Language of document : ECLI:EU:T:2023:101

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Ottava Sezione ampliata)

1° marzo 2023 (*)

«Unione doganale – Regolamento (UE) n. 952/2013 – Determinazione dell’origine non preferenziale di determinati motocicli prodotti dalla Harley-Davidson – Decisione di esecuzione della Commissione che chiede la revoca di decisioni relative a informazioni vincolanti in materia di origine adottate da autorità doganali nazionali – Nozione di “operazioni di trasformazione o lavorazione che non sono economicamente giustificate” – Diritto di essere ascoltato»

Nella causa T‑324/21,

Harley-Davidson Europe Ltd, con sede in Oxford (Regno Unito),

Neovia Logistics Services International, con sede in Vilvoorde (Belgio),

rappresentate da O. van Baelen, G. Lebrun, avvocati, e T. Lyons, KC,

ricorrenti,

contro

Commissione europea, rappresentata da F. Clotuche-Duvieusart e M. Kocjan, in qualità di agenti,

convenuta,

IL TRIBUNALE (Ottava Sezione ampliata),

composto, al momento della deliberazione, da S. Papasavvas, presidente, J. Svenningsen, M. Jaeger, C. Mac Eochaidh (relatore) e T. Pynnä, giudici,

cancelliere: I. Kurme, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento,

in seguito all’udienza del 21 settembre 2022,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con il presente ricorso, fondato sull’articolo 263 TFUE, la Harley-Davidson Europe Ltd (in prosieguo, congiuntamente al gruppo cui appartiene, la «Harley-Davidson») e la Neovia Logistics Services International (in prosieguo: la «Neovia»), ricorrenti, chiedono l’annullamento della decisione di esecuzione (UE) 2021/563 della Commissione, del 31 marzo 2021, relativa alla validità di determinate decisioni relative a informazioni vincolanti in materia di origine (GU 2021, L 119, pag. 117; in prosieguo: la «decisione impugnata»), indirizzata al Regno del Belgio. Con tale decisione, la Commissione europea ha chiesto la revoca di due decisioni relative a informazioni vincolanti in materia di origine (in prosieguo: le «decisioni IVO»), adottate a favore della Neovia per conto della Harley-Davidson, riguardanti l’importazione nell’Unione europea, tramite il Belgio, di determinate categorie di motocicli fabbricati dalla Harley-Davidson in Thailandia.

I.      Contesto normativo

2        Ai sensi dell’articolo 1 del regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 ottobre 2013, che istituisce il codice doganale dell’Unione (GU 2013, L 269, pag. 1; in prosieguo: il «codice doganale»), tale regolamento istituisce il codice doganale dell’Unione che stabilisce le norme e le procedure di carattere generale applicabili alle merci che entrano nel territorio doganale dell’Unione o ne escono.

3        Il titolo II del codice doganale, rubricato «Principi in base ai quali sono applicati i dazi all’importazione o all’esportazione e le altre misure nel quadro degli scambi di merci», prevede, segnatamente, norme in materia di determinazione dell’origine delle merci, che servono in particolare a determinare i dazi all’importazione e le altre misure applicabili a determinate merci.

4        In particolare, ai sensi dell’articolo 56, paragrafo 1, del codice doganale, che figura in detto titolo II, i dazi all’importazione e all’esportazione dovuti sono basati sulla tariffa doganale comune e le altre misure stabilite da disposizioni dell’Unione specifiche nel quadro degli scambi di merci sono applicate, se del caso, in base alla classificazione tariffaria delle merci in questione.

A.      Sull’origine delle merci

5        Il codice doganale prevede tre categorie di norme per la determinazione dell’origine delle merci, vale a dire norme relative all’origine non preferenziale delle merci, norme relative all’origine preferenziale delle merci e norme dirette a determinare l’origine di merci particolari.

6        In particolare, l’articolo 59 del codice doganale prevede che gli articoli 60 e 61 stabiliscono le norme per la determinazione dell’origine non preferenziale delle merci ai fini dell’applicazione, in primo luogo, della tariffa doganale comune, escluse le misure di cui all’articolo 56, paragrafo 2, lettere d) ed e), in secondo luogo, delle misure, diverse da quelle tariffarie, stabilite da disposizioni dell’Unione specifiche definite nel quadro degli scambi di merci e, in terzo luogo, delle altre misure dell’Unione relative all’origine delle merci.

7        In tal senso, l’articolo 60 del codice doganale, relativo all’acquisizione dell’origine non preferenziale delle merci, così dispone:

«1. Le merci interamente ottenute in un unico paese o territorio sono considerate originarie di tale paese o territorio.

2. Le merci alla cui produzione contribuiscono due o più paesi o territori sono considerate originarie del paese o territorio in cui hanno subito l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale ed economicamente giustificata, effettuata presso un’impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione».

8        Ai sensi dell’articolo 62 del codice doganale, alla Commissione è conferito il potere di adottare, conformemente all’articolo 284, atti delegati che stabiliscano le norme in base alle quali si considera che le merci per cui è richiesta la determinazione dell’origine non preferenziale ai fini dell’applicazione delle misure dell’Unione di cui all’articolo 59 siano interamente ottenute in un unico paese o territorio o che abbiano subito l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale ed economicamente giustificata, effettuata presso un’impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione in un paese o territorio, conformemente all’articolo 60.

9        A tale titolo, la Commissione ha adottato il regolamento delegato (UE) 2015/2446 della Commissione, del 28 luglio 2015, che integra il regolamento n. 952/2013 in relazione alle modalità che specificano alcune disposizioni del codice doganale dell’Unione (GU 2015, L 343, pag. 1; in prosieguo: l’«AD-CDU»).

10      L’articolo 33 dell’AD-CDU fornisce precisazioni relative alle operazioni di trasformazione o lavorazione che non sono economicamente giustificate. Tale articolo dispone quanto segue:

«Un’operazione di trasformazione o lavorazione effettuata in un altro paese o territorio non è considerata economicamente giustificata se, sulla base degli elementi disponibili, risulta che lo scopo di tale operazione era quello di evitare l’applicazione delle misure di cui all’articolo 59 del codice [doganale, riguardante l’applicazione della tariffa doganale comune e delle altre misure dell’Unione, tariffarie o meno, relative all’origine delle merci importate nell’Unione].

(…)».

B.      Sulle decisioni in materia di origine

11      L’articolo 33 del codice doganale, riguardante le decisioni relative alle informazioni vincolanti, così dispone:

«1. Le autorità doganali adottano, su richiesta, decisioni relative a informazioni tariffarie vincolanti (“decisioni ITV”) o decisioni [IVO].

(…)

3. Le decisioni ITV o IVO sono valide per un periodo di tre anni a decorrere dalla data dalla quale le stesse hanno efficacia.

(…)».

12      L’articolo 19 del regolamento di esecuzione (UE) 2015/2447 della Commissione, del 24 novembre 2015, recante modalità di applicazione di talune disposizioni del regolamento n. 952/2013 (GU 2015, L 343, pag. 558), istituisce uno scambio di dati relativi alle decisioni IVO e dispone, in particolare, al suo paragrafo 1, che «[l]e autorità doganali trasmettono alla Commissione le informazioni pertinenti relative alle decisioni IVO [da esse adottate] su base trimestrale».

13      L’articolo 34, paragrafo 11, del codice doganale precisa quanto segue:

«La Commissione può adottare decisioni in cui chiede agli Stati membri di revocare decisioni ITV o IVO al fine di assicurare una classificazione tariffaria corretta e uniforme o la determinazione dell’origine delle merci».

14      L’articolo 37, paragrafo 2, del codice doganale stabilisce, in particolare, che la Commissione adotta, mediante atti di esecuzione adottati secondo la procedura consultiva di cui all’articolo 285, paragrafo 2, del codice doganale, le decisioni con cui chiede agli Stati membri di revocare le decisioni IVO.

15      Da tali disposizioni risulta che, schematicamente, le autorità doganali nazionali possono, su richiesta di importatori che intendano ottenere garanzie quanto all’interpretazione delle norme che consentono di definire l’origine non preferenziale di merci importate nell’Unione, adottare decisioni che riconoscono ufficialmente l’origine geografica di dette merci. Inoltre, la Commissione, che ne è regolarmente informata da tali autorità, può, dal canto suo, qualora ritenga a posteriori che tale determinazione dell’origine da parte delle autorità doganali non sia corretta, chiedere loro di revocare le decisioni adottate.

C.      Sulle misure di politica commerciale

16      Ai sensi dell’articolo 5, punto 36, del codice doganale, le «misure di politica commerciale» sono misure non tariffarie istituite, nell’ambito della politica commerciale comune, sotto forma di disposizioni dell’Unione che disciplinano gli scambi internazionali di merci.

17      A tale proposito, il legislatore dell’Unione ha adottato il regolamento (UE) n. 654/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, relativo all’esercizio dei diritti dell’Unione per l’applicazione e il rispetto delle norme commerciali internazionali e recante modifica del regolamento (CE) n. 3286/94 del Consiglio che stabilisce le procedure comunitarie nel settore della politica commerciale comune al fine di garantire l’esercizio dei diritti della Comunità nell’ambito delle norme commerciali internazionali, in particolare di quelle istituite sotto gli auspici dell’Organizzazione mondiale del commercio (GU 2014, L 189, pag. 50).

18      In forza dell’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 654/2014, se è necessario intervenire al fine di salvaguardare gli interessi dell’Unione nei casi di cui all’articolo 3, la Commissione adotta atti di esecuzione che stabiliscono le opportune misure di politica commerciale.

19      Sulla base del regolamento n. 654/2014, e in particolare del suo articolo 4, paragrafo 1, la Commissione ha adottato, più in particolare, il regolamento di esecuzione (UE) 2018/886, del 20 giugno 2018, relativo ad alcune misure di politica commerciale riguardanti determinati prodotti originari degli Stati Uniti d’America e che modifica il regolamento di esecuzione (UE) 2018/724 (GU 2018, L 158, pag. 5).

II.    Fatti

20      Nel giugno 2018 il governo degli Stati Uniti d’America ha istituito dazi doganali supplementari del 25% e del 10%, rispettivamente, sulle importazioni di acciaio e sulle importazioni di alluminio provenienti dall’Unione (in prosieguo: i «dazi doganali imposti ai sensi dell’articolo 232 del Trade Expansion Act of 1962 (legge del 1962 sull’espansione del commercio»), allo scopo di favorire e aumentare la produzione nazionale di tali prodotti.

21      In risposta all’istituzione dei dazi doganali imposti ai sensi dell’articolo 232 della legge del 1962 sull’espansione del commercio, la Commissione ha adottato, il 20 giugno 2018, il regolamento 2018/886, che prevede l’applicazione di dazi doganali supplementari all’importazione di prodotti originari degli Stati Uniti quali elencati negli allegati I e II di tale regolamento.

22      Ai sensi dell’articolo 2, lettera a), e dell’allegato I del regolamento 2018/886, era previsto che i prodotti corrispondenti al codice di nomenclatura 8711 50 00, ossia i «[m]otocicli (...) con motore a pistone alternativo di cilindrata superiore a 800 cm³», fossero oggetto, in una prima fase, di dazi doganali supplementari di un’aliquota del 25%, e ciò a decorrere dal 22 giugno 2018.

23      Inoltre, ai sensi dell’articolo 2, lettera b), e dell’allegato II del regolamento 2018/886, che riguardavano anch’essi i prodotti corrispondenti al codice di nomenclatura 8711 50 00, tali prodotti erano oggetto, in una seconda fase, di dazi doganali supplementari di un’aliquota del 25%, a decorrere, in sostanza, al più tardi dal 1º giugno 2021.

24      In seguito alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del regolamento 2018/886, la Harley-Davidson, un’impresa americana specializzata nella costruzione di motocicli, era quindi informata dell’applicazione di dazi doganali supplementari, sui suoi prodotti importati nell’Unione dagli Stati Uniti, del 25% a decorrere dal 22 giugno 2018, poi di un ulteriore 25% al più tardi dal 1º giugno 2021, oltre all’aliquota del dazio convenzionale del 6%, vale a dire un’aliquota totale pari, per i suoi motocicli, al 31% dal 22 giugno 2018 e, successivamente, al 56% a decorrere dal 1° giugno 2021 al più tardi.

25      Il 25 giugno 2018 la Harley-Davidson ha presentato alla Securities and Exchange Commission (commissione delle operazioni di borsa, Stati Uniti; in prosieguo: la «SEC») una relazione su modulo 8-K (Form 8-K Current Report; in prosieguo: il «modulo 8-K»). Tale modulo 8-K era destinato ad informare i suoi azionisti dell’applicazione dei dazi doganali supplementari menzionati al precedente punto 24 e delle loro conseguenze sulla sua attività. In tale modulo, la Harley-Davidson ha comunicato la sua intenzione di trasferire la produzione di taluni motocicli destinati al mercato dell’Unione dagli Stati Uniti verso i suoi impianti internazionali situati in un altro paese, al fine di evitare le misure di cui trattasi della politica commerciale dell’Unione.

