CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
JULIANE KOKOTT
presentate il 6 maggio 2010 1(1)
Causa C‑499/08
Ole Andersen
[Domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Vestre Landsret (Danimarca)]
«Direttiva 2000/78/CE – Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro – Divieto di discriminazione in ragione dell’età – Distinzione fra discriminazione diretta e indiretta – Indennità di licenziamento – Diniego del diritto all’indennità di licenziamento nel caso di esistenza di un diritto alla pensione di anzianità – Giustificazione – Politica dell’occupazione – Agevolazione nel passaggio ad un nuovo impiego – Perdite finanziarie nel caso di pensionamento anticipato (“riduzione per pensionamento anticipato”)»
I – Introduzione
1. La presente domanda di pronuncia pregiudiziale offre alla Corte l’occasione di precisare la giurisprudenza elaborata in materia di discriminazioni fondate sull’età in relazione alle condizioni di licenziamento per i lavoratori anziani (2). Al riguardo, la Corte è inoltre chiamata per la prima volta a prendere posizione sulla distinzione fra discriminazione diretta e indiretta fondata sull’età.
2. Oggetto d’esame è una disposizione del diritto del lavoro danese, la quale prevede che ai lavoratori che sono stati impiegati continuativamente presso un datore di lavoro per un periodo di tempo prolungato deve essere versata, in caso di licenziamento, un’indennità. Una siffatta indennità di licenziamento non viene tuttavia concessa alle persone che possono già percepire una pensione di anzianità. Ciò vale anche qualora il lavoratore di cui trattasi intenda cercare un nuovo lavoro e, nel caso di pensionamento immediato, debba accettare perdite finanziarie in relazione alla sua pensione, ad esempio sotto forma di una riduzione della medesima dovuta al pensionamento anticipato.
3. Non riveste alcuna importanza nel caso di specie la controversa questione se il divieto di discriminazione fondata sull’età previsto dal diritto dell’Unione possa esplicare effetti diretti anche nei rapporti fra privati (3) («effetto diretto orizzontale»). La causa principale verte infatti su un rapporto giuridico «verticale», nel quale si confrontano un lavoratore e il suo datore di lavoro di diritto pubblico (4).
II – Contesto normativo
A – Diritto dell’Unione
4. Il contesto normativo in cui si colloca il caso di specie è rappresentato, sotto il profilo del diritto dell’Unione, dalla direttiva del Consiglio 27 novembre 2000, 2000/78/CE, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (5). Tale direttiva, ai sensi del suo art. 1, mira a
«stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento».
5. Al titolo «Nozione di discriminazione», l’art. 2 della direttiva 2000/78 prevede quanto segue:
«1. Ai fini della presente direttiva, per “principio della parità di trattamento” si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui all’articolo 1.
2. Ai fini del paragrafo 1:
a) sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all’articolo 1, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga;
b) sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di un particolare handicap, le persone di una particolare età o di una particolare tendenza sessuale, rispetto ad altre persone, a meno che:
i) tale disposizione, tale criterio o tale prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari; (…)
(…)».
6. Il campo di applicazione della direttiva 2000/78 viene stabilito nel suo art. 3:
«1. Nei limiti dei poteri conferiti alla Comunità, la presente direttiva, si applica a tutte le persone, sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli organismi di diritto pubblico, per quanto attiene:
(…)
c) all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione;
(…)».
7. L’art. 6 della direttiva 2000/78, il quale tratta della «[g]iustificazione delle disparità di trattamento collegate all’età», così recita per estratto:
«1. Fatto salvo l’articolo 2, paragrafo 2, gli Stati membri possono prevedere che le disparità di trattamento in ragione dell’età non costituiscano discriminazione laddove esse siano oggettivamente e ragionevolmente giustificate, nell’ambito del diritto nazionale, da una finalità legittima, compresi giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale, e i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari.
Tali disparità di trattamento possono comprendere in particolare:
a) la definizione di condizioni speciali di accesso all’occupazione e alla formazione professionale, di occupazione e di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e di retribuzione, per i giovani, i lavoratori anziani e i lavoratori con persone a carico, onde favorire l’inserimento professionale o assicurare la protezione degli stessi;
(…)».
8. Quale termine di recepimento della direttiva 2000/78, l’art. 18, n. 1, fissa il 2 dicembre 2003.
B – Normativa nazionale
9. Per quanto riguarda il diritto danese, il contesto normativo in cui si colloca il caso di specie è rappresentato dalla Lov om retsforholdet mellem arbejdsgivere og funktionærer (Funktionærlov; in prosieguo: la «FL») (6).
10. L’art. 2a della FL così recita:
«1. In caso di licenziamento di un lavoratore dipendente, occupato nella stessa azienda continuativamente per 12, 15 o 18 anni, il datore di lavoro, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, gli corrisponde una somma pari, rispettivamente, a 1, 2 ovvero 3 stipendi mensili.
2. La disposizione di cui al n. 1 non trova applicazione se, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, il lavoratore dipendente percepisce una pensione sociale.
3. L’indennità di licenziamento non viene corrisposta se, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, il lavoratore dipendente percepisce dal datore di lavoro una pensione di anzianità e il lavoratore dipendente ha aderito al regime pensionistico di cui trattasi prima del compimento del cinquantesimo anno di età.
(…)
5. Il n. 1 si applica in via analogica in caso di licenziamento senza giusta causa».
11. Come rileva il giudice del rinvio, lo Højesteret danese (7), in una giurisprudenza costante (8), interpreta l’art. 2a, n. 3, della FL nel senso che già la possibilità di percepire una pensione di anzianità esclude il diritto all’indennità di licenziamento, a prescindere da se il lavoratore licenziato intenda o meno usufruire effettivamente di una pensione. Ciò vale anche qualora il pagamento al momento del licenziamento comporti una riduzione dell’entità della pensione di anzianità rispetto a quanto sarebbe stato corrisposto in caso di un pensionamento successivo (riduzione per pensionamento anticipato).
