Language of document : ECLI:EU:C:2021:116

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PRIIT PIKAMÄE

presentate l’11 febbraio 2021 (1)

Causa C901/19

CF,

DN

contro

Bundesrepublik Deutschland

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Verwaltungsgerichtshof Baden‑Württemberg (Tribunale amministrativo del Land Baden‑Württemberg, Germania)]

«Direttiva 2011/95/UE – Norme minime sulle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria – Persona avente titolo a beneficiare della protezione sussidiaria – Articolo 2, lettera f) – Rischio effettivo di subire un danno grave – Articolo 15, lettera c) – Minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale – Valutazione del grado di violenza indiscriminata»






1.        Come misurare il grado di violenza indiscriminata di un conflitto armato ai fini dell’esame di una domanda per la concessione della protezione sussidiaria fondata sull’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95/UE (2)? Il riconoscimento di una simile protezione può essere subordinato al soddisfacimento di un presupposto quantitativo relativo ad un numero minimo di vittime, ferite o decedute, nella zona di combattimento parametrato a quello della popolazione presente sul luogo o implica, ab initio, una valutazione globale, al contempo quantitativa e qualitativa, di tutti gli aspetti che caratterizzano tale conflitto armato?

2.        Sono queste le questioni sollevate dalla presente causa che fornisce alla Corte l’occasione per precisare la propria giurisprudenza elaborata sotto la vigenza della direttiva 2004/83/CE (3).

I.      Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

3.        L’articolo 2 della direttiva 2011/95, intitolato «Definizioni», prevede quanto segue:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

a)      “protezione internazionale”: lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria quale definito alle lettere e) e g);

b)      “beneficiario di protezione internazionale”: la persona cui è stato concesso lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria quale definito alle lettere e) e g);

(...)

f)      “persona avente titolo a beneficiare della protezione sussidiaria”: cittadino di un paese terzo o apolide che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito all’articolo 15, e al quale non si applica l’articolo 17, paragrafi 1 e 2, e il quale non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto paese;

(...)».

4.        L’articolo 4 di detta direttiva, intitolato «Esame dei fatti e delle circostanze», dispone in particolare quanto segue:

«1.      Gli Stati membri possono ritenere che il richiedente sia tenuto a produrre quanto prima tutti gli elementi necessari a motivare la domanda di protezione internazionale. Lo Stato membro è tenuto, in cooperazione con il richiedente, a esaminare tutti gli elementi significativi della domanda.

(...)

3.      L’esame della domanda di protezione internazionale deve essere effettuato su base individuale e prevede la valutazione:

a)      di tutti i fatti pertinenti che riguardano il paese d’origine al momento dell’adozione della decisione in merito alla domanda (...);

b)      delle dichiarazioni e della documentazione pertinenti presentate dal richiedente che deve anche render noto se ha già subito o rischia di subire persecuzioni o danni gravi;

c)      della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente, in particolare l’estrazione, il sesso e l’età, al fine di valutare se, in base alle circostanze personali del richiedente, gli atti a cui è stato o potrebbe essere esposto si configurino come persecuzione o danno grave;

(...)

4.      Il fatto che un richiedente abbia già subito persecuzioni o danni gravi o minacce dirette di siffatte persecuzioni o danni costituisce un serio indizio della fondatezza del timore del richiedente di subire persecuzioni o del rischio effettivo di subire danni gravi, a meno che vi siano buoni motivi per ritenere che tali persecuzioni o danni gravi non si ripeteranno.

(...)».

5.        Ai sensi dell’articolo 15 di tale direttiva:

«Sono considerati danni gravi:

a)      la pena di morte o l’essere giustiziato; o

b)      la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo paese di origine; o

c)      la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale».

B.      Diritto tedesco

6.        La direttiva 2011/95 è stata recepita nel diritto tedesco dall’Asylgesetz (legge relativa al diritto d’asilo) (BGBl. I pag. 1798; in prosieguo: l’«AsylG»).

7.        L’articolo 4, paragrafi 1 e 3, dell’AsylG, recependo gli articoli 2 e 15 della direttiva 2011/95, definisce i requisiti per la concessione della protezione sussidiaria. Tale disposizione è così formulata:

«(1)      Un cittadino straniero può beneficiare di una protezione sussidiaria qualora sussistano fondati motivi per ritenere che corra il rischio di subire un grave danno nel proprio paese di origine. Sono considerati danni gravi:

1.      la condanna alla pena di morte o la sua esecuzione,

2.      la tortura oppure pene o trattamenti inumani o degradanti, o

3.      una minaccia grave e individuale alla vita o all’integrità di una persona derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato internazionale o interno.

(...)».

II.    Procedimento principale e questioni pregiudiziali

8.        Dalla decisione di rinvio risulta che i ricorrenti nel procedimento principale sono due civili afghani, originari della provincia di Nangarhar (Afghanistan), le cui domande di asilo in Germania sono state respinte dal Bundesamt für Migration und Flüchtlinge (Ufficio federale per la migrazione e i rifugiati). I ricorsi proposti presso i Tribunali amministrativi di Karlsruhe e di Friburgo non hanno avuto esito favorevole. Dinanzi al Verwaltungsgerichtshof Baden‑Württemberg (Tribunale amministrativo superiore del Land Baden‑Württemberg, Germania), giudice d’appello, i ricorrenti hanno chiesto, in mancanza di riconoscimento dello status di rifugiato, che fosse loro concessa la protezione sussidiaria, conformemente all’articolo 4 dell’AsylG.

9.        Ciò premesso, tale giudice intende ottenere ulteriori chiarimenti sui criteri applicabili nel diritto dell’Unione per la concessione della protezione sussidiaria in caso di violenza indiscriminata determinata da un conflitto ai danni della popolazione civile di cui all’articolo 15, lettera c), in combinato disposto con l’articolo 2, lettera f), della direttiva 2011/95. La Corte, infatti, non si sarebbe ancora pronunciata al riguardo e la giurisprudenza degli altri giudici in materia non sarebbe uniforme. Sebbene si sia talvolta proceduto ad una valutazione globale sulla base di tutte le circostanze del caso di specie, altri approcci si basano essenzialmente su un’analisi fondata sul numero di vittime civili.

10.      In particolare, il giudice del rinvio sottolinea che, per constatare che una persona non specificamente interessata a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale subisce una minaccia grave e individuale, la giurisprudenza del Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale, Germania) relativa all’articolo 4, paragrafo 1, prima frase, e seconda frase, punto 3, dell’AsylG, che recepisce l’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera f), di tale direttiva, si discosta sensibilmente da quella fondata su una valutazione globale delle specifiche circostanze di ciascun caso di specie, svolta da altri organi giurisdizionali e in particolare dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.

