Language of document : ECLI:EU:T:2004:220

Arrêt du Tribunal

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Seconda Sezione)
8 luglio 2004 (1)

«Concorrenza – Intese – Mercati di tubi in acciaio senza saldatura – Durata dell'infrazione – Ammende»

Nella causa T-50/00,

Dalmine SpA, con sede in Dalmine, rappresentata dagli avv.ti M. Siragusa e F. Moretti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. M. Erhart e A. Whelan, in qualità di agenti, assistiti dall'avv. A. Dal Ferro, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

avente ad oggetto la domanda di annullamento della decisione della Commissione 8 dicembre 1999, 2003/382/CE, relativa ad un procedimento d'applicazione dell'articolo 81 CE (Caso IV/E‑1/35.860‑B Tubi d'acciaio senza saldatura) (GU 2003, L 140, pag. 1) o, in subordine, la domanda di riduzione dell'importo dell'ammenda inflitta alla ricorrente,



IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Seconda Sezione),



composto dai sigg. N.J. Forwood, presidente, J. Pirrung e A.W.H. Meij, giudici,

cancelliere: sig. J. Plingers, amministratore

vista la fase scritta e a seguito della trattazione orale del 19, 20 e 21 marzo 2003

ha pronunciato la seguente



Sentenza




Fatti e procedimento

1
La presente causa riguarda la decisione della Commissione 8 dicembre 1999, 2003/382/CE, relativa ad un procedimento d’applicazione dell’articolo 81 CE (Caso IV/E‑1/35.860‑B Tubi d’acciaio senza saldatura) (GU 2003, L 140, pag. 1; in prosieguo: la «decisione impugnata»).

2
La Commissione ha inviato la decisione impugnata a otto imprese produttrici di tubi di acciaio al carbonio senza saldatura (in prosieguo: le «imprese destinatarie della decisione impugnata»). Fra tali imprese figurano quattro società europee (in prosieguo: i «produttori europei» ovvero i «produttori comunitari»): la Mannesmannröhren-Werke AG (in prosieguo: la «Mannesmann»), la Vallourec SA (in prosieguo: la «Vallourec»), la Corus UK Ltd (già British Steel plc, poi British Steel Ltd; in prosieguo: la «Corus») e la Dalmine SpA (in prosieguo: la «Dalmine» o la «ricorrente»). Le altre quattro destinatarie della decisione impugnata sono società giapponesi (in prosieguo: i «produttori giapponesi»): la NKK Corp., la Nippon Steel Corp. (in prosieguo: la «Nippon»), la Kawasaki Steel Corp. (in prosieguo: la «Kawasaki») e la Sumitomo Metal Industries Ltd (in prosieguo: la «Sumitomo»).

Procedimento amministrativo

3
Con decisione 17 novembre 1994 l’Autorità di vigilanza dell’Associazione europea di libero scambio (European Free Trade Association; in prosieguo: l’«AELS»), ai sensi dell’art. 8, n. 3, del protocollo 23 dell’Accordo sullo Spazio economico europeo, approvato con decisione del Consiglio e della Commissione 13 dicembre 1993, 94/1/CECA, CE, relativa alla conclusione dell’accordo sullo Spazio economico europeo tra le Comunità europee, i loro Stati membri e la Repubblica d’Austria, la Repubblica di Finlandia, la Repubblica d’Islanda, il Principato del Liechtenstein, il Regno di Norvegia, il Regno di Svezia e la Confederazione elvetica (GU 1994, L 1, pag. 1; in prosieguo: l’«Accordo SEE»), autorizzava il proprio membro responsabile della concorrenza a domandare alla Commissione di procedere, nel territorio della Comunità, a verificare l’eventuale esistenza di comportamenti anticoncorrenziali nel settore dei tubi di acciaio al carbonio utilizzati dall’industria petrolifera norvegese per operazioni di sondaggio e di trasporto.

4
Con decisione non pubblicata 25 novembre 1994 (Caso IV/35.304; in prosieguo: la «decisione 25 novembre 1994»), citata a pag. 3 del fascicolo amministrativo della Commissione ed avente come fondamento normativo sia l’art. 14, n. 3, del regolamento del Consiglio 6 febbraio 1962, n. 17, primo regolamento d’applicazione degli articoli [81 CE] e [82 CE] (GU 1962, n. 13, pag. 204), sia la decisione dell’Autorità di vigilanza AELS 17 novembre 1994, la Commissione decideva di aprire un’indagine. Oggetto della verifica erano i comportamenti menzionati nella decisione dell’autorità di vigilanza AELS 17 novembre 1994, in quanto idonei ad integrare una violazione non solo dell’art. 53 dell’Accordo SEE, ma anche dell’art. 81 CE. La Commissione inviava la decisione 25 novembre 1994 a otto società, fra cui la Mannesmann, la Corus, la Vallourec e una società del gruppo Sumitomo, la Sumitomo Deutschland GmbH. Il 1° e il 2 dicembre 1994 una serie di accertamenti presso le dette imprese venivano effettuati, in forza della citata decisione, da funzionari della Commissione e rappresentanti delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri interessati.

5
Con decisione 6 dicembre 1995 l’Autorità di vigilanza AELS constatava che il caso in esame, comportando significative alterazioni del commercio intracomunitario, rientrava nella competenza della Commissione ai sensi dell’art. 56, n. 1, lett. c), dell’Accordo SEE. L’Autorità di vigilanza AELS decideva pertanto di trasmettere tale fascicolo alla Commissione, conformemente all’art. 10, n. 3, del protocollo 23 dell’Accordo SEE. A partire da tale data la Commissione designava il caso con un nuovo numero (IV/E‑1/35.860).

6
Tra il settembre 1996 e il dicembre 1997 la Commissione effettuava ulteriori accertamenti ai sensi dell’art. 14, n. 2, del regolamento n. 17, presso la Vallourec, la Dalmine e la Mannesmann. In particolare, essa effettuava un’ispezione presso la Vallourec il 17 settembre 1996, in occasione della quale il sig. Verluca, presidente della Vallourec Oil & Gas, rilasciava la dichiarazione citata a pag. 6356 del fascicolo della Commissione, su cui quest’ultima ha basato la decisione impugnata. Successivamente la Commissione inviava una richiesta di informazioni, ex art. 11 del regolamento n. 17, a tutte le imprese destinatarie della decisione impugnata, nonché a talune altre.

7
Poiché la Dalmine e le società argentine Siderca SAIC (in prosieguo: la «Siderca») e Techint Group avevano rifiutato di fornire alcune delle informazioni richieste, il 6 ottobre 1997 la Commissione inviava loro una decisione adottata ai sensi dell’art. 11, n. 5, del regolamento n. 17 [decisione C (1997) 3036 (IV/35.860 Tubi d’acciaio, non pubblicata)]. Sia la Siderca che la Dalmine presentavano al Tribunale un ricorso di annullamento contro tale decisione. Il ricorso di annullamento della Dalmine veniva dichiarato manifestamente irricevibile con ordinanza del Tribunale 24 giugno 1998, causa T‑596/97, Dalmine/Commissione (Racc. pag. II‑2383), mentre il ricorso di annullamento della Siderca veniva cancellato dal ruolo, in seguito alla rinuncia di quest’ultima, con ordinanza del Tribunale 7 giugno 1998, causa T‑8/98, Siderca/Commissione (non pubblicata nella Raccolta).

8
Anche la Mannesmann rifiutava di fornire alcune informazioni richieste dalla Commissione. Essa persisteva nel suo rifiuto anche dopo l’adozione nei suoi confronti, da parte della Commissione, di una decisione ai sensi dell’art. 11, n. 5, del regolamento n. 17 [decisione 15 maggio 1998, C (1998) 1204 (IV/35.860 Tubi d’acciaio, non pubblicata]. A sua volta la Mannesmann presentava un ricorso al Tribunale contro tale decisione. Con sentenza 20 febbraio 2001, causa T‑112/98, Mannesmannröhren-Werke/Commissione (Racc. pag. II‑729), il Tribunale annullava parzialmente la decisione in questione, respingendo per il resto il ricorso.

9
Nel gennaio 1999 la Commissione adottava due comunicazioni degli addebiti, concernenti, l’una, i tubi d’acciaio al carbonio saldati e, l’altra, quelli non saldati. Essa scindeva in tal modo il caso in due: il caso IV/E‑1/35.860‑A, relativo ai tubi d’acciaio al carbonio saldati, e il caso IV/E‑1/35.860‑B, relativo a quelli senza saldatura.

10
Nel caso relativo ai tubi d’acciaio al carbonio senza saldatura, la Commissione inviava la sua comunicazione degli addebiti (in prosieguo: la «CdA») alle otto imprese destinatarie della decisione impugnata nonché alla Siderca e alla società messicana Tubos de Acero de México SA. Le dette imprese consultavano il fascicolo aperto dalla Commissione per tale caso fra l’11 febbraio e il 20 aprile 1999. Inoltre, con lettere datate 11 maggio 1999, la Commissione inviava copia delle decisioni del novembre 1994, relative agli accertamenti, alle imprese che non ne erano destinatarie e che, pertanto, non ne avevano avuto conoscenza.

11
Dopo aver presentato le loro osservazioni scritte, le destinatarie delle due comunicazioni degli addebiti venivano sentite dalla Commissione il 9 e il 10 giugno 1999, in ordine – rispettivamente – al caso relativo ai tubi d’acciaio al carbonio saldati e a quello relativo ai tubi d’acciaio al carbonio senza saldatura. Nel luglio 1999 la Commissione informava le destinatarie della comunicazione degli addebiti nel caso IV/E‑1/35.860‑A, relativo ai tubi d’acciaio al carbonio saldati, di aver rinunciato alla procedura relativa a tali prodotti. Viceversa, essa proseguiva l’iter relativo al caso IV/E‑1/35.860‑B.

12
Alla luce di tali circostanze, l’8 dicembre 1999 la Commissione adottava la decisione impugnata.

Prodotti in questione

13
I prodotti oggetto del caso IV/E‑1/35.860‑B sono i tubi di acciaio al carbonio senza saldatura utilizzati dall’industria petrolifera e del gas, i quali si suddividono in due grandi categorie.

14
Alla prima categoria appartengono i tubi per il sondaggio, comunemente denominati «Oil Country Tubular Goods» ovvero «OCTG». Essi possono essere venduti senza filettatura («tubi lisci») o filettati. La filettatura è un’operazione volta a consentire il raccordo dei tubi OCTG. Essa può essere ordinaria, vale a dire conforme ai parametri fissati dall’American Petroleum Institute (API) (i tubi così filettati saranno denominati in prosieguo: gli «OCTG standard»), oppure realizzata con tecniche particolari, solitamente brevettate. In quest’ultimo caso si parla di filettatura o, eventualmente, di «giunti» «di prima qualità» ovvero «premium» (i tubi così filettati saranno denominati in prosieguo: gli «OCTG premium»).

15
Alla seconda categoria appartengono i tubi per il trasporto di petrolio e di gas («linepipe») in acciaio al carbonio senza saldatura, che si suddividono a loro volta in tubi fabbricati secondo norme standard e in tubi fabbricati su misura per la realizzazione di progetti specifici (in prosieguo: i «linepipe “project”»).

Infrazioni constatate dalla Commissione nella decisione impugnata

16
Nella decisione impugnata la Commissione ha osservato, innanzi tutto, che le otto imprese destinatarie di tale decisione avevano concluso un accordo che prevedeva, fra l’altro, il reciproco rispetto dei loro mercati nazionali (punti 62‑67 della decisione impugnata). In base ad esso, ogni impresa si impegnava a non vendere tubi OCTG standard e linepipe «project» sui mercati nazionali delle altre aderenti all’accordo. L’accordo sarebbe stato concluso nell’ambito di riunioni tra i produttori comunitari e quelli giapponesi, dette «club Europa-Giappone». Il principio della protezione dei mercati nazionali era denominato «fundamentals» (regole di base dell’accordo). In subordine, la Commissione ha rilevato che i detti «fundamentals» erano stati realmente osservati e che pertanto l’accordo aveva sortito effetti anticoncorrenziali sul mercato comune (punto 68 della decisione impugnata).

17
Secondo la Commissione il detto accordo rientrava nel divieto enunciato all’art. 81, n. 1, CE (punto 109 della decisione impugnata). Conseguentemente, all’art. 1 della decisione impugnata, essa ha constatato una violazione di tale disposizione e ha inflitto ammende alle otto imprese destinatarie.

18
Quanto alla durata dell’infrazione, la Commissione ha affermato che, sebbene le riunioni del club Europa-Giappone fossero iniziate nel 1977 (punto 55 della decisione impugnata), occorreva considerare il 1990 come momento iniziale dell’infrazione ai fini della fissazione dell’importo delle ammende, in quanto tra il 1977 e il 1990 erano stati conclusi tra la Comunità europea e il Giappone accordi di autolimitazione delle esportazioni (in prosieguo: gli «accordi di autolimitazione») (punto 108 della decisione impugnata). Secondo la Commissione, l’infrazione è terminata nel 1995 (punti 96 e 97 della decisione impugnata).

19
Ai fini della fissazione dell’importo delle ammende alle otto imprese destinatarie della decisione impugnata, la Commissione ha qualificato l’infrazione come molto grave, giacché l’accordo di cui trattasi aveva ad oggetto la protezione dei mercati nazionali e pregiudicava il buon funzionamento del mercato interno (punti 161 e 162 della decisione impugnata). Per contro, essa ha rilevato che le vendite di tubi di acciaio al carbonio senza saldatura effettuate dalle imprese destinatarie nei quattro Stati membri interessati ammontavano a soli EUR 73 milioni circa all’anno. Di conseguenza, la Commissione ha fissato l’ammontare dell’ammenda, in base alla gravità dell’infrazione, a EUR 10 milioni per ognuna delle otto imprese destinatarie della decisione impugnata. Queste ultime sono tutte di grandi dimensioni, sicché la Commissione ha ritenuto di non dover differenziare, a tale titolo, gli importi stabiliti (punti 162, 163 e 165 della decisione impugnata).

20
Ritenendo che si trattasse di un’infrazione di durata media, per fissare l’importo di base dell’ammenda irrogata a ciascuna impresa in causa la Commissione ha applicato un aumento del 10% della somma stabilita in funzione della gravità per ogni anno di partecipazione all’infrazione (punto 166 della decisione impugnata). Tuttavia, considerato che il settore dei tubi di acciaio versava da lungo tempo in uno stato di crisi e che tale situazione si è deteriorata a partire dal 1991, la Commissione ha ridotto i detti importi di base del 10% a motivo delle circostanze attenuanti (punti 168 e 169 della decisione impugnata). Infine, la Commissione ha applicato una riduzione dell’ammontare dell’ammenda per la Vallourec del 40% e per la Dalmine del 20%, ai sensi del punto D 2 della sua comunicazione 96/C 207/04, sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi d’intesa tra imprese (GU 1996, C 207, pag. 4; in prosieguo: la «comunicazione sulla cooperazione»), in quanto queste due imprese avevano collaborato con la Commissione nella fase del procedimento amministrativo (punti 170‑173 della decisione impugnata).

21
L’importo dell’ammenda irrogata a ciascuna delle imprese in causa, calcolato secondo il metodo illustrato ai due punti precedenti, è indicato all’art. 4 della decisione impugnata (infra, punto 33).

22
In secondo luogo, la Commissione ha reputato, all’art. 2 della decisione impugnata, che i contratti concernenti la vendita di tubi lisci sul mercato britannico conclusi tra produttori comunitari integrassero un’infrazione (punto 116 della decisione impugnata). Tuttavia, essa non li ha sanzionati con un’ammenda supplementare perché si trattava, in fondo, solo di un modo di attuare il principio della protezione dei mercati nazionali deciso nel contesto del club Europa‑Giappone (punto 164 della decisione impugnata).

Fatti salienti constatati dalla Commissione nella decisione impugnata

23
Dal 1977 al 1994 il club Europa-Giappone si è riunito circa due volte l’anno (punto 60 della decisione impugnata). In particolare, la Commissione ha rilevato che, stando a quanto dichiarato dal sig. Verluca il 17 settembre 1996, sono state tenute riunioni segnatamente il 14 aprile 1992 a Firenze, il 23 ottobre 1992 a Tokyo, il 19 maggio 1993 a Parigi, il 5 novembre 1993 a Tokyo e il 16 marzo 1994 a Cannes. La Commissione ha sostenuto, peraltro, che la nota della Vallourec, dal titolo «Quelques informations à l’occasion du club Europe/Japon» (Osservazioni sul club Europa-Giappone), datata 4 novembre 1991 e citata a pag. 4350 del fascicolo della Commissione, e quella del 24 luglio 1990, citata a pag. 15586 del medesimo fascicolo, intitolata «Riunione del 24.07.90 con la British Steel» (in prosieguo: la nota «Riunione 24.07.90»), precisano che altre riunioni del club Europa-Giappone si sono svolte anche nel 1989 e nel 1991.

24
L’accordo concluso in seno al club Europa‑Giappone si basava su tre pilastri: il primo era costituito dai «fundamentals» per la protezione dei mercati nazionali (menzionati supra, al punto 16), i quali integrano l’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata; il secondo consisteva nella fissazione dei prezzi per i bandi di gara e di prezzi minimi per gli «special markets» (i mercati speciali), e il terzo era dato dalla ripartizione degli altri mercati mondiali, eccetto quelli del Canada e degli Stati Uniti d’America, mediante apposite chiavi («sharing keys») (punto 61 della decisione impugnata). La Commissione basa la sua conclusione quanto all’esistenza dei «fundamentals» su una serie di documenti indiziari elencati ai punti 62‑67 della decisione impugnata, nonché sulla tabella di cui al punto 68 di quest’ultima. Dalla detta tabella risulterebbe che la quota del produttore nazionale nelle forniture di tubi OCTG e di linepipe effettuate dalle destinatarie della decisione impugnata in Giappone e sul mercato interno di ciascuna delle quattro produttrici comunitarie era molto elevata. La Commissione ne deduce che, nel complesso, i mercati nazionali erano effettivamente protetti dalle parti dell’accordo. Relativamente agli altri due pilastri dell’accordo in esame, la Commissione illustra gli elementi probatori pertinenti ai punti 70‑77 della decisione impugnata.

25
Allorché la Corus ha manifestato, nel 1990, l’intenzione di cessare la produzione di tubi lisci senza saldatura, i produttori comunitari si sarebbero interrogati sui limiti temporali di applicazione del principio del rispetto dei mercati nazionali, nell’ambito dei «fundamentals» sopra descritti, relativamente al mercato del Regno Unito. A tale proposito la Vallourec e la Corus avrebbero proposto i «fundamentals improved» (versione perfezionata delle regole di base dell’accordo), finalizzati a mantenere in vigore le restrizioni all’accesso dei produttori giapponesi al mercato britannico, nonostante il ritiro della Corus. Nel luglio 1990, in occasione del rinnovo della licenza relativa alla tecnica di filettatura VAM, la Vallourec e la Corus si sarebbero così accordate per riservare la fornitura di quest’ultima in tubi lisci senza saldatura alla Vallourec, alla Mannesmann e alla Dalmine (punto 78 della decisione impugnata).

26
Nell’aprile 1991 la Corus ha chiuso la sua fabbrica di Clydesdale (Regno Unito), dove veniva prodotto circa il 90% dei suoi tubi lisci. Essa ha quindi concluso contratti di fornitura di detti tubi, aventi scadenze quinquennali ma rinnovabili tacitamente salvo preavviso di dodici mesi, con la Vallourec (il 24 luglio 1991), con la Dalmine (il 4 dicembre 1991) e con la Mannesmann (il 9 agosto 1993) (in prosieguo: i «contratti di fornitura»). Ai sensi di questi tre contratti, citati alle pagg. 12867, 12910 e 12948 del fascicolo della Commissione, le imprese beneficiarie fornivano alla Corus, rispettivamente, il 40%, il 30% e il 30% del suo fabbisogno (punti 79‑82 della decisione impugnata), ad esclusione dei tubi di piccolo diametro.

27
Nel 1993 tre fattori avrebbero indotto a rivedere i principi di funzionamento del club Europa-Giappone. Innanzi tutto, la ristrutturazione dell’industria siderurgica europea, visto che nel Regno Unito la Corus intendeva appunto dismettere la produzione di tubi filettati senza saldatura e che in Belgio la società New Tubemeuse (in prosieguo: la «NTM»), dedita prevalentemente all’esportazione verso il Medio e l’Estremo Oriente, era stata liquidata il 31 dicembre 1993. Poi, l’ingresso nel mercato comunitario dei produttori dell’America latina, che minacciava di rimettere in causa le ripartizioni del mercato convenute nell’ambito del club Europa‑Giappone. Infine, l’importanza crescente dei tubi saldati sul mercato mondiale dei tubi utilizzati per l’estrazione e lo sfruttamento di petrolio e di gas, nonostante il permanere di forti disparità fra regioni (punti 83 e 84 della decisione impugnata).

28
In tale contesto i membri del club Europa‑Giappone si sarebbero incontrati a Tokyo, il 5 novembre 1993, per negoziare un nuovo accordo di ripartizione dei mercati con i produttori dell’America latina. Il contenuto dell’accordo stipulato nell’occasione si rispecchierebbe in un documento consegnato alla Commissione il 12 novembre 1997 da un informatore estraneo al procedimento e citato a pag. 7320 del fascicolo della Commissione, il quale contiene in particolare una «Sharing key» (chiave di ripartizione; in prosieguo: il documento «Sharing key»). A detta dell’informatore, la fonte del documento sarebbe un agente commerciale di una delle partecipanti alla summenzionata riunione. Per quanto riguarda segnatamente le conseguenze della ristrutturazione dell’industria europea, la chiusura della NTM avrebbe permesso ai produttori comunitari di ottenere concessioni dai produttori giapponesi e latino-americani, principali beneficiari del ritiro della NTM dai mercati d’esportazione (punti 85‑89 della decisione impugnata).

29
Da parte sua, la Corus ha deciso di cessare definitivamente la sua produzione di tubi senza saldatura. Il 22 febbraio 1994 la Vallourec ha acquisito il controllo degli impianti specializzati nella filettatura e nella produzione dei tubi della Corus e ha costituito, a tal fine, la società Tubular Industries Scotland Ltd (in prosieguo: la «TISL»). Il 31 marzo 1994 la TISL ha rilevato i contratti di fornitura di tubi lisci che la Corus aveva stipulato con la Dalmine e la Mannesmann. Il 24 aprile 1997 il contratto così concluso con la Mannesmann era ancora in vigore. Il 30 marzo 1999 la Dalmine ha risolto il contratto di fornitura con la TISL (punti 90‑92 della decisione impugnata).

30
La Commissione ha ritenuto che, con i detti contratti, i produttori comunitari si fossero assegnati le quote di fornitura di tubi lisci per il mercato britannico, che rappresenta più della metà del consumo comunitario di tubi OCTG. Essa ne ha dunque inferito che si trattava di un’intesa vietata in forza dell’art. 81, n. 1, CE (v. supra, punto 22).

Dispositivo della decisione impugnata

31
Ai sensi dell’art. 1, n. 1, della decisione impugnata, le otto imprese destinatarie della stessa «(…) hanno violato le disposizioni dell’articolo 81, paragrafo 1, (…) CE, partecipando (...) ad un accordo che prevedeva fra l’altro la protezione dei rispettivi mercati nazionali dei tubi OCTG (…) standard e linepipe project senza saldatura».

32
Ai termini dell’art. 1, n. 2, della decisione impugnata l’infrazione è durata dal 1990 al 1995 per le società Mannesmann, Vallourec, Dalmine, Sumitomo, Nippon, Kawasaki e NKK Corp. Per la Corus si dichiara che l’infrazione è durata dal 1990 al febbraio 1994.

33
Le altre disposizioni rilevanti della decisione impugnata sono formulate come segue:

«Articolo 2

1.
[Mannesmann], Vallourec (…), [Corus] e Dalmine (…) hanno violato le disposizioni dell’articolo 81, paragrafo 1, [CE], concludendo, nell’ambito dell’infrazione di cui all’articolo 1, contratti risultanti in una ripartizione delle forniture di tubi OCTG lisci a [Corus] (Vallourec (...) a partire dal 1994).

2.
Per [Corus] l’infrazione è durata dal 24 luglio 1991 al febbraio 1994. Per Vallourec (…) è durata dal 24 luglio 1991 al 30 marzo 1999. Per Dalmine (…) è durata dal 4 dicembre 1991 al 30 marzo 1999. Per [Mannesmann] è durata dal 9 agosto 1993 al 24 aprile 1997.

(…)

Articolo 4

A motivo dell’infrazione constatata all’articolo 1, alle imprese ivi elencate sono irrogate le seguenti ammende:

(1)    [Mannesmann] 13 500 000 EUR

(2)    Vallourec (…) 8 100 000 EUR

(3)    [Corus] 12 600 000 EUR

(4)    Dalmine (…) 10 800 000 EUR

(5)    Sumitomo (…) 13 500 000 EUR

(6)    Nippon (…) 13 500 000 EUR

(7)    Kawasaki Steel Corporation (…) 13 500 000 EUR

(8)    NKK Corporation (…) 13 500 000 EUR

(…)».