26      Nel modulo 8-K, la Harley-Davidson ha, in particolare, indicato quanto segue:

«L’Unione europea ha adottato dazi doganali su diversi prodotti fabbricati negli Stati Uniti, tra cui i motocicli Harley-Davidson. Tali dazi, entrati in vigore il 22 giugno 2018, sono stati imposti in risposta ai dazi doganali che gli Stati Uniti hanno imposto sull’acciaio e l’alluminio esportati dal[l’Unione] verso gli Stati Uniti.

Di conseguenza, i dazi doganali [dell’Unione] sui motocicli Harley-Davidson esportati dagli Stati Uniti sono passati dal 6% al 31%. La Harley-Davidson ritiene che tali dazi doganali comporteranno un costo supplementare di circa 2 200 dollari statunitensi per motociclo esportato dagli Stati Uniti verso [l’Unione].

(…)

Per far fronte ai costi sostanziali di tale onere tariffario a lungo termine, la Harley-Davidson attuerà un piano per spostare la produzione dei motocicli destinati all’[Unione] dagli Stati Uniti verso i suoi impianti internazionali, al fine di evitare l’onere tariffario. La Harley-Davidson prevede che l’aumento della produzione nelle fabbriche internazionali richiederà investimenti supplementari e potrebbe necessitare di un periodo di almeno 9-18 mesi prima di essere completamente realizzato».

27      A seguito della pubblicazione del modulo 8-K, la Harley-Davidson ha scelto la sua fabbrica in Thailandia come sito di produzione di alcuni dei motocicli destinati al mercato dell’Unione.

28      La Harley-Davidson ha voluto ottenere rassicurazioni in merito alla determinazione del paese d’origine dei motocicli prodotti nella sua fabbrica in Thailandia e destinati al mercato dell’Unione. Pertanto, la Harley-Davidson e la Neovia, un intermediario che le fornisce servizi di assistenza logistica nell’ambito delle sue operazioni di importazione di motocicli nell’Unione tramite il Belgio, hanno depositato congiuntamente, il 25 gennaio 2019, due prime domande formali di decisioni IVO, riguardanti due famiglie di motocicli, presso le autorità doganali belghe. Altre tre domande di decisioni IVO, riguardanti altre tre famiglie di motocicli, sono state depositate successivamente.

29      Il 31 gennaio 2019 le autorità belghe hanno partecipato a una riunione con la Commissione in merito alle domande di decisioni IVO riguardanti l’importazione nell’Unione di due famiglie di motocicli assemblate nella fabbrica della Harley-Davidson in Thailandia. Al termine di tale riunione, la Commissione ha emesso un parere informale secondo il quale il criterio della giustificazione economica, ai sensi dell’articolo 33 dell’AD-CDU, avrebbe potuto non essere soddisfatto, alla luce delle informazioni contenute nel modulo 8-K.

30      Le autorità belghe hanno sollecitato una discussione con gli Stati membri in merito all’applicabilità dell’articolo 33 dell’AD-CDU, discussione svoltasi durante la riunione del gruppo di esperti doganali, sezione «Origine», l’8 aprile 2019. In occasione di tale riunione, le autorità belghe hanno spiegato che vi era stata una modifica del paese di assemblaggio di taluni motocicli prodotti dalla Harley-Davidson e che tale delocalizzazione era avvenuta in seguito all’istituzione di dazi doganali supplementari sulle merci originarie del precedente paese di produzione, ovvero gli Stati Uniti. Nel verbale di tale riunione è indicato che «alcuni delegati hanno confermato che, sulla base delle informazioni disponibili, l’origine [doveva] essere determinata applicando l’articolo 33 dell’AD-CDU, altri delegati non erano di tale parere. La [Commissione] ritiene che si possa applicare l’articolo 33, tanto più che il produttore ha indicato in dichiarazioni pubbliche che lo scopo della delocalizzazione delle operazioni era quello di evitare l’applicazione delle misure nell’Unione». Nonostante le richieste delle autorità belghe, la Commissione non ha tuttavia mai emesso un parere formale in merito all’applicabilità dell’articolo 33 dell’AD-CDU ai fatti del caso di specie.

31      Il 24 giugno 2019, in applicazione dell’articolo 33, paragrafo 1, del codice doganale, le autorità doganali belghe hanno adottato due decisioni IVO, con le quali esse hanno riconosciuto e certificato che determinate categorie di motocicli Harley-Davidson importati nell’Unione, corrispondenti alle due famiglie di motocicli menzionate al punto 28 supra, erano originarie della Thailandia. Le altre tre domande di decisioni IVO, anch’esse menzionate al punto 28 supra, sono state successivamente oggetto del medesimo trattamento da parte delle autorità doganali belghe.

32      Le decisioni IVO di cui trattasi sono state notificate alla Commissione dalle autorità doganali belghe il 21 agosto 2019.

33      Il 5 ottobre 2020 la Commissione ha informato le autorità belghe della sua intenzione di chiedere loro di revocare le prime due decisioni IVO. Il 13 novembre 2020 le autorità belghe hanno risposto alla Commissione che esse si opponevano a una siffatta domanda di revoca.

34      Il 22 dicembre 2020 la Commissione ha avviato un procedimento formale ai fini dell’adozione della decisione impugnata. Il 5 marzo 2021 la Commissione ha sottoposto il progetto di decisione impugnata a tutte le delegazioni nazionali del comitato del codice doganale, sezione «Origine», nell’ambito della procedura consultiva e mediante procedura scritta. Quattro Stati membri hanno inviato osservazioni sul progetto di decisione impugnata e si sono opposti al parere espresso dalla Commissione in tale progetto.

35      Il 29 marzo 2021 la Commissione ha inviato una nota di sintesi al comitato del codice doganale, sezione «Origine», nella quale ha indicato che i 23 Stati membri che non avevano preso posizione avevano, tacitamente, acconsentito al progetto di decisione impugnata.

36      Il 31 marzo 2021 la Commissione ha adottato la decisione impugnata, che ha notificato al Regno del Belgio il 6 aprile 2021 e che è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea il giorno seguente, chiedendo alle autorità belghe di revocare le prime due decisioni IVO.

37      Nella decisione impugnata, la Commissione ha indicato quanto segue:

«(6)      Dopo la pubblicazione delle misure di politica commerciale dell’Unione europea, il produttore dei motocicli classificati con il codice NC 87115000 e coperti dalle decisioni IVO di cui all’allegato ha segnalato con il modulo 8-K (Form 8-K current report), presentato alla Securities and Exchange Commission statunitense il 25 giugno 2018, il proprio piano di trasferire la produzione di determinati motocicli destinati al mercato dell’Unione europea dagli Stati Uniti d’America ai suoi stabilimenti internazionali situati in un altro paese per evitare le misure di politica commerciale dell’Unione europea.

(7)      Anche se il fatto di evitare le misure di politica commerciale può non essere necessariamente l’unico scopo del trasferimento della produzione, le condizioni di cui all’articolo 33, primo comma, del[l’AD-CDU] sono soddisfatte sulla base di tutti i fatti disponibili. Le operazioni di lavorazione o trasformazione effettuate nell’ultimo paese di produzione non sono pertanto considerate economicamente giustificate. (…)

(9)      Poiché la determinazione dell’origine non preferenziale dei motocicli coperti dalle decisioni IVO di cui all’allegato non si fonda sulla norma di cui all’articolo 33, terzo comma, del[l’AD-CDU], la Commissione ritiene tale determinazione dell’origine non preferenziale incompatibile con l’articolo 60, paragrafo 2, del codice, in combinato disposto con l’articolo 33 del[l’AD-CDU]».

38      A seguito dell’adozione della decisione impugnata, le autorità belghe, con lettera del 16 aprile 2021 inviata alla Neovia, hanno informato le ricorrenti che esse revocavano le cinque decisioni IVO adottate riguardanti l’importazione nell’Unione dei motocicli fabbricati in Thailandia dalla Harley-Davidson.

III. Conclusioni delle parti

39      Le ricorrenti chiedono che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        fornire orientamenti alle autorità doganali dell’Unione in merito alle conseguenze utili che esse devono trarre dalla sentenza e al modo in cui devono agire per darle attuazione;

–        disporre le misure di organizzazione del procedimento o istruttorie che ritenga opportune;

–        condannare la Commissione alle spese.

40      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare le ricorrenti alle spese.

IV.    In diritto

A.      Sulla competenza del Tribunale

41      La Commissione sostiene che il secondo capo delle conclusioni delle ricorrenti è irricevibile.

42      Le ricorrenti ritengono, tuttavia, che potrebbe essere utile fornire orientamenti in merito al modo di eseguire la sentenza.

43      A tale riguardo, è sufficiente ricordare che, nell’ambito del controllo di legittimità fondato sull’articolo 263 TFUE, il Tribunale non è competente a pronunciare ingiunzioni nei confronti delle istituzioni, degli organi e degli organismi dell’Unione, nemmeno allorché queste riguardano le modalità di esecuzione delle sue sentenze (ordinanze del 22 settembre 2016, Gaki/Commissione, C‑130/16 P, non pubblicata, EU:C:2016:731, punto 14, e del 19 luglio 2016, Trajektna luka Split/Commissione, T‑169/16, non pubblicata, EU:T:2016:441, punto 13).

44      Ne consegue che il secondo capo delle conclusioni deve essere respinto per difetto di competenza.

B.      Nel merito

45      A sostegno del ricorso, le ricorrenti deducono sei motivi.

46      Il Tribunale ritiene opportuno esaminare il terzo motivo, poi i motivi quarto, primo, secondo, quinto e sesto.

1.      Sul terzo motivo di ricorso, vertente su un abuso del potere di revoca in quanto sarebbe fondato su uninterpretazione e su unapplicazione erronee dellarticolo 33 dellAD-CDU

47      Con il terzo motivo di ricorso, le ricorrenti fanno valere che la Commissione è incorsa in un errore di diritto nell’interpretazione da essa fornita dell’articolo 33 dell’AD-CDU.

48      In particolare, le ricorrenti fanno valere che le versioni precedenti della normativa prevedevano che il criterio della giustificazione economica non fosse soddisfatto quando il «solo scopo» di un’operazione era l’evasione, e che le diverse versioni linguistiche dell’articolo 33 dell’AD-CDU evocano sempre «lo scopo» al singolare, il che dovrebbe essere inteso quanto meno come uno «scopo dominante unico» o uno «scopo essenziale». Esse aggiungono che la giurisprudenza della Corte avrebbe confermato che l’esistenza di qualsiasi altro motivo per un’operazione, non connessa all’evasione, era sufficiente affinché il criterio della giustificazione economica fosse soddisfatto. A tale riguardo, esse deducono, in particolare, la sentenza del 13 dicembre 1989, Brother International (C‑26/88, EU:C:1989:637), nella quale la Corte ha dichiarato che «il trasferimento del montaggio dal paese di fabbricazione dei componenti in un altro paese nel quale [venivano] sfruttati impianti già esistenti non giustifica[va] di per sé la presunzione secondo cui questo trasferimento [aveva] avuto come unica finalità quella di eludere le disposizioni vigenti». Orbene, secondo le ricorrenti, la Commissione non ha dato loro l’opportunità di dimostrare l’esistenza di altri obiettivi e nulla consentirebbe di sapere se la Commissione abbia esaminato le informazioni da esse fornite alle autorità belghe al fine di dimostrare che il criterio della giustificazione economica era soddisfatto.

49      Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, le ricorrenti sostengono che la decisione della Harley-Davidson di produrre in Thailandia motocicli destinati al mercato dell’Unione era fondata su un insieme di fattori commerciali solidi e legittimi e non era una decisione artificiosa il cui scopo essenziale sarebbe stato quello di eludere i dazi doganali supplementari.

50      Le ricorrenti confrontano altresì la nozione di «evitare», ai sensi dell’articolo 33 dell’AD-CDU, con le nozioni di «evasione», di «abuso», di «manipolazione» e di «elusione», come precisate dalla giurisprudenza. Infatti, rinviando a diverse sentenze della Corte in cui tali nozioni sono state esaminate e precisate, in particolare nel diritto tributario o nel diritto antidumping, le ricorrenti fanno valere che, anche se la fabbricazione da parte della Harley-Davidson, in Thailandia, di motocicli destinati all’Unione mirava principalmente ad evitare i dazi doganali supplementari, occorreva verificare se non esistesse nessun altro scopo commerciale legittimo sotteso alle operazioni di delocalizzazione, verifica che la Commissione non avrebbe fatto. Procedendo altresì per analogia, le ricorrenti ricordano che la Corte ha più volte confermato che, sul mercato dell’Unione, un operatore disponeva di una grande libertà ed era, ad esempio, autorizzato a strutturare la sua attività in modo da limitare il proprio debito fiscale.

