre imprese giapponesi erano nettamente superiori e comprese tra il 15 e il 20% per la MELCO, tra l’8 e il 12% per la Toshiba e tra il 4 e il 7% per la Hitachi. La Siemens deteneva, da parte sua, una quota di mercato tra il 23 e il 29%. Pertanto, le dichiarazioni della Fuji permettono di concludere che la tutela dei mercati europeo e giapponese a vantaggio, rispettivamente, dei produttori europei e di quelli giapponesi interessava alla maggior parte delle imprese in questione, poiché la quota di mercato nettamente superiore a quella della Fuji avrebbe loro permesso più facilmente di sopportare i costi della penetrazione sui mercati dell’altro gruppo di produttori.

94      Peraltro, si deve rilevare che la Commissione non contesta l’esistenza di ostacoli tecnici e commerciali all’ingresso sui rispettivi mercati dei gruppi europeo e giapponese, ma l’allegazione secondo cui tali ostacoli non potevano essere superati proficuamente. Essa si è basata, al riguardo, su due progetti di GIS nella Repubblica ceca. Il primo è quello che si era aggiudicata la Fuji, il secondo ha costituito oggetto di un’offerta della Melco, cosa che la Siemens non contesta. Ciò dimostra che non esistevano ostacoli tecnici e commerciali insormontabili all’ingresso dei produttori giapponesi sui mercati europei e corrobora, pertanto, l’argomento della Commissione secondo cui le imprese partecipanti al cartello avevano un interesse soggettivo a che i produttori dell’altro gruppo non provassero a superare tali ostacoli.

95      In conclusione, le dichiarazioni della Fuji costituiscono un elemento di prova nel senso di una ripartizione dei mercati europei e giapponesi a favore dei rispettivi gruppi di produttori, un elemento di prova altamente plausibile.

 Sulle dichiarazioni della Hitachi

96      La Hitachi ha dichiarato che i progetti di GIS in Europa ripartiti tra i produttori europei erano imputati alla quota comune «europea» nell’ambito dell’accordo GQ e che, per questo, i produttori giapponesi venivano informati a posteriori, fino al 1999, del risultato della spartizione dei progetti di GIS in Europa tra i produttori europei. Nella risposta alla comunicazione degli addebiti la Hitachi ha, infatti, indicato quanto segue:

«[C]onferm[o] che, prima del 1999, i produttori europei di GIS comunicavano ai produttori giapponesi di GIS i dettagli dei progetti di GIS che si accingevano a vendere in Europa. Confermo anche che lo scopo di tale comunicazione era quello di assicurare che il valore dei progetti europei fosse preso in considerazione al momento dell’accordo sulla quota di progetti fuori dall’Europa da ripartire tra produttori europei e produttori giapponesi, conformemente all’accordo GQ (...)

Per rendersi conto della poca importanza pratica di questo meccanismo nel periodo in cui era in vigore (cioè prima del 2002), si deve sottolineare che la comunicazione dei dettagli dei progetti in Europa nell’ambito dell’intesa GQ non era subordinata al previo accordo, in qualsivoglia forma, dei produttori giapponesi a tenersi lontani dal mercato europeo e neppure dimostra l’esistenza di una tale condizione, poiché non c’era nessuna “intesa comune”. Ma ancora più importante è che da nessuna comunicazione tra produttori di GIS europei e produttori di GIS giapponesi “risulterebbe” un’attribuzione dei progetti di GIS europei in virtù dell’intesa europea, come sostiene la Commissione. Tutte le comunicazioni tra i produttori di GIS europei e giapponesi si facevano dopo che i progetti europei di GIS erano stati attribuiti».

97      Questa dichiarazione è illuminante sotto più profili. In primo luogo, confermando espressamente che i progetti di GIS in Europa realizzati dai produttori europei erano imputati alla loro quota globale nell’ambito dell’accordo GQ, la Hitachi conferma la tesi della Commissione secondo cui i produttori europei, tra i quali la Siemens, procedevano ad accordi sui progetti all’interno del mercato comune (nei primi anni di funzionamento dell’intesa il mercato dell’Europa orientale non era ancora accessibile) e, per questo, l’intesa dispiegava effetti all’interno del mercato comune e del SEE.

98      In secondo luogo, la dichiarazione della Hitachi costituisce, e ciò indipendentemente dalle intenzioni del dichiarante, altresì un indizio a sostegno della tesi della Commissione in base alla quale i mercati europei erano complessivamente riservati ai produttori europei. La Hitachi insiste, invero, a più riprese, sulla circostanza secondo cui i produttori giapponesi erano informati a posteriori, traendone la conclusione che, da un lato, questi ultimi non fossero implicati nelle pratiche collusive dei produttori europei sui mercati europei e, dall’altro, che tale scambio di informazioni non fosse correlato ad un impegno dei produttori giapponesi a tenersi lontani dai mercati europei e non dimostri un simile accordo; contesta, perciò, l’esistenza dell’intesa comune.

99      Ebbene, la circostanza, ugualmente ammessa dalla Hitachi, secondo la quale i progetti di GIS in Europa ripartiti tra i produttori europei erano imputati alla quota mondiale non può trovare spiegazione ragionevole se i mercati europei erano comunque inaccessibili ai produttori giapponesi per ragioni tecniche e commerciali. Infatti, in tale ipotesi, i produttori europei non avrebbero avuto alcun motivo di accettare che tali progetti fossero conteggiati nella loro quota mondiale, giacché ciò avrebbe diminuito necessariamente il numero e il valore dei progetti di GIS sui mercati mondiali ai quali essi potevano aspirare nell’ambito dell’intesa. Al contrario, il fatto che essi avessero acconsentito a tale computo dimostra come l’astensione dei produttori giapponesi dal penetrare i mercati europei avesse, per i produttori europei, un’importanza che poteva giustificare una simile contropartita.

100    Quanto alla credibilità della dichiarazione della Hitachi, si deve osservare che quest’ultima ha chiesto di beneficiare della comunicazione sulla cooperazione. Di conseguenza, le sue dichiarazioni dovrebbero essere trattate con circospezione qualora si limitassero ad accusare altre imprese. Ma tale ipotesi non ricorre nella fattispecie. Infatti, la conclusione che può essere tratta dalla dichiarazione della Hitachi secondo cui i produttori giapponesi avevano accettato di non entrare nei mercati europei è contraria agli interessi della Hitachi non meno che a quelli degli altri partecipanti all’intesa, in quanto conferma un fatto che potrebbe essere messo a suo carico. Peraltro la Hitachi non era, evidentemente, consapevole di tutte le conclusioni che il contenuto delle sue dichiarazioni permetteva di trarre, specialmente per quanto riguarda la riserva dei mercati europei a favore dei produttori europei, e tale circostanza tendenzialmente rafforza l’attendibilità della sua deposizione.

101    In conclusione, occorre riconoscere un’elevata plausibilità alle dichiarazioni della Hitachi.

 Sull’omessa contestazione da parte della Areva, della Alstom e del gruppo VA Tech

102    Per quanto riguarda il difetto di contestazione da parte della Areva, della Alstom e del gruppo VA Tech, si deve constatare che i documenti del fascicolo o non giustificano l’attribuzione a tale fatto omissivo di un grande valore probatorio o non permettono di dimostrare le allegazioni della Commissione.

103    Riguardo, innanzitutto, alla Areva e alla Alstom, la Commissione ha indicato, al punto 125 della decisione impugnata, che tali due società non hanno contestato l’intesa comune volta a rispettare posizioni privilegiate tradizionali sui mercati locali delle imprese partecipanti all’intesa, né nelle risposte alla comunicazione degli addebiti né nelle successive dichiarazioni, rispettivamente del 21 e del 26 novembre 2006, dopo che era stata loro notificata la risposta con cui la Fuji riconosceva l’intesa comune. Tuttavia, né la Siemens né la Commissione hanno affrontato il problema del difetto di contestazione da parte della Areva e della Alstom nelle loro memorie dinanzi al Tribunale, cosicché si deve considerare che tale questione non è oggetto della lite.

104    Per quanto riguarda, in secondo luogo, il gruppo VA Tech, la Commissione rileva, al punto 125 della decisione impugnata, che quest’ultimo non ha apertamente contestato, nella risposta alla comunicazione degli addebiti, le informazioni relative all’intesa comune. Al riguardo, occorre constatare anzitutto che tale risposta non figura nel fascicolo e che il Tribunale dispone solamente della citazione che ne ha fatto la Commissione, alla nota a piè di pagina n. 79 della decisione impugnata, che recita come segue: «anche in assenza della presunta intesa comune i fornitori giapponesi si sarebbero tenuti al di fuori del mercato europeo a causa delle elevate barriere, come illustrato qui di seguito». Secondariamente, si deve rilevare che la semplice circostanza che una società non abbia apertamente contestato taluni fatti può avere un valore probatorio solo molto limitato, tanto più che non è possibile verificare il contesto dell’omessa contestazione sul mero fondamento di una citazione isolata. Infine, occorre osservare che, anche a prenderla isolatamente, tale citazione non ha il contenuto che la Commissione le attribuisce. Al riguardo occorre mettere in evidenza che il gruppo VA Tech ha qualificato come «presunta» l’intesa comune. Risulta dall’utilizzazione di tale termine che, se è vero che il gruppo VA Tech non ha contestato espressamente l’esistenza di tale accordo, è vero pure che non l’ha ammessa, neanche implicitamente. Al contrario, il brano succitato deve essere interpretato come una implicita contestazione dell’esistenza dell’intesa comune.

105    Pertanto, il preteso difetto di contestazione dell’intesa comune da parte della Areva, della Alstom e del gruppo VA Tech non può essere considerato una riprova della tesi della Commissione secondo cui i mercati europei erano riservati ai produttori europei ed i «paesi d’origine» erano protetti.

 Sull’elenco di progetti di GIS in Europa

106    Per quanto riguarda l’elenco di undici progetti di GIS invocato dalla Commissione al punto 164 della decisione impugnata, si tratta in realtà di un estratto di un elenco di progetti di GIS discussi in seno all’intesa nel periodo compreso tra il 1988 e il 1999, intitolato «Enquirylist1» e prodotto dalla ABB (in prosieguo: l’«elenco mondiale»), che contiene indicazioni, in particolare, sulle date limite per proporre offerte, sulle imprese che hanno manifestato interesse per i singoli progetti e sul risultato delle discussioni in seno all’intesa (vale a dire, l’attribuzione a un membro dell’intesa o la fissazione di un prezzo minimo).

107    Secondo tali indicazioni, degli undici progetti di GIS in Europa indicati nell’elenco mondiale, l’assegnazione è stata ottenuta, per 6 di loro, dall’impresa alla quale il progetto era stato attribuito in seno all’intesa, e più esattamente 3 progetti alla ABB e 3 alla Siemens. Per i cinque progetti restanti l’elenco mondiale specifica che essi non sono stati attribuiti ad una delle imprese partecipanti al cartello, ma sono stati oggetto di un accordo ad minima sul prezzo; vale a dire che le imprese europee partecipanti al cartello si sono messe d’accordo sul prezzo minimo che avrebbero proposto nelle loro eventuali risposte alle rispettive gare d’appalto.

108    La Siemens ha tentato, in un primo momento, in generale, di revocare in dubbio l’affidabilità delle informazioni contenute nell’elenco mondiale, senza tuttavia contestare espressamente né la realtà dei progetti ivi citati, in particolare la realtà degli undici progetti di GIS in Europa colà menzionati, né il fatto che tali progetti fossero stati discussi in seno al cartello.

109    La Siemens ha allegato, in particolare, che taluni progetti sono menzionati più volte, che molti non sono mai stati attuati e che in nessun punto dell’elenco mondiale è indicato che le sia stato attribuito un progetto di GIS all’interno del SEE. In due casi in cui essa si sarebbe aggiudicata il progetto in questione, l’assegnazione sarebbe stata frutto di normali pratiche concorrenziali. La Siemens invoca, inoltre, un’analisi dell’elenco mondiale realizzata da una società indipendente, che dimostrerebbe, in particolare, che i progetti di GIS nell’ambito del SEE non hanno costituito oggetto di un sistema di ripartizione analogo a quella previsto dagli accordi GQ e EQ.

110    Inoltre, nell’ambito della sua risposta ai quesiti scritti del Tribunale all’udienza, la Siemens ha contestato che gli undici progetti di GIS in Europa menzionati nell’elenco mondiale abbiano formato oggetto di una concertazione in seno al cartello.

111    Tali allegazioni saranno esaminate nel prosieguo, ai punti 116‑138.

–       Sull’origine e la data di redazione dell’elenco mondiale nonché sulla possibilità di considerarlo una prova

112    Occorre constatare, come ha fatto valere la Siemens, che non è stato possibile determinare con certezza l’origine e la data di redazione dell’elenco mondiale.

113    Al riguardo si deve tuttavia notare che, come risulta dal punto 88 e dalla nota a piè di pagina n. 21 della decisione impugnata, l’elenco mondiale è stato prodotto dalla ABB il 7 maggio 2004, cioè un giorno dopo la data del 6 maggio 2004 che è indicata nel titoletto della sua prima pagina, data che costituisce, dunque, molto probabilmente, o la data di redazione o la data di stampa. Occorre poi rilevare che la ABB beneficia, rispetto gli altri membri del cartello, di un codice supplementare nella detta lista. Infatti, i membri europei, eccezion fatta per la ABB, e quelli giapponesi figurano nell’elenco nella colonna intitolata «Membro», suddivisa in due gruppi, ciascuno sotto il proprio codice di riferimento all’interno del cartello. Viceversa, la ABB si «nasconde», secondo l’espressione utilizzata dal sig. M. nel corso della sua audizione dinanzi alla Commissione, il 23 settembre 2005, nella colonna intitolata «GCs», destinata in linea di principio alla menzione degli eventuali contratti generali. Secondo il sig. M., si trattava di una precauzione presa a seguito di un’indagine condotta dall’autorità svedese della concorrenza nei confronti della ABB.

114    Tali due circostanze permettono di presumere che l’elenco mondiale sia stato inizialmente redatto dalla ABB per seguire gli sviluppi interni dell’intesa e che sia stato ristampato per produrlo dinanzi alla Commissione. Vi è dunque motivo di basarsi su questa presunzione, peraltro la più favorevole alla Siemens e compatibile con le dichiarazioni di quest’ultima, che nega di essere l’autore dell’elenco mondiale.

115    Conseguentemente, e come fa valere Siemens, occorre considerare l’elenco mondiale come parte delle dichiarazioni della ABB. Infatti, dal momento che, com’è stato osservato, l’elenco mondiale è stato redatto dalla ABB, o stampato da quest’ultima a partire da un suo file, e ciò a breve distanza di tempo dalle dichiarazioni effettuate per beneficiare di un’immunità a titolo della comunicazione sulla cooperazione, esso non può essere considerato una prova documentale. Ne discende che le considerazioni, enunciati ai punti 64‑67 della presente sentenza, sul valore probatorio delle dichiarazioni della ABB valgono altresì per l’elenco mondiale. In particolare, le informazioni tratte da detto elenco non possono servire a suffragare le dichiarazioni della ABB ma, al contrario, debbono essere dimostrate a loro volta da altri elementi di prova, conformemente alla giurisprudenza citata al punto 66 supra.

–       Sull’allegazione secondo cui i progetti di GIS in Europa menzionati nell’elenco mondiale non sono stati discussi in seno al cartello

116    Com’è stato indicato al precedente punto 110, è nell’ambito della sua risposta ai quesiti scritti del Tribunale prima dell’udienza che la Siemens ha contestato per la prima volta che gli undici progetti di GIS in Europa menzionati nell’elenco mondiale fossero stati oggetto di concertazione in seno al cartello. Vero è che essa ha indicato, rispondendo a un quesito in tal senso in udienza, di aver già sollevato tale contestazione nell’ambito del procedimento amministrativo dinanzi alla Commissione e nell’atto introduttivo del giudizio. Tuttavia, il ricorso contiene, al riguardo, solamente gli elementi riferiti al punto 109 supra, e, ammesso pure che la Siemens abbia sollevato tale contestazione nel procedimento amministrativo, ciò non potrebbe compensare l’assenza di contestazione dinanzi al Tribunale nella fase contenziosa. Si deve dunque respingere come tardiva, conformemente all’art. 48, n. 2, del regolamento di procedura, l’allegazione della Siemens secondo cui gli undici progetti di GIS in Europa menzionati nell’elenco mondiale non sono stati oggetto di discussione in seno al cartello.

117    Occorre inoltre sottolineare il carattere dettagliato delle informazioni contenute nell’elenco mondiale. Quest’ultimo contiene, infatti, in particolare, indicazioni sulle caratteristiche delle apparecchiature da fornire per i progetti di cui trattasi, la data prevista per avanzare offerte, le date delle deliberazioni in seno al cartello, le manifestazioni di interesse ai progetti da parte dei diversi membri del cartello, l’identità dell’eventuale assegnatario o la notizia di aver deciso un prezzo minimo e, all’occorrenza, l’indicazione che il progetto era stato effettivamente ottenuto dall’assegnatario. Non si può ammettere che indicazioni così diverse e così precise siano contestate semplicemente allegando che gli undici progetti di GIS in Europa non sono stati oggetto di concertazione in seno al cartello.

118    Si deve ricordare, a tale proposito, che la Siemens non nega di aver assunto il compito di segretario europeo dell’intesa nel periodo compreso tra il 1988 e il 1999. Essa doveva dunque necessariamente avere conoscenza di tutti i progetti discussi in seno al gruppo europeo di produttori e, per questo, essere in condizione di contestare in maniera circostanziata e specifica i progetti enumerati dalla ABB sulla base dei suoi propri fascicoli, qualora ci fosse stato un errore. Il fatto che la Siemens non abbia né colto tale occasione né spiegato cosa l’abbia trattenuta dal farlo permette, dunque, di constatare che essa non ha validamente contestato che i progetti contenuti nell’elenco mondiale, in particolare gli undici progetti nell’ambito del SEE, siano stati oggetto di concertazione in seno al cartello.

119    Si deve respingere come errata l’affermazione della Siemens, resa nell’ambito della sua risposta ai quesiti scritti del Tribunale prima dell’udienza, secondo la quale gli undici progetti in causa si collocavano al di fuori del SEE quale esisteva all’epoca. Infatti, fra tali undici progetti, discussi in seno al cartello tra il 1992 e il 1998, ne figurano tre in Spagna, uno in Danimarca, uno in Irlanda e uno in Portogallo, tutti Stati che hanno aderito alla Comunità prima del 1988. Allo stesso modo, i due progetti in Finlandia, datati 1994 e 1995, sono indubbiamente coperti, rispettivamente, dall’accordo SEE e dal Trattato CE, poiché la Repubblica di Finlandia è membro del SEE dal 1° gennaio 1994 e membro della Comunità dal 1° gennaio 1995. Analoga constatazione s’impone per il progetto in Islanda e per i due progetti in Norvegia, tutti del 1998, data in cui la Repubblica d’Islanda e il Regno di Norvegia erano membri del SEE. Tutti questi paesi facevano parte, quindi, al momento della discussione del progetto in discussione, o del mercato comune o del SEE.

120    Si deve altresì respingere l’allegazione della Siemens secondo cui l’elenco mondiale sarebbe «oscuro». È vero che tale elenco, che è redatto in forma di tabella, utilizza differenti codici composti di cifre e/o lettere. Tuttavia, chiavi per tali codici sono stati fornite alla Commissione, in particolare, dal testimone M., nell’audizione del 23 settembre 2005, e vi è luogo a ritenere, alla luce delle sue spiegazioni, che l’elenco mondiale offre un’immagine chiara del modo in cui progetti di GIS erano trattati in seno al cartello.

–       Sui progetti che sarebbero stati menzionati più volte o che non sarebbero stati attuati

121    La Siemens fa valere che taluni progetti riportati nell’elenco mondiale sono menzionati più volte. Ebbene, si deve ricordare che, quand’anche risponda al vero, ciò non inficia la rilevanza e l’attendibilità dell’elenco mondiale e, per questo, il suo valore probatorio. Da un lato, infatti, la Siemens non specifica quali siano tali progetti né se facciano parte degli undici progetti di GIS nell’Europa occidentale – gli unici sui quali la Commissione si è specificamente fondata nella decisione e, pertanto, gli unici pertinenti ai fini dell’esame della decisione impugnata –; dall’altro, il fatto che un elenco composto di più di 1500 voci possa contenere qualche errore non è sufficiente a screditarlo in toto.

122    Quanto all’allegazione della Siemens secondo cui taluni progetti citati nell’elenco mondiale non sono stati attuati, occorre ricordare che la ricorrente non specifica di quali progetti si tratti. Peraltro, ammesso pure che la Siemens abbia ragione, la mancata attuazione di taluni progetti non sarebbe idonea, in ogni caso, ad escludere l’applicazione dell’art. 81 CE e dell’art. 53 dell’accordo SEE ad imprese che hanno truccato le gare d’appalto relative a tali progetti nell’ambito di un cartello.

–       Sullo scarso numero di progetti di GIS in Europa registrati nell’elenco mondiale

123    La Siemens afferma, senza che la Commissione la smentisca, che, su più di 1500 progetti di GIS registrati nell’elenco mondiale, undici soltanto dovevano essere realizzati nel SEE. È vero che un numero così basso non rispecchia l’importanza dei mercati europei, non per questo, però, è giustificato non tener conto delle informazioni offerte da detto elenco.

124    Infatti, per prima cosa, né la ABB né la Commissione hanno asserito che l’elenco mondiale desse conto di tutti i progetti rilevanti per l’intesa. Per seconda cosa, l’assenza, in larga misura, di progetti «europei» nella detta lista si concilia perfettamente con la tesi secondo cui esistevano «paesi d’origine» che erano stati subito riservati a talune imprese, senza che i progetti ivi realizzati fossero imputati alle quote del cartello. Infine, per terza cosa, la Commissione ha invocato l’esistenza di accordi ulteriori a livello nazionale, nell’ambito dei quali potevano essere stati trattati progetti, accordi menzionati anche dal testimone M. Quest’ultimo ha spiegato che nella maggior parte dei paesi europei non costruttori esistevano da tempo intese locali tra i differenti produttori europei il cui funzionamento non doveva essere pregiudicato dagli accordi GQ e EQ. Pertanto, sarebbe stato deciso di non integrare tali paesi nella procedura di attribuzione dei progetti instaurata con tali accordi, ma di registrare semplicemente le attribuzioni di progetti di GIS da realizzare in tali paesi per imputarle alla quota mondiale delle imprese europee.

125    Ebbene, sia nel caso dei «paesi d’origine» che nell’ipotesi di intese locali preesistenti, non era necessario discutere progetti di GIS da realizzare nei paesi in causa nell’ambito dell’intero cartello, e questo spiegherebbe l’esiguo numero di progetti «europei» in un elenco di progetti attribuiti in tale contesto, tanto più che all’inizio del cartello paesi dai mercati importanti come la Francia, la Germania e l’Italia erano tutti, secondo quanto afferma la Commissione, «paesi d’origine».

126    Senza che occorra pronunciarsi definitivamente sull’esistenza dei pretesi accordi locali pregressi, contestati dalla Siemens, occorre dunque considerare che, viste le circostanze di specie, la bassa percentuale di progetti di GIS in Europa registrati nell’elenco mondiale non impedisce di tener conto, nella valutazione delle prove, delle informazioni che esso offre, in particolare delle informazioni relative agli undici progetti di GIS in Europa ivi menzionati.

127    Peraltro, come ha fatto osservare la Commissione nel controricorso, il ragionamento della Siemens, fondato sulla pretesa esclusione totale dei mercati europei – eccezion fatta per quelli di Liechtenstein e Islanda – dall’ambito di applicazione del cartello, quand’anche risponda a vero, non potrebbe spiegare perché l’elenco mondiale menzioni quanto meno un progetto di GIS nel SEE. Nella replica la Siemens non ha preso posizione al riguardo. In risposta a un apposito quesito scritto del Tribunale, essa si è limitata a contestare che gli undici progetti di GIS in Europa contenuti nell’elenco mondiale siano stati oggetto di concertazione in seno al cartello. Ebbene, com’è stato osservato ai punti 116 e 117 supra, si deve respingere questa contestazione, sollevata per la prima volta nel corso della fase orale del procedimento.

128    Ne consegue che la bassa percentuale di progetti di GIS in Europa registrati nell’elenco mondiale non rimette in discussione il fatto, stabilito da detto elenco, che progetti di GIS in Europa siano stati discussi e attribuiti in seno al cartello.