Procedimento dinanzi al Tribunale

34
Con sette istanze, depositate nella cancelleria del Tribunale tra il 28 febbraio e il 3 aprile 2000, le società Mannesmann, Corus, Dalmine, NKK Corp., Nippon, Kawasaki e Sumitomo hanno presentato un ricorso contro la decisione impugnata.

35
Con ordinanza 18 giugno 2002 è stato deciso, sentite le parti, di riunire le sette cause ai fini del procedimento orale, in conformità all’art. 50 del regolamento di procedura del Tribunale. In seguito a tale riunione tutte le ricorrenti hanno potuto consultare il complesso dei fascicoli relativi al procedimento pendente nelle sette cause presso la cancelleria del Tribunale. Sono state altresì adottate alcune misure di organizzazione del procedimento.

36
Su relazione del giudice relatore il Tribunale (Seconda Sezione) ha deciso di passare alla fase orale. Le parti hanno svolto le loro difese orali e hanno risposto ai quesiti scritti formulati dal Tribunale alle udienze del 19, 20 e 21 marzo 2003.


Conclusioni delle parti

37
La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

annullare totalmente o parzialmente la decisione impugnata;

in subordine, annullare o ridurre l’ammenda inflittale;

condannare la Commissione alle spese.

38
La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

respingere integralmente il ricorso;

condannare la ricorrente alle spese.


Sulla domanda di annullamento della decisione impugnata

39
In udienza la Dalmine ha fatto presente che, avendo ricevuto una sintesi non riservata dei passaggi coperti da segreto contenuti in alcuni documenti del fascicolo nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento disposte dal Tribunale, essa rinunciava al motivo vertente su un’asserita violazione dei diritti della difesa a causa del trattamento riservato dei detti documenti nel procedimento amministrativo.

1. Sui motivi attinenti alla violazione delle forme sostanziali nel corso del procedimento amministrativo

Sulla legittimità dei quesiti posti dalla Commissione in sede di accertamenti

Argomenti delle parti

40
La ricorrente sostiene che il suo diritto a non contribuire alla propria incriminazione è stato violato dai quesiti tendenziosi posti dalla Commissione durante l’indagine. Essi avrebbero avuto il fine di indurla ad ammettere l’esistenza di un’infrazione, ignorando la giurisprudenza della Corte (sentenza 18 ottobre 1989, causa 374/87, Orkem/Commissione, Racc. pag. 3283, punti 34 e 35). Di conseguenza, la ricorrente ritiene che occorra annullare la decisione impugnata nella parte in cui si basa sulle risposte a tali quesiti.

41
Il 13 febbraio e il 22 aprile 1997 la Commissione avrebbe interrogato la ricorrente in applicazione dell’art. 11, n. 5, del regolamento n. 17. Detta istituzione avrebbe tentato di indurla ad ammettere la sua presenza ad alcune riunioni fra produttori di tubi di acciaio nonché l’oggetto illegittimo delle medesime, precisandole già in quell’occasione le pratiche illecite controverse, segnatamente gli accordi sulla protezione dei mercati nazionali e sui prezzi, ai quali essa avrebbe dovuto dichiarare di aver preso parte. La Commissione le avrebbe chiesto, in particolare, di menzionare «le decisioni adottate, (…) le quote (“Sharing keys”) discusse e/o decise per aree geografiche ed il loro periodo di validità, i prezzi discussi e/o decisi per aree geografiche ed il loro periodo di validità specificandone il tipo». La Commissione avrebbe contestato alla Dalmine la sua reticenza a rispondere a tali quesiti.

42
Il 12 giugno 1997 la Commissione avrebbe invitato nuovamente la Dalmine a fornire le informazioni richieste. Ritenendo incomplete le sue risposte, la Commissione avrebbe adottato una decisione, il 6 ottobre 1997, intimando alla ricorrente di provvedere entro un termine di trenta giorni, dopo la cui scadenza avrebbe applicato una penalità di mora. Tale decisione, avverso la quale la Dalmine ha proposto ricorso (ordinanza Dalmine/Commissione, punto 7, supra), avrebbe arrecato pregiudizio a quest’ultima.

43
La Commissione nega di aver posto quesiti che obbligassero la Dalmine ad autoincriminarsi.

44
La Commissione ricorda inoltre che le imprese e le associazioni di imprese sono libere di non rispondere alle domande loro poste ai sensi dell’art. 11 del regolamento n. 17 (sentenza del Tribunale 15 marzo 2000, cause riunite T‑25/95, T‑26/95, da T‑30/95 a T‑32/95, da T‑34/95 a T‑39/95, da T‑42/95 a T‑46/95, T‑48/95, da T‑50/95 a T‑65/95, da T‑68/95 a T‑71/95, T‑87/95, T‑88/95, T‑103/95 e T‑104/95, Cimenteries CBR e a./Commissione, detta «Cemento», Racc. pag. II‑491, punto 734). Solo se un’impresa fornisce informazioni inesatte l’art. 15, n. 1, lett. b), del regolamento n. 17 prevede la possibilità che sia sanzionata.

Giudizio del Tribunale

45
Conformemente al punto 32 della sentenza Orkem/Commissione, qui citata nel precedente punto 40, il presente motivo attiene ai diritti della difesa delle imprese (v. anche sentenza Mannesmannröhren-Werke/Commissione, citata nel precedente punto 8, punto 63). Da tale giurisprudenza risulta che l’art. 11, n. 5, del regolamento n. 17 riconosce alle imprese destinatarie di decisioni contenenti richieste di informazioni la facoltà di non rispondere ove, obbligate a una risposta a pena di ammenda, finirebbero con l’ammettere l’esistenza di infrazioni che spetta alla Commissione dimostrare (sentenze citate Orkem/Commissione, punto 35, e Mannesmannröhren-Werke/Commissione, punto 67).

46
Al contrario, è giurisprudenza costante che, in base a tale norma, le imprese non sono tenute a fornire risposte a semplici richieste di informazioni ai sensi dell’art. 11, n. 1, del regolamento n. 17, ragion per cui esse non possono pretendere che il loro diritto a non autoincolparsi sia stato violato una volta che abbiano risposto spontaneamente a richieste siffatte (v., in tal senso, sentenza «Cemento», cit. nel precedente punto 44, punto 734).

47
Nella fattispecie, anche supponendo che la Dalmine sia legittimata a dedurre, nell’ambito del presente procedimento, argomenti attinenti al carattere asseritamente illecito dei quesiti sottoposti, pur non avendo presentato un ricorso ricevibile contro la decisione 6 ottobre 1997 nel termine fissato all’art. 230 CE (v., al riguardo, ordinanza Dalmine/Commissione, cit. nel precedente punto 7, con cui è dichiarato irricevibile il ricorso della Dalmine contro la detta decisione 6 ottobre 1997), è sufficiente rilevare che la decisione impugnata può essere ritenuta illegittima sotto tale profilo solo in quanto le domande oggetto della decisione 6 ottobre 1997 abbiano portato la Dalmine ad ammettere l’esistenza delle infrazioni constatate nella decisione impugnata ai sensi della sentenza Orkem/Commissione, cit. nel precedente punto 40. Ora, se è vero che la Commissione ha posto una lunga serie di quesiti con la sua domanda iniziale, datata 22 aprile 1997, le richieste da essa indirizzate alla Dalmine nella decisione 6 ottobre 1997 riguardavano soltanto la produzione di documenti e di informazioni puramente oggettivi e non erano dunque idonee ad indurre quest’ultima ad ammettere l’esistenza di un’infrazione.

48
Per quanto riguarda i quesiti rivolti alle società argentine Techint Group e Siderca, minacciate di sanzioni in solido con la Dalmine, giacché tutte e tre queste società costituivano un’unica impresa (punto 13 e art. 2, secondo comma, della decisione 6 ottobre 1997), è vero che l’ultimo trattino del quesito n. 2, nuovamente posto a tali società nella decisione 6 ottobre 1997 e ad essa allegato, è analogo all’ultimo trattino dei quesiti 1.6, 1.7 e 2.3, sottoposti alla Mannesmann in forza di una decisione 15 maggio 1998, e che il Tribunale, sulla base della sentenza Orkem/Commissione, citata nel precedente punto 40, ha annullato tale trattino nella sua sentenza Mannesmannröhren-Werke/Commissione, cit. nel precedente punto 8.

49
Tuttavia, a prescindere dal fatto che la Commissione non ha chiesto direttamente alla Dalmine, in quanto persona giuridica, di fornire tali informazioni, va notato che il trattino del quesito in parola si riferisce unicamente ai rapporti tra i produttori europei e quelli dell’America latina, cioè a un profilo dell’accordo denunciato nella CdA che non è stato analizzato nella decisione impugnata.

50
Ciò considerato, è giocoforza riconoscere che questo aspetto della decisione della Commissione 6 ottobre 1997 non ha potuto indurre la Dalmine ad autoincolparsi dell’infrazione costituita dall’accordo di ripartizione dei mercati concluso dai produttori giapponesi ed europei constatato all’art. 1 della decisione impugnata. Di conseguenza, quand’anche la Commissione abbia commesso un’illegittimità a tale riguardo, questa non ha potuto influire minimamente sul contenuto della decisione impugnata e, pertanto, non ne vizia la legittimità.

51
Ne discende che il presente motivo va respinto.

Sulla concordanza tra la CdA e la decisione impugnata relativamente agli elementi probatori dedotti

Argomenti delle parti

52
La Dalmine ricorda che spetta alla Commissione comunicare alle imprese incriminate tutti i documenti su cui si fondano i suoi addebiti (XXIII Relazione sulla politica di concorrenza, pagg. 113 e 114). Orbene, nella fattispecie, la Commissione avrebbe citato, sia nella CdA sia nella decisione impugnata, documenti a carico non allegati alla detta CdA.

53
In particolare, non sarebbero stati allegati alla CdA i seguenti documenti:

un telefax della Sumitomo, datato 12 gennaio 1990, citato nella CdA al punto 70, riportato a pag. 4785 del fascicolo della Commissione e richiamato al punto 71 della decisione impugnata;

un rapporto della Vallourec del 1994, citato nella CdA al punto 119, riportato a pag. 14617 del fascicolo della Commissione e richiamato al punto 92 della decisione impugnata.

54
Inoltre, la decisione impugnata citerebbe alcuni documenti che, sebbene allegati alla CdA, non erano menzionati nella detta comunicazione. Si tratterebbe dei verbali degli interrogatori resi dai sigg. Benelli, Jachia e Ciocca nei giorni 2, 5 e 8 giugno 1995, 6 settembre 1995 e 21 febbraio 1996 (riportati a pag. 8220 ter del fascicolo e richiamati al punto 54 della decisione impugnata).

55
Tale modo di procedere della Commissione avrebbe complicato enormemente l’esame dei documenti a carico da parte della Dalmine. Mentre la decisione impugnata si riferisce ai documenti con il rispettivo numero di protocollo, la CdA ed il fascicolo che essa ha potuto esaminare presso gli uffici della Commissione sarebbero organizzati in maniera differente. La Commissione avrebbe commesso, in tal modo, un’insanabile violazione dei diritti della difesa, che giustificherebbe da sola l’annullamento della decisione impugnata. In via subordinata, la Dalmine chiede che tali documenti a carico vengano dichiarati inutilizzabili e che la legittimità della decisione venga pertanto valutata senza prenderli in considerazione (sentenza del Tribunale 29 giugno 1995, causa T‑30/91, Solvay/Commissione, Racc. pag. II‑1775, punto 98).

56
La Commissione risponde segnalando che alla Dalmine è stata data la possibilità di analizzare tutti i documenti citati nella CdA o nei suoi allegati allorché il 3 marzo 1999 ha avuto modo di consultare il fascicolo. Di conseguenza, sarebbe esclusa qualsiasi violazione dei diritti della difesa (sentenza «Cemento», cit. nel precedente punto 44, punto 144).

57
La Commissione precisa peraltro che il documento richiamato a pag. 8220 ter del fascicolo amministrativo viene citato al punto 46 della CdA.

58
Infine, i documenti allegati alla CdA ma non menzionati nel suo testo «possono essere tenuti presenti nella decisione [impugnata] a carico della ricorrente, solo se quest’ultima, partendo dalla [CdA], abbia potuto ragionevolmente dedurre le conclusioni che la Commissione intendeva trarne» (sentenza «Cemento», cit. nel precedente punto 44, punto 323).

Giudizio del Tribunale

59
La Commissione, al fine di consentire alle imprese ed associazioni di imprese interessate di difendersi utilmente contro le censure formulate nei loro confronti nella CdA, è tenuta a permettere loro la consultazione dell’intero fascicolo istruttorio, ad esclusione dei documenti contenenti segreti commerciali di altre imprese o altre informazioni riservate nonché dei documenti interni della Commissione (sentenza «Cemento», cit. nel precedente punto 44, punto 144).

60
Tuttavia, la circostanza che un documento sia menzionato in una comunicazione degli addebiti senza esservi allegato non costituisce, in linea di principio, una violazione dei diritti della difesa purché i destinatari della detta comunicazione possano prenderne visione prima di rispondere alla stessa.

61
In ordine ai due documenti citati nella CdA, ma nella fattispecie non allegati alla medesima, la Commissione rileva, senza smentite della Dalmine, che quest’ultima ne ha preso visione il 3 marzo 1999.

62
Quanto all’argomento secondo cui il modo di organizzare la consultazione del fascicolo nel caso di specie ha reso difficile l’identificazione dei due documenti di cui trattasi, è sufficiente rilevare che questa pretesa difficoltà non ha pregiudicato la facoltà di difesa della Dalmine, atteso che quest’ultima ha affermato, in sede di replica, di aver potuto procurarseli allorché ha avuto accesso al fascicolo della Commissione.

63
In ogni caso, questi due documenti sono citati sia nella CdA sia nella decisione impugnata per descrivere il contesto generale piuttosto che la natura specifica delle infrazioni constatate nella decisione impugnata, per cui la circostanza che sia stato omesso il riferimento sia all’uno che all’altro nella decisione impugnata non ha nessuna incidenza sulla fondatezza di quest’ultima. Il telefax della Sumitomo del 12 gennaio 1990, infatti, è citato nella parte relativa alla descrizione del club Europa-Giappone, contenuta in entrambi i documenti, che si riferisce ai «mercati speciali», ossia ai mercati dei paesi terzi. Quanto al rapporto della Vallourec del 1994, esso è menzionato brevemente in note a piè di pagina (nota n. 65 della CDA e nota n. 30 della decisione impugnata) per attestare il fatto, non contestato dalla Dalmine, che «[i]l 22 febbraio 1994 Valtubes (affiliata di Vallourec) ha acquisito il controllo degli impianti scozzesi di [Corus] specializzati nel trattamento termico e nella filettatura VAM ed ha costituito la società Tubular Industries Scotland Ltd (TISL), leader del mercato del Mare del Nord per la fornitura di tubi filettati con giunti superiori o standard».

64
Per quanto riguarda i documenti che, sebbene allegati alla CdA, non sarebbero stati quivi menzionati, cioè i verbali degli interrogatori dei sigg. Benelli, Jachia e Ciocca, è sufficiente rilevare che la CdA e la decisione impugnata si riferiscono entrambe alle testimonianze di «vari dirigenti di Dalmine» (v. punto 46 della CdA e punto 54 della decisione impugnata) e riportano in extenso unicamente quella del sig. Biasizzo (v. punto 58 della CdA e punto 64 della decisione impugnata). Si deve pertanto convenire che la Commissione ha fatto parola di questi documenti nella CdA e considerare nella fattispecie tali riferimenti sufficienti, visto l’utilizzo poi fattone dalla Commissione nella decisione impugnata, perché la Dalmine potesse utilmente difendersi in merito ad essi nel procedimento amministrativo.

65
Alla luce di queste circostanze il presente motivo dev’essere respinto.

Sull’ammissibilità di alcuni elementi probatori

66
La Dalmine fa valere l’inammissibilità, come elementi probatori, di alcuni documenti che la Commissione le avrebbe opposto in violazione dei diritti della difesa. Essa ritiene che l’uso irregolare di tali documenti debba comportare l’annullamento della decisione impugnata. In subordine, tali documenti dovrebbero essere dichiarati inutilizzabili e pertanto la legittimità della decisione impugnata dovrebbe essere valutata senza prenderli in considerazione.

Sul documento «Sharing key»

    Argomenti delle parti

67
Secondo la ricorrente, il documento «Sharing key» sarebbe irricevibile come prova delle infrazioni constatate agli artt. 1 e 2 della decisione impugnata, in quanto la Commissione non ha rivelato l’identità del suo autore né la sua origine. Senza informazioni di tal genere, l’autenticità e la forza probatoria di tale documento a carico sarebbero opinabili.

68
La decisione impugnata farebbe pensare, inoltre, al suo punto 85, che l’autore del detto documento non fosse presente alla riunione di Tokyo del 5 novembre 1993, laddove tale documento viene invocato come prova dell’accordo di protezione dei mercati che sarebbe stato concluso in quell’occasione. Alla luce di ciò, la Dalmine asserisce di non essere in grado di difendersi contro tale documento.

69
La Commissione ribatte che l’identificazione della persona che le ha consegnato il documento «Sharing key» non è necessaria all’esercizio dei diritti della difesa della ricorrente.

70
Essa ricorda, inoltre, di non essere tenuta a svelare l’identità del suo informatore e rinvia al riguardo al punto II della sua comunicazione 97/C 23/03, relativa alle regole procedimentali interne per l’esame delle domande di accesso al fascicolo nei casi di applicazione degli artt. [81 CE] e [82 CE], degli artt. 65 e 66 del trattato CECA e del regolamento (CEE) n. 4064/89 del Consiglio (GU 1997, C 23, pag. 3; in prosieguo: la «comunicazione relativa all’accesso al fascicolo»).

71
Peraltro, diversi elementi probatori del fascicolo, in particolare quelli elencati ai punti 121 e 122 della decisione impugnata, corroborerebbero il contenuto del documento «Sharing key».

    Giudizio del Tribunale

72
In diritto comunitario prevale il principio della libertà di forma dei mezzi probatori e l’unico criterio pertinente per valutare le prove prodotte risiede nella loro credibilità (conclusioni del giudice Vesterdorf, facente funzione di avvocato generale nella causa T‑1/89, Rhône-Poulenc/Commissione, decisa con sentenza del Tribunale 24 ottobre 1991, Racc. pag. II‑867, in particolare pag. II‑869; v. anche, in tal senso, sentenza della Corte 23 marzo 2000, cause riunite C‑310/98 e C‑406/98, Met-Trans e Sagpol, Racc. pag. I‑1797, punto 29, e sentenza del Tribunale 7 novembre 2002, cause riunite T‑141/99, T‑142/99, T‑150/99 e T‑151/99, Vela e Tecnagrind/Commissione, Racc. pag. II‑4547, punto 223). Per di più, per la Commissione può rivelarsi necessario difendere l’anonimato degli informatori (v., in tal senso, sentenza della Corte 7 novembre 1985, causa 145/83, Adams/Commissione, Racc. pag. 3539, punto 34) e questa circostanza non può bastare perché la Commissione sia obbligata ad escludere una prova in suo possesso.

73
Di conseguenza, anche se gli argomenti della Dalmine possono essere rilevanti per valutare la credibilità e, pertanto, il valore probatorio del documento «Sharing key», non c’è motivo di considerare quest’ultimo una prova irricevibile, da dichiarare inutilizzabile.

Sui verbali degli interrogatori degli ex dirigenti della Dalmine

    Argomenti delle parti

74
La Dalmine si oppone all’uso delle dichiarazioni che taluni suoi ex dirigenti hanno rilasciato al procuratore di Bergamo nell’ambito di un procedimento penale.

75
In primo luogo, la Commissione avrebbe gravemente pregiudicato i diritti della difesa non rivelando in tempo utile alla Dalmine la circostanza di disporre di dichiarazioni riservate. Dopo aver chiesto all’Autorità italiana garante della Concorrenza e del Mercato (in prosieguo: «l’Autorità garante») di trasmetterle tali documenti il 16 gennaio 1996, la Commissione avrebbe infatti aspettato tre anni prima di inoltrarli alla Dalmine, assieme alla CdA. Tenuta all’oscuro del potenziale utilizzo di tali documenti, la Dalmine lamenta di essere stata privata della possibilità di difendersi.

76
In secondo luogo, la Dalmine addebita alla Commissione di aver commesso una grave violazione delle norme di procedura utilizzando dichiarazioni rese nell’ambito di un procedimento penale totalmente estraneo all’indagine di cui era incaricata. La Commissione non potrebbe far valere tali dichiarazioni al di fuori del contesto giudiziario nel cui ambito sono state raccolte.

77
In udienza la Dalmine ha osservato al riguardo che, secondo la giurisprudenza della Corte, in particolare la sua sentenza 16 luglio 1992, causa C‑67/91, Asociación Española de Banca Privada e a., detta «Banche spagnole» (Racc. pag. I‑4785, punti 35 e segg.), il diritto al segreto d’ufficio e i diritti della difesa di un’impresa non sarebbero rispettati se l’autorità nazionale potesse utilizzare nell’ambito di un procedimento nazionale, come mezzi di prova contro questa impresa, informazioni acquisite nel corso di un accertamento condotto per un fine estraneo a quello del detto procedimento. Orbene, questo principio andrebbe applicato per analogia alla fattispecie presente, visto che la Commissione ha utilizzato elementi di prova assunti nel corso di un’indagine penale a livello nazionale.

78
In terzo luogo, il contesto in cui gli ex dirigenti, che intendevano difendersi dalle accuse di corruzione, hanno reso le dichiarazioni di cui trattasi metterebbe in discussione il valore probatorio delle medesime. In particolare, dichiarazioni relative all’esistenza di un’intesa illecita rese da persone non tenute nella situazione contingente a dire il vero, a differenza dei testimoni, non sarebbero né affidabili né fondate.

79
La Commissione respinge tali allegazioni.

80
Essa ricorda innanzi tutto di aver acquisito i verbali di cui trattasi in perfetta legalità, con l’accordo dell’Autorità garante e su espressa autorizzazione dei sostituti procuratori competenti (allegato 15 alla CdA, pag. 8220 ter 1, e allegato 1). A tale riguardo la Dalmine non indicherebbe alcuna norma giuridica che le attribuisca il diritto ad essere informata del fatto che la Commissione disponeva di quei verbali prima di emettere la CdA. In ogni caso, anche se esistesse un tale diritto, la sua violazione non pregiudicherebbe i diritti della difesa.

81
La Commissione ha fatto valere in udienza che i verbali delle dichiarazioni rese dagli ex dirigenti della Dalmine ad un procuratore italiano le sono stati trasmessi dall’Autorità garante, che li avrebbe ricevuti a sua volta dal Pubblico ministero. La loro trasmissione da parte delle autorità italiane sarebbe stata regolare e il loro utilizzo da parte della Commissione non sarebbe, dunque, affatto illegittimo.

82
Infine, secondo la Commissione, i verbali in questione contengono indizi che, incrociati con le notizie di cui essa aveva avuto altrimenti conoscenza, paiono probanti.

    Giudizio del Tribunale

83
Si osservi per prima cosa che, come ha giustamente rilevato la Commissione, la Dalmine non invoca nessuna norma giuridica che le attribuiva il diritto ad essere informata, prima di ricevere la CdA, del fatto che la Commissione disponeva dei verbali delle dichiarazioni rese da alcuni suoi ex dirigenti al procuratore di Bergamo. Bisogna considerare, invero, che la Commissione, allorché richiede informazioni alle imprese che suppone abbiano partecipato ad un’infrazione, non è minimamente tenuta a indicare loro quali elementi probatori siano già in suo possesso. Una tale comunicazione potrebbe eventualmente compromettere l’efficacia degli accertamenti della Commissione, perché permetterebbe alle imprese interessate di sapere quali informazioni le siano ormai note e, di conseguenza, quali possano esserle ancora nascoste.

84
Quanto all’argomento della Dalmine vertente su una pretesa violazione della procedura e fondato su un’analogia con la giurisprudenza della Corte, in particolare con la sentenza «Banche spagnole», cit. nel precedente punto 77, si osservi che la detta giurisprudenza concerne l’utilizzo da parte delle autorità nazionali di informazioni raccolte dalla Commissione in conformità all’art. 11 del regolamento n. 17. Questa situazione è disciplinata in maniera espressa dall’art. 20 del regolamento n. 17.

85
Ai termini dell’art. 20 del regolamento n. 17, nonché della giurisprudenza succitata, la legittimità della trasmissione da parte della Commissione di informazioni raccolte in conformità al regolamento n. 17 ad un’autorità nazionale e quella del divieto di uso diretto da parte di quest’ultima di tali informazioni come mezzi di prova hanno rilevanza giuscomunitaria.