51      Pertanto, le ricorrenti ritengono che il modo in cui la Commissione ha applicato l’articolo 33 dell’AD-CDU avrebbe modificato il criterio della giustificazione economica e avrebbe trasformato un criterio inizialmente oggettivo in un criterio soggettivo. Secondo le ricorrenti, l’interpretazione fornita dalla Commissione modificherebbe l’oggetto dell’articolo 60, paragrafo 2, del codice doganale, con la conseguenza che non occorrerebbe più dimostrare l’origine sulla base di elementi oggettivi, vale a dire la natura dell’operazione effettuata, bensì sulla base di elementi soggettivi, vale a dire il ragionamento o le motivazioni del produttore. Orbene, la valutazione dello «scopo» di un’operazione di delocalizzazione dovrebbe basarsi su un’analisi obiettiva degli elementi e del contesto dell’operazione stessa, analisi che la Commissione non avrebbe condotto.

52      La Commissione contesta tale argomento.

53      Nel caso di specie, occorre verificare se la Commissione, adottando la decisione impugnata sulla base dell’articolo 33 dell’AD-CDU, sia incorsa in un errore di diritto nel ritenere che l’operazione di delocalizzazione, in Thailandia, della fabbricazione di determinate categorie di motocicli Harley-Davidson destinati al mercato dell’Unione non potesse essere qualificata come «economicamente giustificata», dal momento che essa mirava, secondo tale istituzione, ad evitare le misure di politica commerciale dell’Unione adottate, dal 2018, nei confronti dei prodotti originari degli Stati Uniti.

54      A tale proposito, si deve ricordare che, conformemente ad una giurisprudenza costante, per interpretare una norma di diritto dell’Unione si deve tener conto non soltanto della lettera della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte. La genesi storica di una disposizione di diritto dell’Unione può anch’essa rivelare elementi pertinenti per la sua interpretazione (v. sentenza del 2 settembre 2021, CRCAM, C‑337/20, EU:C:2021:671, punto 31 e giurisprudenza citata).

55      Ai sensi dell’articolo 60, paragrafo 2, del codice doganale (v. punto 7 supra), affinché un paese o un territorio sia considerato come il luogo d’origine delle merci, ai fini dell’applicazione delle misure dell’Unione relative all’origine delle merci importate, è necessario, in particolare, che l’ultima lavorazione o trasformazione sostanziale sia effettuata in tale luogo e che sia «economicamente giustificata».

56      L’articolo 33 dell’AD-CDU, rubricato «Operazioni di trasformazione o lavorazione che non sono economicamente giustificate», al primo comma prevede che «[u]n’operazione di trasformazione o lavorazione effettuata in un altro paese o territorio non è considerata economicamente giustificata se, sulla base degli elementi disponibili, risulta che lo scopo di tale operazione era quello di evitare l’applicazione delle misure» dell’Unione relative all’origine delle merci.

57      Infatti, innanzitutto, dal tenore letterale dell’articolo 33 dell’AD-CDU, in particolare dall’impiego del termine «considerata» di cui a quest’ultimo articolo, risulta che, in talune circostanze, vale a dire quando lo scopo di una determinata operazione era evitare l’applicazione delle misure di cui all’articolo 59 del codice doganale, la Commissione e le autorità doganali dell’Unione devono ritenere che il requisito connesso alla giustificazione economica non sia soddisfatto.

58      Inoltre, per quanto riguarda specificamente l’impiego dell’espressione «lo scopo di tale operazione era quello di evitare», di cui all’articolo 33 dell’AD-CDU, il Tribunale ritiene che l’impiego della nozione di «scopo» al singolare debba essere inteso, in situazioni in cui la realizzazione di un’operazione di delocalizzazione determinata avrebbe perseguito scopi diversi, nel senso che rinvia all’idea di uno «scopo principale» o «prevalente». Pertanto, è possibile che tale scopo non sia l’unico, ma occorre che sia determinante nella scelta di delocalizzare la produzione in un altro paese o territorio.

59      Orbene, dall’articolo 33 dell’AD-CDU, e segnatamente dal riferimento alle «misure di cui all’articolo 59» del codice doganale, letto alla luce del considerando 21 dell’AD-CDU e del progetto consolidato di atto delegato presentato dalla Commissione prima dell’adozione dell’AD-CDU, risulta che l’articolo 33 dell’AD-CDU si applica quando l’Unione ha adottato misure di politica commerciale. Tali misure di politica commerciale possono consistere in misure tariffarie come quelle adottate nel caso di specie, vale a dire dazi doganali supplementari riguardanti determinate merci originarie degli Stati Uniti istituiti dal regolamento 2018/886 in applicazione dell’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 654/2014.

60      Infatti, l’articolo 33 dell’AD-CDU mira a garantire la piena attuazione delle misure di politica commerciale dell’Unione impedendo che le merci oggetto di tali misure acquistino una nuova origine qualora lo scopo principale o prevalente di un’operazione, quale un trasferimento di produzione in un altro paese o territorio, fosse quello di evitare l’applicazione di dette misure.

61      Infine, l’uso dell’espressione «sulla base degli elementi disponibili» di cui all’articolo 33 dell’AD-CDU fa riferimento agli elementi di fatto di cui dispone l’autorità incaricata di verificare se lo scopo di un’operazione di delocalizzazione fosse quello di evitare l’applicazione delle misure dell’Unione relative all’origine delle merci.

62      Deriva da quanto precede che occorre interpretare l’articolo 33 del CDU nel senso che, qualora, sulla base degli elementi disponibili, risulti che lo scopo principale o prevalente di un’operazione di delocalizzazione era quello di evitare l’applicazione di misure di politica commerciale dell’Unione, si deve allora ritenere che tale operazione non possa, per principio, essere economicamente giustificata.

63      Pertanto, spetta all’operatore economico interessato fornire la prova che lo scopo principale o prevalente di un’operazione di delocalizzazione non era, nel momento in cui la decisione relativa a quest’ultima è intervenuta, evitare l’applicazione di misure di politica commerciale dell’Unione. Orbene, una prova del genere si distingue dalla ricerca a posteriori di una giustificazione economica o della razionalità economica di tale operazione di delocalizzazione. Infatti, se la prova che lo scopo principale o prevalente di un’operazione di delocalizzazione non era quello di evitare l’applicazione di misure di politica commerciale potesse essere fornita mediante la semplice dimostrazione dell’esistenza di una giustificazione economica, ciò priverebbe di qualsiasi effetto utile l’articolo 33 dell’AD-CDU.

64      Nel caso di specie, dal fascicolo risulta che gli elementi disponibili, ai sensi dell’articolo 33 dell’AD-CDU, sono gli argomenti esposti dalla Harley-Davidson nel modulo 8-K, riprodotti al punto 25 supra, e gli elementi comunicati dalle ricorrenti alle autorità doganali belghe a sostegno delle loro domande di decisioni IVO.

65      Per quanto riguarda gli elementi comunicati alle autorità doganali belghe, le ricorrenti affermano di aver fornito, nell’autunno 2018, una sintesi delle varie ragioni per cui la produzione in Thailandia era a loro avviso «economicamente giustificata», sintesi che esse hanno completato il 26 marzo 2019, ossia nove mesi dopo la pubblicazione del modulo 8-K, con ulteriori spiegazioni.

66      Dall’analisi di tali documenti, prodotti in allegato al presente ricorso, risulta che essi sono stati elaborati dalle ricorrenti nell’ambito dei loro scambi con le autorità doganali belghe al fine di ottenere decisioni IVO che riconoscessero l’origine thailandese dei motocicli fabbricati dalla Harley-Davidson e destinati al mercato dell’Unione. Tali scambi sono iniziati nel settembre 2018, ossia diversi mesi dopo la pubblicazione del modulo 8-K che annunciava pubblicamente l’operazione di delocalizzazione di cui trattasi. Tali documenti, che non sono né anteriori né contemporanei al modulo 8-K, e che sono stati elaborati con l’unico scopo di far riconoscere dalle autorità doganali belghe l’origine thailandese dei motocicli fabbricati dalla Harley-Davidson, non consentono di trarre conclusioni determinanti quanto all’esistenza di una decisione di delocalizzazione in Thailandia della fabbricazione dei motocicli destinati al mercato dell’Unione che sia preesistente all’istituzione di dazi doganali supplementari (v. punto 21 supra) o che dipenda da un ragionamento economico perfettamente razionale ed estraneo all’istituzione di detti dazi doganali supplementari.

67      Ne consegue che, sulla base degli elementi disponibili, vale a dire le affermazioni della stessa Harley-Davidson contenute nel modulo 8-K, è per «far fronte ai costi sostanziali [dell’]onere tariffario [derivante dall’istituzione di dazi doganali supplementari] a lungo termine [che] la Harley-Davidson [ha attuato] un piano per spostare la produzione dei motocicli destinati [all’Unione] dagli Stati Uniti verso i suoi impianti internazionali». Pertanto, dalla lettura del modulo 8-K risulta che l’istituzione dei dazi doganali supplementari è stata il fatto generatore dell’annuncio della decisione di delocalizzazione di cui trattasi. Le ricorrenti hanno, peraltro, riconosciuto in udienza, in risposta a un quesito del Tribunale, che l’entrata in vigore di detti dazi doganali supplementari aveva «accelerato» l’adozione della decisione di delocalizzare in Thailandia la produzione destinata al mercato dell’Unione.

68      Inoltre, le ricorrenti non sono riuscite, né negli elementi emersi dai loro scambi con le autorità doganali belghe, né negli atti depositati nell’ambito del presente procedimento, né in risposta ai quesiti del Tribunale in udienza, a dimostrare che la decisione di delocalizzare in Thailandia la produzione dei motocicli Harley-Davidson destinati al mercato dell’Unione era anteriore all’entrata in vigore del regolamento 2018/886 o faceva parte di una strategia globale volta specificamente a ridurre i costi di produzione dei motocicli destinati al mercato dell’Unione mediante una delocalizzazione in Asia di tale produzione. Tutt’al più, le ricorrenti si sono limitate ad affermazioni vaghe ed astratte secondo cui la Harley-Davidson perseguiva, da diversi anni, una strategia intesa ad accrescere la sua presenza commerciale al di fuori degli Stati Uniti, affermazioni che esse hanno corroborato con la produzione di documenti destinati alla SEC, dai quali risulta soltanto, senza ulteriori precisazioni, che la crescita internazionale faceva, in sostanza, parte di una strategia globale a lungo termine dell’impresa.

69      Le ricorrenti non hanno prodotto alcun documento, come copie di decisioni del consiglio di amministrazione della Harley-Davidson, che dimostri che la decisione specifica di delocalizzare in Thailandia la produzione di motocicli destinati al mercato dell’Unione era precedente all’istituzione dei dazi doganali supplementari in questione. Al contrario, da uno dei documenti prodotti dalle ricorrenti, menzionato al punto 68 supra, datato 28 febbraio 2019 e destinato alla SEC, risulta che la produzione di motocicli all’interno della fabbrica in Thailandia era iniziata solo nel corso del 2018 e che tale produzione era, almeno fino al 31 dicembre 2018, destinata esclusivamente a taluni mercati asiatici, e non al mercato dell’Unione.

70      In ogni caso, non si può che constatare che, indicando unicamente, nel modulo 8-K, che essa intendeva, delocalizzando la propria produzione, «evitare l’onere tariffario» risultante dall’entrata in vigore dei dazi doganali supplementari, la Harley-Davidson aveva come scopo principale o prevalente quello di evitare l’applicazione di tali misure di politica commerciale. Risulta chiaramente dall’oggetto e dal contenuto del modulo 8-K che quest’ultimo, datato 25 giugno 2018, è stato pubblicato in reazione immediata alla pubblicazione del regolamento 2018/886, solo cinque giorni dopo detta pubblicazione e tre giorni dopo la sua entrata in vigore. Il Tribunale constata che esiste una coincidenza temporale tra l’entrata in vigore del regolamento 2018/886 e l’annuncio dell’operazione di delocalizzazione di cui trattasi. Orbene, una siffatta coincidenza temporale è tale, secondo la giurisprudenza, da giustificare la presunzione secondo cui un’operazione di delocalizzazione ha la finalità di evitare l’applicazione di misure di politica commerciale (v., in tal senso, sentenza del 13 dicembre 1989, Brother International, C‑26/88, EU:C:1989:637, punto 29).

