SENTENZA DEL TRIBUNALE (Prima Sezione ampliata)
24 ottobre 1997(1)
[234s«CECA Ricorso d'annullamento Aiuti concessi dagli Stati Decisioni
individuali che autorizzano la concessione di aiuti statali a imprese siderurgiche
Sviamento di potere Legittimo affidamento Incompatibilità con le
disposizioni del Trattato Discriminazione Difetto di motivazione
Violazione dei diritti della difesa Artt. 4, lett. b) e c), 15 e 95, primo e
secondo comma, del Trattato»[s
Nella causa T-244/94,
Wirtschaftsvereinigung Stahl, società di diritto tedesco, con sede in Düsseldorf
(Germania),
Thyssen Stahl AG, società di diritto tedesco, con sede in Duisburg (Germania),
Preussag Stahl AG, società di diritto tedesco, con sede in Salzgitter (Germania),
Hoogovens Groep BV, società di diritto olandese, con sede in Ijmuiden (Paesi
Bassi),
rappresentate dagli avv.ti Jochim Sedemund e Frank Montag, del foro di Colonia,
e, per quanto riguarda la Hoogovens Groep BV, dall'avv. Eric Pijnacker Hordijk,
del foro di Bruxelles, con domicilio eletto in Lussemburgo presso lo studio dell'avv.
Aloyse May, 31, Grand-Rue,
ricorrenti,
contro
Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai signori Bernd Langeheine
e Ben Smulders, membri del servizio giuridico, in qualità di agenti, con domicilio
eletto in Lussemburgo presso il signor Carlos Gómez de la Cruz, Centre Wagner,
Kirchberg,
convenuta,
sostenuta da
Consiglio dell'Unione europea,rappresentato dai signori Rüdiger Bandilla, direttore
del servizio giuridico, e Stephan Marquardt, amministratore presso lo stesso servizio
giuridico, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo presso il signor
Alessandro Morbilli, direttore generale della direzione degli Affari giuridici della
Banca europea per gli investimenti, 100, boulevard Konrad Adenauer,
Repubblica italiana, rappresentata dal signor Umberto Leanza, capo del servizio
del contenzioso diplomatico del ministero degli Affari esteri, in qualità di agente,
assistito dal signor Pier Giorgio Ferri, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in
Lussemburgo presso l'ambasciata d'Italia, 5, rue Marie-Adélaide,
Ilva Laminati Piani SpA, società di diritto italiano, con sede in Roma,
rappresentata dall'avv.ti Aurelio Pappalardo, del foro di Trapani, e Massimo
Merola, del foro di Roma, con domicilio eletto in Lussemburgo presso lo studio
dell'avv. Alain Lorang, 51, rue Albert 1°,
intervenienti,
avente ad oggetto il ricorso diretto all'annullamento della decisione della
Commissione 12 aprile 1994, 94/259/CECA, relativa alla concessione da parte
dell'Italia di aiuti di Stato alle imprese siderurgiche del settore pubblico (gruppo
siderurgico Ilva) (GU L 112, pag. 64),
IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Prima Sezione ampliata),
composto dal signor A. Saggio, presidente, dal signor A. Kalogeropoulos, dalla
signora V. Tiili, dai signori A. Potocki e R.M. Moura Ramos, giudici,
cancelliere: H. Jung
vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 25
febbraio 1997,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
Contesto normativo
- Il Trattato che istituisce la Comunità europea del carbone e dell'acciaio (in
prosieguo: il «Trattato») vieta, in linea di principio, gli aiuti di Stato ad imprese
siderurgiche, dichiarando, all'art. 4, lett. c), incompatibili col mercato comune del
carbone e dell'acciaio e, di conseguenza, vietati alle condizioni previste dal detto
Trattato «le sovvenzioni o gli aiuti concessi dagli Stati o gli oneri speciali imposti
da essi, in qualunque forma».
- L'art. 95, primo e secondo comma, del Trattato stabilisce quanto segue:
«In tutti i casi non previsti dal presente Trattato, nei quali una decisione o una
raccomandazione della Commissione appaia necessaria per attuare, mentre è in
funzione il mercato comune del carbone e dell'acciaio e conformemente alle
disposizioni dell'articolo 5, uno degli scopi della Comunità, quali sono definiti agli
articoli 2, 3 e 4, questa decisione o questa raccomandazione può essere presa con
parere conforme del Consiglio deliberante all'unanimità e dopo consultazione del
comitato consultivo.
La stessa decisione o raccomandazione, presa nella medesima forma, determina
eventualmente le sanzioni applicabili».
- Nell'intento di rispondere alle esigenze della ristrutturazione del settore siderurgico,
la Commissione si è basata sulle precitate disposizioni dell'art. 95 del Trattato per
istituire, a partire dall'inizio degli anni '80, un regime comunitario degli aiuti che
autorizza la concessione di aiuti statali alla siderurgia in taluni casi tassativamente
elencati. Tale regime è stato successivamente adattato per far fronte alle difficoltà
congiunturali dell'industria siderurgica. Il codice comunitario degli aiuti alla
siderurgia in vigore durante il periodo considerato nel caso in esame risulta così il
quinto della serie ed è stato adottato con la decisione della Commissione 27
novembre 1991, 3855/91/CECA, recante norme comunitarie per gli aiuti a favore
della siderurgia (GU L 362, pag. 57; in prosieguo: il «codice degli aiuti»). Emerge
dal suo preambolo che esso istituisce, al pari dei precedenti codici, un sistema
comunitario diretto ad applicarsi agli aiuti, specifici o meno, concessi dagli Stati in
qualunque forma. Il codice non autorizza né gli aiuti al funzionamento né gli aiuti
alla ristrutturazione, a meno che non si tratti di aiuti per la chiusura di impianti.
Fatti all'origine della causa
- Di fronte all'aggravamento della situazione economica e finanziaria nel settore
siderurgico, la Commissione presentava un piano di ristrutturazione nella sua
comunicazione SEC (92) 2160 def. del 23 novembre 1992 indirizzata al Consiglio
e al Parlamento europeo, intitolata «Per il rafforzamento della competitività
dell'industria siderurgica. Necessità di una nuova ristrutturazione». Detto piano
partiva dalla constatazione del permanere di una sovraccapacità produttiva di
carattere strutturale e mirava principalmente a realizzare, in base ad una
partecipazione volontaria delle imprese siderurgiche, una riduzione sostanziale e
definitiva delle capacità di produzione dell'ordine di almeno 19 milioni di
tonnellate. Esso prevedeva, a tale scopo, un insieme di provvedimenti concomitanti
nel settore sociale, nonché incentivi finanziari, ivi compresi aiuti comunitari.
Contemporaneamente, la Commissione conferiva un mandato esplorativo ad un
esperto indipendente, il signor Braun, ex direttore generale della direzione generale
dell'industria presso la Commissione, il cui compito fondamentale consisteva
nell'effettuare la rilevazione dei i progetti di chiusura di imprese del settore
siderurgico durante il periodo considerato nella comunicazione di cui sopra, che
riguardava gli anni 1993-1995. Il signor Braun presentava in data 29 gennaio 1993
la sua relazione, intitolata «Le ristrutturazioni in corso o previste nell'industria
siderurgica», dopo aver preso contatto con i dirigenti di circa 70 imprese.
- Nelle sue conclusioni del 25 febbraio 1993 il Consiglio accoglieva favorevolmente
i principi fondamentali del programma presentato dalla Commissione, a seguito
della relazione Braun, al fine di ottenere una riduzione sostanziale delle capacità
produttive. La ristrutturazione duratura del settore siderurgico doveva essere
agevolata da «un insieme di misure di accompagnamento di durata limitata, che
rispettassero rigorosamente le norme sul controllo degli aiuti di Stato», fermo
restando che, in merito agli aiuti di Stato, «la Commissione [confermava]
l'importanza da essa riposta in un'applicazione rigorosa e oggettiva del codice degli
aiuti e [avrebbe provveduto] affinché le eventuali deroghe che potessero essere
proposte al Consiglio in forza dell'art. 95 del Trattato contribuissero pienamente
al necessario impegno complessivo di riduzione delle capacità produttive. Il
Consiglio [ si sarebbe pronunciato] rapidamente su tali proposte in base a criteri
oggettivi».
- Seguendo tale orientamento, il Consiglio e la Commissione affermavano, nella loro
dichiarazione congiunta figurante nel verbale del Consiglio 17 dicembre 1993 il
quale menziona l'accordo globale raggiunto in seno al Consiglio per dare il parere
conforme ex art. 95, primo e secondo comma del Trattato, sugli aiuti di Stato alle
imprese pubbliche Sidenor (Spagna), Sächsische Edelstahlwerke GmbH
(Germania), Corporación de la Siderurgia Integral (CSI, Spagna), Ilva (Italia),
EKO Stahl AG (Germania) e Siderurgia Nacional (Portogallo) che essi
«[consideravano] che l'unico mezzo per pervenire ad una siderurgia comunitaria
sana, competitiva sul mercato mondiale, [era] di porre definitivamente fine alle
sovvenzioni pubbliche alla siderurgia e di chiudere gli impianti non redditizi. Dando
il suo consenso unanime alle proposte fondate sull'art. 95 che [erano] sottoposte
al suo esame, il Consiglio [riaffermava] l'importanza da esso riposta
nell'applicazione rigorosa del codice agli aiuti [...] e, in mancanza di autorizzazioni
in forza del codice, nell'art. 4, lett. c), del Trattato CECA. Fermo restando il diritto
di ciascun Stato membro di chiedere una decisione ai sensi dell'art. 95 del Trattato
CECA, e conformemente alle sue conclusioni 25 febbraio 1993, il Consiglio si
[dichiarava] fermamente deciso ad evitare qualsiasi nuova deroga sulla base dell'art.
95 per aiuti in favore di un'impresa specifica».
- Il 22 dicembre 1993, in forza dell'art. 95, primo e secondo comma, del Trattato, il
Consiglio emetteva parere conforme sulla concessione degli aiuti summenzionati
destinati ad accompagnare la ristrutturazione o la privatizzazione delle imprese
pubbliche interessate.
- In tale contesto giuridico e fattuale, per agevolare una nuova ristrutturazione
dell'industria siderurgica, la Commissione adottava il 12 aprile 1994, a seguito del
parere conforme del Consiglio di cui sopra, sei decisioni individuali fondate sull'art.
95, primo e secondo comma, del Trattato, che autorizzavano la concessione di aiuti
di Stato non conformi ai criteri che consentivano, in base al soprammenzionato
codice degli aiuti, di derogare all'art. 4, lett. c), del Trattato. La Commissione
autorizzava rispettivamente, in dette sei decisioni, gli aiuti che la Germania
intendeva accordare all'impresa siderurgica EKO Stahl AG, Eisenhüttenstadt
(decisione 94/256/CECA, GU L 112, pag. 45), gli aiuti che il Portogallo intendeva
accordare all'impresa siderurgica Siderurgia Nacional (decisione 94/257/CECA, GU
L 112, pag. 52), gli aiuti che la Spagna intendeva accordare all'impresa pubblica di
siderurgia integrata Corporación de la Siderurgia Integral (CSI) (decisione
94/258/CECA, GU L 112, pag. 58), gli aiuti che l'Italia intendeva accordare alle
imprese siderurgiche del settore pubblico (gruppo siderurgico Ilva), (decisione
94/259/CECA, GU L 112, pag. 64, in prosieguo: la «decisione 94/259»), gli aiuti che
la Germania intendeva accordare all'impresa siderurgica Sächsische Edelstahlwerke
GmbH, Freital/Sachsen (decisione 94/260/CECA, GU L 112, pag. 71), e gli aiuti
che la Spagna intendeva accordare alla Sidenor, impresa che produce acciai speciali
(decisione 94/261/CECA, GU L 112, pag. 77).
- Siffatte autorizzazioni erano accompagnate, in linea col parere conforme del
Consiglio, «da obblighi corrispondenti a riduzioni nette di capacità produttive per
2 milioni di tonnellate almeno di acciaio grezzo e per un massimo di 5,4 milioni di
tonnellate di laminati a caldo (a prescindere dalla costruzione di un impianto per
la produzione di nastri larghi a Sestão e da un aumento della capacità della EKO
Stahl AG al di là di 900 000 tonnellate dopo il 1999)», secondo la comunicazione
13 aprile 1994 della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo, [COM(94)
125 def.], mirante a stabilire un bilancio intermedio della ristrutturazione
siderurgica e ad emettere suggerimenti volti a consolidare tale processo,
conformemente alle precitate conclusioni del Consiglio 25 febbraio 1993.
Procedimento
- In tali circostanze, con ricorso depositato nella cancelleria del Tribunale il 24
giugno 1994, l'associazione Wirtschafsvereinigung Stahl e le imprese siderurgiche
Thyssen Stahl AG, Preussag Stahl AG e Hoogovens Groep BV hanno chiesto, in
forza dell'art. 33 del Trattato, l'annullamento della decisione 94/259 di cui sopra,
riguardante il gruppo siderurgico Ilva.
- Contemporaneamente, altri due ricorsi sono stati presentati, l'uno dall'Associazione
delle acciaierie europee indipendenti (EISA), contro le sei decisioni adottate dalla
Commissione 12 aprile 1994 (causa T-239/94), e l'altro dalla società British Steel,
contro le decisioni 94/258 del 12 aprile 1994, già citata, e 94/259, che autorizzano
rispettivamente la concessione di aiuti di Stato all'impresa CSI e al gruppo
siderurgico Ilva (causa T-243/94).
- Nella specie in esame, il Consiglio, la Repubblica italiana e l'Ilva Laminati Piani
SpA (in prosieguo: l'«Ilva») hanno presentato nella cancelleria del Tribunale,
rispettivamente il 24 ottobre e l'8 e il 29 novembre 1994, un'istanza di intervento
nella causa a sostegno delle conclusioni della convenuta. Con ordinanza 9 marzo
1995, il presidente della Seconda Sezione ampliata del Tribunale ha ammesso i
detti interventi.
- Su relazione del giudice relatore, il Tribunale ha deciso di passare alla fase orale
senza procedere ad istruttoria. Le parti hanno svolto le loro osservazioni orali e
hanno risposto ai quesiti del Tribunale all'udienza 25 febbraio 1997.
Conclusioni delle parti
- Le ricorrenti concludono che il Tribunale voglia:
- annullare la decisione 94/259;
- in subordine, annullare la decisione controversa nella misura in cui essa non
prevede un obbligo di riduzione delle capacità produttive dell'Ilva di oltre
2 milioni di tonnellate l'anno;
- condannare la Commissione alle spese.
- La convenuta, sostenuta dal Consiglio e dalla Repubblica italiana, conclude che il
Tribunale voglia:
- respingere il ricorso;
- condannare le ricorrenti alle spese.
- L'interveniente Ilva conclude che il Tribunale voglia:
- respingere il ricorso;
- condannare le ricorrenti al pagamento di tutte le spese, comprese quelle
sostenute dall'Ilva.
Nel merito del ricorso
- Le ricorrenti adducono, a sostegno della loro domanda di annullamento, sette
motivi, relativi, in primo luogo, all'inosservanza del codice degli aiuti; in secondo
luogo, alla violazione dei presupposti di applicazione dell'art. 95 del Trattato; in
terzo luogo, alla violazione del principio di proporzionalità; in quarto luogo,all'inosservanza del principio di non discriminazione; in quinto luogo, alla violazione
dell'obbligo di motivazione; in sesto luogo, all'irregolarità del procedimento
decisionale e, in settimo luogo, alla violazione dei diritti della difesa.
Sul primo motivo relativo all'inosservanza del codice degli aiuti
- Le ricorrenti sostengono che è illecita un'autorizzazione di aiuto che non è prevista
dal quinto codice degli aiuti. Tale motivo è formato da due parti. Autorizzando la
concessione di un aiuto che non risponde ai requisiti enunciati dal codice degli
aiuti, la Commissione avrebbe, da un lato, commesso uno sviamento di potere e,
dall'altro, violato il principio della tutela del legittimo affidamento.
Sull'asserito sviamento di potere
Argomenti delle parti
- Le ricorrenti sostengono che, nella misura in cui gli aiuti concessi dagli Stati sono
vietati dall'art. 4, lett. c), del Trattato, il codice degli aiuti, adottato in base all'art.
95, primo e secondo comma, del Trattato, stabilisce obbligatoriamente e
definitivamente le condizioni alle quali siffatti aiuti possono essere comunque
autorizzati per conseguire gli obiettivi definiti dagli artt. 2, 3 e 4 del Trattato. Pur
affermando che alcuni dubbi potrebbero essere espressi sulla competenza della
Commissione ad adottare il codice degli aiuti, il quale deroga all'art. 4, lett. c), del
Trattato, in base all'art. 95, primo e secondo comma, di quest'ultimo, esse
precisano che non intendono sollevare tale questione. Le ricorrenti si limitano a
sostenere che aiuti che non soddisfino le condizioni definite dal codice degli aiuti
sono, in ogni caso, incompatibili con il mercato comune e rientrano nell'ambito di
applicazione del divieto enunciato dall'art. 4, lett. c), del Trattato.
- Tale analisi sarebbe confermata dalla motivazione del codice degli aiuti nonché
dall'art. 1 dello stesso, il quale stabilisce espressamente che «tutti gli aiuti a favore
della siderurgia, finanziati da uno Stato membro (...) possono essere considerati
aiuti comunitari e pertanto compatibili con il corretto funzionamento del mercato
comune soltanto se conformi alle disposizioni degli articoli da 2 a 5».
