Language of document : ECLI:EU:C:2006:4

SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

10 gennaio 2006 (*)

«Ricorso di annullamento – Regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 28 gennaio 2003, n. 304, sull’esportazione ed importazione di prodotti chimici pericolosi – Scelta del fondamento normativo – Artt. 133 CE e 175 CE»

Nella causa C‑178/03,

avente ad oggetto un ricorso di annullamento, ai sensi dell’art. 230 CE, proposto il 24 aprile 2003,

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal sig. G. zur Hausen nonché dalle sig.re L. Ström van Lier ed E. Righini, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Parlamento europeo, rappresentato inizialmente dai sigg. C. Pennera e M. Moore, successivamente da quest’ultimo e dal sig. K. Bradley, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato inizialmente dal sig. B. Hoff‑Nielsen e dalla sig.ra M. Sims‑Robertson, successivamente da quest’ultima e dalla sig.ra K. Michoel, in qualità di agenti,

convenuti,

sostenuti da:

Repubblica francese, rappresentata dai sigg. G. de Bergues, F. Alabrune ed E. Puisais, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

Repubblica di Finlandia, rappresentata dalla sig.ra T. Pynnä, in qualità di agente, con domicilio eletto in Lussemburgo,

Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, rappresentato dalla sig.ra R. Caudwell, in qualità di agente, assistita dal sig. A. Dashwood, barrister, con domicilio eletto in Lussemburgo,

intervenienti,

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta dal sig. C.W.A. Timmermans (relatore), presidente di sezione, dai sigg. J. Makarczyk, C. Gulmann, P. Kūris e J. Klučka, giudici,

avvocato generale: sig.ra J. Kokott

cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 7 aprile 2005,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 26 maggio 2005,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con il ricorso in oggetto, la Commissione delle Comunità europee chiede l’annullamento del regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 28 gennaio 2003, n. 304, sull’esportazione ed importazione di prodotti chimici pericolosi (GU L 63, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento impugnato»), nella parte in cui si fonda sull’art. 175, n. 1, CE e non sull’art. 133 CE.

2        A tal riguardo, è pacifico che tale ultimo articolo era stato accolto dalla Commissione nella proposta di regolamento del Consiglio, da essa presentata il 24 gennaio 2002, sull’esportazione ed importazione dei prodotti chimici pericolosi (GU C 126 E, pag. 291). In esito alla consultazione, a titolo facoltativo, del Parlamento europeo, in forza dell’art. 133 CE, il Consiglio dell’Unione europea decideva, all’unanimità, di non seguire la detta proposta e di sostituire l’art. 133 CE con l’art. 175, n. 1, CE, che costituisce l’unico fondamento normativo del regolamento impugnato, adottato congiuntamente dal Parlamento e dal Consiglio, conformemente alla procedura di cui all’art. 251 CE.

 Contesto normativo

3        Come emerge, in particolare, dai suoi primi quattro ‘considerando’, il regolamento impugnato persegue un duplice obiettivo. Da una parte, esso mira ad attuare le norme della Convenzione di Rotterdam sulla procedura di previo assenso informato applicabile a taluni prodotti chimici e pesticidi pericolosi oggetto di commercio internazionale (in prosieguo: la «Convenzione») – sottoscritta dalla Comunità europea l’11 settembre 1998 e approvata, a nome della Comunità, con la decisione del Consiglio 19 dicembre 2002, 2003/106/CE (GU 2003, L 63, pag. 27) – senza tuttavia indebolire il livello di tutela della popolazione e dell’ambiente, garantito nei paesi importatori dal regolamento (CEE) del Consiglio 23 luglio 1992, n. 2455, relativo alle esportazioni e importazioni comunitarie di taluni prodotti chimici pericolosi (GU L 251, pag. 13), che il regolamento impugnato abroga e sostituisce. D’altra parte, il regolamento impugnato si prefigge l’obiettivo di andare al di là delle disposizioni della Convenzione sotto taluni profili, dato che il quarto ‘considerando’ del regolamento medesimo menziona espressamente, in tale contesto, l’art. 15, n. 4, della Convenzione, che consente alle parti contraenti di adottare, a determinate condizioni, disposizioni molto più rigorose di quelle indicate nella Convenzione stessa, al fine di una migliore tutela della salute umana e dell’ambiente.

4        In tale ottica, l’art. 1, n. 1, del regolamento impugnato così dispone:

«Il presente regolamento ha i seguenti obiettivi:

a)      attuare la Convenzione (…);

b)      promuovere la condivisione delle responsabilità e la collaborazione nel settore dei movimenti internazionali di prodotti chimici pericolosi al fine di tutelare la salute umana e l’ambiente da potenziali danni; e

c)      contribuire all’uso ecocompatibile di tali sostanze.

Tali obiettivi sono perseguiti favorendo lo scambio di informazioni sulle caratteristiche dei prodotti chimici, definendo una procedura per l’adozione delle decisioni nell’ambito della Comunità sulle importazioni ed esportazioni e comunicando tali decisioni alle parti e, se del caso, ad altri paesi».

5        Dall’art. 1, n. 2, del detto regolamento emerge peraltro che esso mira anche a «garantire che le disposizioni della direttiva 67/548/CEE del Consiglio, del 27 giugno 1967, concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative relative alla classificazione, all’imballaggio e all’etichettatura delle sostanze pericolose [come modificata] e della direttiva 1999/45/CEE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 maggio 1999, concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative alla classificazione, all’imballaggio e all’etichettatura dei preparati pericolosi [come modificata], concernenti la classificazione, l’imballaggio e l’etichettatura dei prodotti chimici pericolosi per l’uomo o per l’ambiente immessi sul mercato comunitario, vengano applicate anche a tutti i prodotti chimici pericolosi destinati all’esportazione dagli Stati membri nel territorio di altre parti o di altri paesi, a meno che tali disposizioni siano in conflitto con norme specifiche d[e]lle parti o d[e]i paesi stessi».

6        Ai termini dell’art. 2, n. 1, del regolamento medesimo, relativo alla sua sfera di applicazione, il detto regolamento si applica:

«a)       a determinati prodotti chimici pericolosi soggetti alla procedura di previo assenso informato (PIC) [in prosieguo: la «procedura PIC»] ai sensi della Convenzione (…);

b)       a determinati prodotti chimici pericolosi, vietati o soggetti a rigorose restrizioni all’interno della Comunità o di uno Stato membro; e

c)       a tutti i prodotti chimici esportati, per quanto concerne la classificazione, l’imballaggio e l’etichettatura».

