Language of document : ECLI:EU:C:2007:802

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

18 dicembre 2007 (*)

«Ricorso contro una pronuncia del Tribunale di primo grado – Regolamento (CE) n. 1049/2001 – Accesso del pubblico ai documenti delle istituzioni – Documenti provenienti da uno Stato membro – Opposizione di detto Stato membro alla divulgazione di tali documenti – Portata dell’art. 4, n. 5, del detto regolamento»

Nel procedimento C‑64/05 P,

avente ad oggetto un ricorso contro una pronuncia del Tribunale di primo grado, proposto, ai sensi dell’art. 56 dello Statuto della Corte di giustizia, il 10 febbraio 2005,

Regno di Svezia, rappresentato dalla sig.ra K. Wistrand, in qualità di agente,

ricorrente,

sostenuto da:

Repubblica di Finlandia, rappresentata dalle sig.re E. Bygglin e A. Guimaraes‑Purokoski, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

interveniente nel ricorso dinanzi alla Corte,

procedimento in cui le altre parti sono:

IFAW Internationaler Tierschutz-Fonds gGmbH, già Internationaler Tierschutz-Fonds (IFAW) GmbH, con sede in Amburgo (Germania), rappresentata dal sig. S. Crosby, solicitor, e dall’avv. R. Lang, avocat

ricorrente in primo grado,

Regno di Danimarca, rappresentato dalla sig.ra B. Weis Fogh, in qualità di agente,

Regno dei Paesi Bassi, rappresentato dalle sig.re H.G. Sevenster e C. Wissels, nonché dal sig. M. de Grave, in qualità di agenti,

Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, rappresentato dalle sig.re S. Nwaokolo e V. Jackson, in qualità di agenti, assistite dalla sig.ra J. Stratford, barrister,

intervenienti in primo grado,

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. C. Docksey e P. Aalto, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta in primo grado,

sostenuta da:

Regno di Spagna, rappresentato dai sigg. I. del Cuvillo Contreras e A. Sampol Pucurull, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

interveniente nel ricorso dinanzi alla Corte,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. P. Jann, C.W.A. Timmermans, A. Rosas, K. Lenaerts, G. Arestis e U. Lõhmus, presidenti di sezione, dai sigg. K. Schiemann (relatore), P. Kūris, E. Juhász, J. Malenovský, J. Klučka e E. Levits, giudici,

avvocato generale: sig. M. Poiares Maduro

cancelliere: sig.ra C. Strömholm, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 16 gennaio 2007,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 18 luglio 2007,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con il suo ricorso, il Regno di Svezia chiede alla Corte di annullare la sentenza del Tribunale di primo grado delle Comunità europee 30 novembre 2004, causa T‑168/02, IFAW Internationaler Tierschutz‑Fonds/Commissione (Racc. pag. II‑4135; in prosieguo: la «sentenza impugnata»), con cui quest’ultimo ha respinto il ricorso dell’IFAW Internationaler Tierschutz‑Fonds gGbmH (in prosieguo: l’«IFAW») diretto all’annullamento della decisione della Commissione delle Comunità europee 26 marzo 2002 (in prosieguo: la «decisione controversa»), che ha negato all’IFAW l’accesso a taluni documenti ricevuti dalla Commissione nell’ambito di un procedimento al termine del quale tale istituzione ha espresso parere favorevole alla realizzazione di un progetto industriale in un sito protetto ai sensi della direttiva del Consiglio 21 maggio 1992, 92/43/CE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche (GU L 206, pag. 7; in prosieguo: la «direttiva habitat»).

 Contesto normativo

2        L’art. 255, nn. 1 e 2, CE così prevede:

«1.      Qualsiasi cittadino dell’Unione e qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro ha il diritto di accedere ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione, secondo i principi e alle condizioni da definire a norma dei paragrafi 2 e 3.

2.      I principi generali e le limitazioni a tutela di interessi pubblici o privati applicabili al diritto di accesso ai documenti sono stabiliti dal Consiglio, che delibera secondo la procedura di cui all’articolo 251 entro due anni dall’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam».

3        La dichiarazione n. 35, relativa all’art. 255 (…), n. 1, del Trattato [CE], allegata all’atto finale del Trattato di Amsterdam (in prosieguo: la «dichiarazione n. 35»), è del seguente tenore:

«La Conferenza conviene che i principi e le condizioni di cui all’articolo 255, paragrafo 1 del Trattato [CE] permetteranno ad uno Stato membro di chiedere alla Commissione o al Consiglio di non comunicare a terzi un documento che provenga da tale Stato senza suo previo accordo».

4        I ‘considerando’ dal secondo al quarto, decimo e quindicesimo del regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 30 maggio 2001, n. 1049, relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione (GU L 145, pag. 43), sono redatti come segue:

«2.      Questa politica di trasparenza consente una migliore partecipazione dei cittadini al processo decisionale e garantisce una maggiore legittimità, efficienza e responsabilità dell’amministrazione nei confronti dei cittadini in un sistema democratico. La politica di trasparenza contribuisce a rafforzare i principi di democrazia e di rispetto dei diritti fondamentali sanciti dall’articolo 6 del trattato UE e dalla carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

3.      Le conclusioni delle riunioni del Consiglio europeo di Birmingham, Edimburgo e Copenaghen hanno messo in evidenza la necessità di garantire una maggiore trasparenza nel lavoro delle istituzioni dell’Unione. Il presente regolamento consolida le iniziative già adottate dalle istituzioni al fine di migliorare la trasparenza del processo decisionale.

4.      Il presente regolamento mira a dare la massima attuazione al diritto di accesso del pubblico ai documenti e a definirne i principi generali e le limitazioni a norma dell’articolo 255, paragrafo 2, del Trattato CE.

(...)

10.      Per dare un carattere più aperto ai lavori delle istituzioni, il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione dovrebbero garantire l’accesso non solo ai documenti elaborati dalle istituzioni, ma anche ai documenti da esse ricevuti. In tale contesto, si ricorda che la dichiarazione n. 35 (…) prevede che uno Stato membro possa chiedere alla Commissione o al Consiglio di non comunicare a terzi un documento che provenga da tale Stato senza il suo previo accordo.

(...)

15.      Il presente regolamento non si prefigge di modificare le normative nazionali in materia di accesso ai documenti. Tuttavia, è evidente che in virtù del principio di cooperazione leale nelle relazioni tra le istituzioni e gli Stati membri, questi dovranno fare in modo di non pregiudicare la corretta applicazione del presente regolamento e di rispettare le norme di sicurezza delle istituzioni».

5        Rubricato «Obiettivo», l’art. 1 del regolamento n. 1049/2001 così dispone:

«L’obiettivo del presente regolamento è di:

a)      definire i principi, le condizioni e le limitazioni, per motivi di interesse pubblico o privato, che disciplinano il diritto di accesso ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione (in prosieguo “le istituzioni”) sancito dall’articolo 255 del Trattato CE in modo tale da garantire l’accesso più ampio possibile;

(…)».

6        L’art. 2, nn. 3 e 5, del medesimo regolamento, rubricato «Destinatari e campo di applicazione», prevede:

«3.      Il presente regolamento riguarda tutti i documenti detenuti da un’istituzione, vale a dire i documenti formati o ricevuti dalla medesima e che si trovino in suo possesso concernenti tutti i settori d’attività dell’Unione europea.

(...)

5.      I documenti sensibili quali definiti all’articolo 9, paragrafo 1, sono soggetti ad un trattamento speciale ai sensi di tale articolo».

7        Ai sensi dell’art. 3, lett. b), del regolamento, si intende per «terzo» «qualsiasi persona fisica o giuridica, o qualsiasi entità esterna all’istituzione interessata, compresi gli Stati membri, le altre istituzioni e gli altri organi comunitari o non comunitari, nonché i paesi terzi».

