Language of document : ECLI:EU:T:2005:369

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Prima Sezione)

25 ottobre 2005 (*)

«Dipendenti – Retribuzione – Indennità di dislocazione – Art. 4, n. 1, lett. a), dell’allegato VII dello Statuto – Servizi effettuati per un altro Stato – Nozione di residenza abituale – Motivazione – Principio della parità di trattamento»

Nella causa T‑298/02,

Anna Herrero Romeu, dipendente della Commissione delle Comunità europee, residente a Bruxelles (Belgio), rappresentata dagli avv.ti J. García‑Gallardo Gil‑Fournier, J. Guillem Carrau, D. Domínguez Pérez e A. Sayagués Torres,

ricorrente,

contro

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal sig. J. Currall, in qualità di agente, assistito dagli avv.ti J. Rivas‑Andrés e J. Gutiérrez Gisbert, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

avente ad oggetto la domanda di annullamento della decisione 10 giugno 2002 con cui la Commissione ha rifiutato alla ricorrente il beneficio dell’indennità di dislocazione di cui all’art. 4 dell’allegato VII dello Statuto del personale delle Comunità europee, nonché delle indennità ad essa collegate,

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO

DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Prima Sezione),

composto dai sigg. J. D. Cooke, presidente, R. García‑Valdecasas e dalla sig.ra V. Trstenjak, giudici,

cancelliere: sig. J. Palacio González, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 16 e del 17 febbraio 2005,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Ambito normativo

1        L’art. 69 dello Statuto del personale delle Comunità europee (in prosieguo: lo «Statuto»), nella sua versione applicabile alla causa in esame, dispone che l’indennità di dislocazione è pari al 16% dell’ammontare complessivo dello stipendio base, dell’assegno di famiglia e dell’assegno per figli a carico ai quali il funzionario ha diritto.

2        Ai sensi dell’art. 4, n. 1, dell’allegato VII dello Statuto:

«Un’indennità di dislocazione pari al 16% dell’ammontare complessivo dello stipendio base, dell’assegno di famiglia e dell’assegno per figli a carico versati al funzionario è concessa:

a)      al funzionario:

–        che non ha e non ha mai avuto la nazionalità dello Stato sul cui territorio è situata la sede di servizio

e

–        che non ha, abitualmente, abitato o svolto la sua attività professionale principale sul territorio europeo di detto Stato durante il periodo di cinque anni che scade sei mesi prima della sua entrata in servizio. Per l’applicazione della presente disposizione, non si tiene conto delle situazioni risultanti da servizi effettuati per un altro Stato o per un’organizzazione internazionale;

(…)».

 Fatti all’origine del ricorso

3        La ricorrente, cittadina spagnola, ha svolto la sua attività professionale, fra il gennaio 1993 e il novembre 2001, in seno alla delegazione, a Bruxelles, del Patronat Català Pro Europa (in prosieguo: il «Patronat»), ente incaricato di gestire gli interessi del governo della Comunità autonoma di Catalogna (Comunidad Autónoma de Cataluña) presso le istituzioni comunitarie a Bruxelles, in forza di un contratto firmato il 15 gennaio 1993 col Patronat.

4        Il 16 novembre 2001 la ricorrente è entrata in servizio presso la Commissione in qualità di funzionario. Il periodo di cinque anni menzionato all’art. 4, n. 1, lett. a), secondo trattino, dell’allegato VII dello Statuto ai fini del beneficio dell’indennità di dislocazione, denominato il «periodo di riferimento», era nella fattispecie compreso fra il 16 maggio 1996 e il 15 maggio 2001.

5        Il 19 novembre 2001 la ricorrente ha avuto un colloquio con i servizi della direzione generale (DG) «Personale e amministrazione», al fine di determinare i suoi diritti e di completare la sua scheda personale di entrata in servizio. Durante tale riunione, essa veniva informata oralmente che il beneficio dell’indennità di dislocazione non poteva, provvisoriamente, esserle accordato. La scheda personale redatta alla detta data menzionava del pari che l’indennità le era negata.

6        Il 18 gennaio 2002 la ricorrente ha inviato una nota al capo dell’unità «Gestione dei diritti individuali» della DG «Personale e amministrazione», chiedendogli di comunicarle le disposizioni vigenti in materia di indennità dei nuovi funzionari che avevano lavorato precedentemente per delegazioni di rappresentanza delle regioni a Bruxelles. Non avendo detta nota ricevuto alcuna risposta da parte della Commissione, la ricorrente ha reiterato la sua domanda con lettera 14 febbraio 2002.

7        Il 14 febbraio 2002 la ricorrente ha presentato un reclamo, in forza dell’art. 90, n. 2, dello Statuto, contro la decisione 19 novembre 2001.

8        Con decisione 10 giugno 2002 l’autorità che ha il potere di nomina (in prosieguo: l’«APN») ha respinto il reclamo della ricorrente. Dalla detta decisione risulta che l’indennità di dislocazione e le indennità ad essa collegate sono state negate alla ricorrente in applicazione dell’art. 4, n. 1, lett. a), dell’allegato VII dello Statuto, in quanto essa aveva abitato e svolto la sua attività professionale a Bruxelles durante il periodo di cinque anni che scadeva sei mesi prima della sua entrata in servizio. In particolare, l’APN ha considerato che la sua attività professionale al servizio del Patronat non poteva essere equiparata a «servizi effettuati per un altro Stato» ai sensi dell’eccezione di cui al detto art. 4 e, pertanto, poteva essere presa in considerazione.

 Procedimento e conclusioni delle parti

9        Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 1° ottobre 2002, la ricorrente ha proposto il ricorso in esame.

10      Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Prima Sezione) ha deciso di passare alla fase orale. Nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento, il Tribunale ha invitato le parti, nonché il Regno di Spagna, a produrre taluni documenti e a rispondere a quesiti scritti. Le parti e il Regno di Spagna hanno ottemperato alle dette richieste entro i termini stabiliti.

11      Le parti hanno svolto le loro osservazioni orali e risposto ai quesiti del Tribunale all’udienza del 16 e 17 febbraio 2005.

12      La ricorrente conclude che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione 10 giugno 2002 che le rifiuta il beneficio dell’indennità di dislocazione e indennità ad essa collegate;

–        condannare la Commissione a tutte le spese, comprese le spese causate dalla fase amministrativa del procedimento.

13      La Commissione conclude che il Tribunale voglia:

–        dichiarare il ricorso infondato;

–        condannare la ricorrente al pagamento delle proprie spese.