III – Fatti e causa principale
12. Il sig. Ole Andersen, nato il 31 maggio 1943, è stato impiegato dal 1° gennaio 1979 per 27 anni presso la Region Syddanmark (9) (ex Sønderjyllands Amtsråd (10)) in veste di funzionario amministrativo. Con lettera del 22 gennaio 2006, la Region Syddanmark metteva fine al rapporto di lavoro con effetto a partire dalla fine del mese di agosto dello stesso anno, adducendo la sfiducia nella capacità del sig. Andersen di svolgere le sue mansioni in modo soddisfacente ed imparziale. Successivamente, in un lodo arbitrale, si riconosceva tuttavia che il sig. Andersen non si era reso colpevole degli inadempimenti che gli erano stati contestati e gli veniva pertanto concessa un’indennità pari a quattro stipendi mensili per licenziamento senza giusta causa (11).
13. In seguito al suo licenziamento il sig. Andersen, con messaggio di posta elettronica datato 2 ottobre 2006, faceva inoltre valere il diritto ad un’indennità di licenziamento ai sensi dell’art. 2a, n. 1, della FL per un ammontare pari a tre stipendi mensili, sostenendo di essere stato impiegato più di 18 anni presso la Region Syddanmark. Con lettera del 14 ottobre 2006 la Region Syddanmark negava il pagamento dell’indennità di licenziamento sulla base dell’art. 2a, n. 3, della FL. Nella sua lettera essa sosteneva che al sig. Andersen non spettava il suddetto pagamento, in quanto, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, lo stesso aveva già compiuto 63 anni e poteva pertanto far valere il proprio diritto ad una pensione di anzianità.
14. Durante il suo impiego presso la Region Syddanmark, il sig. Andersen rientrava in un regime pensionistico disciplinato da un contratto collettivo di lavoro. Un terzo del contributo pensionistico da versare mensilmente era a carico del sig. Andersen, mentre la Region Syddanmark se ne accollava i due terzi. Secondo le disposizioni di tale regime pensionistico, a partire dai 60 anni di età il sig. Andersen poteva scegliere di andare in pensione e percepire la pensione di vecchiaia.
15. L’ammontare della pensione prevista dal contratto collettivo dipende, inter alia, dal momento in cui l’avente diritto decide di andare in pensione. Qualora posticipi il pensionamento, egli può ottenere un versamento mensile più elevato. Nel caso di specie, secondo quanto affermato davanti alla Corte dalla Region Syddanmark, la quale non è stata contraddetta sul punto (12), la situazione era caratterizzata come segue: nel caso di sospensione del versamento dei contributi il 1° agosto 2006 e di immediato pensionamento, la pensione annuale di anzianità del sig. Andersen sarebbe ammontata a 125 374 DKK; nel caso di prosecuzione del versamento dei contributi per un ammontare invariato fino al 1° giugno 2008, connesso ad un posticipo del pensionamento fino a tale data, l’importo della pensione sarebbe invece salito a 152 611 DKK (13).
16. Il sig. Andersen, a seguito del suo licenziamento, non intendeva andare in pensione e si iscriveva invece nelle liste di collocamento.
17. Il 12 luglio 2007, l’Ingeniørforeningen i Danmark (14), che, quale organizzazione sindacale, rappresenta gli interessi degli ingegneri in Danimarca, conveniva in giudizio in nome del sig. Andersen la Region Syddanmark chiedendo il pagamento di un’indennità di licenziamento pari a tre stipendi mensili. La controversia è pendente dinanzi al Vestre Landsret, il giudice del rinvio. La ricorrente fa valere, in sostanza, che la disposizione di cui all’art. 2a, n. 3, della FL, ai sensi della quale al sig. Andersen è stata negata l’indennità di licenziamento, comporta una discriminazione fondata sull’età. La convenuta contesta tale allegazione.
IV – Domanda di pronuncia pregiudiziale e procedimento dinanzi alla Corte
18. Con ordinanza 14 novembre 2008, pervenuta nella cancelleria della Corte il 19 novembre 2008, il Vestre Landsret ha sospeso il procedimento e ha sottoposto alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se il divieto di discriminazioni dirette od indirette basate sull’età di cui agli artt. 2 e 6 della direttiva 2000/78 deve essere interpretato nel senso che esso osta al mantenimento, da parte di uno Stato membro, di una normativa secondo cui in caso di licenziamento di un lavoratore dipendente, che è stato occupato nella stessa azienda continuativamente per 12, 15 o 18 anni, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere, alla cessazione del rapporto di lavoro, un’indennità pari a 1, 2 ovvero 3 mensilità, laddove tale indennità non deve essere corrisposta nel caso in cui il lavoratore dipendente, alla cessazione del rapporto di lavoro, ha la possibilità di percepire una pensione di anzianità versata da un regime pensionistico cui il datore di lavoro ha contribuito».
19. Nel procedimento dinanzi alla Corte hanno presentato osservazioni scritte e orali, oltre alle due parti della causa principale, i governi della Danimarca e della Germania nonché la Commissione europea. Alla fase scritta del procedimento hanno inoltre preso parte i governi olandese e ungherese.
V – Valutazione
20. Con la questione sollevata, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se sia contraria agli artt. 2 e 6 della direttiva 2000/78 una disposizione nazionale in forza della quale ai lavoratori licenziati non è riconosciuta un’indennità di licenziamento prevista dalla legge, qualora essi, alla cessazione del rapporto di lavoro, abbiano già maturato un diritto alla pensione di anzianità.
A – Considerazioni preliminari sull’applicazione della direttiva 2000/78
1. Distinzione rispetto al principio generale del divieto di discriminazione fondata sull’età
21. Come dichiarato dalla Corte (15), la direttiva 2000/78 non sancisce essa stessa il principio della parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, bensì ‑ conformemente al suo titolo e al suo art. 1 ‑ essa ha il «solo obiettivo di stabilire, in dette materie, un quadro generale per la lotta alle diverse forme di discriminazione, tra le quali quella fondata sull’età». Il principio del divieto di discriminazione fondata sull’età deve essere considerato un principio generale del diritto dell’Unione.
22. Muovendo da tali considerazioni, finora la Corte, in due cause, al fine di risolvere alcune questioni pregiudiziali, si è fondata direttamente sul principio generale del divieto di discriminazione basata sull’età (16), e ha affermato che incombe al giudice nazionale, se del caso, «disapplicare» qualsiasi disposizione nazionale contrastante con tale divieto (17). Al riguardo sembra peraltro trattarsi di un artificio per la soluzione dei problemi di discriminazione nei rapporti giuridici fra privati, nei quali la direttiva 2000/78, in quanto tale, non può essere direttamente applicata e non può quindi soppiantare il diritto nazionale civile o del lavoro (18).