11.      Secondo il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale), la constatazione di minacce gravi e individuali (subite da persone che non sono esposte ad un rischio specifico a causa della loro situazione personale) presuppone necessariamente una rilevazione quantitativa del «rischio di morte e di lesioni», espresso in termini di rapporto tra il numero di vittime nella zona interessata ed il numero totale di individui che compongono la popolazione di tale zona, posto che il risultato ottenuto deve obbligatoriamente raggiungere una certa soglia minima. Orbene, ad oggi, il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale), pur non avendo quantificato tale soglia minima, avrebbe tuttavia dichiarato che una probabilità di essere feriti o uccisi pari a circa lo 0,12% ovvero 1 su 800 all’anno non era sufficiente in quanto chiaramente inferiore al valore minimo richiesto. Secondo tale giurisprudenza, se detta soglia di probabilità non è superata, non è necessaria alcuna valutazione aggiuntiva dell’intensità del rischio e neppure una valutazione globale delle specifiche circostanze del caso di specie può condurre alla constatazione di minacce gravi e individuali.

12.      Pertanto, secondo il giudice del rinvio, ove una minaccia grave e individuale dipenda in modo determinante dal numero di vittime civili, le domande dei ricorrenti volte ad ottenere la protezione sussidiaria dovrebbero essere respinte. Se invece si procedesse ad una valutazione globale che tenga conto anche di altre circostanze che determinano rischi, il grado di violenza attualmente sussistente nella provincia di Nangarhar sarebbe così elevato che i ricorrenti, i quali non hanno accesso alla protezione all’interno del paese, subirebbero gravi minacce per la loro sola presenza nel territorio in questione.

13.      In proposito, il giudice del rinvio sottolinea che, certamente, nella sentenza del 17 febbraio 2009, Elgafaji (C‑465/07, EU:C:2009:94) (in prosieguo: la «sentenza Elgafaji») la Corte ha già dichiarato che, quando il soggetto di cui trattasi non è interessato in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale, l’esistenza di una minaccia grave e individuale derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato ai sensi dell’articolo 15, della direttiva 2011/95 può essere considerata in via eccezionale provata, qualora il grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto raggiunga un livello così elevato che sussistono fondati motivi di ritenere che detto soggetto correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio in questione, un rischio effettivo di subire detta minaccia. La Corte, tuttavia, non si sarebbe espressa circa i criteri applicabili per determinare il livello di violenza necessario.

14.      In tale contesto il Verwaltungsgerichtshof Baden Württemberg (Tribunale amministrativo superiore del Land Baden Württemberg) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1.      Se l’articolo 15, lettera c), e l’articolo 2, lettera f), della direttiva 2011/95/UE ostino all’interpretazione e all’applicazione di una disposizione di diritto nazionale secondo la quale una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato (nel senso che un civile, per la sua sola presenza nella zona interessata, correrebbe un rischio effettivo di subire una siffatta minaccia), nei casi in cui detta persona non sia interessata in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale, può sussistere solo se è già stato accertato un numero minimo di vittime civili (morti e feriti).

2.      In caso di risposta affermativa alla prima questione: se la valutazione dell’eventualità di una minaccia in tal senso debba essere effettuata sulla base di un esame completo di tutte le circostanze del caso specifico. In caso di risposta negativa: quali altri criteri del diritto dell’Unione debbano essere applicati nell’ambito di tale valutazione».

III. Procedimento dinanzi alla Corte

15.      I governi tedesco, francese e dei Paesi Bassi nonché la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte e orali all’udienza tenutasi il 19 novembre 2020, nel corso della quale sono state sentite anche le parti ricorrenti nel procedimento principale.

IV.    Analisi

A.      Osservazioni preliminari

16.      Il giudice del rinvio interpella la Corte in ordine all’interpretazione dell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95, la quale ha abrogato e sostituito la direttiva 2004/83, a decorrere dal 21 dicembre 2013. È pacifico che tale mutamento normativo non ha dato luogo ad alcuna modifica del regime giuridico della concessione della protezione sussidiaria e neppure della numerazione delle disposizioni di cui trattasi. Pertanto, la formulazione dell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95 è rigorosamente identica a quella dell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2004/83.

17.      In proposito, è interessante rilevare che il citato articolo 15 della direttiva 2004/83 rientrava tuttavia tra le tre disposizioni a cui faceva riferimento l’articolo 37 della medesima direttiva che imponeva alla Commissione di presentare al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione sull’applicazione di tale atto e di proporre all’occorrenza le necessarie modifiche (4). In tale contesto, in una comunicazione del 17 giugno 2008 intitolata «Piano strategico sull’asilo, un approccio integrato in materia di protezione nell’Unione europea» (5), la Commissione ha spiegato che «potrebbe essere necessario, tra l’altro, chiarire ulteriormente le condizioni di ammissibilità alla protezione sussidiaria, dato che la formulazione delle disposizioni vigenti consente sostanziali divergenze di interpretazione e applicazione del concetto negli Stati membri».

18.      A dispetto di tale constatazione e della rinnovata richiesta da parte degli enti consultati di chiarimenti riguardo all’articolo 15, lettera c), della direttiva 2004/83, la proposta di direttiva, del 21 ottobre 2009, del Parlamento europeo e del Consiglio, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale (6), affermava infine che non era necessario modificare la disposizione in parola tenuto conto della soluzione adottata dalla Corte nella sentenza Elgafaji. Il legislatore dell’Unione del 2011 ha seguito tale proposta e ha dunque optato per lo status quo normativo in forza di una giurisprudenza che era ritenuta fornire i chiarimenti necessari ma che il giudice del rinvio considera, stando alla formulazione della domanda di pronuncia pregiudiziale, manifestamente insufficienti. L’intensità delle discussioni in occasione dell’udienza dimostra, del resto, che detto giudice non è il solo ad interrogarsi sul significato di detta sentenza Elgafaji.

B.      Sulla portata delle questioni pregiudiziali

19.      All’udienza, su iniziativa del governo dei Paesi Bassi, riguardo alla risposta da fornire alla seconda questione pregiudiziale, hanno effettivamente avuto luogo importanti discussioni sull’esatto significato di un punto specifico della sentenza Elgafaji. Si deve sottolineare che, nella citata sentenza, la Corte ha voluto precisare l’ambito di applicazione dell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95 che definisce uno dei tre danni gravi il cui ricorrere è idoneo a comportare, per la persona che li subisce, la concessione della protezione sussidiaria.

20.      La Corte ha pertanto dichiarato che l’ipotesi di cui all’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95, consistente in una «minaccia grave e individuale alla vita o alla persona» del richiedente, «riguarda il rischio di un danno più generale» di quelli contemplati alle lettere a) e b) del medesimo atto. In tal senso, l’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95 considera in modo più ampio una «minaccia (...) alla vita o alla persona di un civile, piuttosto che determinate violenze». Tale minaccia è inerente ad una situazione generale di conflitto armato interno o internazionale produttiva di una violenza qualificata come «indiscriminata», termine che implica che essa possa estendersi ad alcune persone «a prescindere dalla loro situazione personale» (7). Ne discende che il ricorrere della minaccia grave e individuale non è subordinato alla condizione che il richiedente la protezione sussidiaria fornisca la prova di essere specificamente interessato a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale.