 In diritto

 Sull’oggetto della lite

14      Benché la domanda della ricorrente miri all’annullamento della decisione 10 giugno 2002 con cui la Commissione respinge il reclamo presentato il 14 febbraio 2002, in forza dell’art. 90, n. 2, dello Statuto, contro la decisione 19 novembre 2001, il ricorso in esame mira, conformemente alla giurisprudenza costante, a investire il Tribunale dell’atto lesivo contro il quale è stato presentato il reclamo (sentenze del Tribunale 9 luglio 1997, causa T‑156/95, Echauz Brigaldi e a./Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑171 e II‑509, punto 23, e 15 dicembre 1999, causa T‑300/97, Latino/Commissione, Racc. PI pag. II‑1263, punto 30). Ne consegue che il ricorso in esame mira del pari all’annullamento della decisione 19 novembre 2001 con cui la Commissione nega alla ricorrente il beneficio dell’indennità di dislocazione e delle indennità ad essa collegate.

A –  Sull’indennità di dislocazione

15      La ricorrente adduce, in sostanza, quattro motivi a sostegno del suo ricorso. Col primo motivo essa fa valere la violazione dell’art. 4, n. 1, lett. a), dell’allegato VII dello Statuto. Il secondo motivo riguarda l’errore di valutazione dei fatti. Il terzo motivo attiene alla violazione dell’obbligo di motivazione. Infine, il quarto motivo si basa sulla violazione del principio della parità di trattamento.

1.     Sul primo motivo, riguardante la violazione dell’art. 4, n. 1, lett. a), dell’allegato VII dello Statuto

 Argomenti delle parti

16      La ricorrente sostiene di aver diritto all’indennità di dislocazione e che la Commissione ha erratamente interpretato l’eccezione di cui all’art. 4, n. 1, lett. a), dell’allegato VII dello Statuto. La sua attività professionale in seno al Patronat a Bruxelles dovrebbe essere considerata come «servizi effettuati per un altro Stato», nella specie lo Stato spagnolo, e, pertanto, tale periodo di lavoro dovrebbe essere «neutralizzato» dall’eccezione di cui all’art. 4 dell’allegato VII dello Statuto e non considerato per la determinazione del periodo di riferimento.

17      In primo luogo, la ricorrente sostiene che la giurisprudenza della Corte ha stabilito una nozione comunitaria di Stato che rispetta parzialmente il concetto di Stato, quale previsto dall’ordinamento giuridico interno di ciascun Stato membro. La Corte avrebbe considerato infatti che le autorità pubbliche che integrano la nozione di Stato sarebbero tanto il governo centrale quanto le autorità giurisdizionali e legislative, gli enti decentralizzati e persino taluni organismi considerati come emanazioni dello Stato (sentenze della Corte 26 febbraio 1986, causa 152/84, Marshall, Racc. pag. 723, e 10 marzo 1987, causa 199/85, Commissione/Italia, Racc. pag. 1039). Inoltre, la Corte avrebbe precisato che lo Stato svolge tanto funzioni tradizionali di sovranità o di autorità quanto funzioni di intervento economico, che sarebbero svolte dalle autorità pubbliche come dagli organismi di diritto pubblico o di diritto privato (sentenze della Corte 17 dicembre 1980, causa 149/79, Commissione/Belgio, Racc. pag. 3881, e 30 gennaio 1985, causa 290/83, Commissione/Francia, Racc. pag. 439).

18      In secondo luogo, la ricorrente formula considerazioni relative alla nozione di Stato nell’ordinamento giuridico spagnolo. Essa ricorda quindi che la Costituzione spagnola ha stabilito un ordinamento giuridico profondamente decentralizzato, denominato «Stato delle Autonomie», caratterizzato da una ripartizione delle competenze fra l’amministrazione centrale e le comunità autonome. A livello delle competenze in materia di diritto comunitario il Tribunal Constitucional (Corte costituzionale spagnola) avrebbe considerato che l’Unione europea non era uno spazio internazionale, e che le questioni relative all’ordinamento giuridico comunitario dovevano essere equiparate a questioni di ordinamento interno. In particolare, il Tribunal Constitucional avrebbe affermato nella sua decisione 26 maggio 1994, n. 165, che, a differenza delle relazioni internazionali la cui competenza esclusiva spetterebbe al governo centrale, «le comunità autonome sarebbero direttamente interessate all’attività delle Comunità europee». Pertanto, la ripartizione delle competenze obbligherebbe le comunità autonome a seguire lo sviluppo delle attività legislative delle istituzioni europee, poiché esse sarebbero, in più casi, le autorità incaricate di recepire la normativa comunitaria che subiscono per giunta i suoi effetti diretti, il che giustificherebbe la presenza degli uffici di rappresentanza delle comunità autonome presso l’Unione europea.

19      Inoltre, la ricorrente espone i vari strumenti che sono stati creati al fine di facilitare la gestione delle questioni europee da parte del governo centrale spagnolo e delle comunità autonome, quali la «Conferencia para los asuntos relativos a las Comunidades Europeas (CARCE)» (conferenza per le questioni relative alle Comunità europee), che sarebbe stata instaurata nel 1992 allo scopo di aumentare la cooperazione fra il governo centrale e le comunità autonome nelle materie comunitarie. In forza degli accordi adottati in tale ambito, le comunità autonome parteciperebbero dal 1998 alle riunioni dei comitati consultivi presieduti dalla Commissione e, inoltre, il personale delle comunità autonome e della rappresentanza permanente del Regno di Spagna procederebbero a riunioni settoriali tecniche al fine di garantire il controllo dei lavori del Consiglio e delle iniziative legislative comunitarie. Per di più, il personale che lavora per le delegazioni delle comunità autonome sarebbe soggetto allo stesso regime di assicurazione malattia (accesso alla sicurezza sociale spagnola mediante i formulari E 111 ed E 106) e allo stesso regime tributario (art. 19 della convenzione stipulata nel 1970 fra il Regno di Spagna e il Regno del Belgio al fine di evitare la doppia imposizione sui redditi; in prosieguo: la «convenzione relativa alla doppia imposizione») del personale diplomatico della Rappresentanza permanente del Regno di Spagna.

20      In terzo luogo, la ricorrente fa valere che, nel caso della Comunità autonoma di Catalogna, il Patronat è l’ente di diritto pubblico creato nel 1982 dal governo catalano in vista dell’adesione del Regno di Spagna alle Comunità europee e che, a partire dalla detta data, segue e partecipa allo sviluppo legislativo comunitario, difendendo gli interessi e canalizzando le incertezze e le aspettative della detta Comunità autonoma. Tale ente farebbe quindi parte integrante dell’amministrazione della Comunità autonoma di Catalogna e, pertanto, dello Stato spagnolo, e per questo motivo i servizi che la ricorrente avrebbe fornito per il Patronat avrebbero il carattere di servizi effettuati per lo Stato spagnolo.