8        L’art. 4 del regolamento n. 1049/2001, rubricato «Eccezioni», è del seguente tenore:

«1.      Le istituzioni rifiutano l’accesso a un documento la cui divulgazione arrechi pregiudizio alla tutela di quanto segue:

a)      l’interesse pubblico, in ordine:

–        alla sicurezza pubblica,

–        alla difesa e alle questioni militari,

–        alle relazioni internazionali,

–        alla politica finanziaria, monetaria o economica della Comunità o di uno Stato membro;

b)      la vita privata e l’integrità dell’individuo, in particolare in conformità con la legislazione comunitaria sulla protezione dei dati personali.

2.      Le istituzioni rifiutano l’accesso a un documento la cui divulgazione arrechi pregiudizio alla tutela di quanto segue:

–        gli interessi commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresa la proprietà intellettuale,

–        le procedure giurisdizionali e la consulenza legale,

–        gli obiettivi delle attività ispettive, di indagine e di revisione contabile,

a meno che vi sia un interesse pubblico prevalente alla divulgazione.

3.      L’accesso a un documento elaborato per uso interno da un’istituzione o da essa ricevuto, relativo ad una questione su cui la stessa non abbia ancora adottato una decisione, viene rifiutato nel caso in cui la divulgazione del documento pregiudicherebbe gravemente il processo decisionale dell’istituzione, a meno che vi sia un interesse pubblico prevalente alla divulgazione.

L’accesso a un documento contenente riflessioni per uso interno, facenti parte di discussioni e consultazioni preliminari in seno all’istituzione interessata, viene rifiutato anche una volta adottata la decisione, qualora la divulgazione del documento pregiudicherebbe seriamente il processo decisionale dell’istituzione, a meno che vi sia un interesse pubblico prevalente alla divulgazione.

4.      Per quanto concerne i documenti di terzi, l’istituzione consulta il terzo al fine di valutare se sia applicabile una delle eccezioni di cui ai paragrafi 1 o 2, a meno che non sia chiaro che il documento può o non deve essere divulgato.

5.      Uno Stato membro può chiedere all’istituzione di non comunicare a terzi un documento che provenga da tale Stato senza il suo previo accordo.

(...)

7.      Le eccezioni di cui ai paragrafi 1, 2 e 3 si applicano unicamente al periodo nel quale la protezione è giustificata sulla base del contenuto del documento. Le eccezioni sono applicabili per un periodo massimo di 30 anni. Nel caso di documenti coperti dalle eccezioni relative alla vita privata o agli interessi commerciali e di documenti sensibili, le eccezioni possono continuare ad essere applicate anche dopo tale periodo, se necessario».

9        L’art. 5 di detto regolamento, rubricato «Documenti negli Stati membri», stabilisce quanto segue:

«Qualora uno Stato membro riceva una domanda di accesso a un documento in suo possesso, che provenga da un’istituzione, e non sia chiaro se il documento debba o non debba essere divulgato, lo Stato membro consulta l’istituzione in questione onde adottare una decisione che non metta in pericolo gli obiettivi del presente regolamento.

In alternativa, lo Stato membro può deferire all’istituzione la domanda di accesso».

10      All’art. 9, relativo al trattamento dei documenti sensibili, il regolamento n. 1049/2001 recita:

«1.      Per documenti sensibili si intendono quei documenti provenienti dalle istituzioni o dalle agenzie da loro istituite, da Stati membri, paesi terzi o organismi internazionali, classificati come “TRÈS SECRET/TOP SECRET”, “SECRET” o “CONFIDENTIEL” in virtù delle disposizioni dell’istituzione interessata che proteggono interessi essenziali dell’Unione europea o di uno o più Stati membri nei settori di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), e in particolare, negli ambiti della sicurezza pubblica, della difesa e delle questioni militari.

2.      Le domande di accesso a documenti sensibili nell’ambito delle procedure di cui agli articoli 7 e 8 sono trattate solo da persone che abbiano il diritto di venire a conoscenza di tali documenti. Fatto salvo l’articolo 11, paragrafo 2, tali persone valutano altresì in che modo si possa fare riferimento a documenti sensibili nel registro pubblico.

3.      I documenti sensibili sono iscritti nel registro o divulgati solo con il consenso dell’originatore.

(...)».

 Fatti all’origine della controversia

11      In seguito ad una domanda della Repubblica federale di Germania, presentata sulla base dell’art. 6, n. 4, secondo comma, della direttiva habitat, il 19 aprile 2000 la Commissione ha emesso parere favorevole alla realizzazione di un progetto industriale nel sito di Mühlenberger Loch, una zona protetta ai sensi di tale direttiva. Il progetto consisteva nell’ingrandimento della fabbrica della Daimler Chrysler Aerospace Airbus GmbH e nel recupero di una parte dell’estuario dell’Elba per il prolungamento di una pista di atterraggio.

12      Con lettera del 20 dicembre 2001, inviata alla Commissione, l’IFAW, un’organizzazione non governativa che agisce nel settore della protezione del benessere degli animali e della tutela della natura, ha chiesto di poter accedere a diversi documenti ricevuti da tale istituzione nell’ambito dell’esame del citato progetto industriale, e cioè la corrispondenza proveniente dalla Repubblica federale di Germania e dal Comune di Amburgo, nonché dal cancelliere tedesco.

13      Dopo aver comunicato all’IFAW, con lettera del 24 gennaio 2002, che, ai sensi dell’art. 4, n. 5, del regolamento n. 1049/2001, essa riteneva di essere obbligata ad ottenere il consenso dello Stato membro interessato prima di divulgare i documenti in questione, la Commissione ha ricevuto, il 12 febbraio 2002, una domanda con cui la Repubblica federale di Germania chiedeva di non divulgare gli stessi.

14      Ritenendo che il citato art. 4, n. 5, le vietasse, in tali circostanze, di divulgare i documenti in questione, il 26 marzo 2002 la Commissione ha adottato la contestata decisione di rigetto della domanda dell’IFAW.

 La sentenza impugnata

15      Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 4 giugno 2002, l’IFAW ha proposto un ricorso volto all’annullamento della decisione controversa. A sostegno del ricorso essa ha dedotto due motivi, concernenti la violazione, rispettivamente, dell’art. 4 del regolamento n. 1049/2001 e dell’obbligo di motivazione. Con la sentenza impugnata il Tribunale ha respinto il ricorso, in quanto infondato.

16      Per quanto riguarda il primo motivo, il Tribunale ha dichiarato che la Commissione ha correttamente ritenuto, nella decisione controversa, che quando uno Stato membro si avvale dell’art. 4, n. 5, del regolamento n. 1049/2001 e chiede ad un’istituzione di non divulgare un documento proveniente da tale Stato, siffatta domanda costituisce un’ingiunzione di non divulgare il documento a cui l’istituzione deve adeguarsi, senza che lo Stato membro interessato debba motivare la propria domanda o che l’istituzione debba verificare se la mancata divulgazione sia giustificata.

17      A questo proposito, ai punti 57-62 della sentenza impugnata, il Tribunale ha più specificamente affermato:

«57      Risulta (…) dall’art. 4, n. 5, del regolamento [n. 1049/2001] che gli Stati membri costituiscono oggetto di un trattamento particolare. Infatti, tale disposizione attribuisce allo Stato membro la facoltà di chiedere a un’istituzione di non divulgare documenti da esso provenienti senza il suo previo accordo. Si deve sottolineare che l’art. 4, n. 5, del regolamento riproduce la dichiarazione n. 35, secondo cui la Conferenza ha convenuto che i principi e le condizioni di cui all’art. 255 CE consentiranno a uno Stato membro di chiedere alla Commissione o al Consiglio di non comunicare a terzi un documento proveniente da tale Stato senza il suo previo accordo. Tale facoltà riconosciuta agli Stati membri dall’art. 4, n. 5, del regolamento è dovuta al fatto che tale regolamento non ha né per oggetto né per effetto di modificare le normative nazionali in materia di accesso ai documenti (v. quindicesimo ‘considerando’ del regolamento e sentenza del Tribunale 17 settembre 2003, causa T‑76/02, Messina/Commissione, Racc. pag. II‑3203, punti 40 e 41).

