Language of document : ECLI:EU:T:2017:712

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Settima Sezione)

10 ottobre 2017 (*)

«Dumping – Importazioni di biciclette spedite dalla Cambogia, dal Pakistan e dalle Filippine – Estensione a tali importazioni del dazio antidumping definitivo istituito sulle importazioni di biciclette originarie della Cina – Regolamento di esecuzione (UE) 2015/776 – Articolo 13, paragrafo 2, lettere a) e b), del regolamento (CE) n. 1225/2009 – Operazioni di assemblaggio – Provenienza e origine dei pezzi di biciclette – Certificati di origine – Insufficiente valore probatorio – Costi di fabbricazione dei pezzi di biciclette»

Nella causa T‑435/15,

Kolachi Raj Industrial (Private) Ltd, con sede in Karachi (Pakistan), rappresentata da P. Bentley, QC,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata da J.-F. Brakeland, M. França e A. Demeneix, in qualità di agenti,

convenuta,

sostenuta da

European Bicycle Manufacturers Association (EBMA), rappresentata da L. Ruessmann, avvocato, e J. Beck, solicitor,

interveniente,

avente ad oggetto una domanda fondata sull’articolo 263 TFUE e diretta all’annullamento del regolamento di esecuzione (UE) 2015/776 della Commissione, del 18 maggio 2015, che estende il dazio antidumping definitivo istituito dal regolamento (UE) n. 502/2013 del Consiglio sulle importazioni di biciclette originarie della Repubblica popolare cinese alle importazioni di biciclette spedite dalla Cambogia, dal Pakistan e dalle Filippine, indipendentemente dal fatto che siano o no dichiarate originarie della Cambogia, del Pakistan e delle Filippine (GU 2015, L 122, pag. 4), nella parte in cui riguarda la ricorrente,

IL TRIBUNALE (Settima Sezione),

composto da V. Tomljenović, presidente, A. Marcoulli e A. Kornezov (relatore), giudici,

cancelliere: C. Heeren, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 17 maggio 2017,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        Con il regolamento (CEE) n. 2474/93, dell’8 settembre 1993, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni nella Comunità di biciclette originarie della Repubblica popolare cinese e che decide la riscossione definitiva del dazio antidumping provvisorio (GU 1993, L 228, pag. 1), il Consiglio dell’Unione europea ha istituito un dazio antidumping definitivo pari al 30,6% sulle importazioni di biciclette originarie della Cina.

2        A seguito di un riesame in previsione della scadenza delle misure a norma dell’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 384/96 del Consiglio, del 22 dicembre 1995, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU 1996, L 56, pag. 1), il Consiglio, con il regolamento (CE) n. 1524/2000, del 10 luglio 2000, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di biciclette originarie della Repubblica popolare cinese (GU 2000, L 175, pag. 39), ha deciso che il dazio antidumping di cui sopra dovesse essere mantenuto.

3        Sulla base di un riesame intermedio in forza dell’articolo 11, paragrafo 3, del regolamento n. 384/96, il Consiglio, con il regolamento (CE) n. 1095/2005, del 12 luglio 2005, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di biciclette originarie del Vietnam e modifica il regolamento n. 1524/2000 (GU 2005, L 183, pag. 1), ha aumentato il dazio antidumping sulle importazioni di biciclette originarie della Cina portandolo al 48,5%.

4        Il Consiglio, con il regolamento di esecuzione (UE) n. 990/2011, del 3 ottobre 2011, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di biciclette originarie della Repubblica popolare cinese a seguito di un riesame in previsione della scadenza a norma dell’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1225/2009 (GU 2011, L 261, pag. 2), ha deciso di mantenere il dazio antidumping in vigore al 48,5%.

5        Nel maggio 2013, a seguito di un riesame intermedio a norma dell’articolo 11, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 1225/2009 del Consiglio, del 30 novembre 2009, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU 2009, L 343, pag. 51, rettifica in GU 2010, L 7, pag. 22; in prosieguo: il «regolamento di base»), allora in vigore, il Consiglio ha adottato il regolamento (UE) n. 502/2013, del 29 maggio 2013, recante modifica del regolamento di esecuzione n. 990/2011 (GU 2013, L 153, pag. 17), e ha deciso che il dazio antidumping in vigore al 48,5% dovesse essere mantenuto, fatta eccezione per le biciclette esportate da tre imprese, alle quali sono state attribuite aliquote di dazio individuali.

6        A seguito di un’inchiesta antielusione a norma dell’articolo 13 del regolamento di base, il Consiglio ha adottato il regolamento di esecuzione (UE) n. 501/2013, del 29 maggio 2013, che estende il dazio antidumping definitivo istituito dal regolamento di esecuzione (UE) n. 990/2011 sulle importazioni di biciclette originarie della Repubblica popolare cinese alle importazioni di biciclette spedite dall’Indonesia, dalla Malaysia, dallo Sri Lanka e dalla Tunisia, indipendentemente dal fatto che siano o no dichiarate originarie dell’Indonesia, della Malaysia, dello Sri Lanka e della Tunisia (GU 2013, L 153, pag. 1).

7        Dopo aver ricevuto una nuova denuncia nel 2014, relativa, questa volta, alla possibile elusione dei dazi antidumping in cui erano coinvolti produttori esportatori di biciclette stabiliti in Cambogia, in Pakistan e nelle Filippine, la Commissione europea ha adottato il regolamento d’esecuzione (UE) n. 938/2014, del 2 settembre 2014, che apre un’inchiesta relativa alla possibile elusione delle misure antidumping istituite dal regolamento n. 502/2013 del Consiglio sulle importazioni di biciclette originarie della Repubblica popolare cinese mediante importazioni di biciclette spedite dalla Cambogia, dal Pakistan e dalle Filippine, indipendentemente dal fatto che siano o no dichiarate originarie della Cambogia, del Pakistan e delle Filippine, e che dispone la registrazione di tali importazioni (GU 2014, L 263, pag. 5, rettifica in GU 2014, L 341, pag. 31). Nel corso di tale inchiesta, relativa al periodo compreso tra il 1o gennaio 2011 e il 31 agosto 2014 (in prosieguo: il «periodo d’inchiesta»), la ricorrente, Kolachi Raj Industrial (Private) Ltd, società a responsabilità limitata di diritto pakistano, ha ricevuto dalla Commissione un «Formulario per le società richiedenti un’esenzione dall’eventuale estensione dei dazi» (in prosieguo: il «formulario»), che è stato compilato e restituito il 17 ottobre 2014.

8        Dalle indicazioni fornite nel formulario, risultava che la ricorrente acquistava pezzi di bicicletta provenienti dallo Sri Lanka e dalla Cina per l’assemblaggio di biciclette in Pakistan. Dato che la ricorrente non ha precisato che essa fabbricava parti anche in quest’ultimo Stato, la Commissione ha ritenuto che il valore aggiunto ai pezzi originato nell’operazione di assemblaggio o di completamento non superasse il 25% del costo di produzione, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base.

9        La ricorrente ha allegato al formulario la tabella F.2, che elenca tutti gli acquisti di pezzi da essa effettuati durante il periodo compreso tra il 1o settembre 2013 e il 31 agosto 2014 (in prosieguo: il «periodo di riferimento»). Da tale tabella emerge che cinque società sono state designate come le fornitrici della ricorrente, ossia, la Creative Cycles Pvt Ltd, la Great Cycles Pvt Ltd, la Continental Cycles Pvt Ltd, la Kelani Cycles Pvt Ltd e la Flying Horse Pvt Ltd. A tale riguardo, sebbene sia vero che, come afferma la Commissione, la ricorrente ha lasciato in bianco la colonna «collegate o indipendenti» di detta tabella, che permette di stabilire eventuali legami con i suoi fornitori, occorre tuttavia precisare che ha menzionato l’esistenza di legami tra la stessa e la Great Cycles, indicando a pagina 11 del formulario che il suo proprietario e quello della Great Cycles erano un unico soggetto.