21.      Nondimeno, la sola dichiarazione oggettiva di un rischio legato alla situazione generale non è sufficiente, in linea di principio, a provare che le condizioni menzionate all’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95 sono soddisfatte. Secondo la Corte, l’esistenza di una minaccia contemplata da tale testo normativo può essere, in via eccezionale, provata «qualora il grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto armato in corso (...) raggiunga un livello così elevato che sussistono fondati motivi di ritenere che un civile rientrato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia» (8).

22.      Dalla giurisprudenza della Corte discende dunque che l’applicazione dell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95 non implica un esame della situazione personale del ricorrente, almeno inizialmente. Infatti, stante la necessità di un’interpretazione sistematica rispetto alle altre due situazioni ricomprese nell’articolo 15, lettere a) e b), della direttiva 2011/95, la Corte, al punto 39 della sentenza Elgafaji, ha aggiunto che «tanto più il richiedente è eventualmente in grado di dimostrare di essere colpito in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale, tanto meno elevato sarà il grado di violenza indiscriminata richiesto affinché egli possa beneficiare della protezione sussidiaria».

23.      Il governo dei Paesi Bassi ha sostenuto, tanto nelle proprie osservazioni scritte quanto in udienza, che il punto summenzionato è contraddetto dal dispositivo di tale sentenza, secondo il quale l’applicazione dell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95 non è subordinata alla condizione che il richiedente fornisca la prova di essere specifico oggetto di minaccia a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale. Salvo privare tale disposizione di qualsiasi effetto utile, essa potrebbe riguardare unicamente la valutazione di un rischio di danno fondata sulla sola presa in considerazione di circostanze materiali, oggettive, di carattere generale, senza considerare nessun dato personale del richiedente protezione. Tale analisi è contestata dalla Commissione che vede nel punto 39 della sentenza Elgafaji l’espressione del concetto di «scala progressiva» (9) che può includere, oltre alle citate circostanze, dati individuali propri dell’interessato.

24.      Per quanto mi concerne, ritengo che la formulazione del punto 39 della sentenza Elgafaji sia intrinsecamente esplicita e che il punto successivo ne confermi il significato richiamato dalla Commissione (10). Al punto 40 la Corte menziona infatti la possibilità di tenere conto, al momento dell’esame della domanda di protezione sussidiaria, dell’esistenza, a carico della persona del richiedente, di precedenti persecuzioni, danni gravi o minacce dirette in tal senso. Essa considera che tale passato avverso costituisce, in particolare, un serio indizio del rischio effettivo di subire danni gravi, menzionato all’articolo 4, paragrafo 4, della direttiva 2011/95, «in considerazione del quale il requisito di una violenza indiscriminata richiesto per poter beneficiare della protezione sussidiaria può essere meno elevato». Risulta quindi che l’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95 dev’essere letto in combinato disposto con l’articolo 4 di quest’ultima, come si vedrà nel prosieguo, e che elementi di carattere personale possono, se del caso, essere presi in considerazione in sede di valutazione della sussistenza di una minaccia grave e individuale ai sensi della prima disposizione.

25.      In ogni caso, tale discussione, a mio avviso, non è pertinente nel contesto della risposta da fornire al giudice del rinvio per quanto concerne la sua utilità ai fini della risoluzione della controversia di cui al procedimento principale. Si deve rilevare che, dopo aver dichiarato che la protezione sussidiaria non poteva essere riconosciuta ai ricorrenti in forza delle disposizioni nazionali che recepiscono l’articolo 15, lettere a) e b), della direttiva 2011/95, il giudice del rinvio spiega anzitutto che gli interessati non sono neppure colpiti in modo specifico dalle violenze indiscriminate in atto nella provincia a motivo della loro situazione personale, ai sensi della sentenza Elgafaji, il cui punto 39 è espressamente citato (11).

26.      Il giudice del rinvio espone poi la propria convinzione, fondata su una valutazione globale della situazione generale della sicurezza in Afghanistan, dunque su elementi diversi da quelli relativi alla persona dei ricorrenti, che, qualora ritornassero nella provincia di Nangarhar, essi rischierebbero effettivamente di essere ivi esposti già solo per la loro presenza a una minaccia grave e individuale derivante dalla violenza indiscriminata determinata dal conflitto (12), collocandosi quindi nel contesto dell’ipotesi definita al punto 35 della sentenza Elgafaji. La portata delle questioni pregiudiziali è così limitata alla determinazione di criteri di valutazione del livello di violenza indiscriminata del conflitto armato che non abbia alcun carattere personale. Ciò premesso, la risposta attesa dalla Corte riguardo all’interpretazione dell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95 non implica, a mio avviso, alcuna discussione in ordine al significato del punto 39 della sentenza Elgafaji (13).

27.      Si deve infine sottolineare che dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta che il giudice del rinvio nutre dubbi in ordine all’interpretazione dell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95 e intende appunto ottenere ulteriori chiarimenti sui criteri stabiliti dal diritto dell’Unione riguardo alle condizioni per la concessione della protezione sussidiaria in caso di violenza indiscriminata ai danni della popolazione civile conseguente ad un conflitto armato. Esso ritiene che tali questioni non trovino una risposta evidente sulla base della giurisprudenza sinora sviluppata dalla Corte, considerato che quest’ultima non si è pronunciata su detti criteri nella sentenza Elgafaji. Le questioni pregiudiziali, la cui articolazione, a causa dell’ambigua formulazione della seconda questione, potrebbe determinare difficoltà, devono essere lette alla luce di tali spiegazioni.

28.      Con la prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera f), di quest’ultima, debba essere interpretato nel senso che osta all’interpretazione di una prassi nazionale secondo la quale la constatazione dell’esistenza di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, ai sensi di tale disposizione, nel caso in cui detta persona non sia interessata in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale, presuppone che il rapporto tra il numero di vittime, uccise o ferite, nella zona interessata ed il numero totale di individui che compongono la popolazione di tale zona raggiunga una determinata soglia (14).

29.      Nell’ipotesi di una risposta affermativa alla prima questione e della correlativa necessità di una valutazione globale dei differenti elementi che caratterizzano la situazione di cui trattasi, il giudice del rinvio, con la seconda questione, interpella in sostanza la Corte sulla natura delle circostanze che possono essere considerate pertinenti ai fini del riconoscimento della minaccia summenzionata.

C.      Sulla prima questione pregiudiziale

30.      Dall’articolo 18 della direttiva 2011/95, in combinato disposto con la definizione di «persona avente titolo a beneficiare della protezione sussidiaria», contenuta nell’articolo 2, lettera f), di detta direttiva, e dall’espressione «status di protezione sussidiaria», di cui all’articolo 2, lettera g), della stessa, risulta che lo status di protezione sussidiaria previsto da tale direttiva deve, in linea di principio, essere riconosciuto al cittadino di un paese terzo o all’apolide che, in caso di rinvio nel suo paese d’origine o nel paese della sua residenza abituale, corra un rischio effettivo di subire un grave danno ai sensi dell’articolo 15 di detta direttiva (15). Fra i tre tipi di danno grave definiti all’articolo 15 della direttiva 2011/95, alla lettera c) compare la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.