7        Il significato preciso di tali termini viene chiarito dall’art. 3 del regolamento impugnato che riprende, in larga misura, le definizioni di cui all’art. 2 della Convenzione. Ciò vale, segnatamente, per le nozioni di «prodotto chimico» «vietato» o «soggetto a rigorose restrizioni», relative ai prodotti chimici, rispettivamente, il cui impiego «sia stato vietato» o il cui impiego sia stato vietato «in linea di principio per qualsiasi fine», mediante un atto normativo definitivo emanato dalla Comunità o da uno Stato membro al fine di tutelare la salute umana e l’ambiente. Ciò vale, del pari, per la nozione di «formulato pesticida altamente pericoloso», definito come «sostanza chimica destinata ad essere utilizzata come pesticida, che provoca gravi danni alla salute umana o all’ambiente, osservabili entro un breve lasso di tempo dopo un’applicazione unica o ripetuta, effettuata in modo conforme alle prescrizioni d’uso» (art. 3, punti 9‑11 e 15). Il punto 14 del detto art. 3 definisce, dal canto suo, la procedura PIC come «la procedura di previo assenso informato stabilita dalla Convenzione».

8        L’art. 5 del regolamento impugnato precisa le modalità di partecipazione della Comunità alla Convenzione prevedendo, segnatamente, al primo comma, che tale partecipazione è «responsabilità comune della Commissione e degli Stati membri, in particolare per quanto concerne l’assistenza tecnica, gli scambi di informazioni e le questioni relative alla composizione delle controversie, alla partecipazione ad organi ausiliari e alla votazione». Per quanto riguarda le funzioni amministrative previste dalla Convenzione in riferimento alla procedura PIC e alla notifica delle esportazioni, risulta dal secondo comma del medesimo art. 5 che esse vengono esercitate dalla Commissione, che agisce, in nome di tutte le autorità nazionali designate dagli Stati membri e in stretta collaborazione con esse, in qualità di autorità designata comune. In questa prospettiva, la Commissione è abilitata, in particolare, a trasmettere le notifiche di esportazione della Comunità alle parti della Convenzione e ad altri paesi ai sensi dell’art. 7 del regolamento impugnato e a comunicare o ricevere le informazioni e le notifiche relative agli atti normativi definitivi ai sensi della Convenzione. Ai termini dell’art. 5, terzo comma, ultima frase, del regolamento medesimo, è parimenti la Commissione che fornisce al segretariato istituito dalla Convenzione «le risposte della Comunità relative all’importazione di prodotti chimici soggetti alla procedura PIC ai sensi dell’articolo 12».

9        Come emerge dall’art. 6, nn. 1 e 2, del regolamento impugnato, i prodotti chimici ricompresi nella sfera di applicazione del regolamento medesimo sono elencati nell’allegato I e sono assoggettati ad un regime differenziato a seconda della parte dell’allegato in cui si trovano, fermo restando, tuttavia, che taluni prodotti possono figurare simultaneamente in più parti del detto allegato ed essere ricompresi, conseguentemente, in più regimi. Ai termini del n. 2 dello stesso articolo, i prodotti chimici elencati nella parte 1 del detto allegato sono quindi soggetti all’obbligo della notifica di esportazione recante talune informazioni previste dall’allegato III del regolamento impugnato vertenti, in particolare, sulla sostanza o sul preparato da esportare, sulla sua identificazione, sulle sue caratteristiche fisico‑chimiche, tossicologiche ed ecotossicologiche, nonché sulle precauzioni da adottare per l’uso. I prodotti elencati nella parte 2 dell’allegato I del detto regolamento, che presentano rischi particolari per la salute dell’uomo o per l’ambiente, non sono solo assoggettati alla procedura di notifica di esportazione ai sensi dell’art. 7 del regolamento impugnato, ma devono soddisfare anche i criteri richiesti per essere assoggettati alla procedura di notifica PIC di cui all’art. 10 del regolamento medesimo. Con riguardo ai prodotti elencati nella parte 3 del detto allegato I, essi corrispondono, complessivamente, ai prodotti indicati nell’allegato III della Convenzione e sono perciò assoggettati alla stessa procedura PIC. Gli obblighi particolari relativi alle importazioni ed alle esportazioni di tali ultimi prodotti sono descritti in modo più dettagliato agli artt. 12 e 13 del regolamento impugnato.

10      L’art. 7 del regolamento impugnato, relativo, come sottolineato al precedente punto della presente sentenza, alla procedura di notifica delle esportazioni, prevede, in sostanza, che l’esportatore, qualora intenda esportare dalla Comunità un prodotto chimico elencato nella parte 1 dell’allegato I del regolamento medesimo nel territorio di una parte contraente o di un altro paese, deve informarne l’autorità nazionale designata dello Stato membro in cui risiede. Dopo aver verificato che tale informazione sia conforme ai requisiti dell’allegato III del detto regolamento, tale autorità trasmette la notifica ricevuta alla Commissione la quale, da una parte, adotta tutte le misure necessarie per garantire che le autorità competenti della parte importatrice o del paese importatore ricevano la notifica di cui trattasi prima dell’operazione di esportazione propriamente detta e, dall’altra parte, registra la detta notifica in una base di dati a disposizione del pubblico.

11      L’art. 7, n. 3, del regolamento impugnato precisa che l’esportatore deve presentare una nuova notifica per tutte le esportazioni che abbiano luogo successivamente all’introduzione di modifiche della normativa comunitaria in materia di immissione in commercio, uso o etichettatura delle sostanze di cui trattasi, ovvero ogni qualvolta la composizione di un preparato da esportare sia cambiata e dunque richieda una modifica dell’etichettatura. Tuttavia, dal n. 4 del medesimo articolo risulta che, «[q]ualora l’esportazione di un prodotto chimico si effettui in una situazione di emergenza nella quale qualsiasi ritardo possa mettere a rischio la salute pubblica o l’ambiente nella parte importatrice o nell’altro paese importatore», le disposizioni precedenti possono essere derogate.