21      La ricorrente aggiunge che, sebbene la nozione di Stato debba essere interpretata autonomamente, una nozione basata sugli ordinamenti giuridici interni degli Stati membri non snaturerebbe l’eccezione ex art. 4 dell’allegato VII dello Statuto, poiché la stessa Commissione avrebbe ammesso, all’atto del colloquio di entrata in servizio, che, nel caso degli Stati federali, i servizi forniti dal personale degli enti regionali rientrerebbero nella sfera d’applicazione dell’eccezione in parola. Peraltro, siffatta nozione autonoma non porterebbe ad affermare che ogni ente municipale fornirebbe servizi per lo Stato, poiché, a differenza dei detti enti, le competenze delle comunità autonome non sarebbero state affidate dallo Stato, ma sarebbero competenze proprie, previste dalla Costituzione spagnola. Infine, la ricorrente precisa che essa non intende equiparare il suo status a quello del corpo diplomatico, ma a quello del personale di una rappresentanza permanente che non fa parte del corpo diplomatico. Orbene, se l’immunità diplomatica fosse un elemento decisivo, non vi sarebbe alcun motivo di applicare la summenzionata eccezione a tutto il personale di siffatta rappresentanza come lo farebbe la Commissione.

22      La Commissione considera che, anche se le comunità autonome spagnole sono titolari di varie competenze proprie loro trasferite direttamente dall’amministrazione generale dello Stato in applicazione della Costituzione spagnola, ciò non significa che le comunità autonome siano Stati, né che il lavoro svolto in seno al Patronat sia considerato come servizi effettuati per uno Stato, ai sensi dell’eccezione di cui all’art. 4 dell’allegato VII dello Statuto.

 Giudizio del Tribunale

23      Secondo una giurisprudenza costante, l’indennità di dislocazione ha lo scopo di compensare gli oneri e gli svantaggi particolari risultanti dall’esercizio permanente di funzioni in un paese col quale il funzionario non ha stabilito legami duraturi prima della sua entrata in servizio (sentenze del Tribunale 30 marzo 1993, causa T‑4/92, Vardakas/Commissione, Racc. pag. II‑357, punto 39; 14 dicembre 1995, causa T‑72/94, Diamantaras/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑285 e II‑865, punto 48, e 28 settembre 1999, causa T‑28/98, J/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑185 e II‑973, punto 32). Perché siffatti legami duraturi possano stabilirsi e far così perdere al funzionario il beneficio dell’indennità di dislocazione, il legislatore esige che il funzionario abbia avuto la sua residenza abituale o abbia svolto la sua attività professionale principale durante un periodo di cinque anni nel paese in cui si trova la sua sede di servizio (citata sentenza Diamantaras/Commissione, punto 48).

24      Si deve del pari ricordare che un’eccezione è prevista dall’art. 4, n. 1, lett. a), secondo trattino, dell’allegato VII dello Statuto a favore delle persone che abbiano effettuato servizi per un altro Stato o un’organizzazione internazionale durante il periodo di riferimento di cinque anni che scade sei mesi prima della loro entrata in servizio. Questa eccezione è dovuta al fatto che, in tali casi, non si può ritenere che tali persone abbiano stabilito legami duraturi col paese in cui si trova la sede di servizio a causa del carattere temporaneo del loro comando in tale paese (sentenze della Corte 15 gennaio 1981, causa 1322/79, Vutera/Commissione, Racc. pag. 127, punto 8, e 2 maggio 1985, causa 246/83, De Angelis/Commissione, Racc. pag. 1253, punto 13).

25      La ricorrente è entrata in servizio presso la Commissione il 16 novembre 2001 e, di conseguenza, il periodo di riferimento da prendere in considerazione per l’applicazione dell’art. 4 dell’allegato VII dello Statuto è quello compreso fra il 16 maggio 1996 e il 15 maggio 2001. È pacifico fra le parti che, durante tale periodo di riferimento, la ricorrente ha svolto la sua attività professionale principale in seno alla delegazione del Patronat a Bruxelles.

26      La questione nel caso in esame è di stabilire se il lavoro svolto dalla ricorrente per la delegazione del Patronat a Bruxelles debba essere considerato, come sostiene la ricorrente, come servizi effettuati per uno Stato, ai sensi dell’art. 4, n. 1, lett. a), dell’allegato VII dello Statuto.

27      Per giurisprudenza costante, dalle esigenze tanto dell’applicazione uniforme del diritto comunitario quanto del principio della parità di trattamento discende che i termini di una disposizione di diritto comunitario che non comporta alcun rinvio espresso al diritto degli Stati membri per determinare il suo senso e la sua portata devono di regola trovare in tutta la Comunità un’interpretazione autonoma e uniforme, che dev’essere individuata tenendo conto del contesto della disposizione e dell’obiettivo perseguito dalla regolamentazione di cui trattasi. In mancanza di un rinvio espresso, l’applicazione del diritto comunitario può tuttavia implicare, se del caso, un rinvio al diritto degli Stati membri quando il giudice comunitario non può rinvenire nel diritto comunitario o nei principi generali del diritto comunitario gli elementi che gli consentano di precisarne il contenuto e la portata mediante un’interpretazione autonoma (v., sentenza della Corte 18 gennaio 1984, causa 327/82, Ekro, Racc. pag. 107, punto 11; sentenza del Tribunale 18 dicembre 1992, causa T‑43/90, Díaz García/Parlamento, Racc. pag. II‑2619, punto 36; 28 gennaio 1999, causa T‑264/97, D/Consiglio, Racc. PI pagg. I‑A‑1 e II‑1, punti 26 e 27, confermata con la sentenza della Corte 31 maggio 2001, cause riunite C‑122/99 P e C‑125/99 P, Svezia/Consiglio, Racc. pag. I‑4319).

28      Nella specie, il diritto comunitario e, in particolare, lo Statuto forniscono indicazioni sufficienti che consentono di precisare la portata dell’art. 4 dell’allegato VII dello Statuto e, pertanto, di stabilire un’interpretazione autonoma della nozione di Stato rispetto ai vari diritti nazionali, come le stesse parti hanno ammesso nei loro atti.

29      In primo luogo, la Corte ha affermato come dal sistema generale del Trattato emerga con chiarezza che la nozione di Stato membro, ai sensi delle norme istituzionali, comprende le sole autorità di governo degli Stati membri e non può estendersi agli esecutivi di regioni o di comunità autonome, indipendentemente dalla portata delle competenze loro attribuite. Ammettere il contrario equivarrebbe a mettere in pericolo l’equilibrio istituzionale voluto dai Trattati, i quali determinano in particolare le condizioni nelle quali gli Stati membri, vale a dire gli Stati firmatari dei trattati istitutivi e di quelli di adesione, partecipano al funzionamento delle istituzioni comunitarie (ordinanze della Corte 21 marzo 1997, causa C‑95/97, Regione vallona/Commissione, Racc. pag. I‑1787, punto 6, e 1° ottobre 1997, causa C‑180/97, Regione Toscana/Commissione, Racc. pag. I‑5245, punto 6).