86
Al contrario, la legittimità della trasmissione alla Commissione, da parte di un procuratore nazionale o delle autorità competenti in materia di concorrenza, di informazioni raccolte in conformità al diritto penale nazionale e del loro utilizzo ulteriore da parte della Commissione vanno valutate, in linea di principio, alla luce della normativa nazionale sullo svolgimento delle indagini ad opera delle dette autorità nonché, in caso di contenzioso giudiziario, della competenza dei giudici nazionali. Infatti, nell’ambito di un ricorso proposto ai sensi dell’art. 230 CE, il giudice comunitario non è competente a verificare la legittimità, rispetto al diritto di uno Stato membro, di un atto emanato da un’autorità nazionale (v., per analogia, sentenze della Corte 3 dicembre 1992, causa C‑97/91, Oleificio Borelli/Commissione, Racc. pag. I‑6313, punto 9, e del Tribunale 15 dicembre 1999, causa T‑22/97, Kesko/Commissione, Racc. pag. II‑3775, punto 83).

87
Nella fattispecie la Dalmine si limita ad osservare che l’oggetto dell’indagine nel cui ambito le dichiarazioni in questione sono state rese è diverso da quello dell’indagine condotta dalla Commissione. Dalla sua argomentazione non risulta che sia mai stata sottoposta ad un giudice italiano competente la questione della legittimità della trasmissione e dell’utilizzo a livello comunitario dei verbali in discorso. In ogni caso, essa non fornisce nemmeno elementi atti a dimostrare che tale utilizzo fosse contrario alle vigenti disposizioni del diritto italiano.

88
Si osservi, inoltre, che la giurisprudenza invocata dalla Dalmine si basa sulla necessità di proteggere i diritti della difesa e i segreti d’ufficio delle imprese che forniscono informazioni richieste dalla Commissione in conformità all’art. 11 del regolamento n. 17, nell’ambito di un accertamento specifico di cui esse conoscono le finalità (sentenza «Banche spagnole», cit. nel precedente punto 77, punti 36‑38). Orbene, nella fattispecie, i verbali controversi si riferiscono a dichiarazioni rese da ex dirigenti della Dalmine a titolo personale e non a nome di quest’ultima.

89
È giocoforza constatare che l’utilizzo da parte della Commissione di questi elementi probatori contro la Dalmine non può pregiudicare né i diritti della difesa né il diritto al segreto professionale, né tanto meno alla vita privata, degli autori di queste dichiarazioni in quanto essi non sono parti del presente procedimento.

90
Per il resto, gli argomenti della Dalmine sono diretti contro la credibilità e, pertanto, la forza probatoria delle testimonianze dei suoi direttori e non contro la ricevibilità di tali elementi nel presente procedimento. Ne discende che essi non rilevano nell’ambito del presente motivo.

91
Alla luce di quanto precede questo motivo dev’essere respinto.

Sulla legittimità della decisione di accertamento della Commissione 25 novembre 1994

Argomenti delle parti

92
La Dalmine contesta la legittimità della decisione della Commissione 25 novembre 1994, adottata ai sensi dell’art. 14, n. 3, del regolamento n. 17, di cui essa non è destinataria. Con tale decisione la Commissione avrebbe disposto accertamenti presso talune imprese in merito all’esistenza di intese vietate dall’art. 81 CE o dall’art. 53 dell’Accordo SEE. La Commissione avrebbe utilizzato contro la Dalmine alcuni documenti acquisiti durante gli accertamenti effettuati sulla base di questa decisione.

93
Il presente motivo si articola in due parti.

94
In primo luogo, la Dalmine sostiene che, con la decisione 25 novembre 1994, la Commissione ha illecitamente ampliato l’ambito dell’indagine alla quale l’Autorità di vigilanza AELS le ha chiesto di collaborare. Essa ricorda che, con lettera 17 novembre 1994, l’Autorità di vigilanza AELS ha chiesto alla Commissione di effettuare taluni accertamenti relativi a possibili violazioni dell’art. 56 dell’Accordo SEE nel settore dei tubi in acciaio utilizzati dall’industria petrolifera offshore in Norvegia. La Dalmine sottolinea che in tale richiesta non era fatta parola di violazioni delle norme comunitarie in materia di concorrenza.

95
La Dalmine fa valere che la Commissione doveva limitarsi ai termini della richiesta dell’Autorità di vigilanza AELS finché quest’ultima non avesse ritenuto, da una parte, che non sussistesse alcuna violazione dell’Accordo SEE e, dall’altra, che fosse possibile un pregiudizio al commercio intracomunitario. Il 25 novembre 1994 la Commissione avrebbe tuttavia deciso di estendere il suo accertamento all’esistenza di infrazioni all’art. 81 CE. La Dalmine sostiene che questa decisione costituisce una violazione dei diritti della difesa, un abuso di potere e una violazione delle regole di procedura enunciate all’art. 8, n. 3, del protocollo 23 dell’Accordo SEE.

96
In secondo luogo, la Dalmine contesta alla Commissione di non averle inviato la decisione 25 novembre 1994. Essa osserva che l’Autorità di vigilanza AELS, nella sua lettera del 17 novembre 1994, aveva informato la Commissione dei sospetti che nutriva sulla partecipazione della Dalmine ad un’intesa sul mercato norvegese. La Commissione avrebbe ciononostante omesso di includere la Dalmine tra le destinatarie della decisione 25 novembre 1994.

97
Orbene, tale omissione arrecherebbe pregiudizio ai suoi diritti della difesa. La ricorrente è del parere che la Commissione avrebbe dovuto avvertirla dell’eventuale illegittimità del suo comportamento già il 25 novembre 1994. Una persona su cui gravino sospetti avrebbe infatti il diritto ad esserne informata. La Commissione, pur avendo eseguito i primi accertamenti presso la Dalmine il 13 febbraio 1997, le avrebbe trasmesso taluni documenti in suo possesso sin dal dicembre 1994 solamente l’11 maggio 1999.

98
Una tale omissione sarebbe inoltre discriminatoria. La Dalmine sottolinea infatti che, se la Commissione le avesse inviato la decisione di accertamento 25 novembre 1994, anch’essa avrebbe potuto porre fine ai comportamenti contestati allo stesso modo delle destinatarie di tale decisione.

99
Di conseguenza, occorrerebbe annullare la decisione impugnata. In subordine, i documenti trasmessi dall’Autorità di vigilanza AELS alla Commissione dovrebbero essere dichiarati inutilizzabili e la legittimità della decisione impugnata valutata senza di essi. In ultimo, la Dalmine ritiene che la fine dell’infrazione debba essere fissata al 25 novembre 1994, data in cui la Commissione avrebbe dovuto informarla dell’esistenza di sospetti nei suoi confronti.

100
La Commissione respinge tali censure.

101
In primo luogo, essa respinge le allegazioni secondo cui i suoi poteri d’indagine sarebbero limitati dai termini del suo coinvolgimento da parte dell’Autorità di vigilanza AELS. Detta istituzione ricorda che può avviare d’ufficio indagini e sostiene, a fortiori, di poter agire d’ufficio allorché riceve informazioni dall’Autorità di vigilanza AELS. Quest’ultima non potrebbe bloccare o limitare tale potere. La Commissione, quando ha deciso di procedere all’indagine, non avrebbe potuto sapere se i risultati della stessa sarebbero stati rilevanti ai fini dell’art. 53 dell’Accordo SEE o dell’art. 81 CE, applicabili qualora un’intesa fra imprese pregiudichi il commercio intracomunitario.

102
In secondo luogo, la Commissione osserva che la Dalmine era in una situazione diversa da quella delle destinatarie della decisione 25 novembre 1994. Quando è emerso il suo coinvolgimento in un’intesa, la Commissione avrebbe deciso di effettuare accertamenti presso di essa e le avrebbe permesso la consultazione del fascicolo.

Giudizio del Tribunale

103
Per quanto riguarda l’argomento della Dalmine, che costituisce la prima parte del presente motivo, e vertente sul fatto che la Commissione avrebbe illecitamente esteso l’ambito dell’indagine alla quale l’Autorità di vigilanza AELS le chiedeva di collaborare, si deve ricordare anzitutto che, nel suo parere 10 aprile 1992 (1/92, Racc. pag. I‑2821), la Corte ha dichiarato che le disposizioni dell’Accordo SEE portate alla sua attenzione, in particolare l’art. 56 relativo alla ripartizione delle competenze in materia di concorrenza tra l’Autorità di vigilanza AELS e la Commissione, erano conformi al Trattato CE.

104
Per arrivare a questa conclusione in merito all’art. 56 dell’Accordo SEE la Corte ha rilevato, in particolare ai punti 40 e 41 del detto parere, che la competenza della Comunità a stipulare accordi internazionali nel settore della concorrenza comporta necessariamente la possibilità di accettare regole convenzionali sulla ripartizione delle rispettive competenze delle parti contraenti nel detto settore, purché tali regole non snaturino le competenze della Comunità e delle sue istituzioni quali concepite nel Trattato.

105
Discende dunque dal parere 1/92 che l’art. 56 dell’Accordo SEE non snatura le competenze della Comunità previste dal Trattato CE in materia di concorrenza.

106
A tale riguardo sia da una lettura dell’art. 56 dello stesso Accordo SEE che dalla descrizione particolareggiata di questa disposizione contenuta nell’introduzione del parere 1/92, nella parte intitolata «Riassunto della richiesta della Commissione», emerge che tutte le controversie di rilevanza comunitaria in materia di concorrenza anteriori all’entrata in vigore dell’Accordo SEE restano soggette alla competenza esclusiva della Commissione una volta entrato in vigore. Infatti, tutte le controversie in cui il commercio tra gli Stati membri della Comunità europea è pregiudicato restano di competenza della Commissione, indipendentemente dal fatto che vi sia o meno anche un pregiudizio al commercio tra la Comunità e gli Stati AELS e/o tra gli stessi Stati AELS.

107
Alla luce di quanto precede è giocoforza constatare che le disposizioni dell’Accordo SEE non possono essere interpretate in maniera da privare la Commissione, anche solo in via provvisoria, della sua competenza ad applicare l’art. 81 CE ad un accordo anticoncorrenziale pregiudizievole per il commercio fra Stati comunitari.

108
Orbene, si deve osservare nella fattispecie che la Commissione, nella sua decisione 25 novembre 1994, con cui ha aperto un’indagine nel settore dei tubi di acciaio, ha invocato come fondamento normativo, in particolare, l’art. 81 CE e il regolamento n. 17. Nell’ambito della detta indagine essa ha esercitato i poteri riconosciutile dal regolamento n. 17 per raccogliere le prove addotte nella decisione impugnata e, infine, ha sanzionato agli artt. 1 e 2 della detta decisione gli accordi costitutivi dell’infrazione esclusivamente ex art. 81 CE.

109
Ne deriva che la prima parte del presente motivo va respinta.

110
In merito alla seconda parte del presente motivo, si deve constatare che l’ordinamento comunitario non riconosce alcun diritto ad essere informati dello stato di un procedimento amministrativo prima che venga formalmente emessa una comunicazione degli addebiti. La posizione della Dalmine, se dovesse essere accolta, sfocerebbe nella creazione di un diritto ad essere informati di un’indagine laddove esistono sospetti su un’impresa, il che potrebbe gravemente compromettere i lavori della Commissione.

111
Quanto all’argomento vertente su un’asserita discriminazione, per il fatto che la Dalmine non avrebbe avuto occasione di porre fine alle infrazioni addebitatele in tempo utile, si deve osservare, a proposito dell’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata, che la Commissione ne ha constatato l’esistenza solo fino al 1° gennaio 1995 (v. infra, punti 317 e segg., e sentenze del Tribunale in data odierna, cause riunite T‑67/00, T‑68/00, T‑71/00 e T‑78/00, JFE Engineering e a./Commissione, e causa T‑44/00, Mannesmannröhren-Werke/Commissione, non ancora pubblicata nella Raccolta). Ora, dato che il 1° e il 2 dicembre 1994 sono stati eseguiti accertamenti presso le sedi delle destinatarie della decisione 25 novembre 1994 (v. punto 1 della decisione impugnata), è giocoforza constatare che la Dalmine sarebbe stata informata dell’indagine solamente un mese prima della fine dell’infrazione addebitatale o addirittura ad infrazione cessata, se ci si attiene alla durata dell’infrazione constatata nelle sentenze succitate.

112
In tali circostanze la Dalmine, anche ammettendo che avesse deciso immediatamente di porre termine al suo comportamento, non avrebbe potuto far cessare gli effetti anticoncorrenziali dell’accordo di ripartizione dei mercati prima della fine dell’infrazione e, pertanto, ridurre la durata di quest’ultima. Di conseguenza, riguardo all’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata, la sua argomentazione è inconferente.

113
In merito all’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata, è sufficiente osservare che la Dalmine e la Vallourec hanno sospeso l’applicazione del loro contratto di fornitura solo dopo aver ricevuto la CdA nel gennaio 1999, laddove il primo accertamento nei locali della Dalmine è stato effettuato nel mese di febbraio 1997. Non c’è allora ragione di supporre che la Dalmine, che non si è adoperata per porre termine al comportamento costitutivo dell’infrazione in oggetto nel febbraio 1997, si sarebbe attivata in tal senso a seguito di un eventuale accertamento nel dicembre 1994.

114
Da quanto precede risulta che il presente motivo va complessivamente respinto.

Sulla consultazione del fascicolo

Argomenti delle parti

115
La Dalmine sostiene di non aver potuto consultare l’intero fascicolo. La Commissione le avrebbe impedito, nonostante la sua richiesta, di prendere conoscenza dei documenti trasmessi dall’Autorità di vigilanza AELS. La Commissione avrebbe addotto il pretesto del carattere interno di tali documenti, senza nessun’altra spiegazione o esame del loro contenuto e, in particolare, senza distinguere tra i documenti contenenti valutazioni della stessa Autorità di vigilanza AELS e quelli semplicemente raccolti da quest’ultima, in conformità alla nota a piè di pagina n. 19 della comunicazione relativa all’accesso al fascicolo. La Dalmine ritiene perciò di essere stata privata della possibilità di visionare alcuni documenti a carico eventualmente contenuti nel fascicolo dell’Autorità di vigilanza AELS.

116
La Dalmine contesta peraltro alla Commissione di non averle indicato, per l’intero fascicolo, i documenti ottenuti durante gli accertamenti disposti con la decisione 25 novembre 1994, pur trattandosi di documenti a suo carico (punto 53 della decisione impugnata).

117
In risposta a tali censure la Commissione ribatte che, durante il procedimento amministrativo, essa non è tenuta a comunicare alle imprese documenti che non figurano nel suo fascicolo istruttorio e che non ha intenzione di usare a carico degli interessati nella sua decisione definitiva (sentenza «Cemento», cit. nel precedente punto 44, punto 383). Essa ricorda di non essere tenuta neppure a permettere la consultazione dei documenti interni durante il procedimento amministrativo.

Giudizio del Tribunale

118
Il punto II A 2 della comunicazione relativa all’accesso al fascicolo recita come segue:

«Per ragioni di semplificazione e di efficienza amministrativa, i documenti interni saranno d’ora in avanti repertoriati nella raccolta dei documenti interni relativi alla pratica oggetto dell’istruzione (non accessibile), contenente tutti i documenti interni in ordine cronologico. Tale classificazione avverrà sotto il controllo del consigliere‑uditore il quale, se necessario, può certificare la natura di “documenti interni” delle informazioni ivi raccolte.

Costituiscono, per esempio, documenti interni:

(…)

c)      la corrispondenza su una determinata pratica, intercorsa con altre autorità pubbliche 19;

(…)».

119
La nota a piè di pagina n. 19 della comunicazione relativa all’accesso al fascicolo, invocata dalla Dalmine, precisa:

«È necessario tutelare la riservatezza dei documenti provenienti dalle autorità pubbliche. Tale regola vale non solo per i documenti delle autorità competenti in materia di concorrenza, ma anche per quelli di altre autorità pubbliche, di uno Stato membro o di un paese terzo. (…) Occorre tuttavia distinguere le valutazioni od osservazioni formulate da queste altre autorità pubbliche, per le quali vige una tutela assoluta, dalle informazioni concrete che esse abbiano potuto fornire, che non sempre sono coperte dalla deroga. (…)».

120
Si deve osservare che dal punto II A 2 della comunicazione relativa all’accesso al fascicolo risulta che il controllo esercitato dal consigliere-uditore per verificare la natura interna dei documenti contenuti nel fascicolo non è una fase sistematica del procedimento amministrativo. Infatti, dato che ai sensi del detto punto il consigliere-uditore «può» effettuare una verifica siffatta «se necessario», si deve concludere che, nel caso in cui la classificazione di alcuni documenti come «interni» non sia messa in discussione, il suo intervento non sarà necessario. Spettava peraltro alla Dalmine chiedere al consigliere-uditore di verificare il carattere interno dei documenti comunicati alla Commissione dall’Autorità di vigilanza AELS e qualificati come interni.

121
In risposta a un quesito scritto del Tribunale concernente la produzione dell’intera corrispondenza tra la Commissione e la Dalmine relativamente alla consultazione dei documenti interni, le due parti hanno prodotto una lettera della Dalmine del 7 giugno 1999, in cui la Dalmine ha sostenuto, in particolare, che non era in condizione di identificare i documenti raccolti dall’Autorità di vigilanza AELS e poi inviati da quest’ultima alla Commissione. Essa ha chiesto alla Commissione di comunicarle tali elementi probatori per accedere così all’intero fascicolo relativo al suo caso. La Dalmine non ha però chiesto, nella lettera del 7 giugno 1999, che il consigliere-uditore certificasse l’eventuale carattere interno dei documenti così comunicati alla Commissione.

122
La Commissione ha poi prodotto una lettera, inviata alla Dalmine l’11 maggio 1999, con cui la informava della decisione adottata dall’Autorità di vigilanza AELS il 25 novembre 1994 di richiedere alla Commissione di effettuare accertamenti sul territorio comunitario, conformemente all’art. 8, n. 3, del protocollo n. 23 dell’Accordo SEE, nonché delle decisioni prese dalla Commissione, di procedere effettivamente a verifiche ai sensi dell’art. 14, n. 3, del regolamento n. 17.

123
In risposta ad un altro quesito del Tribunale, la Commissione ha precisato che i documenti che ha ricevuto dall’Autorità di vigilanza AELS sono stati acquisiti al fascicolo amministrativo e figurano alle pagg. 1‑350 di quest’ultimo, sotto la voce «documenti interni NA». Orbene, è pacifico che la Dalmine, come le altre destinatarie della CdA, ha potuto prendere visione del fascicolo amministrativo della Commissione tra l’11 febbraio e il 20 aprile 1999. Essa ha perciò potuto constatare che esistevano 350 pagine di documenti interni ai quali la Commissione le rifiutava l’accesso, cosicché il fatto di non aver richiesto la verifica del loro carattere interno non può essere imputato all’ignoranza della loro esistenza.

124
Al riguardo la circostanza che si tratti di documenti dell’Autorità di vigilanza AELS poi trasmessi alla Commissione e non di documenti interni di quest’ultima, come la Dalmine ha potuto supporre prima di ricevere la lettera dell’11 maggio 1999, è irrilevante nell’ambito dell’esame del presente motivo. Dai termini della nota a piè di pagina n. 19 della comunicazione relativa all’accesso al fascicolo si ricava, infatti, che ai documenti interni delle altre autorità pubbliche, comunitarie o non, dev’essere assicurata la stessa protezione riservata ai documenti interni della Commissione.

125
In ogni caso occorre notare che il Tribunale ha chiesto alla Commissione, nell’ambito di una misura di organizzazione del procedimento, di presentare un elenco del contenuto delle pagg. 1-350 del suo fascicolo amministrativo. Ora, da tale elenco risulta che tutti i documenti in causa sono incontestabilmente documenti interni, ragion per cui la mancata verifica da parte del consigliere-uditore non ha comunque potuto intaccare la capacità di difendersi della Dalmine né, pertanto, violare i suoi diritti di difesa.

126
Infine, quanto alla censura della Dalmine secondo cui le era impossibile identificare i documenti a carico conseguiti grazie agli accertamenti, è sufficiente ricordare che la Dalmine ha potuto visionare l’intero fascicolo amministrativo. Siccome la legittimità degli accertamenti non può più essere messa in dubbio (v. supra, punti 103-114), la presente difficoltà evocata dalla Dalmine, quand’anche reale, non ha potuto incidere sui suoi diritti di difesa. Del resto, prescindendo dalla questione della legittimità dell’acquisizione dei documenti in causa, la Dalmine non ha indicato in che modo il metodo di conseguimento degli stessi avrebbe potuto pregiudicare i suoi diritti.

127
Alla luce di quanto precede il presente motivo dev’essere respinto.

2.  Sui motivi di merito

Sui motivi ultronei della decisione impugnata

Argomenti delle parti

128
La Dalmine contesta la scelta operata dalla Commissione di aver menzionato, nella decisione impugnata, taluni fatti che, anche se estranei alle infrazioni in parola, possono arrecarle pregiudizio. Essa ricorda che le constatazioni sulle intese relative ai mercati extracomunitari nonché alla fissazione dei prezzi (punti 54-61, 70-77, 121 e 122 della decisione impugnata) non sono state ritenute integrare infrazioni ai sensi degli artt. 1 e 2 della decisione impugnata. Tali motivi sarebbero dunque superflui ai fini della decisione impugnata. La Dalmine teme che queste constatazioni possano essere utilizzate da imprese terze a fondamento di azioni di risarcimento danni.

129
La Dalmine fa notare di aver chiesto alla Commissione, nella risposta alla CdA e in udienza, di omettere nella decisione impugnata qualsiasi riferimento ad elementi di fatto diversi da quelli integranti le infrazioni constatate. Con tale domanda essa avrebbe inteso difendersi da pretese di terzi. La Commissione non le avrebbe risposto.

130
A sostegno di tali censure la Dalmine invoca il rispetto del segreto professionale, sancito dall’art. 287 CE nonché dall’art. 20, n. 2, del regolamento n. 17, che impone alla Commissione l’obbligo di un vero e proprio «segreto d’ufficio» (v. conclusioni dell’avvocato generale Lenz presentate nella causa 53/85, AKZO Chemie/Commissione, decisa con sentenza della Corte 24 giugno 1986, Racc. pag. 1965, in particolare pagg. 1966 e 1977).

131
La Dalmine sottolinea, inoltre, che la Commissione è tenuta a pubblicare solo il «contenuto essenziale della decisione» e «deve tener conto dell’interesse delle imprese a che non vengano divulgati i segreti relativi ai loro affari» (art. 21, n. 2, regolamento n. 17). A suo avviso, oltre al dispositivo, fanno parte del contenuto «essenziale» di una decisione in materia di concorrenza i motivi principali su cui si è basata la Commissione. Andrebbero invece escluse le affermazioni irrilevanti per la constatazione delle violazioni dell’art. 81, n. 1, CE. La Dalmine chiede al Tribunale di annullare le constatazioni irrilevanti e di trarne le opportune conseguenze quanto alla validità della decisione impugnata.

132
La Commissione precisa che, alla data del deposito del controricorso, essa stava ancora esaminando le domande di trattamento riservato di certi dati contenuti nella decisione impugnata in vista della successiva pubblicazione di quest’ultima nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee. La Dalmine avrebbe avuto, così, la facoltà di chiedere che determinati passaggi della detta decisione non fossero pubblicati.

133
La Commissione smentisce che la decisione impugnata contenga informazioni la cui pubblicazione potrebbe esporre la Dalmine ad azioni di risarcimento danni da parte di terzi. La circostanza che talune pratiche non siano state ritenute elementi costitutivi della violazione dell’art. 81, n. 1, CE non può essere pregiudizievole per la ricorrente.

Giudizio del Tribunale

134
È sufficiente constatare che nessuna norma di diritto permette al destinatario di una decisione di contestare, nell’ambito di un ricorso di annullamento ai sensi dell’art. 230 CE, determinati motivi di quest’ultima, a meno che tali motivi non producano effetti giuridici obbligatori atti a pregiudicare i suoi interessi (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 22 marzo 2000, cause riunite T‑125/97 e T‑127/97, Coca Cola/Commissione, Racc. pag. II‑1733, punti 77 e 80-85). In linea di principio i motivi di una decisione non sono idonei a produrre effetti del genere. Nella fattispecie la ricorrente non ha dimostrato in qual modo i motivi impugnati siano idonei a produrre effetti che modifichino la sua situazione giuridica.

135
Ne discende che il presente motivo non può essere accolto.

Sull’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata (club Europa‑Giappone)

136
La Dalmine non discute l’esistenza di un accordo fra le destinatarie della decisione impugnata, ma obietta che esso non concerneva i mercati interni comunitari, per cui non rientra nel divieto enunciato all’art. 81, n. 1, CE. Essa muove al riguardo due censure.

Sui motivi attinenti all’analisi del mercato rilevante e del comportamento su quest’ultimo delle destinatarie della decisione impugnata

    Argomenti delle parti

137
La Dalmine ritiene che la decisione impugnata non soddisfi il requisito di motivazione sancito dall’art. 253 CE e sia viziata da un errore nell’applicazione dell’art. 81 CE. In particolare, in mancanza di un’analisi approfondita del mercato rilevante, la Commissione non sarebbe stata in grado di valutare se le condizioni di applicazione dell’art. 81, n. 1, CE fossero soddisfatte, per cui avrebbe violato questa disposizione.