- La Commissione sarebbe vincolata dalla sua interpretazione, nel codice degli aiuti,
del combinato disposto dell'art. 95, primo e secondo comma, e dell'art. 4, lett. c),
del Trattato. L'esercizio del potere discrezionale che le conferiscono le disposizioni
sopraindicate dall'art. 95, si sarebbe tradotto nell'adozione di detto codice, di modo
che essa non può derogarvi senza contraddirsi e senza commettere uno sviamento
di potere.
- In particolare, una decisione individuale non potrebbe, senza arrecare pregiudizio
al principio di non discriminazione, sancito dall'art. 4, lett. b), del Trattato,
derogare al codice degli aiuti, che ha una portata generale, anche se questi atti
occupano formalmente lo stesso rango nella gerarchia delle norme. A questo
proposito, la Corte avrebbe sancito il principio secondo il quale una decisione
individuale deve soddisfare le condizioni della decisione di principio, tanto nel
settore dei provvedimenti antidumping (v., in particolare, sentenze della Corte 29
marzo 1979, causa 113/77, NTN Toyo Bearing e a./Consiglio, Racc. pag. 1185, e
ISO/Consiglio, causa 118/77, Consiglio, Racc. pag. 1277) quanto in materia di aiuti
di Stato (v. nell'ambito degli artt. 92 e 93 del Trattato CE, sentenza della Corte 24
marzo 1993, causa C-313/90, CIRFS e a./Commissione, Racc. pag. I-1125).
Nell'ambito del Trattato, essa avrebbe considerato che la Commissione aveva
commesso uno sviamento di potere avvalendosi di poteri attribuitile dal Trattato
allo scopo di eludere un procedimento appositamente previsto dalle decisioni di
base vigenti e senza modificare tali decisioni secondo il procedimento istituito dal
Trattato per ovviare alle circostanze a cui essa doveva far fronte (v. sentenze della
Corte 21 febbraio 1984, cause riunite 140/82, 146/82, 221/82 e 226/82, Walzstahl-Vereiningung e Thyssen/Commissione, Racc. pag. 951, e 14 luglio 1988, cause
riunite 33/86, 44/86, 110/86, 226/86 e 285/86, Stahlwerke Peine-Salzgitter/Commissione, Racc. pag. 4309).
- Ne conseguirebbe che l'unica possibilità per la Commissione di derogare al codice
degli aiuti consisterebbe nel modificarlo, affinché la stessa disciplina sia valida per
tutte le imprese.
- Per di più, l'adozione di una decisione individuale che non soddisfi le condizioni
definite dal codice degli aiuti sarebbe in contrasto con il principio secondo il quale
le misure di deroga devono essere interpretate restrittivamente. Le deroghe al
divieto degli aiuti concessi dagli Stati sancito dall'art. 4, lett. c), del Trattato,
concesse in base all'art. 95, primo e secondo comma, di quest'ultimo, dovrebbero
essere limitate allo stretto necessario. Esse potrebbero essere autorizzate solo
temporaneamente e purché siano accompagnate da determinati obblighi. Orbene,
soltanto il codice degli aiuti risponderebbe a tali precetti. L'art. 95, primo e
secondo comma, del Trattato, non potrebbe essere utilizzato pertanto per adottare
una decisione individuale che svuoti del suo contenuto il citato divieto degli aiuti.
- La Commissione sostiene che la tesi delle ricorrenti, secondo la quale il codice
degli aiuti presenta natura vincolante ed esauriente, ignora il fatto che il divieto
degli aiuti di Stato discende dall'art. 4, lett. c), del Trattato e non dal codice degli
aiuti. Quest'ultimo riconoscerebbe a taluni aiuti di Stato il carattere di aiuti
comunitari e si limiterebbe, peraltro, a reiterare il divieto enunciato dall'art. 4, lett.
c), del Trattato. Sarebbe pertanto lecito avvalersi dell'art. 95 del Trattato per
adottare decisioni ad hoc che autorizzano taluni aiuti in particolari circostanze.
- Ciò premesso, la Commissione ammette che il testo del codice degli aiuti possa far
pensare che il Consiglio ed essa stessa non intendevano applicare l'art. 95 del
Trattato per il futuro. Tuttavia, a causa della nuova situazione di grave crisi nel
settore, sarebbe divenuto essenziale avvalersi in modo razionale del detto articolo.
Risulterebbe infatti dalla costante giurisprudenza della Corte che il verificarsi di
una situazione di crisi può essere considerato una difficoltà imprevista ai sensi di
detto articolo (v. sentenza della Corte 3 ottobre 1985, causa 214/83,
Germania/Commissione, Racc. pag. 3053).
- Il Consiglio sottolinea che, nel sistema del Trattato CECA, l'art. 95, primo e
secondo comma, conferisce alla Commissione un ampio potere discrezionale per
far fronte a improvvise situazioni di crisi. Nella fattispecie, gli aiuti di cui trattasi
sarebbero stati autorizzati al fine di agevolare la chiusura parziale di impianti
produttivi nel contesto di un programma complessivo diretto a una riduzione
definitiva delle capacità produttive, rientrante nell'ambito degli obiettivi del
Trattato. Si sarebbe trattato pertanto di un caso non previsto dal Trattato, ai sensi
del suo art. 95, primo comma.
- Contrariamente a quanto asserito dalle ricorrenti, il codice degli aiuti e la decisione
impugnata non costituirebbero rispettivamente una decisione di base e una
decisione individuale. Si tratterebbe al contrario di atti giuridici aventi lo stesso
rango, basati sullo stesso fondamento giuridico, il che, del resto, sarebbe ammesso
anche dalle ricorrenti. Inoltre, gli aiuti autorizzati dalla decisione controversa non
rientrerebbero nell'ambito di applicazione del codice degli aiuti.
- La Repubblica italiana ricorda che l'art. 95, primo comma, del Trattato costituisce
uno strumento del quale occorre avvalersi per conseguire uno degli obiettivi della
Comunità nei casi non previsti dal Trattato come nella specie in esame. Infatti,
l'art. 4, lett. c), si limiterebbe a vietare gli aiuti di Stato incompatibili con gli
obiettivi perseguiti dalla Comunità. Né il codice degli aiuti né la decisione
controversa rientrerebbero nell'ambito di detto divieto, in quanto essi mirano alla
realizzazione di detti obiettivi. Peraltro, il governo italiano respinge la tesi delle
ricorrenti secondo la quale il codice degli aiuti costituisce un'interpretazione
vincolante dell'art. 95, primo comma, del Trattato. Il codice e la decisione
controversa si baserebbero sullo stesso articolo del Trattato e presenterebbero
pertanto lo stesso valore giuridico. Il potere conferito alla Commissione dall'art. 95,
primo comma, sarebbe permanente e inesauribile: tale articolo mirerebbe a far sì
che la Commissione sia in grado, in ogni momento e in qualsiasi circostanza, di far
fronte a una situazione non prevista dal Trattato adottando, previo accordo del
Consiglio, un provvedimento necessario per il perseguimento di uno degli obiettivi
della Comunità.
- Secondo l'Ilva, l'art. 95, primo comma, del Trattato mira a fornire alla
Commissione gli strumenti per sormontare situazioni eccezionali che non potevano
essere previste dagli autori del Trattato. Tale obiettivo non sarebbe rispettato se
l'adozione di una decisione di portata generale, in forza di detto articolo,
producesse l'effetto di impedire alla Commissione di avvalersi successivamente dei
poteri che esso le attribuisce. La portata generale o individuale del provvedimento
adottato dalla Commissione in base all'art. 95 del Trattato dipenderebbe dalle
circostanze cui essa deve far fronte. Nella specie, la Commissione avrebbe
disciplinato talune categorie di aiuti nel codice degli aiuti, pur riservandosi
contemporaneamente il potere di pronunciarsi caso per caso su tipi di aiuti non
previsti dallo stesso codice. Qualora il codice degli aiuti contenesse una disposizione
che escludesse la successiva adozione di decisioni individuali volte ad autorizzare
aiuti, tale disposizione secondo l'Ilva sarebbe in contrasto con il Trattato.
Giudizio del Tribunale
- Le ricorrenti affermano, in sostanza, che, autorizzando gli aiuti di cui trattasi nella
decisione individuale controversa, la Commissione si è avvalsa dei poteri conferitile
dall'art. 95, primo e secondo comma, del Trattato, al fine di aggirare le condizioni
previste dal codice degli aiuti, avente una portata generale. La loro tesi si basa sulla
premessa che detto codice di cui esse non contestano formalmente la validità
definirebbe in modo vincolante e esauriente le categorie di aiuti di Stato che
possono essere autorizzate.
- A questo proposito, occorre ricordare anzitutto l'ambio normativo nel quale rientra
la decisione impugnata. L'art. 4, lett. c), del Trattato vieta, in via di principio, gli
aiuti di Stato, all'interno della Comunità europea del carbone e dell'acciaio, nella
misura in cui essi possono recare pregiudizio alla realizzazione degli obiettivi
essenziali della Comunità stabiliti dal Trattato, in particolare all'instaurazione di un
regime di libera concorrenza. Ai termini di detta disposizione, «sono riconosciuti
incompatibili con il mercato comune del carbone e dell'acciaio, e per conseguenza,
sono aboliti e proibiti, alle condizioni previste dal presente Trattato, nell'interno
della Comunità: (...) c) le sovvenzioni o gli aiuti concessi dagli Stati (...) in
qualunque forma».
- Tuttavia, la presenza di siffatto divieto non significa che qualsiasi aiuto statale
nell'ambito della CECA debba essere considerato incompatibile con gli obiettivi del
Trattato. L'art. 4, lett. c), interpretato alla luce di tutti gli obiettivi del Trattato,
quali sono stabiliti dai suoi artt. 2-4, non mira ad ostacolare la concessione di aiuti
statali che possano contribuire alla realizzazione degli obiettivi del Trattato. Esso
riserva alle istituzioni comunitarie la facoltà di valutare la compatibilità col Trattato
e, se del caso, di autorizzare la concessione di siffatti aiuti, nel settore cui si applica
il Trattato. Tale analisi è confermata dalla sentenza 23 febbraio 1961, De
Gezamenlijke Steenkolenmijnen in Limburg/Alta Autorità (causa 30/59, Racc. pag.
1, parte in diritto, capitolo B.I.1.b., nono 'considerando, sesto capoverso, pag. 43),
in cui la Corte ha considerato che, come alcuni contributi finanziari non statali ad
imprese produttrici di carbone o d'acciaio, autorizzati dagli artt. 55, n. 2, e 58, n. 2,
del Trattato, possono essere assegnati soltanto dalla Commissione o previa sua
espressa autorizzazione, del pari l'art. 4, lett. c), dev'essere interpretato nel senso
che esso attribuisce alle istituzioni comunitarie una competenza esclusiva nel
settore degli aiuti all'interno della Comunità.
- Nel sistema del Trattato, l'art. 4, lett. c), non osta pertanto a che la Commissione
autorizzi, in via di deroga, aiuti presi in considerazione dagli Stati membri e
compatibili con gli obiettivi del Trattato, basandosi sull'art. 95, primo e secondo
comma, al fine di far fronte a situazioni impreviste (v. sentenza della Corte 12
luglio 1962, causa 9/61, Paesi Bassi/Alta Autorità, Racc. pag. 403, in particolare
pag. 437).
- Infatti, le disposizioni di cui sopra dell'art. 95 autorizzano la Commissione ad
adottare una decisione o una raccomandazione con parere conforme del Consiglio,
deliberante all'unanimità e previa consultazione del Comitato consultivo CECA, in
tutti i casi non previsti dal Trattato nei quali detta decisione o detta
raccomandazione appaia necessaria per attuare, mentre è in funzione il mercato
comune del carbone e dell'acciaio e conformemente alle disposizioni dell'art. 5, uno
degli scopi della Comunità, quali sono definiti agli artt. 2, 3 e 4. Dette disposizioni
stabiliscono che la stessa decisione o raccomandazione, presa nella medesima
forma, determina eventualmente le sanzioni applicabili. Ne consegue che, nella
misura in cui, a differenza del Trattato CE, il Trattato CECA non attribuisce alla
Commissione o al Consiglio alcun potere specifico al fine di autorizzare gli aiuti di
Stato, la Commissione è legittimata, in forza dell'art. 95, primo e secondo comma,
ad adottare tutti i provvedimenti necessari per raggiungere gli obiettivi del Trattato
e, pertanto, ad autorizzare, seguendo il procedimento che detto articolo istituisce,
gli aiuti che le appaiano necessari per conseguire tali obiettivi.
- La Commissione è così competente, in mancanza di disposizione specifica del
Trattato, ad adottare qualsiasi decisione generale o individuale necessaria alla
realizzazione degli obiettivi di quest'ultimo. L'art. 95, primo e secondo comma, che
le conferisce tale competenza, non contiene infatti alcuna precisazione quanto alla
portata delle decisioni che la Commissione può adottare. In tale ambito, spetta ad
essa valutare, in ciascun caso, quale di questi due tipi di decisioni, generali o
individuali, sia il più appropriato per raggiungere l'obiettivo o gli obiettivi
perseguiti.
- Nel settore degli aiuti di Stato, la Commissione si è avvalsa dello strumento
giuridico dell'art. 95, primo e secondo comma, del Trattato avvalendosi di due
sistemi diversi. Essa ha, da un lato, adottato decisioni generali, i «codici degli
aiuti» che prevedono una deroga generale al divieto degli aiuti di Stato per
quanto riguarda talune determinate categorie di aiuti. D'altro canto, essa ha
adottato decisioni individuali che autorizzano alcuni aiuti specifici a titolo
eccezionale.
- Nella specie, il problema consiste pertanto nel determinare l'oggetto e la portata
rispettivi del codice degli aiuti e delle decisioni individuali controverse.
- A questo proposito, occorre ricordare che il codice degli aiuti vigente durante il
periodo considerato dalle decisioni impugnate è stato istituito con la precitata
decisione 27 novembre 1991, n. 3855/91. Si trattava del quinto codice degli aiuti,
entrato in vigore il 1° gennaio 1992 e rimasto in vigore fino al 31 dicembre 1996,come stabilito dal suo articolo 9. Basato sull'art. 95, primo e secondo comma, del
Trattato, tale codice si innestava espressamente nella serie dei codici precedenti (v.,
in particolare, le decisioni della Commissione 27 novembre 1985, n. 3484/85/CECA,
e 1° febbraio 1989, n. 322/89/CECA, che istituiscono norme comunitarie per gli
aiuti alla siderurgia, rispettivamente GU L 340, pag. 1, e GU L 38, pag. 8), ai quali
ci si può dunque riferire per la sua interpretazione. Dalla sua motivazione (v., in
particolare, il punto I della motivazione della citata decisione n. 3855/91 del 27
novembre 1991) emerge che esso mirava anzitutto «a non privare la siderurgia del
beneficio degli aiuti a favore della ricerca e dello sviluppo nonché di quelli destinati
ad adattare gli impianti alle nuove norme sulla tutela dell'ambiente». Nell'intento
di ridurre le sovraccapacità produttive e di riequilibrare il mercato, esso autorizzava
del pari, a talune condizioni, «gli aiuti sociali destinati a favorire una chiusura
parziale di impianti nonché gli aiuti destinati a finanziare la cessazione definitiva
di attività CECA per le imprese meno competitive». Infine, esso vietava
espressamente gli aiuti in favore del funzionamento o degli investimenti, ad
eccezione degli «aiuti regionali in favore degli investimenti in taluni Stati membri».
Potevano fruire di siffatti aiuti regionali le imprese stabilite nel territorio della
Grecia, del Portogallo o dell'ex Repubblica democratica tedesca.
- La decisione controversa è stata, dal canto suo, adottata dalla Commissione in base
all'art. 95, primo e secondo comma, del Trattato, per consentire, secondo la sua
motivazione, la ristrutturazione dell'impresa siderurgica pubblica Ilva in gravi
difficoltà, in uno Stato membro, l'Italia, nel quale il settore siderurgico era messo
in crisi dal forte deterioramento del mercato dell'acciaio comunitario. L'obiettivo
fondamentale degli aiuti di cui trattasi consisteva nella privatizzazione del gruppo
siderurgico che aveva fruito fino ad allora della concessione di crediti grazie alla
responsabilità illimitata dell'azionista unico prevista dall'art. 2362 del codice civile
italiano (punti II e IV della motivazione). La Commissione precisava che la
congiuntura difficilissima nella quale si trovava l'industria siderurgica comunitaria
era dovuta a fattori economici ampiamente imprevedibili. Essa riteneva pertanto
di trovarsi di fronte ad una situazione eccezionale che non era specificamente
prevista dal Trattato (punto IV della motivazione).
- Il raffronto fra il quinto codice degli aiuti, da un lato, e le due decisioni
controverse, dall'altro, consente quindi di evidenziare che tali diversi atti si basano
sullo stesso fondamento giuridico, vale a dire l'art. 95, primo e secondo comma, del
Trattato, e introducono deroghe al principio del divieto generale degli aiuti
enunciato dall'art. 4, lett. c), del Trattato. Essi hanno una sfera di applicazione
diversa, in quanto il codice si riferisce in generale a talune categorie di aiuti che
esso considera compatibili col Trattato, mentre le decisioni controverse autorizzano,
per motivi eccezionali e una tantum, aiuti che, in via di principio, non potrebbero
essere considerati compatibili col Trattato.