–       Sull’allegazione secondo cui alla Siemens non sarebbero stati attribuiti progetti di GIS nel SEE nell’ambito dell’intesa

129    La Siemens fa valere che l’elenco mondiale non indica nessun caso in cui le sarebbe stato attribuito un progetto di GIS da realizzare all’interno del SEE. Al riguardo si deve osservare anzitutto che, quand’anche tale allegazione della Siemens risponda al vero, essa non permette di escludere l’applicazione dell’art. 81 CE e dell’art. 53 dell’accordo SEE nei suoi confronti, dal momento che essa ha partecipato ad un accordo illegale relativo al mercato comune e al SEE prendendo parte alle discussioni su progetti e alle decisioni di attribuzione degli stessi ad altre imprese. Comportamenti siffatti pregiudicano in quanto tali il gioco della concorrenza, indipendentemente dall’identità dell’impresa che alla fine si aggiudica il progetto.

130    In ogni caso, l’allegazione della Siemens secondo cui l’elenco mondiale non darebbe atto dell’attribuzione di progetti a suo favore è errata. Infatti, al punto 164 della decisione impugnata, la Commissione cita tre progetti che la Siemens si è aggiudicata, cioè i progetti nn. 1327, 0140 e 0144. Per due di questi progetti, cioè i nn. 0140 e 0144, risulta dall’elenco mondiale che la Siemens era la sola impresa interessata ad assicurarseli e che alla fine se li è aggiudicati. Al contrario, per il primo progetto, recante il n. 1327, dall’elenco mondiale emerge che, oltre alla Siemens, anche la ABB e la Alstom vi avevano manifestato interesse e che il progetto era stato attribuito alla Siemens dopo averne discusso all’interno del cartello.

131    Infine, quanto all’argomento della Siemens secondo il quale, per due dei progetti ottenuti, da essa non meglio identificati, l’assegnazione sarebbe il risultato di pratiche concorrenziali, spetta alla Siemens fornirne la prova e dunque dimostrare che ordinativi ottenuti in condizioni simili, cioè a seguito di notifiche e discussioni in seno a un cartello, rispettano nondimeno le regole di concorrenza. Al riguardo occorre rilevare che, ammesso pure che l’infrazione si sia limitata alla notificazione e alla discussione dei progetti, essa ha potuto nondimeno falsare la concorrenza sul mercato rilevante. Infatti, a titolo di esempio, l’elenco mondiale non menziona, oltre alla Siemens, altre imprese interessate ai progetti nn. 0140 e 0144. Ciò vuol dire che la Siemens sapeva, dopo le discussioni di tali progetti in seno al cartello, che avevano avuto luogo, rispettivamente, il 25 giugno e il 16 luglio 1998, che non ci sarebbero stati altri offerenti, cosa che le consentiva, tra l’altro, di fissare prezzi più alti per le sue prestazioni. Peraltro, in un caso simile, vale a dire in un caso in cui solamente un’impresa ha manifestato interesse a un progetto, un’attribuzione specifica dei progetti non presentava alcun interesse, poiché l’unica impresa interessata poteva essere certa di vincere la gara. Sembra, dunque, del tutto naturale che i membri del cartello non abbiano proceduto ad un’attribuzione formale in ipotesi del genere; non per questo, però, è esclusa l’applicazione dell’art. 81 CE e dell’art. 53 dell’accordo SEE all’impresa aggiudicataria.

132    Di conseguenza, l’argomento della Siemens vertente sul difetto di attribuzione a suo favore, nell’ambito dell’intesa, di progetti di GIS nel SEE deve essere respinto.

–       Sull’analisi econometrica prodotta dalla Siemens

133    La Siemens invoca l’analisi econometrica dell’elenco mondiale effettuata da una società terza su sua richiesta (in prosieguo: l’«analisi»). Tale analisi, secondo la Siemens, rivelerebbe che, nell’elenco mondiale, si dà atto solamente di una parte minima del volume di mercato nel periodo di cui trattasi, pari a meno del 4% dei progetti di GIS nei paesi europei non «d’origine»; che i progetti di GIS all’interno del SEE non erano stati oggetto di un sistema di ripartizione analogo a quello previsto dagli accordi GQ e EQ e che non esisteva alcun nesso tra l’elenco mondiale e l’accordo GQ. L’analisi avrebbe dimostrato anche che il fatto che i produttori europei e giapponesi non avessero accesso gli uni ai mercati locali degli altri non si spiegava con un’intesa, bensì con gli ostacoli all’accesso ai mercati che permanevano nonostante la liberalizzazione dei mercati dell’energia. Infine, l’analisi avrebbe dimostrato che una tutela dei «paesi d’origine» non esisteva, visto che tanto la ABB quanto la Siemens erano ben presenti sui mercati di «paesi d’origine» diversi dai propri.

134    Ebbene, nella fattispecie, è solo per provare l’esistenza dell’intesa comune che la Commissione ha invocato i progetti europei menzionati nell’elenco mondiale, e non per provarne gli effetti concreti. Infatti, essa ha fondato la decisione impugnata a titolo principale sull’oggetto anticoncorrenziale dell’accordo sanzionato ivi all’art. 1. Essa ha constatato, anzitutto, ai punti 303 e 304 della decisione impugnata, che l’insieme degli accordi e/o delle pratiche concordate descritti aveva lo scopo di restringere la concorrenza, ai sensi dell’art. 81 CE e dell’art. 53 dell’accordo SEE, e che per questo era superfluo, ai fini dell’applicazione di tali disposizioni, prendere in considerazione gli effetti concreti dell’intesa, per poi aggiungere, al punto 308, che, per sua stessa natura, l’attuazione di un accordo come quello descritto distorce sensibilmente la concorrenza.

135    Al riguardo si deve ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, dal testo stesso dell’art. 81, n. 1, CE deriva che gli accordi tra imprese sono vietati indipendentemente dai loro effetti, qualora abbiano un oggetto anticoncorrenziale (sentenze Commissione/Anic Partecipazioni, punto 56 supra, punto 123, e JFE Engineering e a./Commissione, punto 49 supra, punto 181). Pertanto, la dimostrazione di effetti anticoncorrenziali effettivi non è necessaria allorché sia comprovato l’oggetto anticoncorrenziale dei comportamenti addebitati (v. sentenza del Tribunale 6 luglio 2000, causa T‑62/98, Volkswagen/Commissione, Racc. pag. II‑2707, punto 178 e la giurisprudenza ivi citata).

136    Ciò premesso, in primo luogo, l’analisi prodotta dalla Siemens è inconferente come mezzo di prova in quanto, per sua natura, può offrire informazioni solamente sugli effetti dell’intesa, mentre la constatazione della violazione dell’art. 81, n. 1, CE operata dalla Commissione è fondata essenzialmente sull’accertamento di un’intesa dall’oggetto anticoncorrenziale. Infatti, ammesso pure che – come sostiene la Siemens – l’analisi non abbia permesso di individuare indizi dell’intesa censurata dalla Commissione, ciò non infirmerebbe la constatazione di un’intesa volta ad impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza, nella misura in cui l’esistenza di tale intesa è provata a sufficienza di diritto. Pertanto, l’argomento della Siemens relativo alla mancanza di effetti dell’accordo in questione, anche a supporlo fondato, non può comportare, in via di principio, per sé solo, l’annullamento dell’art. 1 della decisione impugnata (v., in tal senso, sentenza della Corte 11 gennaio 1990, causa 277/87, Sandoz Prodotti Farmaceutici/Commission; sentenze del Tribunale 6 aprile 1995, causa T‑143/89, Ferriere Nord/Commissione, Racc. pag. II‑917, punto 30, e JFE Engineering e a./Commissione, punto 49 supra, punto 183).

137    In secondo luogo, l’analisi non può essere considerata una prova neutra e imparziale, in quanto è stata richiesta e finanziata dalla Siemens e sviluppata sul fondamento dei dati messi a disposizione da detta società, senza che l’esattezza o la pertinenza di tali dati sia stata oggetto di una verifica indipendente. Per questo motivo non si può attribuire a detta analisi un’attendibilità e, conseguentemente, un valore probatorio superiore a quello di semplice dichiarazione di parte della Siemens.

138    Di conseguenza, l’argomento tratto dai risultati dell’analisi prodotta dalla Siemens deve essere respinto.

 Sugli elementi di prova documentale

139    Quanto agli elementi di prova documentale, la Commissione si è basata, in sostanza, sugli accordi GQ e EQ e rispettivi allegati, su un documento non datato trovato nel corso delle indagini della Commissione nei locali del gruppo VA Tech, intitolato «Sintesi delle discussioni con JJC», su uno scambio di corrispondenza del 18 gennaio 1999 tra i sigg. Wa., J. e B., dipendenti del gruppo VA Tech, su una nota interna del 2 dicembre 2003, redatta dal sig. Wa., dipendente del gruppo VA Tech, su due fax del 21 luglio e del 18 dicembre 2003 della ABB alla Siemens e alla Alstom e su di una nota interna non datata, redatta verso settembre 2002 dal sig. Zi., dipendente del gruppo VA Tech.

–       Sull’accordo GQ e l’accordo EQ

140    Anzitutto si deve rilevare che, per quanto riguarda l’accordo GQ e l’accordo EQ coi relativi allegati, se è vero, com’è stato esposto ai punti 55‑58 della presente sentenza, che testualmente non provano l’esistenza di un’intesa con effetti nel SEE, sempre eccezion fatta per il Liechtenstein e l’Islanda, come indicato al punto 55 supra, l’accordo EQ contiene due disposizioni utili a capire l’influenza dell’intesa sul mercato comune.

141    In primo luogo, l’art. 2 dell’accordo EQ, intitolato «Notificazione», così prevede:

«I membri E notificano le indagini secondo le procedure usuali. Per quanto riguarda le discussioni con il gruppo G, i membri E notificano le indagini alla segreteria [europea] utilizzando la formula di notifica GQ di cui all’appendice 1».

142    Ebbene, occorre considerare che la locuzione «secondo le procedure usuali» permette di concludere che venivano effettuate notifiche – e dunque esisteva un’intesa – prima degli accordi GQ e EQ, conclusi tutti e due il 15 aprile 1988, fatto che la Commissione ha rilevato nella decisione impugnata, senza insistere sul punto e senza prevedere sanzioni al riguardo, e che la Siemens contesta. Detta locuzione non può essere interpretata, infatti, nel senso di «utilizzando la formula prevista ai fini dell’accordo GQ», perché la seconda frase dell’art. 2 dell’accordo EQ sarebbe allora ridondante rispetto alla prima.

143    In secondo luogo, l’allegato 2 dell’accordo EQ, contenente un «piano di comunicazione», enuncia, in particolare, che «[l]a segreteria [europea] notifica automaticamente i progetti [notificati dai produttori europei] a[lla segreteria giapponese], ad eccezione dei progetti europei» e che «i MM decidono in merito alla notifica dei progetti europei al gruppo G». Si deve precisare al riguardo che, come risulta sempre da questo allegato, i MM sono l’«assemblea delle parti» (members meeeting). Peraltro, risulta dall’allegato 1 dell’accordo GQ che «gruppo E» e «gruppo G» designavano, rispettivamente, il gruppo dei produttori europei e quello dei giapponesi. Inoltre, come ha constatato la Commissione al punto 147 della decisione impugnata, senza smentite da parte della Siemens, quest’ultima ha rivestito il compito di segretario europeo dell’intesa per tutto il periodo della sua prima partecipazione alla stessa, dal 1988 al 1999.

144    Discende, dunque, dall’allegato 2 dell’accordo EQ, per prima cosa, che progetti di GIS in Europa erano trattati in seno al gruppo dei membri europei dell’intesa e, per seconda cosa, che tali progetti erano trattati diversamente dai progetti di GIS nel resto del mondo, in quanto non erano notificati automaticamente al gruppo di produttori giapponesi, ma solo su decisione specifica dell’assemblea dei membri europei.

145    Ebbene, tali comunicazioni, anche ad ammettere che fossero effettuate solo occasionalmente su decisione specifica e/o a posteriori e globalmente, come ha fatto valere la Hitachi (v. punto 96 supra), non sono concepibili senza un motivo. Al contrario, nell’ambito di un cartello, come quello istituito dall’accordo GQ e dall’accordo EQ, una ragione per effettuare tali comunicazioni c’è e non può essere che una: trasmettere le informazioni serve ad attuare il cartello. Nella fattispecie, più precisamente, siccome, com’è stato osservato al precedente punto 55, la maggior parte dei paesi europei era esclusa dalla ripartizione dei progetti tra i gruppi di produttori europei e giapponesi in virtù dell’accordo GQ, non c’è altra spiegazione possibile per la comunicazione delle vendite effettuate dai produttori europei in tali paesi che quella che esse fossero imputate alla quota mondiale dei produttori europei stabilita dall’intesa. Ebbene, com’è stato spiegato al punto 98 supra, l’imputazione delle vendite nei paesi europei, al di fuori di quelli «d’origine», alla quota mondiale è a sua volta un indizio importante dell’esistenza dell’obbligo per i produttori giapponesi di astenersi dal penetrare il mercato europeo in virtù dell’intesa comune.

146    In ogni caso, gli argomenti presentati dalla Siemens al riguardo non possono essere accolti. In primo luogo, l’affermazione della Siemens secondo cui la Commissione tenta di evocare possibili accordi nell’Europa centrale e orientale come prova di presunte infrazioni commesse nel SEE, o accordi sopravvenuti tra il 2002 e il 2004, al fine di dimostrare gli effetti dell’intesa dal 1988 al 1999, è infondata. Infatti, la Commissione non ha fatto che argomentare dalle discussioni che hanno apparentemente avuto luogo tra i gruppi di produttori europei e giapponesi a proposito della questione se i mercati dell’Europa centrale ed orientale, nuovamente accessibili dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989, dovessero essere riservati anch’essi ai produttori europei. In tale contesto essa ha invocato, ai punti 126 e 127 della decisione impugnata, taluni progetti nei detti paesi che sarebbero stati oggetto di discussione con i produttori giapponesi, per dimostrare che questi ultimi ben avevano, in linea di principio, interesse e occasione di rifornire tali mercati. Tale ragionamento non può essere considerato in sé inappropriato.

147    In secondo luogo, deve essere respinto l’argomento della Siemens secondo cui la comunicazione al gruppo di produttori giapponesi poteva concernere solo i progetti nei paesi dell’Europa centrale ed orientale. Come la Commissione fa giustamente valere, al momento della conclusione dell’accordo GQ e dell’accordo EQ tali paesi non erano accessibili ai fornitori occidentali. Pertanto, i progetti europei menzionati nel piano di comunicazione dovevano essere realizzati nei paesi dell’Europa occidentale, la maggior parte dei quali, eccezion fatta per la Svizzera, faceva parte del SEE dal 1994. Allo stesso modo, contrariamente a quanto sostiene la Siemens, la tesi propugnata dalla Commissione non è illogica. Infatti, la Commissione non ha minimamente preteso, come lascia intendere la Siemens, che l’obbligo di notifica fosse «automatico» o «obbligatorio». Al contrario, era del tutto sufficiente, ai fini che la Commissione attribuisce a tale comunicazione, che essa fosse effettuata globalmente e a posteriori, su decisione specifica dell’assemblea dei membri europei del cartello.

148    Infine, si deve sottolineare che la Siemens non offre alcuna spiegazione convincente del fatto che il piano di comunicazione prevedesse di comunicare progetti di GIS in Europa al gruppo di produttori giapponesi, sia pure in maniera non sistematica e unicamente su decisione specifica del gruppo di produttori europei. In risposta ad un quesito del Tribunale in udienza, la Siemens ha fatto valere che tali comunicazioni potevano al più riguardare gli undici progetti di GIS in Europa, menzionati dalla Commissione al punto 164 della decisione impugnata, dunque un numero molto limitato di progetti, che rappresentava appena l’1% del volume di progetti registrati nell’elenco mondiale. Ebbene, com’è stato osservato al precedente punto 125, lo scarso numero di progetti «europei» nell’elenco mondiale non significa che il cartello non riguardasse altri progetti in Europa, ma può spiegarsi con il fatto che non era necessario discutere tali progetti nell’ambito dell’intesa generale, in presenza dei produttori giapponesi. Pertanto, l’elenco mondiale non può essere pertinente per determinare il numero di progetti oggetto di comunicazione ai produttori giapponesi conformemente al piano di comunicazione di cui all’allegato 2 dell’accordo EQ.

149    Ne consegue che l’allegato 2 dell’accordo EQ costituisce un valido elemento di prova della constatazione della Commissione secondo cui, da un lato, tra i progetti discussi e ripartiti tra i produttori europei vi erano anche progetti situati nell’Europa occidentale e, dall’altro, i produttori giapponesi dovevano tenersi lontani dai mercati europei in cambio dell’imputazione delle vendite effettuate in tali paesi dai produttori europei alla loro quota mondiale.

–       Sul documento rinvenuto nei locali del gruppo VA Tech, intitolato «Sintesi delle discussioni con JJC»

150    Al punto 135 della decisione impugnata, la Commissione invoca un documento trovato in un computer portatile nel corso degli accertamenti presso i locali del gruppo VA TECH, intitolato «Sintesi delle discussioni con JJC», il 10 giugno 2003. Si tratta di un documento in parte di difficile comprensione, che permette nondimeno di trarre qualche conclusione. In particolare, esso parla due volte di «paes. orig.», che evidentemente sono i «paesi d’origine», e fa inoltre riferimento ad un «Ultimo studio effettuato nel febbraio del 1999 – Esp. al di fuori dei paesi E e dei paesi produttori» fornendo, per ciascuno dei membri europei, identificati dai codici validi a partire da luglio 2002, che Siemens non contesta, le quote applicabili prima e dopo «02/99» (con ogni probabilità il riferimento è al mese di febbraio 1999). Tale documento indica altresì le quote di mercato dei membri sui mercati europei al di fuori dei «paesi d’origine» tra il 1988 e il 1998 e fornisce un elenco non esaustivo di paesi europei che non erano «paesi d’origine» («Fin, Dan, Nor, Es, Po, Irl, Bel, Gre, Lux...»).

151    Quanto al valore probatorio e all’attendibilità di tale documento, occorre tener conto del fatto che l’autore, sconosciuto, si esprime qui su fatti che risalgono a circa quattro anni prima della data di redazione del documento e che sono stati riferiti probabilmente anch’essi da uno sconosciuto. Infatti, la persona designata come «JJC» non è identificata e le sue iniziali non corrispondono a nessuna delle persone indicate dalla Commissione, all’allegato II della decisione impugnata, come partecipanti all’intesa per conto delle imprese interessate. Se tali circostanze non sono di natura tale da togliere qualunque valore probatorio a tale documento, esse inducono nondimeno a cautela nel trarre conclusioni, segnatamente per quanto concerne il valore da attribuire ai dati dettagliati che esso contiene, e giustificano che gli si attribuisca un valore probatorio solamente medio.

152    Si deve dunque attribuire un certo valore probatorio al fatto che non solo tale documento evoca due volte la nozione di «paesi d’origine», ma contiene anche un elenco indicativo dei paesi non produttori, nonché al fatto che esso lascia chiaramente scorgere una differenza di regime applicabile tra i paesi non costruttori e i paesi costruttori, in quanto per questi ultimi non valevano le quote fissate all’interno del cartello. Rispetto a quest’ultimo punto, poi, si deve osservare che le quote indicate nel documento come applicabili «dopo il 02/1999» corrispondono esattamente a quelle che la Commissione, al punto 145 della decisione impugnata, sul fondamento di altri elementi di prova, ha constatato applicate verso la fine della prima fase della partecipazione della Siemens all’infrazione.

153    Dal suddetto documento si può ugualmente dedurre che i produttori europei all’interno del cartello si scambiavano informazioni sui propri volumi di affari in Europa, «paesi d’origine» esclusi. Infatti, la conoscenza, all’interno dell’impresa del gruppo VA Tech (in prosieguo: l’«impresa VA Tech»), di dati precisi sulle quote di mercato in Europa (al di fuori dei «paesi d’origine») dei produttori europei, e ciò per 10 anni, non può spiegarsi altrimenti che con il fatto che tali produttori si informassero reciprocamente sulle rispettive vendite in Europa, esclusi i «paesi d’origine».

–       Sulla corrispondenza intercorsa il 18 gennaio 1999 tra i signori Wa., J. e B., dipendenti del gruppo VA Tech

154    Il 18 gennaio 1999 il sig. Wa. ha inviato una e-mail al sig. J. che l’ha inoltrata a sua volta, lo stesso giorno, stampata e annotata, per fax, al sig. B. In tale e-mail, intitolata «Siemens nel Regno Unito», il sig. Wa. avverte il sig. J. che la Siemens era in procinto di allearsi con un’altra società per progetti nel Regno Unito, cosa che veniva percepita come una minaccia e definita, all’interno dell’«UK forum», un «cattivo comportamento» (bad behaviour). Tuttavia, non essendo stata ottenuta nessuna spiegazione, il sig. Wa. proponeva di attendere e di vedere cosa sarebbe accaduto. Nel fax il sig. J. invitava a reagire minacciando di penetrare il mercato tedesco nel settore delle GIS di 400 kilovolt. Ricordava, inoltre, la posizione del gruppo VA Tech secondo la quale il mercato del Regno Unito apparteneva storicamente, in parti uguali, alle società Reyrolle e GEC (le cui attività in materia di GIS sono state accorpate a quelle della Alstom nel 1989) e ogni altra impresa che avesse ottenuto ordini d’acquisto doveva una compensazione, sebbene i meccanismi previsti a tal fine si fossero purtroppo rivelati insufficienti.

155    Nella sua risposta ai quesiti scritti del Tribunale la Siemens ha fatto valere che da tale documento risulterebbe unicamente che, a parere dell’autore della e-mail, essa fosse un concorrente aggressivo sul mercato del Regno Unito. Per contro, non risulterebbe alcuna conferma dell’esistenza di «paesi d’origine» protetti.

156    In primo luogo, si deve considerare che tale scambio di corrispondenza attesta nondimeno l’esistenza, nell’ambito del cartello, di una protezione del mercato del Regno Unito a vantaggio dei produttori storici Reyrolle e GEC, cosa che potrebbe essere qualificata, in sostanza, benché il termine non ricorra espressamente, una tutela dei «paesi d’origine». Il fatto che altri membri europei del cartello siano stati attivi su tale mercato non osta ad una tale interpretazione, poiché, con ogni evidenza, esisteva un meccanismo di compensazione, anche se – a quanto pare – non funzionava in maniera soddisfacente. In secondo luogo, risulta dal fax che l’impresa VA Tech si era tenuta fino a quel momento lontana dal mercato tedesco – quanto meno nel settore delle GIS da 400 kilovolts – e questo per ragioni né tecniche né commerciali, visto che viene ipotizzato un ingresso su tale mercato come misura di rappresaglia nei confronti della Siemens. Se ne deve dedurre l’esistenza di una protezione anche del mercato della Germania quale «paese d’origine», in assenza di altra spiegazione plausibile. In terzo luogo, risulta dalla e‑mail che esisteva un «forum Regno Unito», nel quale venivano dibattuti problemi relativi al mercato britannico. Senza che occorra, nell’ambito del presente procedimento, prendere definitivamente posizione al riguardo, potrebbe trattarsi di un forum di concertazione locale dei membri del cartello attivi su tale mercato.

157    In quanto documenti redatti in vigenza del cartello da persone implicate nello stesso, tali scritti costituiscono un elemento di prova di altissimo valore probatorio.

–       Sugli elementi di prova documentali relativi a fatti avvenuti tra il 2002 e il 2004

158    Riguardo alla nota interna del 2 dicembre 2003, redatta dal sig. We., che riassume una riunione tenutasi nei giorni 1 e 2 dicembre 2003, al fax del 21 luglio 2003, inviato dalla ABB alla Alstom e alla Siemens, concernente una riunione relativa a progetti in Germania, al fax del 18 dicembre 2003, inviato dalla ABB alla Alstom, concernente la situazione sul mercato britannico, e alla nota interna non datata, redatta verso settembre 2002 dal sig. Zi., si deve osservare che tali quattro documenti riguardano unicamente situazioni e avvenimenti relativi chiaramente al periodo compreso tra il 2002 e il 2004.

159    Ebbene, com’è stato osservato al punto 37 della presente sentenza, occorre respingere l’argomento della Commissione secondo il quale sarebbe legittimo riportare osservazioni relative al periodo 2002‑2004 al periodo anteriore, poiché si tratterebbe di una sola ed unica infrazione. Al contrario, dal momento che, a seguito dell’interruzione della propria partecipazione da parte di determinate imprese, le attività del cartello si erano ridotte negli anni 1999‑2002 e che l’anno 2002 ha segnato una nuova partenza con un sistema modificato, occorre piuttosto provare una continuità di scopi, di partecipanti e di portata del cartello per dimostrare che si tratti effettivamente di un’infrazione unica.