30      In secondo luogo, secondo una giurisprudenza costante, le disposizioni dello Statuto, che mirano soltanto a disciplinare i rapporti giuridici fra le istituzioni e i funzionari stabilendo diritti ed obblighi reciproci, comportano una terminologia precisa la cui estensione analogica a casi non considerati espressamente è esclusa (sentenze della Corte 16 marzo 1971, causa 48/70, Bernardi/Parlamento, Racc. pag. 175, punti 11 e 12, e 20 giugno 1985, causa 123/84, Klein/Commissione, Racc. pag. 1907, punto 23; sentenza del Tribunale 19 luglio 1999, causa T‑74/98, Mammarella/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑151 e II‑797, punto 38).

31      Nell’art. 4 dell’allegato VII dello Statuto il legislatore ha scelto il termine «Stato» mentre vi erano già, all’epoca in cui lo Statuto è stato adottato, Stati membri a struttura federale o regionale, quali la Repubblica federale di Germania, e non unicamente Stati dotati di una struttura interna di natura centralizzata. Pertanto, il legislatore comunitario, se avesse voluto introdurre le ripartizioni politiche o gli enti locali in tale articolo, lo avrebbe fatto espressamente. Si potrebbe considerare che gli autori dello Statuto non hanno avuto l’intenzione di includere le suddivisioni politiche di uno Stato, quali i governi delle regioni, delle comunità autonome o di altri enti locali, nell’espressione «servizi effettuati per un altro Stato» figurante nello stesso articolo.

32      Dall’insieme delle precedenti considerazioni risulta che la nozione di «Stato» di cui all’art. 4 dell’allegato VII dello Statuto riguarda soltanto lo Stato, in quanto persona giuridica e soggetto unitario del diritto internazionale, e i suoi organi di governo. Un’interpretazione come quella proposta dalla ricorrente potrebbe indurre, come sostiene la Commissione, a considerare come Stati tutti gli enti pubblici dotati di una personalità giuridica propria ai quali il governo centrale abbia trasferito competenze interne, compresi i comuni o qualsiasi ente a cui un’amministrazione abbia delegato funzioni.

33      Pertanto, si deve interpretare l’espressione «servizi effettuati per un altro Stato», di cui all’art. 4 dell’allegato VII dello Statuto, nel senso che essa non si riferisce ai servizi forniti per i governi delle suddivisioni politiche degli Stati.

34      Da quanto precede discende che i servizi forniti dalla ricorrente per la delegazione del Patronat a Bruxelles non possono essere considerati come servizi effettuati per uno Stato ai sensi dell’art. 4 dell’allegato VII dello Statuto.

35      Tale valutazione non può essere rimessa in discussione dall’argomento della ricorrente relativo all’esistenza di una nozione autonoma di Stato in diritto comunitario che comprenderebbe le entità decentralizzate. Anche se, conformemente alla giurisprudenza citata dalla ricorrente in materia di dichiarazione di inadempimento di Stato, si deve considerare che le autorità di uno Stato cui tocca assicurare il rispetto delle norme del diritto comunitario sono tanto le autorità del potere centrale, le autorità di uno Stato federale quanto le autorità territoriali o decentralizzate del detto Stato nell’ambito delle loro rispettive competenze, va del pari ricordato che il ricorso col quale la Corte può dichiarare che uno Stato membro è venuto meno a uno degli obblighi incombentigli riguarda soltanto il governo di quest’ultimo, anche quando l’inadempimento risulti dall’azione o dall’inerzia delle autorità di uno Stato federato, di una regione o di una comunità autonoma (ordinanze Regione vallona/Commissione, citata, punto 7, e Regione Toscana/Commissione, precitata, punto 7). Tale giurisprudenza non può quindi essere validamente invocata a sostegno della tesi dell’interpretazione ampia della nozione di «Stato» caldeggiata dalla ricorrente.

36      Del pari, devono essere respinti gli argomenti addotti dalla ricorrente relativi alle competenze proprie delle comunità autonome nell’ordinamento giuridico spagnolo nonché ai termini della decisione del Tribunal Constitucional spagnolo. È vero che le comunità autonome godono di competenze proprie, assegnate loro conformemente alla Costituzione spagnola, e che la precitata decisione del Tribunal Constitucional 26 maggio 1994 afferma che, in forza delle dette competenze, le stesse hanno un interesse a seguire le attività delle istituzioni comunitarie e a informarsi al riguardo, e possono avere uffici a Bruxelles a tale scopo. Tuttavia, occorre rilevare che la decisione del Tribunal Constitucional disciplina un problema di diritto interno spagnolo in base alla Costituzione spagnola e che, in tale prospettiva, essa ricorda chiaramente che i trattati istitutivi prevedono la partecipazione dei soli Stati membri all’attività comunitaria e che ciò esclude l’esistenza di rapporti fra enti intrastatali, quali le comunità autonome, e le istituzioni comunitarie, che possano far sorgere in qualsiasi modo la responsabilità dello Stato spagnolo. Del resto, secondo il Tribunal Constitucional, siffatti rapporti non sono possibili, tenuto conto della stessa struttura dell’Unione europea. In ogni caso, l’interpretazione del diritto comunitario spetta, in ultimo luogo, agli organi giurisdizionali comunitari, ai sensi dell’art. 220 CE.

37      Per di più, occorre osservare che le delegazioni delle comunità autonome spagnole a Bruxelles hanno il compito di gestire gli interessi delle amministrazioni che esse rappresentano, interessi che non coincidono necessariamente con quelli delle altre comunità autonome e con quelli del Regno di Spagna, in quanto Stato.

38      La ricorrente non può neanche basarsi sul fatto che era soggetta allo stesso regime di assicurazione malattia e allo stesso regime tributario del personale occupato presso la Rappresentanza permanente del Regno di Spagna a Bruxelles.

39      Si deve ricordare, da un lato, che la convenzione relativa alla doppia imposizione, adottata qualche anno dopo lo Statuto, dispone, all’art. 19, n. 1, che «le retribuzioni, comprese le pensioni, versate da uno Stato contraente o da una delle sue suddivisioni politiche o enti locali (…) ad una persona fisica per i servizi resi a detto Stato o ad una delle sue suddivisioni politiche o enti locali, sono soggetti ad imposta soltanto in detto Stato». Tale convenzione distingue quindi fra i servizi resi a uno Stato e i servizi resi a una suddivisione politica di uno Stato, distinzione non effettuata dall’art. 4 dell’allegato VII dello Statuto.