23. Un’accurata rielaborazione e verifica del fondamento dogmatico del controverso effetto diretto orizzontale dei principi generali del diritto o dei diritti fondamentali fra privati non è certamente priva di attrattive (19), ma sarebbe, nella specie, eccessiva. Nel caso in oggetto, la Corte è investita infatti di un rapporto giuridico verticale nel quale il sig. Andersen, quale lavoratore, può senza dubbio invocare direttamente nei confronti del suo datore di lavoro di diritto pubblico il principio della parità di trattamento sancito dalla direttiva 2000/78 (20). Di conseguenza, è pienamente sufficiente risolvere la questione pregiudiziale sollevata dal Vestre Landsret ricorrendo unicamente a tale direttiva, la quale dà espressione concreta al principio generale del divieto di discriminazione basata sull’età (21). La Corte ha proceduto in tal senso anche in casi recenti inerenti la problematica della discriminazione fondata sull’età, nei quali erano parimenti interessati rapporti giuridici verticali (22).
2. Ambito di applicazione ratione personae, ratione materiae e ratione temporis della direttiva 2000/78
24. Ai sensi del suo art. 3, n. 1, lett. c), la direttiva 2000/78 si applica «[n]ei limiti dei poteri conferiti alla Comunità (…) a tutte le persone, sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli organismi di diritto pubblico, per quanto attiene (…) all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione» (23).
25. Quale dipendente di un ente locale danese, il sig. Andersen era un impiegato «del settore pubblico» ovvero di un «organism[o] di diritto pubblico», e rientrava pertanto nell’ambito di applicazione ratione personae della direttiva 2000/78.
26. La disposizione di cui all’art. 2a della FL disciplina il diritto ad un’indennità di licenziamento nel caso in cui il datore di lavoro metta fine al rapporto di lavoro. Siamo qui in presenza di una prestazione pecuniaria riconducibile alle condizioni di impiego e di lavoro ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. c), della direttiva 2000/78, la cui valutazione giuridica prescinde dalla sua imputazione alle condizioni di licenziamento o alla retribuzione. La circostanza che tale indennità venga corrisposta solo dopo la cessazione del rapporto di lavoro non osta alla sua qualificazione come prestazione pecuniaria fondata sul rapporto di lavoro, così come anche la circostanza che essa si fondi su una disposizione normativa (24). La direttiva è pertanto altresì applicabile ratione materiae.
27. Anche sotto il profilo temporale le disposizioni della direttiva 2000/78 risultano applicabili alla causa principale, in quanto il sig. Andersen è stato licenziato il 22 gennaio 2006, ossia più di tre anni dopo la scadenza del termine di recepimento di tale direttiva (v. art. 18, n. 1, della direttiva).
B – Sulla valutazione di una disposizione come quella danese alla luce della direttiva 2000/78
28. Ai sensi dell’art. 1, in combinato disposto con l’art. 2, n. 1, la direttiva 2000/78 vieta una discriminazione fondata sull’età per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro. La discriminazione è una disparità di trattamento ingiustificata (25). Pertanto, al fine di stabilire se una norma quale l’art. 2a, n. 3, della FL, comporti una discriminazione fondata sull’età, occorre innanzitutto verificare se tale disposizione abbia per effetto una disparità di trattamento basata sull’età (v. al riguardo, infra, sezione 1); in caso affermativo, si deve esaminare se tale disparità di trattamento sia giustificata (v. al riguardo, infra, sezione 2) (26).
1. Disparità di trattamento ai sensi dell’art. 2, n. 2, della direttiva 2000/78
29. Come si evince dall’art. 1, in combinato disposto con l’art. 2, n. 1, la direttiva 2000/78 combatte, nell’ambito dell’occupazione e delle condizioni di lavoro, la discriminazione fondata sull’età sia diretta sia indiretta.
30. Una discriminazione diretta ai sensi della direttiva 2000/78 sussiste quando, sulla base dell’età, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga [art. 2, n. 2, lett. a), in combinato disposto con l’art. 1] (27); la disparità di trattamento su cui essa si fonda è dunque direttamente collegata all’età. Al contrario, si deve assumere solamente una discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una procedura apparentemente neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio persone di una determinata età rispetto ad altre persone [art. 2, n. 2, lett. b)].
31. La distinzione fra discriminazione diretta e indiretta è importante sotto il profilo giuridico soprattutto in quanto le possibilità di giustificazione divergono a seconda se la disparità di trattamento su cui la discriminazione si fonda sia collegata all’età direttamente o indirettamente (28). Le possibilità di giustificare una discriminazione indiretta fondata sull’età sono formulate in termini molto generali nell’art. 2, n. 2, lett. b), sub i), della direttiva 2000/78 («oggettivamente giustificati da una finalità legittima»), mentre una disparità di trattamento diretta basata sull’età può essere giustificata unicamente da considerazioni di politica sociale ai sensi dell’art. 6, n. 1, della direttiva (29), da requisiti professionali essenziali ai sensi dell’art. 4, n. 1, della direttiva (30) oppure da esigenze di ordine pubblico ai sensi dell’art. 2, n. 5, della direttiva. Ne consegue che i possibili obiettivi che possono essere presi in considerazione per giustificare una disparità di trattamento diretta fondata sull’età hanno una minore estensione di quelli che possono giustificare una discriminazione indiretta, per quanto i requisiti inerenti l’esame di proporzionalità siano sostanzialmente gli stessi.
32. I lavoratori contemplati dall’art. 2a, n. 3, della FL si trovano tutti nella medesima situazione: dopo aver maturato un’anzianità di servizio pluriennale continuativo pari ad almeno 12 anni, sono stati licenziati dal loro datore di lavoro. Gli stessi vengono tuttavia trattati diversamente in relazione all’indennità di licenziamento controversa nella specie, a seconda se essi possono già percepire o meno una pensione di anzianità cofinanziata dal datore di lavoro.
33. Prima facie, una distinzione del genere, fondata sulla sussistenza o meno di un diritto esigibile alla pensione, indica una disparità di trattamento solo indiretta fondata sull’età. Rinviando ad un siffatto diritto alla pensione, infatti, la disposizione di cui all’art. 2a, n. 3, della FL, sembra fondarsi su un criterio neutrale che solo sotto il profilo dei suoi effetti pratici si ripercuote in maniera negativa prevalentemente sui lavoratori anziani.