58      L’art. 4, n. 5, del regolamento pone gli Stati membri in una situazione diversa da quella degli altri terzi, stabilendo al riguardo una lex specialis. Secondo tale disposizione, lo Stato membro ha la facoltà di chiedere ad un’istituzione di non divulgare un documento da esso proveniente, e l’istituzione è tenuta a non divulgarlo senza il suo “previo accordo”. Tale obbligo, imposto all’istituzione, di ottenere l’accordo previo dello Stato membro, sancito chiaramente dall’art. 4, n. 5, del regolamento, rischierebbe di restare lettera morta se la Commissione potesse decidere di divulgare tale documento malgrado una domanda esplicita in senso contrario dello Stato membro considerato. Pertanto, contrariamente a quanto sostiene [l’IFAW], una domanda dello Stato membro in base a tale disposizione costituisce un’ingiunzione a tale istituzione di non divulgare il documento di cui trattasi.

59      Al riguardo, occorre rilevare che lo Stato membro non è tenuto a motivare la sua domanda presentata a norma dell’art. 4, n. 5, del regolamento e che, una volta che ha presentato tale domanda, non tocca all’istituzione esaminare se la mancata divulgazione del documento di cui trattasi sia giustificata tenuto conto, in particolare, dell’interesse pubblico.

60      Al fine di garantire al disposto dell’art. 4, n. 5, del regolamento un’interpretazione conforme alla dichiarazione n. 35 e di agevolare l’accesso al documento di cui trattasi consentendo allo Stato membro, se del caso, di dare il suo consenso alla sua divulgazione, tocca all’istituzione consultare detto Stato membro quando una domanda di accesso riguarda un documento da esso proveniente. Se tale Stato membro, dopo essere stato consultato, non presenta una domanda a norma dell’art. 4, n. 5, del regolamento, tocca comunque all’istituzione valutare, a norma dell’art. 4, n. 4, del regolamento, se il documento debba essere divulgato o meno.

61      Si deve constatare che, come giustamente sostiene la Commissione, se l’accesso a un documento per il quale lo Stato membro ha presentato una domanda ai sensi dell’art. 4, n. 5, non è disciplinato dal regolamento, lo stesso lo è dalle pertinenti disposizioni nazionali dello Stato membro considerato, che rimangono immutate a seguito dell’adozione del regolamento. Pertanto, è compito delle autorità amministrative e giudiziarie nazionali valutare, in base al diritto nazionale, se l’accesso ai documenti provenienti da uno Stato membro debba essere accordato e se il diritto di ricorso degli interessati sarà così garantito in base alle norme nazionali.

62      Quanto all’argomento [dell’IFAW] (…), relativo al testo dell’art. 9, n. 3, del regolamento, si deve constatare che l’art. 9 prevede norme specifiche per il trattamento dei documenti cosiddetti “sensibili”, provenienti in particolare dalle istituzioni, dagli Stati membri, da paesi terzi o da organizzazioni internazionali, nei settori definiti dall’art. 4, n. 1, lett. a), del regolamento, in particolare la sicurezza pubblica, la difesa e le questioni militari. Tale articolo menziona, in particolare, le persone che sono autorizzate a trattare tali documenti e dispone che i documenti sensibili non sono iscritti nel registro o sono divulgati soltanto mediante il consenso dell’autorità di origine. Alla luce della specificità della situazione considerata dal detto articolo, è evidente che esso non era collegato all’art. 4, n. 5, del regolamento e che non si può invocare utilmente il testo dell’art. 9, n. 3, del regolamento al fine di interpretare l’art. 4, n. 5».

18      Per quanto riguarda il secondo motivo, il Tribunale ha affermato che, nella parte in cui si riferisce alla domanda della Repubblica federale di Germania di non divulgare i documenti e osserva che tale domanda vincola l’istituzione cui è rivolta, la decisione controversa è sufficientemente chiara per consentire all’IFAW di comprendere le ragioni del diniego di accesso oppostole e al Tribunale di esercitare il suo sindacato.

 Sull’impugnazione

19      Con il presente ricorso, a sostegno del quale deduce un unico motivo riguardante la violazione dell’art. 4 del regolamento n. 1049/2001, il Regno di Svezia chiede alla Corte di annullare la sentenza impugnata e di pronunciarsi sul merito annullando la decisione controversa.

20      Con ordinanza del Presidente della Corte 5 ottobre 2005 il Regno di Spagna e la Repubblica di Finlandia sono stati ammessi ad intervenire a sostegno delle conclusioni, rispettivamente, della Commissione e del Regno di Svezia.

21      Il Regno di Danimarca, il Regno dei Paesi Bassi, la Repubblica di Finlandia e l’IFAW chiedono che la Corte voglia accogliere il ricorso.

22      Il Regno di Spagna, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e la Commissione chiedono che la Corte voglia respingere il ricorso.

 Argomenti delle parti

23      Secondo il Regno di Svezia il Tribunale ha erroneamente considerato che l’art. 4, n. 5, del regolamento n. 1049/2001 consente ad uno Stato membro di opporre un veto assoluto e non motivato alla divulgazione di documenti che provengono da esso e che sono in possesso di un’istituzione.

24      Tale interpretazione reintrodurrebbe la «regola dell’autore», che pure è stata eliminata dal legislatore comunitario con l’adozione del regolamento, e violerebbe il principio fissato dall’art. 2, n. 3, dello stesso, ai sensi del quale spetta soltanto all’istituzione in possesso dei documenti valutare se autorizzare l’accesso agli stessi.

25      A differenza degli artt. 2, n. 5, e 9 del regolamento n. 1049/2001, relativi ai documenti sensibili, l’art. 4, n. 5, dello stesso non avrebbe il carattere chiaro che deve possedere qualunque eccezione ai principi di base della normativa in cui l’eccezione stessa si inserisce.

26      Il citato art. 4, n. 5, fisserebbe una norma di procedura che riconosce agli Stati membri il diritto di essere consultati e di presentare una domanda motivata di non divulgazione sulla base delle eccezioni concretamente indicate nei nn. 1‑3 del medesimo articolo.

27      Secondo il Regno di Svezia il Tribunale ha altresì errato considerando, al punto 57 della sentenza impugnata, che il diritto di veto così asseritamente riconosciuto agli Stati membri è giustificato dalla circostanza che il regolamento n. 1049/2001 non ha né l’obiettivo né l’effetto di modificare le normative nazionali in materia di accesso ai documenti. Infatti, l’applicabilità di una certa normativa sarebbe conseguenza non dell’origine del documento, ma dell’organo al quale è indirizzata la domanda di accesso. A tale proposito, nessuna disposizione del citato regolamento indicherebbe che il diritto nazionale deve disciplinare una domanda di accesso presentata ad un’istituzione comunitaria, e una decisione presa da tale istituzione sulla base del medesimo regolamento non avrebbe alcuna influenza giuridica sul diritto applicabile a una domanda di accesso relativa al medesimo documento presentata ad un’autorità di uno Stato membro.

28      Oltre a fare propri gli argomenti del Regno di Svezia, l’IFAW aggiunge, in primo luogo, che il Tribunale ha commesso un errore di diritto, al punto 58 della sentenza impugnata, qualificando l’art. 4, n. 5, del regolamento n. 1049/2001 non come eccezione ma come lex specialis, scegliendo pertanto un’interpretazione massimalista, anziché restrittiva, della norma in questione.

29      In secondo luogo, per quanto riguarda il riferimento al principio di cooperazione leale previsto dal quindicesimo ‘considerando’ del regolamento n. 1049/2001 e il fatto che l’art. 5, primo comma, del regolamento stesso prevede che gli Stati membri in possesso di un documento proveniente da un’istituzione sono competenti per decidere, dopo aver eventualmente consultato l’istituzione interessata, circa l’eventuale divulgazione, l’art. 4, n. 5, del regolamento dovrebbe essere interpretato in modo da garantire un equilibrio tra gli Stati membri e le istituzioni. Queste ultime dovrebbero così disporre a loro volta del potere di pronunciarsi sulle domande di divulgazione di documenti provenienti da uno Stato membro.

30      In terzo luogo, affermando, al punto 61 della sentenza impugnata, che la domanda di uno Stato membro proposta ai sensi dell’art. 4, n. 5, del regolamento n. 1049/2001 rende quest’ultimo inapplicabile a favore del diritto nazionale, il Tribunale avrebbe erroneamente interpretato l’ambito applicativo di tale regolamento, che comprende tutti i documenti in possesso di un’istituzione.