- Sotto tale profilo, la tesi delle ricorrenti, secondo cui il codice presenta natura
obbligatoria, esauriente e definitiva, non può essere accolta. Infatti, il codice
costituisce una cornice giuridica vincolante soltanto per gli aiuti compatibili col
Trattato da esso elencati. In tale materia, esso istituisce un sistema complessivo
destinato a garantire un trattamento uniforme, nell'ambito di un unico
procedimento, di tutti gli aiuti che rientrano nelle categorie da esso definite. La
Commissione è vincolata da tale sistema soltanto quando valuta la compatibilità col
Trattato di aiuti considerati dal codice stesso. Essa non può pertanto autorizzare
siffatti aiuti mediante una decisione individuale in contrasto con le norme generali
stabilite dal codice (v. sentenze della Corte 29 marzo 1979, dette dei «cuscinetti a
sfera», causa 113/77, NTN Toyo Bearing e a./Consiglio, Racc. pag. 1185; causa
118/87, ISO/Consiglio, Racc. pag. 1277; causa 119/77, Nippon Seiko e a./Consiglio
e Commissione, Racc. pag. 1303; causa 120/77, Koyo Seiko/Consiglio e
Commissione, Racc. pag. 1337; causa 121/77, Nachi Fujikoshi e a./Consiglio, Racc.
pag. 1363, nonché 21 febbraio 1984, cause riunite 140/82, 146/82, 221/82 e 226/82,
Walzstahl-Vereinigung e Thyssen/Commissione, Racc. pag. 951, e 14 luglio 1988,
cause riunite 33/86, 44/86, 110/86, 226/86 e 285/86, Peine-Salzgitter e
Hoogovens/Commissione, Racc. pag. 4309, e la precitata sentenza CIRFS e
a./Commissione).
- Al contrario, gli aiuti che non rientrano nell'ambito delle categorie esentate dal
divieto per effetto delle disposizioni del codice possono fruire di una deroga
individuale a tale divieto, qualora la Commissione ritenga, nell'ambito dell'esercizio
del suo potere discrezionale in forza dell'art. 95 del Trattato, che siffatti aiuti siano
necessari per il conseguimento degli obiettivi del Trattato. Infatti, il codice degli
aiuti mira soltanto ad autorizzare in generale, e a talune condizioni, deroghe al
divieto degli aiuti a favore di determinate categorie di aiuti da esso elencate in
modo completo. La Commissione non è competente in forza dell'art. 95, primo e
secondo comma, del Trattato, che riguarda unicamente i casi non previsti dal
Trattato (v. sentenza Paesi Bassi/Alta Autorità, già citata, punto 2), a vietare talune
categorie di aiuti, poiché siffatto divieto è già previsto dallo stesso Trattato, al suo
articolo 4, lett. c). Gli aiuti che non rientrano nelle categorie che il codice esenta
da detto divieto rimangono pertanto esclusivamente soggetti all'ambito di
applicazione dell'art. 4, lett. c). Ne consegue che, qualora siffatti aiuti risultino
tuttavia necessari per realizzare gli obiettivi del Trattato, la Commissione è
legittimata ad avvalersi dell'art. 95 del Trattato, al fine di far fronte a tale
situazione imprevista, se del caso, mediante una decisione individuale (v., sopra, i
punti 32-36).
- Nel caso di specie, la decisione controversa che autorizza aiuti di Stato al fine di
consentire la ristrutturazione di un grande gruppo siderurgico pubblico non
rientra nella sfera di applicazione del codice degli aiuti. Quest'ultimo stabilisce, a
determinate condizioni, deroghe di portata generale al divieto degli aiuti di Stato
per quanto riguarda esclusivamente gli aiuti alla ricerca e allo sviluppo, quelli in
favore della tutela dell'ambiente, gli aiuti alla chiusura degli impianti nonché gli
aiuti regionali alle imprese siderurgiche stabilite nel territorio o in una parte del
territorio di taluni Stati membri. Orbene, gli aiuti al funzionamento e alla
ristrutturazione di cui trattasi nella specie non rientrano manifestamente in nessuna
delle summenzionate categorie di aiuti. Ne consegue che le deroghe autorizzate
dalla decisione impugnata non sono subordinate alle condizioni enunciate dal
codice degli aiuti e presentano pertanto una natura complementare rispetto a
quest'ultimo, ai fini del conseguimento degli obiettivi stabiliti dal Trattato (v., in
prosieguo, i punti 77-83).
- Di conseguenza, la decisione controversa non può essere considerata una deroga
ingiustificata al quinto codice degli aiuti, ma costituisce un atto che trova, al pari
di quest'ultimo, la propria fonte nel disposto dell'art. 95, primo e secondo comma,
del Trattato.
- Pertanto, la censura delle ricorrenti secondo cui la decisione impugnata sarebbe
stata adottata per favorire l'impresa beneficiaria degli aiuti in esame, modificando
surrettiziamente il codice degli aiuti, è del tutto infondata. In realtà la Commissione
non poteva in alcun caso privarsi, con l'adozione del codice degli aiuti, del potere
attribuitole dall'art. 95 del Trattato di adottare atti individuali per fronteggiare;
situazioni impreviste. Siccome, nella specie, la sfera di applicazione del codice degli
aiuti non riguardava la situazione economica che aveva indotto la Commissione ad
adottare la decisione controversa, questa era infatti legittimata a basarsi sull'art. 95
del Trattato per autorizzare gli aiuti di cui trattasi, purché rispettasse i presupposti
di applicazione di detto articolo.
- Poiché le ricorrenti non hanno addotto alcun elemento il quale consenta di
presumere che la Commissione, adottando la decisione controversa, intendesse
eludere il codice degli aiuti, la censura relativa all'asserito sviamento di potere deve
essere respinta.
Sull'asserita violazione del legittimo affidamento
Argomenti delle parti
- Secondo le ricorrenti la decisione controversa, autorizzando, in base all'art. 95 del
Trattato, il versamento all'Ilva di aiuti ritenuti incompatibili con il codice degli aiuti,
viola il principio della tutela del legittimo affidamento.
- Da un lato, tale decisione arrecherebbe pregiudizio all'affidamento che la
pubblicazione dei vari codici degli aiuti e le dichiarazioni del Consiglio e della
Commissione sulla loro rigorosa osservanza avrebbero oggettivamente fatto sorgere
in capo alle imprese interessate. Le norme vincolanti contenute nel codice si
applicherebbero infatti a tutti gli aiuti concessi dagli Stati nel settore siderurgico.
Esse offrirebbero così alle imprese una cornice normativa all'interno della quale
queste possono ragionevolmente attendersi di ricevere un trattamento identico e,
in caso di eventi imprevisti, di veder modificare, se necessario, le condizioni di
concessione delle autorizzazioni di aiuti mediante una decisione generale che tenga
conto della situazione di tutti gli operatori interessati, senza alcun trattamento
speciale che favorisca una o più imprese.
- D'altro canto, la Commissione avrebbe fatto sorgere un legittimo affidamento in
capo alle concorrenti dell'Ilva dichiarando, quando ha autorizzato in passato la
concessione di aiuti a detta impresa, che non sarebbero stati più presi in
considerazione nuovi aiuti, quanto meno qualora essi fossero incompatibili con il
codice degli aiuti applicabile a tutte le imprese. Le ricorrenti fanno riferimento a
questo proposito alla decisione 23 dicembre 1988, 89/218/CECA, concernente la
concessione da parte del governo italiano di aiuti alle imprese siderurgiche del
settore pubblico (GU L 1989, L 86, pag. 76, in prosieguo: la «decisione 89/218»),
come modificata dalle decisioni 13 dicembre 1989, 90/89/CECA (GU 1990, L 61,
pag. 19) e 27 novembre 1991, 92/17/CECA (GU 1992, L 9, pag. 16), concernenti
la concessione da parte del governo italiano di aiuti alle imprese siderurgiche del
settore pubblico, menzionate nella decisione impugnata. Peraltro, avviando il
procedimento in forza dell'art. 6, n. 4, del codice degli aiuti per quanto riguarda gli
aiuti assegnati all'Ilva nel 1992 (GU C 257, pag. 4) e nel 1993 (GU C 213, pag. 6),
e adottando provvedimenti provvisori nei confronti del governo italiano in forza
dell'art. 88 del Trattato CECA (XXIII Relazione sulla politica di concorrenza 1993,
punto 491), la Commissione avrebbe confermato che intendeva vigilare sulla
rigorosa osservanza del codice degli aiuti.
- La Commissione respinge siffatta argomentazione. L'art. 95, primo e secondo
comma, del Trattato prevederebbe un'attività delle istituzioni comunitarie in caso
di difficoltà impreviste. Orbene, poiché tali difficoltà non possono essere previste,
non può esistere un legittimo affidamento per quanto riguarda siffatte decisioni.
Nella specie, il quinto codice degli aiuti rifletterebbe la posizione della
Commissione e del Consiglio al momento della sua adozione, ma non escluderebbe
che circostanze economiche non possano rendere necessario un modo di procedere
diverso (sentenza della Corte 19 settembre 1985, cause riunite 63/84 e 147/84,
Finsider/Commissione, Racc. pag. 2857).
- Inoltre, indipendentemente dalla questione se esistano atti o dichiarazioni di
istituzioni comunitarie che possano creare un legittimo affidamento, la
Commissione osserva che, tenuto conto delle circostanze nella specie, siffatto
affidamento è escluso nel caso delle ricorrenti. Infatti, la precitata decisione 89/218
sarebbe stata adottata in un caso simile, in base all'art. 95, primo e secondo comma
del Trattato, senza modifica del terzo codice degli aiuti allora vigente. Del pari, la
decisione della Commissione 31 luglio 1992, 92/411/CECA, adottata quando era già
in vigore il quinto codice degli aiuti, applicabile nella specie, avrebbe autorizzato,
in forza di detto articolo, la concessione di aiuti cui non si applicava detto codice
a imprese siderurgiche stabilite in Danimarca e nei Paesi Bassi (GU L 223, pag.
28). Le ricorrenti avrebbero quindi dovuto sapere che un codice degli aiuti poteva
essere completato mediante decisioni ad hoc.
- Secondo il Consiglio, vi sarebbe violazione del principio della tutela del legittimo
affidamento nel settore del diritto economico comunitario «quando un'istituzione
comunitaria, in assenza di un contrario interesse pubblico imperativo, abolisce, con
effetto immediato e senza preavviso, un vantaggio specifico degno di tutela per le
imprese interessate senza adottare misure transitorie appropriate» (sentenza del
Tribunale 21 febbraio 1995, causa T-472/93, Campo Ebro e a./Commissione, Racc.
pag. II-421, punto 52). Tale principio non osterebbe, in generale, a che una nuova
disciplina si applichi agli effetti futuri di situazioni sorte sotto l'impero della
disciplina precedente, in particolare quando un adattamento è necessario a causa
dei mutamenti della situazione economica. Nella specie, la decisione impugnata non
produrrebbe nemmeno l'effetto di privare le ricorrenti di un vantaggio degno di
tutela. Nel sistema del Trattato CECA, la Commissione potrebbe adottare, alle
condizioni contemplate dall'art. 95, primo comma, del Trattato, decisioni dirette a
disciplinare casi non previsti. Il codice degli aiuti avrebbe creato una cornice
normativa al fine di reagire con elasticità ai cambiamenti congiunturali nel settore
dell'industria siderurgica comunitaria. Del pari, la decisione impugnata sarebbe
stata adottata al fine di tener conto di una «variazione della situazione economica».
Così, per la loro natura e per i loro obiettivi, i provvedimenti adottati in base
all'art. 95, primo comma, del Trattato non possono creare una cornice normativa
vincolante e immutabile per tutti gli operatori economici. Il codice degli aiuti non
sarebbe stato quindi atto a ingenerare nelle ricorrenti un legittimo affidamento che
consentisse loro di contare sul fatto che la Commissione non avrebbe più
autorizzato altre deroghe al divieto degli aiuti enunciato dall'art. 4, punto c).
- La Repubblica italiana fa valere, dal canto suo, che, in ogni caso, le ricorrenti non
dimostrano che l'asserita idoneità del codice degli aiuti a creare in teoria un
legittimo affidamento abbia avuto un riscontro nei fatti. Esse si limiterebbero ad
affermare che le imprese facenti parte dell'associazione ricorrente hanno adottato
decisioni in materia di investimenti e di ristrutturazione e hanno proceduto alla
chiusura di alcuni impianti, senza provare che tali decisioni sono state influenzate
in modo decisivo dalla considerazione che la Comunità non avrebbe autorizzato
aiuti per operazioni di ristrutturazione e, in particolare, che le suddette decisioni
sarebbero state diverse se fosse stata nota l'esistenza di tale possibilità. Inoltre, le
ricorrenti non avrebbero potuto legittimamente attendersi che l'adozione del codice
degli aiuti escludesse qualsiasi altro intervento in circostanze non previste ma che
potevano verificarsi. Un'interpretazione del genere non sarebbe mai stataconfermata dal diritto comunitario. Al contrario, l'esperienza acquisita in passato
avrebbe dimostrato che l'applicazione del codice degli aiuti non osta alla
concessione di autorizzazioni individuali, che sono state effettivamente concesse in
base all'art. 95, primo comma, del Trattato.
- L'Ilva sottolinea, dal canto suo, che le ricorrenti non possono affermare in modo
credibile che esse non avevano alcuna idea dell'intenzione della Commissione di
autorizzare nuovi aiuti in forza dell'art. 95 del Trattato, e neanche della mera
eventualità di un siffatto evento. La circostanza che la dichiarazione del Consiglio
25 febbraio 1993 vi faccia riferimento e i precedenti citati dalla Commissione
dimostrerebbero che l'autorizzazione degli aiuti di cui trattasi mediante la decisione
controversa non può essere considerata un caso isolato o imprevisto, ma che, al
contrario, essa rientra in un chiaro orientamento politico, reso noto a un vasto
pubblico. Tutte le grandi imprese europee sarebbero state quindi informate
dell'intenzione della Commissione di autorizzare aiuti in forza dell'art. 95 del
Trattato, in particolare grazie alle riunioni dell'Eurofer, a cui le ricorrenti
avrebbero regolarmente partecipato.
Giudizio del Tribunale
- Le ricorrenti adducono che la decisione controversa lede il principio della tutela
del legittimo affidamento in quanto produrrebbe l'effetto di perturbare il mercato
comune dell'acciaio introducendo, malgrado l'espresso divieto degli aiuti statali e
l'esistenza di un codice di aiuti molto rigoroso, elementi di confusione tali da
rendere inefficaci le strategie industriali delle imprese che non beneficiano degli
aiuti.
- Siffatto argomento si basa sull'idea errata come giustamente hanno osservato la
Commissione e gli intervenienti a suo sostegno secondo cui l'esistenza del codice
degli aiuti avrebbe fornito alle imprese interessate la certezza che nessuna
decisione specifica, contenente un'autorizzazione degli aiuti di Stato al di fuori delle
categorie considerate dal codice, sarebbe stata adottata in circostanze particolari.
Orbene, come il Tribunale ha già rilevato (v., sopra, i punti 38-44), il codice degli
aiuti non ha lo stesso oggetto della decisione controversa, adottata per far fronte
ad una situazione eccezionale. Esso non poteva in alcun caso far sorgere legittime
aspettative per quanto riguarda l'eventuale possibilità di accordare deroghe
individuali al divieto degli aiuti di Stato, in base all'art. 95, primo e secondo comma,
del Trattato, in una situazione imprevista quale quella che ha portato all'adozione
delle decisioni controverse (v., sopra, il punto 40).
- Inoltre, e in ogni caso, dalla costante giurisprudenza della Corte emerge che,
«anche se il principio del rispetto del legittimo affidamento è uno dei principi
fondamentali della Comunità, gli operatori economici non possono fare
legittimamente affidamento sulla conservazione di una situazione esistente che può
essere modificata nell'ambito del potere discrezionale delle istituzioni comunitarie»
(v. sentenza 14 febbraio 1990, causa C-350/88, Delacre e a./Commissione, Racc.
pag. I-395, punto 33).
- Infatti, il buon funzionamento del mercato comune dell'acciaio comporta l'evidente
necessità di un continuo adattamento in funzione dei mutamenti della situazione
economica e gli operatori economici non possono invocare un diritto acquisito al
mantenimento della situazione giuridica esistente in un determinato momento (v.
sentenza della Corte 27 settembre 1979, causa 230/78, Eridania, Racc. pag. 2749,
punto 22, e sentenza del Tribunale 21 febbraio 1995, causa T-472/93, Campo Ebro
e a./Consiglio, Racc. pag. II-421, punto 52). Inoltre, la Corte si è del pari avvalsa
della nozione di «operatore prudente e avveduto» per sottolineare che, in alcuni
casi, è possibile prevedere l'adozione di misure specifiche dirette a combattere
evidenti situazioni di crisi, di modo che il principio della tutela del legittimo
affidamento non può essere invocato (v. sentenza 1° febbraio 1978, causa 78/77,
Lührs, Racc. pag. 169.