12      Ai termini dell’art. 7, n. 5, del regolamento impugnato, gli obblighi relativi alla procedura di notifica delle esportazioni cessano peraltro quando il prodotto chimico sia assoggettato alla procedura PIC, quando il paese importatore, in quanto parte della Convenzione, abbia fornito al segretariato una risposta, ai sensi dell’art. 10, n. 2, della Convenzione, circa il proprio assenso o diniego all’importazione del prodotto chimico, e quando il segretariato abbia trasmesso tale informazione alla Commissione, che a sua volta la trasmette agli Stati membri. Il secondo comma del detto n. 5 precisa, tuttavia, che tale disposizione non si applica «quando il paese importatore parte della Convenzione richieda esplicitamente alle parti esportatrici di presentare notifica di esportazione in modo continuativo (…)».

13      Obblighi simili a quelli previsti dall’art. 7 del regolamento impugnato sono previsti, dall’art. 8 del regolamento medesimo, con riguardo alle importazioni nella Comunità di prodotti chimici vietati o soggetti a rigorose restrizioni da una parte della Convenzione o da un altro paese, mentre l’art. 9 del regolamento, dal canto suo, invita gli importatori e gli esportatori di prodotti chimici elencati nell’allegato I del regolamento medesimo a informare annualmente le autorità nazionali designate del proprio Stato membro circa i quantitativi di prodotti chimici importati o esportati durante l’anno precedente. Sulla base dei dati in tal modo raccolti, gli Stati membri devono quindi trasmettere i dati aggregati alla Commissione, che, dopo averne elaborato una sintesi a livello comunitario, rende disponibili al pubblico le informazioni di natura non riservata.

14      Ai termini dell’art. 10, nn. 1 e 2, del regolamento impugnato, la Commissione notifica al segretariato i prodotti chimici che soddisfino i criteri richiesti per essere assoggettati alla procedura di notifica PIC e informa il segretariato medesimo ogni qualvolta nuovi prodotti soddisfino tali criteri e siano aggiunti alla parte 2 dell’allegato I del regolamento. La notifica deve essere trasmessa quanto prima dopo l’adozione dell’atto normativo comunitario definitivo che vieta o sottopone a rigorose restrizioni il prodotto chimico di cui trattasi, e contenere tutte le informazioni di cui all’allegato II del detto regolamento relative, in particolare, alle caratteristiche fisico‑chimiche, tossicologiche ed ecotossicologiche del detto prodotto, nonché ai pericoli ed ai rischi che esso presenta per la salute umana o per l’ambiente.

15      L’art. 10, n. 6, del regolamento impugnato invita peraltro la Commissione a trasmettere immediatamente agli Stati membri le informazioni che essa riceve dal segretariato relativamente ai prodotti chimici che le altre parti hanno notificato in quanto prodotti vietati o soggetti a rigorose restrizioni ed a valutare, «in stretta collaborazione con gli Stati membri, la necessità di proporre misure a livello comunitario ai fini della prevenzione di eventuali rischi inaccettabili per la salute umana e l’ambiente all’interno della Comunità».

16      Come rilevato al punto 9 della presente sentenza, gli artt. 12 e 13 del regolamento impugnato riguardano, più specificamente, i prodotti assoggettati alla procedura PIC, elencati nella parte 3 dell’allegato I del regolamento medesimo. Conformemente agli artt. 10 e 11 della Convenzione, i detti articoli prevedono gli obblighi relativi, rispettivamente, all’importazione e all’esportazione dei prodotti chimici diversi dall’obbligo di notifica.

17      Con riguardo all’importazione di prodotti chimici vietati o soggetti a rigorose restrizioni, ai termini dell’art. 12, n. 1, del regolamento impugnato, la Commissione, quando riceve dal segretariato un documento di orientamento decisionale relativo all’inserimento di un nuovo prodotto chimico nell’allegato III della Convenzione, lo trasmette immediatamente agli Stati membri. Essa decide quindi mediante risposta definitiva o provvisoria a nome della Comunità sulle future importazioni comunitarie dei singoli prodotti chimici in questione, «conformemente alla legislazione comunitaria vigente». Ai sensi dei nn. 1 e 4 del medesimo art. 12, tale decisione, che si traduce in un’autorizzazione o in un divieto di importazione – la prima eventualmente accompagnata da condizioni –, viene quindi comunicata al segretariato, unitamente alla descrizione dei provvedimenti legislativi o amministrativi sui quali essa si fonda.

18      Qualora si tratti di un prodotto chimico vietato o soggetto a rigorose restrizioni nella legislazione di uno o più Stati membri, l’art. 12, n. 2, del regolamento impugnato impone alla Commissione di tener conto di tali informazioni nella sua decisione relativa all’importazione di tali prodotto, se lo Stato o gli Stati interessati ne fanno richiesta scritta, mentre, al pari dell’art. 10, n. 6, del regolamento medesimo, anche il n. 6 del detto art. 12 invita la Commissione a valutare, «in stretta cooperazione con gli Stati membri, la necessità di proporre misure comunitarie ai fini della prevenzione di eventuali rischi inaccettabili per la salute umana e l’ambiente nell’ambito della Comunità, tenendo conto delle informazioni contenute nei documenti di orientamento decisionale».

19      L’art. 13 della decisione impugnata, relativo all’esportazione dei prodotti chimici vietati o soggetti a rigorose restrizioni, contiene, dal canto suo, una serie di norme volte a garantire il rispetto delle decisioni prese dalle altre parti della Convenzione, nonché dagli altri paesi, con riguardo all’importazione dei detti prodotti sul loro territorio. Ai termini di tale disposizione incombe quindi alla Commissione l’obbligo di trasmettere immediatamente agli Stati membri e alle associazioni degli industriali europei le informazioni che essa riceve dal segretariato, in particolare in forma di circolari, sui prodotti chimici soggetti alla procedura PIC e sulle decisioni delle parti importatrici che stabiliscono le condizioni di importazione di tali prodotti (art. 13, n. 1) e incombe agli Stati membri l’obbligo di comunicare le risposte in tal modo trasmesse dalla Commissione a tutti i soggetti interessati nel proprio ambito di competenza (art. 13, n. 3). Il n. 4 del detto art. 13 precisa che gli esportatori si conformano alle decisioni contenute in ciascuna risposta «entro sei mesi dalla data in cui le stesse sono state trasmesse per la prima volta alla Commissione dal segretariato (…)».

20      Ai termini del n. 6 del medesimo articolo:

«I prodotti chimici elencati nelle parti 2 o 3 dell’allegato I possono essere esportati soltanto qualora:

a)      l’esportatore abbia richiesto e ottenuto un consenso esplicito dalla propria autorità nazionale designata e dall’autorità nazionale designata della parte importatrice ovvero da un’autorità competente di un altro paese importatore; oppure

b)      se trattasi di un prodotto chimico elencato nella parte 3 dell’allegato I, l’ultima circolare emessa dal segretariato ai sensi del paragrafo 1 dimostri che la parte importatrice ha acconsentito all’importazione».