31.      Secondo una giurisprudenza costante, ai fini dell’interpretazione di una norma di diritto dell’Unione si deve tener conto non soltanto della lettera della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (16). Occorre dunque procedere a un’interpretazione letterale, sistematica e teleologica dell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera f), di quest’ultima, prendendo in considerazione l’acquis giurisprudenziale pertinente ai fini della risoluzione della controversia di cui al procedimento principale. Mi sembra che tale analisi debba condurre alla conclusione secondo la quale la concessione della protezione sussidiaria non presuppone la constatazione del raggiungimento di una soglia minima di vittime, conclusione confortata dall’esame della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo elaborata alla luce dell’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU») e delle raccomandazioni dell’EASO.

1.      Sullinterpretazione letterale

32.      Mi sembra appropriato sottolineare che le disposizioni della direttiva 2011/95 di cui trattasi fanno riferimento all’esistenza di un «rischio effettivo» per il richiedente protezione internazionale di subire un danno grave definito come la minaccia grave e individuale «alla vita o alla persona» di un civile. La nozione di «rischio effettivo» rinvia al livello di prova applicato alla valutazione, di fatto, dei rischi, e corrisponde ad un criterio di probabilità che non può ridursi ad una mera eventualità. Il censimento del numero di vittime civili in un dato territorio appare, in proposito, come un elemento non speculativo ma che al contrario si inserisce nella realtà e dunque è idoneo ad individuare il rischio richiesto. Per quanto attiene al riferimento alla minaccia «alla vita o alla persona» di un civile, se ne può dedurre che il numero di civili deceduti non è il solo parametro pertinente, in quanto detta espressione può includere altri danni all’integrità fisica, addirittura di natura psicologica (17).

33.      Sebbene tali considerazioni siano di reale interesse, risulta che l’interpretazione letterale dell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera f), di quest’ultima, non può offrire una risposta sufficiente ed univoca alla questione sollevata dal giudice del rinvio.

2.      Sullinterpretazione sistematica

34.      Secondo giurisprudenza costante, qualsiasi decisione relativa al riconoscimento dello status di rifugiato o dello status di protezione sussidiaria deve essere fondata su un esame su base individuale, diretto a determinare se, tenuto conto della situazione personale del richiedente, le condizioni per il riconoscimento di un siffatto status siano soddisfatte. Dal regime di riconoscimento dello status uniforme in materia di asilo o di protezione sussidiaria stabilito dal legislatore dell’Unione discende, quindi, che l’esame della domanda di protezione internazionale, richiesto dall’articolo 4 della direttiva 2011/95, mira a determinare se il richiedente – o, eventualmente, la persona a nome della quale questi presenta la domanda – abbia il timore fondato di essere personalmente perseguitato o corra personalmente un rischio effettivo di danni gravi (18).

35.      L’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2011/95 elenca gli elementi di cui le autorità competenti devono tener conto al momento dell’esame individuale di una domanda di protezione internazionale, che comprendono «tutti i fatti pertinenti che riguardano il paese d’origine» (19). Nella sentenza Elgafaji, la Corte si è appunto basata su tale norma, per affermare che, al momento dell’esame individuale di una domanda di protezione sussidiaria, si può, «in particolare», tenere conto dell’estensione geografica della situazione di violenza indiscriminata e dell’effettiva destinazione del richiedente in caso di ritorno nel paese interessato, come risulta dall’articolo 8, paragrafo 1, di tale direttiva.

36.      In proposito, va sottolineato che se la protezione non è disponibile nella zona di residenza del paese d’origine del richiedente, l’autorità nazionale competente deve valutare, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2011/95, se esista un’altra parte di territorio sicura all’interno di tale paese. L’autorità nazionale competente può stabilire che il richiedente non necessita di protezione internazionale se, nel suo paese d’origine, esiste una parte di territorio in cui non ha alcun fondato motivo di temere di essere perseguitato e non corre rischi effettivi di subire danni gravi, oppure se ha ivi accesso alla protezione contro persecuzioni e danni gravi. Nel contesto di tale valutazione, l’articolo 8, paragrafo 2, di detta direttiva, prevede che gli Stati membri tengono conto al momento della decisione sulla domanda delle «condizioni generali vigenti in tale parte del paese», nonché delle circostanze personali del richiedente, in conformità dell’articolo 4 di tale atto normativo.

37.      La lettura in combinato disposto degli articoli 4, 8 e 15, lettera c), della direttiva 2011/95 mi sembra quindi avvalorare la soluzione del necessario approccio globale alla situazione di conflitto di cui trattasi, con la presa in conto di una pluralità di fattori posti sullo stesso piano, soluzione che la Corte, mi sembra, ha confermato senza fare espressamente riferimento alle prime due disposizioni nella sentenza del 30 gennaio 2014, Diakité (C‑285/12, EU:C:2014:39).

38.      Dopo aver determinato il significato e la portata della nozione di «conflitto armato» di cui all’articolo 15, lettera c), della direttiva 2004/83, la Corte ha dichiarato che un simile conflitto poteva portare alla concessione della protezione sussidiaria solamente se il grado di violenza indiscriminata caratterizzante quest’ultimo avesse raggiunto il livello richiesto nella sentenza Elgafaji. Essa ha altresì considerato che la prova dell’esistenza di un conflitto armato non richiedeva una valutazione specifica dell’intensità degli scontri, indipendente da quella avente ad oggetto la misurazione del grado di violenza summenzionato. Illustrando e precisando il suo approccio, la Corte ha elencato vari elementi concreti utili per la misurazione del livello di violenza che imperversa in un dato territorio e in riferimento ai quali esclude qualsiasi necessità di un’analisi autonoma per dimostrare l’esistenza di un conflitto, ossia: l’intensità degli scontri armati, il livello di organizzazione delle forze armate presenti o la particolare durata del conflitto. L’insegnamento indiretto e implicito della sentenza Diakité è che la valutazione del grado di intensità della violenza indiscriminata non può essere circoscritta al solo e preliminare criterio quantitativo del numero di vittime parametrato alla popolazione presente in un dato territorio (20).

3.      Sullinterpretazione teleologica

39.      In primo luogo, dal considerando 12 della direttiva 2011/95 risulta che uno degli scopi principali di quest’ultima è quello di assicurare che gli Stati membri applichino criteri comuni per identificare le persone che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale (21).

40.      Alla luce di tale scopo, sembra essenziale garantire un’interpretazione omogenea dell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95 nell’insieme degli Stati membri. Più precisamente, come enuncia il considerando 13 di tale direttiva, «[i]l ravvicinamento delle norme relative al riconoscimento e agli elementi essenziali dello status di rifugiato e dello status di protezione sussidiaria dovrebbe contribuire a limitare il movimento secondario dei richiedenti protezione internazionale tra gli Stati membri, nei casi in cui tali movimenti siano dovuti esclusivamente alla diversità dei quadri giuridici». Orbene, il fatto di subordinare la concessione della protezione sussidiaria al previo raggiungimento di una soglia minima di vittime, determinata unilateralmente e discrezionalmente dalle autorità nazionali competenti, è idoneo a porsi in contrasto con tale scopo.