31      In quarto luogo, la dichiarazione n. 35 non avrebbe valore normativo. Non essendo nel suo contenuto diversa dal testo dell’art. 4, n. 5, del regolamento n. 1049/2001, tale dichiarazione non potrebbe neppure essere utilizzata per interpretare quest’ultima norma.

32      Secondo il governo dei Paesi Bassi l’obiettivo del regolamento n. 1049/2001, che consiste nel riconoscere al pubblico un diritto di accesso ai documenti il più ampio possibile, il testo dell’art. 4, n. 5, di tale regolamento, che parla di una «richiesta» dello Stato membro, e il fatto che il citato n. 5 segue il n. 4 del medesimo articolo, contenente una norma procedurale, confermano che il n. 5 non introduce un motivo di eccezione ulteriore rispetto a quelli indicati ai nn. 1‑3 dell’articolo stesso.

33      Il Regno di Danimarca sostiene che l’inserimento dell’art. 4, n. 5, nel regolamento n. 1049/2001, disposizione il cui testo avrebbe natura ambigua, come pure quello della dichiarazione n. 35, sarebbe il risultato di un compromesso politico tra i vari attori del processo legislativo comunitario. Infatti, mentre la Commissione avrebbe desiderato che i documenti provenienti dagli Stati membri fossero soggetti al diritto nazionale, ritenendo invece il Parlamento che la divulgazione degli stessi dovesse soggiacere al diritto comunitario, gli Stati membri, da parte loro, sarebbero stati divisi sulla questione.

34      Anche il giudice comunitario, al quale il legislatore avrebbe coscientemente accettato di rimettersi, dovrebbe, al di là delle ambiguità testuali di tale art. 4, n. 5, scegliere l’interpretazione in grado di accordarsi al meglio con il contesto normativo in cui la disposizione si inserisce e con gli obiettivi perseguiti dal regolamento n. 1049/2001, oltre che con i principi generali, in particolare quelli di proporzionalità, dell’obbligo di motivazione e del diritto a un ricorso effettivo.

35      Secondo il Regno di Danimarca, tali obiettivi e principi deporrebbero contro un diritto di veto discrezionale riconosciuto agli Stati membri, e l’istituzione interessata e il giudice comunitario dovrebbero rimanere competenti per valutare, sulla base delle motivazioni invocate da uno Stato membro, se la mancata divulgazione di un documento sia effettivamente motivata da ragioni di interesse pubblico o privato. Tali ragioni dovrebbero essere valutate lealmente dall’istituzione, ed eventualmente comunicate al soggetto che richiede l’accesso.

36      La Repubblica di Finlandia ritiene altresì che lo Stato membro che si oppone alla divulgazione di un documento dovrebbe motivare la propria posizione al fine di consentire all’istituzione interessata di accertarsi che i motivi invocati siano tali da giustificare un diniego di accesso e di motivare, come la stessa è tenuta a fare, la propria eventuale decisione in tal senso.

37      La Repubblica di Finlandia sostiene tuttavia, da un lato, che i motivi che possono essere invocati da uno Stato membro per opporsi alla comunicazione di un documento non sono limitati a quelli di cui all’art. 4, nn. 1‑3, del regolamento n. 1049/2001, ma che gli stessi possono altresì derivare dal diritto nazionale, da altre disposizioni comunitarie più specifiche in materia di accesso ai documenti o da convenzioni internazionali. Dall’altro lato, una volta che motivi di tal genere siano stati così esposti dallo Stato membro, l’istituzione interessata non potrebbe sostituire la propria valutazione di tali motivi a quella dello Stato membro né, pertanto, divulgare il documento la cui comunicazione è richiesta.

38      Da parte sua, la Commissione ritiene che correttamente il Tribunale abbia affermato che l’art. 4, n. 5, del regolamento n. 1049/2001 ha l’obiettivo, come risulta in particolare dal quindicesimo ‘considerando’ dello stesso e dal riferimento alla dichiarazione n. 35 contenuto nel decimo ‘considerando’ del medesimo, di salvaguardare l’applicazione delle norme e delle politiche degli Stati membri in materia di accesso ai documenti «nazionali», in particolare in considerazione dell’assenza di armonizzazione comunitaria in materia e del principio di sussidiarietà.

39      Il citato art. 4, n. 5, non creerebbe dunque una deroga aggiuntiva in materia di accesso ai documenti, ma confermerebbe semplicemente che il problema di determinare se un documento proveniente da uno Stato membro debba o meno essere comunicato deve essere valutato sulla base del diritto nazionale. Ogni opposizione alla divulgazione fatta valere da uno Stato membro dovrebbe così essere valutata in relazione al diritto nazionale applicabile e dovrebbe poter essere oggetto di un eventuale controllo da parte delle autorità giurisdizionali di tale Stato membro.

40      Secondo il Regno Unito, a meno di non privare di ogni effetto l’inserimento, nel testo dell’art. 4, n. 5, del regolamento n. 1049/2001, dei termini «senza il suo previo accordo», la lettura di tale disposizione non permetterebbe di dubitare che, nella fattispecie, si è in presenza di un obbligo relativo all’ottenimento di tale accordo, preliminarmente necessario per qualunque divulgazione del documento, e non di un semplice obbligo di consultare lo Stato membro interessato. Quanto ai termini «può chiedere», essi non comporterebbero in alcun modo l’esistenza di un potere discrezionale dell’istituzione, ma indicherebbero semplicemente che spetta solo agli Stati membri valutare, caso per caso, l’opportunità di proporre una richiesta in tal senso.

41      Il decimo ‘considerando’ del regolamento n. 1049/2001 e il riferimento alla dichiarazione n. 35 in esso contenuto confermerebbero che l’art. 4, n. 5, dello stesso ha l’obiettivo di tenere in considerazione il fatto che, adottando l’art. 255 CE, gli Stati membri hanno preteso garanzie circa la divulgazione dei documenti da essi provenienti. L’interpretazione sostenuta dal Regno di Svezia comporterebbe peraltro un’armonizzazione mascherata delle norme nazionali alla quale ostano sia il quindicesimo ‘considerando’ del regolamento che il principio di sussidiarietà.

42      L’argomentazione del Regno di Spagna rispecchia in sostanza quella del Regno Unito. Essa si concretizza in particolare nell’affermazione che il testo stesso dell’art. 4, n. 5, del regolamento n. 1049/2001 indicherebbe che l’accordo dello Stato membro che ha presentato una richiesta sulla base di tale disposizione costituisce una condizione legale il cui previo soddisfacimento è necessario per la divulgazione del documento in esame.

 Giudizio della Corte

 Sull’esigenza di un previo accordo dello Stato membro

43      Come il Tribunale ha correttamente rilevato al punto 58 della sentenza impugnata, l’art. 4, n. 5, del regolamento n. 1049/2001 pone gli Stati membri in una situazione diversa da quella degli altri terzi, stabilendo che ogni Stato membro ha la facoltà, a differenza di questi ultimi, di chiedere all’istituzione di non divulgare, senza il suo previo accordo, un documento da esso proveniente.

44      A tale proposito, il Tribunale ha altresì correttamente dichiarato, al medesimo punto 58, che l’obbligo di un «previo accordo» dello Stato membro sancito da tale disposizione rischierebbe di restare lettera morta se, nonostante l’opposizione manifestata da uno Stato membro alla divulgazione di un documento proveniente dal medesimo Stato e pur non disponendo l’istituzione di alcun «accordo» di tale Stato, quest’ultima restasse comunque libera di divulgare il documento in parola. Si deve infatti riconoscere che tale esigenza sarebbe privata di qualunque effetto utile o di qualunque significato se la necessità di ottenere tale «previo accordo» per la divulgazione del documento dipendesse in ultima analisi dalla volontà discrezionale dell’istituzione in possesso dello stesso.