34. Tale approccio, sostenuto nel caso di specie soprattutto dal governo danese e dalla Commissione, è tuttavia eccessivamente restrittivo. Esso trascura il fatto che una discriminazione diretta può sussistere anche quando una disparità di trattamento viene fondata su un criterio che, pur sembrando a prima vista neutrale, è in realtà invece legato indissolubilmente ad un motivo di differenziazione vietato dal legislatore dell’Unione.
35. La Corte ha deciso, ad esempio, che ricorre una discriminazione diretta – e non invece solo indiretta – basata sul sesso, qualora le misure adottate da un datore di lavoro si ricolleghino alla sussistenza o meno di una gravidanza (31). Una gravidanza, infatti, è legata indissolubilmente al sesso di una lavoratrice.
36. Tale giurisprudenza elaborata in materia di parità di trattamento tra uomini e donne è trasponibile al principio ‑ oggetto di interesse in questa sede ‑ della parità di trattamento ai sensi della direttiva 2000/78 (32). Una disparità di trattamento diretta fondata sull’età può pertanto essere assunta non solo qualora una persona, a causa dell’età, venga esplicitamente trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga, bensì anche qualora essa subisca tale trattamento in forza di un criterio legato indissolubilmente all’età, assoluta o relativa (33).
37. Ciò avviene nel caso di una disposizione come l’art. 2a, n. 3, della FL, la quale nega il diritto ad un’indennità di licenziamento ai lavoratori che possono già percepire una pensione di anzianità. Una siffatta disposizione, infatti, riguarda esclusivamente i lavoratori che hanno già raggiunto l’età minima per il percepimento di una pensione di anzianità (età pensionabile minima). In concreto, nel regime pensionistico basato su una convenzione collettiva, cui ha aderito il sig. Andersen, come anche nella maggior parte dei regimi di questo tipo in Danimarca (34), percepiscono una pensione di anzianità solo i lavoratori che hanno compiuto almeno i 60 anni. Nell’ambito di applicazione ratione personae dell’art. 2a, n. 3, della FL, rientrano pertanto unicamente quei lavoratori che hanno raggiunto una certa età. Solo tali lavoratori non beneficiano dell’indennità di licenziamento prevista dall’art. 2a, n. 1, della FL. Al contrario, i lavoratori che non hanno raggiunto tale età pensionabile minima, acquistano, a parità di anzianità di servizio, il diritto all’indennità di licenziamento.
38. Esattamente come il riferimento ad una gravidanza può interessare solo i lavoratori di sesso femminile, il rinvio del legislatore danese alla possibilità di percepire una pensione di anzianità può esplicare effetti solo nei confronti dei lavoratori che hanno raggiunto l’età pensionabile minima, e quindi una determinata età. Il criterio della sussistenza o meno di un diritto alla pensione di anzianità, dal quale dipende il percepimento di un’indennità di licenziamento da parte di un lavoratore con un’anzianità di servizio pluriennale continuativo, non è dunque un criterio distintivo obiettivo, bensì un criterio direttamente legato all’età della persona di cui trattasi.
39. In tal modo, una disposizione come l’art. 2a, n. 3, della FL, comporta una disparità di trattamento diretta fondata sull’età ai sensi dell’art. 2, n. 2, lett. a), in combinato disposto con l’art. 1 della direttiva 2000/78 (35).
2. Giustificazione della disparità di trattamento
40. Una disposizione come l’art. 2a, n. 3, della FL può tuttavia comportare una discriminazione fondata sull’età, vietata dalla direttiva 2000/78, solo allorché la disparità di trattamento diretta in ragione dell’età in essa insita non sia giustificata. I requisiti posti dal diritto dell’Unione per la giustificazione di una siffatta disparità di trattamento si evincono dagli artt. 2, n. 5, 4, n. 1, e 6 della direttiva 2000/78 (36). Solo l’ultima di queste disposizioni, e più precisamente il suo n. 1, è rilevante nel caso di specie.
a) Requisiti inerenti la giustificazione ai sensi dell’art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78
41. Ai sensi dell’art. 6, n. 1, primo comma, della direttiva 2000/78, gli Stati membri possono prevedere che le disparità di trattamento in ragione dell’età non costituiscano una discriminazione «laddove esse siano oggettivamente e ragionevolmente giustificate, nell’ambito del diritto nazionale, da una finalità legittima, compresi giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale, e i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari».
42. Con questa formulazione alquanto ridondante, la direttiva 2000/78 altro non definisce, in ultima analisi, se non i requisiti generali, riconosciuti nel diritto dell’Unione, concernenti la giustificazione di una disparità di trattamento. Al riguardo, la formula introduttiva «oggettivamente e ragionevolmente» altro non esprime, sotto il profilo del contenuto, se non la successiva parte della frase «giustificate (…) da una finalità legittima (…) e (...) appropriati e necessari» (37).
43. La Corte ha già chiarito che l’avverbio «ragionevolmente» (38) nella sequenza «oggettivamente e ragionevolmente» nella prima parte della frase dell’art. 6, n. 1, primo comma, della direttiva 2000/78, non ha una rilevanza autonoma per l’esame della giustificazione (39).
44. Anche altre formule impiegate nell’art. 6, n. 1, primo comma, della direttiva, esprimono, in definitiva, delle ovvietà.
45. Così, il termine «oggettivamente» è inteso a sottolineare che i fatti e le considerazioni invocate per giustificare una disparità di trattamento devono poter essere suscettibili di verifica. Inoltre, dal termine «oggettivamente» si può desumere che non è consentito tenere conto di considerazioni non pertinenti alla controversia, e segnatamente di quelle strettamente connesse ai criteri di distinzione vietati dall’art. 1 della direttiva 2000/78, per giustificare una disparità di trattamento fondata sull’età. Piuttosto, con una siffatta disparità di trattamento, in ogni caso, può essere perseguita solo una «finalità legittima» (40), di cui l’art. 6, n. 1, della direttiva, fornisce vari esempi.
46. I termini «appropriati e necessari» di cui alla seconda parte della frase dell’art. 6, n. 1, primo comma, della direttiva 2000/78 descrivono, infine, l’esame della proporzionalità, consueto nel diritto dell’Unione.