40      D’altro lato, per quanto riguarda il regime di assicurazione malattia, i formulari E 106 e E 111 si limitano ad attestare il diritto di una persona a beneficiare dell’assistenza sanitaria in un paese diverso da quello in cui essa è di regola assicurata o è stata assicurata precedentemente. Quanto al formulario E 106, si deve notare, inoltre, che esso è rilasciato non soltanto ai diplomatici e agli altri membri della Rappresentanza permanente del Regno di Spagna presso l’Unione europea, ma anche a numerose altre categorie di persone che lavorano al di fuori del territorio spagnolo.

41      Infine, per quanto attiene all’argomento della ricorrente relativo alla partecipazione dei rappresentanti delle comunità autonome ai comitati consultivi della Commissione, si deve osservare che l’eccezione figurante all’art. 4, n. 1, lett. a), secondo trattino, dell’allegato VII dello Statuto non si può limitare alle sole persone che abbiano fatto parte del personale di un altro Stato o di un’organizzazione internazionale, poiché essa riguarda tutte «le situazioni risultanti da servizi effettuati per un altro Stato o un’organizzazione internazionale» (sentenze del Tribunale Diamantaras/Commissione, citata, punto 52, e 3 maggio 2001, causa T‑60/00, Liaskou/Consiglio, Racc. PI pagg. I‑A‑107 e II‑489, punto 49). Il beneficio dell’eccezione prevista dal detto art. 4 richiede, tuttavia, che l’interessato abbia avuto rapporti giuridici diretti con lo Stato o con l’organizzazione internazionale di cui trattasi, il che è conforme all’autonomia di cui godono gli Stati e le istituzioni nell’organizzazione interna dei loro servizi, che li autorizza a invitare terzi non appartenenti alla loro struttura gerarchica a proporre i loro servizi al fine di garantire l’esecuzione di lavori ben determinati (sentenze del Tribunale 22 marzo 1995, causa T‑43/93, Lo Giudice/Parlamento, Racc. PI pagg. I‑A‑57 e II‑189, punto 36, e 11 settembre 2002, causa T‑127/00, Nevin/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑149 e II‑781, punto 51).

42      A questo proposito è sufficiente constatare che la ricorrente ha espressamente ammesso all’udienza che non ha mai integrato né fatto parte della delegazione spagnola che partecipa alle riunioni degli organi del Consiglio e della Commissione che si sono svolte durante il periodo di riferimento che le era applicabile. La ricorrente non ha neanche sostenuto di aver eventualmente mantenuto un qualsivoglia rapporto giuridico diretto col governo centrale dello Stato spagnolo che consentisse di considerare che ha effettuato servizi per lo Stato spagnolo durante tale periodo.

43      Stando così le cose, non si può considerare che la ricorrente abbia fornito servizi per uno Stato ai sensi dell’art. 4 dell’allegato VII dello Statuto.

44      Alla luce di quanto precede, il primo motivo dev’essere respinto.

2.     Sul secondo motivo, relativo all’errore di valutazione dei fatti

 Argomenti delle parti

45      La ricorrente fa valere che la Commissione ha commesso un errore di valutazione dei fatti, poiché la sua residenza abituale e il suo centro di interessi durante il periodo di riferimento di cui all’art. 4 dell’allegato VII dello Statuto si sono sempre trovati in Spagna e non in Belgio. La residenza a Bruxelles durante l’esercizio della sua attività lavorativa alle dipendenze del Patronat sarebbe stata soltanto provvisoria e secondaria, di modo che la ricorrente avrebbe diritto all’indennità di dislocazione di cui all’art. 4 dell’allegato VII dello Statuto. A sostegno di tale affermazione la ricorrente adduce i seguenti elementi che proverebbero che il suo centro di interessi e la sua residenza abituale sarebbero sempre stati a Barcellona (Spagna):

–        residenza principale a Barcellona, al domicilio della sua famiglia, e domicilizzazione presso l’amministrazione comunale di Barcellona, in cui essa sarebbe iscritta nei registri elettorali, eserciterebbe i suoi diritti di elettore e rinnoverebbe il suo documento di identità;

–        contratto di lavoro di diritto spagnolo, firmato a Barcellona e disciplinato dalla normativa spagnola in materia di diritto tributario e previdenziale;

–        pagamento delle imposte in Spagna, dove essa presenterebbe la sua dichiarazione annuale di lavoratore dipendente spagnolo soggetto all’art. 19 della convenzione relativa alla doppia imposizione;

–        assicurazione medica di diritto spagnolo in base al formulario E 111, successivamente in base al formulario E 106, in quanto personale distaccato a Bruxelles;

–        conto bancario aperto e assicurazione vita stipulata a Barcellona;

–        prestito ipotecario stipulato a Barcellona, per acquisire la proprietà di un appartamento in tale città.

46      La ricorrente aggiunge che i legami conservati con la Spagna sarebbero maggiori di quelli abitualmente conservati col paese di residenza dei suoi genitori, poiché ha effettuato i suoi studi universitari e postuniversitari a Barcellona e ha del pari svolto un’attività professionale in questa città prima di essere destinata dal Patronat alla delegazione di Bruxelles. Peraltro, il fatto che essa ricevesse una «somma complementare per espatrio», conformemente al contratto stipulato col Patronat, non significherebbe affatto che risiedeva a Bruxelles, poiché questa somma mirava appunto a risarcire la ricorrente per un soggiorno temporaneo e non definitivo a Bruxelles ed era giustificata dalla mancanza di legami duraturi in Belgio.

47      La Commissione considera che la censura dev’essere dichiarata infondata, poiché la ricorrente ha abitualmente abitato e svolto la sua attività professionale principale a Bruxelles, dal 1993 e durante tutto il periodo di riferimento di cui all’art. 4 dell’allegato VII dello Statuto, senza che gli elementi da essa addotti possano dimostrare il contrario.

48      Secondo la Commissione, gli elementi addotti dalla ricorrente sarebbero semplicemente legami abituali che chiunque mantiene col proprio paese d’origine, e non consentono di provare che il centro permanente dei suoi interessi fosse in Spagna. Inoltre, il pagamento di imposte sui redditi in Spagna discenderebbe semplicemente dall’applicazione dell’art. 19 della convenzione relativa alla doppia imposizione e l’accesso all’assistenza sanitaria in Belgio sulla base dei formulari E 111 ed E 106 proverebbe appunto che la ricorrente risiedeva in Belgio. Per di più, la stessa ricorrente avrebbe affermato nel ricorso che il suo contratto di lavoro prevedeva l’assegnazione di un assegno di dislocazione collegato al suo status di personale comandato a Bruxelles. Se si fosse trattato semplicemente di soggiorni provvisori e non di una residenza effettiva, siffatta compensazione sarebbe stata priva di senso.