45      Essendo un «accordo» giuridicamente distinto da un semplice «parere», il testo stesso dell’art. 4, n. 5, del regolamento n. 1049/2001 si oppone pertanto all’interpretazione secondo cui tale norma riconoscerebbe semplicemente allo Stato membro che abbia esercitato la facoltà da essa prevista un diritto ad essere consultato da parte dell’istituzione prima che questa decida, eventualmente nonostante l’opposizione dello Stato membro in questione, di concedere l’accesso al documento in oggetto.

46      Si deve inoltre constatare che un simile diritto ad essere sentiti è già assai ampiamente riconosciuto agli Stati membri ai sensi dell’art. 4, n. 4, del regolamento, il quale introduce un obbligo di «consulta[re] il terzo» qualora non risulti chiaramente se il documento debba o meno essere divulgato.

47      Il fatto che l’art. 4, n. 5, del regolamento n. 1049/2001 utilizzi una terminologia diversa da quella dell’art. 9, n. 3, del medesimo, disposizione che si riferisce tuttavia anch’essa alla necessità di ottenere un accordo dell’autorità di provenienza, non ha effetto sull’interpretazione esposta ai punti 44 e 45 della presente sentenza. Infatti, a differenza di tale art. 9, n. 3, l’art. 4, n. 5, non richiede il previo accordo dello Stato membro quale condizione assoluta per la divulgazione di un documento, ma subordina l’eventuale necessità di tale accordo a una precedente manifestazione di volontà in tal senso dello Stato membro interessato. Pertanto, l’utilizzo dei termini «può chiedere» indica soltanto che tale disposizione riconosce allo Stato membro una facoltà, di cui solo l’esercizio effettivo in un caso specifico comporta la conseguenza di rendere il previo accordo dello Stato membro una condizione necessaria per una futura divulgazione del documento in esame.

48      Né può essere accolto l’argomento secondo il quale l’art. 4, n. 5, del regolamento n. 1049/2001 dovrebbe essere interpretato in funzione delle disposizioni dell’art. 5 dello stesso, così da garantire un equilibrio fra il trattamento riconosciuto ai documenti provenienti dalle istituzioni e in possesso degli Stati membri e quello previsto per i documenti provenienti da detti Stati e detenuti dalle istituzioni.

49      Basta infatti constatare che il legislatore comunitario si è espresso in termini molto diversi a proposito di queste due categorie di documenti, prevedendo all’art. 5, primo comma, del regolamento n. 1049/2001 un semplice obbligo per gli Stati membri di «consultare» le istituzioni qualora sia richiesto l’accesso a un documento proveniente da queste ultime.

50      Risulta da quanto precede che, nel momento in cui uno Stato membro ha esercitato la facoltà, ad esso riconosciuta dall’art. 4, n. 5, del regolamento n. 1049/2001, di chiedere che uno specifico documento da esso proveniente non sia divulgato senza il suo previo accordo, l’eventuale divulgazione di tale documento da parte dell’istituzione necessita, come correttamente ha affermato il Tribunale al punto 58 della sentenza impugnata, del previo ottenimento dell’accordo di tale Stato membro.

51      Per contro, la sentenza impugnata contiene taluni errori di diritto per quanto riguarda la portata di detto previo accordo.

 Sulla portata del previo accordo da richiedere ai sensi dell’art. 4, n. 5, del regolamento n. 1049/2001

52      Come ha ricordato in particolare il Regno di Danimarca, risulta dall’art. 255, n. 2, CE che le limitazioni applicabili all’esercizio del diritto di accesso ai documenti garantito dal n. 1 del medesimo articolo, le quali devono essere stabilite dal Consiglio secondo la procedura di cui all’art. 251 CE, devono essere imposte «a tutela di interessi pubblici o privati».

53      Riecheggiando tale disposizione del Trattato, della quale esso realizza l’attuazione, il regolamento n. 1049/2001 ha lo scopo, come risulta dal suo quarto ‘considerando’ e dal suo art. 1, lett. a), di definire i principi, le condizioni e le limitazioni, per motivi di interesse pubblico o privato, che disciplinano il diritto di accesso del pubblico ai documenti, in modo da riconoscere a tale diritto il più ampio effetto possibile.

54      Risulta, peraltro, dal secondo e dal terzo ‘considerando’ di tale regolamento che lo stesso ha lo scopo di migliorare la trasparenza del processo decisionale comunitario, trasparenza che consente, in particolare, di garantire una maggiore legittimità, efficienza e responsabilità dell’amministrazione nei confronti dei cittadini in un sistema democratico.

55      Come evidenziato dal decimo ‘considerando’ del regolamento n. 1049/2001, è proprio tale preoccupazione di migliorare la trasparenza del processo decisionale comunitario a giustificare il fatto che, come previsto dall’art. 2, n. 3, di tale regolamento, il diritto di accesso ai documenti detenuti dal Parlamento, dal Consiglio e dalla Commissione riguarda non solo i documenti elaborati da tali istituzioni, ma anche quelli ricevuti da soggetti terzi, fra i quali rientrano gli Stati membri, come esplicitamente precisato dall’art. 3, lett. b), del medesimo regolamento.

56      In tal modo il legislatore comunitario, come ha osservato il Tribunale ai punti 53 e 54 della sentenza impugnata, ha in particolare abolito la regola dell’autore, fino ad allora prevalente. Come risulta dalle decisioni del Consiglio 20 dicembre 1993, 93/731/CE, relativa all’accesso del pubblico ai documenti del Consiglio (GU L 340, pag. 43), della Commissione 8 febbraio 1994, 94/90/CECA, CE, Euratom, sull’accesso del pubblico ai documenti della Commissione (GU L 46, pag. 58), e del Parlamento Europeo 10 luglio 1997, 97/632/CE, CECA, Euratom, relativa all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo (GU L 263, pag. 27), tale regola comportava che, qualora un documento in possesso di un’istituzione avesse per autore una persona fisica o giuridica, uno Stato membro, un’altra istituzione o un altro organo comunitario, o ancora qualunque altro ente nazionale o internazionale, la domanda di accesso al documento dovesse essere indirizzata direttamente all’autore dello stesso.

57      Così, le disposizioni dell’art. 4, nn. 1‑3, del regolamento n. 1049/2001, le quali prevedono svariate specifiche eccezioni, o ancora gli artt. 2, n. 5, e 9 del medesimo, i quali prevedono un regime specifico per quanto riguarda i documenti sensibili, hanno lo scopo di definire i limiti oggettivi di interesse pubblico o privato in grado di giustificare un diniego della divulgazione di documenti in possesso delle istituzioni, tanto elaborati che ricevuti da tali istituzioni e, in quest’ultimo caso, sia che provengano da Stati membri sia che provengano da altri soggetti terzi.

58      In tale contesto si deve riconoscere che interpretare l’art. 4, n. 5, del regolamento n. 1049/2001 nel senso che esso conferirebbe allo Stato membro un diritto di veto generale e incondizionato per opporsi, in modo puramente discrezionale e senza dover motivare la propria decisione, alla divulgazione di ogni documento in possesso di un’istituzione comunitaria per il solo fatto che il documento in questione proviene da tale Stato membro, non è compatibile con gli obiettivi indicati ai punti 53-56 della presente sentenza.

59      Si deve in proposito osservare, in primo luogo, che l’interpretazione in tal modo fornita dal Tribunale comporterebbe, come rileva in particolare il Regno di Svezia e come ha osservato l’avvocato generale al paragrafo 44 delle sue conclusioni, il rischio di reintrodurre almeno parzialmente, con riferimento agli Stati membri, la regola dell’autore, pure abolita dal legislatore comunitario.

60      Oltre a tale reintroduzione della regola dell’autore, detta interpretazione comporterebbe, in secondo luogo, il rischio di formalizzare, in violazione degli obiettivi perseguiti del regolamento n. 1049/2001, una riduzione, potenzialmente notevole, del grado di trasparenza del processo decisionale comunitario.