41.      Come correttamente sottolineato dal governo francese, i richiedenti protezione internazionale potrebbero infatti essere incoraggiati a lasciare il primo paese in cui sono giunti per recarsi in altri Stati membri che non applichino una simile soglia minima o la cui soglia richiesta sia meno elevata, così generando movimenti secondari che la direttiva 2011/95 mira a prevenire ravvicinando le norme relative al riconoscimento e al contenuto dello status di protezione sussidiaria. Un simile risultato, nella misura in cui trae origine dalla diversità dei quadri giuridici degli Stati membri, mi sembra in diretto contrasto con l’obiettivo fissato al citato considerando 13 e priverebbe in ampia misura del loro effetto utile le disposizioni della direttiva 2011/95 in questione.

42.      In secondo luogo, emerge dai considerando 5, 6 e 24 della direttiva 2011/95 che i criteri minimi di concessione della protezione sussidiaria devono consentire di completare la protezione dei rifugiati sancita dalla Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, identificando le persone che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale e offrendo loro uno status appropriato (22). L’interpretazione dell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95 e, di conseguenza, dell’ambito di applicazione del meccanismo della protezione sussidiaria deve dunque essere effettuata alla luce dell’esplicito obiettivo di detta direttiva di assicurare a coloro che ne hanno effettivamente bisogno una protezione internazionale.

43.      Orbene, mi sembra che un’interpretazione dell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95 ricondotta all’applicazione di un criterio quantitativo relativo alla necessaria e preliminare constatazione che sia stata raggiunta una soglia di vittime solleva, in proposito, serie difficoltà. Rilevo che, mentre menzionava nelle proprie osservazioni scritte un criterio oggettivo, appropriato e verificabile, il governo tedesco ha citato un estratto di una decisione del Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) rivelatore di tali difficoltà, secondo il quale è necessario «determinare da un punto di vista quantitativo, almeno approssimativamente, da un lato, il numero totale di civili che vivono nella regione interessata e, dall’altro, gli atti di violenza indiscriminata perpetrati dalle parti in conflitto contro la vita o l’integrità fisica dei civili in tale regione».

44.      Tale estratto mette in rilievo una duplice problematica statistica, quella della raccolta di dati affidabili e precisi concernenti tanto il numero di vittime civili quanto quello delle persone presenti nel paese o nel territorio interessato e che devono confrontarsi con violenti scontri, i quali determinano immancabilmente spostamenti di popolazione in preda al panico. Tale situazione pone la questione dell’esistenza di fonti informative obiettive e indipendenti, presenti nelle immediate vicinanze dei combattimenti per conteggiare con affidabilità i dati di cui trattasi (23). Evidentemente, ottenere elementi obiettivi, affidabili e debitamente aggiornati riguardo alle circostanze locali che caratterizzano un conflitto armato, oltre a quelle relative al numero di vittime e alla popolazione presente in loco, risulterà ugualmente delicato. Ma, a mio avviso, è innegabile che basare la concessione della protezione sussidiaria sul previo soddisfacimento di un unico criterio quantitativo, esso stesso soggetto ad un’alea per quanto concerne la sua affidabilità, non è la maniera più adeguata per individuare le persone realmente bisognose di protezione internazionale.

45.      Si deve infine sottolineare che il metodo descritto nella decisione di rinvio è quello della determinazione di un coefficiente, ossia del rapporto tra il numero di vittime nella zona interessata ed il numero totale di individui che compongono la popolazione di tale zona. Detto coefficiente sarà considerato soddisfacente o no a seconda che sia superiore o inferiore ad una soglia fissata unilateralmente e discrezionalmente dall’autorità nazionale competente, senza che tale soglia sia menzionata in quanto tale, il che, a mio avviso, è lontano dal configurare un criterio asseritamente obiettivo (24). Tale metodo dev’essere distinto da quello avente ad oggetto soltanto il conteggio del numero totale di vittime, il quale costituisce, a condizione di una sufficiente affidabilità, uno degli indizi obiettivi del grado di violenza indiscriminata di un conflitto armato.

46.      In terzo luogo, occorre rilevare che, ai sensi dell’articolo 2, lettera f), della direttiva 2011/95, il regime della protezione sussidiaria mira a proteggere il singolo contro un rischio effettivo di subire un danno grave in caso di ritorno nel suo paese di origine, il che implica che sussistano fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel paese di origine, correrebbe un rischio del genere (25). Risulta quindi che l’analisi che dev’essere svolta dall’autorità nazionale competente consiste nel valutare un’ipotetica situazione futura, che implica inevitabilmente una forma di prospettiva.

47.      Tale analisi necessariamente dinamica, a mio avviso, non può riassumersi nella mera valutazione quantitativa di un numero di vittime parametrato ad una data popolazione e in un dato momento, più o meno lontano da quello in cui l’autorità o il giudice nazionale è chiamato a pronunciarsi (26). La valutazione della necessità di protezione internazionale deve poter includere aspetti non quantificabili quali la più recente evoluzione di un conflitto armato che, sebbene non si sia ancora tradotta in un aumento delle vittime, è sufficientemente significativa per determinare un rischio effettivo di danno grave per la popolazione civile (27).

4.      Sullinterpretazione della direttiva 2011/95 alla luce della tutela dei diritti fondamentali

48.      Come risulta dal considerando 16 della direttiva 2011/95, l’interpretazione delle disposizioni di tale atto normativo deve essere compiuta nel rispetto dei diritti riconosciuti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») (28), posto che il giudice del rinvio fa, in proposito, riferimento all’articolo 4 della Carta nella sua domanda di pronuncia pregiudiziale.

49.      Le spiegazioni relative alla Carta, per quanto concerne l’articolo 4 della stessa – le quali, conformemente all’articolo 6, paragrafo 1, terzo comma, TUE e all’articolo 52, paragrafo 7, della Carta, sono state elaborate al fine di fornire orientamenti per l’interpretazione di quest’ultima e devono essere tenute nel debito conto dai giudici dell’Unione e degli Stati membri – affermano espressamente che il diritto di cui all’articolo 4 corrisponde a quello garantito dall’articolo 3 della CEDU, la cui formulazione è identica: «Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti». Ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 3, della Carta, esso ha dunque lo stesso significato e la stessa portata di quest’ultimo articolo (29).

50.      Occorre, tuttavia, ricordare che, rispondendo al giudice del rinvio che l’interpellava sull’articolazione tra la protezione prevista all’articolo 15, lettera c), della direttiva 2004/83 e quella garantita dall’articolo 3 della CEDU, la Corte, nella sentenza Elgafaji, ha precisato che detto articolo 15, lettera c), prevede un’ipotesi di protezione sussidiaria che non corrisponde a quella del divieto di tortura e di trattamenti inumani o degradanti garantito dall’articolo 3 della CEDU e deve pertanto essere interpretato autonomamente, pur nel rispetto dei diritti fondamentali come garantiti dalla CEDU (30).