 Giudizio del Tribunale

49      L’art. 4, n. 1, lett. a), dell’allegato VII dello Statuto dispone che l’indennità di dislocazione è concessa al funzionario che non ha e non ha mai avuto la nazionalità dello Stato sul cui territorio è situata la sede di servizio e che non ha, abitualmente, abitato o svolto la sua attività professionale principale sul territorio europeo del detto Stato durante il periodo di cinque anni che scade sei mesi prima della sua entrata in servizio.

50      Allo scopo di determinare tali situazioni, la giurisprudenza ha affermato che l’art. 4 dell’allegato VII dello Statuto dev’essere interpretato nel senso che adotta come criterio principale, quanto alla concessione dell’indennità di dislocazione, la residenza abituale del dipendente, prima della sua entrata in servizio. Inoltre, la nozione di dislocazione dipende anche dalla situazione soggettiva del dipendente, cioè dal suo grado di integrazione nel nuovo ambiente, che può essere provato, ad esempio, dalla sua residenza abituale o dal precedente svolgimento di un’attività professionale principale (citata sentenza De Angelis/Commissione, punto 13; sentenza del Tribunale 8 aprile 1992, causa T‑18/91, Costacurta Gelabert/Commissione, Racc. pag. II‑1655, punto 42; v. anche, in tal senso, sentenza della Corte 9 ottobre 1984, causa 188/83, Witte/Parlamento, Racc. pag. 3465, punto 8).

51      La residenza abituale è il luogo in cui l’interessato ha fissato, con voluto carattere di stabilità, il centro abituale o permanente dei propri interessi. Ai fini della determinazione della residenza abituale, occorre tener conto di tutti gli elementi di fatto che contribuiscono alla sua costituzione e, in particolare, della residenza effettiva dell’interessato (sentenza della Corte 15 settembre 1994, causa C‑452/93 P, Magdalena Fernández/Commissione, Racc. pag. I‑4295, punto 22; sentenze del Tribunale 10 luglio 1992, causa T‑63/91, Benzler/Commissione, Racc. pag. II‑2095, punto 17, e 28 settembre 1993, causa T‑90/92, Magdalena Fernández/Commissione, Racc. pag. II‑971, punto 27).

52      Si deve ricordare che il periodo di riferimento da prendere in considerazione per l’applicazione dell’art. 4, n. 1, lett. a), dell’allegato VII si colloca fra il 16 maggio 1996 e il 15 maggio 2001, in quanto la ricorrente è entrata in servizio sei mesi dopo quest’ultima data, vale a dire il 16 novembre 2001.

53      Orbene, risulta chiaramente dagli atti del fascicolo che la ricorrente ha abitualmente risieduto e svolto la sua attività professionale principale dal 15 gennaio 1993 e fino al novembre 2001 a Bruxelles.

54      Infatti, la ricorrente ha affermato nel suo reclamo come nella sua nota 18 gennaio 2002 di aver lavorato fino al 15 novembre 2001, durante un periodo di otto anni, in seno alla delegazione del governo di Catalogna presso le istituzioni comunitarie a Bruxelles.

55      Il contratto di lavoro stipulato fra la ricorrente e il Patronat in data 15 gennaio 1993, e che ha disciplinato la prestazione di servizi della ricorrente al Patronat fino alla sua entrata in servizio presso la Commissione, vale a dire durante quasi nove anni, affermava, nel suo secondo ‘considerando’, che la ricorrente era assunta come membro del personale amministrativo che forniva i suoi servizi «all’ufficio a Bruxelles dell’ente».

56      La settima clausola del contratto prevedeva che la ricorrente percepisse un assegno supplementare, legato al fatto che la prestazione di servizi «[aveva] luogo in Belgio», e disponesse di due biglietti aerei a causa della prestazione dei suoi servizi all’estero, vale a dire per il tragitto Bruxelles‑Barcellona‑Bruxelles. La stessa ricorrente ha ammesso nel suo ricorso che percepiva l’assegno supplementare «per motivo di espatrio, in quanto personale comandato presso la rappresentanza di Bruxelles». Orbene, tali supplementi sono concessi per compensare le difficoltà dovute necessariamente al fatto di vivere e di lavorare in un paese diverso dal proprio, nonché, in taluni paesi, il costo più elevato della vita.

57      L’ottava clausola del contratto indicava che gli importi salariali previsti dal contratto erano adattati in funzione, in particolare, dell’«aumento dell’IPC ([i]ndice dei [p]rezzi al [c]onsumo), approvato ufficialmente (…) in Belgio». Infine la decima clausola del contratto concedeva cinque giorni di ferie supplementari a causa della prestazione di servizi della ricorrente in Belgio.

58      Dai precedenti elementi risulta che, conformemente agli obblighi stabiliti nel suo contratto col Patronat, la ricorrente è stata assunta fin dall’inizio del rapporto professionale con tale ente, per essere comandata a Bruxelles. Di conseguenza, si deve constatare che, durante il periodo di riferimento, la ricorrente ha abitato e svolto la sua attività professionale principale, ai sensi dell’art. 4, n. 1, lett. a), dell’allegato VII dello Statuto, a Bruxelles, dove aveva trasferito il suo centro di interessi.

59      Peraltro, gli elementi addotti dalla ricorrente per dimostrare che il suo centro di interessi si trovava in Spagna durante il periodo di riferimento non sono atti a rimettere in discussione la conclusione enunciata al punto precedente.

60      Infatti, pur ammettendo che taluni elementi fatti valere dalla ricorrente evidenziavano il mantenimento di una serie di legami con la Spagna, il fatto di disporre di un certificato di residenza o di domiciliazione comunale a Barcellona, di essere iscritta negli elenchi elettorali di questa città, di esercitarvi diritti politici e di esservi domiciliata ai fini fiscali non consentono di stabilire che il centro permanente dei suoi interessi si trovava ancora in Spagna (v., in tal senso, sentenze del Tribunale 28 settembre 1993, Magdalena Fernández/Commissione, citata, punto 30, e 27 settembre 2000, causa T‑317/99, Lemaître/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑191e II‑867, punto 57).