71      Risulta altresì dalla giurisprudenza che, di conseguenza, in presenza di una siffatta coincidenza temporale, spetta all’operatore economico interessato dimostrare che vi era un motivo plausibile, diverso da quello di sottrarsi alle conseguenza scaturenti dalle disposizioni in questione, per la realizzazione delle operazioni di fabbricazione nel paese in cui la produzione è stata delocalizzata (v., in tal senso, sentenza del 13 dicembre 1989, Brother International, C‑26/88, EU:C:1989:637, punto 29). Orbene, come rilevato ai punti da 65 a 68 supra, le ricorrenti non sono riuscite a dimostrare che vi era un motivo plausibile, anteriore o contemporaneo all’annuncio della decisione di delocalizzazione in Thailandia, tale da corroborare l’affermazione secondo cui tale delocalizzazione avrebbe potuto avere una giustificazione diversa da quella di sottrarsi alle conseguenze dell’istituzione dei dazi doganali supplementari.

72      Risulta, quindi, che l’istituzione dei dazi doganali supplementari è stata il fatto generatore della decisione di delocalizzazione di cui trattasi rivelata dalla pubblicazione del modulo 8-K e che, alla luce del contesto, tale decisione derivava effettivamente, quanto meno in via principale o prevalente, dalla volontà di sottrarsi all’onere finanziario determinato da tali dazi.

73      Ne consegue che la Commissione non è incorsa in errore nel concludere che lo scopo principale di tale delocalizzazione era quello di evitare la misura di politica commerciale costituita dai dazi doganali supplementari.

74      Di conseguenza, tutti gli argomenti delle ricorrenti relativi all’esistenza di una giustificazione economica dell’operazione di delocalizzazione di cui trattasi sono inoperanti in quanto tale giustificazione non doveva essere ricercata dalla Commissione nel caso di specie. Lo stesso vale per l’argomento delle ricorrenti relativo alla realtà e al carattere sostanziale delle operazioni di produzione in Thailandia.

75      Quanto all’argomento delle ricorrenti secondo cui la Commissione avrebbe trasformato un criterio inizialmente oggettivo in un criterio soggettivo, è sufficiente rilevare che la constatazione, nella decisione impugnata, secondo cui l’operazione di delocalizzazione in Thailandia era stata realizzata al fine, quanto meno principalmente, di evitare l’applicazione di misure di politica commerciale dell’Unione è una constatazione basata su elementi di prova oggettivi. A tale proposito, nell’ambito del suo esame del comportamento della Harley-Davidson al fine di individuare un’eventuale elusione di dette misure di politica commerciale, la Commissione era, infatti, tenuta a fondarsi su tutti gli elementi pertinenti e disponibili. In tale ambito, la Commissione ha potuto essere indotta a valutare la strategia perseguita da tale impresa. In tale contesto, la Commissione poteva legittimamente richiamarsi a fattori di natura soggettiva, ossia il movente sotteso alla strategia in questione, in quanto tali fattori risultavano chiaramente, senza alcuna ambiguità e obiettivamente, dal modulo 8-K. Pertanto, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, l’esistenza di un’intenzione di eludere le misure di politica commerciale in questione poteva costituire una delle circostanze di fatto oggettive idonee ad essere prese in considerazione ai fini della determinazione di una siffatta elusione.

76      Risulta da quanto precede che il terzo motivo di ricorso è respinto.

2.      Sul quarto motivo di ricorso, attinente allillegittimità dellarticolo 33 dellAD-CDU

77      Nell’ambito del quarto motivo di ricorso, le ricorrenti fanno valere che l’articolo 33 dell’AD-CDU sarebbe illegittimo in quanto eccederebbe l’ambito di una normativa che possa essere adottata mediante atto delegato ai sensi dell’articolo 290 TFUE e in quanto violerebbe i principi di certezza del diritto e di proporzionalità.

a)      Sulla prima parte del quarto motivo di ricorso, vertente su una violazione dellarticolo 290 TFUE

78      Le ricorrenti sostengono che, a prescindere dall’interpretazione da dare all’articolo 33 dell’AD-CDU, tale disposizione eccede i limiti di una normativa delegata. A tale riguardo, esse fanno valere, in sostanza, che il criterio della «giustificazione economica» non può essere considerato un criterio che fornisce maggiori precisazioni sul modo in cui dovrebbe essere applicata una disposizione sostanziale, ma che si tratta, al contrario, di una regola fondamentale in materia di determinazione dell’origine. In quanto tale, la norma di cui all’articolo 33 del CDU dovrebbe figurare nel diritto primario, accanto all’articolo 60, paragrafo 2, del codice doganale, che contiene la regola generale che consente di determinare l’origine delle merci trasformate in più di un paese.

79      La Commissione contesta tale argomento.

80      La possibilità di delegare poteri prevista all’articolo 290 TFUE è diretta a consentire al legislatore di concentrarsi sugli elementi essenziali di una normativa nonché sugli elementi non essenziali sui quali esso ritenga opportuno legiferare, affidando tuttavia alla Commissione il compito di «integrare» determinati elementi non essenziali dell’atto legislativo adottato ovvero di «modificare» tali elementi nell’ambito di una delega conferita a quest’ultima (sentenza dell’11 maggio 2017, Dyson/Commissione, C‑44/16, EU:C:2017:357, punto 58, e giurisprudenza ivi citata).

81      Ne consegue che le norme essenziali della materia di cui trattasi devono essere stabilite nella normativa di base e non possono costituire oggetto di una delega (v. sentenza dell’11 maggio 2017, Dyson/Commissione, C‑44/16, EU:C:2017:357, punto 59, e giurisprudenza ivi citata).

82      Risulta dalla giurisprudenza che gli elementi essenziali di una normativa di base sono quelli la cui adozione richiede scelte politiche rientranti nelle responsabilità proprie del legislatore dell’Unione (sentenza dell’11 maggio 2017, Dyson/Commissione, C‑44/16 P, EU:C:2017:357, punto 61 e giurisprudenza ivi citata).

83      L’identificazione degli elementi di una materia che devono essere qualificati come essenziali deve basarsi su elementi oggettivi che possano essere sottoposti a sindacato giurisdizionale e impone di tener conto delle caratteristiche e delle peculiarità del settore in esame (v. sentenza dell’11 maggio 2017, Dyson/Commissione, C‑44/16 P, EU:C:2017:357, punto 62 e giurisprudenza ivi citata).

84      Nel caso di specie, l’articolo 60 del codice doganale prevede norme per la determinazione dell’origine non preferenziale delle merci, norme che variano a seconda che le merci siano state ottenute in uno stesso paese o territorio, o che la loro produzione abbia coinvolto più paesi o territori. Queste due categorie di norme sono stabilite, rispettivamente, ai paragrafi 1 e 2 di detto articolo 60.

85      Il caso di specie riguarda unicamente la seconda categoria di norme.

86      Inoltre, per quanto riguarda tale seconda categoria di norme, la Commissione ha adottato l’articolo 33 dell’AD-CDU in applicazione dell’autorizzazione prevista dall’articolo 62 del codice doganale, in combinato disposto con l’articolo 284 del codice doganale. In tal senso, detto articolo 62 autorizza tale istituzione ad adottare atti delegati al fine di stabilire, in sostanza, le norme di attuazione dei requisiti previsti dall’articolo 60, paragrafo 2, del codice doganale.

87      Ne deriva che, alla luce dell’economia generale del codice doganale, il requisito relativo alla giustificazione economica, esaminato nel caso di specie, è previsto dal codice doganale stesso e costituisce unicamente uno dei requisiti previsti da una delle norme in materia di acquisto dell’origine non preferenziale.

88      In tale contesto, per quanto riguarda la portata della delega conferita alla Commissione dall’articolo 62 del codice doganale, conferendo alla Commissione il potere di «emanare» norme, tale disposizione autorizza la Commissione a «integrare» il codice doganale, ai sensi dell’articolo 290 TFUE. Pertanto, se la Commissione non è autorizzata da tale articolo a modificare gli elementi già adottati nel codice doganale, essa è, per contro, autorizzata dal medesimo a completare il codice doganale sviluppando elementi che non sono stati definiti dal legislatore, pur rimanendo tenuta a rispettare le disposizioni adottate dal codice doganale.

89      Pertanto, anche a supporre che le norme per la determinazione dell’origine costituiscano elementi essenziali del codice doganale, l’articolo 33 dell’AD-CDU mira soltanto a completare, apportandovi un certo numero di precisazioni, l’articolo 60 del codice doganale. Pertanto, non si può ritenere che tale articolo 33 ecceda i limiti della delega conferita alla Commissione dall’articolo 62 del codice doganale o che esso modifichi una regola essenziale del codice doganale.

90      Inoltre, poiché l’articolo 33 dell’AD-CDU mira unicamente a garantire, come risulta dal considerando 21 dell’AD-CDU, l’applicazione effettiva delle misure di politica commerciale istituite ai sensi di altre disposizioni del diritto dell’Unione, si deve ritenere che l’adozione di tale articolo non abbia comportato, di per sé, scelte politiche rientranti nelle responsabilità proprie del legislatore dell’Unione.

91      Da quanto precede consegue che la prima parte del quarto motivo è infondata e va respinta.

b)      Sulla seconda parte del quarto motivo di ricorso, relativa ad una violazione dei principi di certezza del diritto e di proporzionalità

92      Le ricorrenti fanno valere che l’introduzione di una modifica così sostanziale del criterio giuridico della «giustificazione economica» mediante un atto delegato è incompatibile con i principi generali del diritto dell’Unione, in particolare con quelli della certezza del diritto e della proporzionalità.

93      A tale proposito, esse sostengono che, prevedendo, all’articolo 33 dell’AD-CDU, che una molteplicità di motivi possa essere presa in considerazione per valutare la giustificazione economica di un’operazione di delocalizzazione, la Commissione avrebbe introdotto in tale criterio una forma di soggettività incompatibile con il carattere oggettivo del regolamento di base. Esse affermano, inoltre, che la Commissione non aveva alcun motivo per estendere e modificare il criterio, quale definito nel diritto primario o nella giurisprudenza.

94      La Commissione contesta tali affermazioni.

95      Il Tribunale osserva che l’argomento delle ricorrenti si basa sul postulato secondo cui l’articolo 33 dell’AD-CDU prevedrebbe che una molteplicità di motivi possa essere presa in considerazione ai fini della determinazione dell’esistenza di una «giustificazione economica» e che la valutazione dell’importanza rispettiva di tali diverse ragioni rientrerebbe nel solo potere discrezionale della Commissione. Orbene, tale postulato deriva da un’errata interpretazione dell’articolo 33 dell’AD-CDU.

96      Infatti, come stabilito ai precedenti punti da 54 a 63, l’articolo 33 dell’AD-CDU prevede che sia sufficiente che lo «scopo», vale a dire lo scopo principale o prevalente, di un’operazione di delocalizzazione sia quello di evitare l’applicazione di misure di politica commerciale dell’Unione perché si possa ritenere che tale operazione di delocalizzazione non sia economicamente giustificata ai sensi della normativa applicabile.

97      Di conseguenza, si deve constatare che, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, l’articolo 33 dell’AD-CDU non prevede il bilanciamento o la presa in considerazione di una «molteplicità di motivi» ai fini della determinazione dell’esistenza di una «giustificazione economica», ma prevede soltanto che una siffatta giustificazione non possa, per principio, esistere in presenza di una strategia volta principalmente ad evitare l’applicazione di misure di politica commerciale dell’Unione.

98      Ne consegue che l’argomento delle ricorrenti deve essere respinto.

99      Da quanto precede risulta che la seconda parte del quarto motivo di ricorso, e, quindi, il quarto motivo di ricorso nel suo insieme, devono essere respinti.

3.      Sul primo motivo di ricorso, vertente su una violazione dellobbligo di motivazione e della procedura consultiva preliminare alladozione della decisione impugnata

100    Nell’ambito del primo motivo di ricorso, le ricorrenti fanno valere, da un lato, che la Commissione ha violato le forme sostanziali in quanto la decisione impugnata non conterrebbe motivazione o conterrebbe una motivazione insufficiente e, dall’altro, che la Commissione non avrebbe rispettato la procedura consultiva preliminare all’adozione della decisione impugnata.

a)      Sulla prima parte del primo motivo di ricorso, relativa alla violazione dellobbligo di motivazione

101    Le ricorrenti sostengono che la decisione impugnata non indica loro né ciò che la Commissione pensa delle operazioni di assemblaggio realizzate in Thailandia, né ciò che la Commissione pensa dei motivi che hanno indotto la Harley-Davidson a fabbricare i suoi prodotti in Thailandia, né il modo in cui la Commissione ha applicato il criterio della giustificazione economica, cosicché il Tribunale non sarebbe in grado di esercitare il suo controllo.