51.      In proposito, è interessante rilevare che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha chiaramente affermato che non era «convinta» che l’articolo 3 della CEDU non offrisse una protezione paragonabile a quella riconosciuta ai sensi dell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2004/83. Essa ha sottolineato che la soglia fissata da quest’ultima disposizione e dall’articolo 3 della CEDU, in circostanze eccezionali, poteva essere raggiunta in conseguenza di una situazione di violenza generale di un’intensità tale che qualsiasi persona rinviata nella regione interessata sarebbe in pericolo per il semplice fatto della sua presenza (31). Alla luce di tale prossimità di analisi, risulta che la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, per quanto concerne la valutazione del grado di violenza generale, può fornire elementi di risposta alle questioni pregiudiziali sollevate nell’ambito della presente causa. Orbene, è pacifico che il metodo adottato da tale giudice si fonda sulla considerazione globale dell’insieme dei dati pertinenti, i quali possono variare da una causa all’altra e non si riducono a un aspetto quantitativo (32).

52.      Dalle precedenti considerazioni risulta che la determinazione dell’esistenza di danni gravi ai sensi dell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95 presuppone un’analisi globale e incrociata dell’insieme dei fatti pertinenti idonea a riconoscere o meno la sussistenza di una violenza indiscriminata di un livello così elevato che i civili corrono un rischio effettivo di subire un danno grave per la loro sola presenza nel territorio interessato. La concessione della protezione sussidiaria non richiede il soddisfacimento di un presupposto relativo ad un numero minimo di vittime parametrato ad una data popolazione.

53.      Tale interpretazione è avvalorata da relazioni dell’EASO (33) che raccomandano ai giudici, per quanto concerne la valutazione del livello di violenza, di adottare un approccio globale e inclusivo, tanto quantitativo quanto qualitativo, e di tenere conto di un’ampia serie di variabili pertinenti, senza limitarsi a una mera analisi quantitativa dei dati sui morti e i feriti tra i civili (34). L’EASO fa riferimento, in proposito, a decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo e di giudici nazionali, affermando, evidentemente in senso critico, che la Corte «non aiut[a] gli organi giudiziari a rispondere alla questione relativa al modo in cui dovrebbero procedere», il che ci conduce alla seconda questione pregiudiziale.

D.      Sulla seconda questione pregiudiziale

54.      Come spiegato, il giudice del rinvio nutre dubbi in ordine all’interpretazione dell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95 e intende ottenere ulteriori chiarimenti sulle condizioni di applicazione della disposizione in parola, ritenendo, in proposito, insufficiente la motivazione della sentenza Elgafaji. Tale biasimo, o critica, si ritrova in parte della dottrina e nell’analisi dell’EASO che considera che la Corte «non ha ancora fornito orientamenti in merito ai criteri di valutazione del livello di violenza in un conflitto armato» (35).

55.      Si affronta in questa sede la problematica particolarmente delicata della distinzione tra il compito di interpretazione del diritto dell’Unione gravante sulla Corte in un procedimento pregiudiziale e l’applicazione di tale diritto che, in linea di principio, compete ai giudici nazionali, distinzione talvolta difficile da cogliere e la cui attuazione implica un’attenta analisi del procedimento pregiudiziale di cui trattasi e del suo contesto giurisprudenziale.

56.      Il rinvio pregiudiziale in esame verte sull’interpretazione dell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95 che contiene una nozione giuridica assai generale, con la precisazione che tale testo normativo è frutto di un compromesso tra gli Stati membri che hanno manifestamente scelto di lasciare ai giudici il compito di delinearne gli esatti contorni. Al riguardo, nella sentenza Elgafaji, la Corte ha fornito un’interpretazione di tale nozione qualificabile come estensiva alla luce della formulazione del dispositivo della decisione. Quest’ultimo contiene, del resto, i termini «valutato dalle autorità nazionali competenti (...) o dai giudici di uno Stato membro», riferiti al grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto, formula che esprime abitualmente la volontà della Corte di lasciare al giudice del rinvio il compito di valutare dati di fatto da cui dipende l’esito dell’applicazione della sentenza interpretativa. Tale interpretazione è stata integrata, perlomeno implicitamente, nella sentenza Diakité (36), in quanto la Corte vi menziona l’intensità degli scontri armati, il livello di organizzazione delle forze armate presenti e la durata del conflitto quali elementi che sono presi in considerazione in sede di valutazione del rischio effettivo di un danno grave ai sensi dell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95.

57.      Resta il fatto che la domanda di pronuncia pregiudiziale in esame (37), le osservazioni della dottrina e dell’EASO rivelano che i chiarimenti forniti dalla Corte sono percepiti come insufficienti o non sono stati neppure colti, il che può essere espressione di una mancanza di chiarezza delle sentenze di cui trattasi. Per quanto mi concerne, mi sembra effettivamente difficile ritenere che esista una giurisprudenza sufficientemente sviluppata per quel che riguarda l’interpretazione della nozione di «rischio effettivo» di un danno grave ai sensi della summenzionata disposizione. Considerato che tale nozione determina l’ambito di applicazione di un’ipotesi di concessione della protezione sussidiaria nel diritto dell’Unione, può risultare opportuno precisare l’interpretazione. La Corte, fornendo indicazioni aggiuntive sulle circostanze che possono essere prese in considerazione in sede di applicazione dell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95, favorirebbe un’applicazione omogenea di tale testo normativo all’interno dell’Unione e realizzerebbe così l’obiettivo di individuazione di criteri comuni agli Stati membri enunciato al considerando 12 di detta direttiva.

58.      In tale ottica, se la Corte intendesse precisare la propria giurisprudenza, potrebbe fondarsi utilmente sulle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale ha dichiarato che la situazione di violenza generalizzata poteva essere valutata facendo riferimento alla circostanza che le parti del conflitto usino o meno metodi e tattiche di guerra che accrescono il rischio che vi siano vittime civili o che prendono direttamente di mira civili, al carattere corrente o meno del ricorso a simili metodi ad opera delle parti del conflitto, al carattere localizzato o esteso dei combattimenti, al numero di vittime civili uccise, ferite o trasferite a causa dei combattimenti. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha precisato che tali criteri non costituivano un elenco tassativo da applicarsi in tutti i casi (38). Peraltro, sebbene tali criteri costituiscano, a priori, un fascio di indici pertinenti, essi devono essere presi in considerazione solo nella misura in cui si basino su dati affidabili e aggiornati provenienti dalle più svariate fonti indipendenti e obiettive (39).

59.      Per elaborare tali criteri, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha fatto diretto riferimento ad una decisione del giudice britannico dell’asilo e dell’immigrazione (40). In proposito, i giudici nazionali combinano vari fattori per misurare il grado di violenza che colpisce il paese o la regione interessata. Da un esame della giurisprudenza di vari Stati membri (41), risulta che sono altresì considerati il numero di vittime civili decedute e ferite nelle zone geografiche di riferimento, gli spostamenti causati dal conflitto armato, i metodi e le tattiche di guerra nonché le loro conseguenze sui civili, la violazione dei diritti umani, la capacità dello Stato o delle organizzazioni che controllano il territorio interessato di proteggere i civili e l’assistenza fornita dalle organizzazioni internazionali. La grande varietà dei criteri esaminati dalle autorità nazionali dimostra che il metodo di valutazione globale è ammesso dalla maggior parte delle autorità nazionali allorché statuiscono su una domanda di protezione sussidiaria corrispondente all’ipotesi di cui all’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95. Tale approccio globale e dinamico presuppone un’analisi incrociata dell’insieme dei dati pertinenti raccolti dalle autorità nazionali. In altri termini, le circostanze rilevate in occasione della domanda di protezione sussidiaria non devono essere considerate isolatamente, ma devono essere combinate tra loro al fine di stabilire l’esistenza di una minaccia grave e individuale ai sensi dell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95.