10      Il 27 novembre 2014 si è tenuta un’audizione della ricorrente, su sua richiesta, da parte della Commissione, in cui la prima ha fornito varie precisazioni e ha mantenuto la sostanza degli elementi presenti nel formulario, ossia il fatto che, durante il periodo di riferimento, essa effettuava operazioni di assemblaggio di biciclette in Pakistan, ma che meno del 60% del valore delle parti utilizzate in tali operazioni di assemblaggio proveniva dalla Cina e che pertanto le sue operazioni di assemblaggio non costituivano un’elusione delle misure vigenti ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base.

11      In seguito a tale audizione, la Commissione ha formulato una richiesta di informazioni aggiuntive, a cui la ricorrente ha risposto il 16 gennaio 2015, riconoscendo di essere collegata non solo alla Great Cycles, ma anche alla Creative Cycles e alla Continental Cycles e precisando, al punto 2 della sua risposta, di non aver inizialmente menzionato queste ultime due società poiché la prima «aveva cessato la sua attività» e la seconda aveva «già chiuso».

12      Il 17 e il 18 febbraio 2015 è stata effettuata una visita di verifica, non nei locali della ricorrente a Karachi (Pakistan) come inizialmente previsto, ma, per ragioni di sicurezza, in accordo con la ricorrente, nei locali della Great Cycles a Katunayake (Sri Lanka), dove, ai fini della verifica, erano stati portati i documenti contabili. Lo scopo di tale verifica consisteva nel determinare, in particolare, se la proporzione dei pezzi provenienti dalla Cina fosse inferiore al 60% del valore dell’insieme di quelli utilizzati nell’operazione di assemblaggio effettuata in Pakistan dalla ricorrente. La Commissione ha deciso di concentrare la sua inchiesta sui dati relativi a uno dei fornitori della ricorrente, vale a dire la Flying Horse, in base al fatto che la prima acquistava da quest’ultima il 93% dei pezzi di bicicletta utilizzati nelle operazioni di assemblaggio in Pakistan. Dagli elementi presenti nella tabella F.2 è emerso, al riguardo, che detto fornitore non era collegato alla ricorrente e, dagli elementi forniti da quest’ultima durante la verifica in loco, che tale fornitore era un intermediario che acquistava pezzi in numero pressoché uguale in Cina e in Sri Lanka – rispettivamente, il 46% e 47% di tutte le parti di bicicletta utilizzate nelle operazioni di assemblaggio in Pakistan della ricorrente – rivendendole a quest’ultima. Per il resto, la ricorrente si riforniva in via diretta da fornitori dello Sri Lanka e della Cambogia.

13      È emerso che la Flying Horse acquistava un rilevante volume di telai, forcelle, cerchi in lega e ruote in plastica dalla Great Cycles, fabbricante di pezzi di bicicletta stabilita in Sri Lanka, collegata alla ricorrente, come indicato al punto 9 supra. Gli pneumatici e i nastri per i cerchioni, al contrario, venivano acquistati dalla Vechenson Limited, fabbricante di pezzi di bicicletta altresì stabilita in Sri Lanka e non collegata alla ricorrente. La Commissione riconosce che quest’ultima era «un autentico produttore di biciclette» (punto 27 del controricorso). A causa di una serie di anomalie rilevate, come: la presenza di un debito insoluto della ricorrente nella misura di dollari americani (USD) 5 277 325 nei confronti del suo fornitore Flying Horse, cifra corrispondente a più del 90% delle vendite realizzate dalla ricorrente nell’Unione europea durante il periodo di riferimento; la realizzazione, da parte della Flying Horse, di un margine molto variabile nelle sue vendite alla ricorrente alla luce del prezzo fatturato alla Flying Horse da parte della Great Cycles, che andava dalla vendita sottocosto alla vendita con un margine pari a circa il 20%; l’esistenza di una pluralità di fatture, emesse dalla Flying Horse nei confronti della ricorrente o emesse direttamente dalla Great Cycles e indirizzate a quest’ultima, aventi lo stesso numero e riguardanti le stesse quantità e gli stessi importi, la Commissione ha dubitato della relazione tra la ricorrente e detto fornitore.

14      Alla luce delle pratiche di cui trattasi, la Commissione si è interrogata altresì riguardo all’effettiva provenienza dallo Sri Lanka di pezzi di bicicletta dichiarati dalla ricorrente come originari di tale paese. Al riguardo, la ricorrente ha fornito i certificati di origine «modulo A», rilasciati dal Ministero del Commercio della Repubblica democratica socialista dello Sri Lanka, relativi ai pezzi di bicicletta acquistati, con l’intermediazione della Flying Horse, da un lato, dalla Great Cycles e, dall’altro, dalla Vechenson. Nell’ambito della sua inchiesta, la Commissione ha inoltre richiesto che le fossero trasmessi i documenti giustificativi forniti a sostegno della richiesta per l’ottenimento dei certificati di origine «modulo A», domanda a cui la ricorrente ha altresì dato seguito.

15      Inoltre la ricorrente ha trasmesso alla Commissione i certificati di origine «modulo A», nonché i relativi giustificativi, riguardanti, in primo luogo, le esportazioni effettuate dalla Vechenson e, in secondo luogo, quelle realizzate dalla Great Cycles. La Commissione ha accettato i certificati relativi alla Vechenson come prove dell’origine nello Sri Lanka dei pezzi di bicicletta, ma ha respinto quelli relativi alla Great Cycles. Per quanto riguarda questi ultimi certificati di origine «modulo A», la Commissione ha esaminato due dichiarazioni di spesa riguardanti i telai e le forcelle, la prima risalente al 17 dicembre 2012 e la seconda al 12 dicembre 2013. Entrambe recavano il timbro del Ministero del Commercio della Repubblica democratica socialista dello Sri Lanka. Inoltre, la ricorrente ha prodotto le dichiarazioni di spesa riguardanti i cerchi in lega datate 27 giugno 2014. La Commissione, a tal riguardo, ha constatato diverse presunte incoerenze; la prima relativa al fatto che, per determinati tipi di telai e forcelle, mancassero le relative dichiarazioni di spesa; la seconda relativa al fatto che le dichiarazioni in questione non si basassero su costi reali di fabbricazione, ma su una proiezione globale dei costi di fabbricazione validi per un volume di produzione indeterminato su un periodo di circa un anno; la terza relativa alla non coincidenza tra le dimensioni dei telai e forcelle menzionati sui certificati di origine «modulo A» e quelle figuranti sulle dichiarazioni di spesa; la quarta relativa alla differenza tra il valore «free on board» (franco a bordo) presente sui certificati di origine «modulo A» e il valore franco a bordo indicato nella tabella F.2 allegata al formulario, nonché il valore delle diverse fatture esaminate nel corso dell’inchiesta; e, la quinta, relativa alla mancata menzione della Flying Horse nei certificati di origine «modulo A».

16      In tale contesto, la Commissione ha chiesto alla ricorrente, durante la visita di verifica, di fornire elementi di prova riguardanti i costi di fabbricazione dei pezzi lavorati dalla Great Cycles in Sri Lanka durante il periodo di riferimento nel formato della tabella F.4.1 del formulario. Nell’adempiere a tale domanda, la ricorrente ha fornito, nel formato previsto, le informazioni richieste concernenti i costi totali di fabbricazione dell’insieme dei pezzi (telai, forcelle, cerchi in lega e ruote in plastica) prodotti dalla Great Cycles in Sri Lanka durante detto periodo. Sulla base di tali elementi, la Commissione ha calcolato che più del 65% del totale delle materie prime utilizzate per la fabbricazione in Sri Lanka delle parti di bicicletta proveniva dalla Cina, contro il 31% proveniente dallo Sri Lanka, e che meno del 25% del valore ricollegabile allo Sri Lanka era aggiunto a tali materie prime durante il processo di fabbricazione di detti pezzi in Sri Lanka. Essa ne ha concluso che la ricorrente aveva partecipato a operazioni di elusione e il 13 marzo 2015 le ha comunicato tale conclusione.