- In tali circostanze, le ricorrenti, tenuto conto della loro posizione economica di
grande importanza nonché della loro partecipazione al comitato consultivo CECA,
avrebbero comunque dovuto accorgersi che sarebbe sorta la necessità imperiosa di
adottare misure efficaci per salvaguardare gli interessi della siderurgia europea, e
che il ricorso all'art. 95 del Trattato avrebbe potuto giustificare l'adozione di
decisioni ad hoc da parte della Commissione, come ciò si era già verificato più
volte in presenza di un codice degli aiuti. A questo proposito, la Commissione cita
giustamente la decisione 89/218 e la già menzionata decisione 92/411 del 31 luglio
1992, le quali hanno autorizzato alcuni aiuti statali non contemplati dal codice degli
aiuti vigente all'epoca della loro adozione.
- Ne consegue che la decisione controversa non viola il principio della tutela del
legittimo affidamento.
Sul secondo motivo relativo alla violazione dell'art. 95 del Trattato
Argomenti delle parti
- Le ricorrenti sostengono che la decisione controversa non rispetta i presupposti di
applicazione dell'art. 95, primo comma, del Trattato, in quanto gli aiuti da essa
autorizzati, da un lato, non perseguono una finalità cui si riferiscano gli obiettivi di
cui agli artt. 2-4 del Trattato e, dall'altro, non sono necessari per conseguire gli
stessi obiettivi.
- L'obiettivo perseguito dalla decisione controversa che mira al «consolidamento
e al risanamento economico-finanziario della struttura dell'industria siderurgica
italiana» (punto IV della motivazione della decisione) non farebbe parte degli
obiettivi definiti dagli artt. 2, 3 e 4 del Trattato, che riguarderebbero il mercato
comune e l'industria siderurgica della Comunità nel suo insieme, e non l'industria
di un unico Stato membro, o addirittura la sopravvivenza economica di un'unica
impresa (sentenze della Corte 17 settembre 1980, causa 730/79, Philip
Morris/Commissione, Racc. pag. 2671, e 29 settembre 1987, cause riunite 351/85
e 360/85, Fabrique de fer de Charleroi e Dillinger Hüttenwerke/Commissione,
Racc. pag. 3639). Infatti, il mantenere in attività singole imprese come l'Ilva
mediante la concessione di rilevanti aiuti non potrebbe essere conforme agli
obiettivi del Trattato, quando le imprese non sovvenzionate dagli altri Stati membri
devono ridurre le loro capacità produttive con i propri mezzi. Al contrario,
l'esclusione dal mercato delle imprese siderurgiche non redditizie, o quantomeno
la riduzione delle loro capacità produttive inutilizzate e la chiusura dei loro
impianti non concorrenziali, contribuirebbero alla realizzazione degli obiettivi di cui
all'art. 2, secondo comma, del Trattato, ai sensi del quale la Comunità deve
«evitare di provocare, nelle economie degli Stati membri, turbamenti fondamentali
e persistenti». Del resto, la Commissione avrebbe potuto prevenire un rischio del
genere solo sulla base dell'art. 37 del Trattato, il quale dispone che, «uno Stato
membro, quando ritiene che, in un caso determinato, un'azione o una mancanza
d'azione della Commissione è di natura tale da provocare nella sua economia
[siffatti] turbamenti [...], può ricorrere alla Commissione», e non sulla base dell'art.
95, primo e secondo comma (v. la precitata sentenza De Gezamenlijke
Steenkolenmijnen in Limburg/Alta Autorità).
- L'autorizzazione data alla concessione di aiuti all'Ilva non sarebbe neanche
giustificata dalla necessità di provvedere a tutelare «la continuità dell'occupazione»
conformemente all'art. 2 del Trattato. Secondo le ricorrenti, gli aiuti di cui trattasi
consentono soltanto di spostare i problemi dal mercato italiano al mercato del
lavoro di altri Stati membri, dove numerosi posti di lavoro sono stati soppressi e
continuano ad essere soppressi nel settore siderurgico. Le ricorrenti contestano a
questo proposito la tesi della Commissione secondo cui la decisione controversa
rientra nell'ambito di un «programma complessivo» di riduzione delle capacità
produttive e di ristabilimento della redditività delle imprese siderurgiche. In ogni
caso, quando applica siffatto programma complessivo, la Commissione dovrebbe
assicurarsi che non venga operata alcuna discriminazione fra le imprese
siderurgiche e fra i settori pubblico e privato.
- Peraltro, gli aiuti concessi all'Ilva non sarebbero, in ogni caso, «indispensabili» per
la realizzazione degli obiettivi del Trattato che la decisione controversa
intenderebbe perseguire. Per rispondere al criterio del carattere indispensabile o
necessario, gli aiuti autorizzati dovrebbero cercar di raggiungere l'obiettivo voluto
recando il pregiudizio meno grave possibile alla concorrenza sul mercato comune
dell'acciaio. Orbene, la Commissione avrebbe già autorizzato la concessione all'Ilva
di aiuti per 10,9 miliardi di ECU nel periodo 1980-1985, e per 3,25 miliardi di ECU
nel periodo 1988-1989. Questi aiuti non sarebbero riusciti a risanare l'impresa che
ne ha beneficiato. I precedenti dimostrerebbero che, invece di portare a un
miglioramento della competività e al risanamento dell'industria siderurgica italiana,
gli aiuti di cui trattasi potrebbero essere utilizzati dall'Ilva per finanziare la vendita
dei suoi prodotti a basso prezzo allo scopo di accrescere la sua quota di mercato,
con gravi conseguenze per la competività delle imprese non sovvenzionate.
- La Commissione, sostenuta dalla Repubblica italiana che fa propri tutti i suoi
argomenti, osserva che la decisione controversa è conforme all'art. 95, primo
comma, del Trattato.
- Essa sostiene, anzitutto, che tale decisione mira a realizzare taluni obiettivi
menzionati dagli artt. 2 e 3 del Trattato, che impongono in particolare alla
Comunità di salvaguardare la continuità dell'occupazione e di evitare di provocare
turbamenti fondamentali e persistenti nelle economie degli Stati membri. La
decisione rientrerebbe in un programma complessivo di riduzione delle capacità
produttive e di risanamento delle imprese siderurgiche europee. Non si tratterebbe
quindi della sopravvivenza di una singola impresa in un singolo Stato membro, ma
della salvaguardia di tutta la siderurgia comunitaria.
- La Commissione avrebbe tentato pertanto, nell'ambito di un compromesso politico
molto ampio, di conciliare fra loro, per quanto possibile, obiettivi eventualmente
contraddittori previsti dal Trattato. La decisione controversa tenterebbe in
particolare di conciliare il risanamento del gruppo Ilva con la soppressione di posti
di lavoro in una misura «ragionevole». Le ripercussioni della crisi della siderurgia
in Italia sarebbero così attenuate per quanto riguarda la situazione
dell'occupazione, evitando di abolire in un sol colpo oltre 38 000 posti di lavoro.
- Per quanto attiene, inoltre, al carattere indispensabile degli aiuti, la Commissione
sottolinea l'esistenza nel caso di specie di circostanze specifiche relative in
particolare alla situazione di crisi, alla privatizzazione dell'Ilva e al fatto che in
futuro non vi sarebbero più nuove domande in forza dell'art. 95 del Trattato.
- Secondo il Consiglio, nella specie sono stati rispettati tutti i requisiti necessari per
l'applicazione dell'art. 95 del Trattato. Infatti, la decisione impugnata farebbe parte
integrante del piano di ristrutturazione e tutto il piano di ristrutturazione sarebbe
conforme agli obiettivi del Trattato, in particolare all'obiettivo generale consistente
nell'«evitare di provocare, nelle economie degli Stati membri, turbamenti
fondamentali e persistenti» (art. 2, secondo comma, del Trattato). Il Consiglio
osserva che, conformemente all'art. 33, primo comma, del Trattato CECA, l'esame
del Tribunale non può vertere sulla valutazione dello stato risultante da fatti o
circostanze economiche in considerazione del quale sono state prese le dette
decisioni o raccomandazioni, salvo che sia mossa accusa alla Commissione di aver
commesso uno sviamento di potere o se la Commissione ha «misconosciuto in
modo patente le disposizioni del Trattato oppure ogni norma giuridica concernente
la sua applicazione». Orbene, nella specie, le ricorrenti non fornirebbero affatto la
prova della manifesta erroneità della valutazione della Commissione nella decisione
controversa (v. sentenza della Corte 5 ottobre 1994, causa C-280/93,
Germania/Consiglio, Racc. pag. I-4973, punti 90 e 95).
- Da canto suo, l'Ilva sostiene che nulla nell'art. 2, secondo comma, del Trattato
autorizza l'interpretazione sostenuta dalle ricorrenti, secondo cui detta disposizione
distinguerebbe fra una finalità prioritaria, vale a dire la ripartizione più razionale
della produzione, e finalità secondarie quali la salvaguardia della continuità
dell'occupazione e la necessità di evitare turbamenti fondamentali e persistenti
nelle economie degli Stati membri. Inoltre, non si può rimproverare la
Commissione di aver perseguito soltanto quegli obiettivi del Trattato che essa ha
considerato prioritari con riguardo alle circostanze specifiche del caso di specie, a
meno che non si dimostri che la stessa si è basata su valutazioni manifestamente
errate.
Giudizio del Tribunale
- Occorre ricordare in limine che, come già è stato considerato (v., sopra, i punti 31-46), la Commissione, in forza dell'art. 95, primo e secondo comma del Trattato,
può autorizzare aiuti di Stato all'interno della Comunità, ogni volta che la
situazione economica nel settore siderurgico rende necessaria l'adozione di misure
di questo tipo per realizzare uno degli obiettivi della Comunità.
- Tale condizione è soddisfatta in particolare quando il settore interessato si trova
di fronte a situazioni di crisi eccezionale. A questo proposito, la Corte ha
sottolineato, nella sentenza 3 ottobre 1985, causa 214/83, Germania/Commissione,
Racc. pag. 3053, punto 30, «lo stretto nesso che esiste, in fatto di applicazione del
Trattato CECA, in periodo di crisi, fra la concessione di aiuti all'industria
siderurgica e l'opera di riorganizzazione che si rende necessaria per questa
industria» (causa 214/83, Racc. pag. 3053, punto 30). La Commissione valuta
discrezionalmente, nell'ambito di detta applicazione, la compatibilità con i principi
fondamentali del Trattato degli aiuti destinati ad accompagnare i provvedimenti di
ristrutturazione.
- Nella specie, è pacifico che, all'inizio degli anni '90, la siderurgia europea ha
conosciuto una crisi improvvisa e grave, a causa dell'azione congiunta di più fattori,
quali la recessione economica internazionale, la chiusura dei tradizionali circuiti di
esportazione, la salita alle stelle della concorrenza delle imprese siderurgiche dei
paesi in via di sviluppo e la rapida crescita delle importazioni comunitarie di
prodotti siderurgici dai paesi membri dell'Organizzazione dei paesi esportatori di
petrolio (O.P.E.C.). Tenendo conto di tale contesto di crisi si deve valutare, nella
specie, se gli aiuti di cui trattasi fossero necessari, come prescrive l'art. 95, primo
e secondo comma del Trattato, per realizzare gli obiettivi fondamentali del
Trattato.
- La decisione controversa indica chiaramente, al punto IV della motivazione, che
essa mira al risanamento del settore siderurgico nello Stato membro considerato.
Essa afferma che «il consolidamento ed il risanamento economico-finanziario della
struttura dell'industria siderurgica italiana contribuisce al conseguimento degliobiettivi del Trattato (...)».
- Occorre accertare pertanto, in primo luogo, se tale finalità faccia parte degli
obiettivi del Trattato e, in secondo luogo, se l'autorizzazione degli aiuti di cui
trattasi fosse necessaria per conseguire tali obiettivi.
- Per quanto riguarda, in primo luogo, la questione se il risanamento delle imprese
beneficiarie miri alla realizzazione degli obiettivi del Trattato, dalla motivazione
della decisione impugnata emerge espressamente che tale obiettivo era complesso
e poteva scomporsi in più aspetti. Gli aiuti di cui trattasi miravano ad agevolare la
privatizzazione dell'impresa pubblica beneficiaria, la chiusura di alcuni impianti, la
riduzione delle capacità produttive eccedentarie e la soppressione di posti di lavoro
in una misura accettabile (v. il punto II della motivazione). L'insieme di tali aspetti,
una volta realizzati, doveva consentire all'impresa interessata di disporre di una
struttura sana e redditizia.
- La decisione controversa persegue così un'ampia varietà di obiettivi, per i quali
occorre accertare se, nell'ambito della crisi attraversata dall'industria siderurgica (v.,
sopra, i punti 72-74), essi rientrino fra quelli definiti dal Trattato ai suoi artt. 2 e
3, cui si fa specifico riferimento nella motivazione della decisione stessa.
- Ciò posto, occorre ricordare anzitutto che, tenuto conto della diversità degli
obiettivi fissati dal Trattato, la funzione della Commissione consiste nel garantire
la permanente conciliazione dei vari obiettivi, avvalendosi del suo potere
discrezionale per soddisfare l'interesse comune, conformemente alla costante
giurisprudenza della Corte (v. sentenze della Corte 13 giugno 1958, causa 9/56,
Meroni/Alta Autorità, Racc. pag. 9, in particolare pag. 43; 21 giugno 1958, causa
8/57, Groupement des hauts fourneaux et aciéries belges/Alta Autorità, Racc. pag.
213, in particolare pag. 232, e 29 settembre 1987, cause riunite 351/85 e 360/85,
Fabrique de fer de Charleroi et Dillinger Hüttenwerke/Commissione, Racc. pag.
3639, punto 15). In particolare, nella sentenza 18 marzo 1980, Valsabbia e
a./Commissione, cause riunite 154/78, 205/78, 206/78, 226/78, 227/78, 228/78, 263/78,
264/78, 31/79, 39/79, 83/79 e 85/79 (Racc. pag. 907, punto 55), la Corte ha
affermato che «se in una situazione normale di mercato è necessario giungere a un
compromesso fra le varie finalità, ciò vale ancor più in una situazione di crisi, che
giustifica l'adozione di provvedimenti eccezionali che derogano alle norme ordinarie
concernenti il funzionamento del mercato comune dell'acciaio ed implicano
manifestamente l'inosservanza di determinate finalità di cui all'art. 3, fosse anche
solo quella di cui al punto (c), ove si prescrive di vegliare all'instaurazione dei
prezzi più bassi».
- Nella specie, il Tribunale constata che la decisione controversa concilia vari
obiettivi del Trattato, al fine di salvaguardare interessi fondamentali.
- I provvedimenti considerati dalla decisione, cioè la razionalizzazione dell'industria
siderurgica europea tramite il risanamento di alcuni gruppi, fra cui l'Ilva, la
chiusura degli impianti obsoleti o poco competitivi, la riduzione delle capacità
produttive eccedentarie, la privatizzazione del gruppo Ilva al fine di garantirne la
redditività e la soppressione di posti di lavoro in una misura ragionevole
concorrono infatti a realizzare gli obiettivi del Trattato, tenuto conto della
particolarità del settore siderurgico e del fatto che il persistere, o addirittura
l'aggravarsi della crisi, avrebbe rischiato di provocare, nel sistema economico dello
Stato membro interessato, sconvolgimenti estremamente gravi e persistenti. E'
pacifico che tale settore riveste, in più Stati membri, e particolarmente in Italia,
un'importanza fondamentale, a causa dell'ubicazione degli impianti siderurgici in
regioni caratterizzate da una situazione di sottoccupazione e dell'ampiezza degli
interessi economici in gioco. In tali circostanze, eventuali decisioni di chiusura e di
soppressione di posti di lavoro, nonché l'assunzione del controllo delle imprese
interessate da parte di società private operanti secondo la pura legge del mercato,
avrebbero potuto far sorgere, in mancanza di provvedimenti di sostegno
dell'autorità pubblica, gravissime difficoltà di ordine pubblico, in particolare
aggravando il problema della disoccupazione e rischiando di creare una situazione
di crisi economica e sociale di rilevanti dimensioni.
- In tali circostanze, cercando di risolvere siffatte difficoltà mediante il risanamento
del gruppo siderurgico Ilva, la decisione controversa mira inequivocabilmente a
salvaguardare «la continuità dell'occupazione» e ad evitare «di provocare,
nell'economia degli Stati membri, turbamenti fondamentali e persistenti», come
prescritto dall'art. 2, secondo comma, del Trattato. Inoltre, essa persegue gli
obiettivi sanciti dall'art. 3, relativi, fra l'altro, al «mantenimento di condizioni che
stimolino le imprese a sviluppare e migliorare la loro capacità di produzione» [lett.
d)] e a promuovere «l'espansione regolare e l'ammodernamento della produzione
e parimenti il miglioramento della qualità, a condizione che evitino contro le
industrie concorrenti qualunque protezione» [lett. g)]. Infatti, essa mira a
razionalizzare l'industria siderurgica europea in particolare mediante la definitiva
chiusura di impianti obsoleti o poco competitivi, come Bagnoli, e la riduzione
irreversibile delle capacità produttive di taluni prodotti (per esempio a Taranto),
al fine di far fronte alla situazione di sovraccapacità produttiva (v. art. 2 della
decisione controversa). Essa rientra così, con le altre summenzionate cinque
decisioni individuali, che autorizzano aiuti di Stato e che sono state adottate lo
stesso giorno, nell'ambito di un programma complessivo di ristrutturazione duratura
del settore siderurgico e di riduzione delle capacità produttive nella Comunità (v.,
sopra, i punti 4-6). Sotto tale profilo, si deve sottolineare che la finalità degli aiuti
di cui trattasi non è quella di garantire la pura e semplice sopravvivenza
dell'impresa beneficiaria il che sarebbe incompatibile con l'interesse comune
ma di ristabilire la sua redditività pur limitando al minimo l'incidenza degli aiuti
sulla concorrenza e vigilando sull'osservanza delle norme di concorrenza leale, in
particolare quanto alle modalità di privatizzazione del gruppo Ilva.