102    Le ricorrenti sostengono, inoltre, che la decisione impugnata non contiene spiegazioni circa le ragioni per le quali la posizione della Commissione è diversa da quella delle autorità doganali belghe e che il ragionamento esposto al punto 7 di detta decisione non costituisce altro che una dichiarazione perentoria. Esse fanno valere a tale proposito che, tenuto conto della tecnicità della materia, degli investimenti considerevoli in gioco e in ragione del carattere inedito di una decisione quale la decisione impugnata, l’esposizione di un ragionamento chiaro risultava particolarmente importante.

103    La Commissione contesta tali affermazioni.

104    Deriva da una costante giurisprudenza che la portata dell’obbligo di motivazione dipende dalla natura dell’atto in questione e dal contesto nel quale esso è stato adottato. La motivazione deve fare apparire in modo chiaro e non equivoco l’iter logico dell’istituzione in modo da consentire, da una parte, agli interessati di conoscere le giustificazioni della misura adottata per poter difendere i loro diritti e verificare se la decisione sia fondata o meno e, dall’altra, al giudice dell’Unione di esercitare il suo controllo di legittimità. La motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti, in quanto la questione se la motivazione di un atto soddisfi i requisiti dell’articolo 296 TFUE va valutata alla luce non solo del suo tenore, ma anche del suo contesto nonché del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia. In particolare, la Commissione non è obbligata a prendere posizione su tutti gli argomenti che gli interessati fanno valere dinanzi ad essa, ma le è sufficiente esporre i fatti e le considerazioni giuridiche aventi un ruolo essenziale nell’economia della decisione (v. sentenza del 12 maggio 2011, Région Nord-Pas-de-Calais et Communauté d’agglomération du Douaisis/Commissione, T‑267/08 e T‑279/08, EU:T:2011:209, punto 43 e giurisprudenza ivi citata).

105    Nel caso di specie, la Commissione ha indicato, nella decisione impugnata e secondo i termini riprodotti al punto 37 supra, il motivo per il quale determinate categorie di motocicli fabbricati dalla Harley-Davidson e importati nell’Unione dalla Thailandia non potevano essere considerate come aventi tale paese per origine, vale a dire il fatto che tale fabbricazione in Thailandia non era economicamente giustificata, in quanto mirava principalmente ad evitare le misure di politica commerciale dell’Unione adottate, a partire dal 2018, nei confronti dei prodotti originari degli Stati Uniti.

106    Inoltre, al considerando 9 della decisione impugnata, la Commissione ha contestato alle autorità doganali belghe di non aver correttamente applicato l’articolo 33 dell’AD-CDU, poiché nelle due decisioni IVO esse avevano considerato la Thailandia come luogo di origine dei motocicli in questione.

107    Pertanto, la decisione impugnata contiene una motivazione sufficiente a tale titolo menzionando le ragioni per le quali la Commissione ha ritenuto che le autorità doganali belghe avessero adottato decisioni IVO che non erano conformi alla normativa doganale dell’Unione.

108    Inoltre, si può osservare che taluni argomenti delle ricorrenti enunciati al punto 102 supra si confondono con la critica della fondatezza della decisione impugnata. Orbene, l’obbligo di motivare le decisioni costituisce una formalità sostanziale che va tenuta distinta dalla questione della fondatezza della motivazione. Infatti, la motivazione di una decisione consiste nell’esprimere espressamente le ragioni su cui si fonda tale decisione. Qualora tali ragioni siano viziate da errori, questi ultimi inficiano la legalità sostanziale della decisione, ma non la sua motivazione, che può essere sufficiente pur illustrando ragioni errate (v. sentenza del 10 luglio 2008, Bertelsmann e Sony Corporation of America/Impala, C‑413/06 P, EU:C:2008:392, punto 181 e giurisprudenza ivi citata).

109    Ne consegue che la prima parte del presente motivo di ricorso è infondata e va respinta.

b)      Sulla seconda parte del primo motivo di ricorso, vertente sullinosservanza della procedura consultiva preliminare alladozione della decisione impugnata

110    Le ricorrenti fanno valere che la Commissione era tenuta a consultare il comitato consultivo competente prima di adottare la decisione impugnata e che la mera consultazione di detto comitato mediante una procedura scritta era, nel caso di specie, insufficiente, tanto più che la Commissione non avrebbe comunicato alcun elemento del contesto di fatto e di diritto al fine di consentire ai membri del comitato di formarsi un’opinione. Inoltre, secondo le ricorrenti, la circostanza che, nell’ambito della consultazione condotta mediante procedimento scritto, quattro Stati membri si siano manifestati per opporsi al progetto di decisione impugnata avrebbe dovuto indurre la Commissione a «tenere nella massima considerazione» tali osservazioni, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento (UE) n. 182/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, che stabilisce le regole e i principi generali relativi alle modalità di controllo da parte degli Stati membri dell’esercizio delle competenze di esecuzione attribuite alla Commissione (GU 2011, L 55, pag. 13).

111    La Commissione contesta tali affermazioni.

112    Dall’articolo 285 del codice doganale risulta che il comitato del codice doganale è un comitato ai sensi del regolamento n. 182/2011. Inoltre, dall’articolo 37, paragrafo 2, secondo e terzo comma, del codice doganale, in combinato disposto con l’articolo 285, paragrafi 2 e 6, di detto codice, risulta che le decisioni, come la decisione impugnata, che chiedono agli Stati membri di revocare decisioni IVO sono adottate secondo la procedura consultiva di cui all’articolo 4 del regolamento n. 182/2011.

113    L’articolo 4 del regolamento n. 182/2011, rubricato «Procedura consultiva», così dispone:

«1. Nei casi in cui si applica la procedura consultiva, il comitato esprime il proprio parere, procedendo eventualmente a votazione. Se il comitato procede a votazione, il parere è espresso a maggioranza semplice dei suoi membri.

2. La Commissione decide sul progetto di atto di esecuzione da adottare, tenendo nella massima considerazione le conclusioni raggiunte nei dibattiti svolti in seno al comitato e il parere espresso».

114    Per quanto riguarda la censura relativa al ricorso ad una procedura condotta per iscritto nel caso di specie, nessuna disposizione del regolamento n. 182/2011 vieta alla Commissione di svolgere una procedura consultiva secondo tale modalità particolare. Al contrario, è espressamente previsto, all’articolo 3, paragrafo 5, del regolamento n. 182/2011, che l’opinione del comitato, nell’ambito di una procedura consultiva, possa essere ottenuta con procedura scritta.

115    Per quanto riguarda il motivo vertente sul fatto che il comitato consultivo non avrebbe beneficiato di elementi di fatto e di diritto sufficienti quando ha esaminato il progetto di decisione impugnata, occorre rilevare che le ricorrenti non hanno suffragato tale motivo e che, in ogni caso, gli Stati membri, interessati in primo luogo, non hanno espresso alcuna critica su tale punto, cosicché non sussistono elementi che consentano di concludere che le delegazioni non avevano potuto adottare le loro posizioni con cognizione di causa. Pertanto, tale motivo deve essere respinto.

116    Per quanto riguarda la presa in considerazione delle osservazioni formulate dagli Stati membri che si sarebbero manifestati per opporsi al progetto di decisione, occorre rilevare che il requisito di cui all’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 182/2011 non ha carattere vincolante. Pertanto, la Commissione, che conserva un margine di discrezionalità, non è vincolata dal parere emesso dal comitato né, a fortiori, dalle opinioni divergenti di minoranza espresse da taluni dei suoi membri.

117    Infatti, la formula «tenendo nella massima considerazione» di cui all’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 182/2011 mette in evidenza il carattere non vincolante delle conclusioni che emergono dai dibattiti in seno al comitato, comprese le opinioni espresse soltanto da alcuni dei suoi membri, e del parere infine emesso da detto comitato. Se tali conclusioni o opinioni fossero vincolanti, non basterebbe alla Commissione tenerle nella massima considerazione, a rischio di snaturare i termini e la finalità dell’articolo 4 del regolamento n. 182/2011, ma sarebbe tenuta a conformarvisi (v., in tal senso e per analogia, ordinanza del 9 luglio 2019, VodafoneZiggo Group/Commissione, T‑660/18, EU:T:2019:546, punto 44). Tale constatazione è corroborata da un confronto con la procedura d’esame, prevista dall’articolo 5 di tale regolamento, dato che, come risulta dal suo considerando 11, quest’ultima procedura deve consentire di garantire che gli atti di esecuzione non possano essere adottati dalla Commissione se non sono conformi al parere del comitato competente. Ciò significa che il parere del comitato competente non è vincolante per la Commissione se, come nel caso di specie, si applica la procedura consultiva.

118    Tuttavia, come rilevano giustamente le ricorrenti, è già stato riconosciuto dalla giurisprudenza che l’obbligo di tenere «nella massima considerazione» imponeva un obbligo di motivazione nel senso che la Commissione doveva poter dimostrare la sussistenza di divergenze alla luce delle conclusioni che emergono dai dibattiti in seno al comitato e dal parere emesso (v., in tal senso e per analogia, ordinanza del 9 luglio 2019, VodafoneZiggo Group/Commissione, T‑660/18, EU:T:2019:546, punto 47).

119    A tale proposito, occorre osservare che la decisione impugnata è stata adottata al termine del procedimento amministrativo descritto ai punti 34 e 35 supra. In particolare, la Commissione ha sottoposto il progetto di decisione impugnata alle delegazioni del comitato adito il 5 marzo 2021 e quattro Stati membri hanno inviato osservazioni opponendosi alla posizione adottata dalla Commissione in tale progetto.

120    Dalla nota di sintesi inviata dalla Commissione al comitato del codice doganale, sezione «Origine», il 29 marzo 2021 (v. punto 34 supra), risulta che 23 Stati membri non avevano preso posizione sul progetto di decisione impugnata. Pertanto, un’ampia maggioranza delle delegazioni aveva tacitamente espresso il proprio consenso al suddetto progetto di decisione impugnata, in applicazione dell’articolo 3, paragrafo 5, del regolamento n. 182/2011, cosicché il parere emesso dal comitato sul progetto di decisione impugnata poteva essere considerato un parere favorevole, con riferimento al quale la Commissione non ha, quindi, dovuto dimostrare alcuna divergenza.

121    Dal verbale della riunione del gruppo di esperti doganali, sezione «Origine», del 20 aprile 2021, risulta che, delle quattro delegazioni che hanno manifestato la loro opposizione al progetto di decisione impugnata, almeno tre hanno espresso preoccupazioni precise e dettagliate.

122    In particolare, tali delegazioni hanno espresso riserve in merito alla questione del mancato esame, nel progetto di decisione impugnata, della razionalità economica globale dell’operazione di delocalizzazione e alla questione se occorresse intendere la nozione di «scopo», ai sensi dell’articolo 33 dell’AD-CDU, come riferita a una finalità unica o esclusiva e non solo nel senso che rinvia ad uno scopo tra gli altri.

123    Pertanto, tali riserve possono rientrare nella nozione di «conclusioni raggiunte nei dibattiti svolti in seno al comitato», ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 182/2011, che la Commissione doveva tenere «nella massima considerazione», ai sensi della medesima disposizione.

124    Tuttavia, dal considerando 7 della decisione impugnata deriva che «[a]nche se il fatto di evitare le misure di politica commerciale può non essere necessariamente l’unico scopo del trasferimento della produzione, le condizioni di cui all’articolo 33, primo comma, del[l’AD-CDU] sono soddisfatte sulla base di tutti i fatti disponibili».

125    Così facendo, la Commissione ha implicitamente ma necessariamente risposto alla questione se la nozione di «scopo», ai sensi dell’articolo 33 dell’AD-CDU, dovesse essere intesa nel senso che rinvia ad uno scopo tra gli altri, considerando che tale scopo poteva quindi coabitare con altri scopi. Inoltre, essa ha anche implicitamente ma necessariamente considerato giustamente che non era necessario, dopo aver dimostrato che lo scopo principale o prevalente di un’operazione di delocalizzazione era evitare l’applicazione di misure di politica commerciale dell’Unione, prendere posizione sulla questione della razionalità economica globale dell’operazione di delocalizzazione di cui trattasi.

126    Da quanto precede risulta che la seconda parte del primo motivo di ricorso nonché, pertanto, il primo motivo di ricorso in toto, devono essere respinti.