17      Il 23 marzo 2015 ha avuto luogo l’audizione della ricorrente, su sua richiesta, con il consigliere-auditore.

18      La ricorrente, nelle sue osservazioni scritte del 27 marzo 2015 relative alle conclusioni della Commissione, ha fatto valere che quest’ultima non era legittimata a rimettere in discussione l’origine nello Sri Lanka dei pezzi fornitele dalla Great Cycles, poiché, da un lato, i certificati di origine «modulo A» elaborati dallo Stato dello Sri Lanka attestavano tale origine e, dall’altro, non essendo l’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base una regola relativa all’origine, la Commissione non poteva applicarlo per determinare l’origine dei pezzi lavorati in Sri Lanka.

19      Il 18 maggio 2015, la Commissione ha adottato il regolamento di esecuzione (UE) 2015/776, che estende il dazio antidumping definitivo istituito dal regolamento n. 502/2013 sulle importazioni di biciclette originarie della Repubblica popolare cinese alle importazioni di biciclette spedite dalla Cambogia, dal Pakistan e dalle Filippine, indipendentemente dal fatto che siano o no dichiarate originarie della Cambogia, del Pakistan e delle Filippine (GU 2015, L 122, pag. 4; in prosieguo: il «regolamento impugnato»).

 Il regolamento impugnato

20      Il considerando 13 del regolamento impugnato indica in particolare che, il 23 marzo 2015, nel corso dell’audizione della ricorrente con il consigliere-auditore si sono esaminate le questioni riguardanti il «valore probatorio» dei certificati di origine «modulo A» per i pezzi di bicicletta acquistati presso una società collegata dello Sri Lanka attraverso un operatore commerciale e l’applicazione, «per analogia», dell’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base per i pezzi di bicicletta acquistati in Sri Lanka.

21      Il considerando 22 del regolamento impugnato menziona il fatto che la ricorrente, durante il periodo di riferimento, era l’unica produttrice di biciclette in Pakistan, che aveva compilato il formulario e che la sua produzione rappresentava poco più del 100% del totale delle importazioni di biciclette dal Pakistan nell’Unione. Altresì, il medesimo fa riferimento alla verifica in loco menzionata al punto 12 supra e precisa che si è considerato che la ricorrente abbia collaborato.

22      Al punto 2.5.3 del regolamento impugnato, rubricato «Pakistan», i considerando da 94 a 106 di detto regolamento sono dedicati all’inchiesta della Commissione concernente la ricorrente. Preliminarmente, la Commissione, al considerando 94 del regolamento impugnato, sottolinea che vi erano collegamenti tra la ricorrente e «una società dello Sri Lanka che è stata oggetto della precedente inchiesta antielusione ed è soggetta alle misure estese», aggiungendo che gli azionisti di detta società avevano costituito una società in Cambogia, coinvolta anch’essa nelle esportazioni di biciclette nell’Unione e che «non ha collaborato alla presente inchiesta, pur avendo esportato il prodotto oggetto dell’inchiesta sul mercato dell’Unione nel 2013». Sempre al considerando 94 del regolamento impugnato, la Commissione aggiunge che la società cambogiana ha cessato le sue attività in Cambogia nel corso del periodo di riferimento, trasferendole alla società collegata avente sede in Pakistan.

23      Al considerando 96 del regolamento impugnato, la Commissione sottolinea che dall’inchiesta non sono emerse pratiche di trasbordo di prodotti originari della Cina attraverso il Pakistan e, ai considerando 98 e 99 di detto regolamento, essa espone le anomalie rilevate durante la medesima inchiesta, menzionate ai punti 13 e 15 supra. Essa poi incentra i considerando 100 e 101 del regolamento impugnato sulla questione riguardante il valore probatorio dei certificati di origine «modulo A», nonché sulla quota di materie prime provenienti dalla Cina utilizzate per la fabbricazione di pezzi di biciclette in Sri Lanka. Tali considerando recitano come segue:

«(100) Dopo la divulgazione delle informazioni la [ricorrente] ha contestato la valutazione della Commissione secondo cui i moduli A/certificati di origine presentati in relazione alle parti di biciclette acquistate in Sri Lanka non costituivano prove sufficienti per dimostrare l’origine di tali parti. [La ricorrente] ha sostenuto che le dichiarazioni di spesa sono state elaborate da uno studio di esperti contabili e che gli importatori dovrebbero poter fare affidamento sui moduli A/certificati di origine rilasciati dal dipartimento del Commercio dello Sri Lanka. La società ha confermato che le dichiarazioni di spesa non si basavano sui costi reali di produzione delle parti ma su una semplice proiezione dei costi futuri valida per circa un anno. [La ricorrente] ha inoltre affermato che l’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base non costituiva una regola relativa all’origine e non era quindi applicabile per valutare l’origine delle parti di biciclette acquistate in Sri Lanka.

(101) Come spiegato al considerando 98, i moduli A/certificati di origine non sono stati considerati prove sufficienti per dimostrare l’origine delle parti di biciclette acquistate in Sri Lanka in quanto sono stati rilasciati sulla base non dei costi reali di fabbricazione ma di una proiezione di tali costi per il futuro, senza alcuna garanzia che le parti di biciclette siano state effettivamente fabbricate nel rispetto dei costi previsti. Va inoltre precisato che la Commissione non contesta, in generale, il metodo seguito per il rilascio dei moduli A/certificati di origine nello Sri Lanka, aspetto che va oltre la portata della presente inchiesta, ma valuta semplicemente se le condizioni di cui all’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento di base siano soddisfatte nel caso di specie. In tali circostanze, pur prendendo atto che in effetti l’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base non costituisce in sé una regola relativa all’origine, la Commissione ha concluso a giusto titolo che, poiché le parti in questione erano state fabbricate per oltre il 60% con materie prime cinesi e il valore aggiunto era inferiore al 25% dei costi di produzione, le parti stesse provenissero dalla Cina. Tutte le affermazioni di cui sopra sono state pertanto respinte».

24      Al considerando 104 del regolamento impugnato la Commissione ha dunque ritenuto che dall’inchiesta non sono emerse «altre motivazioni o giustificazioni economiche per le operazioni di assemblaggio se non l’elusione delle misure in vigore nei confronti del prodotto in esame».

25      Nel quadro della prova dell’esistenza di dumping, i considerando da 144 a 147 sono dedicati al metodo utilizzato dalla Commissione, consistente, in un primo tempo, nel determinare il prezzo medio ponderato dell’esportazione applicato durante il periodo di riferimento e, in un secondo tempo, nel compararlo con il valore normale medio ponderato. La Commissione ha concluso per l’esistenza di un «dumping significativo» per quanto riguarda il Pakistan (considerando 147 del regolamento impugnato).

26      Al considerando 163 del regolamento impugnato, che rinvia al considerando 102 di detto regolamento, la Commissione ha escluso la possibilità di esentare la ricorrente dalla eventuale estensione delle misure, poiché, essendo questa «risultata coinvolta in pratiche di elusione (…) non [era] possibile concedere a tale società un’esenzione a norma dell’articolo 13, paragrafo 4, del regolamento di base».