60.      In conclusione, l’ultima questione che si pone consiste nel sapere se la precisione legittimamente attesa dalla Corte per quanto attiene alla valutazione del grado di violenza richiesto debba tradursi in una formulazione interpretativa più esplicita, ma sempre a carattere generale, o in un elenco di elementi concreti di valutazione dell’intensità del conflitto, come quelli menzionati nelle presenti conclusioni, che conservano una certa genericità. Sebbene io non sia certo che l’una o l’altra di tali opzioni sia idonea a prevenire la sottoposizione alla Corte di nuove questioni pregiudiziali vertenti sulla nozione di «rischio effettivo» di subire un danno grave ai sensi dell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95, la mia preferenza va alla seconda soluzione, consistente in un mero richiamo e completamento dei criteri di valutazione già enunciati dalla Corte (42), posto che tale elenco non ha, evidentemente, carattere tassativo.

V.      Conclusione

61.      Alla luce delle precedenti considerazioni, propongo alla Corte di rispondere nel modo seguente alle due questioni pregiudiziali sollevate dal Verwaltungsgerichtshof Baden‑Württemberg (Tribunale amministrativo superiore del Land Baden‑Württemberg, Germania):

1)      L’articolo 15, lettera c), in combinato disposto con l’articolo 2, lettera f), della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, dev’essere interpretato nel senso che osta ad una prassi nazionale secondo la quale la constatazione dell’esistenza di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, ai sensi di tale disposizione, presuppone, nel caso in cui detta persona non sia interessata in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale, che il rapporto tra il numero di vittime nella zona interessata ed il numero totale di individui che compongono la popolazione di tale zona raggiunga una determinata soglia.

2)      La verifica del grado di intensità della violenza indiscriminata di cui al conflitto armato, ai fini della determinazione della sussistenza di un rischio effettivo di un danno grave ai sensi dell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95, implica una valutazione globale, tanto quantitativa quanto qualitativa, dell’insieme dei fatti pertinenti che caratterizzano tale conflitto, a partire dalla raccolta di dati obiettivi, affidabili e aggiornati, quali, in particolare, l’estensione geografica della situazione di violenza indiscriminata, la destinazione effettiva del richiedente in caso di rinvio nel paese o nella regione di cui trattasi, l’intensità degli scontri armati, la durata del conflitto, il livello di organizzazione delle forze armate presenti, il numero di civili uccisi, feriti o trasferiti a causa dei combattimenti e la natura dei metodi o delle tattiche di guerra utilizzati dai belligeranti.


1      Lingua originale: il francese.


2      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9).


3      Direttiva del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2004, L 304, pag. 12).


4      Si è affermato che detto articolo 37 della direttiva 2004/83 rispecchiava la percezione da parte del legislatore dell’Unione delle potenziali difficoltà di interpretazione dell’articolo 15 di tale direttiva, dalla formulazione ambigua e frutto di un compromesso tra gli Stati membri (J. Périlleux, «L’interprétation de la notion de “conflit armé interne” et de “violence aveugle” de la protection subsidiaire: le droit international humanitaire est-il une référence obligatoire?», Revue belge de droit international, 2009/1, Éditions BRUYLANT, pagg. da 113 a 143).


5      COM(2008) 360 definitivo.


6      COM(2009) 551 definitivo.


7      Sentenza Elgafaji, punti 33 e 34.


8      Sentenza Elgafaji, punto 43.


9      Tale approccio è adottato anche dall’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO) nelle sue relazioni di gennaio 2015, intitolata «Articolo 15, lettera c), della direttiva “qualifiche” (2011/95/UE) – Un’analisi giuridica» (pagg. 26 e 27) e di aprile 2018, intitolata «Requisiti per poter beneficiare della protezione internazionale» (pag. 31). Detto concetto di scala progressiva consiste in quanto segue: o si è in presenza di territori dove il grado di violenza indiscriminata raggiunge un livello così elevato che sussistono fondati motivi di ritenere che un civile rientrato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di quel paese o di quella regione, un rischio effettivo di subire la minaccia grave di cui all’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95 o si è in presenza di territori dove sono compiuti atti di violenza indiscriminata che tuttavia non raggiunga detto livello elevato, e relativamente alla quale devono essere accertati elementi individuali aggiuntivi. Tale distinzione è applicata, in particolare in Francia, dalla Cour nationale du droit d’asile (Corte nazionale per il diritto d’asilo, CNDA) (v. decisione della CNDA in formazione plenaria del 19 novembre 2020, M.N, n. 19009476, punto 10).


10      La Corte ha del resto ribadito la propria posizione in maniera univoca nella sentenza del 30 gennaio 2014, Diakité (C‑285/12, EU:C:2014:39, punto 31).


11      V. punto 13 della decisione di rinvio.


12      V. punti da 14 a 20 della decisione di rinvio.


13      Il quesito del giudice del rinvio si inserisce nell’ambito di applicazione dell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95 che il governo dei Paesi Bassi riconosce pienamente e anzi considera come il solo possibile.


14            All’udienza, il rappresentante del governo tedesco, in sostanza, ha affermato che il giudice del rinvio non aveva correttamente interpretato la giurisprudenza del Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) citata nella sua ordinanza e ha menzionato una decisione di quest’ultimo, del 20 maggio 2020, la quale apporta precisazioni che contraddicono l’approccio relativo all’applicazione sistematica di un presupposto quantitativo quale fattore di esclusione della protezione sussidiaria. È necessario ricordare, in proposito, che la Corte è unicamente legittimata a pronunciarsi sull’interpretazione o sulla validità del diritto dell’Unione riguardo alla situazione di fatto e di diritto descritta dal giudice del rinvio, al fine di fornire a quest’ultimo gli elementi utili alla soluzione della controversia dinanzi ad esso pendente (sentenza del 28 luglio 2016, Kratzer, C‑423/15, EU:C:2016:604, punto 27), mentre ogni valutazione dei fatti e del diritto nazionale rientra nella competenza del giudice nazionale (sentenza del 19 settembre 2019, Lovasné Tóth, C‑34/18, EU:C:2019:764, punto 42). Non sussiste, inoltre, alcun dubbio riguardo alla persistenza della controversia di cui al procedimento principale, e il giudice del rinvio è chiamato ad emettere una decisione che può prendere in considerazione la sentenza della Corte pronunciata in via pregiudiziale.


15      Sentenza del 23 maggio 2019, Bilali (C‑720/17, EU:C:2019:448, punto 36).


16      Sentenza del 10 settembre 2014, Ben Alaya (C‑491/13, EU:C:2014:2187, punto 22 e giurisprudenza ivi citata).


17      Quest’ultima affermazione non è valida per tutte le versioni linguistiche dell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95. Così, la versione in lingua spagnola menziona: «las amenazas graves e individuales contra la vida o la integridad física de un civil (...)».