160    Di conseguenza, si deve considerare che i quattro documenti suddetti non possono costituire elementi di prova per la prima fase della partecipazione della Siemens all’infrazione, ossia dal 1988 al 1999.

d)     Conclusioni sul secondo capo del primo motivo

 Sugli effetti del cartello all’interno del SEE

161    L’intesa ha avuto effetti all’interno del SEE poiché i produttori europei hanno discusso progetti di GIS all’interno del SEE e se li sono ripartiti. Tale fatto è attestato dall’insieme di prove costituite dalle dichiarazioni della ABB – compresi l’elenco di progetti «europei» che figura al punto 164 della decisione impugnata e le dichiarazioni del sig. M. –, le dichiarazioni della Fuji e della Hitachi, l’allegato 2 dell’accordo EQ, il documento «Sintesi delle discussioni con JJC» e lo scambio di corrispondenza del 18 gennaio 1999. Tra tali elementi di prova le dichiarazioni del sig. M., della Fuji e della Hitachi nonché l’allegato 2 dell’accordo EQ e lo scambio di corrispondenza del 18 gennaio 1999 hanno un elevato valore probatorio.

162    Le dichiarazioni della Melco invocate dalla Siemens a dimostrazione del contrario non sono sufficienti, rispetto a tale serie di indizi concordanti, a mettere in causa tale conclusione. La Melco, infatti, si riferisce soprattutto all’ambito di applicazione dell’intesa globale, vale a dire al coordinamento tra i gruppi di produttori europei e giapponesi e al fatto che, nell’ambito del cartello, non c’erano discussioni sul mercato europeo o progetti di GIS sullo stesso. Al riguardo essa afferma di non disporre di prove di un accordo sul mercato europeo. Al contrario, in quanto impresa giapponese, essa non potrebbe essere informata delle discussioni condotte in seno al gruppo dei produttori europei. Ebbene, essa lascia espressamente intravedere la possibilità che altre imprese aderenti al cartello abbiano ampliato l’oggetto delle loro discussioni ad altri ambiti, sottolineando perfino che, più volte, i produttori giapponesi avevano dovuto attendere, prima dell’inizio delle riunioni del cartello, che terminassero le discussioni dei produttori europei, discussioni di cui ignora il contenuto. A parte il fatto che la Melco contesta la ripartizione dei mercati europei e giapponesi tra i due gruppi di produttori e indipendentemente dalla questione se le sue dichiarazioni siano o meno credibili, occorre rilevare che tali dichiarazioni non possono, dunque, essere comprese come una conferma della posizione della Siemens secondo cui non c’erano state discussioni e attribuzioni di progetti di GIS nel SEE.

 Sulla riserva dei mercati europei e giapponesi, rispettivamente, ai gruppi di produttori europei e giapponesi

163    Il fatto che i produttori europei e giapponesi si siano globalmente ripartiti i mercati, in modo che il mercato giapponese era riservato ai produttori giapponesi e quello europeo agli europei, è attestato dalle dichiarazioni della ABB e del sig. M. nonché dalle dichiarazioni della Fuji e della Hitachi e dall’allegato 2 dell’accordo EQ. Eccezion fatta per le dichiarazioni della ABB, tutti questi elementi di prova hanno valore probatorio elevato.

 Sulla tutela dei «paesi d’origine» in Europa

164    Il fatto che esistesse una tutela dei «paesi d’origine» in Europa, di modo che i mercati dei paesi nei quali i produttori europei erano presenti storicamente fossero loro riservati sin dal primo momento e senza imputazione delle quote nell’ambito del cartello, è attestato dall’insieme di prove costituite dalle dichiarazioni della ABB e del sig. M. nonché dal documento «Sintesi delle discussioni con JJC» e dallo scambio di corrispondenza del 18 gennaio 1999. Tra questi elementi di prova le dichiarazioni del sig. M. hanno valore probatorio elevato e lo scambio di corrispondenza del 18 gennaio 1999 valore addirittura elevatissimo.

165    Riassumendo, ognuno degli addebiti mossi alla Siemens è fondato, oltre che sulle dichiarazioni della ABB e del sig. M., su altri elementi di prova di valore probatorio elevato, nonché su altri elementi di minor valore probatorio. Occorre pertanto considerare che l’insieme di tali elementi di prova permette di dimostrare l’esistenza dell’intesa contestata nella decisione impugnata.

166    Risulta da tutto quanto precede che la Commissione ha dimostrato sufficientemente l’esistenza, dal 1988 al 1999, di un cartello – in particolare, il fatto che tale cartello abbia avuto effetti nel SEE –, l’esistenza di una ripartizione dei mercati tra i produttori europei e quelli giapponesi e l’esistenza della protezione dei «paesi d’origine».

167    Ne consegue che occorre respingere il secondo capo del primo motivo e, per ciò stesso, l’intero primo motivo.

II –  Sul secondo motivo, vertente sulla violazione dell’art. 25 del regolamento n. 1/2003

168    Il secondo motivo della Siemens si articola in tre capi. Nell’ambito del primo capo essa fa valere che la Commissione non ha provato che abbia partecipato al cartello posteriormente al 22 aprile 1999. Con il secondo capo invoca la prescrizione delle azioni e con il terzo fa valere di non aver partecipato all’intesa oltre il 1° gennaio 2004.

A –  Sul primo capo del secondo motivo, concernente l’assenza di prove di una partecipazione all’infrazione tra aprile e settembre 1999

1.     1. Argomenti delle parti

169    A sostegno di tale capo la Siemens solleva otto censure vertenti, rispettivamente, su un difetto di prova della sua partecipazione ad un accordo sui progetti dopo il mese di aprile 1999, su un difetto di prova della sua partecipazione ad una riunione dopo il 22 aprile 1999, sulla contraddittorietà e inattendibilità delle dichiarazioni della ABB, sull’irricevibilità delle dichiarazioni del sig. M., sul difetto di prova documentale chiara della sua partecipazione al cartello fino al settembre 1999, sul difetto di prove chiare risultanti da dichiarazioni di altre imprese che hanno partecipato al cartello, sulla mancata considerazione degli elementi che proverebbero l’interruzione della sua partecipazione al cartello da aprile 1999 e, infine, sulla mancata considerazione delle prove economiche empiriche nel senso dell’interruzione della sua partecipazione al cartello al più tardi dal mese di aprile 1999.

170    La Commissione contesta gli argomenti della Siemens.

2.     Giudizio del Tribunale

171    Si deve osservare, preliminarmente, che è pacifico che la Siemens ha interrotto la sua partecipazione al cartello nel 1999. Al contrario, le parti sono di discordante avviso quanto alla data esatta di tale interruzione. La Siemens contesta di aver partecipato al cartello oltre il 22 aprile 1999, data della riunione di Sydney (Australia), che è stata l’ultima cui essa ha partecipato. La Commissione, pur ammettendo, come risulta dal punto 295 della decisione impugnata, che non le è stato possibile stabilire la data esatta di detta interruzione, ha fissato il ritiro della Siemens al 1° settembre 1999. Essa ha determinato tale data sul fondamento delle dichiarazioni della ABB e del sig. M. e delle indicazioni contenute nel documento intitolato «Sintesi delle discussioni con JJC», scoperto nel corso degli accertamenti nei locali del gruppo VA Tech e che essa ritiene confermato dalle dichiarazioni delle società Areva, Melco, Fuji e Hitachi/JAEPS.

172    Tale disaccordo tra le parti pone la questione di stabilire a chi competa l’onere della prova al riguardo. Mentre la Siemens ritiene che spetti alla Commissione provare che essa abbia partecipato al cartello fino al 1° settembre 1999, la Commissione sostiene che, una volta che essa abbia dimostrato la partecipazione di un’impresa ad un cartello, tale partecipazione è presunta fino alla prova della sua cessazione, prova che deve essere apportata dall’impresa medesima partecipante al cartello.

a)     Sulla ripartizione dell’onere della prova tra la Siemens e la Commissione

173    Quanto alla questione della data in cui è cessata la partecipazione della Siemens all’infrazione, si deve ricordare, preliminarmente, la costante giurisprudenza secondo la quale, da un lato, alla parte o all’autorità che asserisce l’esistenza di un’infrazione alle regole sulla concorrenza spetta l’onere di dimostrarla, dando piena prova dei fatti che integrano l’infrazione, e, dall’altro, all’impresa che invoca il beneficio della difesa contro la constatazione dell’infrazione incombe l’onere di provare che le condizioni per l’applicazione di detta difesa sono soddisfatte, di modo che detta autorità dovrà ricorrere ad altri elementi di prova (sentenza Peróxidos Orgánicos/Commissione, punto 65 supra, punto 50; v. anche, in tal senso, sentenze Baustahlgewebe/Commissione, punto 43 supra, punto 58, e Aalborg Portland e a./Commissione, punto 48 supra, punto 78).

174    Nel caso di specie, il principio generale secondo cui la Commissione deve provare tutti gli elementi costitutivi dell’infrazione, compresa la durata (v., in tal senso, sentenze del Tribunale 7 luglio 1994, causa T‑43/92, Dunlop Slazenger/Commissione, Racc. pag. II‑441, punto 79; 13 dicembre 2001, causa T‑48/98, Acerinox/Commissione, Racc. pag. II‑3859, punto 55, e 29 novembre 2005, causa T‑62/02, Union Pigments/Commissione, Racc. pag. II‑5057, punto 36), che possono avere un’incidenza sulle sue conclusioni definitive in ordine alla gravità dell’infrazione stessa non è rimesso in discussione dal fatto che la Siemens ha sollevato, nell’ambito del secondo capo del secondo motivo, una censura vertente sulla prescrizione, che, in linea di principio, compete al ricorrente dimostrare.

175    In effetti, è evidente che l’invocazione di tale motivo di difesa implica necessariamente che la durata dell’infrazione e la data in cui questa ha avuto fine siano dimostrate. Ebbene, simili circostanze non giustificano di per sé l’inversione dell’onere della prova al riguardo ai danni della ricorrente. Da un lato, la durata di un’infrazione – dato che implica che sia noto il momento finale della stessa – costituisce uno degli elementi essenziali dell’infrazione, che incombe alla Commissione dimostrare, anche quando la contestazione di tali elementi formi altresì parte di un motivo vertente sulla prescrizione. D’altro lato, tale conclusione si giustifica alla luce del fatto che la non avvenuta prescrizione dell’azione della Commissione, di cui all’art. 25 del regolamento n. 1/2003, costituisce un criterio giuridico obiettivo, che discende dal principio di certezza del diritto (v., in questo senso, sentenza del Tribunale 6 ottobre 2005, cause riunite T‑22/02 e T‑23/02, Sumitomo Chemical e Sumika Fine Chemicals/Commissione, Racc. pag. II‑4065, punti 80‑82), e, quindi, una condizione per la validità di qualsiasi decisione che infligga una sanzione. Infatti, la Commissione deve osservarlo anche qualora l’impresa non sollevi un motivo a questo proposito (sentenza Peróxidos Orgánicos/Commissione, punto 65 supra, punto 52).

176    Si deve precisare che tale ripartizione dell’onere della prova è però suscettibile di variazione, in quanto gli elementi di fatto che una parte fa valere possono essere tali da obbligare l’altra parte a fornire una spiegazione o una giustificazione, in mancanza della quale è lecito ritenere che l’onere della prova sia stato soddisfatto (sentenza Peróxidos Orgánicos/Commissione, punto 65 supra, punto 53; v. anche, nel medesimo senso, sentenza Aalborg Portland e a./Commissione, punto 48 supra, punto 79). In particolare, ogniqualvolta, come nella presente fattispecie, la Commissione fornisce la prova dell’esistenza di un accordo, spetta all’impresa che vi ha partecipato fornire la prova di essersene dissociata, prova che deve dimostrare una volontà inequivocabile, e portata a conoscenza delle altre imprese partecipanti, di sottrarsi a tale accordo (sentenza del Tribunale 27 settembre 2006, causa T‑168/01, GlaxoSmithKline Services/Commissione, Racc. pag. II‑2969, punto 86; v. anche, nel medesimo senso, sentenze della Corte 6 gennaio 2004, cause riunite C‑2/01 P e C‑3/01 P, BAI e Commissione/Bayer, Racc. pag. I‑23, punto 63, e Aalborg Portland e a./Commissione, punto 48 supra, punti 81‑84).

177    È alla luce di tali principi che occorre verificare se la Commissione abbia correttamente dimostrato i fatti sui quali si è basata per affermare che la Siemens ha interrotto la sua partecipazione al cartello il 1° settembre 1999.

b)     Sul valore probatorio degli elementi sui quali la Commissione fonda l’affermazione che la Siemens ha interrotto la sua partecipazione al cartello il 1° settembre 1999

178    In via preliminare occorre ricordare gli elementi di fatto essenziali sui quali la Commissione ha fondato l’affermazione secondo cui la Siemens ha interrotto la partecipazione al cartello il 1° settembre 1999, quali risultano, in particolare, dai punti 186, 295, 296 e 298 della decisione impugnata.

179    In primo luogo, la ABB ha dichiarato che la Siemens aveva cessato di partecipare alle riunioni del cartello a partire dalla fine del 1999 e il sig. M. ha indicato che la Siemens si era ritirata nel settembre 1999. In secondo luogo, il documento intitolato «Sintesi delle discussioni con JJC», rinvenuto nei locali del gruppo VA Tech, contiene un’indicazione che la Commissione interpreta in riferimento alla dissociazione della Siemens nel mese di settembre 1999. In terzo luogo, la Commissione indica che la Areva, la Melco, la Fuji e la Hitachi/JAEPS hanno confermato che la Siemens si è ritirata nel mese di settembre 1999.

 Sulle dichiarazioni della ABB e del sig. M.

180    Nell’ambito della terza censura invocata a sostegno del presente capo, la Siemens fa valere che le dichiarazioni della ABB sono particolarmente generali e contraddittorie e che sono «mutate» in funzione delle circostanze, al punto da perdere ogni forza probatoria.

181    Al riguardo si deve rilevare che, nella dichiarazione del 7 maggio 2004, la ABB ha indicato che «verso il 1999, per quanto a sua conoscenza, la Siemens si è ritirata dal cartello per qualche tempo». Il sig. M., da parte sua, ha risposto alla Commissione, che gli chiedeva, nell’audizione del 23 settembre 2005, di indicare esattamente quando la Siemens avesse interrotto la partecipazione al cartello, quanto segue:

«Non esattamente. Eravamo a Ginevra, ricordo quando il sig. Th. ha reso l’annuncio, ma non al 100%. Era nel ‘99. Autunno o primavera, non ricordo. È importante?».

182    Infine, in una dichiarazione del 4 ottobre 2005, la ABB ha indicato che il sig. M. si era nel frattempo ricordato che la Siemens aveva partecipato anche alla riunione annua di Sydney dell’aprile 1999 e che si era ritirata dal cartello solamente quattro o cinque mesi più tardi, vale a dire ad agosto o a settembre, come avrebbe annunciato il sig. Th. in una riunione operativa a Ginevra (Svizzera).

183    Si deve dunque constatare che le dichiarazioni della ABB e del sig. M. sulla data esatta in cui la Siemens ha interrotto la propria partecipazione al cartello nel 1999 sono progressivamente cambiate. Esse, tuttavia, non sono contraddittorie, ma semplicemente sono andate precisandosi nel corso del tempo («verso il 1999», «primavera o autunno 1999» e, infine, «agosto o settembre 1999») man mano che il sig. M., che sembra essere la fonte di informazione principale, all’interno della ABB, per i fatti relativi all’interruzione della partecipazione della Siemens al cartello, si ricordava di dettagli vieppiù precisi.

184    In particolare, si deve tener presente che, contrariamente a quanto fa valere la Siemens, gli ulteriori ricordi del sig. M., che hanno dato luogo alle dichiarazioni della ABB del 4 ottobre 2005, non contraddicono le sue dichiarazioni precedenti quanto all’interruzione della partecipazione della Siemens. Infatti, anche se ha indicato che, a seguito degli sviluppi sfavorevoli del mercato nel 1997 e nel 1998, la Siemens aveva rilanciato una concorrenza aggressiva sui prezzi, non ha punto indicato che tale politica predatoria avesse avuto luogo già nel 1998. Da un lato, è plausibile che il processo decisionale all’interno della Siemens su come reagire al meglio all’involuzione del mercato abbia potuto richiedere tempo. Dall’altro, è parimenti concepibile che la Siemens, pur avendo deciso alla fine del 1998 di non proseguire la propria partecipazione al cartello e di adottare un comportamento più aggressivo sul mercato, abbia cercato di approfittare il più possibile degli effetti dell’intesa ritardando l’annuncio della sua decisione al mese di settembre 1999. Ebbene, secondo una giurisprudenza costante, un simile comportamento, sempre che sia dimostrato, non è sufficiente per constatare un’interruzione, giacché è possibile che un’impresa che si comporta in tale maniera cerchi semplicemente di avvalersi dell’intesa a proprio vantaggio (v., in tal senso, sentenze del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑327/94, SCA Holding/Commissione, Racc. pag. II‑1373, punto 142; Mannesmannröhren-Werke/Commissione, punto 54 supra, punti 277 e 278; Union Pigments/Commissione, punto 174 supra, punto 130, e 27 settembre 2006, causa T‑43/02, Jungbunzlauer/Commissione, Racc. pag. II‑3435, punto 269).

185    Per quanto concerne la contestazione delle dichiarazioni della ABB da parte della Siemens, si deve considerare che, anche se non si può escludere, com’è stato constatato al punto 64 supra, che la ABB abbia potuto indursi ad enfatizzare l’importanza del comportamento illecito delle proprie concorrenti, non per questo le sue dichiarazioni e quelle del sig. M. sono prive di ogni valore probatorio quanto all’interruzione della partecipazione della Siemens al cartello nel 1999. Infatti, poiché la ABB si riferisce, al riguardo, esclusivamente ai ricordi del sig. M., è l’attendibilità della testimonianza del sig. M. che determina quella delle dichiarazioni della ABB. Orbene, com’è stato osservato al precedente 76, il fatto che possa esistere qualche inesattezza minima nelle dichiarazioni del sig. M. non è sufficiente a pregiudicare in via generale il valore probatorio delle sue dichiarazioni.

186    Si deve inoltre respingere la quarta censura sollevata dalla Siemens a sostegno del presente capo, secondo cui le dichiarazioni del sig. M. sono irricevibili come mezzi di prova poiché essa non ha avuto, nonostante quanto preveda l’art. 6, n. 3, lett. d), della CEDU, la possibilità di ascoltare o di interrogare direttamente tale testimone.

187    Risulta da una giurisprudenza costante che i diritti fondamentali fanno parte integrante dei principi generali del diritto, dei quali il giudice comunitario garantisce l’osservanza (parere della Corte 28 marzo 1996, 2/94, Racc. pag. I‑1759, punto 33, e sentenza della Corte 29 maggio 1997, causa C‑299/95, Kremzow, Racc. pag. I‑2629, punto 14). A tal fine la Corte e il Tribunale s’ispirano alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri e alle indicazioni fornite dai trattati internazionali relativi alla tutela dei diritti dell’uomo cui gli Stati membri hanno cooperato e aderito. La CEDU riveste, a questo proposito, un significato particolare (sentenze della Corte 15 maggio 1986, causa 222/84, Johnston, Racc. pag. 1651, punto 18, e Kremzow, cit., punto 14). Peraltro, ai sensi dell’art. 6, n. 2, TUE, l’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla CEDU e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario.

188    Di conseguenza, occorre valutare se, alla luce di queste considerazioni, la Commissione abbia trasgredito il principio fondamentale del diritto comunitario che impone la tutela dei diritti della difesa (sentenza della Corte 9 novembre 1983, causa 322/81, Nederlandsche Banden-Industrie-Michelin/Commissione, Racc. pag. 3461, punto 7), non offrendo alla Siemens la possibilità di interrogare direttamente il testimone M.

189    Ebbene, si deve rilevare che, secondo una giurisprudenza costante, detto principio implica che le imprese e le associazioni di imprese interessate da un’indagine della Commissione in materia di concorrenza siano messe in grado, sin dalla fase del procedimento amministrativo, di far conoscere in modo efficace il loro punto di vista sulla realtà e sulla rilevanza dei fatti, degli addebiti e delle circostanze allegati dalla Commissione (v. sentenza del Tribunale 27 settembre 2006, causa T‑314/01, Avebe/Commissione, Racc. pag. II‑3085, punto 49 e la giurisprudenza ivi citata). Per contro, detto principio non esige che a tali imprese sia data la possibilità di controinterrogare, nell’ambito del procedimento amministrativo, i testimoni sentiti dalla Commissione (v., in tal senso, sentenza Aalborg Portland e a./Commissione, punto 48 supra, punto 200).

190    Pertanto, si deve respingere la presente censura della Siemens.

191    In conclusione, occorre attribuire alle dichiarazioni della ABB e a quelle del sig. M. un valore probatorio elevato quanto alla data in cui la Siemens ha interrotto la propria partecipazione all’intesa nel 1999. Nondimeno, conformemente al principio esposto al punto 66 supra, tali dichiarazioni devono essere corroborate da altri elementi di prova.

 Sul documento intitolato «Sintesi delle discussioni con JJC»

192    Com’è già stato esposto al punto 151 supra, il valore probatorio di tale documento va ponderato con cautela, specie per quanto concerne il rilievo da attribuire ai dettagli che contiene. Ebbene, la data esatta in cui la Siemens ha interrotto la sua partecipazione all’intesa nel 1999 costituisce appunto un’informazione dettagliata. Per di più, quanto alla menzione della data di tale interruzione, il documento non è scevro da ambiguità.

193    Alla prima linea del documento è scritto, infatti, quanto segue:

«A/Stop  3 ==> 09/99 1 ==> [...] nel corso del 00»

194    Poiché, al momento della creazione del documento, il 10 giugno 2003, il numero «3» era il codice della Siemens all’interno del cartello, la Commissione ne ha dedotto che la Siemens aveva interrotto la sua partecipazione all’intesa nel mese di settembre 1999. Ebbene come la Siemens fa valere a buon diritto con la sua quinta censura, vertente sul difetto di prova documentale chiara della propria partecipazione all’intesa fino al settembre 1999, una tale interpretazione conduce obbligatoriamente a concludere che la ABB, designata dal codice «1», ha interrotto la propria partecipazione al cartello nel corso del 2000, mentre è pacifico che la ABB ha sempre partecipato all’intesa. Pertanto, o l’interpretazione di tale brano del documento offerta dalla Commissione è errata, in quanto non si riferisce all’interruzione della partecipazione della Siemens al cartello, oppure è errata l’indicazione «1 ==> per un certo periodo nel corso del 00», nella quale ipotesi non vi è motivo di attribuire maggiore attendibilità all’indicazione «3 ==> 09/99». In ogni caso, si deve escludere l’interpretazione della Commissione secondo cui il termine «Stop» della prima linea del documento citato al punto 193 supra si riferisce solo all’indicazione «3 ==> 09/99» e non all’indicazione «1 ==> [...] nel corso del 00».

195    Se ne deve concludere che il valore probatorio di tale documento, quanto alla data in cui la Siemens ha interrotto la sua partecipazione all’infrazione nel 1999, è estremamente modesto.

 Sulle dichiarazioni della Areva, della Melco, della Fuji e della Hitachi/JAEPS

–       Sulle dichiarazioni della Areva

196    Quanto alle dichiarazioni della Areva, la Commissione si riferisce, al punto 186 della decisione impugnata, ad un documento prodotto da quest’ultima nell’ambito della propria domanda di immunità dalle ammende intitolato «Nota esplicativa concernente il funzionamento dell’intesa per i mercati GIS». Sotto la rubrica «Cronistoria» è ivi indicato quanto segue:

«Una prima intesa esisteva tra la fine degli anni ‘80 e il 1997, quando è stata interrotta. A partire dal 1997 i partecipanti hanno continuato a riunirsi, ma senza accordarsi sulla ripartizione dei mercati né sui prezzi, e le riunioni relative a tale cartello sono cessate a settembre 1999, con il ritiro definitivo della Siemens».

197    In primo luogo, si deve rilevare che tale indicazione non è priva di ambiguità. Infatti, come fa valere la Siemens nell’ambito della sesta censura invocata a sostegno del presente capo, è possibile interpretarla nel senso che l’interruzione della sua partecipazione al cartello ha avuto luogo prima del settembre 1999, ma che l’effetto di tale interruzione – cioè la cessazione delle riunioni nell’ambito dell’intesa – è sopravvenuto solo a settembre. Tuttavia, una tale interpretazione non è evidente. Occorre notare, peraltro, che l’affermazione della Areva secondo cui le riunioni sarebbero cessate a partire dal settembre 1999 si è rivelata, in seguito, falsa, com’è attestato, in particolare, dalle prove presentate dalla Commissione ai punti 191‑197 della decisione impugnata. Se tale circostanza non rende più probabile l’una interpretazione o l’altra del brano citato al punto 196 supra, essa è in ogni caso idonea a revocare in dubbio in via generale l’attendibilità delle dichiarazioni della Areva. Si deve rilevare, al riguardo, che la Commissione medesima ha definito, ai punti 290 e 291 della decisione impugnata, le dichiarazioni della Areva «contraddittorie e ambigue», fatto che è stato ritenuto, tra gli altri, una ragione per non accordarle la riduzione dell’ammenda ai sensi della comunicazione sulla cooperazione, come risulta dal punto 531 della decisione impugnata.