27      Pertanto, all’articolo 1 del regolamento impugnato, la Commissione ha deciso l’estensione del dazio antidumping definitivo del 48,5% applicabile alle importazioni di biciclette originarie dalla Cina, e menzionato al punto 3 supra, alle importazioni di biciclette spedite in particolare dal Pakistan indicando, all’articolo 1, paragrafo 3, di detto regolamento, che il «dazio esteso in virtù del paragrafo 1 del presente articolo viene riscosso sulle importazioni spedite dalla Cambogia, dal Pakistan e dalle Filippine, indipendentemente dal fatto che siano o no dichiarate originarie della Cambogia, del Pakistan e delle Filippine, registrate in conformità dell’articolo 2 del regolamento [di esecuzione] n. 938/2014, dell’articolo 13, paragrafo 3, e dell’articolo 14, paragrafo 5, del regolamento [di base], ad eccezione di quelle prodotte dalle società elencate al paragrafo 1».

 Procedimento e conclusioni delle parti

28      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 29 luglio 2015, la ricorrente ha proposto il ricorso di cui trattasi.

29      La Commissione ha depositato il proprio controricorso presso la cancelleria del Tribunale il 12 ottobre 2015.

30      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 16 novembre 2015, la European Bicycle Manufacturers Association (EBMA) ha chiesto di intervenire a sostegno delle conclusioni della Commissione.

31      Il 7 e il 18 dicembre 2015, la Commissione e, in seguito, la ricorrente, hanno indicato al Tribunale di non avere obiezioni all’intervento di EBMA.

32      Il 18 dicembre 2015, la Commissione ha altresì presentato al Tribunale una domanda di trattamento riservato del controricorso, fornendone una versione non riservata. Lo stesso giorno la ricorrente, da parte sua, ha presentato al Tribunale una richiesta di trattamento riservato degli allegati dell’atto introduttivo e di quelli del controricorso, allegando a tale richiesta una versione non riservata di questi ultimi.

33      Sempre il 18 dicembre 2015, la ricorrente ha depositato la replica presso la cancelleria del Tribunale.

34      Il 25 gennaio 2016, la ricorrente ha trasmesso alla cancelleria del Tribunale una versione non riservata dell’atto introduttivo.

35      Con ordinanza del presidente della Settima Sezione del 9 marzo 2016, la EBMA è stata ammessa a intervenire e sono state accolte le richieste di trattamento riservato presentate dalle parti principali.

36      Il 18 marzo 2016, la Commissione ha depositato la controreplica presso la cancelleria del Tribunale.

37      Con lettera depositata presso la cancelleria del Tribunale il 1o aprile 2016, la ricorrente ha confermato che la controreplica non conteneva dati riservati.

38      Con lettera depositata presso la cancelleria del Tribunale il 4 aprile 2016, l’interveniente ha confermato che non vedeva obiezioni al trattamento riservato dell’atto introduttivo, del controricorso e della replica.

39      Con lettera del 20 aprile 2016, il Tribunale ha invitato le parti principali a presentare le loro osservazioni su un’eventuale sospensione del procedimento a causa dell’esistenza di sei impugnazioni dinanzi alla Corte che sarebbero potute essere pertinenti ai fini della risoluzione della presente controversia.

40      Rispettivamente il 26 aprile e il 10 maggio 2016, la Commissione e la ricorrente hanno risposto, la prima, che tali impugnazioni riguardavano l’ordine di analisi da rispettare per l’interpretazione e l’applicazione dell’articolo 13 del regolamento di base, nonché la corretta ripartizione dell’onere della prova nell’ambito delle inchieste antielusione, questione che non era stata posta nella presente causa e, la seconda, che, alla luce dei motivi delle impugnazioni, queste ultime non apparivano rilevanti ai fini della risoluzione della presente causa.

41      Il 2 maggio 2016 l’interveniente ha depositato presso la cancelleria del Tribunale la memoria d’intervento.

42      Il 26 maggio 2016 il presidente della Settima Sezione ha deciso di non sospendere il procedimento.

43      Il 17 giugno e l’8 luglio 2016 la Commissione e la ricorrente hanno depositato presso la cancelleria del Tribunale le loro rispettive osservazioni sulla memoria d’intervento.

44      A seguito della modifica della composizione delle sezioni del Tribunale, la causa è stata riassegnata a un nuovo giudice relatore della Settima Sezione.

45      La ricorrente chiede sostanzialmente che il Tribunale voglia:

–        annullare il regolamento impugnato nella parte in cui la riguarda;

–        condannare la Commissione alle spese.

46      La Commissione, sostenuta dall’interveniente, chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso in quanto infondato;

–        condannare la ricorrente alle spese.

47      Le parti hanno svolto le loro difese e hanno risposto ai quesiti del Tribunale durante l’udienza del 17 maggio 2017, che si è svolta parzialmente a porte chiuse al fine di interrogare le parti principali sugli allegati contenenti elementi riservati.

48      Durante l’udienza, l’interveniente ha presentato un’osservazione sulla relazione d’udienza, di cui si è preso atto nel verbale d’udienza.

 In diritto

 Sulla ricevibilità del ricorso

49      Senza sollevare formalmente un’eccezione di irricevibilità, la Commissione fa valere che, se «la ricorrente fosse una mera commerciante di biciclette, la riscossione dei dazi in oggetto a decorrere dalla data della registrazione non la riguarderebbe individualmente». Essa ammette, tuttavia, che «nelle particolari circostanze della fattispecie, il ricorso potrebbe essere ricevibile ove i dazi estesi fossero applicati non solo alle biciclette spedite, ma altresì a quelle prodotte dalla ricorrente stessa», e che è «solamente nella sua qualità di (presunta) fabbricante di biciclette che la ricorrente ha partecipato all’inchiesta, e che i suoi dati sono stati utilizzati dall’autorità incaricata della stessa».

50      Il criterio sancito dall’articolo 263, quarto comma, TFUE, che subordina la ricevibilità di un ricorso proposto da una persona fisica o giuridica avverso un atto di cui non è destinataria alla condizione che tale atto la riguardi direttamente e individualmente, costituisce un’eccezione di irricevibilità di ordine pubblico che i giudici dell’Unione possono esaminare in qualsiasi momento, anche d’ufficio (ordinanza del 5 luglio 2001, Conseil national des professions de l’automobile e a./Commissione, C‑341/00 P, EU:C:2001:387, punto 32, e sentenza del 29 novembre 2007, Stadtwerke Schwäbisch Hall e a./Commissione, C‑176/06 P, non pubblicata, EU:C:2007:730, punto 18).

51      A tal proposito, in via preliminare, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, qualsiasi persona fisica o giuridica può proporre‚ alle condizioni previste al primo e secondo comma, un ricorso contro gli atti adottati nei suoi confronti o che la riguardano direttamente e individualmente e contro gli atti regolamentari che la riguardano direttamente e che non comportano alcuna misura d’esecuzione.

52      In primo luogo, è sufficiente rilevare al riguardo che, per quanto riguarda l’incidenza individuale nei confronti della ricorrente, il giudice dell’Unione ha ritenuto che talune disposizioni dei regolamenti che istituiscono o estendono dazi antidumping possono riguardare individualmente quei produttori ed esportatori del prodotto in questione cui venivano imputate le pratiche di dumping sulla base di dati relativi alla loro attività commerciale. Ciò avviene, in generale, per le imprese produttrici ed esportatrici che possono dimostrare di essere state identificate negli atti della Commissione e del Consiglio o coinvolte nelle inchieste preliminari (v., in tal senso, sentenze del 21 febbraio 1984, Allied Corporation e a./Commissione, 239/82 e 275/82, EU:C:1984:68, punto 11, e del 13 settembre 2013, Huvis/Consiglio, T‑536/08, non pubblicata, EU:T:2013:432, punto 25).