- Ne consegue che la decisione controversa mira a salvaguardare l'interesse comune,
conformemente agli obiettivi del Trattato. Dev'essere respinta pertanto la tesi delle
ricorrenti secondo la quale detta decisione non mirerebbe alla realizzazione di tali
obiettivi.
- Dopo aver rilevato che la decisione controversa persegue gli obiettivi del Trattato,
occorre accertare, in secondo luogo, se essa fosse necessaria per la realizzazione
di tali obiettivi. Come ha precisato la Corte nella precitata sentenza
Germania/Commissione, la Commissione non potrebbe «assolutamente autorizzare
la concessione di aiuti statali che non fossero indispensabili per conseguire gli
obiettivi contemplati dal Trattato e che fossero tali da causare distorsioni alla
concorrenza sul mercato comune dell'acciaio» (punto 30).
- Occorre sottolineare, a questo proposito, che l'art. 33, primo comma, del Trattato
dispone che «l'esame della Corte non può vertere sulla valutazione dello stato
risultante da fatti o circostanze economiche in considerazione del quale sono state
prese le dette decisioni o raccomandazioni, salvo che sia mossa accusa alla
Commissione di aver commesso uno sviamento di potere o di avere misconosciuto
in modo patente le disposizioni del Trattato oppure ogni norma giuridica
concernente la sua applicazione».
- In materia di aiuti di Stato, la Corte ha costantemente affermato che «la
Commissione gode di un potere discrezionale il cui esercizio implica valutazioni di
ordine economico e sociale da effettuarsi in un contesto comunitario» (sentenze
della Corte 17 settembre 1980, causa 730/79, Philip Morris/Commissione, Racc.
pag. 2671, punto 24, e Matra/Commissione, già citata, nonché sentenza del
Tribunale 13 settembre 1995, cause riunite T-244/93 e T-486/93,
TWD/Commissione, Racc. pag. II-2265).
- Nell'ambito del motivo in esame, che implica una complessa valutazione economica
e tecnica, il sindacato del Tribunale deve limitarsi pertanto al controllo
dell'esattezza sostanziale dei fatti e della mancanza di manifesto errore di
valutazione, conformemente ad una giurisprudenza costante (v. sentenze del
Tribunale 15 luglio 1994, causa T-17/93, Matra Hachette/Commissione, Racc. pag.
II-595, punto 104, 8 giugno 1995, causa T-9/93, Schöller/Commissione, Racc. pag.
II-1611, punto 140, e 22 ottobre 1996, causa T-266/94, Skibsvaerftsforeningen e
a./Commissione, Racc. pag. II-1399, punto 170).
- Nella specie, per difendere la tesi del carattere «non necessario» degli aiuti
concessi alla CSI e all'Ilva, le ricorrenti sottolineano in particolare che, tenuto conto
dell'esperienza del passato e delle eccessive capacità produttive nel settore
siderurgico, qualsiasi tentativo di ristabilire la redditività dell'impresa di cui trattasi
mediante aiuti di Stato porterà inevitabilmente ad un fallimento, con gravi
conseguenze sull'equilibrio generale del mercato comune.
- Tuttavia, le ricorrenti non forniscono alcun elemento concreto che consenta di
presumere che la Commissione abbia commesso un manifesto errore nel valutare
la necessità degli aiuti e, in particolare, la loro idoneità ad agevolare il risanamento
dell'impresa beneficiaria.
- A questo proposito, il fatto di affermare, limitandosi a far riferimento all'inefficacia
degli aiuti precedenti, che gli aiuti di cui trattasi non saranno probabilmente idonei
a conseguire i risultati previsti non costituisce nient'altro che un'anticipazione di
natura meramente speculativa ed ipotetica. Infatti, un tentativo di proiettare nel
futuro i risultati ottenuti nel passato, senza esaminare approfonditamente le
concrete condizioni imposte dalla decisione controversa al fine di realizzare una
ristrutturazione dell'impresa beneficiaria tale da garantirne l'efficienza, non può
costituire un mezzo di prova della violazione del Trattato da parte della
Commissione.
- Inoltre, il Tribunale constata anzitutto che, contrariamente a quanto asserito dalle
ricorrenti, la cronistoria e la motivazione della decisione controversa attestano
un'approfondita analisi dell'attuale situazione di crisi della siderurgia europea e dei
mezzi più adeguati per farvi fronte. La Commissione aveva conferito un mandato
esplorativo ad un esperto indipendente, il signor Braun, il cui compito consisteva
nell'effettuare la rilevazione dei progetti di chiusura di imprese del settore
siderurgico e la cui relazione è stata presentata il 29 gennaio 1993. Tale relazione,
prodotta dalla Commissione, corroborava i dati contenuti nella comunicazione 23
novembre 1992 della Commissione al Consiglio ed al Parlamento europeo (v.,
sopra, punto 4). Inoltre, risulta dagli atti di causa (v., sopra, punto 15) che la
Commissione ha esaminato minuziosamente, con l'ausilio di esperti esterni, il piano
di ristrutturazione che accompagnava il progetto di aiuto prospettato dallo Stato
membro interessato, sotto il profilo della sua capacità di garantire l'efficienza
dell'impresa beneficiaria (punto III della motivazione della decisione controversa).
- Inoltre, dalle comunicazioni della Commissione al Consiglio, nel corso del
procedimento che è sfociato nell'adozione della decisione controversa, emerge che
l'istituzione convenuta ha analizzato approfonditamente le condizioni di redditività
dell'impresa beneficiaria degli aiuti di cui trattasi. In particolare, il capitolo 2 della
comunicazione della Commissione al Consiglio e al Comitato consultivo CECA 15
dicembre 1993, SEC(93)2089 def., con cui si chiede il parere conforme del
Consiglio e il parere del Comitato consultivo CECA in forza dell'art. 95 del
Trattato, contiene la descrizione analitica delle prospettive di redditività delle
imprese (l'ILP e l'AST) risultanti dalla privatizzazione del gruppo Ilva (punti 2.5
e 2.6), quali sono state accettate dal Consiglio, nonché il riferimento all'attività di
un esperto indipendente incaricato di individuare «the hot-rolling mills which could
be closed without jeopardizing the viability of either of the new companies, be it
ILP or AST» (i laminatoi a caldo che potrebbero essere chiusi senza arrecare
pregiudizio alla redditività di una delle nuove società, indipendentemente dal fatto
che essa sia l'ILP o l'AST; ibidem, punto 2.9). Dal documento di cui trattasi
emerge che l'esperto ha considerato sei opzioni consistenti in varie possibilità di
chiusure e di riduzioni di capacità produttive, tra le quali la seconda è stata accolta
dal governo italiano. L'opzione 2 è descritta come segue: «eliminating one of the
four reheating furnaces belonging to the n° 1 mill and one of the three furnaces
belonging to the sheet mill at Taranto and closing down completely the facilities at
Bagnoli» (sopprimere uno dei quattro forni di riscaldamento appartenenti al
laminatoio n° 1 e uno dei tre forni appartenenti al laminatoio a lamiera ubicato a
Taranto e chiudere completamente gli impianti di Bagnoli; ibidem, punto 2.9). In
base a tali elementi, la Commissione ha ritenuto che l'ILP e l'AST fossero
economicamente capaci di sopravvivere. In particolare, basandosi sul criterio
secondo cui un'impresa siderurgica risulta sana «if it is able to show a return on its
equity capital in the range of 1 - 1,5% of turnover» (se è in grado di realizzare
sulla base del capitaale azionario un utile dell'ordine di 1 - 1,5% del fatturato;
ibidem, punto 3.3.2, pag. 20), essa ha sottolineato che gli utili dell'ILP sarebbero
stati dell'ordine dell'1,4 - 1,5% del fatturato, anche se gli oneri finanziari fossero
aumentati. Quanto ai livelli di produzione che non possono arrecare pregiudizio
all'efficienza dell'ILP e dell'AST, i punti 2.5 e 2.6 del documento considerato (pag.
5-8) contengono un'analisi economica delle condizioni indispensabili per ottenere
una situazione soddisfacente entro la fine del 1996; si è fatto riferimento a tali
risultati per stabilire il contenuto dell'art. 2 della decisione controversa.
- Quanto agli argomenti delle ricorrenti relativi agli effetti della decisione controversa
sulla concorrenza, essi sono del pari privi di qualsiasi fondamento. Infatti, le
ricorrenti omettono di considerare le precauzioni adottate dalla Commissione nella
decisione impugnata, al fine di garantire la redditività dell'Ilva, in particolare
riassorbendone l'indebitamento (v. il punto II della motivazione), pur limitando i
provvedimenti di ristrutturazione finanziari agli importi strettamente necessari, in
modo da non alterare le condizioni degli scambi nella Comunità in misura contraria
al comune interesse, in particolare, tenuto conto delle attuali difficoltà del mercato
siderurgico (punto VI della motivazione). Sotto tale profilo, il Tribunale constata
che la Commissione, al fine di non fornire all'impresa beneficiaria un indebito
vantaggio rispetto alle altre imprese del settore, vigila in particolare, nella decisione
controversa, affinché l'impresa interessata non benefici sin dall'inizio di oneri
finanziari netti inferiori al 3,5% del fatturato annuo (al 3,2% per l'AST, Acciai
Speciali Terni), il che, secondo detta istituzione, non contraddetta su questo puntodalle ricorrenti, costituisce la media attuale per le imprese siderurgiche comunitarie.
Più in generale, la decisione controversa impone, al suo art. 2, varie condizioni
destinate a garantire che l'aiuto al finanziamento non superi lo stretto necessario.
Alla luce di tali elementi, è del tutto infondata l'argomentazione delle ricorrenti
diretta a dimostrare che, nella situazione attuale di sovraccapacità produttiva, gli
aiuti di cui trattasi consentirebbero unicamente al loro beneficiario di vendere i suoi
prodotti a prezzi inferiori al costo di produzione.
- In tali circostanze, le ricorrenti non forniscono alcun elemento che consenta di
supporre che la Commissione abbia commesso un manifesto errore di valutazione,
quando ha stabilito che gli aiuti di cui trattasi, subordinati alle condizioni imposte
dalla decisione controversa, erano necessari per realizzare alcuni obiettivi del
Trattato.
- Ne consegue che la decisione controversa non è viziata da illegittimità a causa di
un'asserita violazione dei presupposti di applicazione dell'art. 95, primo e secondo
comma, del Trattato.
Sul terzo motivo relativo alla violazione del principio di proporzionalità
Argomenti delle parti
- Le ricorrenti sostengono che la decisione controversa omette di imporre all'impresa
beneficiaria una sufficiente riduzione della sua produzione di acciaio. Esse
contestano la tesi della Commissione secondo la quale l'obbligo dell'Ilva di ridurre
la sua capacità di produzione di 2 milioni di tonnellate l'anno costituisce una
sufficiente contropartita per la concessione degli aiuti di cui trattasi e per le
distorsioni di concorrenza che possono risultarne.
- Esse rimproverano in particolare la Commissione di avere applicato, per
determinare l'importo di detta riduzione di capacità, un «criterio analogo a quello
utilizzato negli altri casi di aiuti a imprese siderurgiche». Orbene, l'istituzione
convenuta avrebbe dovuto tener conto delle circostanze specifiche del caso per
quanto concerne, in particolare, la redditività degli impianti dell'impresa
beneficiaria e lo sforzo di ristrutturazione da essa effettuato prima di ricevere
l'aiuto, il fatto, fondamentale, che detta impresa aveva già ricevuto aiuti e il modo
con cui li aveva utilizzati e la parte da essa avuta nel creare la sovraccapacità di
produzione. In base a tali criteri, la concessione degli aiuti di cui trattasi avrebbe
dovuto essere subordinata ad un obbligo di riduzione della capacità ampiamente
superiore a 2 milioni di tonnellate l'anno.
- In ogni caso, secondo le ricorrenti, se la Commissione avesse applicato lo stesso
criterio usato per autorizzare gli aiuti versati alle imprese della Germania Est, il
volume delle riduzioni di capacità che dovevano essere effettuate dall'Ilva avrebbe
dovuto raggiungere circa 3 milioni di tonnellate.
- Inoltre, la Commissione non avrebbe dovuto includere nella riduzione di capacità
imposta all'Ilva le «chiusure precedenti», poiché queste nel caso dell'Ilva hanno
ogni volta costituito la contropartita di aiuti già ricevuti in passato.
- Peraltro, dovrebbe essere respinta la tesi della Commissione secondo la quale
occorrerebbe riferirsi alla produzione massima possibile (PMP) per determinare le
riduzioni di capacità da effettuare, poiché essa non consentirebbe di ottenere
un'effettiva diminuzione della produzione del beneficiario degli aiuti, l'unico
elemento che secondo le ricorrenti può compensare le distorsioni di concorrenza
causate da detti aiuti. Nella specie, occorrerebbe procedere a una riduzione di
capacità ben superiore a 4 milioni di tonnellate di prodotti laminati a caldo per
ottenere una ripercussione sul mercato, poiché la capacità dell'Ilva attualmente
sarebbe superiore di almeno 4 milioni di tonnellate alla sua produzione effettiva.
- Adottando tale punto di vista, le ricorrenti osservano che la decisione controversa
non garantisce nemmeno la riduzione di capacità di 2 milioni di tonnellate imposta
dalla Commissione. Tale riduzione comprenderebbe infatti la chiusura
dell'acciaieria di Bagnoli, già inattiva dalla metà del 1992 (v. comunicazione della
Commissione al Consiglio 15 dicembre 1993, pagg. 22 e 23), nonché la riduzione
di capacità di 1,7 milioni di tonnellate negli impianti di Taranto, la cui capacità
ufficiale (3,5 milioni di tonnellate) sarebbe ampiamente superiore alla loro
produzione effettiva (circa 2 milioni di tonnellate).
- La Commissione contesta tutti gli argomenti addotti dalle ricorrenti. Sarebbe
adeguata la riduzione di capacità richiesta nella specie, che raggiungerebbe circa
750 000 tonnellate per anno e per miliardo di ECU d'aiuto concesso. Peraltro, gli
«altri casi di aiuti alle imprese siderurgiche», menzionati dalla Commissione nella
sua comunicazione al Consiglio 15 dicembre 1993, sarebbero stati autorizzati dalle
altre cinque decisioni soprammenzionate, adottate lo stesso giorno della decisione
controversa, in forza dell'art. 95 del Trattato. Esse costituirebbero, insieme a
quest'ultima, l'insieme delle misure allora adottate per agevolare la ristrutturazione
dell'industria siderurgica. A questo proposito la Commissione precisa che,
nell'ambito dei 5,5 milioni di tonnellate di riduzione di capacità imposti dalle dette
sei decisioni, 2 milioni di tonnellate riguardano l'Ilva.
- Nella specie, la Commissione avrebbe segnatamente tenuto conto della particolare
situazione del gruppo Ilva. Essa avrebbe preso in considerazione non solo la
riduzione di capacità di produzione da effettuare, ma anche altri elementi che
variano da una regione della Comunità all'altra, quali lo sforzo di ristrutturazione
compiuto prima del 1981, i problemi regionali e sociali causati dalla crisi
dell'industria siderurgica, lo sviluppo tecnico e l'adeguamento delle imprese alle
esigenze dei mercati.
- In tale contesto, non si può addebitare alla Commissione di non aver tenuto conto
degli aiuti precedentemente accordati all'Ilva. A questo proposito, le ricorrenti non
fornirebbero a sostegno delle loro asserzioni alcun elemento concreto che consenta
di presumere un uso inadeguato degli aiuti di cui trattasi da parte dell'impresa
beneficiaria.
- L'Ilva sottolinea, dal canto suo, che la Commissione ha applicato nella specie criteri
di valutazione analoghi a quelli da essa impiegati nei confronti delle altre imprese
beneficiarie di sovvenzioni. Infatti, le sei summenzionate decisioni, adottate il 12
aprile 1994, risponderebbero tutte alle stesse esigenze, perseguirebbero gli stessi
obiettivi e sarebbero conformi agli stessi criteri di valutazione definiti dal piano
generale di ristrutturazione dell'industria siderurgica comunitaria. Le riduzioni di
capacità imposte all'Ilva corrisponderebbero soltanto a un'applicazione
particolarmente severa e rigorosa dei detti criteri. La Commissione, benché non sia
tenuta a rispettare una rigorosa corrispondenza fra le riduzioni di capacità e
l'importo degli aiuti, avrebbe cercato per quanto possibile di attenersi a una
costante di 750 000 tonnellate di riduzione di capacità per anno e per miliardo di
ECU di aiuto versato. Peraltro, l'Ilva contesta anche le asserzioni delle ricorrenti
secondo le quali la riduzione di capacità imposta dalla decisione controversa non
avrebbe alcun effetto pratico sul mercato comune dell'acciaio. Infatti, la situazione
attuale consentirebbe di rimettere in servizio senza particolari difficoltà l'acciaieria
di Bagnoli, mentre, per quanto riguarda Taranto, sarebbe infondato sostenere che
la Commissione ha calcolato le chiusure tenendo conto delle riduzioni di capacità
già effettuate come contropartita dei precedenti investimenti, poiché il secondo
forno di riscaldo di Taranto sarebbe ancora operativo e la decisione di demolirlo
avrebbe notevoli conseguenze sul mercato dell'acciaio.