21      Nella medesima prospettiva, l’art. 13, n. 7, del regolamento impugnato così dispone:

«I prodotti chimici sono esportati prima del periodo di sei mesi precedente la scadenza indicata espressamente o deducibile dalla data di produzione, a meno che le proprietà intrinseche del prodotto non lo consentano. In particolare, gli esportatori di pesticidi ottimizzano le dimensioni e l’imballaggio dei contenitori in modo da ridurre al minimo il rischio di giacenze».

22      Infine, ai termini del n. 8 del detto art. 13:

«Gli esportatori di pesticidi predispongono le etichette in modo che contengano informazioni specifiche sulle condizioni di conservazione e sulla stabilità delle sostanze nelle condizioni climatiche della parte importatrice o dell’altro paese importatore. Essi provvedono inoltre affinché i pesticidi esportati siano conformi alle norme in materia di purezza definite dalla legislazione comunitaria».

23      L’art. 14 del regolamento impugnato attiene alla situazione particolare degli articoli contenenti prodotti chimici elencati nelle parti 2 o 3 dell’allegato I del regolamento medesimo – articoli assoggettati, ai sensi del n. 1 del detto art. 14, alla procedura di notifica delle esportazioni di cui all’art. 7 – e alla situazione dei prodotti chimici che danno adito a particolari preoccupazioni per la salute umana o per l’ambiente – prodotti assoggettati al divieto assoluto di esportazione, ai sensi del n. 2 del medesimo art. 14. Dal canto loro, gli artt. 15 e 16 del detto regolamento riguardano, rispettivamente, le informazioni sui movimenti di transito e le informazioni obbligatorie per i prodotti chimici esportati. Questi ultimi prodotti sono assoggettati alle disposizioni sull’imballaggio e sull’etichettatura previste dalle pertinenti disposizioni comunitarie nonché, eventualmente, all’obbligo di menzionare, sull’etichetta, la data di scadenza e la data di produzione dei prodotti medesimi (art. 16, nn. 1 e 2). L’art. 16, n. 3, del regolamento impugnato prevede peraltro che l’esportatore invii a ciascun importatore dei prodotti chimici di cui al n. 1 dello stesso articolo una scheda informativa sulla sicurezza conforme alle disposizioni della direttiva della Commissione 5 marzo 1991, 91/155/CEE, che definisce e fissa, in applicazione dell’art. 10 della direttiva 88/379/CEE del Consiglio, le modalità del sistema di informazione specifica concernenti i preparati pericolosi (GU L 76, pag. 35).

24      Gli ultimi articoli del regolamento impugnato vertono, rispettivamente, sugli obblighi incombenti alle autorità degli Stati membri per il controllo delle esportazioni e delle importazioni (art. 17), sulla fissazione, da parte degli Stati membri, di un regime di sanzioni «efficaci, proporzionate e dissuasive» in caso di violazione delle disposizioni del detto regolamento (art. 18), sulla regolare trasmissione alla Commissione delle informazioni di cui dispongono gli Stati membri quanto al funzionamento delle procedure definite nel regolamento stesso e sulla redazione di una relazione di sintesi da parte della istituzione medesima (art. 21), sull’aggiornamento degli allegati al regolamento impugnato «tenendo conto degli sviluppi registrati nell’ambito della legislazione comunitaria e della Convenzione» (art. 22) e sull’elaborazione, da parte della Commissione, di note tecniche di orientamento intese ad agevolare l’applicazione quotidiana del detto regolamento (art. 23). Quanto agli artt. 19 e 20 del regolamento in esame, essi richiamano la necessità di uno scambio di informazioni e di un’assistenza tecnica, in particolare a favore dei paesi in via di sviluppo e dei paesi con economie in transizione, in termini molto simili a quelli adoperati dagli artt. 14 e 16 della Convenzione.

 Conclusioni delle parti

25      La Commissione chiede che la Corte voglia:

–        annullare il regolamento impugnato;

–        dichiarare che gli effetti del detto regolamento vengano mantenuti sino all’adozione da parte del Consiglio di un nuovo regolamento, e

–        condannare il Parlamento e il Consiglio alle spese.

26      Il Parlamento e il Consiglio chiedono alla Corte di respingere il ricorso in quanto infondato e di condannare la ricorrente alle spese.

27      Con ordinanza del presidente della Corte 15 settembre 2002, è stato ammesso l’intervento nella presente controversia della Repubblica francese, della Repubblica di Finlandia, e del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord a sostegno del Parlamento e del Consiglio.

 Sul ricorso

 Argomenti delle parti

28      La Commissione deduce un unico motivo a sostegno del proprio ricorso, attinente alla violazione del Trattato CE conseguente alla scelta di un fondamento normativo erroneo. Il regolamento impugnato, infatti, in quanto strumento destinato essenzialmente a disciplinare il commercio internazionale di taluni prodotti chimici pericolosi, sarebbe ricompreso nella politica commerciale comune, e non nella politica comunitaria dell’ambiente. Per tale ragione, esso avrebbe dovuto pertanto essere adottato sotto forma di regolamento del Consiglio fondato sull’art. 133 CE, e non sotto forma di regolamento del Parlamento e del Consiglio, fondato sull’art. 175, n. 1, CE. Secondo la Commissione, tale conclusione discenderebbe tanto dalla semplice lettura del preambolo del regolamento impugnato, che elenca le finalità perseguite dai suoi autori, quanto dall’analisi del contenuto del regolamento medesimo.

29      Con riguardo, in primo luogo, alle finalità del detto regolamento, la Commissione fa valere che esse possono dedursi ictu oculi dalla lettura del suo stesso titolo, dal momento che esso si riferisce all’«importazione» e all’«esportazione» di prodotti chimici pericolosi. L’uso di tali termini, al pari della volontà, espressa al terzo ‘considerando’ del regolamento medesimo, di attuare la Convenzione senza indebolire in alcun modo l’efficacia della normativa comunitaria esistente sulle esportazioni e sulle importazioni di prodotti chimici pericolosi, dimostrerebbe chiaramente la preponderante vocazione commerciale di tale regolamento, volto a disciplinare il commercio di tali prodotti tra la Comunità e gli Stati terzi.