53      Alla luce di tale giurisprudenza, si deve constatare non solo che la ricorrente è stata oggetto dell’inchiesta, come ricordato ai punti da 7 a 18 supra, ma altresì che essa è stata identificata, al considerando 22 del regolamento impugnato, come la sola produttrice di biciclette in Pakistan. Inoltre, numerosi altri considerando di detto regolamento menzionano la situazione di fatto e di diritto della ricorrente (v. punti da 21 a 27 supra). È dunque pacifico che il regolamento impugnato riguardi la ricorrente individualmente, anche per quanto riguarda la riscossione del dazio antidumping esteso a decorrere dalla data di registrazione.

54      In secondo luogo, occorre constatare che il regolamento impugnato incide direttamente sulla ricorrente. A tale proposito, è sufficiente constatare che le autorità doganali degli Stati membri sono obbligate a riscuotere i dazi imposti da un regolamento antidumping, senza che sia lasciato loro alcun margine di discrezionalità (v., in tal senso, sentenza del 16 gennaio 2014, BP Products North America/Consiglio, T‑385/11, EU:T:2014:7, punto 72 e giurisprudenza ivi citata).

55      Posto che il regolamento impugnato riguarda direttamente e individualmente la ricorrente, ne consegue che il ricorso diretto all’annullamento del medesimo è ricevibile.

 Sulla ricevibilità di alcuni «motivi» di ricorso

56      A sostegno del suo ricorso la ricorrente presenta un unico motivo, relativo alla violazione dell’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base. Essa sostiene che, nell’applicazione di tale disposizione, la Commissione ha commesso errori procedurali e di merito, esponendo un ragionamento incoerente. Il motivo di ricorso, a tal riguardo, è presentato come segue:

–        la Commissione avrebbe applicato l’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base a operazioni di fabbricazione di pezzi di biciclette in Sri Lanka, mentre l’inchiesta in esame verteva sulla presunta elusione delle misure antidumping tramite operazioni di assemblaggio in Pakistan;

–        essa avrebbe applicato tale disposizione come regola relativa all’origine, benché non lo sia;

–        essa non avrebbe dimostrato in maniera coerente l’insufficiente valore probatorio dei certificati di origine «modulo A»;

–        essa non avrebbe adottato alcuna misura per applicare le regole relative all’origine previste dalla normativa doganale dell’Unione.

57      La Commissione fa valere che la ricorrente deduce in realtà tre «motivi» poiché, in ordine successivo, contesta il rigetto della sua richiesta di esenzione, l’estensione del dazio antidumping definitivo alle importazioni di biciclette spedite ad opera della stessa dal Pakistan e la riscossione di detto dazio. Essa ritiene che il primo e il terzo di questi «motivi» siano irricevibili in quanto non sono stati corredati da propri argomenti, e ritiene, in ogni caso, che non siano fondati.

58      L’interpretazione applicata dalla Commissione all’atto introduttivo non può essere accolta. Infatti, la ricorrente presenta un motivo unico a sostegno della sua domanda di annullamento, con cui fa valere che la Commissione le ha esteso il dazio antidumping definitivo del 48,5% sulla base di diversi «errori procedurali, di diritto e di ragionamento». Orbene, il diniego di esenzione, l’estensione di detto dazio e la sua riscossione sono indissociabili nel caso di specie, poiché, come indicato al considerando 22 del regolamento impugnato, menzionato al punto 21 supra, «[d]urante il periodo di riferimento è una la società che produceva biciclette in Pakistan», vale a dire la ricorrente, la quale era responsabile della totalità delle esportazioni di biciclette dal Pakistan verso l’Unione. L’estensione a tale paese del dazio antidumping iniziale del 48,5%, da un lato, era perciò una conseguenza inevitabile del diniego di esenzione nei confronti della ricorrente e, dall’altro lato, ha determinato in linea diretta la riscossione di detto dazio.

59      Lo dimostra altresì la formulazione stessa del regolamento impugnato. Infatti, dal considerando 163 di detto regolamento, il quale rinvia al considerando 102 del medesimo regolamento, risulta che la richiesta di esenzione è stata respinta soltanto perché «la [ricorrente] è risultata coinvolta in pratiche di elusione», ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base. Dall’articolo 1, paragrafo 3, del regolamento impugnato, citato al punto 27 supra, risulta altresì che la riscossione stessa del dazio antidumping definitivo discendeva direttamente dall’estensione stabilita all’articolo 1, paragrafo 1, di detto regolamento.

60      È pertanto opportuno considerare che questi tre «motivi» ne formano uno solo, diretto all’annullamento del regolamento impugnato nella parte in cui riguarda la ricorrente e, di conseguenza, le eccezioni di irricevibilità riguardanti i due «motivi» summenzionati, sollevate dalla Commissione, devono essere respinte.

 Nel merito

61      Prima di esaminare nel merito il motivo unico di ricorso, il Tribunale ritiene opportuno illustrare alcune osservazioni preliminari.

 Osservazioni preliminari

62      In primo luogo, la Commissione sostiene che «l’ordine in cui è stato presentato l’atto introduttivo non rispetta quello previsto dall’articolo 13 del regolamento di base» (punto 60 del controricorso), vale a dire, anzitutto, l’obbligo di dimostrare la sussistenza dei quattro requisiti stabiliti dall’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento di base riguardo al paese e, successivamente, l’esame delle prove fornite dai produttori esportatori a sostegno della loro richiesta individuale di esenzione. Essa ammette tuttavia che, nella fattispecie, la distinzione prevista dall’articolo 13 del regolamento di base di cui ai suoi due primi paragrafi «è resa vaga dal fatto che la ricorrente è la sola impresa di assemblaggio di biciclette in Pakistan» (punto 66 del controricorso).

63      A questo proposito, da un lato, occorre rilevare che la ricorrente non contesta l’ordine in cui la Commissione, nel regolamento impugnato, ha applicato, rispettivamente, l’articolo 13, paragrafi 1 e 2, del regolamento di base, riguardo all’esistenza di pratiche di elusione in Pakistan, e successivamente la valutazione della sua richiesta di esenzione. Dall’altro lato, la stessa Commissione ha riconosciuto, come indicato al punto 62 supra, che tale distinzione era vaga nella fattispecie e, nelle sue osservazioni sull’eventualità di una sospensione del procedimento, menzionate al punto 40 supra, ha altresì indicato che, a differenza delle cause che hanno dato luogo alle sentenze del 26 gennaio 2017, Maxcom/Chin Haur Indonesia (C‑247/15 P, C‑253/15 P e C‑259/15 P, EU:C:2017:61) e Maxcom/City Cycle Industries (C‑248/15 P, C‑254/15 P e C‑260/15 P, EU:C:2017:62), la questione riguardo all’ordine di esame stabilito dall’articolo 13, paragrafi 1 e 2, del regolamento di base non appare rilevante nella presente causa.

64      In secondo luogo, nella memoria d’intervento e in udienza, l’interveniente ha fatto valere che la nozione di «paese soggetto alla misura», presente all’articolo 13, paragrafo 2, lettera a), del regolamento di base, dev’essere intesa come facente riferimento non solo alla Cina, ma anche allo Sri Lanka, paese a cui sono state estese le misure originarie.

65      Si deve constatare a tal proposito che il regolamento impugnato non si basa su un’interpretazione dell’articolo 13, paragrafo 2, lettera a), del regolamento di base come sostenuta dall’interveniente e che tale interpretazione non è né sollevata, né ripresa, né commentata dalla Commissione nell’ambito della presente causa. Infatti, da una lettura d’insieme di detto regolamento risulta chiaramente che solamente la Cina è stata considerata come il «paese soggetto alla misura» ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 2, lettera a), del regolamento di base. In aggiunta, è importante evidenziare che il periodo d’inchiesta, nella fattispecie, riguardava in parte una fase durante la quale le misure antidumping imposte sulle biciclette originarie della Cina non erano ancora state estese a quelle spedite dallo Sri Lanka, il che dimostra, ove fosse ancora necessario, che quest’ultimo paese non poteva essere considerato, nel regolamento impugnato, come il «paese soggetto alla misura» ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 2, lettera a), del regolamento di base.