47. Nel complesso, la giustificazione di una disparità di trattamento diretta fondata sull’età ai sensi dell’art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78 esige pertanto che la relativa misura si fondi su una finalità legittima e superi l’esame della proporzionalità.
b) Finalità legittima
48. Il testo stesso della legge tace sugli obiettivi perseguiti con l’art. 2a, n. 3, della FL. Da esso non risulta perché i lavoratori licenziati che possono già percepire una pensione di anzianità finanziata dal loro datore di lavoro non debbano beneficiare dell’indennità di licenziamento.
49. Ciò non significa, tuttavia, che una disposizione come quella danese non possa essere in nessun caso giustificata ai sensi dell’art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78. Piuttosto, anche altri elementi, desumibili dal contesto generale della disposizione di legge, possono consentire l’identificazione dell’obiettivo sotteso a quest’ultima (41).
50. Nel caso di specie, i lavoratori preparatori della legge (42), richiamati sia dal Vestre Landsret sia da alcune parti del procedimento, aiutano a chiarire la finalità perseguita dall’art. 2a, n. 3, della FL. Secondo tali lavori, il legislatore danese è partito dal presupposto che i lavoratori licenziati che possono percepire una pensione di anzianità normalmente abbandonano il mercato del lavoro. Essi non devono pertanto beneficiare dell’indennità di licenziamento ai sensi dell’art. 2a, n. 1, della FL, la quale è intesa ad «agevolare il passaggio ad un nuovo impiego» di «impiegati anziani» che hanno lavorato per molti anni per lo stesso datore di lavoro.
51. Prefiggendosi di agevolare il reinserimento nel mercato del lavoro e di rendere socialmente sostenibile il passaggio ad un altro impiego dei lavoratori anziani che, dopo aver perso involontariamente il proprio posto di lavoro, necessitano di un nuovo posto di lavoro, il legislatore danese persegue senza dubbio una finalità legittima di politica sociale nei settori della politica dell’occupazione e del mercato del lavoro. Fondata su una siffatta finalità, una disparità di trattamento basata sull’età è, in linea di principio, giustificabile alla luce delle condizioni di licenziamento e di retribuzione [art. 6, n. 1, primo comma, in combinato disposto con il secondo comma, lett. a), della direttiva 2000/78] (43).
c) Esame della proporzionalità
52. Resta tuttavia da verificare se, per il conseguimento di tale finalità legittima, fosse proporzionato restringere la cerchia degli aventi diritto, nell’ambito dell’art. 2a della FL, ai lavoratori che, lasciata l’azienda, non possono ancora percepire una pensione di anzianità, come consegue dall’art. 2a, n. 3, della FL, nell’interpretazione fornita dalla giurisprudenza danese. In altre parole, occorre chiarire se la restrizione della cerchia degli aventi diritto, come operata dal legislatore danese, fosse «appropriat[a] e necessari[a]» al raggiungimento del suo obiettivo di politica sociale e se essa non sia eccessivamente pregiudizievole per quei lavoratori ai quali viene negata l’indennità di licenziamento (44).
i) Adeguatezza (carattere non manifestamente inidoneo della misura)
53. Lo strumento impiegato dal legislatore nazionale ‑ nella specie, la limitazione del diritto all’indennità di licenziamento a quelle persone che non possono ancora percepire una pensione di anzianità ‑ è «appropriat[o]» ai sensi della seconda parte della frase dell’art. 6, n. 1, primo comma, della direttiva 2000/78, se esso è idoneo al conseguimento della finalità legittima perseguita, consistente nell’agevolare sotto il profilo finanziario il passaggio ad un nuovo impiego dei lavoratori anziani che, dopo essere stati licenziati, necessitano ancora di un posto di lavoro (45).
54. Secondo giurisprudenza costante, è pacifico che gli Stati membri dispongono di un ampio margine di valutazione discrezionale nella scelta delle misure atte a realizzare i loro obiettivi in materia di politica sociale e dell’occupazione (46). Alla luce di tale prerogativa di valutazione degli Stati membri, il ruolo della Corte si limita a garantire che le misure adottate non appaiano irragionevoli (47), oppure – in altri termini – che le misure adottate non siano manifestamente inidonee al raggiungimento dello scopo perseguito.
55. Una disposizione quale l’art. 2a, n. 3, assicura che beneficino dell’indennità di licenziamento solo quei lavoratori che non possono ancora percepire una pensione di anzianità. Aventi diritto sono dunque solo le persone in relazione alle quali si può presumere, con elevata probabilità, che esse continueranno ad essere disponibili sul mercato del lavoro e cercheranno un nuovo impiego. Un’indennità di licenziamento che viene accordata unicamente a tale ben definita cerchia di persone realizza senza dubbio l’obiettivo perseguito dal legislatore, consistente nel sostenere solo i lavoratori impiegati per molti anni presso un’azienda, i quali si trovano effettivamente in una situazione di passaggio ad un nuovo impiego. Al contempo può essere ridotto al minimo, in tal modo, l’uso illegittimo o abusivo dell’indennità di licenziamento da parte di soggetti che in realtà non cercano più un lavoro e che intendono appoggiarsi alla propria pensione di anzianità.
56. Il ricorrente nel procedimento principale e la Commissione eccepiscono che, contrariamente all’espressa finalità perseguita dal legislatore danese, beneficiano dell’indennità di cui all’art. 2a, n. 1, della FL, non solo i «lavoratori anziani», bensì anche i lavoratori più giovani che avrebbero iniziato relativamente presto la loro carriera e che potrebbero vantare un’anzianità pluriennale presso il medesimo datore di lavoro. Di conseguenza, qualora un lavoratore abbia iniziato a lavorare relativamente presto presso il proprio datore di lavoro e non abbia interrotto la propria attività lavorativa, egli potrebbe raggiungere i 12, 15 o 18 anni di anzianità necessari per acquisire il diritto all’indennità di licenziamento già prima del compimento dei 40 anni. Tale eccezione mette in discussione la coerenza della disposizione di cui all’art. 2a della FL.
57. È vero che una normativa nazionale è idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo addotto solo «se risponde realmente all’intento di raggiungerlo in modo coerente e sistematico» (48). Se il legislatore danese avesse davvero voluto tutelare sotto il profilo finanziario, nel passaggio ad un nuovo impiego, solo i lavoratori che hanno già raggiunto un’età relativamente avanzata, sarebbe effettivamente incoerente accordare l’indennità di licenziamento anche ai lavoratori più giovani con una pari anzianità.