30      L’art. 1 del regolamento impugnato, che enuncia gli obiettivi perseguiti dai suoi autori, riecheggerebbe direttamente, d’altronde, tali preoccupazioni, dal momento che, ai termini del n. 1, lett. a), del detto art. 1, il regolamento impugnato ha l’obiettivo di «attuare la Convenzione di Rotterdam». Orbene, secondo la Commissione, la detta Convenzione sarebbe ricompresa, precisamente, nella politica commerciale comune, dal momento che essa riguarderebbe la procedura di previo assenso informato applicabile ai prodotti chimici e ai pesticidi pericolosi oggetto di commercio internazionale. Le finalità enunciate all’art. 1, n. 1, lett. b) e c), del detto regolamento non farebbero che richiamare quelle di cui all’art. 1 della Convenzione.

31      Con riguardo all’art. 1, n. 2, del regolamento impugnato, esso si iscriverebbe nella medesima prospettiva commerciale, dal momento che esorta la Comunità a far sì che la normativa comunitaria concernente la classificazione, l’imballaggio e l’etichettatura delle sostanze chimiche pericolose, applicabile a tali sostanze qualora esse siano immesse sul mercato comunitario, venga applicata alle sostanze medesime anche quando esse siano esportate nel territorio di altre parti della Convenzione o di altri paesi. Il commercio delle dette sostanze con gli Stati terzi costituirebbe pertanto una finalità centrale del regolamento impugnato.

32      L’analisi del contenuto stesso del regolamento impugnato conferma parimenti, secondo la Commissione, la tesi secondo cui esso costituisce essenzialmente uno strumento di natura commerciale. La detta istituzione richiama, in particolare, a tal riguardo, gli artt. 6‑16 di tale regolamento, che prevedono le norme applicabili alle esportazioni ed alle importazioni di prodotti chimici pericolosi e che costituiscono, a suo avviso, le disposizioni essenziali del regolamento medesimo, nonché l’art. 3 del regolamento, il quale, ai punti 16 e 17, definirebbe le nozioni di «esportazione» e di «importazione» con riguardo alle procedure doganali applicabili nella Comunità. Secondo la Commissione, un rinvio siffatto implica necessariamente che il movimento dei prodotti in questione nella presente controversia è assimilato al commercio dei detti prodotti e, in quanto tale, assoggettato alle medesime norme.

33      In tale contesto, la Commissione osserva che la classificazione, l’etichettatura, l’uso o l’immissione in commercio dei prodotti chimici oggetto del regolamento impugnato sono disciplinati, nel diritto comunitario, da un insieme di direttive che, salvo un’eccezione, si baserebbero tutte sull’art. 95 CE ovvero sugli artt. 100 del Trattato CEE (divenuto, in seguito a modifica, art. 100 del Trattato CE, a sua volta divenuto art. 94 CE) o 100 A del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 95 CE). Gli Stati membri che intendano vietare o limitare l’uso di un prodotto chimico non previsto da una misura di armonizzazione comunitaria dovrebbero pertanto basarsi sull’art. 30 CE per giustificare un tale divieto o una tale limitazione o per sollecitare la concessione di una deroga, conformemente alle disposizioni dell’art. 95, n. 4 o n. 5, CE. Poiché gli Stati membri non possono applicare nella Comunità regole nazionali diverse senza aver ottenuto una tale deroga, è escluso che tali Stati possano essere autorizzati ad applicare regole divergenti con riguardo alle importazioni ed alle esportazioni di prodotti chimici pericolosi. Il commercio di tali prodotti con gli Stati terzi dovrebbe necessariamente essere disciplinato in modo uniforme al fine di evitare la comparsa di eventuali distorsioni negli scambi comunitari. L’art. 133 CE ben costituirebbe, pertanto, l’adeguato fondamento normativo del regolamento impugnato.

34      Ricordando, infine, la costante giurisprudenza della Corte dalla quale emergerebbe che la politica commerciale comune, per sua natura, deve essere oggetto di un’interpretazione estensiva, la Commissione lamenta l’ampliamento della sfera di applicazione materiale del regolamento impugnato a prodotti che non figuravano nella proposta iniziale, vale a dire ai prodotti chimici pericolosi o soggetti a rigorose restrizioni solo in uno o più Stati membri. Tale modifica, al pari della precisazione apportata all’art. 5, primo comma, del regolamento impugnato, ai termini del quale la partecipazione della Comunità alla Convenzione, con riguardo a talune questioni previste dallo stesso articolo, è «responsabilità comune della Commissione e degli Stati membri», si porrebbe chiaramente in contrasto con l’armonizzazione intesa quale obiettivo a livello comunitario, dal momento che sembrerebbe considerare acquisita l’esistenza di tali divieti o misure restrittive nazionali, mentre solo l’art. 10, n. 7, del regolamento impugnato fa riferimento alla necessità di rispettare la normativa comunitaria.

35      Secondo i convenuti, per contro, la precisazione apportata all’art. 5, primo comma, del detto regolamento aveva l’unico obiettivo di riflettere, in modo più adeguato, il carattere misto della partecipazione della Comunità e degli Stati membri alla Convenzione. Quanto all’ampliamento della sfera di applicazione materiale del detto regolamento ai prodotti vietati o soggetti a rigorose restrizioni solo in taluni Stati membri, esso costituisce, ad avviso dei convenuti, un’ulteriore prova dell’importanza che essi attribuiscono alla tutela della salute umana e dell’ambiente dal momento che, rispetto alla proposta presentata dalla Commissione, altri prodotti sarebbero stati inclusi nella sfera di applicazione potenziale del regolamento impugnato. Il Parlamento e il Consiglio richiamano, in tale contesto, l’art. 15, n. 4, della Convenzione, che consente alle parti contraenti, a determinate condizioni, di adottare disposizioni più rigorose di quelle indicate nella Convenzione stessa, «ai fini della protezione della salute umana e dell’ambiente», nonché il quarto e il diciassettesimo ‘considerando’ del regolamento impugnato, che sottolineano la necessità, rispettivamente, di «introdurre disposizioni più rigorose rispetto a quelle della Convenzione in riferimento a taluni aspetti» e di garantire, in ogni caso, «una corretta gestione dei prodotti chimici».