66      Orbene, per giurisprudenza costante, nell’ambito di un ricorso di annullamento, il Tribunale non può sostituire la propria motivazione a quella dell’autore dell’atto impugnato (v. sentenza del 26 ottobre 2016, PT Musim Mas/Consiglio, C‑468/15 P, EU:C:2016:803, punto 64 e giurisprudenza ivi citata; v. altresì, in tal senso, sentenza del 14 dicembre 2005, General Electric/Commissione, T‑210/01, EU:T:2005:456, punto 359), come sarebbe portato a fare se l’argomento dell’interveniente fosse accolto. Detto argomento non può quindi trovare accoglimento.

67      In terzo luogo, è pacifico che, nella fattispecie, la Commissione non ha applicato l’articolo 18 del regolamento di base relativo all’omessa cooperazione. Infatti, come ricordato al punto 21 supra, essa ha considerato che la ricorrente aveva collaborato. Conseguentemente, l’argomento dell’interveniente, secondo cui la Commissione avrebbe potuto applicare detto articolo, dev’essere respinto in quanto privo di pertinenza.

68      In quarto luogo, l’interveniente sottolinea che la Great Cycles e la ricorrente costituiscono un’«entità economica unica» ai fini dell’interpretazione del criterio relativo al valore complessivo dei pezzi del prodotto assemblato pari al 60% o superiore, di cui all’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base. Tuttavia, va rilevato che, alla stregua di quanto statuito al punto 65 supra, il regolamento impugnato non è fondato su siffatto motivo e l’affermazione dell’interveniente, ammettendo che sia dimostrata, non può sostituirsi alle motivazioni addotte dalla Commissione in detto regolamento. Pertanto, neppure tale argomento, dedotto in subordine, può trovare accoglimento.

 Sul motivo unico di ricorso

69      In primo luogo, la ricorrente fa valere che, sia dalla formulazione dell’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento di base, sia dalla giurisprudenza (sentenza del 26 settembre 2000, Starway/Consiglio, T‑80/97, EU:T:2000:216, punto 88) risulta che tale disposizione si riferisce a pezzi di prodotto assemblato «provenienti» dal paese soggetto alla misura, senza che il termine «proveniente» debba essere interpretato nel senso che richiede che i pezzi siano effettivamente originari di talepaese. Nella fattispecie, il fatto che detti pezzi siano stati lavorati in Sri Lanka e spediti da tale paese in Pakistan è perciò sufficiente a stabilire che essi non devono essere qualificati come pezzi «provenienti» dalla Cina ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 2, di detto regolamento (punti 22 e 23 del ricorso).

70      In secondo luogo, durante la verifica in loco, la ricorrente ha prodotto i certificati di origine «modulo A» rilasciati dal Ministero del Commercio della Repubblica democratica socialista dello Sri Lanka, al fine di dimostrare che i pezzi prodotti in Sri Lanka e spediti in Pakistan da tale paese fossero originari dello Sri Lanka. Dato che detti certificati sono previsti dalla normativa doganale dell’Unione, gli operatori economici sono legittimati a farvi affidamento, salvo che vengano formalmente dichiarati invalidi a seguito di un’inchiesta ufficiale delle autorità doganali dell’Unione. Pertanto, essa ritiene di aver adempiuto all’onere della prova ad essa incombente, in applicazione del punto 88 della sentenza del 26 settembre 2000, Starway/Consiglio (T‑80/97, EU:T:2000:216). Essa precisa che le dichiarazioni di spesa, elaborate da esperti contabili, contenevano l’impegno, da parte sua, ad aprire il suo stabilimento a qualsiasi ispezione e a mantenere aggiornati i suoi documenti contabili. Nella replica, la ricorrente indica, al punto 20, che «è ragionevole, per un piccolo paese dalle risorse limitate come lo Sri Lanka, adottare un sistema per il quale i certificati di origine “modulo A” siano rilasciati sulla base di una previsione di spesa, soggetta a un controllo ex post». Ai punti da 52 a 54 della replica essa aggiunge che l’articolo 97 unvicies del regolamento (CEE) n. 2454/93 della Commissione, del 2 luglio 1993, che fissa talune disposizioni d’applicazione del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio che istituisce il codice doganale comunitario (GU 1993, L 253, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento d’applicazione del codice doganale»), allora in vigore, disponeva un procedimento di verifica ex post di detti certificati di origine. Secondo la ricorrente, la Commissione non ha indicato, nel regolamento impugnato, la ragione per cui i certificati di origine «modulo A» non potevano far fede (punto 53 della replica), mentre essa deve «ragionevolmente giustificare le ragioni per le quali» non possono essere considerati validi (parte finale del punto 55 della replica).

71      In terzo luogo, la Commissione avrebbe commesso degli errori procedurali, di diritto e di ragionamento nell’applicare l’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento di base a operazioni di produzione che si sono svolte in Sri Lanka e non in Pakistan. Così facendo, la Commissione avrebbe agito al di fuori dell’ambito di applicazione territoriale dell’inchiesta laddove ha esteso questa stessa disposizione ad un paese diverso dal Pakistan. Inoltre la Commissione, poiché la disposizione applicata non è una regola relativa all’origine, avrebbe applicato una norma inidonea per stabilire, erroneamente, che l’origine dei pezzi di biciclette fabbricati in Sri Lanka non era da ricollegarsi allo Sri Lanka e che, di conseguenza, potevano essere considerati di provenienza cinese. Inoltre, il ragionamento della Commissione sarebbe incoerente in quanto essa riconoscerebbe, a giusto titolo, che la disposizione in esame non è una regola relativa all’origine, ma l’avrebbe tuttavia applicata come tale ai pezzi di biciclette in oggetto.

72      Orbene, in tale contesto, dato che la Commissione aveva intenzione di respingere i certificati di origine «modulo A» in quanto prove insufficienti, i principi di buona amministrazione e di diligenza avrebbero richiesto, perlomeno, una verifica dell’origine dei pezzi di biciclette in oggetto secondo le regole relative all’origine preferenziale o non preferenziale previste dal regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, che istituisce un codice doganale comunitario (GU 1992, L 302, pag. 1) e secondo il regolamento d’applicazione del codice doganale. Tuttavia, non è stata effettuata alcuna verifica a tal fine.

73      In primo luogo, la Commissione fa valere che l’articolo 13, paragrafo 2, lettera a), del regolamento di base non si riferisce affatto all’«origine» dei pezzi, ma utilizza semplicemente l’espressione fattuale (nella versione francese) «provengono dal paese». Pertanto, detta disposizione non conterrebbe alcun riferimento al fatto che la sua applicazione debba intervenire conformemente alle regole relative all’origine previste dalla legislazione doganale dell’Unione, a differenza di altre disposizioni di detto regolamento, come l’articolo 13, paragrafo 1, secondo comma, che si riferisce alle «leggere modificazioni apportate al prodotto in esame in vista di una sua classificazione sotto codici doganali normalmente non soggetti alle misure». Pertanto, l’articolo 13 del regolamento di base istituirebbe un regime giuridico distinto, con delle soglie distinte atte a garantire la prevedibilità dell’azione dell’Unione contro l’elusione.