18      Sentenza del 4 ottobre 2018, Ahmedbekova (C‑652/16, EU:C:2018:801, punti 48 e 49).


19      V., in tal senso, sentenza del 25 gennaio 2018, F (C‑473/16, EU:C:2018:36, punto 33).


20      Sentenza del 30 gennaio 2014, Diakité (C‑285/12, EU:C:2014:39, punti 30, 32 e 35).


21      Sentenza del 23 maggio 2019, Bilali (C‑720/17, EU:C:2019:448, punto 35).


22      Sentenza del 30 gennaio 2014, Diakité (C‑285/12, EU:C:2014:39, punto 33).


23      In proposito, l’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2011/95 prevede che gli Stati membri assicurano che informazioni precise e aggiornate pervengano da fonti pertinenti, quali l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e l’EASO.


24      Nella decisione di rinvio si fa riferimento ad una decisione del Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale), del 17 novembre 2011, nella quale tale giudice ha ritenuto che una probabilità di essere feriti o uccisi pari a circa lo 0,12%, ovvero circa 1 su 800 all’anno, fosse chiaramente inferiore al valore minimo richiesto o rivelasse soltanto un rischio di subire un danno così lontano dalla soglia di probabilità di riferimento che l’omessa considerazione di ulteriori circostanze non poteva ripercuotersi sul risultato. È pacifico che non sono precisati né la soglia di probabilità di riferimento né, per forza di cose, i motivi che hanno condotto all’adozione di una simile soglia. È dunque legittimo chiedersi per quale ragione un coefficiente di 1 su 800 all’anno non sia considerato sufficiente ad individuare una violenza indiscriminata di particolare intensità.


25      V., per analogia, sentenza del 24 aprile 2018, MP (Protezione sussidiaria di una vittima di torture) (C‑353/16, EU:C:2018:276, punto 31).


26      Si deve sottolineare che l’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 60), definisce la portata del diritto al ricorso effettivo riconosciuto in favore del richiedente la protezione, precisando che gli Stati membri da essa vincolati assicurano che il giudice dinanzi al quale è contestata la decisione relativa alla domanda di protezione internazionale proceda all’«esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto compreso, se del caso, l’esame delle esigenze di protezione internazionale». L’espressione «ex nunc» pone in rilievo l’obbligo del giudice di procedere ad una valutazione che tenga conto, all’occorrenza, dei nuovi elementi emersi dopo l’adozione della decisione oggetto del ricorso. Quanto all’aggettivo «completo», esso conferma che il giudice è tenuto ad esaminare tanto gli elementi di cui l’autorità responsabile della decisione ha tenuto o avrebbe potuto tener conto quanto quelli emersi dopo l’adozione della decisione da parte di tale autorità [sentenza del 12 dicembre 2019, Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal (Ricongiungimento familiare – Sorella di rifugiato)] (C‑519/18, EU:C:2019:1070, punto 52).


27      Si può pensare, in particolare, ad una recente rottura di un accordo di cessate il fuoco seguita da una penetrazione di truppe armate in un dato territorio che comporta il massiccio spostamento di popolazione civile.


28      Sentenza del 1° marzo 2016, Alo e Osso (C‑443/14 e C‑444/14, EU:C:2016:127, punto 29).


29      V., in tal senso, sentenza del 27 maggio 2014, Spasic (C‑129/14 PPU, EU:C:2014:586, punto 54).


30      Sentenza del 17 febbraio 2009, Elgafaji (C‑465/07, EU:C:2009:94, punti 28 e 44).


31      Corte EDU, 28 giugno 2011, Sufi e Elmi c. Regno Unito (CE:ECHR:2011:0628JUD000831907, § 226).


32      Corte EDU, 28 giugno 2011, Sufi e Elmi c. Regno Unito (CE:ECHR:2011:0628JUD000831907, § 241).


33      Sentenza del 13 settembre 2018, Ahmed (C‑369/17, EU:C:2018:713, punto 56).


34      Relazioni dell’EASO del gennaio 2015, intitolata «Articolo 15, lettera c), della direttiva “qualifiche” (2011/95/UE) – Un’analisi giuridica» (v., in particolare, pagg. da 33 a 35) e dell’aprile 2018, intitolata «Requisiti per poter beneficiare della protezione internazionale» (v., in particolare, pag. 32).


35      V., in particolare, Boutruche-Zarevac, «The Court of Justice of the EU and the Common European Asylum System: Entering the Third Phase of Harmonisation?» (2009-2010) 12 CYELS 53, 63, e relazione dell’EASO di gennaio 2015, intitolata «Articolo 15, lettera c), della direttiva “qualifiche” (2011/95/UE) – Un’analisi giuridica» (v., in particolare, pagg. da 33 a 35).


36      Sentenza del 30 gennaio 2014 (C‑285/12, EU:C:2014:39).


37      Dalla decisione di rinvio emerge che i dubbi ivi espressi sono di ordine interpretativo, nel senso che il rinvio pregiudiziale non è volto a determinare la corretta applicazione della nozione di «rischio effettivo» di un danno grave ai sensi dell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95 con riferimento alle situazioni di fatto molto precise della controversia di cui al procedimento principale, ma ha ad oggetto una richiesta di chiarimento dei criteri che devono presiedere all’interpretazione di tale nozione, a causa di un’interpretazione iniziale troppo generale. Ci troviamo dunque nella situazione di un rinvio pregiudiziale avente ad oggetto una richiesta di interpretazione dell’interpretazione fornita dalla Corte nella sentenza Elgafaji.


38      Corte EDU, 28 giugno 2011, Sufi e Elmi c. Regno Unito, (CE:ECHR:2011:0628JUD000831907, § 241).


39      Tale necessità è frequentemente richiamata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Nella sua sentenza del 23 agosto, J.K. e altri c. Svezia (CE:ECHR:2016:0823JUD005916612), essa ha così sottolineato «che per valutare l’importanza da attribuire ai dati sul paese in questione, occorre prendere in considerazione la loro fonte, in particolare l’indipendenza, l’affidabilità e l’obiettività degli stessi. Per quanto concerne le relazioni, l’autorità e la reputazione dell’autore, la serietà delle indagini che vi hanno dato origine, la coerenza delle loro conclusioni e la loro conferma da parte di altre fonti sono tutti elementi pertinenti».


40      Asylum and Immigration Tribunal, 25 novembre 2011, AMM and others, UKUT 445.


41      Un esame della giurisprudenza di vari Stati membri compare in allegato alla relazione intitolata «Articolo 15, lettera c), della direttiva “qualifiche” (2011/95/UE) – Un’analisi giuridica» redatta dall’EASO (gennaio 2015).


42      Si deve sottolineare che si tratta di criteri interpretativi che devono guidare i giudici nazionali nell’ambito della loro valutazione delle circostanze di fatto di ciascuna fattispecie ai fini della risoluzione delle controversie ad essi sottoposte.