36      Con riguardo, peraltro, al contenuto stesso del detto regolamento, i convenuti e le parti intervenienti condividono, in sostanza, la valutazione della Commissione quanto alla centralità dei meccanismi previsti dagli artt. 6‑16 del regolamento medesimo, ma, a loro avviso, i detti meccanismi testimonierebbero piuttosto la volontà del legislatore comunitario di tutelare la salute delle persone e dell’ambiente dagli effetti nocivi della manipolazione incontrollata dei prodotti chimici pericolosi che non la preoccupazione di disciplinare o di promuovere la loro effettiva immissione in commercio. A tal riguardo, le dette parti si riferiscono, segnatamente, all’art. 1, n. 2, del regolamento impugnato, che rinvierebbe espressamente alle pertinenti disposizioni comunitarie relative alla classificazione, all’imballaggio e all’etichettatura delle sostanze pericolose per l’uomo o per l’ambiente, nonché agli artt. 10, n. 6, e 12, n. 6, del regolamento medesimo, che evocherebbero, entrambi, la possibilità della Commissione di valutare, in stretta collaborazione con gli Stati membri, la necessità di proporre l’adozione di misure a livello comunitario ai fini della prevenzione di eventuali rischi inaccettabili per la salute umana e l’ambiente all’interno della Comunità.

37      Secondo il governo finlandese, gli artt. 17‑21 del regolamento impugnato sarebbero d’altronde ispirati dalle medesime preoccupazioni sanitarie e ambientali, dal momento che essi porrebbero esigenze concrete relative sia al controllo progressivo ed al rispetto degli obblighi previsti dalla Convenzione e dal detto regolamento, sia alla previsione di un regime di sanzioni effettive nell’ipotesi di violazione delle loro disposizioni.

38      Con riguardo, inoltre, all’argomento della Commissione secondo cui le operazioni relative ai prodotti chimici pericolosi devono essere necessariamente disciplinate nell’ambito della politica commerciale comune, al fine di evitare la comparsa di eventuali distorsioni negli scambi intracomunitari, i convenuti sottolineano che in passato non si è rilevata alcuna distorsione significativa, ancorché le norme in questione fossero state adottate su una base ambientale, e che, inoltre, quando vengono emanate norme sul piano comunitario al fine di disciplinare gli scambi di prodotti pericolosi, le dette norme si impongono in ogni caso agli Stati membri ed agli operatori economici, indipendentemente dal fondamento normativo accolto per la loro adozione. Gli Stati membri, pertanto, potrebbero adottare misure nazionali solo in conformità con tali norme comuni e con la normativa comunitaria pertinente, come emergerebbe chiaramente, del resto, dall’art. 10, n. 7, del regolamento impugnato.

39      Il Consiglio ed il Parlamento si richiamano, infine – al pari di quanto avvenuto nelle memorie presentate nel contesto del ricorso della Commissione avverso la decisione 2003/106/CE, riguardante l’approvazione, a nome della Comunità europea, della Convenzione (v., a tale proposito, sentenza pronunciata in data odierna, causa C‑94/03, Commissione/Consiglio, Racc. pag. I‑1) –, a una serie di atti comunitari che conterrebbero parimenti disposizioni di natura commerciale, ma che, in ragione della loro finalità ambientale preponderante, sarebbero tuttavia fondati sull’art. 175, n. 1, CE, sull’art. 130 S del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 175 CE) o sull’art. 130 S del Trattato CEE (divenuto, in seguito a modifica, art. 130 S del Trattato CE). Ciò varrebbe, in particolare, per il regolamento (CEE) del Consiglio 1º febbraio 1993, n. 259, relativo alla sorveglianza e al controllo delle spedizioni di rifiuti all’interno della Comunità europea, nonché in entrata e in uscita dal suo territorio (GU L 30, pag. 1), e per il regolamento (CE) del Consiglio 9 dicembre 1996, n. 338/97, relativo alla protezione di specie della flora e della fauna selvatiche mediante il controllo del loro commercio (GU L 61, pag. 1), nonché per il regolamento n. 2455/92, espressamente abrogato e sostituito dal regolamento impugnato. Tale continuità tra il regolamento n. 2455/92 e il regolamento impugnato costituirebbe un ulteriore indizio della necessità di fondare quest’ultimo regolamento sull’art. 175, n. 1, CE.

 Giudizio della Corte

40      Si deve osservare, in limine, che la ricorrente e i convenuti non contestano la coesistenza, nel regolamento impugnato, di elementi di natura commerciale e ambientale. Tuttavia, essi non concordano sul centro di gravità del detto regolamento. Mentre, infatti, secondo la Commissione, se è pur vero che il regolamento impugnato produce effetti positivi sulla salute delle persone e sull’ambiente, il suo obiettivo principale è quello di disciplinare il commercio di prodotti chimici pericolosi, il Parlamento ed il Consiglio, al pari di tutte le parti intervenienti, sostengono invece che quest’ultimo aspetto presenta un carattere accessorio, dato che la finalità principale del regolamento impugnato consiste nel porre norme e procedure tali da garantire un livello elevato di tutela della salute dell’uomo e dell’ambiente.

41      A tal riguardo occorre ricordare che, secondo costante giurisprudenza della Corte, la scelta del fondamento normativo di un atto comunitario deve basarsi su elementi oggettivi, suscettibili di sindacato giurisdizionale, tra i quali, in particolare, lo scopo e il contenuto dell’atto (v. sentenze 26 marzo 1987, causa 45/86, Commissione/Consiglio, Racc. pag. 1493, punto 11; 11 giugno 1991, causa C‑300/89, Commissione/Consiglio, detta «Biossido di titanio», Racc. pag. I‑2867, punto 10; 3 dicembre 1996, causa C‑268/94, Portogallo/Consiglio, Racc. pag. I‑6177, punto 22, e 13 settembre 2005, causa C‑176/03, Commissione/Consiglio, Racc. pag. I‑7879, punto 45).

42      Se l’esame di un atto comunitario dimostra che esso persegue una duplice finalità o che ha una doppia componente e se una di queste è identificabile come principale o preponderante, mentre l’altra è solo accessoria, l’atto deve fondarsi su un solo fondamento normativo, ossia quello richiesto dalla finalità o componente principale o preponderante (v. sentenze 30 gennaio 2001, causa C‑36/98, Spagna/Consiglio, Racc. pag. I‑779, punto 59; 11 settembre 2003, causa C‑211/01, Commissione/Consiglio, Racc. pag. I‑8913, punto 39, e 29 aprile 2004, causa C‑338/01, Commissione/Consiglio, Racc. pag. I‑4829, punto 55).