4.      Sul secondo motivo di ricorso, vertente su un errore manifesto di valutazione

127    Le ricorrenti sostengono che la decisione impugnata è fondata su un errore manifesto di valutazione dei fatti pertinenti in quanto la Commissione non avrebbe tenuto conto di tutti gli elementi del contesto e in quanto il contesto, il contenuto e l’oggetto del modulo 8-K non sarebbero stati correttamente valutati.

a)      Sulla prima parte del secondo motivo di ricorso, vertente sullassenza di analisi dellinsieme dei fatti pertinenti

128    Le ricorrenti contestano alla Commissione di essere incorsa in un errore manifesto di valutazione, in quanto essa non ha esaminato l’insieme dei fatti pertinenti, e in particolare la data in cui era stata adottata la decisione della Harley-Davidson di trasferire determinate operazioni di fabbricazione in Thailandia, le ragioni commerciali ed economiche sottese a tale decisione nonché la natura dei processi e delle operazioni realizzati in Thailandia.

129    La Commissione contesta tale argomento.

130    Occorre rilevare che l’argomento delle ricorrenti riguarda la questione se la Commissione sia incorsa in un errore di diritto nell’applicazione da essa fatta dell’articolo 33 dell’AD-CDU non procedendo alla ricerca della giustificazione economica della delocalizzazione in questione. Orbene, tale questione è già stata esaminata nell’ambito dell’analisi del terzo motivo.

131    A tale riguardo, dall’analisi svolta ai punti da 54 a 63 supra risulta che, poiché la Commissione ha giustamente constatato, sulla base degli elementi a sua disposizione, che lo scopo principale dell’operazione di delocalizzazione in Thailandia della produzione di motocicli Harley-Davidson destinati al mercato dell’Unione era quello di evitare l’applicazione delle misure di politica commerciale istituite dal regolamento 2018/886, essa poteva, quindi, validamente concludere, nell’ambito dell’applicazione che essa aveva fatto dell’articolo 33 dell’AD.CDU, che tale operazione non era economicamente giustificata, senza che fosse necessario esaminare i fatti relativi ad eventuali altri scopi dell’operazione di delocalizzazione.

132    Ne consegue che la prima parte del secondo motivo di ricorso è respinta.

b)      Sulla seconda parte del secondo motivo di ricorso, vertente su un errore manifesto di valutazione del contesto, del contenuto e delloggetto del modulo 8-K

133    Le ricorrenti contestano alla Commissione di non aver tenuto conto del contesto nel quale il modulo 8-K è stato reso pubblico. A tale proposito, le ricorrenti sostengono che la Commissione ha attribuito troppa importanza alla formula secondo la quale la delocalizzazione di cui trattasi doveva consentire di «evitare l’onere tariffario» derivante dai dazi doganali supplementari, mentre altri elementi avevano giustificato tale delocalizzazione. Infatti, le ricorrenti ritengono che la Commissione abbia attribuito un valore probatorio assoluto a una dichiarazione unica, senza prendere in considerazione il contesto in cui tale dichiarazione era stata effettuata o il pubblico al quale essa si rivolgeva e che essa aveva l’obiettivo di rassicurare, ad esclusione di qualsiasi altra prova. Infine, le ricorrenti fanno valere che, anche se uno dei fattori che motivavano la delocalizzazione era quello di evitare l’applicazione dei dazi doganali supplementari, la Commissione non ha bilanciato tale scopo con altri perseguiti dalla delocalizzazione in questione.

134    La Commissione contesta tali affermazioni.

135    Nel caso di specie, come risulta dai fatti esposti ai punti 24 e 25 supra, in reazione all’entrata in vigore del regolamento 2018/886, la Harley-Davidson ha presentato alla SEC, il 25 giugno 2018, il modulo 8-K diretto ad informare i suoi azionisti dell’applicazione, dal 22 giugno 2018, di dazi doganali supplementari sui suoi prodotti importati nell’Unione dagli Stati Uniti. In tale modulo, la Harley-Davidson ha altresì comunicato la sua intenzione di trasferire la produzione di determinati motocicli destinati al mercato dell’Unione dagli Stati Uniti verso i suoi impianti internazionali, al fine di evitare le misure di politica commerciale dell’Unione di cui trattasi.

136    In particolare, il modulo 8-K contiene la seguente formulazione: «[p]er far fronte ai costi sostanziali di tale onere tariffario a lungo termine, la Harley-Davidson attuerà un piano per spostare la produzione dei motocicli destinati all’[Unione] dagli Stati Uniti verso i suoi impianti internazionali, al fine di evitare l’onere tariffario».

137    Ne consegue che almeno uno dei fattori che avevano motivato la delocalizzazione di cui trattasi era quello di evitare l’applicazione dei dazi doganali supplementari, il che non è contestato dalle ricorrenti. Inoltre, è stato accertato, ai punti da 64 a 72 supra, che tale volontà di evitare l’applicazione dei dazi doganali supplementari era stata lo scopo principale o prevalente della decisione di delocalizzazione di cui trattasi.

138    Di conseguenza, non si può contestare alla Commissione di essere incorsa in un errore manifesto di valutazione quando ha affermato, nella decisione impugnata, che era «[d]opo la pubblicazione delle misure di politica commerciale dell’Unione europea [che Harley-Davidson] (...) a[veva] segnalato con il modulo 8-K (...) presentato (...) il giugno 2018 alla [SEC], il proprio piano di trasferire la produzione di determinati motocicli destinati al mercato dell’Unione (...) dagli Stati Uniti (...) ai suoi stabilimenti internazionali situati in un altro paese, per evitare le misure di politica commerciale dell’Unione (...)», rilevando, al contempo, che «(...) il fatto di evitare le misure di politica commerciale [di cui trattasi] p[oteva] non essere necessariamente l’unico scopo del trasferimento della produzione (...)».

139    Per quanto riguarda la questione se la Commissione avrebbe dovuto prendere in considerazione altri fattori, quali gli elementi di contesto, l’oggetto del modulo 8-K o gli altri obiettivi perseguiti dalla delocalizzazione in questione, occorre osservare che essa riguarda la questione se la Commissione sia incorsa in un errore di diritto nell’interpretazione dell’articolo 33 dell’AD-CDU basando la sua conclusione sulla constatazione che lo scopo prevalente di tale delocalizzazione era quello di evitare l’applicazione dei dazi doganali supplementari, che è già stata esaminata e respinta nell’ambito dell’analisi del terzo motivo di ricorso e della prima parte del presente motivo.

140    Risulta da quanto precede che la seconda parte del secondo motivo di ricorso e, quindi, il secondo motivo di ricorso nel suo insieme devono essere respinti.

5.      Sul quinto motivo di ricorso, vertente sulla violazione di principi generali del diritto dellUnione e della Carta dei diritti fondamentali dellUnione europea

141    Nell’ambito del quinto motivo di ricorso, le ricorrenti fanno valere che la decisione impugnata viola i principi di certezza del diritto e di legittimo affidamento, i principi di non discriminazione e di proporzionalità, il diritto ad una buona amministrazione, la libertà d’impresa e il diritto di proprietà.

a)      Sulla prima parte del quinto motivo di ricorso, relativa alla violazione dei principi di certezza del diritto e di legittimo affidamento

142    Le ricorrenti fanno valere che la decisione impugnata non era prevedibile, così come la sua applicazione e i suoi effetti, in particolare nei confronti delle autorità belghe, come dimostrerebbe il fatto che queste ultime hanno revocato le cinque decisioni IVO che erano state concesse alle ricorrenti, e non soltanto le due decisioni IVO indicate nella decisione impugnata. Inoltre, esse sostengono che il fatto che la Commissione non abbia revocato le decisioni IVO al momento in cui sono state concesse costituisce un comportamento che ha generato un legittimo affidamento e ricordano che la Corte ha già dichiarato che un termine di due anni tra la pubblicazione di una decisione non corretta e il tentativo di correzione della Commissione era irragionevole. Esse affermano, altresì, che la guida della Commissione sulle informazioni vincolanti in materia di origine indica che la revoca di una decisione IVO è soggetta alle condizioni di cui all’articolo 22, paragrafo 6, del codice doganale relative al diritto di essere ascoltato, cosicché esse potevano legittimamente aspettarsi che la Commissione le contattasse nell’ambito della procedura che ha portato all’adozione della decisione impugnata. Infine, le ricorrenti sostengono che non sussisteva un interesse pubblico imperativo che avrebbe dovuto prevalere sui loro interessi privati.

143    La Commissione contesta tali argomenti.

144    Le decisioni IVO, adottate in applicazione dell’articolo 33 del codice doganale, sono decisioni con le quali le autorità doganali nazionali certificano, in risposta a richieste di importatori che intendono ottenere garanzie in merito all’interpretazione delle norme che consentono di definire l’origine di una merce importata, l’origine geografica di taluni prodotti importati nell’Unione. L’informazione vincolante in materia di origine ha lo scopo di rassicurare l’operatore economico quando sussiste un dubbio sull’origine delle merci importate nell’Unione, tutelandolo così da qualsiasi modifica ulteriore della posizione adottata dalle autorità doganali nazionali durante un periodo determinato (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 29 gennaio 1998, Lopex Export, C‑315/96, EU:C:1998:31, punto 28). Tuttavia, una siffatta informazione non ha come obiettivo e non può avere l’effetto di garantire definitivamente all’operatore che l’origine geografica alla quale si riferisce non sarà successivamente modificata, segnatamente a causa della revoca, su richiesta della Commissione, della decisione IVO ottenuta, per il motivo previsto all’articolo 34, paragrafo 11, del codice doganale, vale a dire la necessità di garantire una determinazione dell’origine corretta delle merci.

145    Inoltre, la Corte ha già dichiarato che il principio della tutela del legittimo affidamento non può essere invocato avverso una precisa disposizione di un atto normativo di diritto dell’Unione e il comportamento di un’autorità nazionale incaricata di applicare il diritto dell’Unione che sia in contrasto con quest’ultimo non può autorizzare l’operatore economico a considerarsi legittimato a fare assegnamento su di un trattamento contrastante col diritto dell’Unione [v., in tal senso, sentenza del 7 aprile 2011, Sony Supply Chain Solutions (Europe), C‑153/10, EU:C:2011:224, punto 47 e giurisprudenza ivi citata].

146    Orbene, nel caso di specie, dall’analisi del terzo motivo di ricorso risulta che l’articolo 33 dell’AD-CDU disciplina con sufficiente precisione la condizione relativa al carattere economicamente giustificato della lavorazione o della trasformazione. Inoltre, dalla formulazione dell’articolo 60, paragrafo 2, del codice doganale risulta che tale disposizione disciplina con sufficiente precisione le altre condizioni da rispettare per la determinazione dell’origine di una merce importata nell’Unione.

147    Ne consegue che le autorità doganali belghe incaricate di applicare il diritto dell’Unione, adottando le decisioni IVO, hanno tenuto un comportamento in contrasto con il diritto dell’Unione e che tale comportamento non può aver creato un legittimo affidamento in capo alle ricorrenti.

148    Per quanto riguarda la questione del tempo trascorso tra la data in cui la Commissione ha preso conoscenza dell’esistenza delle decisioni IVO di cui trattasi e quella in cui essa ha chiesto alle autorità doganali belghe la loro revoca, questione che rientra in realtà nella terza parte del presente motivo di ricorso, essa sarà affrontata nell’ambito dell’esame di detta parte, vertente sulla violazione del diritto ad una buona amministrazione.

149    Per quanto riguarda, infine, l’affermazione delle ricorrenti secondo cui esse potevano legittimamente attendersi che la Commissione le contattasse prima di adottare la decisione impugnata, è sufficiente constatare, per respingerla, che, nell’ambito della prima parte del quinto motivo di ricorso, tale affermazione è fondata su un’interpretazione dell’articolo 22, paragrafo 6, del codice doganale, il quale riguarda unicamente la procedura che devono seguire le autorità doganali nazionali, e non la procedura che deve seguire la Commissione.

150    Risulta da quanto precede che la prima parte del quinto motivo di ricorso va respinta.

b)      Sulla seconda parte del quinto motivo di ricorso, relativa alla violazione dei principi di non discriminazione e di proporzionalità

151    Le ricorrenti sostengono che dalle dichiarazioni dell’ex presidente della Commissione, ma anche della commissaria al commercio dell’epoca, risulta che la Harley-Davidson è stata specificamente presa di mira, accanto ad altre marche americane, per essere oggetto dei dazi di ritorsione in questione al fine di esercitare pressioni su taluni responsabili politici americani in particolare, e non sulla base di criteri oggettivi. Esse aggiungono che l’effetto della decisione impugnata è stato sproporzionato rispetto allo scopo perseguito e che esistevano altre soluzioni meno restrittive oppure che esse avrebbero potuto beneficiare di garanzie, ad esempio essere avvertite del fatto che la Commissione prevedeva di riesaminare l’interpretazione del criterio dell’articolo 33 dell’AD-CDU effettuata dalle autorità belghe, dando loro, al contempo, la possibilità di presentare osservazioni.