198    Pertanto, occorre attribuire un valore probatorio piuttosto debole alle dichiarazioni della Areva.

199    In secondo luogo, nella misura in cui la Commissione si fonda, al punto 285 e alla nota a piè di pagina n. 237 della decisione impugnata, sulla risposta della Areva alla comunicazione degli addebiti, si deve accogliere l’argomento sollevato dalla Siemens secondo cui tale risposta non può essere utilizzata nei suoi confronti, poiché essa non vi ha avuto accesso prima dell’adozione della decisione impugnata (v., in tal senso, la giurisprudenza citata al punto 189 supra). La Commissione ha infatti confermato, nella risposta ai quesiti scritti del Tribunale prima dell’udienza, che la risposta della Areva alla comunicazione degli addebiti non era stata comunicata alla Siemens prima dell’adozione della decisione impugnata.

–       Sulle dichiarazioni della Melco

200    La Melco ha dichiarato, in un documento datato 4 novembre 2004 e prodotto nell’ambito della sua domanda ai sensi della comunicazione sulla cooperazione:

«Fino a settembre 1999 il Gruppo è andato avanti senza frizioni in linea con i propri obiettivi. Poi, a settembre 1999, nel corso di una riunione del Gruppo, la Siemens ha dichiarato ufficialmente di ritirarsi, perché i suoi massimi dirigenti avevano scoperto le attività del Gruppo».

201    La Melco ha dunque confermato espressamente e inequivocabilmente che la Siemens aveva annunciato l’interruzione della sua partecipazione al cartello soltanto nel mese di settembre 1999.

202    Nell’ambito della sesta censura invocata a sostegno del presente capo, la Siemens fa valere che, al punto 292 della decisione impugnata, la Commissione medesima ha qualificato le dichiarazioni della Melco prive di valore probatorio, a causa del loro carattere contraddittorio ed ambiguo. Si deve rilevare, al riguardo, che, nel corso del procedimento amministrativo, la Melco ha presentato due diverse dichiarazioni, vale a dire, da un lato, un documento datato 4 novembre 2004, prodotto nell’ambito della domanda ai sensi della comunicazione sulla cooperazione, da cui proviene il brano citato al punto 200 supra e, dall’altro, la risposta alla comunicazione degli addebiti, datata 5 luglio 2006. Ebbene è solo quest’ultima ad essere priva di valore probatorio secondo la definizione di cui al punto 292 della decisione impugnata. Tale definizione concerne, per giunta, solo un aspetto isolato di tale risposta, vale a dire l’allegazione della Melco secondo cui l’intesa sarebbe cessata completamente nel 1999, dopo l’interruzione della partecipazione della Siemens al cartello. La Commissione ha stimato, in particolare, che tali allegazioni fossero fondate solo sulla dichiarazione di altre parti del procedimento e che avessero semplicemente uno scopo di autodifesa. Al contrario, la decisione impugnata non contiene una valutazione espressa del valore probatorio delle dichiarazioni rese dalla Melco, il 4 novembre 2004, nell’ambito della sua domanda ai sensi della comunicazione sulla cooperazione.

203    Si deve considerare che l’indicazione del mese di settembre 1999 come data in cui la Siemens ha interrotto la sua partecipazione al cartello, nelle dichiarazioni della Melco del 4 novembre 2004, dovrebbe beneficiare di una credibilità elevata, perché la Melco non poteva avere alcun interesse ad indicare una data posteriore a quella della effettiva interruzione. Infatti, siccome il ritiro della Siemens – e quello della Hitachi qualche mese dopo – rendeva più credibile lo «scioglimento dell’intesa» che avrebbe avuto luogo, secondo la Melco, a partire dal 1999/2000, essa aveva interesse ad indicare piuttosto una data anteriore a quella effettiva.

–       Sulle dichiarazioni della Fuji

204    La Fuji ha dichiarato, nella risposta 11 luglio 2006 alla comunicazione degli addebiti:

«Con il ritiro della Siemens nel settembre 1999, il cartello fondato sull’accordo GQ ha cominciato a venire meno. Per quanto a conoscenza di Fuji, non ci sono più state riunioni di tutte le parti dopo l’incontro di Sydney».

205    È stato già osservato al punto 90 supra che, contrariamente a quanto sostiene la Siemens, si deve attribuire un’elevata attendibilità alle dichiarazioni della Fuji, benché siano state effettuate relativamente tardi nel corso del procedimento e in stretta prossimità temporale ad una domanda ai sensi della comunicazione sulla cooperazione. Peraltro, per quanto concerne, in particolare, l’indicazione della data in cui la Siemens ha interrotto la sua partecipazione al cartello, valgono le stesse considerazioni svolte per le dichiarazioni della Melco (v. punto 203 supra): dato che tale interruzione avvalorava la tesi dello «scioglimento dell’intesa» qualche tempo dopo, quale propugnata anche dalla Fuji, non era nell’interesse di tale impresa posticipare fittiziamente tale data.

–       Sulle dichiarazioni della Hitachi

206    La Commissione invoca, al punto 186 e alla nota a piè di pagina n. 238 della decisione impugnata, la risposta della Hitachi alla comunicazione degli addebiti, in cui quest’ultima avrebbe confermato che la Siemens aveva interrotto la sua partecipazione al cartello nel settembre 1999. Ebbene, come fa valere la Siemens, senza che la Commissione la contraddica, tale risposta non può essere utilizzata nei suoi confronti, poiché essa non vi ha avuto accesso prima dell’adozione della decisione impugnata (v., in tal senso, la giurisprudenza citata al punto 189 supra). Pertanto occorre escludere tale elemento di prova.

 Conclusione intermedia

207    Risulta da quanto precede che la Commissione ha potuto fondarsi su diversi elementi per constatare la partecipazione della Siemens all’intesa fino al mese di settembre 1999, tra i quali le dichiarazioni della ABB e del sig. M., che sono state giudicate credibili e che sono state confermate, sul punto, dalle dichiarazioni della Areva, della Melco e della Fuji, alcune delle quali, vale a dire quelle della Melco e della Fuji, particolarmente attendibili.

208    Tutto ciò considerato, occorre ora esaminare se gli altri elementi avanzati dalla Siemens siano idonei a confutare la constatazione della Commissione e a suffragare l’allegazione della Siemens secondo cui essa ha interrotto la propria partecipazione al cartello nel mese di aprile 1999.

c)     Sugli elementi addotti dalla Siemens per dimostrare l’interruzione della sua partecipazione al cartello nel mese di aprile 1999

 Sulle prove economiche empiriche dell’interruzione della sua partecipazione al cartello al più tardi nell’aprile 1999

209    Nell’ambito dell’ottava censura invocata a sostegno del presente capo la Siemens invoca l’analisi per dimostrare l’interruzione della sua partecipazione al cartello da aprile 1999. L’analisi proverebbe che, nel periodo compreso tra aprile e settembre 1999, essa si comportava sul mercato in maniera competitiva, come ha fatto dopo il settembre 1999 e contrariamente a quanto faceva prima dell’aprile 1999.

210    Al riguardo, è fatto rinvio alle considerazioni esposte ai punti 135‑138 supra, che valgono altresì per quanto concerne l’interruzione della partecipazione della Siemens all’intesa. Infatti, siccome, da un lato, l’art. 81 CE vieta non solo gli accordi aventi l’effetto di falsare la concorrenza, ma anche quelli aventi un tale oggetto, la Commissione non è tenuta a provare effetti concreti nella constatazione di un’infrazione. Dall’altro, quand’anche la Siemens si sia comportata in maniera competitiva nel periodo compreso tra aprile e settembre 1999, ciò non proverebbe che essa si fosse allontanata dall’intesa, ma unicamente che non rispettava gli accordi. Ebbene, come fa giustamente valere la Commissione, ciò potrebbe benissimo dipendere dal fatto che la Siemens cercasse di trarre vantaggio dall’intesa.

211    Pertanto tale censura deve essere respinta.

 Sulla testimonianza del sig. Se.

212    Nell’ambito della settima censura invocata a sostegno del presente capo la Siemens invoca una dichiarazione del sig. Se., all’epoca dipendente della Alstom, che ha indicato, nel mese di settembre 2006: «Nell’aprile del 1999 ho capito che l’intesa non era più possibile, poiché Siemens, uno dei principali concorrenti, aveva annunciato la sua uscita dal cartello». Secondo la Siemens, non prendendo in considerazione tale dichiarazione, la Commissione sarebbe incorsa in svariati errori di diritto.

213    Al riguardo, in primo luogo, si deve rilevare che la dichiarazione del sig. Se. non è necessariamente in contraddizione con la constatazione della Commissione secondo cui la Siemens ha interrotto la sua partecipazione al cartello nel mese di settembre 1999. Infatti, il sig. Se. ha datato al mese di aprile 1999 l’annuncio della decisione della Siemens di non proseguire la sua partecipazione al cartello e non l’interruzione effettiva della sua partecipazione allo stesso. Si può dunque immaginare che, nel mese di aprile 1999, la Siemens abbia semplicemente annunciato la sua decisione e che l’interruzione della sua partecipazione sia avvenuta in concreto solo in seguito. Non fosse altro che per questo motivo, si deve respingere l’argomento della Siemens.

214    In secondo luogo, la Commissione non ha escluso la testimonianza del sig. Se. unicamente perché era stata resa «sotto il controllo esclusivo dei legali della Alstom», come fa valere la Siemens, ma anche perché non l’ha giudicata credibile in sé, in quanto il sig. Se. non era stato testimone diretto dei fatti dei quali riferiva. Come risulta dal punto 289, lett. b), della decisione impugnata, si è tenuto conto in particolare del fatto che il sig. Se. medesimo ha riconosciuto di essere stato al corrente dell’intesa prima del mese di aprile 1999, ma di non avere alcuna informazione sul modo in cui essa funzionava, ignorando l’identità dei partecipanti, le date e i luoghi delle riunioni nonché le regole che trovavano applicazione. Peraltro, risulta dalla tabella delle riunioni fornita dalla ABB il 5 ottobre 2005, non contestata dalla Siemens, che il sig. Se. non ha partecipato personalmente alla riunione di Sydney dell’aprile 1999, dove la Alstom era rappresentata da altri tre dipendenti. Una tale valutazione delle prove da parte della Commissione non è errata. In ogni caso, non spetta al Tribunale, in assenza di adeguata contestazione da parte della Siemens, sostituirla con la sua propria valutazione.

215    Occorre pertanto respingere la presente censura nella parte in cui si riferisce alla testimonianza del sig. Se.

 Sulle testimonianze dei sigg. Tr., E. e Sch.

216    Nell’ambito della settima censura invocata a sostegno del presente capo la Siemens contesta altresì alla Commissione di non aver tenuto conto delle dichiarazioni dei suoi ex dipendenti Tr., E. e Sch., da essa prodotte nel corso del procedimento amministrativo.

217    Si deve anzitutto respingere l’allegazione della Siemens secondo cui la Commissione non ha tenuto conto delle dichiarazioni dei suoi ex dipendenti. Infatti, dopo che la Siemens ha prodotto tali testimonianze per iscritto, con lettera del 7 agosto 2006, la Commissione ha indicato, con lettera del 12 dicembre 2006, di non ritenere necessario sentire tali testimoni, giacché la loro testimonianza non le aveva suscitato altre domande.

218    Peraltro, la Commissione ha indicato che le dichiarazioni degli ex dipendenti della Siemens non erano idonee a farle cambiare avviso quanto alla data in cui la Siemens ha interrotto la sua partecipazione all’intesa, alla luce delle dichiarazioni e degli elementi di prova da essa raccolti.

219    Al riguardo occorre constatare che l’attendibilità delle dichiarazioni degli ex dipendenti della Siemens è fortemente pregiudicata dal fatto che costoro contestano qualunque accordo su progetti di GIS in Europa, laddove, com’è stato esposto nell’ambito del primo motivo, la Commissione ha dimostrato sufficientemente che l’intesa comune concerneva anche progetti di GIS in Europa.

220    Inoltre, quanto alla data esatta in cui la Siemens ha interrotto la sua partecipazione all’intesa nel 1999, si deve osservare che il sig. Tr., come risulta dalla sua dichiarazione, è andato in pensione nel 1994 ed ha indicato di non sapere esattamente quando la Siemens si sarebbe ritirata dall’intesa. Il sig. Sch. ha indicato che il suo superiore gerarchico, il sig. E., gli aveva detto, nel corso dell’anno 1998, che sarebbe andato in pensione anticipata nel 1999 e che aveva nel frattempo deciso che la Siemens rinunciasse alla sua partecipazione all’accordo GQ. Tuttavia, non è indicato quando tale decisione sarebbe divenuta effettiva e, peraltro, le date da lui indicate non coincidono con quelle indicate dal sig. E. Quest’ultimo ha infatti indicato di essere andato in pensione solo verso la metà del 2000 e di aver deciso il ritiro della Siemens dall’accordo GQ prima («im Vorfeld») della riunione di Sydney, cosa di cui avrebbe informato in particolare il sig. Sch., incaricandolo di prendere le misure necessarie. Appare dunque possibile che i fatti riportati dal sig. Sch. si siano svolti un anno dopo le date da lui indicate. Il sig. E. ha inoltre affermato di aver informato il sig. V., un dipendente della Alstom, prima della riunione di Sydney e le imprese giapponesi «nell’immediatezza» di tale riunione, ammettendo tuttavia di non ricordarsi se prima o dopo la stessa. Al contrario, ha riconosciuto espressamente di non aver informato le altre imprese, segnatamente la ABB, e di non aver menzionato il ritiro della Siemens nel corso della riunione annuale.

221    Alla luce di quanto precede, si deve considerare che tali elementi dimostrano a sufficienza di diritto che non c’è stato ritiro «ufficiale» della Siemens nel corso della suddetta riunione. Infatti, in un’intesa che coinvolge più imprese, la dissociazione chiara ed esplicita di una di esse deve essere comunicata a tutti gli altri partecipanti. Non può essere dunque questione di una «discriminazione inammissibile» rispetto ad altri casi simili, come pretende la Siemens.

222    Il sig. E. ha poi aggiunto che solo dopo aver informato le imprese giapponesi aveva comunicato l’interruzione della partecipazione della Siemens all’intesa al segretario europeo della stessa, il quale avrebbe poi informato, in una data ignota al sig. E., le altre imprese. Si deve ricordare, al riguardo, che, secondo le dichiarazioni del sig. Tr., la segreteria era coperta, all’epoca, per conto della Siemens, dal sig. Th., che era tra i partecipanti alla riunione di Sydney. La testimonianza del sig. E. non contraddice, dunque, le considerazioni della Commissione al riguardo. Al contrario, la sua dichiarazione conferma che non c’era stato ritiro aperto dall’intesa da parte della Siemens nel corso della riunione di Sydney nell’aprile 1999 ed è, inoltre, perfettamente compatibile con la versione del sig. M., secondo la quale quest’ultimo sarebbe stato informato dal sig. Th. durante una riunione di lavoro a Ginevra nel settembre 1999. Occorre sottolineare, al riguardo, che discende dalla dichiarazione del sig. E. che il sig. Th. avrebbe svolto il ruolo di segretario europeo dell’intesa per conto della Siemens ancora per qualche tempo dopo la riunione di Sydney, e questo è già sufficiente per respingere l’argomento della Siemens secondo cui essa avrebbe interrotto la sua partecipazione all’intesa nel mese di aprile 1999. Ebbene, secondo la giurisprudenza, la tacita approvazione di un’iniziativa illecita, senza distanziarsi pubblicamente dal suo contenuto o denunciarla alle autorità amministrative, ha l’effetto di incoraggiare la continuazione dell’infrazione e pregiudica la sua scoperta. Tale approvazione tacita rappresenta quindi complicità o modalità passiva di partecipazione all’infrazione (sentenza Alborg Portland e a./Commissione, punto 48 supra, punto 84).

223    Pertanto, lungi dal rimettere in discussione la constatazione della Commissione secondo cui la Siemens ha interrotto la sua partecipazione all’intesa solo nel mese di settembre 1999, le testimonianze dei signori Tr., E. e Sch. valgono piuttosto, in certa misura, a confermarla.

224    Si deve dunque respingere la settima censura nella parte in cui concerne le testimonianze dei sigg. Tr., E. e Sch. e, pertanto, respingerla in toto.

 Sulla mancanza di prove della partecipazione della Siemens ad un’intesa relativa a progetti di GIS dopo il mese di aprile 1999

225    Nell’ambito della prima censura invocata a sostegno del presente capo la Siemens fa valere che, nella decisione impugnata, la Commissione non le contesta di aver partecipato ad un’intesa su progetti di GIS dopo il mese di aprile 1999. A suo avviso, l’ultimo progetto indicato dalla Commissione cui essa avrebbe partecipato risalirebbe all’8 marzo 1999 e le indicazioni fornite dalla Fuji nella sua domanda ai sensi della comunicazione sulla cooperazione non proverebbero la sua partecipazione a progetti o a scambi di informazioni al riguardo successivi al mese di marzo 1999.

226    Ebbene, si deve rilevare che l’assenza di prove dell’esistenza di accordi sui progetti dopo il mese di marzo 1999 non significa che accordi del genere non siano esistiti. Come fa valere la Commissione, l’elenco mondiale non è esaustivo. Peraltro, ammesso pure che la Siemens non abbia partecipato ad un accordo su progetti dopo il mese di marzo 1999, ciò non costituirebbe una prova dell’interruzione della sua partecipazione al cartello. Infatti, come la Commissione sottolinea nelle sue memorie, l’addebito mosso alla Siemens nella decisione impugnata va ben al di là dei meri accordi su progetti concreti. Basti ricordare che la Siemens ha svolto, per tutto quel periodo, il compito di segretario europeo dell’intesa, compito che permetteva a quest’ultima di funzionare.

227    Pertanto, gli argomenti presentati dalla Siemens nell’ambito di tale censura non sono sufficienti a confutare la constatazione della Commissione, fondata sugli elementi di prova esaminati supra ai punti 179‑207, secondo cui la Siemens ha partecipato all’intesa fino al mese di settembre 1999. Occorre pertanto respingere tale censura.

 Sull’assenza di prove di una riunione dopo il 22 aprile 1999

228    Nell’ambito della seconda censura invocata a sostegno del presente capo la Siemens fa valere che la Commissione non ha fornito alcuna prova nel senso che essa avesse partecipato, nel 1999, ad una riunione successiva a quella organizzata a Sydney dal 19 al 24 aprile di quell’anno.

229    Al riguardo, occorre rilevare che l’assenza di prove di una riunione successivamente al mese di aprile 1999 non vale a rimettere in causa gli indizi sui quali si è fondata la Commissione per constatare una partecipazione della Siemens all’intesa fino al mese di settembre 1999.

230    Infatti, la circostanza che la Commissione non abbia avuto conoscenza di riunioni successive non significa che riunioni del genere non abbiano avuto luogo. In particolare, indicando, al punto 183 della decisione impugnata, che «[d]opo la riunione di Sydney del 19‑24 aprile 1999 le riunioni annuali sono state interrotte», la Commissione ha fatto chiaramente riferimento alle riunioni annuali e non ha dunque escluso che vi fossero state, dopo detta data, altre riunioni a livello operativo. Al riguardo, risulta dall’art. 3 dell’accordo GQ che la riunione generale («general meeting») aveva luogo una volta all’anno. Pertanto, quand’anche la Siemens non avesse interrotto la sua partecipazione all’intesa nel corso del 1999, non sarebbe stato possibile attendersi un’altra riunione del genere nel corso dello stesso anno. Al contrario, l’art. 5 dell’accordo GQ prevedeva lo svolgimento di riunioni di comitato («committee meetings») ogni due settimane, per scambiarsi punti di vista sui progetti reclamati da ciascun gruppo. Ebbene, come risulta dall’allegato 4 dell’accordo GQ, la Siemens (designata con il codice «8») era membro del comitato europeo e doveva dunque partecipare a tali riunioni. Per di più, risulta dall’art. 5 dell’accordo EQ che le riunioni di lavoro («job meetings»), alle quali dovevano partecipare tutti i membri interessati, erano tenute sia per i progetti che erano stati oggetto di attribuzione sia per quelli per i quali si era trovato solo un accordo sul prezzo minimo, e che spettava al segretario europeo dell’intesa – dunque alla Siemens – spedire gli inviti a tali riunioni e presiederle. Ciò considerato, il mero fatto che la Commissione non sia riuscita dimostrare la data e il luogo esatto di altre riunioni nel 1999 dopo quella di Sydney non permette di concludere che tali riunioni non ci siano state.

231    Occorre pertanto respingere tale censura.

232    Alla luce di quanto precede, si deve considerare che la Commissione disponeva di elementi di prova sufficienti per concludere che la Siemens aveva partecipato all’intesa fino al settembre 1999. Da parte sua, la Siemens non ha offerto una spiegazione alternativa convincente di tali elementi, così come richiesto dalla giurisprudenza. Ebbene, tenuto conto degli elementi di fatto di cui al punto 207 supra, invocati dalla Commissione per dimostrare la partecipazione della Siemens al cartello fino al settembre 1999, spettava a quest’ultima fornire una spiegazione o una giustificazione alternativa idonea a smentire le conclusioni della Commissione, sulla quale gravava l’onere della prova (v., in tal senso, sentenze Aalborg Portland e a./Commissione, punto 48 supra, punto 79, e Peróxidos Orgánicos/Commissione, punto 65 supra, punto 71).

233    Pertanto, si deve respingere il primo capo del secondo motivo.

B –  Sul secondo capo del secondo motivo, concernente la prescrizione delle azioni

1.     Argomenti delle parti

234    La Siemens fa valere che, per quanto concerne la prima fase della partecipazione all’infrazione di cui è accusata e che sarebbe cessata il 22 aprile 1999, la prescrizione è intervenuta il 22 aprile 2004, dunque prima degli accertamenti, che hanno avuto luogo l’11 e il 12 maggio 2004. A suo giudizio, l’argomento della Commissione secondo cui essa partecipato, a due riprese, ad un’infrazione unica e continuata non permette di escludere la prescrizione. Infatti, l’intesa durata dal 1988 al 1999 si distinguerebbe nettamente da quella esistita tra il 2002 e il 2004.

235    La Commissione contesta gli argomenti avanzati dalla Siemens.

2.     Giudizio del Tribunale

236    L’art. 25, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1/2003 stabilisce un termine di prescrizione di 5 anni per le infrazioni come quella addebitata alla Siemens. Ai sensi del n. 2, seconda frase, del medesimo articolo, per quanto concerne le infrazioni continuate o ripetute, la prescrizione decorre dal giorno in cui è cessata l’infrazione. Conformemente all’art. 25, n. 3, prima frase, del suddetto regolamento, la prescrizione si interrompe con qualsiasi atto della Commissione destinato all’accertamento o alla repressione dell’infrazione.

237    Nella fattispecie, l’eccezione di prescrizione invocata riguardo alla prima fase dell’infrazione addebitata alla Siemens presuppone, dunque, la riunione di due condizioni cumulative. Da un lato, questa prima fase dev’essere cessata al più tardi il 10 maggio 1999, vale a dire 5 anni prima del giorno precedente gli accertamenti in loco ai quali la Commissione ha proceduto l’11 e il 12 maggio 2004. Dall’altro, le due fasi dell’infrazione che le è addebitata non devono far parte di un’infrazione unica e continuata, ai sensi dell’art. 25, n. 2, del regolamento n. 1/2003, poiché, in tal caso, la prescrizione decorre solo dal giorno in cui, nel 2004, è cessata la seconda di tali fasi.

238    Ebbene, è sufficiente ricordare che, com’è stato esposto al punto 232 supra, la Commissione ha giustamente constatato, nella decisione impugnata, che la prima fase della partecipazione della Siemens all’infrazione era cessata solo nel mese di settembre 1999, dunque in una data successiva al 10 maggio 1999.

239    Pertanto, si deve respingere l’eccezione di prescrizione oggetto del secondo capo del secondo motivo.

240    In ogni caso, non è soddisfatta neppure la seconda condizione enunciata al punto 237 supra. Infatti, la Commissione ha constatato, a giusto titolo, che l’intesa alla quale la Siemens ha partecipato a partire dal 2002 era, in sostanza, la stessa cui aveva partecipato fino al 1999.