61      Infatti, lungi dal riguardare soltanto i documenti di cui gli Stati membri sono «autori» o che siano stati «elaborati» dagli stessi, l’art. 4, n. 5, del regolamento n. 1049/2001 riguarda potenzialmente ogni documento «proveniente» da uno Stato membro, vale a dire, come correttamente sostiene la Commissione, e come hanno riconosciuto in udienza sia l’IFAW che gli Stati membri intervenuti nel presente giudizio di impugnazione, tutti i documenti, indipendentemente dall’autore, trasmessi da uno Stato membro ad un’istituzione. Nella fattispecie, il solo criterio utilizzabile è quello della provenienza del documento e della cessione, da parte dello Stato membro interessato, di un documento in suo possesso.

62      Ebbene, si deve in proposito sottolineare che, come rilevato dal Regno di Svezia in udienza e come ha osservato l’avvocato generale al paragrafo 42 delle sue conclusioni, in tale contesto l’introduzione di un diritto di veto discrezionale a favore degli Stati membri avrebbe il potenziale effetto di sottrarre alle disposizioni del regolamento n. 1049/2001 una categoria particolarmente importante di documenti che possono essere alla base del processo decisionale comunitario e fare luce sullo stesso.

63      Infatti, come ha in particolare evidenziato l’IFAW, sia quali membri del Consiglio sia quali partecipanti ai numerosi comitati istituiti tanto dal Consiglio quanto dalla Commissione, gli Stati membri costituiscono un’importante fonte di informazioni e di documenti destinati ad alimentare il processo decisionale comunitario.

64      Ne consegue che il diritto di accesso del pubblico verrebbe potenzialmente reso inoperante, in misura corrispondente, senza giustificazione oggettiva. L’effetto utile di questo diritto sarebbe pertanto notevolmente sminuito (v., per analogia, sentenza 6 dicembre 2001, causa C‑353/99 P, Consiglio/Hautala, Racc. pag. I‑9565, punto 26).

65      In terzo luogo, nulla, nel regolamento n. 1049/2001, permette di sostenere la tesi, fatta propria dal Tribunale, secondo la quale il legislatore comunitario avrebbe inteso, mediante l’art. 4, n. 5, di tale regolamento, formulare una sorta di norma di conflitto al fine di salvaguardare l’applicazione delle regole nazionali, o, come ha suggerito la Commissione, la politica degli Stati membri in materia di accesso ai documenti da essi provenienti, a danno delle norme specifiche dettate in proposito dal regolamento.

66      A questo proposito occorre infatti ricordare in primo luogo che, tenuto conto degli obiettivi perseguiti con il regolamento n. 1049/2001, segnatamente il fatto, ricordato al secondo ‘considerando’ di quest’ultimo, che il diritto di accesso del pubblico ai documenti delle istituzioni è collegato alla natura democratica di queste ultime e la circostanza che il medesimo regolamento è volto, come emerge dal quarto ‘considerando’ e dall’art. 1, a conferire al pubblico un diritto di accesso che sia il più ampio possibile, le eccezioni a tale diritto elencate all’art. 4 del regolamento devono essere interpretate e applicate in senso restrittivo (v., in tal senso, riguardo alla normativa anteriore al regolamento n. 1049/2001, sentenze 11 gennaio 2000, cause riunite C‑174/98 P e C‑189/98 P, Paesi Bassi e van der Wal/Commissione, Racc. pag. I‑1, punto 27, e Consiglio/Hautala, cit., punti 24 e 25, nonché, relativamente al regolamento n. 1049/2001, sentenza 1° febbraio 2007, causa C‑266/05 P, Sison/Consiglio, Racc. pag. I‑1233, punto 63).

67      In secondo luogo, come è già stato sottolineato ai punti 55 e 56 della presente sentenza, risulta chiaramente dal decimo ‘considerando’ del regolamento n. 1049/2001 e dall’art. 2, n. 3, dello stesso che tutti i documenti in possesso delle istituzioni rientrano nell’ambito applicativo del regolamento, ivi compresi quelli provenienti dagli Stati membri, cosicché l’accesso a tali documenti è disciplinato, in linea di principio, dalle norme dello stesso, in particolare quelle che prevedono eccezioni specifiche al diritto di accesso.

68      Così, per esempio, risulta dall’art. 4, n. 4, del regolamento n. 1049/2001 che, se l’istituzione interessata ritiene chiaro che, sulla base delle eccezioni previste ai nn. 1 o 2 del medesimo articolo, è necessario opporre un rifiuto all’accesso ad un documento proveniente da uno Stato membro, essa nega l’accesso al richiedente senza neppure dover consultare lo Stato membro da cui il documento proviene, e ciò indipendentemente dal fatto che tale Stato membro abbia o meno formulato in precedenza una domanda sulla base dell’art. 4, n. 5, del regolamento. In tali casi è dunque evidente che la decisione sulla domanda di accesso è presa dall’istituzione considerando soltanto le eccezioni che derivano direttamente dalle norme del diritto comunitario.

69      Occorre in terzo luogo prendere atto del fatto che l’art. 4, n. 5, del regolamento non contiene, come i nn. 1‑4 del medesimo articolo, alcun riferimento alle disposizioni del diritto nazionale dello Stato membro.

70      Per quanto concerne in quarto luogo la circostanza che il quindicesimo ‘considerando’ del regolamento n. 1049/2001 sottolinea che lo stesso non si prefigge di modificare le normative nazionali in materia di accesso ai documenti, essa non è in grado, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale al punto 57 della sentenza impugnata, di esercitare un’influenza sulla portata che deve essere riconosciuta all’art. 4, n. 5, del regolamento. Infatti, letto nella sua interezza e insieme all’art. 5 del regolamento, al quale si riferisce, il citato ‘considerando’ ha soltanto lo scopo di ricordare che le domande di accesso a documenti detenuti dalle autorità nazionali rimangono, anche nel caso in cui tali documenti provengano dalle istituzioni comunitarie, disciplinate dalle norme nazionali applicabili a dette autorità, senza che le norme del regolamento n. 1049/2001 si sostituiscano ad esse, fatte salve le esigenze fissate dal citato art. 5 e dettate dall’obbligo di leale collaborazione di cui all’art. 10 CE.

71      Inoltre, documenti trasmessi da uno Stato membro ad un soggetto terzo non sono in alcun modo destinati a rimanere regolati dalle sole norme di tale Stato. Come correttamente sostiene il Regno di Svezia, un’istituzione comunitaria, in quanto autorità esterna distinta dagli Stati membri, fa parte, per quanto concerne l’accesso ai documenti da essa detenuti, di un ordinamento giuridico provvisto di regole proprie. Ne consegue, in particolare, che le regole che disciplinano tale accesso non possono avere l’effetto di modificare il diritto nazionale che, come osservato dall’avvocato generale al paragrafo 47 delle sue conclusioni, deve disciplinare le condizioni di accesso ad un documento detenuto da un’autorità nazionale.

72      In quinto luogo, come evidenziato dall’IFAW, l’interpretazione accolta dal Tribunale ha la conseguenza che l’accesso ad un medesimo tipo di documento, caratterizzato da un identico interesse per fare luce sul processo decisionale comunitario, potrebbe essere concesso o rifiutato sulla base della sola provenienza di tale documento.

73      Per limitarsi alle circostanze proprie della presente controversia, ne conseguirebbe che documenti della medesima natura, che potrebbero aver avuto un ruolo determinante nella decisione della Commissione di dare parere favorevole all’esecuzione di un progetto industriale in una zona tutelata ai sensi della direttiva habitat, sarebbero accessibili o inaccessibili al pubblico in funzione delle disposizioni o della politica in materia di accesso ai documenti dello Stato membro nel quale tale progetto deve essere eseguito.

74      In sesto luogo, per quanto riguarda il principio di sussidiarietà, è sufficiente constatare che, pur avendo invocato tale principio a sostegno della tesi comune che essi difendono, né il Regno di Spagna né il Regno Unito o la Commissione hanno dimostrato, o anche solo tentato di spiegare, il motivo per il quale tale principio si opporrebbe al fatto che la divulgazione di documenti provenienti dagli Stati membri e detenuti dalle istituzioni comunitarie nell’ambito dell’esercizio delle loro competenze decisionali proprie possa essere disciplinata dalle disposizioni comunitarie relative all’accesso ai documenti, o il motivo per cui esso imporrebbe che una tale divulgazione si sottragga a dette norme per essere disciplinata dalle sole regole nazionali.