152    La Commissione contesta tali affermazioni.

153    Il Tribunale osserva che, affermando, in sostanza, di essere state oggetto di un trattamento discriminatorio, dal momento che la Harley-Davidson è stata specificamente presa di mira con dichiarazioni pubbliche di alti responsabili dell’Unione, accanto ad altre marche americane, per essere oggetto dei dazi di ritorsione di cui trattasi, le ricorrenti oltrepassano l’ambito della presente controversia.

154    Infatti, tale critica delle ricorrenti non verte in realtà sulla decisione impugnata, ma riguarda direttamente il regolamento 2018/886 che ha istituito i dazi doganali supplementari e che, a loro avviso, avrebbe ingiustamente designato la Harley-Davidson. Inoltre, e in ogni caso, il regolamento 2018/886 non riguarda nominativamente la Harley-Davidson, ma riguarda in particolare i prodotti corrispondenti al codice della nomenclatura 8711 50 00, ossia i «[m]otocicli (...) con motore a pistone alternativo di cilindrata superiore a 800 cm³». Orbene, sebbene una tale categoria di prodotti corrisponda effettivamente ai motocicli fabbricati dalla Harley-Davidson, non si può tuttavia escludere che i motocicli fabbricati da altre imprese stabilite negli Stati Uniti possano anch’essi rientrare in tale categoria definita in modo obiettivo, senza riferimento a un marchio in particolare, circostanza che le ricorrenti hanno confermato in udienza designando un altro produttore americano.

155    Quanto alla questione della proporzionalità e del carattere discriminatorio della decisione impugnata, è sufficiente rilevare che, con detta decisione, la Commissione si è limitata a chiedere alle autorità doganali nazionali di revocare decisioni IVO, in quanto tali decisioni non erano state adottate conformemente al diritto dell’Unione. Da un lato, una domanda di adeguamento alla normativa applicabile non è sproporzionata. Dall’altro lato, le ricorrenti non dimostrano e nemmeno sostengono che la Commissione avrebbe rinunciato a chiedere ad autorità nazionali di modificare decisioni IVO relative ad un altro produttore di prodotti corrispondenti al codice della nomenclatura 8711 50 00. Peraltro, nulla indica che la Commissione non avrebbe agito esattamente allo stesso modo in presenza di altre decisioni IVO non conformi al diritto dell’Unione.

156    Ne consegue che la seconda parte del quinto motivo di ricorso dev’essere respinta.

c)      Sulla terza parte del quinto motivo di ricorso, vertente sulla violazione del diritto ad una buona amministrazione e del diritto di essere ascoltati

157    Le ricorrenti fanno valere che la Commissione non ha applicato il suo iter decisionale in modo imparziale e che la decisione impugnata non può che avere un’origine politica. Esse contestano, altresì, alla Commissione di non aver adottato la decisione impugnata entro un termine ragionevole e di non aver comunicato con esse, neppure tramite le autorità belghe, prima di adottare la suddetta decisione. A tale proposito, le ricorrenti ricordano che il diritto di essere ascoltato è un principio generale del diritto dell’Unione di cui ogni operatore commerciale deve beneficiare, indipendentemente dal contenuto della normativa applicabile.

158    La Commissione contesta tale argomento.

159    A termini dell’articolo 41 della Carta, ogni individuo ha diritto in particolare a che le questioni che lo riguardano siano trattate in modo imparziale dalle istituzioni dell’Unione. Tale esigenza di imparzialità riguarda il profilo soggettivo, nel senso che nessuno dei membri dell’istituzione interessata che è incaricata della questione manifesti opinioni preconcette o pregiudizi personali, e il profilo oggettivo, nel senso che l’istituzione è tenuta ad offrire garanzie sufficienti per escludere al riguardo qualsiasi legittimo dubbio (v., sentenza dell’11 luglio 2013, Ziegler/Commissione, C‑439/11 P, EU:C:2013:513, punto 155 e giurisprudenza ivi citata).

160    Nel caso di specie, è vero che dalle dichiarazioni rese nel marzo 2018 dall’ex presidente della Commissione, come riportate sulla stampa, risulta che «sulle moto Harley-Davidson, sui jeans Levi’s, e sul Bourbon [dovevano essere] applicati dazi [supplementari]». Tuttavia, le ricorrenti non possono dedurre da queste sole affermazioni spontanee che la Commissione abbia violato il requisito di imparzialità. Innanzitutto, la Commissione si è limitata, con la decisione impugnata, adottata nel marzo 2021, a chiedere alle autorità doganali belghe, nell’ambito del suo controllo a posteriori delle decisioni IVO adottate dalle autorità doganali nazionali, di revocare le decisioni IVO di cui trattasi, dal momento che queste ultime erano considerate dalla Commissione, giustamente, contrarie al diritto dell’Unione. Infatti, la Commissione, sulla base dell’articolo 33 dell’AD-CDU, ha adottato la decisione impugnata al solo scopo di garantire una determinazione dell’origine corretta dei motocicli fabbricati dalla Harley-Davidson, cosicché non le si può addebitare il difetto di imparzialità formulato dalle ricorrenti. Inoltre, e in ogni caso, le ricorrenti non fanno valere alcun elemento connesso all’adozione della decisione impugnata, diverso da considerazioni generali ed astratte relative ad un’asserita volontà politica di istituire i dazi doganali addizionali in questione, per dimostrare l’assenza di obiettività e di imparzialità della Commissione.

161    A tale proposito, occorre altresì ricordare che l’articolo 41, paragrafo 2, lettera a), della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea dispone che il diritto ad una buona amministrazione comprende, in particolare, il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio. Il diritto di essere ascoltato fa parte dei diritti della difesa e costituisce un principio generale del diritto dell’Unione applicabile anche in assenza di una specifica normativa in proposito. Tale principio impone che i destinatari delle decisioni che pregiudicano in maniera sensibile i loro interessi siano messi in condizione di far conoscere utilmente il loro punto di vista sugli elementi addebitati a loro carico per fondare tali decisioni (v. sentenza del 28 ottobre 2021, Vialto Consulting/Commissione, C‑650/19 P, EU:C:2021:879, punto 122 e giurisprudenza ivi citata).

162    Risulta, altresì, dalla giurisprudenza che, affinché una violazione del diritto di essere ascoltato possa comportare l’annullamento dell’atto in questione, deve sussistere la possibilità che il procedimento amministrativo abbia portato a un risultato diverso (v., in tal senso, sentenza del 5 maggio 2022, Zhejiang Jiuli Hi-Tech Metals/Commissione, C‑718/20 P, EU:C:2022:362, punto 49). Pertanto, spetta al ricorrente fornire la prova, presentando elementi concreti o, almeno argomenti o indizi sufficientemente affidabili e precisi, che la decisione della Commissione avrebbe potuto essere diversa, consentendo in tal modo di caratterizzare concretamente una violazione dei diritti della difesa (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 29 giugno 2006, SGL Carbon/Commissione C‑308/04 P, EU:C:2006:433, punto 98).

163    Infine, l’osservanza di un termine ragionevole nello svolgimento di un procedimento amministrativo costituisce un principio generale del diritto dell’Unione. Inoltre, la fondamentale esigenza della certezza del diritto, che osta a che la Commissione possa ritardare indefinitamente l’esercizio dei suoi poteri, induce il giudice a esaminare se lo svolgimento del procedimento amministrativo riveli l’esistenza di un’azione eccessivamente tardiva da parte di tale istituzione (v. sentenza del 22 aprile 2016, Francia/Commissione, T‑56/06 RENV II, EU:T:2016:228, punto 44 e giurisprudenza ivi citata).

164    La ragionevolezza della durata del procedimento deve essere valutata alla luce delle circostanze proprie di ciascun caso di specie, quali la complessità della controversia e il comportamento delle parti (v. sentenza del 13 giugno 2013, HGA e a./Commissione, da C‑630/11 P a C‑633/11 P, EU:C:2013:387, punto 82 e giurisprudenza ivi citata).

165    È alla luce di tali principi che occorre esaminare la terza parte del quinto motivo di ricorso.

1)      Sulla violazione del diritto di essere ascoltato

166    Per quanto riguarda la violazione del diritto di essere ascoltato, è pacifico tra le parti che la Commissione non ha posto le ricorrenti in condizione di far valere osservazioni nell’ambito del procedimento conclusosi con l’adozione della decisione impugnata, la quale, ingiungendo alle autorità belghe di revocare le prime due decisioni IVO di cui trattasi, e in assenza di possibilità per queste ultime di non conformarsi a tale ingiunzione, costituisce un provvedimento individuale adottato nei confronti delle ricorrenti, che le pregiudica. L’argomento della Commissione secondo cui la procedura di adozione della decisione impugnata prevede soltanto uno scambio bilaterale tra la Commissione e lo Stato membro interessato non può essere accolto, alla luce della circostanza, ricordata al punto 161 supra, secondo cui tale diritto si applica anche in assenza di una normativa specifica. Inoltre, la circostanza secondo cui le ricorrenti hanno potuto o avrebbero potuto far valere le loro osservazioni presso le autorità doganali belghe tanto prima dell’adozione delle decisioni IVO in questione, quanto anche, secondo la Commissione, tra l’adozione della decisione impugnata e quella della decisione di revoca effettiva di dette decisioni IVO, non è tale da consentire di ritenere che la Commissione abbia rispettato l’obbligo, ad essa incombente, di sentire le ricorrenti prima dell’adozione della decisione impugnata.

167    Tuttavia, tale irregolarità, nel caso di specie, può condurre all’annullamento della decisione impugnata solo nei limiti in cui esiste una possibilità che, a causa di tale irregolarità, il procedimento amministrativo possa essere sfociato in un risultato diverso, arrecando così concretamente pregiudizio ai diritti della difesa.

168    Orbene, limitandosi, nella decisione impugnata, a chiedere alle autorità doganali belghe, nell’ambito del suo controllo a posteriori delle decisioni IVO adottate dalle autorità doganali nazionali, di revocare decisioni IVO che avevano applicato erroneamente l’articolo 33 dell’AD-CDU, la Commissione si è limitata ad avvalersi della competenza, conferitale dall’articolo 34, paragrafo 11, del codice doganale, a chiedere a uno Stato membro di revocare decisioni IVO al fine di garantire una determinazione corretta e uniforme dell’origine delle merci.

169    La decisione impugnata contiene un’interpretazione e un’applicazione di una norma giuridica dell’Unione, vale a dire l’articolo 33 dell’AD-CDU, che sono state dichiarate, ai punti da 53 a 73 supra, esenti da errori. Pertanto, anche supponendo che le ricorrenti potessero far valere osservazioni nell’ambito del procedimento sfociato nell’adozione della decisione impugnata, l’interpretazione e l’applicazione dell’articolo 33 dell’AD-CDU fatte in quest’ultima dalla Commissione non avrebbero potuto essere diverse. Orbene, è solo a causa di divergenze quanto all’interpretazione dell’articolo 33 dell’AD-CDU, evidenziate dalla lettura degli scambi intervenuti tra le autorità belghe e la Commissione, prodotti da quest’ultima in risposta ad una misura di organizzazione del procedimento del 30 giugno 2022, che le soluzioni rispettivamente accolte riguardo all’applicazione di tale articolo ai fatti della presente causa non sono state le stesse.

170    In ogni caso, come è già stato rilevato ai punti 65 e 66 supra, le ricorrenti non hanno prodotto dinanzi al Tribunale elementi concreti idonei a dimostrare che la delocalizzazione di cui trattasi sarebbe stata giustificata principalmente da considerazioni estranee all’introduzione dei dazi doganali supplementari mentre l’onere della prova incombe loro, come ricordato al punto 162 supra.

2)      Sulla violazione del principio del termine ragionevole

171    Per quanto riguarda l’asserita inosservanza di un termine ragionevole nell’ambito del procedimento amministrativo che ha condotto all’adozione della decisione impugnata, occorre anzitutto rilevare che l’articolo 34, paragrafo 11, del codice doganale, che autorizza la Commissione a chiedere a uno Stato membro di revocare decisioni IVO al fine di garantire una determinazione corretta e uniforme dell’origine delle merci, non prevede, come rileva peraltro giustamente la Commissione, alcun termine, nemmeno indicativo, per l’esame, da parte di quest’ultima, delle decisioni IVO che le sono notificate, in applicazione dell’articolo 19 del regolamento 2015/2447 (v. punto 12 supra).

172    Tuttavia, la mera circostanza che la Commissione non sia soggetta ad alcun termine per chiedere a uno Stato membro di revocare decisioni IVO non osta a che il giudice dell’Unione verifichi se tale istituzione non abbia rispettato un termine ragionevole.