61      Del pari, il fatto di disporre di interessi e di beni patrimoniali in Spagna, come il mantenimento di un conto bancario e di un contratto di assicurazione vita o la proprietà di un bene immobiliare a Barcellona, non sono atti a dimostrare, di per sé, che il centro permanente degli interessi della ricorrente si trovasse in questo paese (v., in tal senso, sentenze del Tribunale Magdalena Fernández/Commissione, citata, punto 30, e Liaskou/Consiglio, citata, punto 63). Per di più, per quanto concerne l’acquisto di un appartamento a Barcellona, si deve osservare che la ricorrente non nega che tale acquisto sia avvenuto nel 1989, vale a dire ben prima che fosse comandata a Bruxelles nel gennaio 1993 e ben prima dell’inizio del periodo di riferimento, nel maggio 1996.

62      Infine, l’accesso all’assistenza sanitaria in Belgio mediante i formulari E 111 ed E 106, nonché il versamento delle retribuzioni e il pagamento di imposte in Spagna in applicazione dell’art. 19 della convenzione relativa alla doppia imposizione, lungi dal dimostrare, come sostiene la ricorrente, che il suo centro di interessi si trovasse in Spagna durante il periodo di riferimento, dimostrano appunto che la stessa si era trasferita per un lungo periodo al di fuori del territorio spagnolo e, pertanto, che risiedeva e lavorava, abitualmente, in un altro paese, nella specie in Belgio.

63      Da quanto precede risulta che la Commissione non ha commesso alcun errore di valutazione dei fatti concernenti la situazione personale della ricorrente e ha correttamente concluso che non aveva diritto all’indennità di dislocazione.

64      Il secondo motivo dev’essere quindi respinto.

3.     Sul terzo motivo, relativo alla violazione dell’obbligo di motivazione

 Argomenti delle parti

65      La ricorrente fa valere che la motivazione della decisione 10 giugno 2002 è manifestamente insufficiente. La Commissione non avrebbe chiesto informazioni supplementari e si sarebbe trincerata dietro una clausola di stile, che non consentirebbe di comprendere le ragioni per le quali i fatti particolari invocati non giustificherebbero la concessione dell’indennità di dislocazione.

66      La Commissione controdeduce che il motivo deve essere dichiarato infondato, poiché la decisione 10 giugno 2002 espone chiaramente le ragioni per le quali l’indennità di dislocazione, e le indennità che vi sono collegate, sono state negate alla ricorrente.

 Giudizio del Tribunale

67      Si deve ricordare che l’obbligo di motivazione mira, da un lato, a fornire all’interessato un’indicazione sufficiente a valutare la fondatezza della decisione dell’amministrazione e l’opportunità di proporre un ricorso dinanzi al Tribunale e, dall’altro, a consentire a quest’ultimo di esercitare il suo sindacato. La sua estensione dev’essere valutata in funzione delle circostanze concrete, in particolare del contenuto dell’atto, della natura della motivazione invocata e dell’interesse che il destinatario può avere a ricevere spiegazioni (sentenze del Tribunale 26 gennaio 1995, causa T‑60/94, Pierrat/Corte di giustizia, Racc. PI pagg. I‑A‑23 e II‑77, punti 31 e 32; 9 marzo 2000, causa T‑10/99, Vicente Nuñez/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑47 e II‑203, punto 41, e 31 gennaio 2002, causa T‑206/00, Hult/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑19 e II‑81, punto 27).

68      Nella specie, si deve rilevare che la decisione 10 giugno 2002 di rigetto del reclamo della ricorrente espone inequivocabilmente che quest’ultima non ha diritto al beneficio dell’indennità di dislocazione, poiché la sua attività professionale in seno all’ufficio del Patronat a Bruxelles fra il 15 gennaio 1993 e il 15 novembre 2001 non può rientrare nell’ambito d’applicazione dell’eccezione relativa ai «servizi effettuati per un altro Stato» ex art. 4, n. 1, lett. a), dell’allegato VII dello Statuto, indicando le ragioni di siffatta valutazione. Inoltre, la decisione 10 giugno 2002 indica espressamente che, tenuto conto della mancanza di possibilità di «neutralizzazione» del periodo di riferimento da prendere in considerazione (dal 16 maggio 1996 al 15 maggio 2001), il servizio competente ha correttamente negato alla ricorrente il beneficio dell’indennità, poiché questa ha abitato ed ha svolto le sue attività professionali durante tale periodo di riferimento a Bruxelles. Le spiegazioni fornite dalla Commissione nella decisione 10 giugno 2002 rispondono quindi ampiamente alle esigenze di motivazione richieste.

69      Per di più, la ricorrente ammette, nel suo reclamo e nel suo ricorso (punto 17), che era stata informata, al suo colloquio con la DG «Personale e amministrazione», volto a stabilire i suoi diritti all’entrata in servizio, del fatto che l’ufficio del Patronat a Bruxelles, in quanto delegazione del governo di Catalogna presso le istituzioni comunitarie, non poteva essere considerato come un servizio di Stato ai sensi dell’art. 4 dell’allegato VII dello Statuto.

70      Ne consegue che la ricorrente ha avuto pienamente conoscenza delle ragioni per le quali l’APN le ha negato il beneficio dell’indennità di dislocazione.

71      Ne consegue che il motivo relativo a una violazione dell’obbligo di motivazione dev’essere dichiarato infondato.

4.     Sul quarto motivo, relativo alla violazione del principio della parità di trattamento

 Argomenti delle parti

72      La ricorrente sostiene che è stata discriminata rispetto ad altri funzionari che hanno lavorato, durante il periodo di riferimento, presso delegazioni di rappresentanza di regioni di altri Stati membri a Bruxelles, come quelle dei Länder o delle «federazioni dei comuni del Regno Unito», cui è stato riconosciuto il beneficio dell’eccezione dei «servizi effettuati per un altro Stato» ex art. 4, n. 1, dell’allegato VII dello Statuto.

73      La ricorrente ricorda che la parità di trattamento è un principio generale di diritto comunitario vigente nella materia del pubblico impiego. Tale principio sarebbe violato quando due categorie di persone, le cui situazioni di fatto e di diritto non presentano differenze sostanziali, vengono trattate in modo diverso, o quando due situazioni diverse sono trattate in modo identico (sentenze del Tribunale 2 aprile 1998, causa T‑86/97, Apostolidis/Corte di giustizia, Racc. PI pagg. I‑A‑167 e II‑521, punto 61, e 1° giugno 1999, cause riunite T‑114/98 e T‑115/98, Rodríguez Pérez e a./Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑97 e II‑529, punto 75). La ricorrente cita il caso del sig. W., che avrebbe lavorato per oltre cinque anni presso la delegazione di un Land tedesco a Bruxelles, in forza di un contratto di dipendente pubblico stipulato in Germania che prevedeva il comando a Bruxelles, al quale la Commissione avrebbe riconosciuto l’indennità di dislocazione.