Giudizio del Tribunale
- Con il motivo in esame riguardante la violazione del principio di proporzionalità
le ricorrenti sostengono, in sostanza, che la decisione controversa non impone
all'impresa beneficiaria sufficienti riduzioni di capacità, come contropartita dei
vantaggi economici ad essi conferiti dagli aiuti di cui trattasi e delle distorsioni di
concorrenza che ne conseguirebbero.
- A tenore dell'art. 95, primo comma, del Trattato, le decisioni adottate dalla
Commissione per far fronte a casi non contemplati dal Trattato devono osservare
quanto disposto dall'art. 5 del Trattato, il quale stabilisce che la Commissione
compie la sua missione solo «con interventi limitati». Quest'ultima disposizione
dev'essere interpretata come una consacrazione del principio di proporzionalità (v.,
in questo senso, le conclusioni dell'avvocato generale Roemer relative alla sentenza
della Corte 14 aprile 1960, causa 31/59, Acciaieria e Tubificio di Brescia/Alta
Autorità, Racc. pag. 173, e in particolare pag. 184).
- Nel settore degli aiuti di Stato, la Corte ha considerato, nella citata sentenza
Germania/Commissione, che la Commissione non poteva autorizzare la concessione
di aiuti «che fossero tali da causare distorsioni alla concorrenza sul mercato
comune dell'acciaio» (punto 30). Nello stesso senso, essa ha affermato, nella
sentenza 13 giugno 1958, causa 15/57, Compagnie des hauts fourneaux de
Chasse/Alta Autorità (Racc. pag. 147, in particolare pag. 178), che tale istituzione
«ha l'obbligo di agire con prudenza e d'intervenire solo dopo aver accuratamente
valutato i vari interessi in gioco, pur limitando per quanto possibile i prevedibili
danni a terzi».
- Peraltro, per giurisprudenza costante, la Commissione dispone in materia di un
«ampio potere discrezionale corrispondente alle responsabilità politiche» da essa
esercitate (v. sentenza della Corte 26 giugno 1990, causa C-8/89, Zardi, Racc. pag.
I-2515, punto 11). Di conseguenza, solo il «carattere manifestamente inidoneo» o
sproporzionato di una decisione adottata dalla Commissione, rispetto all'obiettivo
che essa intende perseguire, potrebbe inficiare la legittimità di tale decisione (v.
sentenze della Corte 9 luglio 1985, causa 179/84, Bozzetti, Racc. pag. 2301, nonché
11 luglio 1989, causa 265/87, Schräder, Racc. pag. 2237, punto 22).
- Nella specie, occorre pertanto accertare, alla luce della precitata giurisprudenza,
se nella decisione controversa la Commissione abbia imposto all'impresa
beneficiaria chiusure di stabilimento e riduzioni di capacità adeguate, come
contropartita degli aiuti autorizzati.
- A questo scopo, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza della Corte, non
deve essere stabilito alcun «rapporto quantitativo preciso» fra «l'importo degli aiuti
e l'entità delle capacità produttive da eliminare» (v., al riguardo, la citata sentenza
Germania/Commissione, punto 33). Al contrario, i fattori che possono influenzare
gli importi esatti degli aiuti da autorizzare «non sono costituiti solo dal numero di
tonnellate di capacità produttiva da eliminare, ma comprendono anche altri dati,
che variano da una regione della Comunità all'altra», quali lo sforzo di
ristrutturazione, i problemi regionali e sociali causati dalla crisi dell'industria
siderurgica, lo sviluppo della tecnica e l'adeguamento delle imprese alle esigenze
del mercato (ibidem, punto 34). Ne consegue che la valutazione della Commissione
non può essere soggetta a un controllo che si basi unicamente su criteri economici.
Essa può legittimamente tener conto di un'ampia gamma di considerazioni di
ordine politico, economico o sociale, nell'ambito dell'esercizio del suo potere
discrezionale in forza dell'art. 95 del Trattato.
- Nella specie in esame l'analisi tanto della motivazione e del contenuto del
dispositivo della decisione controversa quanto del suo contesto evidenzia che la
Commissione ha imposto alle imprese beneficiarie adeguate condizioni come
contropartita degli aiuti di cui trattasi, allo scopo di contribuire alla ristrutturazione
di tutto il settore considerato e alla riduzione delle capacità, pur tenendo conto
degli obiettivi economici e sociali perseguiti mediante l'autorizzazione di detti aiuti
(v., sopra, punto 81).
- Risulta infatti dai punti V e VI della motivazione della decisione impugnata che la
Commissione ha vegliato al rispetto del principio di proporzionalità. Al punto V,
in particolare, la Commissione afferma che, «per limitare il più possibile le
conseguenze sulla concorrenza, occorre che l'industria siderurgica italiana del
settore pubblico contribuisca in misura determinante all'adeguamento strutturale
ancora necessario in detto settore, mediante riduzioni di capacità realizzate come
contropartite dell'aiuto», e che «la concessione dell'aiuto al funzionamento deve
limitarsi allo stretto necessario». In questa prospettiva essa impone, all'art. 2 della
decisione, riduzioni di capacità per i prodotti finiti, laminati a caldo, pari a 1,7
milioni di tonnellate l'anno, da effettuarsi mediante la demolizione di taluni forni
di riscaldo a Taranto o fino a 0,5 milioni di tonnellate l'anno, mediante la
demolizione di altri impianti che hanno fabbricato questo tipo di prodotti fino alla
privatizzazione dell'Ilva e che ora appartengono al nuovo proprietario della ILP
e la chiusura completa degli impianti di Bagnoli. La riduzione di capacità globale
così imposta raggiunge i due milioni di tonnellate l'anno, secondo le precisazioni
fornite dalla Commissione, dalle quali risulta che la cifra presa in considerazione
per la chiusura dell'acciaieria di Bagnoli che possedeva una capacità di
produzione massima di 1,25 milioni di tonnellate è stata appena di 0,3 milioni di
tonnellate. Tale riduzione non appare manifestamente sproporzionata, tenuto conto
della situazione economica e sociale del settore siderurgico nello Stato membro
interessato, rispetto alla riduzione complessiva di 19 milioni di tonnellate
prospettata dalla Commissione nell'ambito del suo programma di ristrutturazione
globale dell'industria siderurgica europea, nel quale si inserisce la decisione
impugnata.
- In particolare, deve essere respinto l'argomento formulato dalle ricorrenti allo
scopo di dimostrare l'inadeguatezza delle riduzioni di capacità imposte dalla
decisione controversa. A questo proposito, il Tribunale constata, in primo luogo,
che le riduzioni di capacità specificate nella decisione controversa non
comprendono talune riduzioni che sarebbero già state imposte dalle decisioni
precedenti che autorizzavano la concessione di aiuti all'Ilva. Al riguardo, le
asserzioni delle ricorrenti sono inficiate da elementi precisi e circostanziati forniti
dalla Commissione per quanto attiene, da un lato, ai tipi di prodotti ed agli
impianti ben individuati soggetti a una riduzione di capacità in forza delle decisioni
precedenti e, dall'altro, all'effettiva realizzazione di dette riduzioni, sotto il controllo
della Commissione. Del pari, le ricorrenti non tengono conto, quando fanno
riferimento all'aumento della capacità produttiva dell'Ilva successiva agli
investimenti effettuati da tale gruppo durante gli anni precedenti, a Taranto e a
Novi Ligure, del fatto che la precitata decisione 89/218, che aveva autorizzato aiuti
all'Ilva, non vietava a questa impresa di effettuare siffatti investimenti. Inoltre, e in
ogni caso, la modernizzazione degli impianti ubicati a Novi Ligure è stata effettuata
solo come contropartita di una corrispondente riduzione di capacità, come emergedalle informazioni fornite dalla Commissione e non contestate dalle ricorrenti. In
tali circostanze, non si può sostenere che, omettendo di imporre, nella decisione
controversa, una riduzione supplementare di capacità corrispondente a tali
investimenti, la Commissione abbia commesso un manifesto errore di valutazione.
- Peraltro, deve essere respinta del pari la tesi secondo cui la Commissione avrebbe
dovuto prendere in considerazione nella decisione controversa gli aiuti versati
precedentemente all'Ilva, in quanto l'autorizzazione di tali aiuti è stata accordata
in circostanze diverse da quelle del caso di specie ed essa stessa era accompagnata,
all'epoca, dall'obbligo di procedere a talune determinate riduzioni di capacità, come
si è ricordato. Nella specie, la decisione impugnata poteva e doveva unicamente
stabilire un'adeguata riduzione di capacità con riguardo all'importo dell'aiuto che
autorizzava e alla finalità dello stesso.
- In secondo luogo, si devono respingere gli argomenti delle ricorrenti secondo i quali
le riduzioni di capacità imposte nella specie sarebbero sproporzionate in quanto
non terrebbero conto dei precedenti impegni di ristrutturazione dell'Ilva, della sua
redditività e della parte da essa avuta nel creare una sovraccapacità produttiva
dell'industria siderurgica. Infatti, occorre sottolineare, da un lato, che gli asseriti
aumenti della capacità produttiva di acciaio grezzo sul mercato italiano sono in
ampia parte dovuti alle importanti imprese siderurgiche private stabilite in detto
paese e non all'impresa pubblica Ilva, come risulta dagli atti, e, dall'altro, che
quest'ultima ha in particolare ridotto la sua capacità produttiva di ghisa e di acciaio
di 5,78 milioni di tonnellate l'anno, dal 1980 al 1986, in forza della summenzionata
decisione 89/218. Inoltre, in ogni caso, la tesi delle ricorrenti, secondo le quali
l'impegno di riduzione della capacità di produzione deve esclusivamente gravare
sulle imprese beneficiarie di un aiuto e tener conto della loro redditività, mentre
le altre imprese possono conservare una capacità eccedentaria finché la loro
situazione economica lo consente, non tiene conto dell'obiettivo stesso della
decisione controversa. Infatti, la concessione degli aiuti di cui trattasi mira non solo
ad agevolare la riduzione della sovraccapacità complessiva di produzione, ma anche
a ristabilire la redditività dell'Ilva, al fine di perseguire alcune priorità economiche
e sociali, nello specifico contesto del caso in esame. In tale ambito, le riduzioni di
capacità imposte all'Ilva nella decisione controversa dovevano essere stabilite in
funzione non solo della necessità di contribuire in misura determinante alla
ristrutturazione del settore siderurgico, come contropartita degli aiuti di cui trattasi,
ma anche delle esigenze collegate al ristabilimento della sua redditività.
- In terzo luogo, seguendo tale ordine di idee, non si può accogliere la tesi secondo
cui la riduzione di capacità avrebbe dovuto essere valutata in base all'effettiva
produzione dell'impresa beneficiaria, e non in base alla sua produzione massima
possibile. Infatti, come sottolinea la Commissione, in una situazione di
sovraccapacità la quantità prodotta da un'impresa dipende fondamentalmente
dall'andamento della congiuntura. Essa riflette quindi la situazione del mercato e
non la capacità di produzione di tale impresa. Solo la capacità di produzione
massima alla quale l'impresa considerata può ritornare rapidamente e con poca
spesa costituisce un valore costante che consente di valutare, indipendentemente
dalle alee congiunturali, la capacità di cui l'impresa dispone effettivamente. Inoltre,
contrariamente a quanto asserito dalle ricorrenti, una riduzione di tale capacità
produttiva massima esercita un'incidenza sul mercato giacché gli impianti chiusi non
possono più essere sfruttati, in particolare in caso di indisponibilità di altri impianti
o in periodo di aumento della domanda.
- Per tutti questi motivi, non si può accogliere l'argomento delle ricorrenti consistente
nel raffrontare le riduzioni di capacità imposte nella specie con le riduzioni operate
in altre decisioni riguardanti, ad esempio, imprese stabilite nell'ex Germania Est,
in quanto le riduzioni di capacità dipendono dalla specifica situazione del mercato
considerato. Orbene, le ricorrenti non solo non precisano quali siano le «altre
decisioni» cui fanno riferimento, ma non forniscono per di più nessuna indicazione
in merito al settore interessato o alla situazione delle imprese considerate da tali
decisioni. Inoltre, nella specie, sono infondati, come si è rilevato, gli unici motivi
precisi addotti dalle ricorrenti per i quali, secondo quest'ultime, la particolare
situazione dell'industria siderurgica pubblica italiana avrebbe giustificato riduzioni
di capacità notevolmente maggiori di quelle previste dalla decisione impugnata.
- Ne consegue che è infondata la censura relativa alla violazione del principio di
proporzionalità.
Sul quarto motivo relativo alla violazione del principio di non discriminazione
Argomenti delle parti
- Le ricorrenti sostengono che la decisione controversa viola il divieto di
discriminazione stabilito dall'art. 4, lett. b), del Trattato, che vieta i provvedimenti
e le pratiche che stabiliscano una discriminazione tra produttori, tra acquirenti e
tra consumatori. Esse ricordano come nella sentenza 24 febbraio 1987, causa
304/85, Falck/Commissione (Racc. pag. 871, punto 27), la Corte abbia considerato
che «benché qualsiasi intervento in materia di aiuti possa favorire un'impresa
rispetto ad un'altra, la Commissione non può, comunque, autorizzare aiuti la cui
concessione sia atta a provocare una manifesta discriminazione fra il settore
pubblico e il settore privato. In tal caso, infatti, la concessione degli aiuti in
questione implicherebbe distorsioni della concorrenza in misura incompatibile con
l'interesse comune».
- La decisione controversa violerebbe, sotto un duplice punto di vista, il principio di
non discriminazione: essa comporterebbe una disparità di trattamento di talune
imprese che si trovano in una situazione identica a quella dell'Ilva, nonché una
disparità di trattamento del settore privato rispetto al settore pubblico cui
appartiene l'Ilva. In particolare, la Thyssen Stahl, la Preussag Stahl e le altre
imprese aderenti all'associazione della siderurgia tedesca, l'EISA, nonché la
Hoogovens Groep, che presenterebbero tutte sovraccapacità nettamente inferiori
a quelle dell'Ilva, sarebbero ingiustamente discriminate dalla decisione che
autorizza la concessione di aiuti a quest'ultima. Tale considerazione varrebbe anche
per l'insieme del settore privato, poiché in pratica gli aiuti autorizzati ai sensi
dell'art. 95, primo e secondo comma, del Trattato favoriscono esclusivamente le
imprese pubbliche.
- Quanto all'asserzione dell'Ilva secondo la quale la sentenza del Tribunale non
dovrebbe alterare l'equilibrio esistente tra le posizioni delle varie imprese
beneficiarie di sovvenzioni, le ricorrenti la considerano manifestamente inesatta:
l'Ilva non sarebbe discriminata se il Tribunale annullasse la decisione impugnata
e se le altre decisioni rimanessero in vigore. Non vi sarebbe parità nell'illegalità, né
sussisterebbe alcun diritto a una parità di trattamento illecito.
- La Commissione, sostenuta dalla Repubblica italiana, sottolinea anzitutto che ogni
decisione concernente il volume degli aiuti spetta agli Stati membri che devono
notificarne il contenuto alla Commissione. Ad essa toccherebbe soltanto accertare
se gli interessi della Comunità siano complessivamente preservati e se gli aiuti
considerati perseguano la realizzazione degli obiettivi del Trattato senza falsare la
concorrenza. Nella specie, la decisione controversa contribuirebbe innegabilmente
alla ristrutturazione di tutta la siderurgia europea, poiché rientrerebbe in un piano
complessivo e sarebbe accompagnata da condizioni assai severe relative alla
privatizzazione dell'Ilva e alla chiusura di taluni stabilimenti. Non si potrebbe
parlare pertanto di una discriminazione tra l'Ilva e le altre imprese siderurgiche
concorrenti, nonché fra la siderurgia privata e le imprese siderurgiche pubbliche.
Del resto, le chiusure effettuate da imprese siderurgiche private potrebbero del pari
comportare provvedimenti di sostegno finanziario. In particolare, varie imprese, fra
cui le tre imprese ricorrenti, avrebbero chiesto, tramite l'Eurofer, e ottenuto,
mediante la decisione della Commissione 21 dicembre 1993, 94/6/CECA, che
autorizza l'istituzione di un apparato finanziario comune in vista della realizzazione
di piani di chiusura individuale di capacità di produzione di profilati pesanti, nastri
stretti e larghi laminati a caldo e lamiere quarto dell'industria siderurgica
comunitaria (GU 1994, L 6, pag. 30), l'autorizzazione di creare un meccanismo
finanziario comune al fine di realizzare programmi di chiusura industriale di
capacità produttive.