75      Risulta da quanto precede che l’art. 4, n. 5, del regolamento n. 1049/2001 non può essere interpretato nel senso che esso conferisce allo Stato membro un diritto di veto generale e incondizionato che gli consente di opporsi in modo discrezionale alla divulgazione di documenti da esso provenienti detenuti da un’istituzione, cosicché l’accesso a tali documenti cesserebbe di essere disciplinato dalle disposizioni del regolamento per dipendere soltanto dalle disposizioni del diritto nazionale.

76      Per contro, vari elementi militano a favore di un’interpretazione dell’art. 4, n. 5, secondo la quale l’esercizio del potere riconosciuto da tale disposizione allo Stato membro interessato è circoscritto alle eccezioni specifiche elencate nei nn. 1‑3 dello stesso articolo, riconoscendosi in proposito allo Stato membro soltanto un potere di partecipazione alla decisione comunitaria. In tale prospettiva il previo accordo dello Stato membro cui fa riferimento il citato n. 5 si risolve così non in un diritto di veto discrezionale, ma in una forma di parere conforme circa l’assenza di motivi di eccezione ai sensi dei nn. 1‑3.

77      Al di là del fatto che tale interpretazione è compatibile sia con gli obiettivi perseguiti dal regolamento n. 1049/2001, come ricordato ai punti 53-56 della presente sentenza, sia con la necessità, richiamata al punto 66, di interpretare restrittivamente l’art. 4 del regolamento, la stessa può altresì inquadrarsi nel contesto normativo più immediato in cui si inserisce l’art. 4, n. 5, del regolamento.

78      Si deve infatti osservare che, mentre l’art. 4, nn. 1‑3, del regolamento n. 1049/2001 indica chiaramente talune eccezioni specifiche in grado di giustificare e, eventualmente, rendere necessario un rifiuto della comunicazione del documento richiesto, il n. 5 di tale articolo si limita a prevedere la necessità di un previo accordo dello Stato membro interessato nel caso in cui quest’ultimo abbia formulato una domanda specifica in tal senso.

79      Inoltre, il medesimo n. 5 segue una disposizione, il n. 4, che fissa una norma procedurale prevedendo, nelle circostanze ivi indicate, un obbligo di consultazione dei terzi.

80      Infine, il n. 7 del citato art. 4, il quale formula talune norme relative al periodo in cui devono essere applicate le varie eccezioni al diritto di accesso del pubblico ai documenti, fa esplicito riferimento alle sole eccezioni previste ai nn. 1‑3 dell’articolo stesso, senza fare alcun richiamo alle disposizioni del n. 5.

81      Sia la posizione del citato n. 5 nell’articolo in cui è inserito, sia il contenuto dell’articolo stesso consentono pertanto di affermare, alla luce degli obiettivi perseguiti dal regolamento n. 1049/2001, che l’art. 4, n. 5, dello stesso è una disposizione che si occupa del processo di adozione della decisione comunitaria.

82      Quanto alla discussione che le parti hanno intrapreso circa il valore giuridico della dichiarazione n. 35, è sufficiente osservare che l’interpretazione indicata al punto 76 della presente sentenza non è in ogni caso in contrasto con tale dichiarazione. Si deve infatti osservare che, sebbene quest’ultima sottolinei che gli Stati membri hanno inteso, adottando l’art. 255, n. 1, CE, riservarsi la possibilità di conservare un certo controllo sulla decisione di divulgare documenti da essi provenienti, essa non contiene per contro alcuna precisazione sulle ragioni di merito per le quali tale controllo potrebbe essere esercitabile.

83      Resta da precisare che, sebbene il processo decisionale così istituito dall’art. 4, n. 5, del regolamento n. 1049/2001 imponga che l’istituzione e lo Stato membro interessato si attengano alle eccezioni specifiche previste dall’art. 4, nn. 1‑3, del medesimo regolamento, resta il fatto che la tutela dei legittimi interessi degli Stati membri può essere garantita sulla base di tali eccezioni, oltre che utilizzando il regime speciale previsto dall’art. 9 del regolamento per i documenti sensibili.

84      Nulla, a tale proposito, consente in particolare di escludere che il rispetto di talune norme di diritto nazionale che tutelano un interesse pubblico o privato, le quali si oppongano alla divulgazione di un documento e siano invocate dallo Stato membro a tale fine, possa essere considerato un interesse degno di tutela sulla base delle eccezioni previste dal regolamento stesso (v., con riferimento alla normativa precedente al regolamento n. 1049/2001, sentenza Paesi Bassi e van der Wal/Commissione, cit., punto 26).

 Sulle conseguenze procedimentali del processo decisionale istituito dall’art. 4, n. 5, del regolamento n. 1049/2001

85      Quanto alle conseguenze procedimentali dell’art. 4, n. 5, del regolamento n. 1049/2001 così interpretato, si deve osservare in primo luogo che, dal momento che l’attuazione di norme del diritto comunitario è in tal modo affidata congiuntamente all’istituzione e allo Stato membro che ha esercitato la facoltà concessa dal citato n. 5, e che, pertanto, tale applicazione richiede che tra tali soggetti si instauri un dialogo, essi sono tenuti, conformemente all’obbligo di leale collaborazione espresso dall’art. 10 CE, ad agire e cooperare in modo che tali regole possano ricevere un’applicazione effettiva.

86      Ne consegue, in primo luogo, che l’istituzione investita di una domanda di accesso ad un documento proveniente da uno Stato membro e quest’ultimo devono, dal momento in cui tale domanda è stata notificata dall’istituzione allo Stato membro, avviare senza indugio un dialogo leale sull’eventuale applicazione delle eccezioni previste dall’art. 4, nn. 1‑3, del regolamento n. 1049/2001, prestando particolare attenzione alla necessità di consentire all’istituzione di esprimersi nei termini entro i quali gli artt. 7 e 8 del regolamento le impongono di pronunciarsi sulla domanda di accesso.

87      Quindi lo Stato membro interessato che, al termine di tale dialogo, si opponga alla divulgazione del documento in esame è tenuto, contrariamente a quanto ha sostenuto il Tribunale al punto 59 della sentenza impugnata, a motivare tale opposizione sulla base delle eccezioni in questione.

88      L’istituzione non può infatti accogliere l’opposizione manifestata da uno Stato membro alla divulgazione di un documento da esso proveniente qualora tale opposizione sia priva di qualunque motivazione, o qualora la motivazione dedotta non sia articolata con riferimento alle eccezioni indicate all’art. 4, nn. 1‑3, del regolamento n. 1049/2001. Nel caso in cui, nonostante l’invito esplicito in tal senso indirizzato dall’istituzione allo Stato membro interessato, quest’ultimo continui a non fornire tale motivazione, l’istituzione deve, qualora ritenga che non sia applicabile alcuna delle eccezioni in parola, concedere l’accesso al documento richiesto.

89      Infine, come risulta in particolare dagli artt. 7 e 8 del detto regolamento, l’istituzione è a sua volta tenuta a motivare la decisione di rifiuto da essa opposta all’autore della domanda di accesso. Tale obbligo implica che l’istituzione comunichi, nella sua decisione, non soltanto l’opposizione fatta valere dallo Stato membro interessato alla divulgazione del documento richiesto, ma anche i motivi invocati dallo Stato stesso per chiedere l’applicazione di una delle eccezioni al diritto di accesso previste dall’art. 4, nn. 1‑3, del medesimo regolamento. Tali indicazioni sono infatti in grado di consentire al richiedente di comprendere l’origine e i motivi del rifiuto che gli è stato opposto, ed al giudice competente di svolgere eventualmente il controllo che gli è affidato.

90      Si deve in secondo luogo precisare, a quest’ultimo proposito, che, nel caso in cui lo Stato membro rifiuti motivatamente di autorizzare l’accesso al documento in questione e l’istituzione si trovi pertanto obbligata a negare l’accesso, l’autore della domanda gode di una tutela giurisdizionale, contrariamente a quanto paventato, in particolare, dall’IFAW.