138
La Dalmine si oppone alle constatazioni relative all’esistenza di una mutua protezione dei rispettivi mercati nazionali da parte dei produttori di tubi senza saldatura. Essa ricorda che le infrazioni addebitate riguardano solo due tipi di prodotti: gli OCTG standard e i linepipe «project». Orbene, la Commissione non avrebbe menzionato dati relativi a tali prodotti per verificare se esistessero le condizioni di applicazione dell’art. 81, n. 1, CE riguardo alla sussistenza di una restrizione della concorrenza e ad un pregiudizio del commercio intracomunitario. In realtà, essa si sarebbe basata su dati relativi ad un insieme molto più vasto di prodotti (v., per esempio, gli allegati 1, 3, e 4 alla decisione impugnata). La Commissione sarebbe così arrivata alla conclusione che i produttori nazionali di tubi in acciaio ricoprivano ciascuno sul proprio mercato una posizione economica preponderante.

139
La Dalmine asserisce che se la Commissione si fosse limitata all’esame della situazione sul mercato dei prodotti interessati essa sarebbe giunta ad una conclusione completamente diversa. La ricorrente venderebbe, infatti, solo un quantitativo irrisorio di tubi OCTG standard sul mercato italiano, contrariamente a quello che potrebbe suggerire la tabella al punto 68 della decisione impugnata, mentre quantitativi ben più importanti vi sarebbero stati venduti da altri produttori destinatari della decisione impugnata. La ricorrente insiste sulla circostanza che il fenomeno di predominanza denunciato dalla Commissione vale solo per la vendita di tubi «premium» alle compagnie petrolifere nazionali.

140
La ricorrente ricorda che le dichiarazioni del sig. Biasizzo non sono elementi a carico affidabili per le ragioni prima esposte al punto 78. Esse, peraltro, avrebbero potuto riferirsi solo alle vendite di tubi OCTG, dato che all’epoca dell’infrazione i linepipe non erano oggetto delle sue attività commerciali. Poiché la maggior parte dei tubi OCTG venduti alla società Agip erano prodotti «premium», le dette dichiarazioni riguarderebbero solo una piccola percentuale delle vendite di uno dei prodotti in questione. Esse sarebbero peraltro in contraddizione con i dati riportati negli allegati alla decisione impugnata.

141
Per quanto riguarda le vendite di linepipe «project» sul mercato italiano, la Dalmine sostiene di vantare una posizione piuttosto forte rispetto alle sue concorrenti destinatarie della decisione impugnata. I linepipe «project» rappresenterebbero, nondimeno, solo una piccola parte dei linepipe venduti sul mercato italiano. La Dalmine ricorda peraltro di aver venduto durante il periodo di cui trattasi quantitativi considerevoli di linepipe «project» sul mercato britannico e, in proporzioni minori, in Germania e in Francia. Essa rimprovera poi alla Commissione di non aver considerato che per taluni usi i tubi di acciaio saldati possono sostituirsi ai linepipe «project». Infine, le importazioni di tubi OCTG e di linepipe da paesi terzi diversi dal Giappone avrebbero ridotto notevolmente il peso economico della Dalmine sul mercato italiano di tali prodotti.

142
La Commissione replica di aver valutato l’incidenza dell’intesa controversa a livello comunitario.

143
La tabella riportata al punto 68 della decisione impugnata indicherebbe che la ripartizione dei mercati nazionali veniva rispettata per i prodotti di cui trattasi. Tali dati sarebbero confermati dalle dichiarazioni della Vallourec e dei dirigenti della Dalmine dinanzi al procuratore di Bergamo. Quanto a questi ultimi, la Commissione respinge le critiche della ricorrente sull’inaffidabilità delle dichiarazioni del sig. Biasizzo.

144
In merito alla situazione del mercato italiano, la Commissione ricorda che le vendite annuali di tubi OCTG standard e di linepipe «project» effettuate dalla Dalmine tra il 1990 e il 1995 hanno raggiunto una media di 13 506 tonnellate all’anno (risposta della Dalmine ad un quesito della Commissione ai sensi dell’art. 11 del regolamento n. 17). Durante lo stesso periodo il totale delle vendite su tale mercato da parte delle otto imprese parti dell’accordo avrebbe raggiunto le 14 869 tonnellate (v. allegato 2 alla decisione impugnata, sommando il volume dei tubi OCTG filettati standard forniti in Italia, pari a 1 514 tonnellate, a quello dei linepipe «project» ugualmente forniti in Italia, pari a 13 355 tonnellate). Ne conseguirebbe che la Dalmine deteneva nel periodo considerato il 91% del mercato italiano dei prodotti in questione.

    Giudizio del Tribunale

145
Per quanto riguarda l’asserita violazione dell’art. 253 CE, è giurisprudenza costante che l’obbligo di motivazione dev’essere valutato alla luce delle circostanze di specie, in particolare del contenuto dell’atto, della natura dei motivi invocati e dell’interesse che i destinatari o altre persone toccate direttamente e individualmente dall’atto possano avere a ricevere spiegazioni (v., per esempio, sentenze della Corte 29 febbraio 1996, causa C‑56/93, Belgio/Commissione, Racc. pag. I‑723, punto 86, e 2 aprile 1998, causa C‑367/95 P, Commissione/Sytraval e Brink’s France, Racc. pag. I‑1719, punto 63). È sufficiente, infatti, che nelle sue decisioni la Commissione esponga i fatti e le considerazioni giuridiche di primaria importanza a sostegno delle rispettive motivazioni (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 17 luglio 1998, causa T‑111/96, ITT Promedia/Commissione, Racc. pag. I‑2937, punto 131).

146
Va tenuto presente, alla luce della giurisprudenza citata al punto precedente, che censure vertenti sulla ultroneità dei motivi di una decisione della Commissione devono essere subito respinte come inconferenti, poiché non possono comportare l’annullamento di tale atto (v., per analogia, sentenza della Corte 8 maggio 2003, causa C‑122/01 P, T. Port/Commissione, Racc. pag. I‑4261, punto 17; v. anche, supra, punto 136).

147
Occorre ricordare a tale riguardo che la Commissione non è tenuta a dimostrare l’esistenza di un effetto pregiudizievole sulla concorrenza per provare una violazione dell’art. 81 CE, allorché ha dimostrato l’esistenza di un accordo o di una pratica concordata finalizzati al restringimento della concorrenza (sentenze del Tribunale 6 aprile 1995, causa T‑143/89, Ferriere Nord/Commissione, Racc. pag. II‑917, punti 30 e segg., e 11 marzo 1999, causa T‑141/94, Thyssen Stahl/Commissione, Racc. pag. II‑347, punto 277).

148
Orbene, si deve rilevare che nella fattispecie la Commissione si è basata, a titolo principale, sull’oggetto anticoncorrenziale dell’accordo di ripartizione dei mercati, fra cui i mercati tedesco, britannico, francese e italiano, per constatare l’esistenza dell’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata, e che invoca elementi probatori documentali in tal senso (v., in particolare, punti 62‑67 della decisione impugnata, nonché sentenza JFE Engineering e a./Commissione, cit. nel precedente punto 111, punti 173-337).

149
Ne consegue che il punto 68 della decisione impugnata, relativo agli effetti del detto accordo, è un motivo alternativo e pertanto superfluo nella logica generale della parte motiva della decisione impugnata, dedicata all’esistenza dell’infrazione accertata al suo art. 1. Così, anche supponendo che la Dalmine possa dimostrare l’insufficienza di questa motivazione alternativa, non vi sarebbe motivo di annullare l’art. 1 della decisione impugnata, ove l’oggetto anticoncorrenziale sia adeguatamente dimostrato nella presente controversia (v. punto 152 della presente motivazione). Di conseguenza, il motivo vertente su una carenza di motivazione in merito è inconferente e dev’essere quindi respinto.

150
Peraltro, riguardo al fatto che la Dalmine afferma che le circostanze constatate nella decisione impugnata non costituiscono un’infrazione all’art. 81 CE, occorre osservare che gli argomenti dedotti a sostegno di tale censura si riferiscono essenzialmente alla pretesa inefficacia de facto dell’accordo sanzionato, in quanto quest’ultimo concerne specificamente i tubi OCTG standard ed i linepipe «project».

151
Quindi, di nuovo, dato che la Commissione non è tenuta a dimostrare l’esistenza di un effetto pregiudizievole sulla concorrenza per provare una violazione dell’art. 81 CE, una volta che ha dimostrato l’esistenza di un accordo finalizzato al restringimento della concorrenza (v. supra, punto 147, e giurisprudenza ivi citata) e si è fondata a titolo principale sull’oggetto anticoncorrenziale dell’accordo di ripartizione dei mercati, gli argomenti della Dalmine relativi agli effetti dell’accordo sono irrilevanti nel presente contesto.

152
Però, la Dalmine ha messo in discussione anche il valore probatorio delle dichiarazioni del sig. Biasizzo, osservando, in particolare, che il loro autore era incaricato soprattutto delle vendite di tubi OCTG e non di linepipe «project». È sufficiente constatare a tale proposito che la Commissione si è basata nella decisione impugnata su tutta una serie di prove relative all’oggetto dell’accordo denunciato delle quali la Dalmine non nega la rilevanza, in particolare sulle dichiarazioni succinte ma esplicite del sig. Verluca, e non soltanto sull’elemento di cui la Dalmine contesta il valore probatorio. Così, queste critiche, quand’anche fondate, non possono condurre di per sé all’annullamento della decisione impugnata.

153
In ogni caso occorre rilevare che la deposizione del sig. Biasizzo è corroborata dalle deposizioni rese dai suoi colleghi, acquisite al fascicolo della Commissione ed invocate da quest’ultima dinanzi al Tribunale, ma non citate nella decisione impugnata. In particolare, dalla deposizione del sig. Jachia del 5 giugno 1995, citata a pagina 8220 ter S6 del fascicolo della Commissione, dalla quale risulta che esisteva un accordo «a rispettare le aree di pertinenza dei diversi operatori», e da quella del sig. Ciocca dell’8 giugno 1995, citata a pag. 8220 ter S3 del fascicolo della Commissione, secondo cui «opera[va] a livello mondiale un cartello di produttori di tubi».

154
Inoltre, senza bisogno di conciliare le parti quanto al periodo preciso nel quale il sig. Biasizzo è stato responsabile delle vendite dei due prodotti considerati nella decisione impugnata, è pacifico nella fattispecie che egli è stato responsabile delle vendite di tubi OCTG della Dalmine per buona parte del periodo di durata dell’infrazione e delle vendite dei linepipe «project» almeno per svariati mesi dello stesso, cosicché aveva conoscenza diretta dei fatti che descriveva.

155
Si deve concludere in proposito che la deposizione del sig. Biasizzo è affidabile, specie quando corrobora le dichiarazioni del sig. Verluca quanto all’esistenza dell’accordo di ripartizione dei mercati interni da questo descritto (v. al riguardo sentenza JFE Engineering e a./Commissione, cit. nel precedente punto 111, punti 309 e segg.).

156
Infine, riguardo al fatto che la Dalmine mette in discussione l’impatto dell’accordo di ripartizione dei mercati, sanzionato all’art. 1 della decisione impugnata, sugli scambi commerciali tra Stati membri, si deve ricordare che, perché pregiudichino il commercio infracomunitario, una decisione, un accordo o una pratica concordata devono permettere di ritenere con un sufficiente grado di probabilità, sulla base di un insieme di elementi di fatto e di diritto, che essi possano esercitare un’influenza diretta o indiretta, effettiva o potenziale, sui flussi commerciali tra Stati membri (sentenza del Tribunale 28 febbraio 2002, causa T‑395/94, Atlantic Container Line e a./Commissione, Racc. pag. II‑875, punti 79 e 90). Ne consegue che la Commissione non ha bisogno di dimostrare l’esistenza reale di un tale pregiudizio al commercio (sentenza Atlantic Container Line e a./Commissione, cit., punto 90); importa piuttosto che questa influenza effettiva o potenziale non sia insignificante (sentenza della Corte 25 ottobre 2001, causa C‑475/99, Ambulanz Glöckner, Racc. pag. II‑8089, punto 48).

157
Orbene, un accordo avente ad oggetto la ripartizione dei mercati nazionali della Comunità, quale quello sanzionato all’art. 1 della decisione impugnata, ha necessariamente come effetto potenziale – e reale qualora venga attuato – di ridurre il volume degli scambi intracomunitari. Appare chiaro, allora, che questa condizione era soddisfatta nel caso dell’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata.

158
Alla luce di quanto precede vanno complessivamente respinti i motivi e gli argomenti dedotti dalla Dalmine attinenti all’analisi del mercato interessato dall’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata.

Sulla partecipazione della Dalmine all’infrazione

    Argomenti delle parti

159
La Dalmine fa valere che la sua partecipazione all’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata non ha avuto un effetto percettibile sulla concorrenza. Tenuto conto della sua posizione modesta sul mercato italiano degli OCTG standard e dei linepipe «project», la ricorrente fa valere che essa non poteva svolgere il ruolo di capofila dei produttori di tubi in acciaio senza saldatura. Essa sottolinea, peraltro, che non aveva rispettato i termini dell’intesa in parola e che era considerata indisciplinata dagli altri produttori. Tenuto conto delle caratteristiche del mercato e dell’assenza di meccanismi sanzionatori volti a garantire il rispetto dell’intesa, quest’ultima non avrebbe arrecato pregiudizio agli interessi dei concorrenti o dei clienti delle destinatarie della decisione impugnata. La Dalmine addebita alla Commissione di aver negletto tali circostanze e di non aver differenziato la sua situazione da quella delle altre imprese destinatarie della decisione impugnata.

160
Secondo la Commissione la tesi della Dalmine è priva di fondamento. Per determinare se alcune imprese hanno violato l’art. 81, n. 1, CE, sarebbe rilevante solo verificare se il loro comportamento sul mercato sia il risultato di un concorso di volontà.

    Giudizio del Tribunale

161
Si deve osservare nuovamente che la Commissione ha tenuto conto dell’oggetto restrittivo dell’accordo di ripartizione dei mercati al quale la Dalmine ha partecipato, di modo che l’eventuale mancanza di prove degli effetti anticoncorrenziali del comportamento individuale di quest’ultima è ininfluente sull’accertamento in capo ad essa dell’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata (v., in tal senso, sentenza «Cemento», cit. nel precedente punto 44, punti 1085-1088, nonché punto 145 della presente motivazione e giurisprudenza ivi citata). La Commissione ha inoltre invocato a titolo principale prove scritte, in particolare ai punti 62-67 della decisione impugnata, per dimostrare che la Dalmine ha partecipato alla detta infrazione (v., anche, il precedente punto 152).

162
Quanto al fatto che la Dalmine pretende di aver conservato in concreto la sua libertà di azione, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, si può ritenere che un’impresa che partecipi a riunioni tra imprese aventi un oggetto anticoncorrenziale senza prendere pubblicamente le distanze dal loro oggetto, inducendo così gli altri partecipanti a credere che essa approvi l’intesa risultante da tali riunioni, partecipi all’intesa in questione (sentenze del Tribunale 17 dicembre 1991, causa T‑7/89, Hercules Chemicals/Commissione, Racc. pag. II‑1711, punto 232; 10 marzo 1992, causa T‑12/89, Solvay/Commissione, Racc. pag. II‑907, punto 98; 6 aprile 1995, causa T‑141/89, Tréfileurope/Commissione, Racc. pag. II‑791, punti 85 e 86, e «Cemento», cit. nel precedente punto 44, punto 1353).

163
Da quanto precede risulta che il presente motivo non può essere accolto. Di conseguenza, la domanda di annullamento dell’art. 1 della decisione impugnata va disattesa.

Sull’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata

Sulle clausole del contratto di fornitura concluso tra la Corus e la Dalmine

    Argomenti delle parti

164
La Dalmine respinge le valutazioni della Commissione concernenti l’illiceità di alcune clausole del contratto di fornitura concluso con la Corus. Al punto 153 della decisione impugnata la Commissione sembrerebbe aver sostenuto che, quand’anche i contratti di fornitura della Corus non fossero misure di esecuzione dei «fundamentals», concernenti la protezione dei mercati nazionali, conclusi nell’ambito del club Europa-Giappone, alcune loro disposizioni sarebbero comunque vietate dall’art. 81, n. 1, CE.

165
In primo luogo, essa contesta la valutazione giuridica riservata alle clausole relative alla determinazione dei quantitativi di merci vendute alla Corus.

166
Al punto 153 della decisione impugnata la Commissione affermerebbe che, «definendo i quantitativi [di tubi lisci] da fornire a [Corus] in termini di percentuale invece che di quantità fisse, Vallourec, [Mannesmann] e Dalmine si impegnavano in favore di un concorrente a fornire quantitativi non conosciuti in anticipo», circostanza negata dalla ricorrente.

167
La Dalmine osserva che, poiché il fabbisogno della Corus fluttuava in modo imprevedibile in funzione delle variazioni della domanda, quest’ultima impresa non poteva assumersi il rischio di impegnarsi per un periodo di cinque anni ad acquistare un quantitativo annuo fisso di tubi lisci.

168
La Dalmine smentisce, peraltro, di essersi impegnata a fornire alla Corus quantitativi indeterminati di tubi lisci. La clausola 4 del contratto di fornitura preciserebbe, infatti, in che modo le parti decidessero tali quantitativi, stabilendo quanto segue:

«Per ogni domanda particolare relativa al mese di calendario, [la Corus] confermerà ogni mese il tonnellaggio chiesto con tre mesi d’anticipo (per esempio confermerà a fine gennaio il tonnellaggio di aprile). [La Corus] preciserà quindi i particolari dell’ordine del tonnellaggio mensile con due mesi d’anticipo (per esempio, essa confermerà a fine febbraio i particolari dell’ordine di aprile). Le modifiche riguardanti i particolari dell’ordine verranno accettate dalla Dalmine fino a 10 giorni prima del mese di calendario di fabbricazione. Potranno essere effettuate ulteriori modifiche dopo la scadenza di tale termine solo su accordo scritto tra le parti».

169
Questa clausola prevederebbe, ancora, che:

«Riunioni formali sui collegamenti operativi e tecnici avranno luogo ogni mese tra la [Corus] e la Dalmine per assicurare forniture regolari, e per stabilire un programma previsionale di forniture (almeno con tre mesi d’anticipo)».

170
La Dalmine nega così di aver rinunciato ad approfittare di un eventuale aumento della domanda di tubi filettati in cambio dell’attribuzione di una quota di fornitura di tubi lisci alla Corus.

171
Anzitutto, il mercato dei tubi filettati le sarebbe precluso poiché, da una parte, la tecnica delle giunzioni VAM è controllata dalla Vallourec e, dall’altra, la sua produzione di tubi filettati standard è minima. La Dalmine sostiene perciò che non le si poteva rimproverare di non fare concorrenza alla Corus sul mercato britannico dei tubi filettati «premium», mercato dal quale essa è comunque assente.

172
La Dalmine respinge poi l’affermazione figurante al punto 153 della decisione impugnata secondo cui essa non si sarebbe impegnata a fianco della Mannesmann a fornire quantitativi indeterminati di tubi lisci alla Corus se, d’altro canto, non avesse beneficiato della garanzia che quest’ultima non ne avrebbe approfittato per aumentare la sua quota di mercato per i tubi filettati. Tale garanzia, secondo la decisione impugnata, avrebbe assunto la forma di una facoltà di risoluzione riconosciuta alla ricorrente in caso di perdite contabili [v. clausola 9, lett. c), del contratto di fornitura tra la Dalmine e la Corus]. La Dalmine contesta tale interpretazione. La clausola di risoluzione non riguarderebbe l’ipotesi di perdite dovute all’impossibilità di approfittare direttamente di un aumento della domanda di tubi filettati. Essa riguarderebbe, al contrario, l’ipotesi di perdite derivanti da una diminuzione prolungata della domanda di tali prodotti e, di conseguenza, del consumo di tubi lisci da parte della Corus.

173
In secondo luogo la Dalmine contesta l’interpretazione avanzata dalla Commissione circa la determinazione del prezzo contrattuale. Secondo la decisione impugnata (punto 153), la Corus era tenuta a comunicare alla Mannesmann e alla Dalmine i prezzi nonché i quantitativi di tubi filettati venduti, pur trattandosi di dati riservati. Inoltre, la decisione impugnata criticherebbe il fatto che il prezzo dei tubi lisci dipendesse dal prezzo al quale la Corus li rivendeva dopo la filettatura.

174
Tali valutazioni sarebbero prive di fondamento e insufficientemente motivate. Quanto al preteso scambio di informazioni riservate, la Dalmine precisa che la Corus non le comunicava il prezzo di vendita dei tubi filettati che metteva in commercio. Sarebbe vero che tale prezzo era uno dei dati richiesti dalla formula matematica che serviva a calcolare il prezzo di vendita dei tubi lisci alla Corus, tuttavia sarebbe stata la Corus la responsabile di tale calcolo, di cui la Dalmine conosceva solo il risultato finale. In caso di disaccordo sul prezzo così calcolato la Dalmine ricorda che poteva ricorrere ad un terzo indipendente. Tale meccanismo avrebbe perciò consentito di salvaguardare la riservatezza dei prezzi praticati dalla Corus.

175
La Commissione difende la sua analisi del carattere restrittivo della concorrenza del meccanismo contrattuale per la determinazione dei quantitativi di merci vendute.

176
Quanto alla validità della clausola relativa alla determinazione del prezzo contrattuale, la Commissione sottolinea che la formula utilizzata faceva dipendere i prezzi dei tubi lisci da quelli dei tubi filettati. Orbene, la Vallourec, la Mannesmann e la Dalmine non avrebbero avuto interesse a far concorrenza alla Corus sui prezzi dei tubi filettati nel Regno Unito.

177
La Commissione si dichiara persuasa che la formula per il calcolo del prezzo dei tubi lisci, enunciata alla clausola 6 del contratto di fornitura in questione, fosse basata su informazioni che imprese concorrenti non dovevano scambiarsi.

    Giudizio del Tribunale

178
L’oggetto e l’effetto dei tre contratti di fornitura sono descritti dalla Commissione al punto 111 della decisione impugnata:

«L’oggetto di tali contratti era l’approvvigionamento in tubi lisci del “leader” del mercato degli OCTG nel Mare del Nord e lo scopo era quello di mantenere nel Regno Unito un produttore nazionale per ottenere il rispetto dei “fundamentals” nell’ambito del Club Europa-Giappone. Il loro effetto ed oggetto principale è stata la ripartizione fra [Mannesmann], Vallourec e Dalmine di tutto il fabbisogno del concorrente [Corus] (Vallourec a partire dal 1994). I contratti facevano dipendere i prezzi d’acquisto dei tubi lisci dai prezzi dei tubi filettati da [Corus]; inoltre limitavano la libertà d’approvvigionamento di [Corus] (Vallourec dal febbraio 1994) obbligando quest’ultima a comunicare ai suoi concorrenti i prezzi di vendita praticati e i quantitativi venduti.[Mannesmann], Vallourec (fino al febbraio 1994) e Dalmine si impegnavano a consegnare ad un concorrente ([Corus], poi Vallourec dal marzo 1994) quantitativi non conosciuti in anticipo».

179
I termini dei contratti di fornitura prodotti dinanzi al Tribunale, in particolare quelli del contratto concluso dalla Dalmine con la Corus il 4 dicembre 1991, confermano in sostanza i dati di fatto invocati ai punti 111, nonché 78-82 e 153 della decisione impugnata. Nel loro insieme questi contratti ripartiscono, almeno a partire dal 9 agosto 1993, il fabbisogno della Corus di tubi lisci fra gli altri tre produttori europei (40% alla Vallourec, 30% alla Dalmine e 30% alla Mannesmann). Ciascuno di essi prevede, inoltre, che il prezzo pagato dalla Corus per i tubi lisci sia fissato in ragione di una formula matematica che tenga conto del prezzo da essa incassato per i suoi tubi filettati.

180
Discende da queste osservazioni che l’oggetto e/o, almeno, l’effetto dei contratti di fornitura era di sostituire una ripartizione negoziata dei guadagni da trarre dalle vendite di tubi filettati realizzabili sul mercato britannico ai rischi della concorrenza, quanto meno tra i quattro produttori europei (v., per analogia, relativamente alle pratiche concordate, sentenza «Cemento», cit. nel precedente punto 44, punto 3150).

181
Con ciascuno dei contratti di fornitura la Corus ha vincolato le sue tre concorrenti comunitarie in maniera tale che, a prezzo del sacrificio della sua libertà di approvvigionamento, qualsiasi concorrenza effettiva o potenziale da parte loro sul suo mercato interno è scomparsa. Queste ultime, infatti, vedevano ridotte le loro vendite di tubi lisci in caso di riduzione delle vendite di tubi filettati da parte della Corus. Il margine di utile realizzato sulle vendite di tubi lisci che le tre fornitrici si sono impegnate a realizzare si riduceva, peraltro, anche in funzione del prezzo spuntato dalla Corus per i suoi tubi filettati e poteva perfino trasformarsi in una perdita. Ciò considerato, era praticamente inconcepibile che questi tre produttori cercassero di fare concorrenza effettiva alla Corus sul mercato britannico dei tubi filettati, in particolare quanto ai prezzi (v. punto 153 della decisione impugnata).