241    Al riguardo, vari criteri sono stati identificati dalla giurisprudenza come pertinenti per valutare l’unicità di un’infrazione, ossia l’identità o la diversità degli obiettivi dei comportamenti incriminati (sentenza del Tribunale 20 marzo 2002, causa T‑21/99, Dansk Rørindustri/Commissione, Racc. pag. II‑1681, punto 67; v. anche, nel medesimo senso, sentenza della Corte 21 settembre 2006, causa C‑113/04 P, Technische Unie/Commissione, Racc. pag. I‑8831, punti 170 e 171, e sentenza Jungbunzlauer/Commissione, punto 184 supra, punto 312), l’identità dei prodotti e dei servizi in questione (v., in tal senso, sentenze del Tribunale 15 giugno 2005, cause riunite T‑71/03, T‑74/03, T‑87/03 e T‑91/03, Tokai Carbon e a./Commissione, punti 118, 119 e 124, e Jungbunzlauer/Commissione, punto 184 supra, punto 312), l’identità delle imprese partecipanti (sentenza Jungbunzlauer/Commissione, punto 184 supra, punto 312) e l’identità delle modalità di attuazione (sentenza Dansk Rørindustri/Commissione, cit., punto 68). Altri criteri pertinenti sono l’identità delle persone fisiche implicate per conto delle imprese e l’identità dell’ambito di applicazione geografica delle pratiche contestate.

242    Nella fattispecie, si deve rilevare che, alla luce di tutti i criteri menzionati al punto precedente, l’intesa alla quale la Siemens ha partecipato a partire dal 2002 può essere considerata, in sostanza, la stessa cui aveva partecipato fino al 1999.

243    Infatti, in primo luogo, l’obiettivo era il medesimo per entrambi i periodi, cioè stabilire le quote di mercato dei membri dell’intesa, ripartire il mercato mondiale tra i produttori giapponesi e quelli europei – segnatamente riservando a questi ultimi i mercati europei – ed evitare l’erosione dei prezzi. Al riguardo, si devono respingere gli argomenti sollevati dalla Siemens secondo i quali le due fasi della sua partecipazione all’infrazione erano del tutto diverse l’una dall’altra.

244    Anzitutto, non è esatto che l’intesa valesse per i progetti europei solamente a partire dal 2002. Al contrario, come risulta dalle constatazioni svolte al punto 161 supra, la Commissione ha dimostrato a sufficienza di diritto che l’intesa si applicava ai progetti di GIS in seno al SEE fin dal principio.

245    Poi, importa poco se l’accordo GQ è stato abrogato e sostituito da un altro accordo, come pretende la Siemens, basandosi sulle dichiarazioni della Hitachi, o se sia stato semplicemente modificato, dal momento che l’oggetto delle pratiche controverse è rimasto lo stesso.

246    Infine, si deve respingere la nozione di «obiettivo comune» implicitamente difesa dalla Siemens, secondo la quale la constatazione dell’esistenza di un’infrazione unica dipende non solo da criteri oggettivi, quali menzionati al punto 241 supra, ma anche dall’elemento soggettivo di un’intesa globale comune, che mancherebbe nella fattispecie. Ebbene, la tesi della Siemens non trova alcun sostegno nella giurisprudenza citata al punto 241 supra, la quale non menziona un criterio soggettivo per valutare la continuità di un’infrazione. Pertanto, stabilire se un insieme di accordi e di pratiche contrarie all’art. 81, n. 1, CE costituisce un’infrazione unica e continuata è una questione che dipende, al contrario, unicamente da fattori oggettivi, tra i quali l’oggetto comune dei detti accordi e pratiche. Tale criterio deve essere valutato riguardo al solo contenuto degli accordi e delle pratiche e non va confuso, come sembra fare la Siemens, con il convincimento soggettivo delle diverse imprese di partecipare ad un’intesa unica e continuata. Da parte sua, tale convincimento soggettivo non può e non deve essere preso in considerazione che nell’ambito della valutazione della partecipazione individuale di un’impresa ad un accordo unico e continuato (v. punto 253 infra).

247    In secondo luogo, i metodi di funzionamento dell’intesa sono rimasti complessivamente immutati, anche se si sono progressivamente evoluti nel corso degli anni, specie in funzione della riduzione del numero di imprese partecipanti a seguito della concentrazione del settore e dell’evoluzione tecnica dei mezzi di comunicazione. Tuttavia, come la Commissione ha esposto al punto 280 della decisione impugnata, tali modifiche non sono intervenute in un momento preciso tra il 1999 e il 2002, ma poco alla volta. Peraltro, esse non hanno pregiudicato i principi essenziali del modo di funzionamento, cioè l’attribuzione dei progetti di GIS tra i membri dell’intesa sulla base di quote prestabilite tra di loro e truccando le gare d’appalto, nonché la fissazione di prezzi minimi per i progetti di GIS non attribuiti.

248    In terzo luogo, l’intesa riguardava, per tutti e due i periodi in causa, lo stesso mercato, cioè quello dei progetti di GIS in forma di singoli elementi o di sottostazioni «chiavi in mano».

249    In quarto luogo, le imprese che hanno partecipato all’intesa sono, in sostanza, rimaste le stesse per tutta la durata del cartello dal 1988 al 2004, tenuto conto del processo di concentrazione nel settore delle GIS che ha avuto luogo in questo periodo, con la sola eccezione della momentanea assenza della Siemens, della VA Tech e della Hitachi.

250    In quinto luogo, le persone che rappresentavano le diverse imprese all’interno del cartello erano, in larghissima misura, le stesse nel 1999 e nel 2002, fatto salvo un certo naturale ricambio all’interno di ciascuna impresa. La continuità personale dei rappresentanti è attestata dai diversi elenchi di riunioni acquisiti al fascicolo, specialmente quello di cui all’allegato I della decisione impugnata, e dall’elenco dei collaboratori delle imprese aderenti al cartello, contenuto nell’allegato II della decisione impugnata.

251    In sesto luogo, l’ambito di applicazione geografico dell’intesa era lo stesso nel 1999 e nel periodo compreso tra il 2002 e il 2004. Un modesto ampliamento è avvenuto poco dopo il 1988, quando i mercati dei paesi dell’Europa centrale e orientale sono diventati accessibili ai membri dell’intesa.

252    In settimo luogo, il fatto, sottolineato dalla Commissione e non contestato dalla Siemens, che l’intesa sia continuata tra gli altri membri senza le imprese momentaneamente assenti, e che la continuità oggettiva di un’infrazione unica sia stata dunque preservata, dimostra a sua volta che si trattava di una sola ed unica intesa. Al riguardo, si deve respingere l’argomento della Siemens secondo cui, tenendo conto di tale elemento, la Commissione le addebita fatti altrui. Infatti, non si tratta di considerare la Siemens responsabile per il periodo compreso tra settembre 1999 e marzo 2002, ma di opporle l’unicità dell’infrazione proseguita in sua assenza. Ebbene, come sarà esposto nel punto successivo, la Siemens era consapevole, o doveva esserlo, del fatto che partecipava, a partire dal 2002, alla medesima intesa cui aveva partecipato fino al 1999.

253    Infine, per quanto concerne l’elemento soggettivo, è sufficiente che, quando la Siemens ha ripreso la sua partecipazione al cartello, fosse consapevole di partecipare alla medesima intesa di prima. Anzi, è già sufficiente che la Siemens fosse consapevole dei criteri essenziali che giustificano la constatazione dell’unicità dell’infrazione, menzionati al punto 241 supra, perché le si possa opporre tale unicità, ammesso e non concesso che non sia arrivata da sola a tale conclusione. Ora, tenuto conto del fatto che i suoi dipendenti S. e Ze. hanno partecipato all’intesa, per suo conto, sia prima del suo ritiro nel 1999 che dopo il suo rientro nel 2002, la Siemens non poteva ignorare l’identità dei fattori determinanti il carattere unico dell’intesa, in particolare l’identità degli obiettivi, dei prodotti interessati, dei mercati geografici e delle imprese partecipanti.

254    Pertanto, l’eccezione di prescrizione sollevata dalla Siemens deve essere, in ogni caso, respinta, in quanto le due fasi dell’infrazione che le sono addebitate fanno parte di un’infrazione unica e continuata.

255    In conclusione, si deve respingere il secondo capo del secondo motivo, vertente sulla prescrizione della prima fase dell’infrazione addebitata alla Siemens.

C –  Sul terzo capo del secondo motivo, concernente l’estraneità all’intesa dopo il 1o gennaio 2004

1.     Argomenti delle parti

256    La Siemens fa valere che la Commissione ha erroneamente constatato, nella decisione impugnata, che l’infrazione era definitivamente cessata l’11 maggio 2004, mentre nessuna ripercussione effettiva sarebbe stata constatata nel mercato comune dopo il mese di gennaio 2004, poiché l’ultima riunione pertinente avrebbe avuto luogo il 21 gennaio 2004 e non avrebbe condotto ad alcun accordo sui prezzi. L’intesa, dunque, non avrebbe più avuto effetti sul mercato dal mese di gennaio 2004 né, del resto, li proverebbe la Commissione.

257    La Commissione contesta gli argomenti avanzati dalla Siemens.

2.     Giudizio del Tribunale

258    Si deve respingere questo capo per due motivi.

259    In primo luogo, com’è stato ricordato al punto 135 supra, secondo una giurisprudenza costante discende dal testo dell’art. 81, n. 1, CE che gli accordi tra imprese sono vietati indipendentemente dei loro effetti quando hanno un oggetto anticoncorrenziale (sentenze Commissione/Anic partecipazioni, punto 43 supra, punto 123, e JFE Engineering e a./Commissione, punto 49 supra, punto 181). Di conseguenza, la dimostrazione di effetti anticoncorrenziali reali non è richiesta quando l’oggetto anticoncorrenziale dei comportamenti è dimostrato (v. sentenza Volkswagen/Commissione, punto 135 supra, punto 178 e la giurisprudenza ivi citata). È stato osservato anche, al punto 134 supra, che, nella fattispecie, la Commissione si è fondata in via principale sull’oggetto anticoncorrenziale dell’accordo sanzionato all’art. 1 della decisione impugnata. Essa ha anzitutto constatato, ai punti 303 e 304 della decisione impugnata, che l’insieme degli accordi e/o pratiche concordate descritti avevano come oggetto di restringere la concorrenza, ai sensi dell’art. 81 CE e dell’art. 53 dell’accordo SEE, e che, per questo, era superfluo, ai fini dell’applicazione di dette disposizioni, prendere in considerazione gli effetti concreti del cartello, per poi aggiungere, al punto 308 di detta decisione, che per sua natura l’attuazione di un’intesa come quella descritta distorce sensibilmente la concorrenza.

260    Pertanto, come giustamente osserva la Commissione, la sentenza del Tribunale 5 aprile 2006, causa T‑279/02, Degussa/Commissione (Racc. pag. II‑897, punti 236 e 240), non è idonea a sostenere l’argomento della Siemens. Infatti, da un lato, i punti di detta sentenza che essa invoca non riguardano la constatazione dell’infrazione o la sua durata, bensì unicamente la valutazione della sua gravità. Dall’altro, la Commissione si è espressamente fondata, nella causa definita da tale sentenza, sull’incidenza che l’intesa aveva avuto sui prezzi dei prodotti in causa. Ebbene, com’è stato ricordato al punto precedente, non è precisamente questo il caso di specie.

261    Conseguentemente, gli argomenti della Siemens diretti a dimostrare l’assenza di nuove ripercussioni dell’intesa successivamente al 1o gennaio 2004 sono inconferenti.

262    In secondo luogo, come ha indicato la Commissione al punto 215 della decisione impugnata, sul fondamento delle dichiarazioni del gruppo VA Tech e senza essere smentita dalla Siemens, le comunicazioni e le riunioni tra i membri rimasti nell’intesa dopo il ritiro della ABB vertevano, in particolare, sullo scambio di informazioni concernenti le gare d’appalto in corso, sulla posizione degli operatori esterni all’intesa, sul mantenimento o sull’interruzione dei rapporti e sulle questioni di sicurezza. Ebbene, tali argomenti di discussione dimostrano che, anche se le imprese rimaste nel cartello non arrivavano a mettersi d’accordo su progetti concreti, avevano l’intenzione di proseguire l’intesa nel futuro o, quanto meno, non avevano preso la decisione di mettervi fine.

263    Contrariamente a quanto fa valere la Siemens, non inficia tale interpretazione dei fatti una dichiarazione della Hitachi concernente la fine dell’intesa. Tale dichiarazione è stata resa in forma di una tabella che indica, per una serie di riunioni nell’ambito dell’intesa, rispettivamente la data, il luogo, i partecipanti, una breve sintesi dell’oggetto e la fonte delle informazioni tra i dipendenti della Hitachi. Ora, si deve rilevare anzitutto che le indicazioni relative all’oggetto delle diverse riunioni sono molto brevi e talvolta generali. Per esempio, per le riunioni del 17 marzo e dell’8 aprile 2004, è indicato, rispettivamente, che «lo scopo della riunione era di scambiarsi informazioni» e «[la riunione operativa] comprendeva una discussione generale sul mercato». Affermazioni siffatte non lasciano apparire chiaramente l’argomento preciso delle discussioni e in ogni caso non escludono che si trattasse di uno scambio di informazioni e di discussioni costituenti un’infrazione all’art. 81, n. 1, CE e all’art. 53 dell’accordo SEE.

264    Peraltro, occorre osservare che i brani della dichiarazione della Hitachi prodotti dalla Siemens comprendono le pagg. 7278, 7280 e 7281 del fascicolo di causa dinanzi alla Commissione, ma non la pag. 7279, che contiene probabilmente indicazioni su altre riunioni tenutesi tra gennaio e marzo 2004. Indipendentemente dalla questione della loro attendibilità e del loro valore probatorio, tali documenti non rendono dunque conto in maniera completa delle dichiarazioni della Hitachi relative alle riunioni dell’anno 2004, a proposito delle quali la Siemens pretende che siano mancate ulteriori ripercussioni dell’intesa. Si deve perciò considerare che la Siemens non ha provato la sua allegazione.

265    Ne consegue che occorre respingere il terzo capo del secondo motivo, vertente sull’assenza di nuove ripercussioni dell’intesa a partire dal mese di gennaio 2004.

266    Occorre pertanto respingere l’intero secondo motivo.

III –  Sul terzo motivo, vertente su un errore di diritto nel calcolo dell’importo dell’ammenda

267    Il terzo motivo della Siemens è suddiviso in sei capi vertenti, rispettivamente, sul carattere sproporzionato dell’importo di partenza dell’ammenda; sul carattere sproporzionato del coefficiente moltiplicatore di dissuasione; su un’inesatta durata dell’infrazione; sull’ingiustificata qualifica di impresa leader dell’infrazione [in prosieguo: «leader» o «organizzatore»] che le viene applicata; su una mancata riduzione da parte della Commissione dell’importo dell’ammenda in applicazione della comunicazione sulla cooperazione e, infine, sul fatto che la Direzione generale (DG) «Concorrenza» avrebbe di fatto obbligato il collegio dei commissari.

A –  Sul primo capo del terzo motivo, concernente il carattere sproporzionato dell’importo di partenza dell’ammenda

268    Con il primo capo del terzo motivo la Siemens fa valere, in sostanza, che l’importo di partenza dell’ammenda che le è stata inflitta è sproporzionato rispetto alla gravità dell’infrazione e ai suoi effetti economici e non è adeguatamente motivato. A suo avviso, la Commissione non avrebbe dovuto considerare l’infrazione come «molto grave» e avrebbe, di conseguenza, dovuto fissare l’importo di partenza dell’ammenda ben al di sotto dei 10 milioni di euro. Al riguardo essa solleva tre censure vertenti, la prima, sul fatto che la Commissione non ha fornito la prova degli effetti dell’intesa, la seconda, sul carattere sproporzionato dell’importo di partenza dell’ammenda rispetto all’importanza economica dell’infrazione e, la terza, sull’inquadramento in una categoria sbagliata.

1.     Sulla prima censura, relativa alla mancata prova degli effetti dell’intesa

a)     Argomenti delle parti

269    La Siemens contesta le constatazioni della Commissione ai punti 477‑484 della decisione impugnata, concernenti gli effetti dell’intesa, allegando che sono contraddittorie, imprecise ed errate. A suo avviso, la Commissione, avendo giustamente riconosciuto che l’intesa non aveva avuto alcun effetto quantificabile, non avrebbe potuto far successivamente riferimento, in sede di determinazione dell’importo di partenza, ai pretesi effetti dell’infrazione. Inoltre, la Commissione non avrebbe presentato alcun indizio concreto e attendibile nel senso che l’intesa abbia avuto un impatto sul mercato e l’analisi dimostrerebbe anzi che tali effetti non sono esistiti. L’affermazione della Commissione secondo cui la lunga partecipazione ad un sistema costoso dimostra che l’intesa era redditizia per i suoi membri ed aveva per ciò stesso un impatto sarebbe fondata su semplici congetture e non su dati economici oggettivi.

270    La Commissione contesta gli argomenti addotti dalla Siemens.

b)     Giudizio del Tribunale

271    Occorre ricordare, in limine, che, conformemente al punto 1A, primo comma, dei suoi orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5 [CA] (GU 1998, C 9, pag. 3; in prosieguo: gli «orientamenti»), nel suo calcolo dell’ammenda in funzione della gravità dell’infrazione la Commissione prende in considerazione, in particolare, «la natura, l’impatto concreto sul mercato, quando sia misurabile, e l’estensione del mercato geografico rilevante».

272    In primo luogo, occorre rilevare, al riguardo, che, contrariamente a quanto allega la Siemens, la Commissione non ha affatto riconosciuto, nella decisione impugnata, che l’intesa non avesse avuto alcun impatto quantificabile. La Commissione ha indicato, al punto 477 della decisione impugnata, che, mancando informazioni sui probabili prezzi dei progetti di GIS nel SEE in assenza dell’intesa, non era possibile misurare il suo impatto concreto sul mercato, ragione per la quale essa non si era fondata specificamente su un impatto concreto per determinare la gravità dell’infrazione, conformemente al punto 1A degli orientamenti.

273    È solo in via di subordine che la Commissione ha sottolineato come, nella fattispecie, esistessero indizi concreti attendibili nel senso che con ragionevole probabilità l’intesa aveva avuto un impatto sul mercato. Infatti, tale intesa era stata concretamente attuata, era durata più di 16 anni e i partecipanti erano pronti a sostenere costi considerevoli per tenerla in piedi. Tale considerazione non può essere ritenuta in contrasto con la constatazione dell’impossibilità di misurare detto impatto. Essa serve evidentemente solo a precisare che la Commissione ben riteneva che l’intesa avesse avuto un impatto, per quanto quest’ultimo non fosse concretamente misurabile e non potesse dunque venire in considerazione per determinare la gravità dell’intesa.

274    In secondo luogo, contrariamente a quanto afferma la Siemens, dal punto 484 della decisione impugnata non risulta che la Commissione abbia fatto riferimento agli effetti dell’intesa nel determinare la gravità dell’infrazione. Infatti, la frase «alla luce delle circostanze descritte nella sezione 8.3.1, supra» (sezione cui appartiene il punto 477 della decisione impugnata) deve essere compresa come un riferimento, in particolare, alla constatazione della Commissione secondo cui gli effetti dell’intesa non erano quantificabili.

275    Di conseguenza, non è necessario esaminare se un impatto dell’intesa sul mercato potesse essere presunto sul fondamento degli indizi invocati dalla Commissione.

276    Pertanto la prima censura sollevata dalla Siemens deve essere respinta.

2.     Sulla seconda censura, relativa al carattere sproporzionato dell’importo di partenza dell’ammenda rispetto all’importanza economica dell’infrazione

a)     Argomenti delle parti

277    La Siemens fa valere che l’importo di partenza dell’ammenda è sproporzionato rispetto al valore di mercato dei prodotti in questione e alla sua propria quota di mercato. Fissando tale l’importo in 45 milioni di euro, la Commissione si sarebbe discostata dalla sua prassi decisionale anteriore, che la obbliga a decisioni coerenti e non discriminatorie. Secondo la Siemens, detto importo deve essere nettamente inferiore ai 35 milioni di euro. Di conseguenza, essa invita il Tribunale a ridurre sostanzialmente l’importo di partenza dell’ammenda nell’ambito della sua piena competenza anche di merito.

278    La Commissione contesta gli argomenti della Siemens.

b)     Giudizio del Tribunale

279    Gli orientamenti prevedono, al punto 1A, quarto e sesto comma, che si tenga conto, da un lato, dell’effettiva capacità economica degli autori dell’infrazione di arrecare un danno consistente agli altri operatori e, dall’altro, del peso specifico del comportamento di ciascuna impresa sulla concorrenza, in particolare qualora esista una disparità considerevole nella dimensione delle imprese che commettono un’infrazione. Al contrario, gli orientamenti non prevedono che la capacità economica effettiva delle imprese o il peso specifico del loro comportamento debbano essere valutati alla luce di un criterio particolare, quale la loro quota di mercato per il prodotto in causa all’interno del SEE o del mercato comune. Pertanto, la Commissione è libera di applicare, al riguardo, un criterio adeguato alle circostanze di ciascun singolo caso.

280    Nella fattispecie, dopo aver constatato, al punto 479 della decisione impugnata, che l’infrazione doveva essere qualificata «molto grave» ai sensi degli orientamenti, la Commissione ha spiegato, ai punti 480‑490 della medesima decisione, il trattamento differenziato che aveva applicato alle diverse imprese in funzione delle rispettive quote del mercato mondiale, che riflettevano la capacità economica di ciascuna di arrecare un pregiudizio significativo alla concorrenza.

281    La Commissione ha spiegato, in particolare, al punto 481 della decisione impugnata, che, tenuto conto del carattere mondiale degli accordi di cartello, i dati relativi al fatturato mondiale riflettevano nel modo più fedele possibile la capacità delle imprese partecipanti di pregiudicare gli altri operatori nel SEE e i loro rispettivi contributi all’attuazione del cartello nel suo complesso o, viceversa, l’instabilità di cui avrebbe sofferto quest’ultimo se una data impresa non vi avesse partecipato. In particolare, la Commissione ha sottolineato il fatto che il ruolo delle imprese giapponesi sarebbe stato notevolmente sottostimato se essa avesse fatto affidamento solo sui dati relativi al SEE, dal momento che, in virtù degli accordi di cartello, tali imprese si erano in larga misura astenute dal competere sui mercati europei.

282    Infine, la Commissione ha indicato che, per la Siemens e la ABB, che detenevano ciascuna tra il 23 e il 29% del fatturato mondiale per i progetti di GIS, l’importo di partenza dell’ammenda doveva essere fissato, sulla base del valore del mercato all’interno del SEE, a 45 milioni di euro.

283    Pertanto, nel fissare l’importo di partenza, la Commissione ha tenuto conto, senza che le si possa imputare un errore manifesto di valutazione, sia del fatturato mondiale per i progetti di GIS sia del valore del mercato all’interno del SEE; il primo di tali criteri sarebbe servito, conformemente ai punti 480 e 481 della decisione impugnata, a suddividere le imprese in diverse categorie. In particolare, l’applicazione di tali criteri tiene conto in maniera adeguata delle circostanze del caso, soprattutto del fatto che i partecipanti all’intesa avevano convenuto una spartizione dei mercati europei e giapponesi tra i rispettivi gruppi di produttori. Il livello dell’ammenda che risulta da un tale esercizio non può essere definito sproporzionato.

284    Al contrario, gli argomenti invocati dalla Siemens non convincono.

285    In primo luogo, occorre respingere l’argomento della Siemens secondo cui, nella sentenza 28 giugno 2005, cause riunite C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, Dansk Rørindustri e a./Commissione (Racc. pag. I‑5425, punto 242), la Corte avrebbe dichiarato che «il vantaggio che [le imprese] hanno potuto trarre da tali pratiche (...) e il valore delle merci in questione» costituiscono fattori essenziali del calcolo dell’importo dell’ammenda.

286    Al riguardo, si deve rilevare che tale citazione incompleta non rende fedelmente conto del contenuto del punto 242 della sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, punto 285 supra, che peraltro non può essere pienamente compreso avulso dal suo contesto. Infatti, i punti 241‑243 di detta sentenza recitano come segue:

«241. La gravità delle infrazioni dev’essere accertata in funzione di un gran numero di elementi, quali le circostanze proprie del caso di specie, il contesto in cui questo si inserisce e l’efficacia dissuasiva delle ammende, e ciò senza che a tal fine sia stato redatto un elenco vincolante o esaustivo di criteri da tenere in considerazione (...).

242. Tra i fattori che possono entrare nella valutazione della gravità dell’infrazione figurano il comportamento di ciascuna impresa, la parte svolta da ciascuna di esse nel porre in essere le pratiche concordate, il vantaggio che esse hanno potuto trarre da tali pratiche, le loro dimensioni e il valore delle merci in questione nonché la minaccia che infrazioni di questo tipo costituiscono per gli scopi della Comunità (...).

243. Ne consegue, da un lato, che, per determinare l’ammenda, si può tener conto tanto del fatturato complessivo dell’impresa, che costituisce un’indicazione, sia pure approssimativa e imperfetta, delle dimensioni e della potenza economica dell’impresa stessa, quanto della frazione di tale fatturato riferibile alle merci oggetto dell’infrazione, che è quindi atta a fornire un’indicazione della sua gravità; dall’altro, che non si deve attribuire né all’uno né all’altro di questi dati un peso eccessivo rispetto agli altri criteri di valutazione e, quindi, che la determinazione dell’ammenda adeguata non può essere il risultato di un semplice calcolo basato sul fatturato complessivo. Ciò è particolarmente vero qualora le merci in questione costituiscano solo una piccola parte di tale fatturato (...)».