74      In secondo luogo, per quanto riguarda i certificati di origine presentati dalla ricorrente, la Commissione ritiene che questi non costituiscano un elemento di prova sufficiente a dimostrare l’origine ricollegabile allo Sri Lanka di tali pezzi in ragione degli indizi riassunti al punto 15 supra.

75      In terzo luogo, dato che la giurisprudenza riconosce alle istituzioni dell’Unione la possibilità di avvalersi di un insieme di indizi concordanti, occorre dedurne che l’articolo 13 del regolamento di base è stato interpretato nel senso che non pone restrizioni riguardo agli elementi di prova sui quali le autorità incaricate dell’inchiesta hanno il diritto di fondarsi per stabilire l’esistenza di pratiche di elusione.

76      La Commissione, ai punti 3 e 42 della controreplica, fa valere che l’applicazione «per analogia» dell’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base non costituisce un elemento essenziale delle sue conclusioni, ma un «esame ulteriore» al quale essa non era tenuta, poiché «la mancanza di affidabilità dei [certificati di origine “modulo] A” e la mancanza di attrezzature di produzione erano già sufficienti per permetter[le] (…) di concludere che le informazioni fornite dalla ricorrente non fossero affidabili». Essa puntualizza che l’espressione «inoltre», al considerando 101 del regolamento impugnato, conferma il carattere di «strumento supplementare» del ricorso a tale disposizione.

77      Preliminarmente, occorre ricordare che, conformemente all’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento di base, i dazi antidumping istituiti in forza di tale regolamento possono essere estesi alle importazioni da paesi terzi di prodotti simili, leggermente modificati o meno, o di parti di questi prodotti, se le misure in vigore vengono eluse. Secondo l’articolo 13, paragrafo 2, di questo stesso regolamento, un’operazione di assemblaggio, come quella effettuata dalla ricorrente nella fattispecie, è considerata elusiva delle misure vigenti quando sussistono le condizioni di cui alle lettere da a) a c) (sentenza del 26 settembre 2000, Starway/Consiglio, T‑80/97, EU:T:2000:216, punto 78).

78      In particolare, dall’articolo 13, paragrafo 2, lettere a) e b), del regolamento di base risulta che un’operazione di assemblaggio è considerata costituire un’elusione quando pezzi che rappresentano un valore uguale o superiore al 60% del valore complessivo dei pezzi del prodotto assemblato provengono dal paese soggetto alla misura (sentenza del 26 settembre 2000, Starway/Consiglio, T‑80/97, EU:T:2000:216, punto 79).

79      Ne consegue che, in forza dell’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento di base, le istituzioni dell’Unione devono dimostrare – oltre al soddisfacimento degli altri presupposti elencati – che i pezzi che rappresentano un valore uguale o superiore al 60% del valore complessivo dei pezzi del prodotto assemblato provengono dal paese soggetto alle misure. Esse non sono tenute, per contro, a fornire la prova che tali pezzi siano del pari originari di detto paese (sentenza del 26 settembre 2000, Starway/Consiglio, T‑80/97, EU:T:2000:216, punto 84).

80      Ciò premesso, dal regolamento base e, in particolare, dall’articolo 13 di quest’ultimo, risulta che un regolamento recante estensione di un dazio antidumping ha lo scopo di garantire l’efficacia di tale misura e di evitare che essa venga elusa, in particolare, mediante operazioni di assemblaggio nell’Unione o in un paese terzo. Una misura che estende un dazio antidumping ha quindi soltanto natura accessoria rispetto all’atto iniziale che impone tale dazio. Di conseguenza, sarebbe in contrasto con la finalità e con l’impianto sistematico dell’articolo 13 di detto regolamento gravare mediante un dazio antidumping, imposto inizialmente sull’importazione di un prodotto originario di un determinato paese, importazioni di pezzi di tale prodotto provenienti dal paese soggetto alle misure, quando gli operatori interessati che effettuano le operazioni di assemblaggio oggetto dell’inchiesta della Commissione forniscono la prova che tali pezzi, che rappresentano un valore uguale o superiore al 60% del valore complessivo dei pezzi del prodotto assemblato, sono originari di un altro paese. Infatti, in una situazione siffatta, le operazioni di assemblaggio non possono essere considerate elusive del dazio antidumping inizialmente imposto, ai sensi dell’articolo 13 del regolamento base (sentenza del 26 settembre 2000, Starway/Consiglio, T‑80/97, EU:T:2000:216, punto 85).

81      Di conseguenza, l’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento base va interpretato nel senso che un’operazione di assemblaggio nella Comunità o in un paese terzo è considerata elusiva delle misure vigenti quando, oltre alla sussistenza delle altre condizioni previste da tale disposizione, i pezzi che rappresentano un valore uguale o superiore al 60% del valore complessivo dei pezzi del prodotto assemblato provengono dal paese soggetto alle misure, salvo se l’operatore interessato fornisce alle istituzioni comunitarie la prova che tali pezzi sono originari di un altro paese (sentenza del 26 settembre 2000, Starway/Consiglio, T‑80/97, EU:T:2000:216, punto 88).

82      Siffatta prova può essere fornita in diversi casi, e non solamente nel caso di un mero transito (v., in tal senso, sentenza del 26 settembre 2000, Starway/Consiglio, T‑80/97, EU:T:2000:216, punto 87).

83      Ne consegue che se, di norma, è sufficiente fare riferimento alla mera «provenienza» dei pezzi utilizzati per l’assemblaggio del prodotto finale ai fini dell’applicazione dell’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base, in caso di dubbio potrebbe essere necessario verificare se i pezzi «in provenienza» da un paese terzo siano effettivamente originari di un altro paese.

84      Per quanto riguarda i termini «provengono da» impiegati nella versione francese dell’articolo 13, paragrafo 2, lettera a), del regolamento di base, occorre rilevare che, sebbene detto regolamento non ne contenga una definizione, gli stessi sono utilizzati a più riprese associati sistematicamente al termine «importazioni». Pertanto, l’espressione «importazioni in provenienza da» figura, ad esempio, nella versione francese, al considerando 8 nonché all’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), all’articolo 3, paragrafo 4, all’articolo 9, paragrafi 5 e 6, e all’articolo 13, paragrafo 1, di detto regolamento. Una variante di tale espressione, peraltro, è utilizzata al considerando 54 del regolamento impugnato. Inoltre, tale espressione è tradotta in altre versioni linguistiche di dette disposizioni del regolamento di base come «importazioni da». È il caso, ad esempio, delle versioni inglese (imports from), tedesca (Einfuhren aus), bulgara (внос от), croata (uvoza iz) e lituana (importui iš). Ne consegue che i termini «provengono da» ai sensi della versione francese dell’articolo 13, paragrafo 2, lettera a), del regolamento di base devono essere interpretati come facenti riferimento alle importazioni interessate e, quindi, al paese d’esportazione.

85      Tale interpretazione è peraltro conforme all’obiettivo di efficienza delle misure volte a combattere l’elusione, sotteso all’articolo 13 del regolamento di base, in quanto prevede una soluzione efficace e pratica che permetta alla Commissione di fare riferimento alla mera «provenienza» dei pezzi utilizzati per l’assemblaggio del prodotto finale ai fini dell’applicazione dell’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base.

86      Nel caso di specie, dal fascicolo e, in particolare, dalla tabella F.2 allegata al formulario, che non è peraltro contestata dalle parti, risulta che almeno il 47% dei pezzi utilizzati per l’assemblaggio di biciclette in Pakistan erano importati dallo Sri Lanka dopo essere stati lavorati in tale paese. L’ipotesi di un mero transito in tale paese non corrisponde dunque alle circostanze della fattispecie. Pertanto, va osservato che tali pezzi possono essere considerati «provenienti» dallo Sri Lanka.