182
Al contrario, accettando di concludere tali contratti, ciascuna delle tre concorrenti comunitarie della Corus si è assicurata una partecipazione indiretta al mercato nazionale di quest’ultima ed una parte dei conseguenti guadagni. Per ottenere tali vantaggi esse hanno rinunciato di fatto alla possibilità di vendere tubi filettati sul mercato britannico nonché, se non altro a partire dalla stipula del terzo contratto, avvenuta il 9 agosto 1993, che attribuiva il restante 30% alla Mannesmann, di fornire un quantitativo di tubi lisci alla Corus maggiore di quello precedentemente concesso a ciascuna di loro.

183
Per di più le concorrenti della Corus si sono obbligate a loro svantaggio – ciò che è anomalo nel mondo del commercio – a fornire a quest’ultima quantitativi prestabiliti di tubi solo in riferimento alle sue vendite di tubi filettati. Tale obbligo ha rafforzato l’interdipendenza tra i detti produttori e la Corus, perché gli uni dipendevano, in quanto fornitori coatti, dalla politica commerciale dell’altra. L’argomento della Dalmine secondo cui i quantitativi di tubi da fornire erano fissati con tre mesi di anticipo, in base alle modalità stabilite alla clausola 4 del suo contratto di fornitura con la Corus, è irrrilevante giacché questa disposizione non permetteva alla Dalmine di ridurre i quantitativi di tubi lisci da fornire, che dipendevano esclusivamente dal fabbisogno della Corus.

184
Quand’anche l’analisi della Commissione, riportata al primo trattino del punto 153 della decisione impugnata, in merito alla possibilità di risolvere il contratto si rivelasse infondata, resterebbe immutato il carattere anticoncorrenziale dei contratti conclusi dalla Corus con gli altri tre produttori comunitari fra cui, in particolare, la Dalmine. Di conseguenza, non è necessario appianare questo ulteriore dissidio di ordine fattuale nell’ambito del presente procedimento.

185
È giocoforza constatare che, in mancanza dei contratti di fornitura, i produttori europei interessati diversi dalla Corus avrebbero normalmente avuto, fatti salvi i «fundamentals», un interesse commerciale reale o almeno potenziale a far concorrenza a quest’ultima sul mercato britannico dei tubi filettati e a farsi concorrenza fra di loro per rifornire la Corus di tubi lisci.

186
Quanto agli argomenti della Dalmine relativi agli ostacoli pratici alla sua vendita diretta di tubi OCTG premium e standard sul mercato britannico, tali ostacoli non dimostrano di per sé che essa non avrebbe mai potuto vendere questo prodotto sul detto mercato se non avesse concluso un apposito contratto di fornitura con la Corus e, in seguito, con la Vallourec. Invero, ipotizzando un’evoluzione positiva delle condizioni del mercato britannico dei tubi OCTG, non si può escludere che la Dalmine avrebbe potuto ottenere una licenza di commercio dei tubi filettati «premium» su tale mercato o aumentare la propria produzione di tubi OCTG standard per venderveli. Ne consegue che, sottoscrivendo il contratto di fornitura di cui trattasi, essa ha effettivamente accettato limitazioni alla sua politica commerciale, come risulta dall’analisi svolta nei precedenti punti 182-185.

187
Al riguardo va notato, poi, che ciascun contratto è stato concluso per una durata iniziale di cinque anni. Questa durata relativamente lunga conferma e rafforza il carattere anticoncorrenziale di tali contratti, specie ove si consideri che la Dalmine e gli altri due fornitori della Corus hanno rinunciato alla possibilità di sfruttare direttamente un’eventuale crescita del mercato britannico dei tubi filettati nel corso del detto periodo.

188
Peraltro, come osserva la Commissione al punto 111 della decisione impugnata, la formula per la fissazione del prezzo dei tubi lisci, prevista in tutti e tre i contratti di fornitura, implicava uno scambio illecito di informazioni commerciali (v. punto 153 della decisione impugnata), che devono restare riservate per non compromettere l’autonomia della politica commerciale delle imprese concorrenti (sentenze del Tribunale Thyssen Stahl/Commissione, citata nel precedente punto 147, punto 403, e 11 marzo 1999, causa T‑151/94, British Steel/Commissione, Racc. pag. II‑629, punti 383 e segg.).

189
L’argomento della Dalmine secondo cui le informazioni relative ai prezzi pagati dai clienti della Corus non erano divulgate ai suoi fornitori non può scagionare, nelle circostanze del caso di specie, chi ha sottoscritto i contratti di fornitura.

190
È vero che la Corus non comunicava sic et simpliciter alle controparti contrattuali il prezzo incassato per i suoi tubi filettati. Di conseguenza, l’affermazione al punto 111 della decisione impugnata, secondo cui i contratti di fornitura «obbliga[vano] [la Corus] a comunicare ai suoi concorrenti i prezzi di vendita praticati», esagera la portata dei relativi obblighi contrattuali. A ragione, tuttavia, la Commissione ha notato, al punto 153 della decisione impugnata e dinanzi al Tribunale, che il prezzo dei tubi filettati era in rapporto matematico con quello pagato per i tubi lisci, di modo che i tre fornitori interessati ricevevano indicazioni precise sulla direzione, sul momento e sull’ampiezza di ogni fluttuazione dei prezzi dei tubi filettati venduti dalla Corus.

191
È giocoforza constatare non solo che comunicare queste informazioni alle concorrenti integra una violazione dell’art. 81, n. 1, CE, ma che, per di più, la natura della violazione è in sostanza la stessa, senza che rilevi se ad essere comunicati siano i veri e propri prezzi dei tubi filettati oppure semplici informazioni sulla loro fluttuazione. Alla luce di ciò si deve giudicare che l’inesattezza rilevata al punto precedente è insignificante nel più vasto contesto dell’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata e che, di conseguenza, essa non influisce in alcun modo sull’accertamento di tale infrazione.

192
Alla luce di quanto precede le censure vertenti sui termini del contratto di fornitura concluso dalla Dalmine con la Corus vanno complessivamente respinte.

Sui motivi attinenti all’esistenza di un’intesa e alla partecipazione alla stessa della Dalmine

    Argomenti delle parti

193
La Dalmine contesta che i contratti di fornitura stipulati con la Corus siano il frutto di un’intesa. Essa espone di aver concluso, e poi rinnovato, un contratto di fornitura con la Corus unicamente per aumentare le sue vendite di tubi lisci sul mercato britannico. Si tratterebbe di un obiettivo commerciale del tutto legittimo che la Commissione ha preferito ignorare, limitandosi ad esaminare la posizione della Corus sul mercato rilevante (punto 152 della decisione impugnata).

194
La Dalmine respinge l’interpretazione dei documenti menzionati al punto 80 della decisione impugnata con la quale la Commissione insinua che lo scopo dei contratti di fornitura della Corus fosse di mantenere i prezzi sul mercato britannico ad un livello artificialmente elevato. I documenti su cui si basa la Commissione sarebbero precedenti alla conclusione dei contratti di fornitura e si limiterebbero a formulare ipotesi. In realtà, da tali documenti emergerebbe solamente che la Vallourec riteneva, nel 1990, che riservando un trattamento preferenziale ai produttori europei sul mercato britannico fosse possibile mantenere i prezzi ad un livello elevato. Del pari, tali documenti dimostrerebbero che la Corus non escludeva di potersi rifornire presso le società UTM, Siderca e Tubos de Acero de México SA (v. la nota «Riunione 24.07.90»).

195
La Dalmine si oppone anche all’analisi della Commissione sui termini di consegna. Il termine di cinque/sei settimane richiesto dalla Corus poteva essere rispettato solo da imprese europee, sia a causa del trasporto dei prodotti in causa che del tempo necessario alla produzione una volta ricevuto un ordine definitivo. La ricorrente ricorda, a tale riguardo, che la Corus le imponeva di accettare modifiche delle ordinazioni fino a 10 giorni prima del mese di fabbricazione. Alla luce di ciò, sarebbe contraddittorio per la Commissione ritenere che i termini di consegna non fossero cruciali e, d’altra parte, rimproverare ai produttori di essersi impegnati a fornire quantitativi di merce indeterminati.

196
La Dalmine contesta, poi, la forza probatoria di tali elementi, in particolare di quelli menzionati ai punti 78 e 80 della decisione impugnata. La Commissione si sarebbe basata su una loro errata lettura. Lungi dal dimostrare la veridicità dei fatti allegati dalla Commissione, i documenti interni della Vallourec fatti valere si limiterebbero a formulare ipotesi sulle conseguenze della chiusura da parte della Corus del suo sito di produzione in Clydesdale. Nulla permetterebbe di inferire da tali documenti l’esistenza di un accordo di ripartizione del mercato britannico.

197
La Dalmine fa valere che l’ipotesi di un’intesa è contraddetta dal fatto che la Mannesmann ha concluso un contratto di fornitura con la Corus tre anni dopo le discussioni svoltesi nel 1990 tra quest’ultima e la Vallourec, sulle quali si basa la tesi dell’esistenza di un accordo illecito sostenuta dalla Commissione.

198
La Dalmine smentisce di aver partecipato ad un accordo con gli altri produttori europei per la ripartizione del mercato britannico, ammesso che un tale accordo sia mai stato concluso. Essa ricorda che, secondo la decisione impugnata, tra il 1990 e il 1991 la Vallourec e la Corus hanno convenuto che quest’ultima riservasse il suo approvvigionamento ai produttori comunitari (v. punto 110 della decisione impugnata). Come risulta dalla decisione impugnata, tali discussioni non riguardavano la ricorrente, alla quale la Commissione non potrebbe perciò addebitare una partecipazione all’accordo. Allo stesso modo la Commissione non può rimproverarle di aver stipulato un contratto di fornitura con la Corus il 4 dicembre 1991.

199
La Dalmine ricorda che gli elementi probatori dedotti a sostegno della tesi della Commissione riguardano soltanto la Vallourec e la Corus (v. punti 78, 91, 110, 146 e 152 della decisione impugnata) e lamenta di non essere in grado di difendersi efficacemente contro elementi siffatti, che si riferiscono esclusivamente a terzi.

200
La Dalmine contesta, poi, le valutazioni della Commissione secondo cui essa avrebbe aderito successivamente all’accordo concluso tra la Vallourec e la Corus, quando quest’ultima ha previsto di ritirarsi dal mercato e di dismettere la sua produzione di tubi senza saldatura. Gli elementi fatti valere al punto 91 della decisione impugnata dimostrerebbero una riunione tra la Corus, la Mannesmann, la Vallourec e la Dalmine, svoltasi il 29 gennaio 1993. Orbene, tali discussioni precederebbero la conclusione, avvenuta il 9 agosto 1993, di un contratto di fornitura tra la Mannesmann e la Corus. La Dalmine deduce da tale circostanza che al 29 gennaio 1993 non esisteva alcun accordo tra i produttori europei. La Commissione, peraltro, sembrerebbe addebitare alla ricorrente di aver acconsentito all’acquisizione da parte della Vallourec degli impianti della Corus. La ricorrente sottolinea di essere totalmente estranea a tale operazione. Essa osserva, invece, che il suo interesse era di conservare uno sbocco sul mercato britannico e che, in tale prospettiva, desiderava continuare a vendere tubi lisci sul detto mercato dopo l’acquisizione da parte della Vallourec delle attività della Corus.

201
La Commissione, inoltre, aveva ravvisato l’esistenza di un’intesa nella decisione della Vallourec di rinnovare, dopo aver acquistato gli impianti di produzione di tubi senza saldatura della Corus, i contratti di fornitura precedentemente conclusi da quest’ultima con la Mannesmann e con la Dalmine, circostanza che la Dalmine nega. La ricorrente sottolinea, infatti, che si tratta in questo caso di una scelta della Vallourec sulla quale essa non poteva influire e che le parti hanno deciso liberamente secondo i propri interessi commerciali.

202
Infine, la Dalmine afferma che gli effetti sul mercato del suo contratto di fornitura concluso con la Corus sono insignificanti. Sulle circa 20 400 tonnellate di tubi lisci da essa venduti sul mercato britannico, solo il 20% sarebbe stato trasformato in OCTG filettati standard (v. allegato 2 alla decisione impugnata). Questi ultimi rappresenterebbero appena il 3% del consumo britannico, l’1,4% del consumo comunitario e lo 0,08% del consumo mondiale.

203
La Commissione respinge tali argomenti. A suo avviso, non sarebbe stato nel legittimo interesse della Corus concludere i contratti in questione.

204
La Commissione afferma che questi contratti di fornitura s’inserivano nel contesto dei «fundamentals» per la protezione dei mercati nazionali stabiliti nell’ambito del club Europa-Giappone (punto 146 della decisione impugnata). Quando, nel 1990, la Corus ha parzialmente dismesso la produzione di alcuni tubi senza saldatura, la clausola di protezione per il Regno Unito avrebbe rischiato di diventare inefficace. La Corus e la Vallourec avrebbero menzionato questo problema nel luglio 1990 durante le loro trattative per il rinnovo del contratto con il quale la Vallourec aveva accordato alla Corus una licenza per l’utilizzo della tecnica di raccordo VAM.

205
La Commissione sostiene di aver apportato prove sufficienti dell’esistenza di un’intesa tra queste due imprese. Essa rinvia al riguardo alla nota della Vallourec «Riunione 24.07.90», richiamata in particolare al punto 80 della decisione impugnata. Anche la nota della Vallourec «Riflessioni strategiche», menzionata al medesimo punto, rafforzerebbe la sua tesi.

206
La Commissione respinge l’argomento basato sul tempo trascorso tra, da una parte, le discussioni del 1990 fra la Vallourec e la Corus e, dall’altra, la sottoscrizione del contratto, avvenuta il 9 agosto 1993, fra quest’ultima e la Mannesmann. Nulla – osserva – consente di escludere nella fattispecie l’esistenza di un’intesa prima della conclusione del contratto di fornitura da parte della Mannesmann. La Commissione sottolinea che, in ogni caso, il divieto di cui all’art. 81, n. 1, CE è applicabile a qualsiasi accordo, a prescindere dalla sua forma. Ricorda di aver ampiamente dimostrato l’esistenza di un accordo di protezione dei mercati nazionali nell’ambito dell’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata.

207
Inoltre emergerebbe chiaramente dagli elementi probatori fatti valere ai punti 65, 67, 84 e 91 della decisione impugnata che le discussioni fra la Vallourec e la Corus nel 1990 sulle conseguenze del progressivo ritiro dal mercato di quest’ultima e sulla chiusura della sua fabbrica di Clydesdale erano strettamente collegate all’accordo di protezione dei mercati nazionali.

208
La Dalmine, che ha aderito all’accordo di protezione dei mercati nazionali, avrebbe dichiarato che i problemi sorti dalla ristrutturazione della Corus dovevano essere risolti a livello europeo e ha ritenuto opportuno concludere un contratto di fornitura con la Corus contemporaneamente alla Vallourec e alla Mannesmann. Evidentemente la Dalmine sarebbe stata consapevole del fatto che la conclusione di un tale contratto di fornitura contribuiva all’attuazione dell’accordo di protezione dei mercati nazionali e al coordinamento della sua attività con quella delle sue dirette concorrenti.

    Giudizio del Tribunale

209
Si deve osservare innanzi tutto che, siccome l’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata era fondata sulle restrizioni alla concorrenza contenute negli stessi contratti di fornitura della Corus, le considerazioni relative a tali contratti svolte anteriormente sono sufficienti a provarne l’esistenza.

210
Qualunque sia il livello di concertazione tra i quattro produttori europei, è giocoforza osservare che ciascuno di essi ha stipulato un contratto di fornitura, restringendo la concorrenza e realizzando una violazione dell’art. 81 CE, constatata all’art. 2 della decisione impugnata. Anche se l’art. 2, n. 1, di tale decisione definisce i contratti di fornitura come conclusi «nell’ambito dell’infrazione di cui all’articolo 1», dal punto 111 della stessa risulta chiaramente che è la stipula in sé dei contratti anticoncorrenziali a costituire l’infrazione constatata all’art. 2.

211
Quindi, anche a supporre che la Dalmine sia riuscita a dimostrare che la conclusione del contratto di fornitura con la Corus rispondeva ad un suo obiettivo interesse commerciale, tale circostanza non infirmerebbe minimamente la tesi della Commissione secondo cui questo accordo era illegale. Infatti le pratiche anticoncorrenziali rispondono molto spesso all’interesse commerciale individuale delle imprese, almeno a breve termine. Alla luce di tali circostanze non è necessario conciliare le parti quanto all’importanza per la Corus dei termini di consegna, visto che l’argomento avanzato al riguardo dalla Dalmine è inteso a dimostrare che fosse commercialmente logico dal punto di vista della Corus disporre di tre fornitori europei.

212
L’infrazione constatata all’art. 2 della decisione impugnata è dimostrata adeguatamente, ragion per cui non è più necessario esaminare il ragionamento svolto dalla Commissione a proposito della concertazione tra i quattro produttori europei. Parimenti non c’è esigenza di analizzare, ai fini dell’esame del presente motivo, tutti gli argomenti sollevati dalla Dalmine riguardo alla serie di indizi estranei ai contratti di fornitura fatta valere dalla Commissione per dimostrare l’esistenza effettiva della detta concertazione.

213
Siccome è pertinente all’esame di alcuni degli altri motivi sollevati nella fattispecie, il livello di concertazione tra i quattro produttori comunitari quanto all’infrazione constatata all’art. 2 della decisione impugnata va tuttavia esaminato.

214
Si deve rilevare in questo contesto che comportamenti che s’iscrivono in un piano globale e perseguono una finalità anticoncorrenziale comune possono ritenersi parte di un unico accordo (v., in tal senso, sentenza «Cemento», cit. nel precedente punto 44, punto 4027). Infatti, ove la Commissione dimostri che al momento di partecipare ad un’intesa un’impresa sapeva o avrebbe dovuto sapere che stava così inserendosi nel contesto di un accordo unico, tale partecipazione può costituire espressione della sua adesione a tale accordo (v., in tal senso, sentenza «Cemento», cit., punti 4068 e 4109).

215
Al riguardo riveste particolare importanza il documento «Riflessioni sul contratto VAM» del 23 marzo 1990. Nella parte intitolata «Scenario II», il sig. Verluca, dirigente della Vallourec, vi prevede la possibilità di «obtenir des Japonais qu’ils n’interviennent pas sur [le] marché UK et que le problème se règle entre Européens (ottenere dai giapponesi che questi non intervengano sul mercato britannico e che il problema venga risolto fra europei)». Prosegue: «[d]ans ce cas on partagerait effectivement les tubes lisses entre [Mannesmann], [Vallourec] et Dalmine (in tale ipotesi i tubi lisci verrebbero davvero ripartiti tra la Mannesmann, la Vallourec e la Dalmine)». Al paragrafo seguente egli osserva che «on aurait probablement intérêt à lier les ventes de [Vallourec] à la fois au prix et au volume du VAM vendu par [Corus] (sarebbe probabilmente interessante collegare le vendite della Vallourec al tempo stesso al prezzo e al quantitativo di VAM venduto dalla Corus)».

216
Dato che quest’ultima frase riflette con precisione i termini essenziali del contratto concluso tra la Vallourec e la Corus sedici mesi più tardi, appare chiaro che questa strategia è stata effettivamente seguita dalla Vallourec e che il detto contratto è stato sottoscritto per metterla in atto.

217
Inoltre, il fatto che un contratto praticamente identico sia poi stato sottoscritto tra la Corus, da un lato, e ciascuno degli altri membri europei del club Europa‑Giappone, dall’altro, cioè la Dalmine e poi la Mannesmann, di modo che il fabbisogno della Corus in tubi lisci era effettivamente ripartito fra gli altri tre membri europei del club Europa-Giappone a partire dall’agosto 1993, proprio come aveva pensato il sig. Verluca, conferma che questi tre contratti sono stati senz’altro conclusi per realizzare la strategia comune proposta nell’ambito della concertazione interna al detto club.

218
Questa conclusione si basa sugli elementi probatori invocati dalla Commissione nella decisione impugnata, soprattutto al punto 91, che recita quanto segue:

«Il 21 gennaio 1993 [Corus] ha inviato a Vallourec (probabilmente anche a [Mannesmann] e a Dalmine) una bozza di proposte in vista di un accordo sulla ristrutturazione del settore dei tubi senza saldatura, da discutersi in una riunione a Heathrow il 29 gennaio 1993 fra Mannesmann/Vallourec/Dalmine/[Corus] (pag. 4628 [del fascicolo della Commissione, ossia pag. 1 del documento intitolato “Outline proposals for seamless tubes re-structuring agreement” – Bozza di proposta per un accordo sulla ristrutturazione del settore dei tubi senza saldatura]. In questo documento [redatto in inglese, NdT] è scritto: “[Corus] ha indicato la sua intenzione di ritirarsi dal settore dei tubi senza saldatura. Cerca di farlo in modo ordinato e controllato per evitare interruzioni di fornitura dei tubi alla clientela ed aiutare i produttori che rilevano l’attività a conservare le commesse (...). Negli ultimi sei mesi [Corus] ha discusso con altri produttori interessati all’acquisizione dei suoi attivi e ritiene che esista un consenso sulla linea d’azione descritta nel documento”. Una delle proposte consisteva nel trasferire a Vallourec le attività OCTG, mantenendo in vigore i contratti di fornitura di tubi lisci tra [Corus] e Vallourec, [Mannesmann] e Dalmine nelle stesse proporzioni. Lo stesso giorno si è svolta una riunione fra [Mannesmann] e [Corus] durante la quale [Mannesmann] “ha accettato che Vallourec prenda la guida del futuro assetto proprietario delle attività OCTG” [originale in inglese, NdT] (pag. 4626 [del fascicolo della Commissione, ossia pagina unica di un telefax inviato il 22 gennaio 1993 dal sig. Davis della Corus al sig. Patrier della Vallourec]). Nel documento di Dalmine intitolato “Seamless steel tube system in Europe and market evolution” [Assetto in Europa del settore dei tubi in acciaio senza saldatura e sviluppi del mercato], riprodotto a pag. 2051 del fascicolo della Commissione] ([in particolare] pag. 2053 [del fascicolo della Commissione]) di maggio-agosto 1993, si dice che una soluzione del problema [Corus] valida per tutti può essere trovata soltanto in un contesto europeo (...); il fatto che Vallourec acquisisca gli impianti di [Corus] era ammesso anche da Dalmine».

219
Occorre rilevare, inoltre, che nella sua nota «Riflessioni strategiche», cit. al punto 80 della decisione impugnata, la Vallourec ha previsto esplicitamente che la Dalmine e la Mannesmann si accordassero con essa per fornire tubi lisci alla Corus. Per di più, al punto 59 della decisione impugnata, la Commissione si basa sul documento «g) Giapponese», in particolare sul calendario che figura alla sua quarta pagina (pag. 4912 del fascicolo della Commissione), per osservare che i produttori europei tenevano riunioni preparatorie prima di incontrare quelli giapponesi, al fine di coordinare le loro posizioni e di formulare proposte comuni in seno al club Europa-Giappone.

220
Discende dalle prove scritte richiamate dalla Commissione nella decisione impugnata e in precedenza ricordate che i quattro produttori comunitari si sono effettivamente incontrati per coordinare la loro politica nell’ambito del club Europa-Giappone prima delle riunioni intercontinentali di quest’ultimo, se non altro nel 1993. È provato anche che la chiusura dell’impresa di filettatura della Corus a Clydesdale e la sua riapertura ad opera della Vallourec, nonché la fornitura a quest’ultima di tubi lisci da parte della Dalmine e della Mannesmann, sono state oggetto delle discussioni tenute nel corso di tali riunioni. Pertanto è inconcepibile che la Dalmine abbia potuto ignorare il tenore della strategia elaborata dalla Vallourec ed il fatto che il suo contratto di fornitura con la Corus s’iscriveva in un contesto anticoncorrenziale più vasto comprendente tanto i tubi filettati standard quanto i tubi lisci.

221
Per quanto riguarda l’argomento della Dalmine vertente sul fatto che il terzo contratto di fornitura, intercorso tra la Corus e la Mannesmann, è stato concluso ben più tardi degli altri due, di modo che la Commissione non poteva ricavarne l’esistenza di un’infrazione unica per tutti e quattro i produttori europei, si deve osservare che la mancanza di un contratto tra la Mannesmann e la Corus prima del 1993 non può infirmare la tesi della Commissione quanto all’obiettivo avuto di mira dagli altri tre produttori, ossia la Corus, la Vallourec e la Dalmine, allorché hanno sottoscritto gli altri due contratti nel 1991. Anche se la strategia di ripartizione delle forniture di tubi lisci è stata attuata pienamente soltanto a partire dal momento in cui la Corus aveva tre fornitori, la stipula di questi due contratti che coprivano il 70% del suo fabbisogno di tubi lisci dava infatti attuazione parziale ma importante a tale progetto.