91      A tale proposito, è vero che risulta da una costante giurisprudenza che, nell’ambito di un ricorso proposto ai sensi dell’art. 230 CE, la Corte non è competente a statuire sulla legittimità di un atto emanato da un’autorità nazionale (v., in particolare, sentenza 3 dicembre 1992, causa C‑97/91, Oleificio Borelli/Commissione, Racc. pag. I‑6313, punto 9).

92      È altresì pacifico in giurisprudenza che questa constatazione non può essere infirmata dal fatto che l’atto di cui trattasi si inserisce nell’ambito di un iter decisionale comunitario, poiché dalla ripartizione delle competenze fra le autorità nazionali e le istituzioni comunitarie effettuata nella materia considerata emerge chiaramente che l’atto emanato dall’autorità nazionale vincola l’organo decisionale comunitario e determina pertanto i termini della decisione comunitaria da emanare (sentenza Oleificio Borelli/Commissione, cit., punto 10).

93      In questo caso, tuttavia, si deve osservare che l’art. 4, n. 5, del regolamento n. 1049/2001 non ha l’obiettivo, come altri regolamenti comunitari su cui la Corte è stata chiamata a pronunciarsi (v., in particolare, sentenza 6 dicembre 2001, causa C‑269/99, Carl Kühne e a., Racc. pag. I‑9517, punti 50-54), di introdurre una separazione tra due competenze, una nazionale e una comunitaria, che avrebbero oggetti distinti. Come è stato sottolineato al punto 76 della presente sentenza, la citata norma istituisce un processo decisionale che ha come unico scopo quello di determinare se l’accesso ad un documento debba essere rifiutato sulla base di una delle eccezioni specifiche indicate all’art. 4, nn. 1‑3, del regolamento, processo decisionale a cui partecipano, nei modi ricordati al punto 76, sia l’istituzione comunitaria che lo Stato membro interessato.

94      In un tale caso rientra nella competenza del giudice comunitario verificare, su domanda dell’interessato che si è visto opporre un rifiuto di accesso da parte dell’istituzione interpellata, se il rifiuto potesse validamente fondarsi sulle dette eccezioni, e ciò indipendentemente dal fatto che esso sia la conseguenza della valutazione di queste ultime effettuata dall’istituzione stessa oppure di quella compiuta dallo Stato membro in questione. Occorre inoltre evidenziare che, per quanto riguarda l’interessato in questione, l’intervento dello Stato membro non intacca il carattere comunitario della decisione a lui successivamente indirizzata dall’istituzione in risposta alla domanda di accesso che egli le ha rivolto in relazione a un documento da essa detenuto.

 Sull’annullamento della sentenza impugnata

95      Risulta da tutto quanto precede che il Tribunale ha commesso errori di diritto che giustificano l’annullamento della sentenza impugnata, laddove ha affermato, da un lato, ai punti 58 e 59 della stessa, che il rifiuto di concedere il proprio previo accordo alla divulgazione di un documento opposto da uno Stato membro ai sensi dell’art. 4, n. 5, del regolamento n. 1049/2001 non deve essere motivato e, nonostante l’assenza di motivazione, vale quale ordine all’istituzione interessata di non divulgare il documento, senza che la stessa possa valutare se la non divulgazione del documento sia giustificata; inoltre laddove, al punto 61 della sentenza, ha affermato che una simile opposizione dello Stato membro ha la conseguenza che l’accesso al documento in esame, in un simile caso, è disciplinato non dal regolamento in questione, ma dalle applicabili disposizioni del diritto nazionale.

96      Ai sensi dell’art. 61, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia, quest’ultima, in caso di annullamento della decisione del Tribunale, può statuire definitivamente sulla controversia, qualora lo stato degli atti lo consenta. Tale è il caso nelle presenti circostanze.

 Sul ricorso di primo grado

97      Sulla base di tutto quanto precede si deve osservare che giustamente l’IFAW ha sostenuto, con il primo motivo elaborato a sostegno del suo ricorso dinanzi al Tribunale, che la decisione contestata ha violato l’art. 4 del regolamento n. 1049/2001.

98      Tale decisione è stata infatti adottata dalla Commissione sulla base di un’interpretazione errata dell’art. 4, n. 5, del regolamento n. 1049/2001, secondo la quale uno Stato membro potrebbe, ai sensi di tale disposizione, opporsi discrezionalmente e senza condizioni alla divulgazione di un documento da esso proveniente, senza essere tenuto né a fondare la propria opposizione sui motivi di eccezione elencati all’art. 4, nn. 1‑3, del regolamento n. 1049/2001, né a motivare la stessa.

99      Ebbene, come risulta dai punti 52-89 della presente sentenza, il citato art. 4, n. 5, autorizza lo Stato membro a opporsi alla divulgazione di documenti da esso provenienti soltanto sulla base delle ricordate eccezioni e motivando debitamente la propria posizione in proposito. Tale norma richiede inoltre che l’istituzione che riceve tale opposizione si accerti, una volta esaurite le possibilità di dialogo leale con lo Stato membro interessato ricordate al punto 86 della presente sentenza, dell’esistenza della motivazione in questione, dandone atto nella decisione di rifiuto dell’accesso che essa adotta.

100    Di conseguenza la decisione contestata deve essere annullata. Non è quindi necessario che la Corte si pronunci sul secondo motivo fatto valere a sostegno del ricorso dinanzi al Tribunale, fondato sulla violazione dell’obbligo di motivazione.

 Sulle spese

101    L’art. 122, primo comma, del regolamento di procedura prevede che, quando l’impugnazione è accolta e la controversia viene definitivamente decisa dalla Corte, quest’ultima statuisce sulle spese. Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del medesimo regolamento, articolo applicabile al procedimento di impugnazione ai sensi dell’art. 118 dello stesso, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Il n. 4, primo comma, del medesimo art. 69 prevede che gli Stati membri intervenuti nella causa sopportino le proprie spese.

102    Poiché l’impugnazione è stata accolta, la Commissione deve essere condannata a sopportare le spese sostenute in tale procedimento di impugnazione dal Regno di Svezia e dall’IFAW, che ne hanno fatto domanda.

103    La Commissione e le altre parti del procedimento di impugnazione sopporteranno le proprie spese relative al procedimento stesso.

104    Inoltre, poiché la Corte ha accolto il ricorso presentato dall’IFAW in primo grado, la Commissione deve essere altresì condannata a sopportare le spese sostenute dall’IFAW dinanzi al Tribunale, come richiesto da tale parte nel proprio ricorso.

105    La Commissione e gli Stati membri intervenuti dinanzi al Tribunale sopporteranno le proprie spese relative al procedimento di primo grado.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara e statuisce:

1)      È annullata la sentenza del Tribunale di primo grado delle Comunità europee 30 novembre 2004, causa T‑168/02, IFAW Internationaler Tierschutz-Fonds/Commissione.

2)      È annullata la decisione della Commissione delle Comunità europee 26 marzo 2002, che ha negato all’IFAW Internationaler Tierschutz-Fonds gGbmH l’accesso a taluni documenti ricevuti dalla Commissione nell’ambito di un procedimento al termine del quale tale istituzione ha espresso parere favorevole alla realizzazione di un progetto industriale in un sito protetto ai sensi della direttiva del Consiglio 21 maggio 1992, 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche.

3)      La Commissione delle Comunità europee è condannata a sopportare le spese sostenute dal Regno di Svezia nell’ambito del procedimento di impugnazione, nonché quelle sostenute dall’IFAW Internationaler Tierschutz-Fonds gGbmH sia in quest’ultimo procedimento che in quello di primo grado, conclusosi con la sentenza del Tribunale di primo grado delle Comunità europee 30 novembre 2004, IFAW Internationaler Tierschutz-Fonds/Commissione.

4)      Il Regno di Danimarca, il Regno di Spagna, il Regno dei Paesi Bassi, la Repubblica di Finlandia, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e la Commissione delle Comunità europee sopporteranno le proprie spese relative all’impugnazione.

5)      Il Regno di Danimarca, il Regno dei Paesi Bassi, il Regno di Svezia, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e la Commissione delle Comunità europee sopporteranno le proprie spese relative al procedimento di primo grado.

Firme


* Lingua processuale: l’inglese.