287    Per prima cosa, discende dal punto 241 di detta sentenza che l’elenco dei fattori idonei ad entrare nella valutazione della gravità di un’infrazione, indicati al successivo punto 242, non è né vincolante né esaustivo. Ciò vuol dire che la Commissione è libera di tener conto di altri elementi o di attribuire minor peso ad uno degli elementi enunciati al detto punto 242 o addirittura di non prenderlo affatto in considerazione, se ciò le sembra opportuno alla luce delle circostanze del caso. Una tale interpretazione è confermata pure dal punto 243 della medesima sentenza. La Siemens non può, dunque, fondarsi sul punto 242 di detta sentenza per chiedere che l’importo di partenza dell’ammenda venga determinato in proporzione alle dimensioni del mercato dei progetti di GIS nel SEE.

288    Per seconda cosa, discende dalla prima frase del punto 243 della sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, punto 285 supra, che la nozione di «valore delle merci in questione», quale ricorrere al precedente punto 242, deve essere compresa come una misura che indica la quota del fatturato complessivo delle imprese interessate che proviene dai prodotti oggetto dell’intesa, e non come un riferimento alle dimensioni del mercato di tali prodotti all’interno del SEE. Pertanto, in quest’ultimo punto, la Corte non si pronuncia affatto, contrariamente a quanto afferma la Siemens, sulla considerazione del valore del mercato rilevante all’interno del SEE.

289    In secondo luogo, come giustamente osservato dalla Commissione, né gli orientamenti né il diritto comunitario in generale dispongono che le ammende inflitte dalla Commissione debbano necessariamente essere proporzionate al valore del mercato dei prodotti in questione. Al contrario, gli orientamenti prevedono espressamente, quanto alla determinazione della gravità dell’infrazione, che si tenga conto di altri fattori quali la capacità economica effettiva delle imprese, il carattere dissuasivo dell’importo dell’ammenda, la dimensione delle imprese interessate e il loro peso specifico all’interno di un cartello; criteri che sono stati applicati dalla Commissione ai punti 480 e 481 della decisione impugnata.

290    In terzo luogo, si deve ricordare che la precedente prassi decisionale della Commissione non funge di per sé da contesto normativo per le ammende in materia di concorrenza (sentenza LR AF 1988/Commissione, punto 87 supra, punto 234). La Commissione dispone, nell’ambito del regolamento n. 1/2003, di un margine di discrezionalità nel fissare l’importo delle ammende al fine di orientare il comportamento delle imprese verso il rispetto delle regole di concorrenza. Pertanto, il fatto che la Commissione abbia inflitto, in passato, ammende di una certa entità per determinati tipi di infrazioni non può impedirle di aumentare tale entità entro i limiti stabiliti dal regolamento n. 1/2003, se ciò è necessario a garantire l’attuazione della politica comunitaria in materia di concorrenza. L’efficace applicazione delle norme comunitarie della concorrenza implica, al contrario, che la Commissione possa sempre adeguare il livello delle ammende alle esigenze di questa politica (v., per analogia, sentenze Dansk Rørindustri e a./Commissione, punto 285 supra, punto 227, e Groupe Danone/Commissione, punto 66 supra, punto 395).

291    Ne discende che le imprese coinvolte in un procedimento amministrativo che possa dare luogo ad un’ammenda non possono riporre un legittimo affidamento nel fatto che la Commissione non supererà il livello delle ammende praticato anteriormente. Di conseguenza, tali imprese devono tenere conto della possibilità che, in qualsiasi momento, la Commissione decida di aumentare il livello delle ammende rispetto a quello praticato nel passato (sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, punto 285 supra, punti 228 e 229).

292    Gli esempi di decisioni citate dalla Siemens non possono quindi rimettere in discussione, alla luce del principio di legalità della pena, che risulta dall’art. 7, n. 1, della CEDU, la legittimità dell’importo di partenza dell’ammenda fissato nella fattispecie dalla Commissione, quand’anche esso risulti superiore, come sostiene la Siemens, agli importi fissati in altri casi vertenti su un mercato di valore maggiore rispetto a quello di cui trattasi nel caso di specie.

293    Pertanto si deve respingere la seconda censura sollevata dalla Siemens.

3.     Sulla terza censura, relativa all’inquadramento della Siemens in una categoria sbagliata

a)     Argomenti delle parti

294    Da un lato, la Siemens fa valere che, nel calcolo dell’importo dell’ammenda, la Commissione avrebbe dovuto tener conto del suo fatturato nel 2001, come ha fatto per la Fuji, la Hitachi, la Melco e la Toshiba, e non del fatturato nel 2003, come per la ABB, la Alstom, la Areva e il gruppo VA Tech. La Commissione non avrebbe dunque applicato il proprio metodo di calcolo delle ammende in maniera corretta, coerente e non discriminatoria. D’altro lato, la Siemens ritiene che non avrebbe dovuto essere classificata nella stessa categoria della ABB, poiché il suo fatturato, nel 2001 e nel 2003, era ben inferiore a quello di quest’ultima, come attestano taluni documenti acquisiti al fascicolo. La Siemens rileva, inoltre, incoerenze quanto al valore del mercato mondiale per i progetti di GIS nel 2001 e nel 2003 e sostiene che la Commissione dovrebbe indicare con precisione la quota di ciascun partecipante nel fatturato totale dell’intesa per questi due anni, nonché i volumi d’affari che sono stati realizzati con i progetti di GIS.

295    La Commissione contesta gli argomenti della Siemens.

b)     Giudizio del Tribunale

296    Anzitutto, occorre distinguere due elementi differenti contestati dalla Siemens. Essa fa valere, da un lato, che la Commissione avrebbe dovuto prendere il 2001 come anno di riferimento per determinare la sua quota di mercato e, dall’altro, che, tenuto conto della sua quota di mercato asseritamente inferiore a quella della ABB, essa non avrebbe dovuto essere inscritta nel primo gruppo insieme alla ABB, bensì nel secondo.

297    Quanto, in primo luogo, alla scelta dell’anno di riferimento per stabilire il peso relativo delle imprese, si deve rilevare che, se è vero che gli orientamenti prevedono, al punto 1A, quarto e quinto comma, un trattamento differenziato delle imprese in funzione della loro importanza economica, essi non indicano rispetto a quale anno il peso relativo delle imprese debba essere calcolato. Al riguardo, il punto 5, lett. a), secondo comma, degli orientamenti, che prevede si tenga conto dell’esercizio precedente l’anno di adozione della decisione, si applica unicamente alla determinazione del fatturato fino ad un massimo del 10%, conformemente all’art. 23, n. 2, secondo comma, del regolamento n. 1/2003, e non è dunque applicabile ai fini della determinazione del peso relativo delle imprese aderenti al cartello.

298    Nella fattispecie, l’anno 2003, che è stato scelto dalla Commissione come anno di riferimento per dimostrare il peso relativo della Siemens e delle altre imprese europee, era l’ultimo anno completo dell’attività del cartello. Una tale scelta pare appropriata ai fini della determinazione del peso relativo di dette imprese nel cartello.

299    Il fatto che la Commissione abbia scelto il 2001 come anno di riferimento per stabilire il peso relativo delle imprese giapponesi è stato spiegato, al punto 482 della decisione impugnata, con la particolare situazione in cui versavano i produttori giapponesi, segnatamente con il fatto che, in ragione della ristrutturazione delle loro attività in materia di GIS in due imprese comuni, la Commissione non disponeva dei singoli fatturati di tali imprese. Ebbene, non vi è motivo, ai fini della risoluzione della presente controversia, di esaminare la legittimità del trattamento riservato alle imprese giapponesi. Infatti, quand’anche tale trattamento sia stato illegittimo, occorrerebbe correggere la decisione impugnata tutt’al più nei confronti dei produttori giapponesi e non nei confronti della Siemens.

300    Per quanto concerne, in secondo luogo, la quota del mercato asseritamente più modesta della Siemens rispetto a quella della ABB, la Commissione si è fondata, come indica al punto 483 della decisione impugnata, sui dati di vendita forniti dalle stesse imprese. Nella sua risposta del 5 luglio 2005 ad una richiesta di informazioni della Commissione, la Siemens ha indicato, per l’anno 2003, un fatturato totale in materia di GIS di EUR 658,9 milioni. Peraltro, secondo i suoi propri calcoli, il mercato mondiale in materia di GIS aveva, nel 2003, un valore di EUR 2 305,5 milioni, che è prossimo a quello stimato dalla Commissione, la quale indica, nella nota a piè di pagina n. 444 della decisione impugnata, un importo di EUR 2 200 milioni per l’anno 2003 e, al punto 4 della decisione impugnata, una forchetta di EUR 1 700‑2 300 milioni per gli anni 2001‑2003. Contrariamente a quanto fa valere la Siemens, non c’è incoerenza tra tali cifre.

301    Ebbene, calcolando la quota di mercato della Siemens sulla base dei dati relativi all’anno 2003 che essa stessa ha fornito, cioè un valore totale del mercato di EUR 2 305,5 milioni e un fatturato della Siemens di EUR 658,9 milioni, ne risulta una quota di mercato per tale impresa pari al 28,59% nel 2003, cifra che si avvicina al limite superiore della forchetta 23‑29% indicata dalla Commissione per il primo gruppo di imprese.

302    La Siemens non può validamente contestare tale cifra, calcolata sul fondamento dei dati forniti da essa stessa, avvalendosi di documenti interni della Alstom e della ABB che attestano una quota di mercato differente per quanto la riguarda.

303    Inoltre, i dati contenuti in tali documenti si riferiscono a parametri diversi da quelli presi in considerazione dalla Commissione. Infatti, per quanto riguarda, da un lato, il documento proveniente dalla ABB e allegato al ricorso, a parte il fatto che esso si riferisce all’anno 2002 e non all’anno 2003, esso si intitola «Substations Competitors Overview» (Panoramica sui concorrenti per le sottostazioni) e tratta, dunque, solo della situazione sul mercato delle sottostazioni di GIS e non del mercato dei progetti di GIS in generale. Per quanto riguarda, dall’altro lato, il documento proveniente dalla Alstom e allegato al ricorso, a parte il fatto che esso si riferisce agli anni 2001 e 2002, esso contiene non solo una lista delle imprese che hanno partecipato al cartello, ma menziona anche altre società («Others»), la cui quota di mercato globale sarebbe del 33,8%. Ebbene, come risulta dalla nota a piè di pagina n. 444 della decisione impugnata, la Commissione ha effettuato i propri calcoli sul fondamento unicamente delle cifre d’affari realizzate dai membri dell’intesa, poiché le vendite concluse da altri produttori non incidono sulla classificazione relativa delle imprese nell’ambito della presente controversia.

304    Pertanto, si devono respingere le critiche sollevate dalla Siemens contro il calcolo della sua quota di mercato da parte della Commissione, senza che occorra chiedere a quest’ultima di fornire le cifre di affari indicate dalle altre imprese partecipanti al cartello, come richiede la Siemens.

305    Ne consegue che si deve respingere la terza censura sollevata dalla Siemens e, conseguentemente, l’intero primo capo del terzo motivo.

B –  Sul secondo capo del terzo motivo, concernente il carattere sproporzionato del coefficiente moltiplicatore di dissuasione

1.     Argomenti delle parti

306    La Siemens lamenta che il coefficiente di dissuasione di 2,5, applicato dalla Commissione per maggiorare l’importo di partenza della sua ammenda, sia eccessivo e sproporzionato rispetto a quello applicato alla ABB e integri una violazione del principio della parità di trattamento. Dato che la Commissione avrebbe scelto, nella fattispecie, un metodo esclusivamente proporzionale al fatturato delle imprese interessate per determinare il coefficiente moltiplicatore di dissuasione, la maggiorazione inflitta alla Siemens avrebbe potuto essere al massimo il quadruplo di quella inflitta alla ABB, giacché il fatturato totale della Siemens è solo quattro volte superiore a quello della ABB. Di conseguenza, la Siemens invita il Tribunale a ridurre l’importo dell’ammenda che le è stata inflitta. Fa valere, inoltre, un difetto di motivazione, in quanto la Commissione non ha spiegato il metodo di calcolo nella decisione impugnata.

307    Nell’ambito della sua risposta ai quesiti scritti del Tribunale prima dell’udienza, la Siemens ha precisato che occorreva dedurre dal coefficiente di dissuasione il numero 1 in quanto elemento neutro alla moltiplicazione. Pertanto, il coefficiente di dissuasione applicato alla Siemens (2,5 – 1 = 1,5) sarebbe in realtà il sestuplo di quello della ABB (1,25 – 1 = 0,25) e non il doppio.

308    La Commissione contesta di aver disatteso il metodo prescelto per determinare i diversi coefficienti di dissuasione. Sottolinea che il coefficiente moltiplicatore di dissuasione applicato è direttamente proporzionale al fatturato delle diverse imprese interessate. Anzi, il coefficiente della Siemens sarebbe addirittura decrescente rispetto a quello applicato alla ABB. Quanto, infine, all’obbligo di motivazione, esso sarebbe limitato relativamente al coefficiente moltiplicatore di dissuasione. Del resto, le cifre parlerebbero da sole.

309    In risposta ad un quesito del Tribunale in udienza, la Commissione ha precisato di aver proceduto in tre tappe. Prima sarebbero stati divisi per dieci i fatturati delle imprese interessate, poi sarebbe stata estratta la radice dei quozienti e infine sarebbero state arrotondate per difetto le cifre così ottenute, ciò che avrebbe condotto ai coefficienti di dissuasione effettivamente applicati alle diverse imprese interessate, in particolare al coefficiente 2,5 applicato alla Siemens. Peraltro la Commissione ha sottolineato che non era tenuta ad illustrare nel dettaglio il proprio metodo nella decisione e che, in ogni caso, un moltiplicatore di 2,5 non è inusuale nella sua prassi decisionale anteriore.

2.     Giudizio del Tribunale

310    In primo luogo, riguardo alla censura vertente sul difetto di motivazione, in quanto la Commissione non avrebbe spiegato il metodo di calcolo dei coefficienti moltiplicatori di dissuasione, si deve ricordare che la motivazione richiesta dall’art. 253 CE deve far apparire in forma chiara e non equivoca l’iter logico seguito dall’istituzione da cui esso promana, in modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e da permettere al giudice competente di esercitare il proprio controllo. La necessità della motivazione dev’essere valutata in funzione delle circostanze del caso, in particolare del contenuto dell’atto, della natura dei motivi esposti e dell’interesse che i destinatari dell’atto o altre persone da questo riguardate direttamente e individualmente possano avere a ricevere spiegazioni. La motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti, in quanto l’accertamento del se la motivazione di un atto soddisfi i requisiti di cui all’art. 253 CE va effettuato alla luce non solo del suo tenore, ma anche del suo contesto e del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia (sentenza della Corte 2 aprile 1998, causa C‑367/95 P, Commissione/Sytraval e Brink’s France, Racc. pag. I‑1719, punto 63).

311    A questo proposito si deve rilevare che, se è vero che la decisione impugnata non indica il metodo mediante il quale la Commissione è giunta a stabilire il livello preciso dei coefficienti, risulta dalla giurisprudenza che i requisiti della formalità sostanziale costituita dall’obbligo di motivazione vengono soddisfatti allorché la Commissione indica, nella sua decisione, gli elementi di valutazione che le hanno consentito di misurare la gravità e la durata dell’infrazione, senza essere tenuta a farvi figurare un’esposizione più dettagliata o elementi numerici circa le modalità di calcolo dell’ammenda (sentenze della Corte 16 novembre 2000, causa C‑279/98 P, Cascades/Commissione, Racc. pag. I‑9693, punti 39‑47, e 15 ottobre 2002, cause riunite C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, Racc. pag. I‑8375, punti 463 e 464; sentenza del Tribunale 15 marzo 2006, causa T‑15/02, BASF/Commissione, Racc. pag. II‑497, punto 213).

312    In particolare, è stato dichiarato che l’indicazione dei dati numerici che, segnatamente per quanto riguarda l’effetto dissuasivo ricercato, hanno ispirato l’esercizio del potere discrezionale della Commissione nel fissare le ammende è una facoltà di cui è auspicabile che la Commissione si avvalga, ma che non fa parte delle prescrizioni che discendono dall’obbligo di motivazione (sentenze Cascades/Commissione, punto 311 supra, punti 47 e 48, e BASF/Commissione, punto 311 supra, punto 214).

313    Nella fattispecie, la Commissione ha indicato, al punto 491 della decisione impugnata, quanto segue:

«[L]a gamma di ammende previste permette inoltre di fissare le ammende a un livello tale da garantirne un effetto sufficientemente dissuasivo, tenuto conto della dimensione delle singole imprese cui infliggere le ammende e delle particolari circostanze del caso. Si considera che per le imprese che hanno un fatturato particolarmente rilevante in rapporto agli altri concorrenti un fattore moltiplicatore viene assegnato per assicurare un effetto sufficientemente dissuasivo».

314    La Commissione ha poi indicato, per ciascuna delle imprese interessate, il fatturato mondiale del 2005 e il coefficiente attribuito, dati che ha riportato in una tabella. Alla ABB, con un fatturato mondiale nel 2005 di EUR 18 038 milioni, è stato applicato il coefficiente di 1,25; alla Melco, con un fatturato mondiale nel 2005 di EUR 26 336 milioni, il coefficiente di 1,5; alla Toshiba, con un fatturato mondiale nel 2005 di EUR 46 353 milioni, il coefficiente di 2; alla Hitachi, con un fatturato mondiale nel 2005 di EUR 69 161 milioni, il coefficiente di 2,5; infine, alla Siemens, con un fatturato mondiale nel 2005 di EUR 75 445 milioni, il coefficiente di 2,5.

315    Risulta dal punto 491 della decisione impugnata che la Commissione ha ritenuto che un aumento dell’importo di partenza fissato per la Siemens fosse necessario per assicurare l’effetto sufficientemente dissuasivo dell’ammenda, considerate le dimensioni e le risorse globali di detta impresa. Risulta anche che la Commissione ha fatto riferimento a tal fine al fatturato globale nel 2005.

316    Al riguardo occorre ricordare la giurisprudenza costante secondo cui il fatturato complessivo offre un’indicazione, sia pure approssimativa e imperfetta, delle dimensioni e della potenza economica di un’impresa (sentenze della Corte 7 giugno 1983, cause riunite 100/80‑103/80, Musique Diffusion française e a./Commissione, Racc. pag. 1825, punto 121; Baustahlgewebe/Commissione, punto 43 supra, punto 139, nonché BASF/Commissione, punto 311 supra, punto 212).

317    Appare dunque che, nella decisione impugnata, la Commissione ha esposto a sufficienza di diritto gli elementi presi in considerazione per aumentare l’importo di partenza delle ammende a fini di dissuasione, permettendo così, alla Siemens, di conoscere le ragioni di tale aumento quanto alla propria ammenda e di far valere i suoi diritti e, al giudice, di esercitare il proprio controllo. Per contro, tenuto conto della giurisprudenza citata al punto 312 supra, la Commissione non era tenuta a fornire, nella decisione impugnata, i dati numerici che ha fornito in udienza, giacché l’obbligo di motivazione non lo imponeva.

318    Pertanto si deve respingere la censura vertente su un difetto di motivazione.

319    In secondo luogo, si deve respingere l’allegazione della Siemens secondo cui la Commissione non ha fedelmente seguito, nella determinazione dei coefficienti di dissuasione, il suo proprio metodo, caratterizzato dal volume di affari e dal coefficiente di dissuasione della ABB come «punto di partenza». Infatti, tale argomento procede da una confusione tra il coefficiente di dissuasione, da un lato, e la maggiorazione dell’importo di partenza dell’ammenda risultante dall’applicazione di tale coefficiente, dall’altro. Ebbene, la Commissione ha affermato di aver calcolato i coefficienti di dissuasione in maniera proporzionale al fatturato delle diverse imprese interessate, ma non ha mai affermato, nella decisione impugnata o nelle memorie dinanzi al Tribunale, che dall’applicazione di tali coefficienti dovrebbe risultare una maggiorazione dell’importo di partenza delle ammende a sua volta proporzionale ai fatturati. Al contrario, discende necessariamente dalle cifre indicate dalla Commissione al punto 491 della decisione impugnata che il tasso di aumento dell’ammenda dovuto all’applicazione del coefficiente di dissuasione è progressivo rispetto ai fatturati delle imprese interessate.

320    Come fa valere la Commissione, la proporzionalità dei coefficienti di dissuasione può essere facilmente verificata tracciando un grafico dei diversi coefficienti applicati rispetto ai fatturati delle imprese interessate. Il grafico che ne risulta è una linea dritta e rappresenta dunque un rapporto di proporzionalità per tutte le imprese interessate, eccezion fatta per la Siemens, per la quale il rapporto è anzi decrescente in quanto le viene applicato lo stesso coefficiente della Hitachi, sebbene il suo fatturato mondiale del 2005 superasse quello della Hitachi di più di 6 miliardi di euro. Un tale rapporto di proporzionalità soddisfa i requisiti enunciati dal Tribunale nella sentenza Degussa/Commissione, punto 260 supra (punto 338), dove è precisato che il raggruppamento delle imprese in categorie ai fini della determinazione del coefficiente di dissuasione, conformemente al principio della parità di trattamento, deve essere oggettivamente giustificato. Si deve ancora ricordare, al riguardo, che, conformemente alla giurisprudenza citata al punto 316 supra, il fatturato complessivo delle imprese costituisce un indizio delle loro dimensioni e potenza economica.

321    Pertanto, non c’è stata applicazione incoerente ai danni della Siemens, da parte della Commissione, del suo proprio metodo di calcolo. Di conseguenza, la censura vertente sul carattere sproporzionato del coefficiente di dissuasione, fondata su una tale incoerente applicazione, deve essere respinta.

322    Per lo stesso motivo la Siemens non può utilmente invocare la sentenza 29 aprile 2004, Tokai Carbon e a./Commissione, punto 86 supra (punti 245‑247), per quanto concerne il calcolo dei coefficienti di dissuasione. Infatti, nei suddetti punti di tale sentenza il Tribunale ha, in sostanza, contestato alla Commissione di non aver seguito in maniera logica e coerente, nei confronti di tutte le imprese interessate, il metodo che essa stessa aveva scelto per determinare il coefficiente di dissuasione. Ebbene, come si è visto poc’anzi, analoga censura non può essere mossa nella fattispecie alla Commissione.

323    In terzo luogo, occorre ricordare che, se, contrariamente ai coefficienti di dissuasione, la maggiorazione dell’importo di partenza che risulta dalla loro applicazione non è proporzionale al fatturato delle imprese interessate, bensì progressiva, tale circostanza risulta necessariamente dall’applicazione del metodo scelto dalla Commissione. Quest’ultima ha, dunque, con ogni evidenza, ritenuto che una tale maggiorazione progressiva rispetto al fatturato fosse necessaria per assicurare un effetto sufficientemente dissuasivo delle ammende nei confronti delle imprese interessate con un fatturato particolarmente elevato. Il Tribunale non può sostituire a tale valutazione la sua propria valutazione dell’idoneità del coefficiente di dissuasione applicato, tanto più che manca qualsivoglia elemento di fatto nel senso che il sistema applicato dalla Commissione conduce a risultati che eccedono lo stretto necessario per assicurare un effetto sufficientemente dissuasivo delle ammende.

324    Di conseguenza, occorre respingere il secondo capo del terzo motivo.

C –  Sul terzo capo del terzo motivo, concernente l’errata determinazione della durata dell’infrazione

325    La Siemens fa valere che, poiché l’infrazione è prescritta per quanto concerne il periodo anteriore il mese di aprile 1999, la Commissione si è fondata su una durata inesatta per maggiorare l’importo di partenza dell’ammenda. A suo giudizio, la Commissione poteva imputarle solo un’infrazione di durata media, la quale avrebbe giustificato, ai sensi degli orientamenti, una maggiorazione del 20% rispetto all’importo di partenza dell’ammenda.

326    La Commissione contesta gli argomenti della Siemens.

327    Al riguardo è sufficiente ricordare che, siccome l’eccezione di prescrizione sollevata dalla Siemens quanto alla prima fase dell’infrazione deve essere respinta (v. punti 236‑255 supra), il presente capo, fondato sulla medesima eccezione di prescrizione, deve essere respinto anch’esso.