222
Peraltro, come la Commissione ha già osservato dinanzi al Tribunale, il riferimento, nel documento intitolato «Bozza di proposta per un accordo sulla ristrutturazione del settore dei tubi senza saldatura», datato 21 gennaio 1993, al fatto che la Mannesmann forniva già tubi lisci alla Corus, lungi dal non poter essere conciliato con la stipula di un contratto di fornitura tra la Corus e la Mannesmann nell’agosto 1993, come sostiene la Dalmine, rafforza l’analisi della Commissione. Infatti, anche se la Commissione, per prudenza, ha constatato a carico della Mannesmann l’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata solo a partire dal 9 agosto 1993, in quanto la sua sottoscrizione di un contratto di fornitura con la Corus in quella data era una prova certa della sua partecipazione all’infrazione, discende dal suddetto riferimento che in realtà la Mannesmann ha dovuto fornire tubi lisci alla Corus già nel gennaio 1993.

223
Così, risulta dagli elementi probatori richiamati dalla Commissione nella decisione impugnata che la Vallourec ha elaborato la strategia di protezione del mercato del Regno Unito e concluso un contratto di fornitura con la Corus che permetteva, in particolare, subito di metterla in atto. Successivamente si sono aggregate la Dalmine e la Mannesmann, come attesta la conclusione da parte di ciascuna delle due di un contratto di fornitura con la Corus.

224
Alla luce di quanto precede si deve concludere che a ragione la Commissione ha ritenuto nella decisione impugnata che i contratti di fornitura integrassero l’infrazione di cui all’art. 2 della stessa e ne dimostrassero quindi adeguatamente l’esistenza. Occorre rilevare anche, ad ogni buon fine, che gli ulteriori elementi probatori considerati dalla Commissione confermano la correttezza della sua tesi secondo cui i detti contratti s’iscrivevano in una politica europea comune più vasta concernente i tubi OCTG filettati standard.

225
Infine, quanto alle allegazioni relative alla esigua importanza degli effetti anticoncorrenziali del contratto concluso tra la Dalmine e la Corus, è sufficiente osservare che questa circostanza, quand’anche vera, è ininfluente sull’esistenza dell’infrazione constatata all’art. 2 della decisione impugnata, giacché è stato dimostrato l’oggetto anticoncorrenziale del contratto e della strategia che esso contribuiva a mettere in atto.

226
I motivi attinenti all’esistenza di un’intesa e alla partecipazione ad essa della Dalmine sono conseguentemente respinti.

Sui motivi attinenti al mercato rilevante e al rapporto esistente con l’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata

    Argomenti delle parti

227
La Dalmine fa valere che i contratti di fornitura della Corus riguardavano prodotti non commercializzati sul mercato rilevante. Sulla loro scorta la Commissione non poteva, perciò, validamente concludere per l’esistenza di una restrizione della concorrenza su tale mercato.

228
Essa precisa che la Commissione ha ritenuto che i contratti di fornitura della Corus rientrassero nell’ambito dell’accordo di protezione dei mercati dichiarato illecito all’art. 1 della decisione impugnata. Una tale valutazione implicherebbe logicamente che questi contratti pregiudichino la concorrenza sullo stesso mercato di prodotti interessato dall’accordo di cui all’art. 1 della decisione impugnata. Orbene, la Dalmine afferma che ciò non è avvenuto: i contratti di fornitura avrebbero riguardato prodotti diversi da quelli oggetto dell’accordo di cui all’art. 1 della decisione impugnata. Essi avrebbero riguardato, infatti, per circa l’80%, tubi lisci destinati ad essere trasformati in OCTG «premium», mentre l’accordo concluso nell’ambito del club Europa-Giappone aveva ad oggetto solo gli OCTG standard. Il ragionamento della Commissione sarebbe quindi erroneo e la decisione impugnata insufficientemente motivata.

229
La Dalmine sostiene che i contratti di fornitura conclusi con la Corus non erano misure di esecuzione dell’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata. Essa asserisce che l’oggetto del preteso accordo tra la Vallourec e la Corus non poteva essere quello di vietare l’accesso dei produttori giapponesi, poiché questi ultimi disponevano già di quote di mercato rilevanti nel Regno Unito. Inoltre, le prove fatte valere dalla Commissione mostrerebbero che la Vallourec non era convinta che la chiusura della fabbrica di Clydesdale potesse far aumentare la concorrenza dei produttori giapponesi su tale mercato.

230
La Dalmine osserva che, a partire dal 1991, la Corus si riforniva di tubi lisci da produttori stranieri. Di conseguenza, non si potrebbe più parlare di una questione di produzione «nazionale» nel Regno Unito, quale prevista dalla parte dei «fundamentals» concernenti la protezione dei mercati nazionali nell’ambito del club Europa-Giappone. Sarebbe quindi sbagliato integrare nella tabella al punto 68 della decisione impugnata le vendite di tubi lisci della Vallourec, della Mannesmann e della Dalmine alla Corus fra quelle dei «produttor[i] nazional[i]».

231
In via subordinata la Dalmine fa valere che, nell’ipotesi in cui il Tribunale ritenga che il suo contratto di fornitura con la Corus sia ricollegabile all’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata, qualsiasi vizio dei motivi sui quali si basa l’infrazione constatata all’art. 2 pregiudicherebbe anche la validità dell’art. 1.

232
La Commissione ribatte di aver ampiamente spiegato, ai punti 146‑155 della decisione impugnata, il meccanismo secondo cui i contratti di fornitura intendevano mettere in pratica i «fundamentals», concernenti la protezione dei mercati nazionali, conclusi nell’ambito del club Europa-Giappone.

233
Quanto alle allegazioni della Dalmine circa il livello dei prezzi nel Regno Unito, la Commissione ripete che quest’ultimo era elevato.

    Giudizio del Tribunale

234
Occorre osservare innanzi tutto che la Commissione ha constatato, rispettivamente agli artt. 1 e 2 della decisione impugnata, l’esistenza di due infrazioni distinte ai danni di due mercati di prodotti affini. Invero, di per sé non è affatto illecito che il mercato rilevante ai fini della constatazione dell’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata sia quello dei tubi lisci, mentre il mercato rilevante ai fini della constatazione dell’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata sia quello dei tubi OCTG filettati standard, conformemente alle definizioni dei detti mercati formulate al punto 29 della medesima decisione.

235
Al riguardo nessuna norma del diritto comunitario osta a che la Commissione constati con una sola ed unica decisione l’esistenza di due infrazioni distinte all’art. 81, n. 1, CE. Infatti, le situazioni economiche prese in considerazione possono essere complesse, di modo che due mercati diversi ma connessi possono essere pregiudicati da due infrazioni che è logico sanzionare con una sola e unica decisione, in quanto anch’esse sono diverse ma connesse.

236
Così, nella fattispecie, la Commissione ha descritto una situazione in cui alcuni accordi tra produttori europei relativi al mercato britannico dei tubi lisci sono stati concepiti, almeno in parte, allo scopo di proteggere, a valle, il mercato britannico dei tubi OCTG filettati standard dalle importazioni giapponesi. La Commissione non avrebbe potuto rendersi conto adeguatamente di tutte le circostanze da essa scoperte nel corso della sua indagine senza interessarsi delle differenti pratiche anticoncorrenziali attuate sui due mercati connessi (v., per analogia, benché in pendenza d’impugnazione, sentenza del Tribunale 25 ottobre 2002, causa T‑5/02, Tetra Laval/Commissione, Racc. pag. II‑4381, punti 142-147 e 154-162).

237
Quanto alle critiche formulate dalla Dalmine contro il nesso esistente tra le due infrazioni sanzionate, esse non possono influire sulla fondatezza dell’art. 2 della decisione impugnata, dal momento che la trasgressione quivi constatata è adeguatamente dimostrata già sulla base dei termini dei contratti di fornitura (v. i precedenti punti 178-192). Questi argomenti vanno tuttavia esaminati in quanto la Commissione si è basata sul nesso esistente tra le due infrazioni per dimostrare l’esistenza dell’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata, e lo ha altresì richiamato in sede di valutazione dell’importo delle ammende, al punto 164 della decisione impugnata.

238
Dai termini del punto 111 [della decisione impugnata], riportato per esteso al punto 178 della presente sentenza, risulta che uno degli obiettivi dell’intesa ivi descritta era effettivamente di proteggere il mercato britannico dei tubi OCTG standard nell’ambito dei «fundamentals», ma che essa aveva, in più, un oggetto ed effetti anticoncorrenziali distinti in ordine al mercato britannico dei tubi lisci. Occorre allora giudicare che la Commissione ha adeguatamente motivato l’aspetto del suo ragionamento relativo al nesso esistente tra le due infrazioni constatate nella decisione impugnata.

239
Relativamente agli argomenti della Dalmine secondo i quali la Corus non era più un produttore nazionale di tubi OCTG filettati standard in quanto si riforniva di tubi lisci da altri produttori europei, dalle note della Vallourec risulta che il loro autore, il sig. Verluca, era più ottimista riguardo alla possibilità di far rispettare i «fundamentals» dai produttori giapponesi nell’ipotesi in cui la Corus avesse accettato di rifornirsi esclusivamente di tubi lisci di origine comunitaria, piuttosto che nell’ipotesi in cui avesse importato tubi lisci da altri continenti. Così, poiché la Corus aveva deciso di chiudere la sua fabbrica di filettatura a Clydesdale, la soluzione prospettata per proteggere il mercato britannico, cioè la trasformazione di tubi lisci di origine britannica in tubi filettati, è stata esclusa, ma ciò non significava che ogni tentativo di continuare a proteggere il mercato britannico dai produttori giapponesi fosse considerato impossibile, come invece ipotizza la Dalmine.

240
Al contrario, dal fascicolo risulta che la Vallourec stimava necessario cercare un’altra soluzione che permettesse di mantenere al meglio lo statu quo ante. L’approvvigionamento della Corus in tubi lisci di origine esclusivamente comunitaria è la soluzione elaborata dalla Vallourec per raggiungere tale scopo. Sapere se essa sia stata efficace è irrilevante, dal momento che gli elementi probatori depongono nel senso che uno degli obiettivi perseguiti dai produttori europei nel sottoscrivere i contratti di fornitura era il mantenimento delle condizioni nazionali del mercato britannico rispetto ai produttori giapponesi (v. i precedenti punti 213 e segg.).

241
Per queste stesse ragioni va respinta l’argomentazione della Dalmine secondo cui sarebbe errato comprendere le vendite di tubi lisci delle società Vallourec, Mannesmann e Dalmine alla Corus sotto la voce «produttor[i]] nazional[i]» di cui alla tabella stilata al punto 68 della decisione impugnata. Tale presa in considerazione equivale, infatti, ad assimilare i tubi lisci di origine europea filettati dalla Corus e poi dalla TISL (controllata della Vallourec) a tubi filettati di origine britannica.

242
Per di più, l’analisi della Commissione concernente l’infrazione constatata all’art. 2 della decisione impugnata, quale risulta dal punto 111 di quest’ultima, non è infirmata dal fatto che solo una parte dei tubi lisci oggetto dei contratti di fornitura veniva trasformata in tubi OCTG standard, mentre l’altra era destinata alla produzione di tubi OCTG filettati premium. Ove si dimostri che un certo quantitativo di questi tubi lisci è stato trasformato in OCTG filettati standard, si dimostra, infatti, l’esistenza di un nesso tra le due infrazioni, per cui l’infrazione constatata all’art. 2 della decisione impugnata suffraga quella constatata all’art. 1 della medesima.

243
Orbene, secondo la stessa Dalmine, il 20% dei tubi lisci forniti nell’ambito dell’apposito contratto concluso tra la Corus e la Dalmine era destinato ad essere trasformato in tubi filettati standard. I termini di tale contratto, come quelli dei contratti conclusi dalla Corus con la Vallourec e la Mannesmann, confermano, infatti, ciascuno alla sua clausola 6, lett. b), che le vendite di OCTG standard («buttress threaded casing») e di OCTG premium («VAM») erano prese in considerazione ai fini del calcolo del prezzo che la Corus doveva pagare per i tubi lisci; una modalità di calcolo che ha senso solo se un certo quantitativo dei tubi lisci così forniti veniva senz’altro trasformato in tubi OCTG standard.

244
Ad ogni buon fine, tuttavia, occorre constatare che l’affermazione della Commissione nella prima frase del punto 164 della decisione impugnata, secondo cui i contratti di fornitura, costituenti l’infrazione constatata al suo art. 2, erano solo un modo di attuare l’infrazione di cui al suo art. 1, è esagerata. In realtà la detta attuazione era, per la seconda infrazione, solo uno fra i numerosi oggetti ed effetti anticoncorrenziali perseguiti, connessi ma distinti. Il Tribunale ha infatti statuito nella sentenza JFE Engineering e a./Commissione (cit. nel precedente punto 111, punti 569 e segg.), che la Commissione ha ignorato il principio della parità di trattamento, in quanto non ha tenuto conto dell’infrazione constatata all’art. 2 della decisione impugnata per fissare l’importo delle ammende a carico dei produttori europei, benché l’oggetto e gli effetti della detta trasgressione trascendessero il loro contributo al mantenimento prolungato dell’accordo Europa-Giappone (v., in particolare, punto 571 della detta sentenza).

245
La disparità di trattamento rilevata al punto precedente, anche se infine ha giustificato la riduzione dell’importo delle ammende inflitte alle ricorrenti giapponesi, è viziata da un errore di analisi che non giustifica nell’ambito del presente ricorso l’annullamento dell’art. 2 della decisione impugnata, né quello del suo art. 1.

246
Risulta da quanto precede che i motivi attinenti al mercato rilevante e al nesso esistente tra le due infrazioni constatate agli artt. 1 e 2 della decisione impugnata devono essere respinti. Di conseguenza va disattesa la domanda di annullamento dell’art. 2 della decisione impugnata.


Sulla domanda di annullamento dell’ammenda ovvero di riduzione del suo importo

247
Riferendosi ai motivi esposti precedentemente, la Dalmine chiede l’annullamento dell’art. 4 della decisione impugnata, che le infligge un’ammenda di EUR 10,8 milioni, e dei punti 156-175 della motivazione. In subordine, essa chiede la riduzione dell’importo dell’ammenda inflittale. In questa sede la ricorrente contesta alla Commissione di non aver applicato correttamente i criteri relativi alla determinazione dell’importo delle ammende, in particolare gli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del trattato CECA (GU 1998, C 9, pag. 3; in prosieguo: gli «orientamenti per il calcolo delle ammende»), e la comunicazione sulla cooperazione.

1. Sulla gravità dell’infrazione

248
La Dalmine contesta le valutazioni della Commissione circa la gravità dell’infrazione commessa.

Sulla definizione del mercato rilevante e sugli effetti dell’infrazione

Argomenti delle parti

249
La Dalmine lamenta che la Commissione non abbia pienamente tenuto conto degli effetti dell’infrazione per valutarne la gravità, come invece richiesto dagli orientamenti per il calcolo delle ammende (punto 1, parte A). Nel caso di specie la Commissione avrebbe esaminato tali effetti senza limitarsi, come dovuto, al mercato rilevante.

250
La Dalmine ricorda, infatti, che il mercato dei prodotti rilevanti è quello degli OCTG standard e dei linepipe «project». Da un punto di vista geografico la Commissione avrebbe dimostrato che il mercato del primo tipo di prodotti è mondiale e quello del secondo «per lo meno europeo» (punti 35 e 36 della decisione impugnata). Nondimeno essa avrebbe poi ignorato questa definizione del mercato rilevante e valutato l’importanza dell’infrazione prendendo in considerazione esclusivamente le vendite dei prodotti in discorso sul mercato comunitario.

251
Quanto ai tubi OCTG standard, la Commissione avrebbe dovuto riferirsi al mercato mondiale. Essa sarebbe così giunta alla conclusione che le vendite delle destinatarie della decisione impugnata rappresentavano in totale il 13,5% del mercato rilevante, di cui quelle effettuate sul mercato europeo costituivano lo 0,75% del detto mercato.

252
Quanto ai linepipe «project», la limitazione geografica all’Europa del mercato rilevante non può giustificare, secondo la ricorrente, un’analisi ristretta al solo territorio della Comunità. La Commissione avrebbe dovuto includere nella sua valutazione gli effetti dell’intesa, integrante l’infrazione sanzionata, sulle zone offshore della Norvegia.

253
La Dalmine lamenta poi che la Commissione si sia appellata al fatto che la Germania, la Francia, l’Italia e il Regno Unito rappresentavano la maggior parte del consumo dei prodotti rilevanti nella Comunità (punto 161 della decisione impugnata). Orbene, per questi due tipi di prodotto il mercato geografico rilevante sarebbe più vasto del territorio comunitario.

254
Infine, la Dalmine osserva che sul suo mercato nazionale, cioè l’Italia, l’accordo sui «fundamentals», concernenti la protezione dei mercati nazionali, concluso nell’ambito del club Europa-Giappone ha avuto soltanto un impatto irrisorio sulle vendite dei tubi OCTG in generale. Quanto ai linepipe «project», poiché la Commissione non si è pronunciata sulla questione della loro sostituibilità con i tubi saldati, non sarebbe possibile verificare l’effettiva incidenza dell’accordo in esame.

255
In risposta a tali censure la Commissione espone di aver determinato l’importo dell’ammenda conformemente alle disposizioni del regolamento n. 17. L’importo di base sarebbe stato stabilito in funzione della gravità e della durata dell’infrazione.

256
La Commissione ricorda che i tubi oggetto dell’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata rappresentavano solo una parte dei tubi senza saldatura destinati all’industria petrolifera e del gas. Gli OCTG standard e i linepipe «project» venduti nella Comunità dalle imprese destinatarie della decisione impugnata avrebbero costituito il 19% del consumo comunitario di OCTG e di linepipe senza saldatura, mentre oltre il 50% del consumo comunitario era coperto da OCTG e da linepipe che non rientravano nell’accordo e oltre il 21% da importazioni da paesi terzi diversi dal Giappone.

257
La Commissione osserva inoltre di aver chiaramente ammesso l’incidenza limitata dell’infrazione sul mercato. Essa ricorda anche che la sua analisi è concentrata sul mercato comunitario, senza tuttavia che ciò contraddica la definizione geografica del mercato dei tubi OCTG (punto 35 della decisione impugnata).

Giudizio del Tribunale

258
Va osservato innanzi tutto che, ai termini dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, la Commissione può infliggere ammende da mille a un milione di euro e che quest’ultimo importo può essere aumentato fino al 10% del fatturato realizzato nel corso dell’esercizio sociale precedente dalle singole imprese partecipanti all’infrazione. Per determinare l’importo dell’ammenda entro tali limiti la detta disposizione prescrive che siano prese in considerazione la gravità e la durata dell’infrazione.

259
Orbene, né il regolamento n. 17, né la giurisprudenza, né gli orientamenti per il calcolo delle ammende prevedono che le ammende siano fissate direttamente in funzione delle dimensioni del mercato rilevante, quello delle dimensioni essendo solo uno dei fattori rilevanti. Invero, conformemente al regolamento n. 17 quale interpretato dalla giurisprudenza, l’ammenda inflitta ad un’impresa per un’infrazione in materia di concorrenza dev’essere proporzionata all’infrazione complessivamente considerata, tenendo conto in particolare della sua gravità (v., in tal senso, sentenze del Tribunale 6 ottobre 1994, causa T‑83/91, Tetra Pak/Commissione, Racc. pag. II‑755, punto 240, e, per analogia, 21 ottobre 1997, causa T‑229/94, Deutsche Bahn/Commissione, Racc. pag. II‑1689, punto 127). Come la Corte ha affermato al punto 120 della sentenza 7 giugno 1983, cause riunite 100/80-103/80, Musique diffusion française e a./Commissione (Racc. pag. 1825), per valutare la gravità di un’infrazione è necessario considerare un gran numero di elementi di carattere e di importanza variabili secondo il tipo e le circostanze specifiche dell’infrazione medesima (v. anche, per analogia, sentenza Deutsche Bahn/Commissione, cit., punto 127).

260
Occorre peraltro rilevare che la Commissione, anche se non ha espressamente menzionato gli orientamenti nella decisione impugnata, ha nondimeno determinato l’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente applicando il metodo di calcolo ivi impostosi.

261
Ora, si deve osservare che la Commissione, per quanto disponga di un potere discrezionale nella fissazione dell’importo delle ammende (sentenze del Tribunale 6 aprile 1995, causa T‑150/89, Martinelli/Commissione, Racc. pag. II‑1165, punto 59, e, per analogia, Deutsche Bahn/Commissione, cit. nel precedente punto 259, punto 127), non può disattendere le regole che essa stessa si è data (v. sentenza Hercules Chemicals/Commissione, cit. nel precedente punto 162, punto 53, confermata a seguito di impugnazione con sentenza della Corte 8 luglio 1999, causa C‑51/92 P, Hercules Chemicals/Commissione, Racc. pag. I‑4235, e giurisprudenza ivi citata). Essa deve perciò tenere effettivamente conto dei termini degli orientamenti per il calcolo delle ammende nel fissare l’importo delle stesse, soprattutto degli elementi ivi indicati come imprescindibili. Ad ogni buon conto, il potere discrezionale della Commissione ed i limiti che questa vi ha apportato non pregiudicano in nessun caso l’esercizio, da parte del giudice comunitario, della sua competenza estesa anche al merito.

262
Occorre ricordare che, ai sensi del punto 1, parte A, degli orientamenti per il calcolo delle ammende, «[p]er valutare la gravità dell’infrazione, occorre prenderne in considerazione la natura, l’impatto concreto sul mercato, quando sia misurabile, e l’estensione del mercato geografico rilevante». Ebbene, al punto 159 della decisione impugnata la Commissione rileva di aver tenuto conto, per determinare la gravità dell’infrazione, di tutti e tre i detti criteri.

263
Al punto 161 della decisione impugnata, però, la Commissione si è basata essenzialmente sulla natura del comportamento illecito di tutte le imprese per concludere che l’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata è «molto grave». Al riguardo essa ha fatto valere la natura gravemente anticoncorrenziale e nociva al buon funzionamento del mercato interno dell’accordo di ripartizione dei mercati sanzionato, la deliberata illegittimità e la natura segreta ed istituzionalizzata del sistema messo in atto per restringere la concorrenza. La Commissione ha altresì tenuto in considerazione, sempre al punto 161, che «i quattro Stati membri in questione rappresentano la maggior parte del consumo degli OCTG e dei linepipe senza saldatura nella Comunità e dunque un vasto mercato geografico».

264
Al contrario, al punto 160 della decisione impugnata, la Commissione ha constatato che «l’infrazione ha avuto, di fatto, un’incidenza limitata sul mercato», dato che i due specifici prodotti che ne erano oggetto, vale a dire gli OCTG standard ed i linepipe «project», rappresentavano solo il 19% del consumo comunitario degli OCTG e dei linepipe senza saldatura e che grazie ai progressi della tecnologia i tubi saldati potevano soddisfare una parte della domanda di tubi senza saldatura.

265
Quindi, al punto 162 della decisione impugnata, la Commissione, dopo aver classificato quest’infrazione tra quelle «molto gravi» sulla base dei fattori enumerati al punto 161, ha fatto notare il quantitativo relativamente ridotto delle vendite dei prodotti in questione da parte delle destinatarie della decisione impugnata nei quattro Stati membri interessati (EUR 73 milioni all’anno). Tale riferimento alle dimensioni del mercato rilevante corrisponde alla valutazione dell’impatto limitato dell’infrazione sul mercato espressa al punto 160 della decisione impugnata. La Commissione ha dunque deciso di imporre un’ammenda in funzione della gravità di appena EUR 10 milioni. In realtà gli orientamenti per il calcolo delle ammende prevedono, in principio, per infrazioni rientranti in tale categoria, un importo «oltre i 20 milioni di [euro]».

266
Occorre esaminare se l’approccio della Commissione sopra esposto sia illegale alla luce dei contrari argomenti della Dalmine.

267
Per quanto riguarda gli argomenti della Dalmine relativi ai mercati rilevanti, si deve constatare che i punti 35 e 36 della decisione impugnata traducono la definizione dei mercati geografici rilevanti quali dovrebbero esistere normalmente, fatti salvi gli accordi illeciti aventi per oggetto o per effetto la loro artificiale scissione. Emerge poi dalla decisione impugnata, letta complessivamente, in particolare dai suoi punti 53‑77, che il comportamento dei produttori giapponesi ed europei sui vari mercati nazionali o, in alcuni casi, sul mercato di una certa regione del mondo era determinato da regole specifiche diverse da mercato a mercato, risultanti dalle trattative commerciali condotte all’interno del club Europa-Giappone.

268
Così, non sono pertinenti e vanno respinti gli argomenti della Dalmine relativi alle ridotte percentuali dei mercati mondiale ed europeo degli OCTG standard e dei linepipe «project» rappresentate dalle vendite di tali prodotti da parte delle otto destinatarie della decisione impugnata. È, infatti, perché ha avuto ad oggetto nonché, almeno in certa misura, ad effetto di escludere ciascuna delle suddette destinatarie dai mercati nazionali delle altre, compreso il mercato dei quattro maggiori Stati membri delle Comunità europee, a livello del consumo di tubi d’acciaio, che l’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata è «molto grave» nella valutazione ivi espressa.