- Secondo il Consiglio, la decisione controversa non viola il principio di non
discriminazione. Infatti, non risulta affatto dagli argomenti addotti al riguardo dalle
ricorrenti che la decisione impugnata abbia comportato una disparità di
trattamento oggettivamente ingiustificata fra l'impresa Ilva e le ricorrenti.
- L'Ilva sottolinea come non sia possibile sostenere che le imprese beneficiarie degli
aiuti siano trattate diversamente dai loro concorrenti, a meno che non si dimostri
che il vantaggio loro concesso in questo modo non sia accompagnato da
un'adeguata contropartita con riguardo all'interesse comune. Orbene, nella specie,
gli aiuti controversi sarebbero stati concessi solo come contropartita di una
compensazione adeguata sotto forma di ristrutturazione finanziaria, di riduzione di
capacità e di privatizzazione.
Giudizio del Tribunale
- Ai termini dell'art. 4, lett. b), del Trattato, «i provvedimenti o le pratiche che
stabiliscano una discriminazione tra produttori» sono dichiarati incompatibili con
il mercato comune dell'acciaio e di conseguenza vietati all'interno della Comunità.
- Per giurisprudenza costante, una discriminazione è costituita quando situazioni
comparabili sono trattate in modo diverso, causando con ciò un pregiudizio a taluni
operatori rispetto ad altri, senza che questo diverso trattamento sia giustificato
dall'esistenza di differenze obiettive di un certo rilievo (v. sentenza della Corte 15
gennaio 1985, causa 250/83, Finsider/Commissione, Racc. pag. 131, punto 8).
Specialmente nel settore degli aiuti alla siderurgia, la Corte ha constatato che
sussiste disparità di trattamento e quindi discriminazione quando una decisione di
autorizzazione comporta «o vantaggi diversi per imprese siderurgiche che si
trovano nella stessa situazione, oppure vantaggi identici per imprese siderurgiche
che fossero in situazioni molto diverse» (sentenza Germania/Commissione, già
citata, punto 36).
- La questione della discriminazione in materia di aiuti fra il settore pubblico e il
settore privato nell'ambito del Trattato CECA è stata esaminata nella precitata
sentenza Falck/Commissione. Dopo aver sottolineato che la responsabilità della
concessione dell'aiuto tocca in primo luogo al governo interessato, la Corte ha
precisato il compito della Commissione come segue: «E' vero che (...) benché
qualsiasi intervento in materia di aiuti possa favorire un'impresa rispetto ad
un'altra, la Commissione non può, comunque, autorizzare aiuti la cui concessione
sia atta a provocare una manifesta discriminazione fra il settore pubblico ed il
settore privato. In tal caso, infatti, la concessione degli aiuti in questione
implicherebbe distorsioni della concorrenza in misura incompatibile con l'interesse
comune» (punto 27).
- Nella specie, per stabilire se la decisione controversa presenti natura
discriminatoria occorre accertare se essa riservi all'impresa beneficiaria degli aiuti
di cui trattasi un trattamento diverso da quello riservato ad altre imprese che si
trovavano nelle stesse condizioni e se comporti distorsioni di concorrenza in misura
incompatibile con l'interesse comune.
- A questo scopo, occorre anzitutto rilevare che le ricorrenti non formulano alcun
argomento atto a dimostrare che gli aiuti in causa sono stati trattati dalla
Commissione in modo più favorevole di altri aiuti statali analoghi ad essa notificati
(v. sopra, punto 118). Esse si astengono del pari dal fornire qualsiasi indicazione
la quale permetta di affermare che la decisione controversa può falsare le
condizioni di concorrenza «in misura incompatibile con l'interesse comune» e per
questo motivo comporta discriminazioni «manifeste» contro, in particolare, imprese
private.
- Inoltre, come afferma il governo italiano, il contesto nel quale la decisione è stata
adottata e la decisione stessa non evidenziano alcun elemento che consenta di
affermare che essa è stata influenzata in modo decisivo dal fatto che l'impresa
beneficiaria degli aiuti era un'impresa pubblica e che, di conseguenza, sarebbe stata
diversa nel caso di imprese private. D'altra parte, la Commissione non avrebbe
legittimamente potuto tener conto della natura pubblica dell'impresa considerata
per rifiutarsi di autorizzare gli aiuti di cui trattasi, a meno di non violare il principio
della parità di trattamento fra imprese pubbliche e imprese private.
- Inoltre, si deve ricordare che, come si è già dichiarato (v. sopra, i punti 112-121),
i vantaggi concessi all'impresa beneficiaria degli aiuti di cui trattasi sono
proporzionati agli obiettivi perseguiti, grazie in particolare agli obblighi imposti
come contropartita a tale impresa, sotto forma di riduzione della sua capacità di
produzione. Inoltre, le distorsioni di concorrenza risultanti dalla decisione
controversa sono limitate allo stretto necessario (v. sopra, punto 93) e sono
giustificate dalla stessa finalità di tale decisione il ristabilimento di una struttura
sana e redditizia dell'impresa beneficiaria che è stato considerata compatibile col
Trattato (v. sopra, punti 77-83). Infine, l'art. 1, n. 3, della decisione enuncia che «gli
aiuti di cui sopra non devono essere utilizzati per pratiche di concorrenza sleale».
In forza dell'art. 6, n. 1, della decisione impugnata, in caso di violazione di uno di
detti obblighi, la Commissione può esigere la sospensione del versamento o il
rimborso degli aiuti di cui trattasi.
- Di conseguenza, il Tribunale constata che la Commissione ha agito nell'interesse
comune, valutando i vari interessi in gioco e provvedendo a salvaguardare interessi
rilevanti, pur evitando gli effetti sfavorevoli per gli altri operatori economici nella
misura in cui lo consentivano l'oggetto stesso e lo scopo della decisione controversa.
- Questa analisi è conforme alla giurisprudenza della Corte la quale ha considerato,
nella precitata sentenza Valsabbia e a./Commissione, punto 49, quanto segue:
«Indubbiamente la Commissione, a norma dell'art. 3 del Trattato, è tenuta ad agire
nell'interesse comune, ma ciò non significa che essa debba agire nell'interesse di
tutti gli amministrati senza eccezione, giacché il suo compito non implica l'obbligo
di agire solo a condizione di non ledere alcun interesse. Al contrario, essa deve
agire valutando i vari interessi ed evitando conseguenze dannose, sempre che ladecisione da adottare consenta ragionevolmente di farlo. La Commissione può,
nell'interesse comune, avvalersi del suo potere di decisione come lo richiede la
situazione, anche a danno di taluni interessi particolari».
- Ne consegue che dev'essere respinto l'argomento delle ricorrenti, secondo cui la
decisione controversa è viziata da una violazione del principio di non
discriminazione.
Sul quinto motivo relativo alla violazione dell'obbligo di motivazione
Argomenti delle parti
- Le ricorrenti sostengono che la decisione controversa viola l'obbligo di motivazione
contemplato dall'art. 15 del Trattato, e ciò sotto vari profili.
- In primo luogo, la decisione controversa non conterrebbe alcuna motivazione per
quanto riguarda la facoltà della Commissione di autorizzare gli aiuti di cui trattasi,
che sarebbero incompatibili con il codice degli aiuti vigente, al di fuori delle
condizioni e dei procedimenti istituiti da tale codice.
- In secondo luogo, la Commissione non indicherebbe nella decisione controversa gli
obiettivi degli artt. 2 e 3 del Trattato da essa considerati autorizzando la
concessione degli aiuti all'Ilva.
- In terzo luogo, la Commissione non avrebbe neanche soddisfacentemente motivato
il carattere indispensabile degli aiuti autorizzati ai sensi della giurisprudenza della
Corte relativa ai presupposti di applicazione dell'art. 95, primo e secondo comma,
del Trattato. Essa non prenderebbe in considerazione il fatto che importanti aiuti
sono stati più volte accordati all'Ilva, a condizione che essa ristabilisse la sua
redditività, entro un determinato termine, grazie a un programma di
ristrutturazione, e il fatto che l'impresa non si è mai conformata a tale obbligo.
- Infine, la Commissione non avrebbe indicato nella decisione controversa il motivo
per cui sarebbe ragionevole e sufficiente una riduzione di capacità ammontante a
2 milioni di tonnellate l'anno come contropartita di aiuti di 2,6 miliardi di ECU.
Inoltre, tale decisione non conterrebbe alcuna menzione dell'esame, da parte della
Commissione, degli effetti degli aiuti sulla concorrenza, nonché del rischio di
discriminazione nei confronti delle altre imprese siderurgiche.
- La Commissione, sostenuta dalla Repubblica italiana, ricorda che la portata
dell'obbligo di motivazione dipende dalla natura dell'atto di cui trattasi e dal
contesto entro il quale esso è stato adottato (v., a titolo esemplificativo, sentenza
della Corte 11 gennaio 1973, causa 13/72, Paesi Bassi/Commissione, Racc. pag. 27).
Nella specie, la motivazione sarebbe sufficiente, a causa tanto del contesto
complessivo della decisione impugnata quanto della partecipazione delle ricorrenti
alle riflessioni della Commissione sulla ristrutturazione della siderurgia comunitaria.
Giudizio del Tribunale
- L'art. 5, secondo comma, quarto trattino, del Trattato dispone che la Comunità
«rende pubblici i motivi della sua azione». L'art. 15, primo comma, precisa che «le
decisioni, le raccomandazioni e i pareri della Commissione sono motivati e fanno
riferimento ai pareri obbligatoriamente richiesti». Da dette disposizioni, nonché dai
principi generali del Trattato CECA, emerge che un obbligo di motivazione
incombe alla Commissione quando adotta decisioni generali o individuali,
indipendentemente dalla base giuridica scelta a questo scopo.
- Secondo una costante giurisprudenza, la motivazione dev'essere adeguata alla
natura dell'atto di cui trattasi e deve fare apparire in forma chiara e non equivoca
l'iter logico seguito dall'istituzione, da cui promana l'atto, in modo da consentire
agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e al giudice
comunitario di esercitare il proprio controllo. Non si richiede che la motivazione
specifichi tutti gli elementi di fatto e di diritto rilevanti. Essa dev'essere valutata
non solo alla luce del tenore dell'atto, ma anche del suo contesto, nonché del
complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia considerata (sentenza
della Corte 29 febbraio 1996, causa C-56/93, Belgio/Commissione, Racc. pag. I-723,
e sentenza Skibsværftsforeningen e a./Commissione, già citata, punto 230). Inoltre,
la motivazione di un atto dev'essere valutata in funzione, fra l'altro, «dell'interesse
che il destinatario dell'atto o altre persone da esso riguardate ai sensi dell'art. 33,
secondo comma, del Trattato CECA possono avere ad ottenere spiegazioni»
(sentenza della Corte 19 settembre 1985, cause riunite 172/83 e 226/83, Hoogovens
Groep/Commissione, Racc. pag. 2831, punto 24).
- Nella specie, occorre esaminare le censure delle ricorrenti relative ad un asserito
difetto di motivazione della decisione controversa per quanto riguarda, da un lato,
l'idoneità degli aiuti di cui trattasi a ristabilire la redditività delle imprese
interessate e, dall'altro, la conformità di detta finalità con gli obiettivi del Trattato.
- Per quanto riguarda, in secondo luogo, i motivi per i quali la Commissione ha
ritenuto che l'aiuto di cui trattasi, diretto al ristabilimento della redditività
dell'impresa beneficiaria, concorresse alla realizzazione degli obiettivi del Trattato,
occorre sottolineare che tali motivi sono esposti al punto IV e sviluppati in tutta
la motivazione della decisione. In particolare, dal punto IV emerge che, secondo
la Commissione, a causa della gravi difficoltà verificatesi nel settore siderurgico,
all'occorrenza in Italia, a partire dalla seconda metà del 1990, il risanamento
dell'Ilva deve essere considerato conforme agli obiettivi indicati dagli artt. 2 e 3 del
Trattato. Essendo manifesta nel periodo di crisi descritto nella decisione in esame
l'incidenza tanto economica quanto sociale, nel settore siderurgico dello Stato
membro interessato, del risanamento dell'impresa in esame, nella specie non si può
considerare difetto di motivazione l'assenza di menzione formale delle precise
disposizioni degli artt. 2 e 3, la cui attuazione sarebbe particolarmente perseguita.
Peraltro, ai punti V e VI della motivazione, la Commissione precisa che la
decisione controversa mira in particolare a contribuire ad un adeguamento
strutturale del settore mediante riduzioni di capacità. Essa sottolinea del pari che
uno degli obiettivi perseguiti dalle varie condizioni da essa imposte consiste nel
limitare al minimo gli effetti sulla concorrenza degli aiuti di cui trattasi. In tali
circostanze, il Tribunale rileva che la motivazione della decisione controversa era
sufficiente a consentire alle ricorrenti di individuare gli obiettivi del Trattato che
tale decisione intendeva perseguire e per valutare se il risanamento dell'Ilva fosse
conforme agli stessi.
- Per quanto riguarda, in terzo luogo, l'idoneità dell'aiuto di cui trattasi a consentire
il risanamento dell'impresa beneficiaria dell'aiuto, il Tribunale constata che la
decisione controversa indica chiaramente i motivi per i quali secondo la
Commissione la redditività dell'Ilva deve essere ristabilita, quando essa elenca, in
particolare al punto II della motivazione, i vari aspetti del piano di ristrutturazione
sostenuto dall'aiuto. Da essi consegue espressamente che il ristabilimento della
redditività dell'Ilva è perseguito mediante la privatizzazione del gruppo, che
costituisce l'obiettivo fondamentale perseguito dall'aiuto di cui trattasi, e mediante
un nuovo programma di riorganizzazione, tramite in particolare la scissione della
sua attività fondamentale in due nuove società secondo uno schema esposto nella
decisione.
- Inoltre, la Commissione precisa, nella decisione controversa (punto III della
motivazione), che, nell'ambito del suo esame del piano di ristrutturazione notificato
dal governo italiano, si è avvalsa degli stessi criteri che aveva imposto nel corso
della precedente ristrutturazione dell'industria siderurgica della Comunità. Siffatti
criteri non potevano essere ignorati pertanto dagli operatori economici del settore
di cui trattasi e, in particolare, dalle ricorrenti. Di conseguenza, specificando i
principali aspetti del piano di ristrutturazione soprammenzionato, la decisione
controversa ha sufficientemente indicato i motivi per i quali l'aiuto di cui trattasi
avrebbe consentito, secondo la Commissione, di conferire all'Ilva una struttura sana
e redditizia.
- Ne consegue che, contrariamente a quanto asserito dalle ricorrenti, dalla decisione
impugnata emergono chiaramente i motivi per i quali gli aiuti di cui trattasi
avrebbero consentito, secondo la Commissione, il raggiungimento degli obiettivi
perseguiti, a differenza degli aiuti concessi all'Ilva durante il periodo 1988-1991. Al
punto II della motivazione della decisione la Commissione fa del resto un bilancio
di tali aiuti precedenti, che avrebbero dovuto «ripristinare, in condizioni normali
di mercato e grazie a un controllo rigoroso sull'attuazione del piano e sulla
gestione, l'efficenza economico-finanziaria dell'impresa». Essa sottolinea che,
nonostante un considerevole impegno di ristrutturazione, l'obiettivo perseguito non
è stato raggiunto dall'Ilva la quale, dopo il 1991, ha continuato ad accumulare
perdite. Al punto IV della motivazione della decisione, la Commissione pone tale
situazione in relazione con il forte deterioramento del mercato dell'acciaio,
constatato dopo la metà del 1990, per giustificare l'adozione ex art. 95 del Trattato
della decisione controversa.
- Inoltre, la motivazione della decisione controversa, per quanto riguarda la
redditività dell'impresa beneficiaria, è in ampia misura completata e sviluppata
dagli atti della causa. La Commissione ha prodotto in particolare il testo completo
della sua comunicazione 15 dicembre 1993 al Consiglio [doc. SEC(93) 2089 def.],
nella quale essa chiedeva il parere conforme del Consiglio in forza dell'art. 95,
primo comma, del Trattato. Detta comunicazione, che riproduce in parte il
contenuto di una precedente comunicazione 10 novembre 1993 [doc. SEC(93) 1745
def.], contiene un'analisi approfondita delle condizioni da soddisfare per il
risanamento dell'impresa beneficiaria degli aiuti di cui trattasi (v. sopra, punto 92).
- Infine, occorre respingere, in quarto luogo, la censura secondo la quale la
motivazione è insufficiente per quanto concerne, da un lato, l'adeguatezza delle
riduzioni di capacità imposte come contropartita degli aiuti di cui trattasi, e,
dall'altro, la limitazione delle distorsioni di concorrenza che essa comporta. Come
si è già considerato (v., sopra, punti 93 e 113), tali vari aspetti sono stati
ampiamente esaminati nella decisione controversa.
- Da tutte le precedenti considerazioni emerge che la decisione controversa non è
viziata da illegittimità a causa di un asserito difetto della sua motivazione.
Sul sesto motivo relativo all'irregolarità del procedimento decisionale
- Tale motivo è costituito da due parti. La decisione controversa si discosterebbe dal
parere conforme del Consiglio. Inoltre, essa non rispetterebbe il procedimento
istituito dagli artt. 97 e seguenti dell'accordo sullo Spazio economico europeo (in
prosieguo: l'«accordo SEE»).