58. Come tuttavia chiarito dalla Region Syddanmark e dal governo danese nel procedimento dinanzi alla Corte, dell’indennità di licenziamento devono beneficiare in realtà tutti i lavoratori che hanno lavorato per un periodo relativamente lungo per il medesimo datore di lavoratore, in quanto per essi risulta particolarmente difficile, a prescindere dall’età, passare ad un nuovo impiego. Alla luce di tali circostanze, non esistono dubbi circa la coerenza di una disposizione quale quella danese (49).
59. Nel complesso, una disposizione come l’art. 2a, n. 3, della FL, non pare dunque manifestamente inidonea a conseguire l’obiettivo di politica sociale perseguito dal legislatore. Essa è pertanto «appropriat[a]» ai sensi dell’art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78.
ii) Necessità
60. Una disposizione come l’art. 2a, n. 3, della FL, è peraltro «necessari[a]» solo qualora la finalità legittima perseguita non avrebbe potuto essere realizzata mediante uno strumento ugualmente idoneo ma meno gravoso.
61. Problematico risulta, in tale contesto, il fatto che il legislatore danese non preveda in generale il diritto ad un’indennità di licenziamento a favore dei lavoratori titolari di un diritto esigibile alla pensione, a prescindere dalla circostanza che i soggetti interessati vadano effettivamente in pensione o continuino invece la loro attività lavorativa.
62. Come si è già avuto modo di esporre, gli Stati membri dispongono di un ampio margine di valutazione discrezionale nella scelta delle misure atte a realizzare i loro obiettivi in materia di politica sociale e dell’occupazione (50). Tale margine di valutazione discrezionale include, in linea di principio, anche la possibilità di prendere le distanze, per motivi di praticità, dall’esame dei singoli casi e di qualificare invece i lavoratori mediante un approccio di suddivisione in tipologie, ordinandoli in diverse categorie secondo criteri generali (51), pur qualora ciò vada a scapito dell’equa valutazione dei singoli casi.
63. Tuttavia, il margine di valutazione discrezionale di cui gli Stati membri dispongono in materia di politica sociale non può avere l’effetto di svuotare della sua sostanza il principio di non discriminazione in funzione dell’età (52).
64. Proprio questo avviene tuttavia nel caso di specie. Una disposizione come l’art. 2a, n. 3, della FL, la quale esonera automaticamente il datore di lavoro dall’obbligo di pagare un’indennità di licenziamento non appena sussista un diritto esigibile alla pensione, lo spinge addirittura a licenziare preferibilmente quei lavoratori che hanno raggiunto l’età pensionabile minima. Per il datore di lavoro sarà finanziariamente più conveniente licenziare, fra i lavoratori con una pari anzianità, quelli che hanno compiuto una determinata età, ossia l’età pensionabile minima.
65. A prescindere da ciò, sarebbero esistiti mezzi meno restrittivi per garantire il beneficio dell’indennità di licenziamento solo a quei lavoratori che sono effettivamente ancora disponibili sul mercato del lavoro e che sono alla ricerca di un nuovo posto di lavoro. Per esempio, il legislatore danese avrebbe potuto far dipendere la corresponsione dell’indennità di licenziamento dall’iscrizione del lavoratore di cui trattasi nelle liste di collocamento per un certo periodo minimo e dalla mancata presentazione, fino alla scadenza di tale periodo, di una richiesta di pagamento della pensione di anzianità. Per risparmiare al contempo al datore di lavoro un carico amministrativo eccessivo, si sarebbe potuto imporre al lavoratore di produrre di sua iniziativa e a scadenze predeterminate le relative prove. Come rilevato dalla Commissione, il lavoratore avrebbe potuto inoltre essere obbligato alla restituzione di un’indennità ottenuta in maniera illegittima o abusiva.
66. In tale contesto, una disposizione come l’art. 2a, n. 3, della FL, eccede quanto necessario a garantire che il pagamento dell’indennità di licenziamento, come auspicato dal legislatore, vada a beneficio solo dei soggetti che, una volta licenziati, necessitano ancora di un nuovo posto di lavoro.
iii) Pregiudizio eccessivo a scapito dei lavoratori
67. Tuttavia, anche qualora una disposizione come l’art. 2a, n. 3, della FL, fosse reputata necessaria al conseguimento della finalità legittima perseguita dal legislatore nazionale, resterebbe ancora da verificare se tale disposizione non risulti pregiudizievole oltremisura delle legittime pretese dei lavoratori.
68. Tale criterio supplementare, evocato dalla Corte nella sentenza Palacios de la Villa (53), è in definitiva espressione del principio generale di proporzionalità vigente nel diritto dell’Unione. In forza di tale principio, i provvedimenti adottati, pur se idonei e necessari al conseguimento di obiettivi legittimi, non devono tuttavia causare inconvenienti sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti (54) (c.d. «proporzionalità in senso stretto»). In altri termini, occorre conciliare, per quanto possibile, l’obiettivo di politica sociale perseguito a livello nazionale con le esigenze del principio della parità di trattamento (55), e lo Stato membro di cui trattasi è tenuto a «trovare un giusto equilibrio tra i differenti interessi in gioco» (56).
69. Fra gli interessi dei lavoratori di cui trattasi può rientrare quello di continuare a svolgere un’attività retribuita anche dopo la perdita di un posto di lavoro occupato per molti anni, nonostante la maturazione di un diritto alla pensione di anzianità. In tale contesto è significativo che, in forza del diritto dell’Unione, ogni individuo ha il diritto di lavorare e di esercitare una professione (art. 15, n. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (57)). Tale diritto fondamentale europeo si applica anche agli Stati membri nell’attuazione del diritto dell’Unione, e dunque, ad esempio, della direttiva 2000/78, qui pertinente (art. 51, n. 1, della Carta dei diritti fondamentali). Anche in sede di interpretazione ed applicazione di disposizioni nazionali vigenti occorre tenere conto di situazioni non ancora conclusesi (58).
70. Una disposizione quale l’art. 2a, n. 3, della FL rende difficile ai lavoratori che possono già percepire una pensione di anzianità continuare ad esercitare il loro diritto a svolgere un’attività lavorativa, in quanto, nel passaggio ad un nuovo impiego, essi ‑ contrariamente a quanto avviene nel caso di altri lavoratori con una pari anzianità di servizio ‑ non possono essere sostenuti finanziariamente mediante un’indennità di licenziamento. Anche la finalità sottesa alla direttiva 2000/78, consistente nell’aiutare i lavoratori anziani, onde accrescere la loro partecipazione alla vita professionale (59), non può essere conseguita in maniera ottimale in tale maniera.