269
Al riguardo, l’argomento della Dalmine vertente sul ridotto volume delle vendite di tubi OCTG standard e sull’importanza dei tubi saldati per fronteggiare la concorrenza dei linepipe «project» sul proprio mercato nazionale è inconferente, atteso che la sua partecipazione all’accordo di ripartizione dei mercati risulta dall’essersi impegnata a non vendere su altri mercati i prodotti considerati nella decisione impugnata. Così, le circostanze invocate dalla Dalmine, quand’anche adeguatamente dimostrate, non possono infirmare la conclusione della Commissione in merito alla gravità dell’infrazione commessa.

270
Si deve rilevare, inoltre, che il fatto, cui si appella la Dalmine, che l’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata riguardi solo due prodotti specifici, cioè gli OCTG standard ed i linepipe «project», e non tutti gli OCTG e i linepipe, è stato esplicitamente definito dalla Commissione, al punto 160 della decisione impugnata, un fattore di limitazione dell’impatto concreto dell’infrazione sul mercato (v. il precedente punto 264). Del pari, la Commissione fa riferimento, sempre al punto 160, alla crescente concorrenza costituita dai tubi saldati (v. ancora il precedente punto 264). È giocoforza dichiarare, allora, che la Commissione ha già tenuto conto di questi elementi nel valutare la gravità dell’infrazione nella decisione impugnata.

271
Alla luce di ciò occorre giudicare che la riduzione in funzione della gravità dell’importo fissato al 50% della somma minima solitamente applicata in caso di infrazione «molto grave», riduzione prima menzionata al punto 265, tiene adeguatamente conto dell’impatto limitato dell’infrazione sul mercato nella fattispecie.

272
In proposito va inoltre rilevato che le ammende hanno una finalità deterrente in materia di concorrenza (v., al riguardo, punto 1, parte A, quarto capoverso, degli orientamenti per il calcolo delle ammende). Così, viste le grandi dimensioni delle imprese destinatarie della decisione impugnata quali constatate al punto 165 di quest’ultima (v. anche i successivi punti 281 e segg.), una riduzione sostanzialmente maggiore dell’importo fissato in funzione della gravità avrebbe potuto privare le ammende del loro effetto deterrente.

Sulla valutazione del comportamento individuale delle imprese e sulla mancata distinzione tra le stesse in funzione delle loro dimensioni

Argomenti delle parti

273
La Dalmine critica la Commissione per non aver prestato attenzione al comportamento individuale e alle dimensioni di ogni impresa in questione. Orbene, conformemente agli orientamenti per il calcolo delle ammende, la Commissione sarebbe tenuta a ponderare gli importi delle ammende in modo da tener conto di tali fattori.

274
Al riguardo la Dalmine afferma che la sua posizione sul mercato era solo marginale. I tubi OCTG standard avrebbero rappresentato soltanto il 7,3% di tutte le sue vendite tra il 1990 e il 1995. Quanto ai linepipe «project», la Commissione, non avendo preso in considerazione l’impatto delle vendite di tubi saldati sui mercati dei tubi senza saldatura, non sarebbe potuta giungere ad una conclusione definitiva. Per di più, la Dalmine non avrebbe applicato fedelmente gli accordi anticoncorrenziali addebitatile, conservando piuttosto una certa autonomia d’azione in seno al club Europa-Giappone. Essa avrebbe infatti continuato a vendere i suoi tubi OCTG ed i suoi linepipe in Europa e altrove.

275
La Dalmine lamenta peraltro che la Commissione abbia stabilito l’importo dell’ammenda senza tener conto delle dimensioni e del volume d’affari sul mercato rilevante di ciascuna delle imprese destinatarie. Orbene, l’equità e il principio di proporzionalità richiederebbero che le imprese non siano messe su un piano di parità, ma che il loro comportamento venga sanzionato a seconda del ruolo personale e dell’incidenza sul mercato della loro partecipazione all’infrazione.

276
La Dalmine sostiene di essere stata punita ingiustamente poiché, tra le destinatarie della decisione impugnata, era una delle imprese più piccole. Essa critica il rifiuto perentorio della Commissione che, al punto 165 della decisione impugnata, afferma: «tutte le imprese destinatarie della presente decisione sono di grande dimensione. Non è quindi il caso di differenziare gli importi stabiliti». La Dalmine sostiene che la sua attività era limitata alla produzione di taluni tipi di tubi senza saldatura. Essa non potrebbe essere paragonata a società le cui attività erano molto più vaste e il volume d’affari ben maggiore del suo.

277
La Commissione osserva che la Dalmine ha partecipato ad un accordo di protezione dei mercati nazionali, che costituisce una violazione molto grave dell’art. 81, n. 1, CE. La Commissione sottolinea, a tale riguardo, che la ricorrente non ha contestato la realtà dei fatti accertati nella decisione impugnata. Inoltre, la ricorrente avrebbe partecipato anche all’infrazione di cui all’art. 2 della detta decisione. Il fatto che essa abbia potuto avere un comportamento in certo modo autonomo rispetto agli altri membri dell’intesa non costituirebbe, di per sé, una circostanza attenuante (sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑327/94, SCA Holding/Commissione, Racc. pag. II‑1373, punto 142). In ogni caso, l’autonomia che la Dalmine pretende di aver conservato in seno al club Europa-Giappone sarebbe irrilevante e sarebbe smentita dalla sua posizione di quasi monopolio sul mercato italiano, dalla sua partecipazione attiva alle discussioni sulla ripresa delle attività della Corus e, infine, dal contratto concluso con quest’ultima in applicazione dei «fundamentals», concernenti la protezione dei mercati nazionali, convenuti nell’ambito del club Europa-Giappone.

278
Poiché la Commissione ha constatato, nella decisione impugnata, che le otto destinatarie della stessa erano tutte imprese di grandi dimensioni e tenuto conto globalmente dell’impatto relativamente ridotto dell’infrazione sui mercati, l’argomento della Dalmine non sarebbe sufficiente a dimostrare che la Commissione abbia ecceduto il suo potere discrezionale non applicando nella fattispecie il punto 1, parte A, sesto capoverso, degli orientamenti per il calcolo delle ammende.

279
La Commissione oppone a tali censure che il fatturato della ricorrente ha raggiunto, per il 1998, la somma di EUR 669 milioni (punto 17 della decisione impugnata). Si tratterebbe dunque di una grande impresa. Nessun elemento consentirebbe di concludere che essa debba fruire di una riduzione dell’importo dell’ammenda perché non è così importante come le altre destinatarie della decisione impugnata.

Giudizio del Tribunale

280
Si deve osservare, innanzi tutto, che il riferimento contenuto all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 al limite del 10% del volume d’affari mondiale riguarda esclusivamente il calcolo del tetto massimo dell’ammenda che può essere inflitta dalla Commissione (v. punto 1 degli orientamenti per il calcolo delle ammende e sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, cit. nel precedente punto 259, punto 119) e non significa affatto che debba sussistere una proporzione tra le dimensioni delle singole imprese e l’importo delle ammende loro irrogate.

281
Al contrario, il punto 1, parte A, sesto capoverso, degli orientamenti per il calcolo delle ammende, applicabili nella fattispecie (v. il precedente punto 272), prevede la possibilità, «in certi casi, [di] ponderare gli importi determinati nell’ambito di ciascuna delle tre categorie [d’infrazione], in modo da tenere conto del peso specifico e dunque dell’impatto reale sulla concorrenza del comportamento configurante infrazione di ciascuna impresa». Ai sensi di questo capoverso, ciò è opportuno «in particolare qualora esista una disparità considerevole nella dimensione delle imprese che commettono il medesimo tipo di infrazione».

282
Tuttavia, dall’impiego delle locuzioni «in certi casi» e «in particolare» negli orientamenti per il calcolo delle ammende risulta che una ponderazione in funzione delle dimensioni delle singole imprese non è una fase sistematica del calcolo che la Commissione si sarebbe imposta, bensì una possibilità di manovra che essa si è data nei casi che lo richiedono. Occorre ricordare in questo contesto la giurisprudenza secondo cui la Commissione dispone di un potere discrezionale che le permette di prendere o non in considerazione alcuni elementi allorché fissa l’importo delle ammende che intende infliggere, in funzione soprattutto delle circostanze del caso di specie (v., in tal senso, ordinanza della Corte 25 marzo 1996, causa C‑137/95 P, SPO e a./Commissione, Racc. pag. I‑1611, punto 54, e sentenze della Corte 17 luglio 1997, causa C‑219/95 P, Ferriere Nord/Commissione, Racc. pag. I‑4411, punti 32 e 33; 15 ottobre 2002, cause riunite C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, Racc. pag. I‑8375, punto 465; v. anche, in tal senso, sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑309/94, KNP BT/Commissione, Racc. pag. II‑1007, punto 68).

283
Tenuto conto del tenore del punto 1, parte A, sesto capoverso, degli orientamenti per il calcolo delle ammende, illustrato sopra, si deve ritenere che la Commissione abbia conservato un certo potere discrezionale nel ponderare o meno le ammende in funzione delle dimensioni delle singole imprese. Dunque, la Commissione non è tenuta, allorché determina l’importo delle ammende, ad assicurare, nel caso in cui siano sanzionate più imprese coinvolte nella medesima infrazione, che gli importi finali distinguano le imprese sulla base del loro fatturato complessivo (v., in tal senso, sebbene in pendenza d’impugnazione, sentenze del Tribunale 20 marzo 2002, causa T‑23/99, LR AF 1998/Commissione, Racc. pag. II‑1705, punto 278, e 19 marzo 2003, causa T‑213/00, CMA CGM e a./Commissione, Racc. pag. II‑913, punto 385).

284
Nella fattispecie, la Commissione ha constatato, al punto 165 della decisione impugnata, che tutte le imprese destinatarie della stessa erano di grandi dimensioni, per cui non era necessario differenziare a tale titolo gli importi delle ammende. La Dalmine contesta quest’analisi e rileva di essere una delle più piccole imprese destinatarie della decisione impugnata, dal momento che il suo fatturato nel 1998 era di appena EUR 667 milioni. È giocoforza constatare, infatti, che lo scarto in termini di fatturato complessivo, considerato ogni prodotto, tra la Dalmine e la maggiore delle imprese in causa, vale a dire la Nippon, il cui fatturato nel 1998 era di EUR 13 489 milioni, è significativo.

285
La Commissione ha sottolineato, tuttavia, nel controricorso, senza essere smentita dalla Dalmine, che quest’ultima non è un’impresa né piccola né media. Infatti la raccomandazione della Commissione 3 aprile 1996, 96/280/CE, relativa alla definizione delle piccole e medie imprese (GU L 107, pag. 4), applicabile al momento dell’adozione della decisione impugnata, precisa, in particolare, che imprese siffatte devono occupare meno di 250 persone e avere un fatturato annuo non superiore agli EUR 40 milioni, ovvero un bilancio annuo non superiore agli EUR 27 milioni. Nella raccomandazione della Commissione 6 maggio 2003, 2003/361/CE, relativa alla definizione delle microimprese, piccole e medie imprese (GU L 124, pag. 36), questi due ultimi valori sono stati aumentati e fissati, poi, rispettivamente, a EUR 50 e a EUR 43 milioni.

286
Il Tribunale non dispone di dati concernenti il numero di dipendenti della Dalmine e il suo bilancio annuale, ma si deve constatare che il fatturato della Dalmine nel 1998 era superiore di più del decuplo al limite previsto nella serie di raccomandazioni della Commissione rispetto a tale criterio. Occorre perciò dichiarare, sulla base delle informazioni prodotte dinanzi al Tribunale, che la Commissione non ha commesso errori nell’affermare, al punto 165 della decisione impugnata, che tutte le imprese destinatarie della detta decisione erano di grandi dimensioni.

287
Si deve poi notare che l’importo dell’ammenda inflitta alla Dalmine nella decisione impugnata, pari a EUR 10,8 milioni, rappresenta appena l’1,62% circa del suo fatturato mondiale per il 1998, pari a EUR 667 milioni. L’importo della sua ammenda senza alcuna riduzione per la cooperazione sarebbe stato di EUR 13,5 milioni, ossia meno del 2% di tale fatturato. Si osservi che queste cifre sono ben al di sotto del limite del 10% summenzionato.

288
Quanto all’argomento della Dalmine vertente sul fatto che l’incidenza del suo comportamento sul mercato sarebbe stata minima, dal momento che la sua posizione sul mercato era solo marginale, si deve ricordare di nuovo che l’argomento della Dalmine relativo alla marginalità delle vendite di tubi OCTG standard e all’importanza dei tubi saldati per fronteggiare la concorrenza dei linepipe «project» sul proprio mercato nazionale è irrilevante, atteso che la sua partecipazione all’infrazione consistente in un accordo di ripartizione dei mercati risulta dall’essersi impegnata a non vendere i prodotti in causa su altri mercati (v. supra, punto 269). Così, le circostanze che essa fa valere, quand’anche adeguatamente dimostrate, non possono infirmare la conclusione della Commissione in merito alla gravità dell’infrazione commessa.

289
In proposito va inoltre ricordato che ogni produttore ha assunto il medesimo impegno, ossia di non vendere gli OCTG standard e i linepipe sul mercato interno di ognuno degli altri membri del club Europa-Giappone. Orbene, come è stato osservato supra, al punto 263, la Commissione si è basata in sostanza sulla natura fortemente anticoncorrenziale di tale impegno per stabilire il carattere «molto grave» dell’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata.

290
Siccome la Dalmine è l’unico membro italiano del club Europa-Giappone, è giocoforza constatare che la sua partecipazione a tale accordo è stata sufficiente ad estenderne l’ambito di applicazione geografico al territorio di uno Stato membro della Comunità. Pertanto si deve affermare che la sua partecipazione all’infrazione ha avuto un impatto non trascurabile sul mercato comunitario. Tale circostanza è infatti ben più rilevante, ai fini della valutazione dell’impatto concreto della partecipazione della Dalmine all’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata sui mercati dei prodotti oggetto del detto articolo, di una mera comparazione dei fatturati complessivi delle singole imprese.

291
Quanto alla pretesa autonomia d’azione della ricorrente in seno al club Europa-Giappone, si deve ricordare che il fatto che un’impresa, la cui partecipazione ad un accordo di ripartizione dei mercati con le sue concorrenti sia dimostrato, non abbia tenuto sul mercato un comportamento conforme a quello convenuto con le dette concorrenti non costituisce necessariamente una circostanza attenuante da tener presente in sede di determinazione dell’importo dell’ammenda (sentenza SCA Holding/Commissione, cit. nel precedente punto 277, punto 142). Infatti, un’impresa che persegua, nonostante la concertazione con le sue concorrenti, una politica in parte indipendente sul mercato può semplicemente cercare di avvalersi dell’intesa a proprio vantaggio.

292
Si deve allora interpretare il secondo trattino del punto 3 degli orientamenti per il calcolo delle ammende nel senso che la Commissione non è tenuta a riconoscere l’esistenza di una circostanza attenuante nella mancata attuazione di un’intesa, a meno che l’impresa che invoca tale circostanza possa dimostrare di aver chiaramente e considerevolmente infranto gli obblighi di attuazione di tale intesa, sì da perturbarne lo stesso funzionamento, e di non aver dato l’impressione di aderire all’accordo, inducendo così altre imprese a mettere in atto l’intesa.

293
Come il Tribunale ha osservato nella sentenza «Cemento» (cit. nel precedente punto 44, punto 1389), un’impresa che non prende le distanze dai risultati di una riunione cui ha assistito conserva, in linea di principio, la «sua piena responsabilità per la partecipazione all’intesa». Infatti, sarebbe troppo facile per le imprese minimizzare il rischio di dover pagare una pesante ammenda se potessero profittare di un’intesa illecita e beneficiare poi di una riduzione dell’ammenda per non aver svolto un ruolo significativo nell’attuazione dell’infrazione, laddove con il loro comportamento hanno indotto altre imprese a comportarsi in maniera più nociva per la concorrenza.

294
Parimenti, per quanto riguarda l’argomento secondo cui la Dalmine ha svolto un ruolo passivo nell’intesa, comportamento che integrerebbe una circostanza attenuante in conformità al punto 3, primo trattino, degli orientamenti per il calcolo delle ammende, si deve osservare che la detta società non nega di aver partecipato alle riunioni del club Europa-Giappone. Orbene, è stato prima affermato, nell’ambito dei motivi di annullamento dell’art. 1 della decisione impugnata, nonché nella sentenza JFE Engineering e a./Commissione (punto 111 supra), che la questione della protezione dei mercati nazionali è stata dibattuta nel corso di tali riunioni.

295
Nella fattispecie, la Dalmine non asserisce neppure che la sua partecipazione alle riunioni del club Europa-Giappone sia stata più sporadica di quella degli altri membri dello stesso, ciò che avrebbe potuto eventualmente giustificare l’applicazione di una riduzione a suo favore in conformità alla giurisprudenza (v., al riguardo, sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑317/94, Weig/Commissione, Racc. pag. II‑1235, punto 264). Essa non adduce, inoltre, né circostanze specifiche né elementi probatori idonei a dimostrare che il suo comportamento nelle riunioni in questione sia stato puramente passivo o gregario. Al contrario, come già è stato osservato al precedente punto 290, il mercato italiano è stato incluso nell’accordo di ripartizione dei mercati solo a motivo della sua presenza nel club Europa-Giappone. Date le circostanze, non si può rimproverare alla Commissione di non aver ridotto l’importo dell’ammenda per la Dalmine ai sensi del punto 3, primo trattino, degli orientamenti.

296
Così, quand’anche sia dimostrato che, nella fattispecie, la Dalmine ha realizzato un numero limitato di vendite su altri mercati comunitari teatro dell’infrazione, questa circostanza non basterebbe a rimettere in discussione la sua responsabilità nel caso di specie, dal momento che, presenziando alle riunioni del club Europa-Giappone, essa ha aderito o almeno ha fatto credere agli altri partecipanti di aderire, in linea di principio, al contenuto dell’accordo anticoncorrenziale ivi convenuto. Orbene, risulta dal fascicolo, in particolare dai dati contenuti nella tabella al punto 68 della decisione impugnata, che la ripartizione dei mercati prevista dall’intesa è stata attuata, almeno in una certa misura, ed ha avuto per forza di cose un impatto reale sulle condizioni della concorrenza sui mercati comunitari.

297
Alla luce di ciò, la Commissione ha potuto ragionevolmente concludere che nella fattispecie andavano fissate in funzione della gravità ammende di importo uguale per tutte le imprese destinatarie della decisione impugnata. Occorre osservare, inoltre, ad ogni buon fine, che sotto questo profilo la Commissione non ha neppure violato il principio della parità di trattamento.

298
Tenuto conto dell’insieme degli argomenti e delle circostanze sopra esaminati, il Tribunale, nell’esercizio della sua competenza estesa anche al merito, non deve modificare l’importo delle ammende nella fattispecie a motivo delle differenti situazioni o dimensioni delle imprese destinatarie della decisione impugnata.

2. Sulla durata dell’infrazione

Argomenti delle parti

299
La Dalmine contesta le valutazioni della Commissione quanto alla durata dell’infrazione. Nonostante le riunioni del club Europa-Giappone siano iniziate nel 1977, il periodo dell’infrazione non sarebbe potuto iniziare anteriormente al 1º gennaio 1991, a motivo degli accordi di autolimitazione delle esportazioni stipulati tra la Commissione e le autorità giapponesi (punto 108 della decisione impugnata). La Dalmine rimprovera, infatti, alla Commissione di non aver ricordato, nella decisione impugnata, che il 28 dicembre 1989 la Commissione e il governo giapponese hanno prorogato i detti accordi fino al 31 dicembre 1990.

300
La Dalmine ritiene, inoltre, che il periodo dell’infrazione sia terminato verso la fine del 1994, dopo i primi accertamenti effettuati dalla Commissione nel dicembre 1994. Essa afferma di non aver mai partecipato successivamente a riunioni con i produttori giapponesi.

301
In ogni caso, i vizi del procedimento amministrativo osterebbero alla constatazione di un’infrazione in capo alla ricorrente dopo gli accertamenti del 1º e 2 dicembre 1994.

302
Di conseguenza, la durata dell’infrazione imputabile alla Dalmine dovrebbe essere ridotta a meno di quattro anni, cioè al periodo compreso tra il 1º gennaio 1991 e il 2 dicembre 1994. Secondo gli orientamenti per il calcolo delle ammende, si tratterebbe di un’infrazione di durata media, che può dar luogo ad una maggiorazione del 10% annuo, ovvero del 30% in totale. La Dalmine chiede quindi al Tribunale di ricalcolare l’importo dell’ammenda inflittale.

303
La Commissione fa presente che, ai sensi degli orientamenti per il calcolo delle ammende, per le infrazioni la cui durata è compresa tra uno e cinque anni (durata «media»), essa può aumentare l’importo di base dell’ammenda fino al 50%. Riguardo all’inizio dell’infrazione oggetto del caso di specie, essa si limita ad affermare di averla constatata a partire dal 1990 incluso.

304
Riguardo alla fine dell’infrazione, la Commissione insiste sul fatto che, nella dichiarazione del 17 settembre 1996, il sig. Verluca ha ammesso che i contatti con le imprese giapponesi erano cessati da poco più di un anno (punto 142 della decisione impugnata). Poiché gli accertamenti sono stati effettuati nel dicembre 1994, la Commissione avrebbe correttamente fissato ad almeno 5 anni la durata dell’infrazione commessa dalla Dalmine, dal 1990 al 1994 inclusi.

Giudizio del Tribunale

305
Si deve rilevare innanzi tutto che la Commissione ha constatato, al punto 108 della decisione impugnata, che essa avrebbe potuto accertare l’esistenza dell’infrazione già nel 1977, ma che ha preferito non farlo in quanto esistevano accordi di autolimitazione. Così, all’art. 1 della decisione impugnata, essa ha accertato l’esistenza dell’infrazione solamente a partire dal 1990. È giocoforza constatare che ciò costituisce una concessione della Commissione alle imprese destinatarie della decisione impugnata.

306
È importante notare che nessuna delle parti ha sostenuto dinanzi al Tribunale che tale concessione andasse rimessa in discussione nella presente controversia. Di conseguenza, l’esame del Tribunale nell’ambito del presente procedimento non deve vertere sulla legittimità o sull’opportunità della detta concessione, bensì soltanto sulla questione se la Commissione, avendola fatta espressamente nella motivazione della decisione impugnata, l’abbia applicata correttamente nella fattispecie. Si deve ricordare al riguardo che la Commissione deve apportare prove precise e concordanti per corroborare la ferma convinzione che l’infrazione dedotta sia stata commessa, visto che è ad essa che incombe l’onere di provare l’esistenza dell’infrazione e, pertanto, la sua durata (sentenze della Corte 28 marzo 1984, cause riunite 29/83 e 30/83, CRAM e Rheinzink/Commissione, Racc. pag. 1679, punto 20, e 31 marzo 1993, cause riunite C‑89/85, C‑104/85, C‑114/85, C‑116/85, C‑117/85 e da C‑125/85 a C‑129/85, Ahlström Osakeytiö e a./Commissione, detta «Pasta di legno II», Racc. pag. I‑1307, punto 127; sentenze del Tribunale 10 marzo 1992, cause riunite T‑68/89, T‑77/89 e T‑78/89, SIV e a./Commissione, Racc. pag. II‑1403, punti 193-195, 198-202, 205-210, 220‑232, 249, 250 e 322-328, e 6 luglio 2000, causa T‑62/98, Volkswagen/Commissione, Racc. pag. II‑2707, punti 43 e 72).

307
Quindi, la concessione sopra descritta fa della pretesa cessazione degli accordi di autolimitazione il criterio determinante per valutare se dichiarare accertata l’infrazione per il 1990. Siccome si tratta di accordi conclusi a livello internazionale tra il governo giapponese, rappresentato dal Ministero internazionale giapponese del Commercio e dell’Industria, e la Comunità, rappresentata dalla Commissione, si deve affermare che quest’ultima avrebbe dovuto conservare la documentazione comprovante la data in cui i detti accordi hanno perso vigore, così come prescrive il principio di buon andamento dell’amministrazione. Essa dovrebbe pertanto essere in grado di produrre questa documentazione dinanzi al Tribunale. La Commissione ha tuttavia affermato, dinanzi al Tribunale, di aver effettuato ricerche nei propri archivi, ma di non aver potuto reperire documenti attestanti la data di cessazione dei detti accordi.

308
Se, in generale, un ricorrente non può trasferire l’onere probatorio al convenuto avvalendosi di circostanze che non è in grado di provare, nel caso di specie la nozione di onere probatorio può essere applicata alla Commissione per quanto riguarda la data di cessazione degli accordi internazionali da essa conclusi. L’inspiegabile incapacità della Commissione a produrre elementi probatori relativi ad una circostanza che la riguarda direttamente impedisce al Tribunale di statuire con cognizione di causa sulla data di cessazione. Sarebbe contrario al principio di retta amministrazione della giustizia far sopportare le conseguenze di tale incapacità della Commissione alle imprese destinatarie della decisione impugnata le quali, a differenza dell’istituzione convenuta, non erano in condizione di apportare la prova mancante.