D –  Sul quarto capo del terzo motivo, concernente l’ingiustificata qualifica della Siemens come leader

328    Nell’ambito del quarto capo del terzo motivo, relativo all’ingiustificata qualifica come leader dell’infrazione che le sarebbe stata applicata, la Siemens solleva tre censure vertenti, la prima, sul fatto che è stata la ABB l’impresa leader dell’intesa, la seconda, sul fatto che essa stessa non ha ricoperto tale ruolo e, la terza, sulla sproporzione della maggiorazione dell’importo di base dell’ammenda che le è stata inflitta a titolo di leader. Essa invoca, al riguardo, una violazione da parte della Commissione dell’obbligo di motivazione e dei principi di parità di trattamento e di proporzionalità delle pene.

329    Occorre esaminare congiuntamente la prima e la seconda censura prima di passare alla terza.

1.     Sulla prima e la seconda censura, vertenti sul fatto che la ABB e non la Siemens sarebbe stata leader dell’intesa

a)     Argomenti delle parti

330    La Siemens ritiene di aver dimostrato di non aver rivestito il ruolo di leader dell’intesa. Al riguardo, in primo luogo, ricorda che i fatti che le sono imputati per il periodo dal 1988 al 1999 sono prescritti, per la qual cosa tale periodo non può essere preso in considerazione come circostanza aggravante per il calcolo dell’importo dell’ammenda. In secondo luogo, fa valere che la Commissione interpreta in maniera scorretta la nozione di impresa leader dell’infrazione e disconosce la natura puramente amministrativa dei servizi di segreteria da essa svolti in seno all’intesa. In terzo luogo, la Commissione non terrebbe conto del fatto che, nel periodo compreso tra il 2002 e il 2004, la Siemens non ha assunto alcun compito di segreteria.

331    La Siemens afferma, peraltro, che la Commissione disconosce il ruolo di istigatore e di organizzatore rivestito dalla ABB tra il 1988 e il 1999, il quale escluderebbe la sua qualità di leader dell’infrazione nel corso del medesimo periodo. Il ruolo svolto dalla ABB come istigatore, direttore e motore del cartello sarebbe stato molto più importante di quello di segretario europeo dell’intesa ricoperto dalla Siemens durante la prima fase della sua partecipazione all’infrazione, che la Commissione avrebbe invece sopravvalutato. Secondo la Siemens, si potrebbe rimediare a tale disparità di trattamento soltanto annullando la maggiorazione dell’importo di base dell’ammenda che le è stata inflitta.

332    La Commissione contesta gli argomenti della Siemens.

b)     Giudizio del Tribunale

 Sul ruolo di leader dell’intesa

333    Al punto 514 della decisione impugnata, la Commissione ha considerato, in particolare, che la Siemens fosse stata «leader» dell’infrazione, ai sensi del punto 2, terzo trattino, degli orientamenti, per aver svolto compiti di segretario europeo dell’intesa. Essa ha ritenuto, ai punti 514 e 522 della decisione impugnata, che l’importo di base dell’ammenda da infliggere alla Siemens dovesse essere maggiorato del 50%, ciò che ha portato all’importo finale di EUR 396 562 000.

334    Per quanto concerne, anzitutto, l’argomento della Siemens secondo cui la Commissione l’avrebbe erroneamente considerata leader per la seconda fase della sua partecipazione all’intesa, dal 2002 al 2004, lo si deve respingere come viziato in fatto. Se è vero, infatti, che ai punti 511‑514 della decisione impugnata, nei quali è valutato il ruolo di leader nell’ambito dell’esame delle circostanze aggravanti, mancano precisazioni quanto ai periodi per i quali la Commissione ha qualificato la Siemens e la Alstom o la Areva leader, il punto 147 della decisione impugnata enuncia espressamente che «mentre la [segreteria europea dell’intesa] è stata gestita da Siemens fino a settembre 1999, Alstom ha svolto il ruolo di segreteria E nel periodo 1999‑2004». Alla luce di ciò, non si può ritenere che la Commissione abbia qualificato la Siemens leader per il periodo che va dal 2002 al 2004.

335    Riguardo, poi, alla pretesa prescrizione dei fatti concernenti il periodo dal 1988 al 1999, si fa rinvio alle considerazioni svolte ai punti 236‑255 supra, ai termini delle quali non vi è prescrizione della prima fase dell’infrazione quanto alla partecipazione della Siemens.

336    Infine, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, qualora un’infrazione sia stata commessa da più imprese, nel determinare l’importo delle ammende è necessario esaminare la gravità relativa della partecipazione di ciascuna di esse (sentenze della Corte 16 dicembre 1975, cause riunite da 40/73 a 48/73, 50/73, da 54/73 a 56/73, 111/73, 113/73 e 114/73, Suiker Unie e a./Commissione, Racc. pag. 1663, punto 623 e Aalborg Portland e a./Commissione, punto 48 supra, punto 92; sentenze Groupe Danone/Commissione, punto 66 supra, punto 277, e BASF/Commissione, punto 311 supra, punto 280), il che implica, in particolare, che si stabilisca quale sia stato il loro rispettivo ruolo nell’infrazione per tutta la durata della loro partecipazione ad essa (sentenze Commissione/Anic Partecipazioni, punto 43 supra, punto 150; Groupe Danone/Commissione, punto 66 supra, punto 277, e BASF/Commissione, punto 311 supra, punto 280). Al riguardo, l’elenco indicativo delle circostanze che possono giustificare una maggiorazione dell’importo di base dell’ammenda, stilato al punto 2 degli orientamenti, comprende segnatamente, al suo terzo trattino, l’«organizzazione dell’infrazione o [l’]istigazione a commetterla» da parte di un’impresa.

337    Secondo la giurisprudenza, per essere qualificata «leader», l’impresa deve avere rappresentato una forza motrice significativa per l’intesa (sentenze del Tribunale BASF/Commissione, punto 311 supra, punto 374, e 18 giugno 2008, causa T‑410/03, Hoechst/Commissione, Racc. pag. II‑881, punto 423) o aver avuto una responsabilità particolare e concreta nella creazione e nel funzionamento della stessa (v., in tal senso, sentenza BASF/Commissione, punto 311 supra, punto 300). Tale circostanza deve essere valutata da un punto di vista globale, alla luce del contesto di specie (v., in tal senso, sentenza BASF/Commissione, punto 311 supra, punti 299 e 373). La qualifica di «leader» è stata attribuita, in particolare, dalla giurisprudenza quando è stato dichiarato che l’impresa ha assunto le funzioni di coordinatrice dell’intesa mettendo a disposizione il personale e curando l’organizzazione della segreteria incaricata dell’attuazione concreta dell’intesa [sentenza del Tribunale 9 luglio 2003, causa T‑224/00, Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, Racc. pag. II‑2597 (in prosieguo: sentenza «ADM»), punti 246 e 247], o quando detta impresa ha avuto il ruolo da protagonista nel funzionamento concreto dell’intesa, per esempio organizzando numerose riunioni, raccogliendo e smistando informazioni in seno al cartello, incaricandosi di rappresentare taluni membri al suo interno o formulando più spesso di chiunque altro proposte per il funzionamento dell’intesa (v., in tal senso, sentenza della Corte 8 novembre 1983, cause riunite 96/82‑102/82, 104/82, 105/82, 108/82 e 110/82, IAZ International Belgium e a./Commissione, Racc. pag. 3369, punti 57 e 58, e sentenza BASF/Commissione, punto 311 supra, punti 404, 439 e 461).

338    Nella fattispecie, come risulta dai punti 511‑513 della decisione impugnata, la Commissione ha tenuto conto del fatto che la segreteria europea dell’intesa è sussistita per tutta la durata della stessa ed è rimasta stabile nel tempo, nonostante fossero cambiate molte cose nell’organizzazione del cartello. I compiti della segreteria sarebbero stati estesi. Facendo rinvio ai punti 121‑123, 131, 132, 142, 147‑149, 157‑161, 173 e 185 della decisione impugnata, la Commissione ha indicato che la segreteria europea dell’intesa era un mezzo di comunicazione tra le imprese europee membri del cartello nonché tra queste ultime e la segreteria giapponese, che ha convocato e presieduto le riunioni e che è stata responsabile per la contabilità delle quote. La Siemens non ha contestato tali fatti dinanzi al Tribunale. La Commissione ha ritenuto che risulti chiaramente dal contenuto dell’accordo GQ e da quello dell’accordo EQ, nonché dal funzionamento concreto dell’intesa, che il ruolo della segreteria dell’intesa fosse essenziale. Assumendo l’iniziativa e consacrando risorse considerevoli all’intesa, la segreteria avrebbe reso un servizio considerevole al cartello e contribuito in maniera tutta particolare al suo buon funzionamento.

339    La Siemens non ha contestato né durante il procedimento amministrativo dinanzi alla Commissione né davanti al Tribunale di aver assunto, nella prima fase della sua partecipazione all’intesa, dal 1988 al 1999, il ruolo di segretaria europea dell’intesa. Il fatto che essa ricoprisse tale ruolo risulta, peraltro, dalle testimonianze dei suoi ex dipendenti E. e Tr. (v., al riguardo, punto 222 supra). Tuttavia, essa fa valere che, nella fattispecie, il segretario europeo non poteva essere qualificato leader dell’infrazione, poiché il suo ruolo si esauriva in compiti di comunicazione e non implicava né l’assunzione di iniziative né una particolare avversione alle regole di concorrenza. Non disponeva neppure di potere decisionale.

340    Ebbene, si deve constatare che i compiti svolti dal segretario proprio dell’intesa gli conferivano il ruolo di leader nel coordinamento dell’intesa e, in ogni caso, nel funzionamento concreto della stessa. La Commissione ha, infatti, potuto considerare a buon diritto, nella decisione impugnata, che la segreteria europea fosse il punto di contatto tra i membri dell’intesa e che ricoprisse un ruolo cruciale nel suo funzionamento concreto, in quanto facilitava lo scambio di informazioni al suo interno nonché centralizzava, compilava e smistava tra i membri dell’intesa informazioni essenziali al suo funzionamento; specialmente le informazioni relative ai progetti di GIS, giacché organizzava ed assicurava la segreteria delle riunioni operative.

341    Tale ruolo cruciale non è rimesso in discussione dall’esistenza del comitato del gruppo europeo, che svolgeva a sua volta un ruolo importante nell’intesa. Peraltro non è contestato che la Siemens fosse anche un membro permanente di tale comitato. Pertanto le sue funzioni di segretario europeo dell’intesa andavano a sommarsi al suo status di membro permanente del comitato e la distinguevano dagli altri membri permanenti dello stesso, cioè la ABB e la Alstom.

342    Inoltre, la Commissione ha potuto considerare a buon diritto, ai punti 147 e 513 della decisione impugnata, che ricoprire la segreteria dell’intesa era una responsabilità importante che implicava risorse sostanziali, non fosse altro che in termini di tempo e di personale messo a disposizione. Senza il coordinamento e l’organizzazione centrale assicurate dalla segreteria europea dell’intesa, quest’ultima non avrebbe probabilmente potuto, vista la sua complessità, funzionare con altrettanta efficacia. Peraltro, tenuto conto del fatto che non è contestato che la Siemens abbia svolto tali compiti durevolmente, dall’inizio dell’intesa nel 1988 fino all’interruzione della sua partecipazione nel 1999, la Commissione ha potuto senza errore concludere che tale impresa aveva, nella fattispecie, rappresentato una forza motrice significativa per l’intesa e, per ciò stesso, curato l’«organizzazione dell’infrazione» ai sensi del punto 2, terzo trattino, degli orientamenti.

343    Gli argomenti della Siemens relativi al ruolo di leader dell’infrazione della ABB non sono atti ad inficiare tale conclusione.

344    Quanto, anzitutto, all’argomento della Siemens secondo cui il ruolo di leader della ABB escluderebbe la propria leadership, si deve respingere la premessa che ne è alla base, e cioè che leader di un’intesa possa essere una sola impresa per volta.

345    Infatti, come risulta dalla giurisprudenza, è del tutto possibile che due o anche più imprese si vedano simultaneamente attribuire la qualità di leader, segnatamente nell’ambito di un’intesa che coinvolge un elevato numero di partecipanti, come l’intesa sui progetti di GIS, almeno nella prima fase del suo funzionamento (v., in tal senso, sentenze del Tribunale BASF/Commissione, punto 311 supra, punti 439 e 440, e 26 aprile 2007, cause riunite T‑109/02, T‑118/02, T‑122/02, T‑125/02, T‑126/02, T‑128/02, T‑129/02, T‑132/02 e T‑136/02, Bolloré e a./Commissione, Racc. pag. II‑947, punto 561 e la giurisprudenza ivi citata).

346    Pertanto, anche a supporre che la ABB debba essere qualificata leader dell’intesa sulle GIS, nulla osta a che anche la Siemens venga qualificata tale.

 Sull’asserita disparità di trattamento della Siemens rispetto alla ABB

347    Occorre indi esaminare l’argomento della Siemens secondo cui, attribuendole la leadership, e non attribuendola alla ABB, la Commissione ha violato il principio della parità di trattamento, giacché la ABB avrebbe avuto un ruolo di istigatore e di leader. Tale argomento deve essere respinto per due ragioni.

348    Da un lato, quanto al preteso ruolo di istigatore della ABB, si deve ricordare che, come risulta dallo stesso testo del punto 2, terzo trattino, degli orientamenti, la nozione di «organizzatore» dell’infrazione va distinta da quella di «istigatore». Infatti, mentre l’istigazione attiene al momento della fondazione o dell’allargamento di un’intesa, l’organizzazione afferisce al suo funzionamento (sentenza BASF/Commissione, punto 311 supra, punto 316). Cosicché, l’organizzatore di un’infrazione e l’istigatore alla stessa non si trovano nella stessa situazione, per la qual cosa, quand’anche la Commissione abbia sbagliato a non qualificare la ABB istigatore dell’intesa, trattare diversamente tale società e la Siemens non costituisce una violazione del principio della parità di trattamento.

349    D’altro lato, non è dimostrato e neppure allegato che la ABB abbia assunto la segreteria europea dell’intesa o quantomeno che abbia esercitato da sola, in maniera stabile e duratura, l’insieme delle funzioni abitualmente devolute al segretario europeo. Inoltre, se è generalmente ammesso, finanche dalla Commissione, che la ABB ha svolto un «ruolo significativo» in seno al cartello, non è stato dimostrato che tale ruolo sia stato simile, sotto il profilo del funzionamento dell’intesa, a quello svolto dalla Siemens e dalla Alstom o dalla Areva quali segretari europei dell’intesa.

350    Le allegazioni della Siemens al riguardo non sono idonee a rimettere in discussione tale constatazione.

351    In primo luogo, il riferimento da parte della Siemens al ruolo svolto dalla ABB nel cartello sui tubi precaloriferi alla fine degli anni ‘80 è inconferente nell’ambito della presente controversia, a parte il fatto, correttamente osservato nella decisione impugnata, che la ABB deve essere qualificata recidiva in materia di intese.

352    In secondo luogo, gli elementi del fascicolo invocati dalla Siemens non sono idonei a provare l’allegazione che la ABB doveva essere qualificata leader dell’intesa.

353    Infatti, contrariamente a quanto sostiene la Siemens, la circostanza che, in seno alla ABB, la decisione di partecipare all’intesa ha potuto essere presa al più alto livello, quand’anche dimostrata, non conferma punto il ruolo motore della ABB nell’intesa. Né lo conferma il fatto che due dipendenti della ABB siano stati successivamente, secondo le indicazioni del sig. M., «portavoce europei» (European speaker). Tale circostanza non conferisce a detta impresa la leadership dell’intesa. Al riguardo occorre rilevare che la natura del compito dell’«European speaker» non risulta dai documenti del fascicolo né, in particolare, dalle memorie della Siemens. Inoltre, il fatto che né l’accordo GQ né l’accordo EQ menzionino tale funzione permette di presumere che le mansioni dell’«European speaker» non rivestissero grande importanza nel funzionamento dell’intesa.

354    Allo stesso modo, se è vero che la nota a piè di pagina n. 153 della decisione impugnata menziona, come fa valere la Siemens, una dichiarazione della Areva secondo cui la ABB avrebbe presieduto le riunioni a livello direttivo, l’inserimento di detta nota a piè di pagina al punto 147 della decisione impugnata e il tenore della dichiarazione della Areva lasciano chiaramente apparire che tale dichiarazione si riferisce solamente al periodo compreso tra il 2002 e il 2004. La Commissione non addebita alla Siemens di aver ricoperto la segreteria dell’intesa durante tale periodo relativamente breve – infatti, era la Alstom ovvero la Areva che ricopriva tale ruolo a quel tempo. Orbene, la Siemens non spiega perché il fatto, quand’anche vero, che la ABB abbia potuto presiedere le riunioni a livello direttivo per un periodo di appena due anni durante i quali la segreteria era assicurata dalla Alstom ovvero dalla Areva renderebbe il ruolo della ABB analogo a quello della Siemens nel periodo di più di undici anni durante i quali quest’ultima ha funto da segretario europeo del cartello.

355    Il fatto, rilevato dalla Siemens, che la ABB e la Alstom avessero deciso, nel 2000, di escludere l’impresa VA Tech dall’intesa, organizzando una «serata d’addio», non dimostra il ruolo di leader della ABB. Siccome, infatti, a seguito della concentrazione che ha avuto luogo sul mercato in questione, restavano solo tre imprese europee nel cartello dopo il ritiro della Siemens, non può parlarsi di leadership quando due di tali imprese si alleano contro la terza.

356    Infine, l’allegazione della Siemens secondo cui la ABB ha svolto un ruolo determinante nell’organizzazione e nell’attuazione delle misure di ritorsione adottate contro la Siemens dopo il suo ritiro non è dimostrata da alcun elemento di prova. Infatti, né il punto 169 della decisione impugnata né la dichiarazione del sig. M. che è ivi citata contengono la benché minima indicazione di un ruolo decisivo che la ABB avrebbe svolto nell’organizzazione o nell’attuazione di dette misure di ritorsione.

357    Pertanto, la Siemens non ha dimostrato che la ABB ha versato in una situazione analoga alla propria sotto il profilo della leadership, cosicché il diverso trattamento loro applicato è giustificato.

358    In ogni caso, ammesso che la Commissione abbia erroneamente omesso di qualificare la ABB come leader dell’intesa, malgrado il ruolo significativo svolto da tale impresa nel cartello, una tale illegittimità, commessa a favore di terzi, non giustificherebbe che sia accolto il motivo di annullamento sollevato dalla Siemens. Infatti, secondo una giurisprudenza costante, l’osservanza del principio della parità di trattamento deve conciliarsi con il rispetto del principio di legalità secondo cui nessuno può far valere, a proprio vantaggio, un illecito commesso a favore di altri (v., in tal senso, sentenza della Corte 9 ottobre 1984, causa 188/83, Witte/Parlamento, Racc. pag. 3465, punto 15; sentenze del Tribunale SCA Holding/Commissione, punto 184 supra, punto 160; 14 maggio 1988, causa T‑347/94, Mayr-Melnhof/Commissione, Racc. pag. II‑1751, punto 334, e LR AF 1988/Commissione, punto 87 supra, punto 367).

359    Orbene, com’è stato esposto ai punti 339‑342 supra, è a buon diritto che la Commissione ha qualificato la Siemens leader dell’intesa. Pertanto, l’argomentazione della Siemens, che è volta ad evitare un’indebita maggiorazione dell’ammenda a tal titolo, non può essere accolta (v., in tal senso, sentenze Mayr-Melnhof/Commissione, punto 358 supra, punto 334, e SCA Holding/Commissione, punto 184 supra, punto 160).

360    Di conseguenza, si devono respingere le censure della Siemens vertenti sul fatto che essa non sarebbe stata leader dell’intesa e che la ABB dovesse essere qualificata istigatore o organizzatore dell’infrazione.

2.     Sulla terza censura, relativa all’enormità della maggiorazione dell’importo di base dell’ammenda inflitta alla Siemens a titolo di leader dell’intesa

a)     Argomenti delle parti

361    La Siemens fa valere, in subordine, che, ammesso pure che l’esercizio temporaneo delle attività di segreteria giustifichi la qualifica di leader dell’intesa, la maggiorazione del 50% applicata dalla Commissione è eccessiva ed integra una violazione dei principi della parità di trattamento e della proporzionalità. Facendo appello alla prassi decisionale della Commissione, la Siemens sostiene che una maggiorazione del 50% dell’importo di base dell’ammenda presuppone l’esistenza di altre circostanze aggravanti oltre al mero fatto, per l’impresa interessata, di aver esercitato attività di segreteria. Essa chiede, perciò, al Tribunale di ridurre sostanzialmente, nell’ambito della sua competenza di pieno diritto, la maggiorazione che le è stata applicata.

362    La Commissione contesta gli argomenti della Siemens.

b)     Giudizio del Tribunale

363    In primo luogo, si deve constatare che l’argomento secondo cui una maggiorazione del 50% sarebbe superiore a quella generalmente applicata nelle altre decisioni della Commissione non rivela di per sé una violazione del principio di proporzionalità (sentenza Bolloré e a./Commissione, punto 345 supra, punto 579; v. anche, in tal senso, sentenza ADM, punto 337 supra, punto 248).

364    A tal riguardo basta ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, nel determinare l’importo di ciascuna ammenda, la Commissione dispone di un certo margine di discrezionalità e non è obbligata ad applicare, a tal fine, una precisa formula matematica (sentenze del Tribunale 6 aprile 1995, causa T‑150/89, Martinelli/Commissione, Racc. pag. II‑1165, punto 59; 14 maggio 1998, causa T‑352/94, Mo och Domsjö/Commissione, Racc. pag. II‑1989, punto 268, e Bolloré e a./Commissione, punto 345 supra, punto 580). Pertanto, la Siemens non può argomentare dalle maggiorazioni applicate dalla Commissione in altre controversie per fondare la censura di violazione del principio di proporzionalità.

365    In secondo luogo, per quanto concerne l’argomento della Siemens secondo cui la maggiorazione del 50% dell’ammenda a titolo di leader dell’intesa viola anche il principio della parità di trattamento giacché sarebbe stata la ABB il motore dell’intesa, occorre ricordare che, com’è stato constatato ai punti 352‑357 supra, la Siemens non è pervenuta a dimostrare che, alla luce degli atti acquisiti al fascicolo, il ruolo della ABB debba essere qualificato equivalente al proprio. Anzi, il preteso ruolo motore della ABB in seno all’intesa non risulta da nessun elemento. Pertanto, la ABB e la Siemens non si sono trovate nella medesima situazione e la Commissione non era tenuta a trattarle alla stessa maniera.

366    Peraltro, quand’anche, come allega la Siemens, la pretesa qualità della ABB di motore dell’intesa imponga di considerarne il ruolo come equivalente a quello della Siemens, qualificazione che la Commissione avrebbe allora erroneamente omesso, una tale illegittimità, commessa in favore di terzi, non giustificherebbe che sia accolto il motivo di annullamento sollevato dalla Siemens. Infatti, com’è stato ricordato al punto 358 supra, il rispetto del principio della parità di trattamento ovvero della non discriminazione deve conciliarsi con quello del principio di legalità, ciò che implica che nessuno può invocare a suo vantaggio un’illegalità commessa a favore di terzi.

367    In terzo luogo, quanto alla proporzionalità della maggiorazione a carico della Siemens in quanto leader dell’intesa, risulta dalla giurisprudenza che, per un’impresa, il fatto di aver agito come capofila di un’intesa implica che essa debba accollarsi una responsabilità particolare rispetto alle altre imprese (v., in tal senso, sentenze della Corte IAZ International Belgium e a./Commissione, punto 337 supra, punti 57 e 58, e 16 novembre 2000, causa C‑298/98 P, Finnboard/Commissione, Racc. pag. I‑10157, punto 45; nonché sentenza Mayr Melnhof/Commissione, punto 358 supra, punto 291).

368    Nella fattispecie, tenuto conto dell’importanza dei compiti assunti dalla Siemens in seno all’intesa quale suo segretario europeo, compiti descritti ai punti 338, 340 e 342 supra, una maggiorazione del 50% non può essere ritenuta sproporzionata.

369    Pertanto occorre respingere la terza censura e, conseguentemente, il quarto capo del terzo motivo.

E –  Sul quinto capo del terzo motivo, vertente su un errore manifesto di valutazione nel non ridurre l’ammenda ai sensi della comunicazione sulla cooperazione

1.     Argomenti delle parti

370    La Siemens fa valere che ingiustamente la Commissione le ha negato una riduzione dell’importo dell’ammenda in applicazione della comunicazione sulla cooperazione. Essa avrebbe prodotto prove che hanno un valore aggiunto particolare e cita a tale proposito la trasmissione di notizie su una serie di riunioni dell’intesa, un fascicolo ricostituito, la lettera di un avvocato concernente il funzionamento dell’intesa tra il 2002 e il 2004, i risultati dell’indagine interna della Siemens nel 2005 e le testimonianze dei suoi ex dipendenti Tr., E. e Sch.