71. L’interesse dei lavoratori di cui trattasi a continuare a svolgere un’attività lavorativa deve naturalmente essere equamente ponderato con altri interessi. In tal senso la Corte ha riconosciuto, nella sentenza Palacios de la Villa, che motivi di politica dell’occupazione e del mercato del lavoro possono giustificare, per così dire, il «pensionamento obbligatorio» dei lavoratori per che hanno raggiunto un determinato limite d’età(60).
72. A maggior ragione, agli Stati membri ‑ come anche alle parti sociali – non può essere preclusa, in linea di principio, l’adozione di misure meno radicali del pensionamento obbligatorio: una disposizione come l’art. 2a, n. 3, della FL, non vieta ai lavoratori titolari di un diritto esigibile alla pensione la prosecuzione della propria attività lavorativa. Semplicemente, i soggetti di cui trattasi non vengono più sostenuti finanziariamente nella ricerca di un nuovo impiego in misura analoga ad altri lavoratori che non possono ancora percepire una pensione di anzianità. In tal modo si tiene conto, inter alia, come sottolineato dai governi danese e tedesco, dell’interesse legittimo dei datori di lavoro ad una limitazione del proprio onere finanziario nel caso di licenziamenti (61).
73. Tuttavia, anche la perdita di un mero diritto ad un sostegno finanziario nel passaggio ad un nuovo impiego può pregiudicare gravemente gli interessi di un lavoratore licenziato. Ciò avviene qualora il pensionamento immediato comporti, per il lavoratore di cui trattasi, una considerevole riduzione della pensione dovuta al pensionamento anticipato o altre consistenti diminuzioni rispetto all’ammontare massimo del trattamento pensionistico che il medesimo avrebbe potuto ottenere. In un caso del genere, il suo interesse a continuare a svolgere un’attività lavorativa riveste un’importanza particolarmente considerevole. Quanto più a lungo egli lavora, infatti, tanto più consistente sarà di regola la sua aspettativa pensionistica e tanto minori saranno le riduzioni della pensione dovute al pensionamento anticipato che dovrà eventualmente subire.
74. L’esempio del sig. Andersen mette in evidenza con chiarezza quanto segue: se questi, al momento della cessazione del rapporto di lavoro nell’agosto del 2006, avesse optato per il pensionamento immediato, avrebbe avuto diritto a percepire una pensione annuale di anzianità pari a 125 374 DKK (62). Nel caso di una prosecuzione del versamento dei contributi per un ammontare invariato fino al 1° giugno 2008, accompagnato da un posticipo del pensionamento fino a tale data, la sua pensione annuale avrebbe invece raggiunto i 152 611 DKK annui (63), ossia, dopo appena altri due anni, il suo valore nominale sarebbe aumentato di più del 20 %.
75. Certamente rientra in definitiva nell’ampio margine di discrezionalità del legislatore nazionale (ovvero delle parti sociali) in materia di politica sociale e del lavoro, valutare fino a che punto i lavoratori debbano accettare riduzioni della pensione dovute al pensionamento anticipato ed altre diminuzioni del trattamento pensionistico massimo rispettivamente ottenibile. Per quanto è dato vedere, di tale problematica il legislatore danese è stato poco consapevole sia allorché ha introdotto l’art. 2a, n. 3, della FL, controverso nella specie (64), sia in occasione del successivo recepimento della direttiva 2000/78 (65). Il legislatore danese non ha fatto alcun uso del suo corrispondente potere discrezionale.
76. L’art. 2a, n. 3, della FL, non distingue in alcun modo fra i lavoratori che hanno compiuto l’età pensionabile ordinaria, e quelli che possono dimostrare solo il raggiungimento dell’età pensionabile minima. Non si può tuttavia semplicemente «porre nello stesso paniere» i due gruppi, in quanto essi si differenziano per un elemento essenziale: prima del compimento dell’età pensionabile ordinaria, il percepimento della pensione di anzianità è normalmente accompagnato da considerevoli riduzioni dovute al pensionamento anticipato, il che può comportare, per i soggetti di cui trattasi, perdite finanziarie esiziali. Inoltre, anche le aspettative pensionistiche risultano di regola tanto meno consistenti quanto più un lavoratore è lontano dall’età pensionabile minima.
77. È vero che, a partire dalla sua riforma nel 1996, l’art. 2a, n. 3, della FL, limita il venir meno dell’indennità di licenziamento ai casi in cui il dipendente licenziato ha aderito al proprio sistema pensionistico prima del compimento del cinquantesimo anno di età. Tuttavia, ciò comporta unicamente che le aspettative alle c.d. «pensioni minimali» lasciano impregiudicato il diritto ad un’indennità di licenziamento. Non è al contrario escluso che un lavoratore debba subire considerevoli riduzioni della pensione legate al pensionamento anticipato. In casi estremi, ciò può comportare, per un lavoratore che ha aderito al proprio sistema pensionistico a 49 anni e che perde il proprio posto di lavoro a 61 anni, la perdita del diritto all’indennità di licenziamento ai sensi dell’art. 2a, n. 1, della FL, nonostante egli, con dodici anni di contributi versati, possa aspettarsi solo una pensione di anzianità prevista dai contratti collettivi, relativamente ridotta, in relazione alla quale, laddove essa venga chiesta immediatamente, dovrebbe inoltre subire una riduzione dovuta al pensionamento anticipato.
78. Per tutte le ragioni esposte, una disposizione quale l’art. 2a, n. 3, della FL, non può essere considerata espressione di un’equa ponderazione degli interessi in gioco. Essa svantaggia oltremisura i lavoratori cui si riferisce allorché presume in maniera assoluta che essi abbandoneranno il mercato del lavoro anche a costo di considerevoli perdite finanziarie in relazione all’ammontare del trattamento pensionistico individuale rispettivamente ottenibile. Tuttavia, un lavoratore ha un interesse legittimo a proseguire la sua attività lavorativa qualora egli, nel caso di pensionamento immediato, debba subire una considerevole riduzione dovuta al pensionamento anticipato o altre consistenti diminuzioni rispetto all’ammontare massimo del trattamento pensionistico ottenibile.