173    Nel caso di specie, occorre constatare che le decisioni IVO di cui trattasi sono state notificate alla Commissione dalle autorità doganali belghe il 21 agosto 2019 e che la Commissione, il 5 ottobre 2020, ha preso contatto con tali autorità per comunicare loro la sua intenzione di chiedere loro di revocare dette decisioni.

174    A seguito di uno scambio con le autorità belghe, nell’ambito del quale queste ultime hanno formulato osservazioni con messaggio di posta elettronica del 13 novembre 2020, la Commissione, sin dal 22 dicembre 2020, ha avviato una procedura ai fini dell’adozione della decisione impugnata, che l’ha portata ad interrogare diverse direzioni generali. Il 5 marzo 2021 la Commissione ha sottoposto il progetto di decisione impugnata a tutte le delegazioni del comitato del codice doganale, sezione «Origine», nell’ambito della procedura consultiva e mediante procedura scritta. Il 29 marzo 2021 la Commissione ha inviato una nota di sintesi al comitato del codice doganale, sezione «Origine», prima di adottare, il 31 marzo 2021, la decisione impugnata.

175    Pertanto, se è vero che sono trascorsi poco più di tredici mesi tra la notifica, da parte delle autorità doganali belghe, delle decisioni IVO in questione e la prima presa di contatto della Commissione con queste ultime in merito ad un’eventuale domanda di revoca di tali decisioni, non si può tuttavia ritenere che il termine di sedici mesi trascorso tra detta notifica e l’avvio del procedimento formale interno ai fini dell’adozione della decisione impugnata sia eccessivo, in circostanze come quelle del caso di specie, le quali, erano caratterizzate, inoltre, dall’inedito ricorso, da parte della Commissione, alla competenza ad essa affidata dall’articolo 34, paragrafo 11, del codice doganale, per chiedere ad uno Stato membro di revocare decisioni IVO al fine di garantire una determinazione corretta e uniforme dell’origine di merci.

176    Inoltre, si deve osservare che la Commissione ha, in seguito, adottato la decisione impugnata al termine di un procedimento amministrativo durato meno di quattro mesi, nel corso del quale diverse parti istituzionali hanno dovuto essere consultate e hanno potuto formulare osservazioni, il che dimostra una certa celerità.

177    Ne consegue che la terza parte del quinto motivo di ricorso deve essere respinta.

d)      Sulla quarta parte del quinto motivo di ricorso, vertente sulla violazione della libertà dimpresa e del diritto di proprietà

178    Le ricorrenti sostengono che la Commissione ha interpretato l’articolo 33 dell’AD-CDU in modo tale da privare gli operatori commerciali della scelta legittima del luogo di insediamento delle loro attività, il che violerebbe la loro libertà d’impresa e il loro diritto di proprietà. Orbene, secondo le ricorrenti, qualsiasi ingerenza della Commissione nelle decisioni commerciali adottate dalle imprese non deve eccedere quanto necessario per raggiungere un obiettivo legittimo e, sebbene il controllo del regime commerciale e doganale dell’Unione costituisca un obiettivo legittimo, esso deve tuttavia essere perseguito entro limiti rigorosi per non costituire un’ingerenza arbitraria a fini politici.

179    La Commissione contesta tali affermazioni.

180    A tale riguardo, occorre ricordare che, ai punti da 41 a 46 della sua sentenza del 22 gennaio 2013, Sky Österreich (C‑283/11, EU:C:2013:28), la Corte ha ricordato che la tutela conferita dall’articolo 16 della Carta dei diritti fondamentali comporta la libertà di esercitare un’attività economica o commerciale, la libertà contrattuale e la libera concorrenza. Inoltre, conformemente alla giurisprudenza della Corte, la libertà d’impresa non costituisce una prerogativa assoluta, ma deve essere presa in considerazione alla luce della sua funzione nella società. Alla luce di tale giurisprudenza e in considerazione del tenore dell’articolo 16 della Carta dei diritti fondamentali, che si distingue da quello relativo alle altre libertà fondamentali sancite nel titolo II della stessa pur essendo simile a quello di talune disposizioni del successivo titolo IV della medesima Carta, la libertà d’impresa può essere soggetta ad un ampio ventaglio di interventi dei poteri pubblici suscettibili di stabilire, nell’interesse generale, limiti all’esercizio dell’attività economica.

181    In forza dell’articolo 17, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali, ogni persona ha il diritto di godere della proprietà dei beni che ha acquisito legalmente, di usarli, di disporne e di lasciarli in eredità. Nessuna persona può essere privata della proprietà se non per causa di pubblico interesse, nei casi e nei modi previsti dalla legge e contro il pagamento in tempo utile di una giusta indennità per la perdita della stessa. L’uso dei beni può essere regolato dalla legge nei limiti imposti dall’interesse generale.

182    Dato che i diritti garantiti dall’articolo 16 e dall’articolo 17, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali non sono assoluti, il loro esercizio può essere sottoposto a limitazioni giustificate da obiettivi di interesse generale perseguiti dall’Unione. Conformemente all’articolo 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali, qualsiasi limitazione all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla Carta deve essere prevista per legge, deve rispettarne il contenuto essenziale e deve, nel rispetto del principio di proporzionalità, essere necessaria e rispondere effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui.

183    Nel caso di specie, le ricorrenti non precisano gli elementi di fatto che possono suffragare le affermazioni da esse formulate nell’ambito della presente parte e che sarebbero tali da dimostrare che la decisione impugnata avrebbe limitato in modo sproporzionato il loro diritto di proprietà o la loro libertà d’impresa.

184    Inoltre, da un lato, un’eventuale limitazione di tali diritti fondamentali, quand’anche fosse dimostrata, non sarebbe la conseguenza della decisione impugnata. In realtà, una siffatta limitazione, ammesso che sia dimostrata, troverebbe la sua origine nel regolamento 2018/886, che ha istituito i dazi doganali supplementari. Orbene, come risulta dal fascicolo, le ricorrenti non hanno messo in discussione la legittimità di detto regolamento nell’ambito del presente ricorso. Dall’altro lato, occorre altresì considerare che, poiché non è stato dimostrato che la decisione impugnata impedirebbe alle ricorrenti di commercializzare, nell’Unione, motocicli fabbricati dalla Harley-Davidson, tale decisione non ostacola in maniera sproporzionata il godimento, da parte delle ricorrenti, del loro diritto di esercitare attività economiche nel mercato dell’Unione, né l’esercizio del loro diritto di proprietà nella produzione e nella commercializzazione dei motocicli in questione.

185    Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre respingere la quarta parte del quinto motivo di ricorso e, pertanto, il quinto motivo di ricorso nel suo insieme.

6.      Sul sesto motivo di ricorso, vertente su un abuso di potere della Commissione a fini politici

186    Le ricorrenti sostengono che il momento in cui la decisione impugnata è stata adottata dimostrerebbe molto chiaramente che il comportamento della Commissione era motivato da considerazioni politiche. Esse sostengono, quindi, che la Commissione ha abusato del proprio potere, che le consente di vigilare affinché l’origine delle merci importate nell’Unione sia determinata correttamente chiedendo alle autorità doganali nazionali di revocare decisioni IVO, esclusivamente o principalmente a fini diversi da quelli per i quali esso è stato conferito, compromettendo in tal modo l’obiettivo di tale potere, che è quello di garantire «pari condizioni di concorrenza» corrette e armonizzate per gli operatori economici.

187    La Commissione contesta tali affermazioni.

188    Il Tribunale osserva che, con il pretesto di un presunto «abuso di potere», le ricorrenti, con le loro affermazioni, fanno in realtà valere, nell’ambito di questo sesto motivo, uno sviamento di potere da parte della Commissione. Infatti, con la loro argomentazione, le ricorrenti fanno valere, in sostanza, che la decisione impugnata costituirebbe una misura dissimulata di politica commerciale, diretta a esercitare pressioni sul governo degli Stati Uniti affinché rinunci ai dazi doganali imposti ai sensi dell’articolo 232 della legge del 1962 sull’espansione del commercio.

189    Deriva da una costante giurisprudenza che un atto è viziato da sviamento di potere solo se, in base ad indizi oggettivi, pertinenti e concordanti, risulta adottato allo scopo esclusivo, o quanto meno determinante, di raggiungere fini diversi da quelli dichiarati o di eludere una procedura appositamente prevista dal Trattato per far fronte alle circostanze del caso di specie (v. sentenza del 20 marzo 2019, Foshan Lihua Ceramic/Commissione, T‑310/16, EU:T:2019:170, punto 176 e giurisprudenza ivi citata).

190    Orbene, le ricorrenti non hanno fornito alcun elemento concreto, diverso da affermazioni vaghe e astratte, tale da dimostrare che la Commissione avrebbe adottato detta decisione a fini diversi da quelli dichiarati, vale a dire garantire la corretta e uniforme determinazione dell’origine delle merci importate nell’Unione. Sebbene le ricorrenti abbiano prodotto articoli di stampa, alcuni dei quali sono, del resto, successivi all’adozione della decisione impugnata, è giocoforza constatare che tali articoli non riguardano né la decisione impugnata né decisioni analoghe. Inoltre, tali articoli menzionano piuttosto un’inquietudine da parte della Commissione in merito a un eventuale aggravarsi della controversia tra l’Unione e gli Stati Uniti nell’ambito dell’imminente entrata in vigore dei dazi doganali supplementari previsti all’allegato II del regolamento 2018/886.

191    Pertanto, limitandosi a dedurre che la decisione impugnata sarebbe stata adottata a «fini politici», le ricorrenti non fanno che mere affermazioni.

192    Infatti, nessun elemento fa emergere indizi idonei ad avvalorare l’idea che il procedimento che ha condotto all’adozione della decisione impugnata sia stato avviato allo scopo esclusivo, o quanto meno determinante, di raggiungere obiettivi diversi da quello menzionato al punto 190 supra.

193    Ne consegue che il sesto motivo dev’essere respinto.

194    Da tutto quanto precede risulta che le conclusioni di annullamento della decisione impugnata devono essere respinte.

C.      Sulla domanda di misure di organizzazione del procedimento o di mezzi istruttori

195    La Commissione sostiene che il terzo capo delle conclusioni delle ricorrenti con cui queste ultime chiedono al Tribunale di disporre le misure di organizzazione del procedimento o istruttorie che esso ritiene appropriate è divenuto privo di oggetto, dato che i documenti ai quali le ricorrenti fanno allusione sono stati resi pubblici in risposta alla loro domanda in tal senso presentata sul fondamento del regolamento (CE) n. 1049/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2001, relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione (GU 2001, L 145, pag. 43).

196    Le ricorrenti ritengono che il Tribunale potrebbe, tuttavia, giudicare utile chiedere alla Commissione di produrre più ampi elementi di prova, dato che i documenti resi pubblici da quest’ultima non consentono di suffragare sufficientemente le sue affermazioni.

197    Per quanto riguarda la valutazione delle domande di misure di organizzazione del procedimento o di mezzi istruttori presentate da una parte in una controversia, occorre ricordare che il Tribunale è il solo giudice dell’eventuale necessità di integrare gli elementi di informazione di cui dispone nelle cause di cui è investito (v. sentenza del 22 novembre 2007, Sniace/Commissione, C‑260/05 P, EU:C:2007:700, punto 77 e giurisprudenza ivi citata).

198    Nel caso di specie, le ricorrenti non indicano con precisione i motivi idonei a giustificare tale domanda di misure di organizzazione del procedimento o di mezzi istruttori, come richiesto dall’articolo 88, paragrafo 2, del regolamento di procedura del Tribunale.

199    In ogni caso, occorre rilevare che gli elementi contenuti nel fascicolo sono sufficienti per consentire al Tribunale di pronunciarsi, potendo quest’ultimo utilmente statuire sulla base delle conclusioni, dei motivi e degli argomenti sviluppati in corso di causa e alla luce dei documenti depositati dalle parti.

200    Pertanto, la domanda di misure di organizzazione del procedimento o di mezzi istruttori deve essere respinta.

201    Ne deriva che il ricorso è respinto in toto, senza che occorra pronunciarsi sulla ricevibilità del documento prodotto dalla Commissione, ai fini dello svolgimento dell’udienza di discussione, contenente la trascrizione di una conferenza telefonica tenutasi il 24 luglio 2018 tra la Harley-Davidson e rappresentanti dei suoi azionisti.

 Sulle spese

202    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

203    Le ricorrenti, rimaste soccombenti, devono essere condannate alle spese, conformemente alla domanda della Commissione.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Ottava Sezione ampliata)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Harley-Davidson Europe Ltd e la Neovia Logistics Services International sono condannate alle spese.

Papasavvas

Svenningsen

Jaeger

Mac Eochaidh

 

      Pynnä

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 1° marzo 2023.

Firme


*      Lingua processuale: l’inglese.