43      In via eccezionale, ove sia provato, per contro, che l’atto persegue contemporaneamente più obiettivi o che ha più componenti tra loro inscindibili, senza che uno di essi assuma importanza secondaria e indiretta rispetto all’altro, tale atto dovrà basarsi sui diversi fondamenti normativi corrispondenti (v., in tal senso, segnatamente, sentenze 19 settembre 2002, causa C‑336/00, Huber, Racc. pag. I‑7699, punto 31; 12 dicembre 2002, causa C‑281/01, Commissione/Consiglio, Racc. pag. I‑12049, punto 35, e 11 settembre 2003, Commissione/Consiglio, cit., punto 40).

44      Ciò è quanto si verifica, precisamente, nella specie. Sia sul piano delle sue finalità sia su quello del suo contenuto, il regolamento impugnato contiene, infatti, componenti commerciali ed ambientali connesse in modo talmente indissociabile che per l’adozione di tale atto si imponeva il ricorso congiunto agli artt. 133 CE e 175, n. 1, CE.

45      A tal riguardo si deve ricordare, in primo luogo, che – come d’altronde emerge sia dai suoi ‘considerando’ sia dal suo art. 1, n. 1, lett. a) – il regolamento impugnato ha come obiettivo principale l’attuazione della Convenzione. Orbene, come affermato dalla Corte al punto 51 della citata sentenza pronunciata in data odierna, Commissione/Consiglio, la detta Convenzione presenta, precisamente, due componenti, di disciplina degli scambi e di tutela della salute umana e dell’ambiente, le quali presentano un’interrelazione talmente stretta che la decisione di approvazione della detta Convenzione a nome della Comunità doveva fondarsi sugli artt. 133 CE e 175, n. 1, CE.

46      È vero che la circostanza che una o più disposizioni del Trattato siano state scelte come basi normative per l’approvazione di un accordo internazionale non è sufficiente per dimostrare che le medesime disposizioni debbano parimenti essere accolte come basi normative per l’adozione di atti finalizzati all’attuazione del detto accordo a livello comunitario.

47      Nella specie, tuttavia, l’identità dei fondamenti normativi tra la decisione di approvazione della Convenzione a nome della Comunità e il regolamento impugnato, che attua la detta Convenzione a livello comunitario, si impone, in ogni caso, in considerazione dell’evidente convergenza tra le disposizioni dei due detti atti, che riflettono sia l’intento di disciplinare il commercio dei prodotti chimici pericolosi sia quello di garantire una razionale gestione dei detti prodotti e/o di tutelare la salute delle persone e l’ambiente dagli effetti nocivi del commercio dei prodotti medesimi.

48      Ciò vale, segnatamente, per gli artt. 1, n. 1, e 2 del regolamento impugnato, che elencano gli obiettivi perseguiti dai suoi autori nonché la sfera di applicazione materiale del detto regolamento in termini molto simili a quelli presenti, rispettivamente, agli artt. 1 e 3 della Convenzione, mentre le definizioni contenute all’art. 2 di quest’ultima corrispondono in larga misura, del resto, a quelle di cui all’art. 3 del regolamento impugnato.

49      Ciò vale, soprattutto, per gli artt. 6‑13 del detto regolamento, che prevedono le norme e le procedure applicabili al commercio di prodotti chimici pericolosi in termini che riprendono, sotto molteplici profili, le norme e le procedure previste dalla Convenzione. Gli artt. 7 e 8 del regolamento impugnato rinviano quindi chiaramente all’art. 12 della Convenzione, relativo alle notifiche di esportazione, mentre gli artt. 12 e 13 di tale regolamento, attinenti agli obblighi relativi all’importazione e all’esportazione dei prodotti chimici, dal canto loro, riecheggiano direttamente gli artt. 10 e 11 della Convenzione, che prevedono i medesimi obblighi.

50      In secondo luogo, occorre rilevare che il regolamento impugnato, oltre al parallelismo ricercato con la Convenzione, che esso mira ad attuare a livello comunitario, esula dalla sfera di applicazione di quest’ultima, dal momento che, come emerge d’altronde espressamente dal quarto ‘considerando’ del detto regolamento, il legislatore comunitario esprime il proprio intento di «introdurre disposizioni più rigorose rispetto a quelle della Convenzione in riferimento a taluni aspetti». Orbene, le disposizioni inserite, in tale ottica, nel regolamento impugnato giustificavano ampiamente il ricorso all’art. 133 CE, oltre al ricorso effettuato all’art. 175, n. 1, CE.

51      Ciò vale, ad esempio, per gli artt. 14, n. 2, e 16, n. 1, del regolamento impugnato. Nell’imporre, il primo, il divieto assoluto di esportazione dei prodotti chimici e degli articoli elencati nell’allegato V del detto regolamento e, il secondo, in combinato disposto con gli artt. 1, n. 2, e 2, n. 1, lett. c), del regolamento stesso, il rispetto, in caso di esportazione, delle pertinenti disposizioni comunitarie relative alla classificazione, all’imballaggio e all’etichettatura delle sostanze e delle preparazioni pericolose, lasciando impregiudicate le prescrizioni specifiche della parte o del paese importatore, i due detti articoli disciplinano infatti direttamente il commercio e gli scambi di tali prodotti.

52      In tale contesto, i convenuti hanno fatto valere, segnatamente, che il ricorso all’art. 133 CE non si imponeva dal momento che, da una parte, non si era rilevata alcuna distorsione significativa negli scambi comunitari negli anni precedenti e che, dall’altra, nell’esercizio delle loro competenze gli Stati membri sono in ogni caso tenuti a rispettare la pertinente normativa comunitaria, come emergerebbe, del resto, dall’art. 10, n. 7, del regolamento impugnato.

53      A tal riguardo è sufficiente rilevare che, anche a voler ritenere che sia fondata, la circostanza che non sarebbe stata rilevata alcuna distorsione negli scambi intracomunitari dei prodotti interessati non è tale da mettere in discussione, nella specie, il ricorso all’art. 133 CE. La fondatezza del ricorso a tale articolo quale base giuridica di un atto comunitario dipende infatti dalle caratteristiche proprie dell’atto e dalla questione se tali caratteristiche soddisfino i criteri oggettivi che determinano l’applicabilità della detta base normativa. Orbene, come si è precedentemente rilevato, il regolamento impugnato soddisfa esattamente tali criteri.