371    La Commissione contesta gli argomenti della Siemens.

2.     Giudizio del Tribunale

372    Conformemente al punto 21 della comunicazione sulla cooperazione, per ottenere una riduzione dell’ammenda a titolo di tale comunicazione, un’impresa deve fornire alla Commissione elementi di prova della presunta infrazione che costituiscano un valore aggiunto significativo rispetto agli elementi di prova già in possesso della Commissione.

373    Ai termini del punto 22 della comunicazione sulla cooperazione, la nozione di «valore aggiunto» si riferisce alla misura in cui gli elementi di prova forniti rafforzano, per la loro stessa natura e/o per il loro grado di precisione, la capacità della Commissione di dimostrare i fatti in questione.

374    Secondo la giurisprudenza, la riduzione dell’importo delle ammende per la cooperazione offerta dalle imprese partecipanti ad infrazioni al diritto comunitario della concorrenza trova il suo fondamento nella considerazione secondo la quale una siffatta cooperazione facilita il compito della Commissione di accertare un’infrazione con minore difficoltà e, eventualmente, di porvi fine (sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, punto 285 supra, punto 399; sentenze del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑311/94, BPB de Eendracht/Commissione, Racc. pag. II‑1129, punto 325; causa T‑338/94, Finnboard/Commissione, Racc. pag. II‑1617, punto 363, e Mayr-Melnhof/Commissione, punto 358 supra, punto 330).

375    Com’è indicato nel punto 29 della comunicazione sulla cooperazione, quest’ultima ha creato aspettative legittime sulle quali fanno affidamento le imprese che intendono informare la Commissione dell’esistenza di un’intesa. Alla luce del legittimo affidamento che le imprese che intendono collaborare con la Commissione possono aver tratto dalla detta comunicazione, la Commissione è quindi tenuta a conformarvisi in sede di valutazione, nell’ambito della determinazione dell’importo dell’ammenda imposta alla Siemens, della cooperazione di quest’ultima (v., per analogia, sentenza del Tribunale 15 marzo 2006, causa T‑26/02, Daiichi Pharmaceutical/Commissione, Racc. pag. II‑713, punto 147 e la giurisprudenza ivi citata).

376    Nei limiti indicati nella comunicazione sulla cooperazione, la Commissione dispone tuttavia di un ampio potere discrezionale per valutare se gli elementi di prova forniti da un’impresa abbiano costituito o meno un valore aggiunto ai sensi del punto 22 della detta comunicazione e se, in sua conformità, vi sia ragione di concedere una riduzione ad un’impresa (v., per analogia, sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, punto 285 supra, punti 393 e 394, e sentenza del Tribunale 14 dicembre 2006, cause riunite da T‑259/02 a T‑264/02 e T‑271/02, Raiffeisen Zentralbank Österreich e a./Commissione, Racc. pag. II‑5169, punto 532). Tale valutazione costituisce oggetto di un controllo giurisdizionale ristretto.

377    Nella fattispecie, si deve dunque verificare se la Commissione abbia commesso un errore manifesto di valutazione ritenendo che le dichiarazioni della Siemens menzionate ai punti 533‑536 della decisione impugnata non costituissero un valore aggiunto significativo.

378    Per quanto riguarda tali dichiarazioni, occorre rilevare, in limine, che le informazioni fornite dalla Siemens tra il 28 maggio 2004, data della sua domanda ai sensi della comunicazione sulla cooperazione, e la comunicazione degli addebiti alla fine di aprile 2006 riguardavano solo la seconda fase della sua partecipazione all’intesa, ossia il periodo compreso tra il 2002 e il 2004. Al contrario, ancora nella comunicazione degli addebiti, essa ha taciuto della sua partecipazione all’infrazione tra il 1988 e il 1999.

379    Peraltro, si deve sottolineare che, in tutte le sue comunicazioni a titolo di cooperazione con la Commissione, la Siemens ha sempre contestato che gli accordi ai quali aveva partecipato avessero come oggetto progetti di GIS in seno al SEE o avessero avuto effetti in seno al SEE. Più che uno spirito di cooperazione sincera, tali comunicazioni fanno quindi emergere un tentativo di dissimulare, in ogni modo possibile, il vero contenuto degli accordi, quale provato dalla Commissione nella decisione impugnata.

380    Tuttavia, la condizione di piena collaborazione posta al punto 11 della comunicazione sulla cooperazione si applica solo alle domande di immunità dalle ammende e non alle domande di riduzione, come risulta dal punto 20 di tale comunicazione. Pertanto, l’evidente mancanza di sincerità nelle dichiarazioni della Siemens non impedisce che le venga accordata una riduzione dell’ammenda qualora, conformemente al punto 21 della suddetta comunicazione, essa abbia fornito elementi di prova di significativo valore aggiunto.

381    Quanto al preteso valore aggiunto delle informazioni fornite dalla Siemens, essa fa valere, in primo luogo, che nella lettera 28 maggio 2004 ha descritto «nel dettaglio tutta una serie di riunioni dell’intesa».

382    Ebbene, si deve rilevare che, nella sua domanda ai sensi della comunicazione sulla cooperazione del 28 maggio 2004, la Siemens ha riconosciuto che i suoi dipendenti R., S. e Ze. hanno avuto, a partire dall’inizio del 2002, contatti con la ABB, la Alstom o la Areva e con il gruppo VA Tech, e ha prodotto un primo elenco di riunioni a livello direttivo e a livello operativo. Tuttavia, essa ha indicato che l’oggetto di tali contatti era il «benchmarking» – vale a dire la misurazione di prassi aziendali per incrementare le performance delle imprese del settore – e la verifica della possibilità di cooperare per forniture comuni o scambio di prodotti base. La Siemens ha egualmente riconosciuto che durante tali riunioni fosse stato discusso un pur molto limitato numero di progetti concreti, precisando che si trattava tuttavia di progetti internazionali senza alcun rapporto con il SEE. Per di più, tali progetti non avrebbero costituito oggetto di accordi sui prezzi, facendosi meramente appello ad un comportamento «ragionevole» dei produttori quanto al livello delle loro offerte.

383    Tali informazioni non possono essere qualificate elementi di prova della presunta infrazione ai sensi del punto 21 della comunicazione sulla cooperazione, poiché danno atto solo di contatti assolutamente anodini tra i produttori europei di GIS. Inoltre, come ha indicato la Commissione al punto 534 della decisione impugnata, senza che la Siemens la smentisse, essa già sapeva di tali riunioni e dei loro partecipanti.

384    In secondo luogo, la Siemens fa valere di aver decodificato e fornito alla Commissione alcuni dati.

385    Ebbene, si deve rilevare che, nella lettera del 23 luglio 2004, la Siemens ha prodotto diversi documenti. Per prima cosa, ha fornito una lista di progetti di GIS per i quali dovevano essere presentate offerte negli anni 2002‑2003 e situati esclusivamente fuori del SEE, indicando i produttori ai quali erano stati attribuiti; tale lista sarebbe stata ricostruita a partire da un documento acquisito durante le ispezioni effettuate dalla Commissione nei suoi locali. Per seconda cosa, ha prodotto una lista delle comunicazioni effettuate, tra il 22 aprile e il 22 maggio 2004, con la carta SIM del suo dipendente Ze. Per terza cosa, ha prodotto diversi documenti rinvenuti nel computer portatile del sig. Ze. che evocano tentativi di cooperazione bilaterale con gli altri produttori di GIS.

386    Quanto alla lista di progetti, essa non contiene nessun progetto di GIS in Europa e dunque non può fornire informazioni sugli effetti dell’intesa all’interno del SEE. Per quanto concerne la lista delle comunicazioni telefoniche, essa contiene solo la data, l’ora e la durata delle telefonate in uscita nonché il numero selezionato. Inoltre, la Siemens non ha indicato in quale misura tale lista avrebbe potuto servire alla Commissione per dimostrare l’esistenza dell’intesa, tanto più che essa si riferisce ad un periodo (aprile e maggio 2004) durante il quale, secondo la Siemens, l’intesa aveva già cessato di esistere. Infine, i documenti provenienti dal computer portatile del sig. Ze. danno atto solo di progetti di cooperazione anodini e senza alcun rapporto con l’intesa in esame, per esempio attività di benchmarking o possibili formazioni di consorzi per taluni progetti.

387    Pertanto, nessuno di tali documenti può essere qualificato elemento di prova che rafforza la capacità della Commissione di dimostrare l’esistenza dell’intesa.

388    In terzo luogo, la Siemens fa valere di aver trasmesso una lettera redatta in nome dei suoi ex dipendenti che avevano partecipato all’intesa, che descriveva «in maniera dettagliata le modalità di funzionamento dell’intesa» ed enumerava «con dovizia di dettagli gli accordi relativi ai diversi progetti [di GIS] nel SEE». A suo avviso, tale documento costituisce un «documento preciso che riferisce di accordi conclusi tra il 2002 e il 2004».

389    Ebbene, si deve osservare che, il 7 dicembre 2004, la Siemens ha effettivamente trasmesso alla Commissione una lettera datata 25 novembre 2004, redatta dal legale di ex collaboratori della Siemens non identificati. La Siemens suppone che si tratti dei sigg. R., S. e/o Z., dai quali, secondo quanto constatato della Commissione, essa si era fatta rappresentare durante la seconda fase della sua partecipazione all’intesa. In detta lettera sono riassunte le dichiarazioni di tali dipendenti ed è indicato, in particolare, che durante le riunioni che hanno avuto luogo a partire dal mese di ottobre 2002, con la ABB, la Alstom e il gruppo VA Tech, si era discusso di progetti di GIS nel mercato comune, allo scopo di coordinare comportamenti, di concludere accordi e di fissare prezzi; che la Alstom si era accollata compiti di segreteria e che la comunicazione era stata fatta per via telefonica, fax e mail in codice. Nella nota di trasmissione del 7 dicembre 2004 la Siemens ha indicato che, alla luce del contenuto della suddetta lettera, le sue dichiarazioni anteriori erano forse incomplete o finanche errate. Ha altresì precisato, contrariamente a quanto afferma dinanzi al Tribunale, che «le informazioni trasmesse non [erano] molto dettagliate».

390    Anche se tali informazioni rivestono un certo valore probatorio quanto all’infrazione – la Commissione ha citato, invero, la lettera del 25 novembre 2004 nella nota a piè di pagina n. 153 della decisione impugnata come conferma del fatto che la Alstom o la Areva avevano ricoperto la segreteria europea a seguito del ritiro della Siemens nel 1999 –, esse non fanno che confermare gli elementi già a disposizione della Commissione. Infatti, la stessa Areva aveva riconosciuto, in un documento trasmesso alla Commissione per fax il 25 maggio 2004, di aver svolto funzioni di segreteria. Pertanto, le informazioni presentate dalla Siemens non possono essere ritenute costituire un valore aggiunto significativo rispetto agli elementi di prova già in possesso della Commissione.

391    In quarto luogo, la Siemens fa valere di aver analizzato la situazione della concorrenza sui principali mercati dell’Unione e di avere presentato le sue conclusioni alla Commissione e che nessun’altra impresa ha fornito informazioni così dettagliate sullo stato del mercato e della concorrenza.

392    Ebbene, si deve osservare che, il 4 luglio 2005, la Siemens ha comunicato per iscritto alla Commissione il riassunto di un’indagine interna. Ha indicato di aver, nel contesto di tale indagine, proceduto, in particolare, ad una verifica alla luce della normativa antitrust di tutti progetti di GIS che aveva realizzato in Europa dal mese di gennaio 2000 all’aprile 2004. A suo avviso, nonostante gli sforzi considerevoli che aveva implicato, tale indagine non aveva condotto a risultati concreti idonei a confermare le censure formulate dalla Commissione e non aveva permesso di constatare irregolarità che permettessero di concludere per l’esistenza di accordi tra i concorrenti su specifici progetti in seno all’Unione.

393    Pertanto, non è possibile attribuire valore probatorio alle informazioni trasmesse dalla Siemens il 4 luglio 2005. In particolare, non sembra che le pretese «informazioni dettagliate sul contesto del mercato e della concorrenza» abbiano rafforzato la capacità della Commissione di dimostrare l’infrazione constatata nella decisione impugnata e che siano, dunque, di significativo valore aggiunto.

394    In quinto luogo, la Siemens allega di aver trasmesso alla Commissione le testimonianze dei suoi ex dipendenti Tr., E. e Sch., che contenevano informazioni dettagliate sulla conclusione dell’accordo GQ e sul ruolo svolto dalla ABB in seno all’intesa.

395    Ebbene, occorre rilevare che, in allegato a una lettera del 7 agosto 2006, la Siemens ha comunicato alla Commissione i verbali delle testimonianze dei suoi ex dipendenti Tr., E. e Sch. In tale lettera il legale della Siemens ha riassunto la sostanza delle testimonianze suddette. Ha indicato, in particolare, che era stata la BBC, divenuta la ABB, a prendere l’iniziativa dell’accordo GQ e a spingere le discussioni preliminari tra i produttori europei; che l’accordo GQ riguardava i mercati del Medio oriente e non concerneva progetti europei; che la Siemens si era dissociata dall’accordo GQ alla fine del 1998 o, al più tardi, all’inizio del 1999, e che l’intesa alla quale essa aveva partecipato tra il 2002 e il 2004 non era in alcun rapporto con l’intesa anteriore fondata sull’accordo GQ.

396    Occorre osservare anche che tali informazioni sono state trasmesse più di tre mesi dopo la comunicazione degli addebiti intervenuta alla fine di aprile 2006, dove la Commissione aveva già presentato i suoi mezzi di prova relativi all’infrazione contestata ai produttori di GIS. Inoltre, il solo elemento nuovo che risulta dall’insieme di tali testimonianze è l’affermazione secondo cui la ABB sarebbe stata l’istigatore e il motore della conclusione dell’accordo GQ. Ebbene, com’è stato constatato ai punti 350‑357 supra, tale affermazione non è dimostrata da altri elementi del fascicolo. Pertanto le testimonianze dei sigg. Tr., E. e Sch. non possono essere qualificate elementi che hanno rafforzato la capacità della Commissione di dimostrare l’infrazione constatata nella decisione impugnata e che abbiano apportato un significativo valore aggiunto.

397    Discende da quanto precede che la Commissione non ha violato la comunicazione sulla cooperazione rifiutando di accordare alla Siemens una riduzione dell’ammenda inflittale. Di conseguenza, si deve respingere il quinto capo del terzo motivo.

F –  Sul sesto capo del terzo motivo, vertente sul fatto che la DG «Concorrenza» avrebbe de facto costretto il collegio dei commissari

1.     Argomenti delle parti

398    La Siemens denuncia che, alla vigilia della decisione del collegio dei commissari relativa alla presente controversia, alcuni media abbiano informato che un’ammenda di importo esorbitante sarebbe stata inflitta alle imprese partecipanti all’asserita intesa, indicando con precisione l’importo delle ammende inflitte a ciascuna. Ritiene che tale modo di procedere costituisca una violazione del principio fondamentale del diritto comunitario in virtù del quale il collegio dei commissari adotta le sue decisioni sotto la propria sola responsabilità e in autonomia.

399    La Commissione si duole dell’incidente occorso alla Siemens. Sottolinea, tuttavia, che la pubblicazione di tali dati non era intenzionale né nota. Essa avrebbe condotto invano un’indagine interna per scoprire come fosse avvenuta la fuga di notizie e, successivamente, avrebbe modificato la propria prassi decisionale per evitare il ripetersi di simili incidenti in futuro. In punto di diritto, la Commissione ritiene che un annuncio anzi tempo di tal genere non possa limitare l’indipendenza dei commissari e che l’incidente avvenuto non infici la legittimità della decisione impugnata.

2.     Giudizio del Tribunale

400    Occorre ricordare che l’art. 287 CE fa obbligo ai membri, funzionari e agenti delle istituzioni della Comunità «di non divulgare le informazioni che, per loro natura, sono protette dal segreto d’ufficio, in particolare quelle relative alle imprese e riguardanti i loro rapporti commerciali ovvero gli elementi dei loro costi». Benché questa norma riguardi soprattutto le informazioni ottenute da imprese, l’avverbio «in particolare» dimostra che si tratta di un principio generale che comprende anche altre informazioni riservate (sentenza della Corte 7 novembre 1985, causa 145/83, Adams/Commissione, Racc. pag. 3539, punto 34; v. anche, in tal senso, sentenza del Tribunale 18 settembre 1996, causa T‑353/94, Postbank/Commissione, Racc. pag. II‑921, punto 86).

401    Nella fattispecie, risulta dal fascicolo che, prima dell’adozione della decisione impugnata, elementi essenziali del progetto di decisione sottoposto, per approvazione definitiva, al collegio dei commissari sono stati divulgati a un’agenzia di stampa. Infatti, il 23 gennaio 2007, il giorno prima dell’adozione della decisione impugnata, verso le ore 19, tale agenzia ha pubblicato informazioni precise quanto all’importo delle ammende totali e quanto all’importo delle ammende individuali alla Siemens, alla Melco e alla Alstom, come pure la notizia che la ABB avrebbe beneficiato dell’immunità dalle ammende per aver informato la Commissione. Quest’ultima, pur ammettendo di non aver potuto scoprire l’autore della soffiata alla stampa, non ha negato la fuga di informazioni dai suoi servizi.

402    Secondo una costante giurisprudenza, un’irregolarità come quella appena esaminata può comportare l’annullamento della decisione di cui trattasi se si dimostra che, in mancanza della stessa, la suddetta decisione avrebbe avuto un contenuto diverso (sentenze della Corte Suiker Unie e a./Commissione, punto 336 supra, punto 91, e del Tribunale Dunlop Slazenger/Commissione, punto 174 supra, punto 29). Nel caso di specie, la Siemens non ha fornito una simile prova. Infatti, nulla lascia supporre che, se le informazioni controverse non fossero trapelate, il collegio dei commissari avrebbe modificato l’importo dell’ammenda o il contenuto della decisione proposti. In particolare, non esiste alcun elemento che indichi che il collegio dei commissari nel suo insieme o taluni commissari si fossero sentiti costretti o avessero ritenuto di non potersi discostare da elementi del progetto di decisione già annunciati alla stampa.

403    Di conseguenza, anche tale capo del terzo motivo deve essere respinto. Il terzo motivo deve essere dunque respinto nel suo complesso.

404    Siccome tutti e tre i motivi sollevati dalla Siemens sono stati respinti, occorre respingere il ricorso.

 Sulle spese

405    Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Siemens, rimasta soccombente, va condannata alle spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Siemens AG è condannata alle spese.

Pelikánová

Jürimäe

Soldevila Fragoso

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 3 marzo 2011.

Firme

Indice


Fatti

Procedimento e conclusioni delle parti

In diritto

I –  Sul primo motivo, vertente sulla violazione dell’art. 81, n. 1, CE e dell’art. 53, n. 1, dell’accordo SEE

A –  Sul primo capo del primo motivo, concernente un’«insufficiente descrizione delle violazioni imputate»

1.  Argomenti delle parti

2.  Giudizio del Tribunale

B –  Sul secondo capo del primo motivo, concernente un’«analisi scorretta dei supposti accordi e dei loro effetti sul mercato comune»

1.  Argomenti delle parti

2.  Giudizio del Tribunale

a)  Sull’onere della prova

b)  Sul valore probatorio dell’accordo GQ e dell’accordo EQ

c)  Sulla prova dell’accordo comune

Sulle dichiarazioni della ABB e del testimone M.

Sulle dichiarazioni della Fuji

Sulle dichiarazioni della Hitachi

Sull’omessa contestazione da parte della Areva, della Alstom e del gruppo VA Tech

Sull’elenco di progetti di GIS in Europa

–  Sull’origine e la data di redazione dell’elenco mondiale nonché sulla possibilità di considerarlo una prova

–  Sull’allegazione secondo cui i progetti di GIS in Europa menzionati nell’elenco mondiale non sono stati discussi in seno al cartello

–  Sui progetti che sarebbero stati menzionati più volte o che non sarebbero stati attuati

–  Sullo scarso numero di progetti di GIS in Europa registrati nell’elenco mondiale

–  Sull’allegazione secondo cui alla Siemens non sarebbero stati attribuiti progetti di GIS nel SEE nell’ambito dell’intesa

–  Sull’analisi econometrica prodotta dalla Siemens

Sugli elementi di prova documentale

–  Sull’accordo GQ e l’accordo EQ

–  Sul documento rinvenuto nei locali del gruppo VA Tech, intitolato «Sintesi delle discussioni con JJC»

–  Sulla corrispondenza intercorsa il 18 gennaio 1999 tra i signori Wa., J. e B., dipendenti del gruppo VA Tech

–  Sugli elementi di prova documentali relativi a fatti avvenuti tra il 2002 e il 2004

d)  Conclusioni sul secondo capo del primo motivo

Sugli effetti del cartello all’interno del SEE

Sulla riserva dei mercati europei e giapponesi, rispettivamente, ai gruppi di produttori europei e giapponesi

Sulla tutela dei «paesi d’origine» in Europa

II –  Sul secondo motivo, vertente sulla violazione dell’art. 25 del regolamento n. 1/2003

A –  Sul primo capo del secondo motivo, concernente l’assenza di prove di una partecipazione all’infrazione tra aprile e settembre 1999

1.  1. Argomenti delle parti

2.  Giudizio del Tribunale

a)  Sulla ripartizione dell’onere della prova tra la Siemens e la Commissione

b)  Sul valore probatorio degli elementi sui quali la Commissione fonda l’affermazione che la Siemens ha interrotto la sua partecipazione al cartello il 1° settembre 1999

Sulle dichiarazioni della ABB e del sig. M.

Sul documento intitolato «Sintesi delle discussioni con JJC»

Sulle dichiarazioni della Areva, della Melco, della Fuji e della Hitachi/JAEPS

–  Sulle dichiarazioni della Areva

–  Sulle dichiarazioni della Melco

–  Sulle dichiarazioni della Fuji

–  Sulle dichiarazioni della Hitachi

Conclusione intermedia

c)  Sugli elementi addotti dalla Siemens per dimostrare l’interruzione della sua partecipazione al cartello nel mese di aprile 1999

Sulle prove economiche empiriche dell’interruzione della sua partecipazione al cartello al più tardi nell’aprile 1999

Sulla testimonianza del sig. Se.

Sulle testimonianze dei sigg. Tr., E. e Sch.

Sulla mancanza di prove della partecipazione della Siemens ad un’intesa relativa a progetti di GIS dopo il mese di aprile 1999

Sull’assenza di prove di una riunione dopo il 22 aprile 1999

B –  Sul secondo capo del secondo motivo, concernente la prescrizione delle azioni

1.  Argomenti delle parti

2.  Giudizio del Tribunale

C –  Sul terzo capo del secondo motivo, concernente l’estraneità all’intesa dopo il 1o gennaio 2004

1.  Argomenti delle parti

2.  Giudizio del Tribunale

III –  Sul terzo motivo, vertente su un errore di diritto nel calcolo dell’importo dell’ammenda

A –  Sul primo capo del terzo motivo, concernente il carattere sproporzionato dell’importo di partenza dell’ammenda

1.  Sulla prima censura, relativa alla mancata prova degli effetti dell’intesa

a)  Argomenti delle parti

b)  Giudizio del Tribunale

2.  Sulla seconda censura, relativa al carattere sproporzionato dell’importo di partenza dell’ammenda rispetto all’importanza economica dell’infrazione

a)  Argomenti delle parti

b)  Giudizio del Tribunale

3.  Sulla terza censura, relativa all’inquadramento della Siemens in una categoria sbagliata

a)  Argomenti delle parti

b)  Giudizio del Tribunale

B –  Sul secondo capo del terzo motivo, concernente il carattere sproporzionato del coefficiente moltiplicatore di dissuasione

1.  Argomenti delle parti

2.  Giudizio del Tribunale

C –  Sul terzo capo del terzo motivo, concernente l’errata determinazione della durata dell’infrazione

D –  Sul quarto capo del terzo motivo, concernente l’ingiustificata qualifica della Siemens come leader

1.  Sulla prima e la seconda censura, vertenti sul fatto che la ABB e non la Siemens sarebbe stata leader dell’intesa

a)  Argomenti delle parti

b)  Giudizio del Tribunale

Sul ruolo di leader dell’intesa

Sull’asserita disparità di trattamento della Siemens rispetto alla ABB

2.  Sulla terza censura, relativa all’enormità della maggiorazione dell’importo di base dell’ammenda inflitta alla Siemens a titolo di leader dell’intesa

a)  Argomenti delle parti

b)  Giudizio del Tribunale

E –  Sul quinto capo del terzo motivo, vertente su un errore manifesto di valutazione nel non ridurre l’ammenda ai sensi della comunicazione sulla cooperazione

1.  Argomenti delle parti

2.  Giudizio del Tribunale

F –  Sul sesto capo del terzo motivo, vertente sul fatto che la DG «Concorrenza» avrebbe de facto costretto il collegio dei commissari

1.  Argomenti delle parti

2.  Giudizio del Tribunale

Sulle spese


* Lingua processuale: il tedesco.