Sull'asserita violazione del parere conforme del Consiglio
Argomenti delle parti
- Le ricorrenti sostengono che la decisione controversa non rispetta il parere
conforme emesso dal Consiglio. Il termine del 30 giugno 1994, imposto all'Ilva per
l'adempimento dei suoi obblighi di riduzione di capacità e di chiusura di
stabilimenti, previsto dalla comunicazione 15 dicembre 1993 sulla quale si basa il
parere del Consiglio, non sarebbe stato riprodotto nel dispositivo della decisione
controversa. Esso sarebbe soltanto menzionato nei 'considerando della decisione,
quale mero elemento del programma di ristrutturazione presentato dal governo
italiano.
- Dal canto suo, la Commissione nega che la decisione controversa si discosti dal
parere conforme del Consiglio. Sebbene il termine del 30 giugno 1994 non sia
espressamente menzionato nel dispositivo della decisione, quest'ultima
sottolineerebbe la necessità di rispettare il programma di ristrutturazione, cui fa
riferimento l'ottavo capoverso del punto II che menziona siffatto termine. Orbene,
secondo la giurisprudenza della Corte, la motivazione costituirebbe uno degli
elementi essenziali di un atto giuridico (v. sentenza 23 febbraio 1988, causa 131/86,
Regno Unito/Consiglio, Racc. pag. 905, punto 37).
- L'Ilva sottolinea, dal canto suo, che il termine fissato dal Consiglio per la chiusura
degli impianti considerati figura nella motivazione della decisione. Essa aggiunge
di aver rispettato tale termine, di modo che non si potrebbe negare che la sua
indicazione nella motivazione della decisione sia sufficiente alla realizzazione
dell'obiettivo perseguito.
Giudizio del Tribunale
- Le ricorrenti adducono che la decisione controversa sarebbe stata adottata in
violazione del parere conforme del Consiglio, tassativamente prescritto dall'art. 95,
primo comma, del Trattato, poiché il termine 30 giugno 1994, per l'adempimento
da parte dell'Ilva del suo obbligo di ridurre le capacità produttive nell'area di
Taranto figura nella comunicazione della Commissione 15 dicembre 1993 (punto
24), sulla quale si basa il parere del Consiglio 22 dicembre 1993, ma non si ritrova
nel dispositivo della decisione controversa, essendo riprodotto unicamente nella
motivazione (punto II, ottavo capoverso).
- E' pacifico che la data del 30 giugno 1994 figurava nel programma di
riorganizzazione e di privatizzazione del Gruppo Ilva approvato dall'IRI nel
settembre 1993 e comunicato dal governo italiano alla Commissione con lettera 13
dicembre 1993 (v. il punto II della motivazione della decisione considerata). E' del
pari pacifico che detta data figurava al punto 24 della comunicazione della
Commissione al Consiglio 15 dicembre 1993, sulla quale si è basato il parere del
Consiglio, e che essa non figura nel dispositivo della decisione 94/259, ma
unicamente nella motivazione (punto II).
- Orbene, l'art. 95, anche se dispone che la decisione della Commissione dev'essere
adottata «con parere conforme del Consiglio, deliberante all'unanimità», non
determina le modalità secondo le quali la Commissione deve chiedere il parere: in
particolare, esso non precisa chiaramente se la Commissione debba presentare un
progetto di decisione al Consiglio. La prassi decisionale della Commissione consiste,
a partire dagli anni '60, nel presentare al Consiglio una comunicazione, che
riproduce gli elementi fondamentali del programma nazionale di aiuti, nonché le
linee principali dell'attività prevista. Il procedimento utilizzato per l'adozione della
decisione concernente l'Ilva rispetta siffatto modo di agire.
- Le ricorrenti non contestano la prassi che consiste nel presentare al Consiglio una
comunicazione invece di un progetto di decisione. Esse si limitano a sostenere che
un importante elemento della comunicazione presentata al Consiglio non è stato
riprodotto nel dispositivo della decisione controversa.
- Tale censura potrebbe comportare l'annullamento della decisione controversa per
inosservanza di forme sostanziali solo nel caso in cui il Consiglio non avrebbe dato
il suo parere favorevole se avesse saputo che la Commissione avrebbe inserito la
data 30 giugno 1994 nella motivazione invece che nel dispositivo della decisione che
avrebbe adottato (v. sentenza della Corte 21 marzo 1990, causa C-142/87,
Belgio/Commissione, Racc. pag. I-959, nonché la citata sentenzaSkibsværftsforeningen e a./Commissione, punto 243)
- Orbene, lo stesso Consiglio afferma che «il testo dell'art. 95, primo comma, non
obbliga il Consiglio a dare un parere conforme sull'atto formale che la
Commissione intende adottare» e che «le decisioni adottate dalla Commissione
erano conformi a quanto esso stesso aveva deciso».
- Il Tribunale ne deduce che il parere conforme del Consiglio verteva sulla sostanza
della proposta di attività prevista dalla Commissione, pur lasciando a quest'ultima
un certo margine di manovra quanto alla forma precisa che la decisione finale
avrebbe rivestito. Orbene, il dispositivo della decisione controversa (artt. 1, n. 1, 4,
nn. 1 e 6) insiste sull'assoluta necessità di rispettare il programma di
ristrutturazione, descritto al punto II della motivazione della decisione, il quale
menziona espressamente la data 30 giugno 1994. Non si può pertanto validamente
sostenere che la decisione controversa si discosta in un punto fondamentale da
quanto approvato dal Consiglio.
- Ne consegue che la decisione 94/259 non è viziata da illegittimità a causa di
un'asserita violazione del parere conforme del Consiglio.
Sull'asserita violazione dell'art. 97 dell'accordo SEE
Argomenti delle parti
- Le ricorrenti adducono che la Commissione non ha rispettato il procedimento
decisionale contemplato dagli artt. 97 e seguenti dell'accordo sullo Spazio
economico europeo (in prosieguo: l'«accordo SEE»), il quale prescrive in
particolare che la parte contraente interessata informi le altri parti contraenti delle
modifiche della sua legislazione interna e che il comitato misto SEE concluda nel
senso che la legislazione modificata non pregiudica il buon funzionamento
dell'accordo. L'obbligo di rispettare tale procedimento risulterebbe dal combinato
disposto degli artt. 27 dell'accordo SEE e 5 del protocollo 14. Poiché tali norme
fanno parte integrante del diritto comunitario e vincolano gli organi della Comunità
nell'ambito dell'esercizio del potere discrezionale loro conferito, la loro violazione
costituirebbe, secondo le ricorrenti, uno sviamento di potere.
- Secondo la Commissione, il rinvio agli artt. 97 e seguenti dell'accordo SEE non
sarebbe pertinente. Da un lato, la decisione controversa non costituisce un caso di
modifica della legislazione. Dall'altro, le ricorrenti non potrebbero far valere alcun
diritto individuale lamentando un'eventuale violazione delle norme procedurali
contemplate dall'accordo SEE. In ogni caso, un'eventuale violazione delle norme
procedurali potrebbe essere addotta soltanto nell'ambito SEE e non in quello della
causa in esame.
Giudizio del Tribunale
- A questo proposito, occorre sottolineare che le disposizioni dell'accordo SEE cui
fanno riferimento le ricorrenti contengono norme procedurali che riguardano i
rapporti fra le parti contraenti nell'ambito di detto accordo, e la cui violazione è
soggetta a un regime specifico di vigilanza (artt. 108 e seguenti dell'accordo SEE)
e di soluzione delle controversie (artt. 111 e seguenti dell'accordo SEE). Senza che
occorra esaminare la fondatezza della tesi della Commissione secondo la quale «le
ricorrenti non possono far valere alcun diritto individuale lamentando un'eventuale
violazione delle norme procedurali contemplate dall'accordo SEE», è sufficiente
constatare, nella specie, che l'adozione della decisione controversa non costituisce,
manifestamente, un caso di modifica della legislazione comunitaria ai sensi degli
artt. 97 e 99, n. 1, dell'accordo SEE, trattandosi di un atto individuale e non di un
atto generale.
Sul settimo motivo relativo alla violazione dei diritti della difesa
Argomenti delle parti
- Le ricorrenti sono dell'avviso che la decisione controversa violi i diritti della difesa.
Sebbene ciò non sia espressamente contemplato dall'art. 95 del Trattato, la
Commissione avrebbe dovuto intimare agli interessati di presentare le loro
osservazioni nell'ambito di un procedimento di consultazione o, almeno, far
pubblicare nella Gazzetta ufficiale le domande di autorizzazione di aiuti ad essa
presentate, senza limitarsi alla mera comunicazione che avrebbe avviato un
procedimento contro l'Ilva. Siffatto obbligo risulterebbe dai principi generali del
diritto processuale, tenuto conto della giurisprudenza della Corte relativa all'art. 93,
n. 2, del Trattato CE (v., in particolare, sentenza della Corte 14 novembre 1984,
causa 323/82, Intermils/Commissione, Racc. pag. 3809, punti 15-18). Questo sarebbe
il motivo per il quale l'art. 6, n. 4, del codice degli aiuti dispone che la
Commissione deve intimare agli interessati di presentare le loro osservazioni prima
che sia dichiarata l'incompatibilità di un aiuto con il Trattato; tale disposizione
dovrebbe applicarsi, a maggior ragione, nei casi che non rientrano nell'ambito di
applicazione del codice degli aiuti.
- Le ricorrenti contestano la tesi della Commissione secondo la quale non vi era
l'obbligo di ascoltare i concorrenti dell'Ilva prima dell'adozione della decisione a
causa dell'eccezionalità di una decisione ad hoc ai sensi dell'art. 95 del Trattato,
tesi che non è conciliabile con il principio dello Stato di diritto e che contrasta con
la consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia. Inoltre, non sarebbe
sufficiente la mera conoscenza dell'avvio del procedimento di autorizzazione,
appreso indirettamente tramite l'Eurofer o nell'ambito del Comitato consultivo
CECA. Da un lato, le informazioni apprese tramite l'Eurofer non avrebbero
consentito di conoscere a fondo i dettagli dei fatti del caso di specie; dall'altro,
imprese isolate non avrebbero alcuna possibilità effettiva, in seno al Comitato
consultivo CECA, di far valere le proprie osservazioni.
- La Commissione, sostenuta dalla Repubblica italiana, sottolinea la mancanza di
norme che prescrivano l'audizione dei concorrenti nell'ambito delle decisioni ad hoc
in forza dell'art. 95, primo comma, del Trattato. Tenuto conto dell'eccezionalità di
tale decisione, sembrerebbe che esse non siano considerate neanche dalla
giurisprudenza relativa all'art. 93, n. 2, del Trattato CE. Non vi sarebbe nemmeno
violazione delle norme procedurali contemplate dall'art. 6 del codice degli aiuti. Se
la Commissione intende adottare una decisione negativa su progetti di aiuto perché
incompatibili con l'art. 4, lett. c), del Trattato CECA, il procedimento dovrebbe
essere avviato secondo le disposizioni del detto codice. Se invece la Commissione,
con l'approvazione del Consiglio e dopo aver sentito il Comitato consultivo CECA,
giunge alla conclusione che si deve autorizzare un aiuto in forza dell'art. 95 del
Trattato CECA, il procedimento applicato in tal caso sarebbe quello stabilito da
quest'ultima disposizione, che non prevede la previa audizione dei concorrenti.
Secondo la Commissione, le ricorrenti hanno comunque avuto sufficientemente
occasione di manifestare il loro punto di vista in tutte le fasi del procedimento, di
cui esse hanno potuto seguire tutto lo svolgimento tramite l'Eurofer e nella loro
qualità di membri del Comitato consultivo CECA, il quale deve essere consultato
in forza dell'art. 95, primo comma, del Trattato. Dai verbali delle riunioni del
Comitato consultivo CECA emerge che i rappresentanti della maggioranza delle
ricorrenti erano presenti nel Comitato consultivo, e che alcuni di essi hanno emesso
il loro parere sul progetto di concessione degli aiuti.
Giudizio del Tribunale
- La decisione controversa è stata adottata in base all'art. 95, primo e secondo
comma, del Trattato. Questo articolo prevede il parere conforme del Consiglio e
la consultazione obbligatoria del Comitato consultivo CECA. Esso non sancisce il
diritto dei destinatari delle decisioni e delle persone interessate ad essere ascoltati.
Dal canto suo, l'art. 6, n. 4, del quinto codice degli aiuti istituisce siffatto diritto,
enunciando che «qualora la Commissione, dopo avere intimato agli interessati di
presentare le loro osservazioni, constati che un aiuto non è compatibile con le
disposizioni della presente decisione, informa lo Stato membro interessato della
propria decisione». Tale disposizione figurava in tutti i codici degli aiuti che
precedevano quello vigente, a partire dal primo (v., al riguardo, la decisione della
Commissione 1° febbraio 1980, n. 257/80/CECA, che istituisce norme comunitarie
per gli aiuti specifici alla siderurgia, GU L 29, pag. 5).
- Le ricorrenti adducono che la Commissione ha violato i diritti della difesa, in
quanto, anche in mancanza di un'espressa disposizione dell'art. 95 del Trattato
CECA, essa avrebbe dovuto avviare un procedimento in contraddittorio nei loro
confronti, secondo il modello dell'art. 6 del quinto codice degli aiuti. Esse cercano
così di stabilire un parallelismo fra l'art. 95 del Trattato CECA e l'art. 93, n. 2, del
Trattato CE, al fine di affermare un principio generale che obbligherebbe la
Commissione a far partecipare sistematicamente gli interessati al procedimento
ogni volta che essa deve valutare la compatibilità col Trattato di un aiuto di Stato.
- Senza che occorra esaminare la questione se esista un principio generale di diritto
comunitario che attribuisce agli interessati il diritto di essere ascoltati nel corso di
un procedimento decisionale in materia di aiuti di Stato, occorre sottolineare che,
nell'ambito del procedimento di adozione della decisione controversa in forza
dell'art. 95, primo comma, del Trattato CECA, che prevede la consultazione del
Comitato consultivo CECA, le ricorrenti hanno in ogni caso avuto occasione di far
valere la loro posizione in seno a detto Comitato. Infatti, in forza dell'art. 18 del
Trattato CECA, il Comitato consultivo è composto da membri che rappresentano
i produttori, i lavoratori, i consumatori e i commercianti. Orbene, risulta dall'elenco
dei membri del Comitato (allegato 5 alla controreplica), che tre delle ricorrenti,
cioè la Wirtschaftsvereinigung Stahl, la Preussag Stahl e l'Hoogovens Groep, erano
rappresentate al più alto livello in seno al Comitato. Quanto alla Thyssen Stahl,
essa ha potuto esprimere il suo punto di vista per il tramite dell'associazione
Wirtschaftsvereinigung Stahl, nel cui ambito svolgeva un ruolo importante, come
ha affermato la Commissione senza che l'interessata l'abbia contraddetta su questo
punto. E' pacifico che la questione degli aiuti all'Ilva è stata discussa a lungo in
seno al Comitato e che i rappresentanti delle ricorrenti erano presenti ed hanno
dato il loro parere sui provvedimenti proposti dalla Commissione, esprimendosi sia
a titolo individuale, sia per il tramite dell'associazione Wirtschaftsvereinigung Stahl.
- Per di più, è pacifico che le ricorrenti avevano potuto rendere noto il loro punto
di vista sugli aiuti di cui trattasi, nella specie, prima dell'adozione della decisione
impugnata, nell'ambito del procedimento avviato in base all'art. 6, n. 4, del codice
degli aiuti, quando la Repubblica italiana non aveva ancora comunicato alla
Commissione il nuovo programma di riorganizzazione e di privatizzazione del
gruppo Ilva (punto II della motivazione della decisione impugnata). Tale
procedimento è stato chiuso contemporaneamente all'adozione di tale decisione,
come emerge dal punto VIII di quest'ultima.
- Ne consegue che la decisione controversa non è, in ogni caso, viziata da illegittimità
a causa dell'asserita violazione dell'obbligo di avviare il procedimento in
contraddittorio.
- Da quanto precede emerge che il ricorso d'annullamento deve essere respinto.
Sulle spese
- Ai sensi dell'art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è
condannata alle spese, se ne è stata fatta domanda. Orbene, da quanto precede
emerge che le ricorrenti sono rimaste soccombenti quanto alla loro domanda di
annullamento della decisione controversa. Poiché la Commissione e l'Ilva,
interveniente a suo sostegno, hanno chiesto la condanna alle spese, le ricorrenti
devono essere condannate alle spese di queste ultime.
- Ai sensi dell'art. 87, n. 4, primo comma, del regolamento di procedura, gli Stati
membri e le istituzioni intervenute nella causa sopportano le proprie spese. Ne
consegue che il Consiglio e la Repubblica italiana, intervenienti, dovranno
sopportare le loro spese.
Per questi motivi,IL TRIBUNALE (Prima Sezione ampliata)
dichiara e statuisce:
- Il ricorso è respinto.
- Le ricorrenti sono condannate a pagare le spese della convenuta e dell'Ilva
Laminati Piani SpA, interveniente.
- Il Consiglio e la Repubblica italiana sopporteranno ciascuno le proprie
spese.
Saggio Kalogeropoulos
Tiili
Potocki Moura Ramos
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Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 24 ottobre 1997.
Il cancelliere
Il presidente
H. Jung
A. Saggio
1: Lingua processuale: il tedesco.
Racc.