54      Quanto all’argomento secondo cui, nell’esercizio delle loro competenze, gli Stati membri sarebbero, in ogni caso, tenuti ad adeguarsi alla pertinente normativa comunitaria, tale argomento, la cui esattezza è, di per sé, incontestabile, risulta tuttavia inconferente con riguardo alla scelta della corretta base normativa di un atto comunitario.

55      Con riguardo, infine, alla circostanza, dedotta dai convenuti, che altri atti comunitari, quali i regolamenti nn. 259/93 e 338/97 o il regolamento n. 2455/92, precedente al regolamento impugnato, si fonderebbero su una base normativa attinente alla politica dell’ambiente, essa è del tutto inconferente nel contesto della presente controversia. Secondo costante giurisprudenza, infatti, la determinazione del fondamento normativo di un atto deve avvenire sulla base del suo scopo e del suo contenuto specifici, e non alla luce del fondamento normativo scelto per l’adozione di altri atti comunitari aventi, eventualmente, caratteristiche analoghe (v., in particolare, sentenza 28 giugno 1994, causa C‑187/93, Parlamento/Consiglio, Racc. pag. I‑2857, punto 28, che riguardava, precisamente, la scelta del fondamento normativo del regolamento n. 259/93).

56      Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, si deve pertanto concludere che il regolamento impugnato presenta, con riguardo sia alle finalità perseguite dai suoi autori, sia al suo contenuto, due componenti indissolubilmente connesse, ove l’una non può essere ritenuta secondaria o indiretta rispetto all’altra, essendo ricompresa, l’una, nella politica commerciale comune e, l’altra, nella politica di tutela della salute umana e dell’ambiente. In applicazione della giurisprudenza precedentemente richiamata al punto 43 della presente sentenza, tale regolamento doveva pertanto basarsi sui due corrispondenti fondamenti normativi, vale a dire, nella specie, gli artt. 133 CE e 175, n. 1, CE.

57      È certamente vero, come la Corte ha affermato, sostanzialmente, ai punti 17‑21 della citata sentenza Biossido di titanio, che il ricorso ad un duplice fondamento normativo è escluso quando le procedure previste relativamente all’uno e all’altro fondamento normativo siano incompatibili e/o quando il cumulo di fondamenti normativi sia tale da pregiudicare i diritti del Parlamento (v. anche, in tal senso, sentenze 25 febbraio 1999, cause riunite C‑164/97 e C‑165/97, Parlamento/Consiglio, Racc. pag. I‑1139, punto 14, e 29 aprile 2004, Commissione/Consiglio, cit., punto 57). Nella specie, tuttavia, dal ricorso al combinato disposto degli artt. 133 CE e 175, n. 1, CE non discende alcuna delle dette conseguenze.

58      Da un lato, infatti, il ricorso aggiuntivo all’art. 133 CE non poteva, nella specie, influenzare in alcun modo le regole sul voto applicabili nell’ambito del Consiglio dal momento che, al pari dell’art. 175, n. 1, CE, l’art. 133, n. 4, CE prevede che, nell’esercizio delle competenze che gli sono conferite dallo stesso art. 133, il Consiglio deliberi a maggioranza qualificata.

59      Dall’altro, il ricorso congiunto agli artt. 133 CE e 175, n. 1, CE non è nemmeno tale da pregiudicare i diritti del Parlamento dal momento che, se è pur vero che il primo articolo non prevede, formalmente, la partecipazione della detta istituzione con riguardo all’adozione di un atto quale quello oggetto della presente controversia, il secondo articolo, per contro, rinvia espressamente alla procedura di cui all’art. 251 CE. Contrariamente alla fattispecie oggetto della causa sfociata nella citata sentenza Biossido di titanio, il cumulo dei fondamenti normativi non comporta, pertanto, nella specie, alcuna lesione dei diritti del Parlamento, dal momento che il ricorso all’art. 175, n. 1, CE consente a tale istituzione di adottare l’atto con la procedura della codecisione.

60      Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, il regolamento impugnato deve essere pertanto annullato, in quanto si fonda solo sull’art. 175, n. 1, CE.

 Sulla limitazione degli effetti dell’annullamento

61      Nelle proprie conclusioni, la Commissione ha chiesto alla Corte, nell’ipotesi di accoglimento del ricorso, che gli effetti del regolamento impugnato vengano mantenuti sino all’adozione di un nuovo regolamento.

62      A tal riguardo si deve ricordare che, ai termini dell’art. 231, secondo comma, CE, la Corte, ove lo reputi necessario, può precisare gli effetti del regolamento annullato che devono essere considerati come definitivi.

63      Nella specie, si deve rilevare che, ai termini del suo art. 26, il regolamento impugnato è entrato in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, pubblicazione intervenuta il 6 marzo 2003.

64      Successivamente al 7 marzo 2003, le esportazioni e le importazioni di prodotti chimici pericolosi sono pertanto disciplinate dal detto regolamento e la Commissione è stata indotta ad adottare, in applicazione del regolamento medesimo, diverse decisioni di importazione comunitaria concernente taluni prodotti e sostanze chimiche.

65      Alla luce di tali elementi e al fine, in particolare, di evitare un qualsivoglia problema di certezza del diritto riguardo al regime applicabile al commercio di tali prodotti a seguito dell’annullamento del regolamento impugnato, gli effetti di tale regolamento devono essere pertanto mantenuti sino all’adozione, entro un termine ragionevole, di un nuovo regolamento basato su fondamenti normativi adeguati.

 Sulle spese

66      Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Ai termini dell’art. 69, n. 3, primo comma, del regolamento medesimo, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, ovvero per motivi eccezionali, la Corte può tuttavia ripartire le spese o decidere che ciascuna delle parti sopporti le proprie spese. Nella specie, la Commissione, il Consiglio e il Parlamento, rimasti parzialmente soccombenti, sopporteranno le proprie spese. Conformemente all’art. 69, n. 4, del regolamento medesimo, gli Stati membri intervenuti nella causa sopporteranno le proprie spese.

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara e statuisce:

1)      Il regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 28 gennaio 2003, n. 304, sull’esportazione ed importazione di prodotti chimici pericolosi, è annullato.

2)      Gli effetti del regolamento verranno mantenuti sino all’adozione, entro un termine ragionevole, di un nuovo regolamento basato su fondamenti normativi adeguati.

3)      La Commissione delle Comunità europee, il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea sopporteranno ciascuno le proprie spese.

4)      La Repubblica francese, la Repubblica di Finlandia nonché il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord sopporteranno le proprie spese.

Firme


* Lingua processuale: l’inglese.