309
Alla luce di ciò, si deve osservare, eccezionalmente, che incombeva alla Commissione l’onere di provare la data di cessazione. Orbene, è giocoforza constatare che la Commissione non ha apportato la prova della data in cui gli accordi di autolimitazione hanno perso vigore, né nella decisione impugnata né dinanzi al Tribunale.

310
In ogni caso, le ricorrenti giapponesi hanno dedotto elementi probatori che attestano il rinnovo degli accordi di autolimitazione fino al 31 dicembre 1990, se non altro a livello giapponese, il che corrobora la tesi della ricorrente nel presente procedimento (sentenza JFE Engineering e a./Commissione, cit. nel precedente punto 111, punto 345). Si deve affermare che il Tribunale, nelle cause riunite in cui ogni parte ha avuto occasione di consultare l’insieme dei fascicoli, può tener conto d’ufficio degli elementi probatori risultanti dai fascicoli delle cause parallele (v., in tal senso, sentenze del Tribunale 13 dicembre 1990, causa T‑113/89, Nefarma e Bond van Groothandelaren in het Farmaceutische Bedrijf/Commissione, Racc. pag. II‑797, punto 1, e causa T‑116/89, Prodifarma e a./Commissione, Racc. pag. II‑843, punto 1). Orbene, nella fattispecie il Tribunale è indotto a pronunciarsi su cause riunite ai fini della trattazione orale aventi ad oggetto una medesima decisione d’infrazione e in cui tutte le ricorrenti hanno chiesto la riduzione dell’importo delle ammende cui sono state condannate. Così, il Tribunale è ufficialmente a conoscenza, nella presente controversia, degli elementi probatori prodotti dalle quattro ricorrenti giapponesi.

311
Si deve rilevare, peraltro, che la Dalmine chiede al Tribunale non soltanto di annullare la decisione impugnata relativamente alla durata dell’infrazione constatata al suo art. 1, ma anche di ridurre, nell’esercizio della sua competenza estesa anche al merito, sancita, in conformità all’art. 229 CE, dall’art. 17 del regolamento n. 17, l’importo dell’ammenda ad essa inflitta in considerazione di tale minor durata. Detta competenza implica che il Tribunale, allorché riforma l’atto impugnato modificando l’importo delle ammende inflitte dalla Commissione, deve tener conto di tutti gli elementi di fatto rilevanti (sentenza Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, cit. nel precedente punto 282, punto 692). Alla luce di ciò e dal momento che tutte le ricorrenti hanno contestato il fatto che la Commissione ha considerato accertata l’infrazione dal 1° gennaio 1990, non sarebbe congruo che il Tribunale valuti isolatamente la situazione delle varie ricorrenti nelle circostanze di specie limitandosi ai soli elementi di fatto di cui esse hanno scelto di avvalersi per perorare la propria causa, trascurando quelli che altre ricorrenti o la Commissione abbiano potuto invocare.

312
Peraltro né la Dalmine né, a maggior ragione, la Commissione hanno preteso che gli accordi di autolimitazione fossero ancora in vigore nel 1991.

313
Occorre perciò considerare, ai fini del presente procedimento, che gli accordi di autolimitazione conclusi tra la Commissione e le autorità giapponesi sono rimasti in vigore nel corso del 1990.

314
Da quanto precede risulta che, alla luce della concessione fatta dalla Commissione nella decisione impugnata, la durata dell’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata dev’essere ridotta di un anno. Così, il detto art. 1 dev’essere annullato nella parte in cui afferma l’esistenza dell’infrazione contestata alla Dalmine per il periodo anteriore al 1° gennaio 1991.

315
Per quanto riguarda la data di cessazione dell’infrazione, occorre osservare che in udienza, in risposta ad un quesito del Tribunale, la Commissione ha precisato che, nella decisione impugnata, l’anno 1995 non è stato preso in considerazione ai fini del calcolo dell’importo delle ammende. La Dalmine ha poi dichiarato di accettare quest’interpretazione della decisione impugnata.

316
Di conseguenza, l’unico disaccordo tra le parti della presente controversia attiene alla questione se la Commissione potesse dichiarare accertata l’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata successivamente alle ispezioni, vale a dire dopo il 1° e il 2 dicembre 1994. Orbene, è stato statuito in precedenza, al punto 112, che l’argomentazione della Dalmine riguardo all’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata è inconferente, in quanto la detta infrazione è durata solo una trentina di giorni dopo gli accertamenti. In ogni caso, quand’anche gli argomenti della Dalmine in merito fossero fondati, non sarebbe necessario rettificare l’importo della sua ammenda per tener conto di una differenza di durata tanto insignificante.

317
Ne discende che si deve dichiarare che l’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata è durata 4 anni, dal 1° gennaio 1991 al 1° gennaio 1995. In considerazione di questa circostanza si deve allora ridurre l’importo dell’ammenda inflitta alla Dalmine.

3. Sull’omessa considerazione di alcune circostanze attenuanti

Argomenti delle parti

318
La Dalmine censura la Commissione per non aver preso in considerazione circostanze attenuanti che giustificavano una riduzione dell’importo dell’ammenda. È vero che la Commissione avrebbe tenuto conto, a titolo di circostanza attenuante, della situazione di crisi dell’industria siderurgica e avrebbe per questo diminuito l’importo dell’ammenda del 10%. Altre circostanze avrebbero tuttavia giustificato una diminuzione più rilevante dell’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente.

319
La Dalmine fa valere precisamente il suo ruolo minore ed esclusivamente passivo nell’infrazione, gli scarsi effetti di questa nonché la sua immediata cessazione a partire dai primi accertamenti della Commissione, il 1º e il 2 dicembre 1994. Essa sostiene inoltre che, tenuto conto della struttura del mercato e della concorrenza che regnava sia sul mercato italiano che in tutta la Comunità, non la si potrebbe accusare di aver commesso un’infrazione intenzionalmente.

320
Non essendosi tenuto conto di tali elementi, l’importo dell’ammenda irrogata sarebbe manifestamente sproporzionato rispetto alla partecipazione della ricorrente all’infrazione. La Dalmine fa valere che l’importo di base dell’ammenda equivale al 16% del prodotto totale delle sue vendite dei prodotti in questione nel 1998 (179,5 miliardi di lire italiane) sul mercato mondiale, al 38% di quelle effettuate sul mercato comunitario e al 95% di quelle realizzate durante il periodo dell’infrazione in Germania, in Francia, in Italia e nel Regno Unito.

321
Secondo la Commissione, il fatto di aver posto fine ai comportamenti illeciti in seguito alle prime ispezioni non è una circostanza attenuante. Il ruolo secondario e la pretesa autonomia della ricorrente in seno al cartello, poi, non sarebbero per nulla rilevanti.

322
La Dalmine non potrebbe, invero, attenuare la sua responsabilità facendo valere quella delle altre destinatarie della decisione impugnata. Essa non si sarebbe mai dissociata apertamente dal cartello, né si sarebbe limitata ad un ruolo passivo. Al contrario, avrebbe proposto di risolvere «a livello europeo» le questioni sollevate dal ritiro dal mercato della Corus.

323
La Commissione afferma che l’intenzionalità dell’infrazione imputata alla Dalmine è incontestabile. Non sarebbe necessario provare che la ricorrente fosse consapevole di violare l’art. 81, n. 1, CE. Al contrario, basterebbe dimostrare che essa non poteva ignorare che il comportamento in questione avesse ad oggetto la restrizione della concorrenza (sentenze della Corte 11 luglio 1989, causa 246/86, Belasco e a./Commissione, Racc. pag. 2117, punto 41, e 1º febbraio 1978, causa 19/77, Miller, Racc. pag. 131). Sarebbe inverosimile che un’impresa come la Dalmine possa non essere stata consapevole delle regole più elementari vigenti in materia di divieto di pratiche restrittive della concorrenza (v., al riguardo, il punto 1, parte A, degli orientamenti per il calcolo delle ammende).

Giudizio del Tribunale

324
Si deve ricordare innanzi tutto che nella fattispecie la Commissione ha accordato una riduzione del 10% dell’importo dell’ammenda a motivo di una circostanza attenuante, cioè la situazione di crisi dell’industria siderurgica all’epoca dei fatti.

325
Occorre ricordare, poi, che nel fissare l’importo delle ammende la Commissione deve conformarsi al tenore dei suoi propri orientamenti. Tali orientamenti non indicano, tuttavia, che la Commissione debba sempre considerare singolarmente ciascuna delle circostanze attenuanti enumerate al punto 3. Infatti, il detto punto, intitolato «Circostanze attenuanti», prevede la «riduzione dell’importo di base per circostanze attenuanti quali: (…)». Occorre considerare che, sebbene le circostanze elencate al punto 3 degli orientamenti per il calcolo delle ammende siano senz’altro tra quelle che possono essere prese in considerazione dalla Commissione in un determinato caso, quest’ultima non è obbligata ad accordare un’ulteriore riduzione a tale titolo in maniera automatica ogni qual volta un’impresa avanza elementi indicanti il verificarsi di tali circostanze. Invero l’adeguatezza di un’eventuale riduzione dell’ammenda a titolo di circostanze attenuanti dev’essere valutata tenendo complessivamente conto di tutte le circostanze rilevanti.

326
In proposito occorre ricordare, infatti, la giurisprudenza anteriore all’adozione degli orientamenti per il calcolo delle ammende secondo la quale la Commissione dispone di un potere discrezionale che le permette di prendere o no in considerazione alcuni elementi allorché fissa l’importo delle ammende che intende infliggere, in funzione soprattutto delle circostanze di specie (v., in tal senso, ordinanza SPO e a./Commissione, cit. nel precedente punto 282, punto 54, e sentenze Ferriere Nord/Commissione, cit. nel precedente punto 282, punti 32 e 33, e Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, cit. nel precedente punto 282, punto 465; v., anche, in tal senso, sentenza KNP BT/Commissione, cit. nel precedente punto 282, punto 68). Così, in mancanza di un’indicazione imperativa negli orientamenti riguardo alle circostanze attenuanti che possono essere prese in considerazione, si deve rilevare che la Commissione ha conservato un certo potere discrezionale per valutare in maniera globale l’importanza di un’eventuale riduzione dell’importo delle ammende a titolo di circostanze attenuanti.

327
In ogni caso, è sufficiente osservare, per quanto riguarda l’argomentazione della Dalmine relativa al suo ruolo minore e passivo nell’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata nonché alla sua pretesa autonomia d’azione, che una risposta in merito è già stata fornita nei precedenti punti 280‑297. Allo stesso modo le censure vertenti sull’esiguità degli effetti di questa infrazione e sull’inadeguatezza dell’ammenda in generale sono state già esaminate ai punti 258‑272.

328
Quanto all’argomento relativo alla cessazione immediata dell’infrazione, si deve sottolineare che l’«aver posto fine alle attività illecite sin dai primi interventi della Commissione», di cui al punto 3 degli orientamenti per il calcolo delle ammende, può logicamente costituire una circostanza attenuante solo se esistono motivi per supporre che le imprese in causa siano state incitate a porre fine ai loro comportamenti anticoncorrenziali dagli interventi in questione. Infatti è evidente che la finalità di questa disposizione è di incoraggiare le imprese a porre termine ai loro comportamenti anticoncorrenziali non appena la Commissione apra un’indagine al riguardo.

329
Da quanto precede risulta, in particolare, che una riduzione dell’importo dell’ammenda a tale titolo non può essere applicata nel caso in cui l’infrazione sia già terminata anteriormente ai primi interventi della Commissione o nel caso in cui una decisione definitiva di porvi fine sia già stata adottata dalle imprese interessate prima della detta data.

330
Invero, l’applicazione di una riduzione in tali circostanze si cumulerebbe con la valutazione, prevista dagli orientamenti per il calcolo delle ammende, della durata delle infrazioni ai fini del calcolo delle ammende. Tale valutazione risponde precisamente allo scopo di sanzionare le imprese che infrangono le regole sulla concorrenza per parecchio tempo con maggior severità delle imprese autrici di infrazioni di breve durata. Così, la riduzione dell’importo di un’ammenda perché un’impresa ha cessato i suoi comportamenti illeciti prima che la Commissione intraprendesse le sue verifiche finirebbe con il favorire una seconda volta i responsabili delle infrazioni di breve durata.

331
Nella fattispecie si deve osservare che, nella sentenza JFE Engineering e a./Commissione, cit. nel precedente punto 111, il Tribunale ha dichiarato, alla luce dei motivi e degli argomenti dedotti dalle ricorrenti nelle dette cause, che non si poteva constatare l’esistenza di un’infrazione a loro carico dopo il 1° luglio 1994 perché non esistevano prove dello svolgimento di una riunione del club Europa‑Giappone nell’autunno 1994 in Giappone, come era stato fatto fino ad allora. Se ne inferisce che l’infrazione era probabilmente già cessata o almeno stava per cessare allorquando la Commissione, nei giorni 1° e 2 dicembre 1994, ha proceduto alle ispezioni.

332
Di conseguenza, il fatto che i comportamenti illeciti costituenti l’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata non siano continuati dopo le prime ispezioni da parte della Commissione non giustifica una riduzione dell’ammenda inflitta alla Dalmine nelle circostanze del caso di specie.

333
Quanto agli argomenti della Dalmine secondo i quali essa non avrebbe commesso deliberatamente l’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata, si deve osservare che la Commissione ha dimostrato che essa ha aderito ad un accordo dall’oggetto anticoncorrenziale. Orbene, nel caso di un accordo finalizzato a restringere la concorrenza, la partecipazione ad esso di un’impresa non può che essere intenzionale, a prescindere da qualsiasi possibile considerazione di ordine strutturale. D’altro canto, secondo la giurisprudenza, le imprese non possono giustificare la loro partecipazione ad un’infrazione delle regole sulla concorrenza sostenendo di esservi state indotte dal comportamento di altri operatori economici (v., in tal senso, sentenza «Cemento», cit. nel precedente punto 44, punto 2257). La Dalmine non può, allora, appellarsi alla struttura del mercato o al comportamento delle sue concorrenti per discolparsi nella fattispecie.

334
Alla luce di tutto ciò, e atteso che la Commissione ha già ridotto le ammende per tener conto della circostanza attenuante costituita dalla situazione di crisi economica nel settore dei tubi di acciaio (punti 168 e 169 della decisione impugnata), vanno respinte tutte le censure della Dalmine vertenti sulla mancata ulteriore riduzione dell’ammenda a titolo di altre pretese circostanze attenuanti.

4. Sulla cooperazione della Dalmine durante il procedimento amministrativo

Argomenti delle parti

335
La Dalmine asserisce che la Commissione non ha rispettato la comunicazione sulla cooperazione. Essa sostiene che la Commissione ha violato il principio della parità di trattamento nei suoi confronti. Ritenendo di trovarsi in una situazione paragonabile a quella della Vallourec, la Dalmine rimprovera alla Commissione di non averle accordato una diminuzione dell’importo dell’ammenda per la sua collaborazione all’indagine.

336
Essa ricorda in particolare che il 4 aprile 1997, in risposta ai quesiti della Commissione durante i suoi primi accertamenti, aveva dichiarato alla detta istituzione che: «[I fundamentals] poss[o]no riflettere la posizione dell’industria comunitaria dei tubi in acciaio senza saldatura (...) Questa posizione si è sviluppata su due linee: attuazione di un processo di razionalizzazione (...); contatti con l’industria giapponese la cui capacità produttiva superava la domanda. I contatti si riferivano all’esportazione di tubi (specialmente quelli per l’industria petrolifera) in aree diverse dalla CE (quali Russia e Cina) e volgevano anche a limitare l’esportazione di tubi alla CE in seguito alla chiusura degli impianti di [Corus] e quindi a proteggere l’industria comunitaria dei tubi senza saldatura» (allegato 3 al ricorso e punto 65 della decisione impugnata).

337
Tali informazioni dimostrerebbero la portata della sua collaborazione all’indagine. Nessuna considerazione obiettiva consentirebbe di giustificare una disparità di trattamento tra la Vallourec e la Dalmine al riguardo.

338
La Commissione respinge le dette affermazioni e rinvia ai motivi enunciati ai punti 172 e 173 della decisione impugnata per non concedere una riduzione supplementare dell’importo dell’ammenda. Essa ricorda, infatti, che una tale riduzione può essere concessa solo alle imprese che con la loro attiva collaborazione abbiano facilitato l’accertamento dell’infrazione (sentenza SCA Holding/Commissione, cit. nel precedente punto 277, punto 156). La cooperazione della Dalmine non sarebbe stata determinante per l’indagine, poiché tale impresa si sarebbe limitata a non contestare i fatti materiali accertati dalla Commissione.

339
Il comportamento della Vallourec non può essere paragonato a quello della Dalmine. La Vallourec sarebbe stata la sola impresa a comunicare elementi sostanziali sull’esistenza e sul contenuto dell’intesa sanzionata. Tali elementi avrebbero facilitato considerevolmente il compito della Commissione riguardo all’accertamento delle infrazioni.

Giudizio del Tribunale

340
Secondo una consolidata giurisprudenza, la Commissione non può, nell’ambito della valutazione della cooperazione fornita dalle imprese, violare il principio della parità di trattamento, principio generale del diritto comunitario che, sempre per consolidata giurisprudenza, è trasgredito tutte le volte in cui situazioni analoghe sono trattate in maniera differenziata o situazioni diverse sono trattate in maniera identica, a meno che un tale trattamento non sia giustificato da ragioni oggettive (sentenza del Tribunale 13 dicembre 2001, cause riunite T‑45/98 e T‑47/98, Krupp Thyssen Stainless e Acciai speciali Terni/Commissione, Racc. pag. II‑3757, punto 237 e giurisprudenza ivi citata).

341
Si deve anche ricordare che, per giustificare la riduzione dell’importo di un’ammenda a titolo di cooperazione, il comportamento di un’impresa deve agevolare il compito della Commissione consistente nell’accertare e reprimere infrazioni alle norme comunitarie sulla concorrenza (sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑347/94, Mayr-Melnhof/Commissione, Racc. pag. II‑1751, punto 309 e giurisprudenza ivi citata)

342
Occorre ricordare nella fattispecie che le dichiarazioni del sig. Verluca, rese nella sua qualità di rappresentante della Vallourec in risposta ai quesiti ad essa posti dalla Commissione, sono elementi probatori di primaria importanza nel fascicolo della presente controversia.

343
Certo, qualora le imprese forniscano alla Commissione, al medesimo stadio del procedimento amministrativo e in circostanze analoghe, informazioni di ugual tipo concernenti i fatti loro addebitati, le loro attività di cooperazione devono essere ritenute di livello equivalente (v., per analogia, sentenza Krupp Thyssen Stainless e Acciai speciali Terni/Commissione, cit. nel precedente punto 340, punti 243 e 245).

344
Le risposte ai quesiti fornite dalla Dalmine, sebbene siano state di una certa utilità per la Commissione, non fanno che confermare, tuttavia in maniera meno precisa ed esplicita, alcune informazioni già fornite dalla Vallourec mediante le dichiarazioni del sig. Verluca.

345
Si deve pertanto considerare che le informazioni fornite alla Commissione dalla Dalmine prima dell’invio della CdA non possono essere paragonate a quelle fornite dalla Vallourec e non sono sufficienti a giustificare una riduzione dell’ammenda della Dalmine superiore al 20% già accordatole a titolo di mancata contestazione dei fatti. Invero, anche se tale mancata contestazione dei fatti ha potuto facilitare notevolmente il lavoro della Commissione, non è stato così per quanto concerne le informazioni fornite dalla Dalmine prima dell’emissione della CdA.

346
Ne consegue che il presente motivo dev’essere respinto.


Sul calcolo dell’ammenda

347
Da quanto precede risulta che l’ammenda inflitta alla Dalmine dev’essere ridotta in quanto la durata dell’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata è fissata, nel presente giudizio, a quattro anni anziché a cinque.

348
Il metodo di calcolo dell’importo delle ammende stabilito negli orientamenti e seguito dalla Commissione nel caso di specie non è di per sé in contestazione, sicché il Tribunale, nell’esercizio della sua competenza estesa anche al merito, intende applicarlo alla luce della conclusione svolta al punto precedente.

349
Così, l’importo di base dell’ammenda è fissato a 10 milioni di euro, maggiorato del 10% per ogni anno di infrazione, ossia in totale del 40%, per cui si giunge ad un importo di 14 milioni di euro. Detto importo deve poi essere ridotto del 10% a titolo di circostanze attenuanti, conformemente ai punti 168 e 169 della decisione impugnata, e poi del 20% a titolo di cooperazione, per un importo finale, per la Dalmine, di EUR 10 080 000 anziché di EUR 10 800 000.


Sulle spese

350
Ai sensi dell’art. 87, n. 3, del regolamento di procedura, il Tribunale può ripartire le spese o decidere che ciascuna parte sopporti le proprie spese se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi di domanda. Poiché nel caso di specie ciascuna parte è risultata effettivamente soccombente su uno o più capi di domanda, si deve statuire che la ricorrente e la Commissione sopporteranno ciascuna le proprie spese.


Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

dichiara e statuisce:

1)
L’art. 1, n. 2, della decisione della Commissione 8 dicembre 1999, 2003/382/CE, relativa ad un procedimento d’applicazione dell’articolo 81 CE (Caso IV/E‑1/35.860‑B Tubi d’acciaio senza saldatura), è annullato nella parte in cui accerta in capo alla ricorrente l’esistenza dell’infrazione sanzionata da tale disposizione anteriormente al 1º gennaio 1991.

2)
L’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente all’art. 4 della decisione 2003/382 è fissato a EUR 10 080 000.

3)
Per il resto il ricorso è respinto.

4)
La ricorrente e la Commissione sopporteranno ciascuna le proprie spese.

Forwood

Pirrung

Meij

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo l'8 luglio 2004.

Il cancelliere

Il presidente

H. Jung

J. Pirrung

Indice

Fatti e procedimento

    Procedimento amministrativo

    Prodotti in questione

    Infrazioni constatate dalla Commissione nella decisione impugnata

    Fatti salienti constatati dalla Commissione nella decisione impugnata

    Dispositivo della decisione impugnata

    Procedimento dinanzi al Tribunale

Conclusioni delle parti

Sulla domanda di annullamento della decisione impugnata

    1.  Sui motivi attinenti alla violazione delle forme sostanziali nel corso del procedimento amministrativo

        Sulla legittimità dei quesiti posti dalla Commissione in sede di accertamenti

                –  Argomenti delle parti

            Giudizio del Tribunale

    Sulla concordanza tra la CdA e la decisione impugnata relativamente agli elementi probatori dedotti

        Argomenti delle parti

        Giudizio del Tribunale

    Sull’ammissibilità di alcuni elementi probatori

        Sul documento «Sharing key»

            – Argomenti delle parti

            – Giudizio del Tribunale

        Sui verbali degli interrogatori degli ex dirigenti della Dalmine

            – Argomenti delle parti

            – Giudizio del Tribunale

    Sulla legittimità della decisione di accertamento della Commissione 25 novembre 1994

            Argomenti delle parti

            Giudizio del Tribunale

    Sulla consultazione del fascicolo

        Argomenti delle parti

            Giudizio del Tribunale

    2.  Sui motivi di merito

        Sui motivi ultronei della decisione impugnata

            Argomenti delle parti

        Giudizio del Tribunale

    Sull’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata (club Europa‑Giappone)

        Sui motivi attinenti all’analisi del mercato rilevante e del comportamento su quest’ultimo delle destinatarie della decisione impugnata

            – Argomenti delle parti

            – Giudizio del Tribunale

        Sulla partecipazione della Dalmine all’infrazione

            – Argomenti delle parti

            – Giudizio del Tribunale

    Sull’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata

        Sulle clausole del contratto di fornitura concluso tra la Corus e la Dalmine

            – Argomenti delle parti

            – Giudizio del Tribunale

        Sui motivi attinenti all’esistenza di un’intesa e alla partecipazione alla stessa della Dalmine

            – Argomenti delle parti

            – Giudizio del Tribunale

        Sui motivi attinenti al mercato rilevante e al rapporto esistente con l’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata

            – Argomenti delle parti

            – Giudizio del Tribunale

Sulla domanda di annullamento dell’ammenda ovvero di riduzione del suo importo

    1.  Sulla gravità dell’infrazione

    Sulla definizione del mercato rilevante e sugli effetti dell’infrazione

        Argomenti delle parti

        Giudizio del Tribunale

    Sulla valutazione del comportamento individuale delle imprese e sulla mancata distinzione tra le stesse in funzione delle loro dimensioni

        Argomenti delle parti

        Giudizio del Tribunale

    2.  Sulla durata dell’infrazione

    Argomenti delle parti

    Giudizio del Tribunale

    3.  Sull’omessa considerazione di alcune circostanze attenuanti

    Argomenti delle parti

    Giudizio del Tribunale

    4.  Sulla cooperazione della Dalmine durante il procedimento amministrativo

    Argomenti delle parti

    Giudizio del Tribunale

Sul calcolo dell’ammenda

Sulle spese



1
Lingua processuale: l'italiano.