74      La Commissione osserva che il motivo dev’essere dichiarato infondato, poiché essa non ha commesso alcuna discriminazione. Quanto al caso particolare del sig. W., i fatti esposti dalla ricorrente sarebbero inesatti, poiché, anche se il funzionario interessato avesse ottenuto il beneficio dell’indennità di dislocazione, tale assegnazione sarebbe basata sulla mancanza di residenza e di esercizio della sua attività professionale a Bruxelles durante una parte del periodo di riferimento a lui applicabile e non sulla neutralizzazione del periodo di lavoro in seno ad un Land tedesco. La Commissione resta a disposizione del Tribunale per trasmettere, se sarà considerato opportuno, i documenti pertinenti atti a giustificare tale affermazione.

75      La Commissione fa valere che, in ogni caso, nessuno può invocare a proprio vantaggio un’illegalità commessa a favore di altri (citata sentenza Witte/Parlamento, punto 15, e sentenza del Tribunale 22 febbraio 2000, causa T‑22/99, Rose/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑27 e II‑115, punto 39).

 Giudizio del Tribunale

76      È giurisprudenza costante che il principio generale della parità di trattamento costituisce un principio fondamentale del diritto comunitario. In base a tale principio, situazioni analoghe non devono essere trattate in modo diverso, a meno che una differenziazione non sia oggettivamente giustificata (sentenze della Corte 19 ottobre 1977, cause 117/76‑16/77, Ruckdeschel e a., Racc. pag. 1753, punto 7; 8 ottobre 1980, causa 810/79, Überschär, Racc. pag. 2747, punto 16, e 16 ottobre 1980, causa 147/79, Hochstrass/Corte di giustizia, Racc. pag. 3005, punto 7; sentenza del Tribunale 26 settembre 1990, causa T‑48/89, Beltrante e a./Consiglio, Racc. pag. II‑493, punto 34). Così, sussiste violazione del principio della parità di trattamento quando due categorie di persone, le cui situazioni di fatto e di diritto non presentano differenze sostanziali, vengono trattate in modo diverso, o quando due situazioni diverse sono tratte in modo identico (sentenze del Tribunale 15 marzo 1994, causa T‑100/92, La Pietra/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑83 e II‑275, punto 50, e 16 aprile 1997, causa T‑66/95, Kuchlenz‑Winter/Commissione, Racc. pag. II‑637, punto 55).

77      Si deve ricordare che, come giustamente sostiene la Commissione, il principio della parità di trattamento può essere invocato soltanto nell’ambito del rispetto della legalità (sentenza della Corte 13 luglio 1972, cause 55/71‑76/71, 86/71, 87/71 e 95/71, Besnard e a./Commissione, Racc. pag. 543, punto 39, e sentenza del Tribunale 28 settembre 1993, citata, Magdalena Fernández/Commissione, punto 38) e che nessuno può invocare a suo vantaggio un illecito commesso a favore di altri (citata sentenza Witte/Parlamento, punto 15, e citata sentenza Rose/Commissione, punto 39).

78      Nella specie, si è affermato che, nell’ambito dell’esame del motivo relativo alla violazione dell’art. 4, n. 1, lett. a), dell’allegato VII dello Statuto, si deve interpretare l’espressione «servizi effettuati per un altro Stato» figurante in tale disposizione nel senso che non si riferisce ai servizi forniti per i governi delle suddivisioni politiche degli Stati.

79      Pertanto, anche nel caso in cui la Commissione abbia effettivamente riconosciuto al funzionario in questione l’indennità di dislocazione per il fatto che il periodo di lavoro presso la delegazione di rappresentanza di un Land a Bruxelles era coperto dall’eccezione dei «servizi effettuati per un altro Stato», un’irregolarità del genere non può essere validamente invocata dalla ricorrente a sostegno di un’affermazione di violazione del principio di parità.

80      In ogni caso, si deve osservare che, in risposta al quesito scritto del Tribunale sulla politica da essa applicata in materia durante gli ultimi dieci anni, la Commissione ha fermamente sostenuto che non ha mai adottato una prassi amministrativa consistente nel neutralizzare i periodi di lavoro svolti al servizio delle delegazioni di rappresentanza degli Stati federali situati a Bruxelles e nell’accordare, su tale base, il beneficio dell’indennità di dislocazione ai funzionari che avevano lavorato precedentemente in tali delegazioni durante il loro rispettivo periodo di riferimento. Peraltro, la Commissione ha nuovamente ribadito nella sua risposta al Tribunale che il caso del sig. W. invocato dalla ricorrente per giustificare un’asserita violazione del principio della parità di trattamento sarebbe errato, poiché l’indennità di dislocazione gli era stata concessa per il fatto di non aver risieduto a Bruxelles durante tutto il periodo di riferimento che gli era applicabile. Orbene, la ricorrente non ha affatto contestato, all’udienza, le spiegazioni fornite dalla Commissione, né ha reagito ad esse a proposito dell’inesattezza dei fatti invocati concernenti la situazione del sig. W..

81      In tali circostanze, e senza che occorra chiedere alla Commissione la produzione del fascicolo personale del funzionario in questione, si deve constatare che non è stata provata alcuna violazione del principio della parità di trattamento.

82      Il motivo relativo ad una violazione del principio della parità di trattamento non può quindi essere accolto.

B –  Sulle indennità collegate all’indennità di dislocazione

83      La ricorrente chiede l’applicazione della giurisprudenza in forza della quale l’indennità giornaliera e l’indennità di prima installazione le sono automaticamente dovute in caso di riconoscimento del suo diritto all’indennità di dislocazione (sentenza della Corte 28 maggio 1998, causa C‑62/97 P, Commissione/Lozano Palacios, Racc. pag. I‑3273).

84      Poiché il Tribunale ha constatato che la ricorrente non ha il diritto di percepire l’indennità di dislocazione, questa domanda dev’essere respinta.

85      Dall’insieme delle precedenti considerazioni risulta che il ricorso dev’essere dichiarato interamente infondato.

 Sulle spese

86      Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Tuttavia, in forza dell’art. 88 dello stesso regolamento, nelle cause fra le Comunità e i loro dipendenti, le spese sostenute dalle istituzioni restano a carico di queste ultime. Poiché la ricorrente è rimasta soccombente, si deve decidere che ciascuna delle parti sopporterà le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Prima Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      Ciascuna delle parti sopporterà le proprie spese.

Cooke

García‑Valdecasas

Trstenjak

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 25 ottobre 2005.

Il cancelliere

 

      Il presidente

E. Coulon

 

      R. García‑Valdecasas


* Langue de procédure: lo spagnolo