79. In tal modo, il caso di specie si distingue inoltre in maniera sostanziale dalla causa Palacios de la Villa, nella quale le disposizioni di legge e dei contratti collettivi spagnoli applicabili fanno riferimento non all’età pensionabile minima bensì all’età pensionabile ordinaria, e il ricorrente aveva già maturato il massimo trattamento pensionistico ottenibile (66).
iv) Conclusione parziale
80. Una disposizione come quella contenuta nell’art. 2a, n. 3, della FL, non è necessaria al conseguimento dell’obiettivo da essa perseguito. Essa pregiudica inoltre oltremisura gli interessi dei lavoratori interessati. Sotto questo duplice profilo, la disparità di trattamento diretta fondata sull’età che tale disposizione comporta non può essere giustificata ai sensi dell’art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78.
3. Conseguenze per la causa principale
81. Secondo una giurisprudenza costante, nell’applicare il diritto interno i giudici nazionali devono interpretarlo per quanto possibile alla luce del testo e dello scopo di una direttiva onde conseguire il risultato perseguito da quest’ultima e conformarsi pertanto all’art. 288, n. 3, TFUE (67).
82. È vero che tale obbligo di interpretazione conforme alla direttiva trova i suoi limiti nei principi generali del diritto, in particolare in quelli di certezza del diritto e di irretroattività, e non può servire da fondamento ad un’interpretazione contra legem del diritto nazionale (68).
83. A prescindere da ciò, il principio di interpretazione conforme alla direttiva richiede tuttavia che i giudici nazionali facciano tutto ciò che rientra nella loro competenza, prendendo in considerazione tutte le norme del diritto nazionale e applicando i metodi di interpretazione riconosciuti da quest’ultimo, al fine di garantire la piena efficacia della relativa direttiva e pervenire ad una soluzione conforme alla finalità da essa perseguita (69). A questo riguardo essi devono fare pieno uso del margine discrezionale attribuito loro dal diritto nazionale (70).
84. Incombe al giudice nazionale verificare se, e in che misura, l’art. 2a, n. 3, della FL possa essere interpretato in conformità dei precetti della direttiva 2000/78 illustrati in precedenza. Senza voler anticipare la valutazione del Vestre Landsret, unico competente ad interpretare il diritto interno (71), un’interpretazione conforme alla direttiva mi sembra senz’altro possibile nel caso di specie. Ad ogni modo, l’attuale applicazione restrittiva della disposizione derogatoria di cui all’art. 2a, n. 3, della FL si fonda unicamente sull’interpretazione effettuata dalla giurisprudenza danese. La sua lettera («se, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, il lavoratore dipendente percepisce una pensione di anzianità»), potrebbe essere interpretata anche nel senso che essa si riferisce solo a quei soggetti che percepiranno effettivamente la loro pensione di anzianità, senza che debbano essere intesi automaticamente anche i soggetti che semplicemente possono percepire una pensione di anzianità. (72)
85. Qualora non dovesse essere possibile interpretare l’art. 2a, n. 3, della FL in maniera conforme alla direttiva, tale disposizione dovrebbe essere disapplicata nella causa principale (73), con la conseguenza che anche ad una persona nella situazione del sig. Andersen dovrebbe essere riconosciuta l’indennità di licenziamento ai sensi dell’art. 2a, n. 1, della FL. Infatti, fintantoché non siano state adottate dal legislatore nazionale misure volte a ripristinare la parità di trattamento, l’osservanza del principio della parità di trattamento può essere garantita solo mediante l’estensione alle persone appartenenti alla categoria sfavorita degli stessi vantaggi di cui beneficiano le persone della categoria privilegiata (74).
4. Osservazioni conclusive
86. Al fine di fornire al giudice del rinvio una soluzione utile alla domanda di pronuncia pregiudiziale sollevata, occorre ancora osservare, a titolo di completezza, quanto segue.
87. La circostanza che l’art. 2a, n. 1, della FL colleghi il pagamento dell’indennità di licenziamento ad un’anzianità continuativa pluriennale, potrebbe significare che la ratio e lo scopo di tale indennità non risiedono esclusivamente nel sostenere finanziariamente il passaggio ad un nuovo impiego. Piuttosto, una siffatta indennità di licenziamento potrebbe essere intesa a ricompensare ‑ perlomeno in parte ‑ anche la fedeltà all’azienda dimostrata dal lavoratore.
88. A seguito di un quesito in tal senso posto dalla Corte, le parti erano in disaccordo se l’elemento della ricompensa per la passata fedeltà all’azienda fosse insito nella disposizione di cui all’art. 2a della FL. Mentre il governo danese, la Region Syddanmark e la Commissione lo negano, il ricorrente nel procedimento principale sostiene la tesi opposta. Spetterà alla fine al giudice nazionale formarsi un’opinione in proposito (75).
89. Qualora la disposizione di cui all’art. 2a della FL dovesse essere intesa a ricompensare perlomeno in parte la fedeltà pluriennale all’azienda, ciò costituirebbe un motivo imperativo supplementare per non negare l’indennità di licenziamento ai lavoratori per il solo fatto che essi hanno già maturato un diritto alla pensione. In relazione alla ricompensa per la passata fedeltà all’azienda non fa infatti alcuna differenza se, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, un lavoratore possa percepire o meno una pensione di anzianità.
VI – Conclusione
90. Sulla base delle considerazioni sopra svolte, propongo alla Corte di risolvere la questione pregiudiziale sottoposta dal Vestre Landsret come segue:
Qualora ai lavoratori con un’anzianità pluriennale venga concessa, in caso di licenziamento, un’indennità prevista dalla legge al fine agevolare finanziariamente il loro passaggio ad un nuovo impiego, la negazione di tale indennità ai lavoratori che, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, possono percepire una pensione di anzianità, è incompatibile con gli artt. 2 e 6 della direttiva 2000/78/CE allorché non si tenga conto
– se il rispettivo lavoratore percepirà effettivamente, in tale momento, la pensione di anzianità oppure è invece ancora disponibile sul mercato del lavoro e
– se il pensionamento in tale momento comporti, per il rispettivo lavoratore, una riduzione considerevole della pensione a causa del pensionamento anticipato o altre consistenti perdite finanziarie in relazione all’ammontare del trattamento pensionistico.