87      Tuttavia, come risulta dalla giurisprudenza riassunta ai punti da 79 a 82 supra, tale osservazione non impedisce alla Commissione di verificare, in caso di dubbio, se i pezzi «in provenienza» dallo Sri Lanka sono di fatto originari di un altro paese, come il paese soggetto alle misure, nella fattispecie dalla Cina.

88      A tale proposito, da un lato, occorre sottolineare che l’argomento della Commissione secondo cui l’«origine» dei pezzi non sarebbe rilevante ai fini dell’applicazione dell’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento di base, non prende totalmente in considerazione l’interpretazione che il giudice dell’Unione ha dato a tale disposizione.

89      Dall’altro lato, tale argomento della Commissione è in contraddizione con il fatto che essa stessa ha esaminato l’origine dei pezzi di bicicletta in esame. Infatti, in primo luogo, la tabella F.2 del formulario, sulla quale, peraltro, la Commissione ha concentrato una parte importante della sua verifica, richiede, in particolare, che sia indicata l’«origine» dei pezzi di bicicletta utilizzati per le operazioni di assemblaggio in Pakistan. In secondo luogo, dai considerando 98 e 101 del regolamento impugnato risulta che la Commissione ha verificato se i certificati di origine «modulo A» delle merci in esame fossero elementi sufficienti a dimostrare l’«origine» delle parti di bicicletta in oggetto. In terzo luogo, dopo aver ritenuto che detti certificati non costituissero prove sufficienti a dimostrare l’«origine» dei pezzi di bicicletta, la Commissione ha applicato i criteri dell’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base al fine di verificare «l’origine» di detti pezzi, secondo quanto essa stessa ha affermato durante l’audizione dinanzi al consigliere-auditore, come risulta dal verbale d’udienza di tale audizione.

90      Sebbene dalla parte finale del testo del considerando 101 del regolamento impugnato risulti che la Commissione ha concluso che i pezzi di bicicletta in questione «provenivano» dalla Cina, poiché gli stessi erano stati fabbricati per oltre il 60% con materie prime cinesi e che il valore aggiunto era inferiore al 25% dei costi di produzione, da diversi elementi del fascicolo e, in particolare, da quelli menzionati al punto 89 supra risulta che la Commissione ha applicato i criteri di cui all’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base al fine di verificare l’«origine» dei pezzi di cui trattasi. Tali variazioni terminologiche dimostrano pertanto una certa confusione, da parte della Commissione, riguardo alle rispettive nozioni di «provenienza» e di «origine».

91      In ogni caso, dai punti da 81 a 86 supra risulta che, nella fattispecie, i pezzi di bicicletta in oggetto «provenivano» dallo Sri Lanka, ma che alla Commissione restava la possibilità di chiedere alla ricorrente di fornire la prova che detti pezzi non solo «provenissero» dallo Sri Lanka, ma che fossero altresì originari di tale paese.

92      In tale contesto, occorre verificare se la Commissione, senza incorrere in errori di diritto, ha potuto concludere che i pezzi di bicicletta provenienti dallo Sri Lanka fossero in realtà di origine cinese.

93      A tale proposito, si deve valutare, in primo luogo, il valore probatorio dei certificati di origine «modulo A» presentati dalla ricorrente come prova dell’origine dello Sri Lanka dei pezzi di bicicletta in oggetto ma respinti dalla Commissione (in prosieguo: i «certificati contestati») e, in secondo luogo, i costi di fabbricazione di detti pezzi, forniti dalla ricorrente su richiesta della Commissione e riguardo ai quali quest’ultima ha applicato, per analogia, l’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base.

–       Sul valore probatorio dei certificati contestati

94      Dato che una parte degli argomenti della ricorrente potevano essere interpretati come la volontà di rimettere in discussione la motivazione del regolamento impugnato, per quanto concerne l’esame, da parte della Commissione, del valore probatorio dei certificati di origine «modulo A», occorre constatare che dai considerando 98, 100 e 101 del regolamento impugnato, il cui contenuto è stato esposto al punto 23 supra, risulta in modo manifesto che la Commissione ha indicato chiaramente e in maniera completa le ragioni per cui essa non ha potuto, nella fattispecie, ritenere attendibili alcuni certificati di origine «modulo A» che la ricorrente gli aveva fornito. La motivazione figurante nel regolamento impugnato soddisfa perciò il requisito posto dall’articolo 296 TFUE.

95      Per quanto riguarda il merito, in primo luogo, va ricordato che i certificati di origine «modulo A» sono certificati di origine preferenziale, che all’epoca dei fatti erano disciplinati, per quanto concerne l’Unione, dagli articoli da 97 duodecies a 97 duovicies del regolamento d’applicazione del codice doganale e che permettevano all’esportatore di provare l’origine della merce esportata. A tale proposito, occorre sottolineare che, in forza dell’articolo 97 duodecies, paragrafo 1, del regolamento d’applicazione del codice doganale, tutti i paesi beneficiari devono osservare o devono far osservare le norme relative all’origine e le norme relative alla compilazione e al rilascio dei certificati di origine «modulo A».

96      I certificati di origine «modulo A» sono perciò correntemente utilizzati nel commercio internazionale come mezzo di certificazione dell’origine delle merci a cui si riferiscono. Pertanto, le istituzioni dell’Unione ne chiedono spesso la produzione, ivi compreso nell’ambito dei procedimenti in materia di antidumping, al fine di garantire l’origine del prodotto interessato. Nella presente causa, come confermato in udienza, ciò è dimostrato dal fatto che la Commissione ha accettato i certificati di origine «modulo A» presentati dalla ricorrente e relativi ai pezzi di bicicletta fabbricati dalla Vechenson come una prova sufficiente della loro origine nello Sri Lanka (v. punto 15 supra).

97      Tuttavia occorre rilevare che, conformemente all’articolo 26 del regolamento n. 2913/92, quale vigente all’epoca dei fatti, le autorità doganali possono richiedere, in caso di seri dubbi, qualsiasi altra prova complementare per accertarsi che l’origine indicata corrisponda alle regole stabilite dalla normativa dell’Unione in materia. A tal fine, l’articolo 97 unvicies del regolamento d’applicazione del codice doganale, quale vigente all’epoca dei fatti, prevede una procedura di controllo a posteriori dei certificati di origine «modulo A» per sondaggio o ogni qualvolta le autorità doganali degli Stati membri abbiano ragionevole motivo di dubitare dell’autenticità dei documenti.

98      Da tali disposizioni si può dedurre che, sebbene i certificati di origine «modulo A» abbiano un valore probatorio quanto all’origine delle merci a cui si riferiscono, tale valore non è assoluto. Infatti, siffatto certificato redatto da un paese terzo non può vincolare le autorità dell’Unione per quanto riguarda l’origine delle merci, impedendo loro di verificarla mediante altri mezzi, laddove sussistano indizi obiettivi, chiari e concordanti che creano dubbi riguardo all’origine reale delle merci oggetto di suddetti certificati. A tale riguardo, dalla giurisprudenza risulta che i controlli a posteriori sarebbero in gran parte inutili se l’uso di certificati falsi potesse, da solo, giustificare la concessione di uno sgravio dei dazi doganali (sentenze dell’11 luglio 2002, Hyper/Commissione, T‑205/99, EU:T:2002:189, punto 102, e del 16 dicembre 2010, Hit Trading e Berkman Forwarding/Commissione, T‑191/09, non pubblicata, EU:T:2010:535, punto 97).

99      In secondo luogo, dall’articolo 6, paragrafo 8, del regolamento di base risulta che, salvo nelle circostanze previste dall’articolo 18 di detto regolamento, relativo all’omessa cooperazione – articolo che non ha trovato applicazione nella fattispecie, come sottolineato al punto 67 supra –, l’esattezza delle informazioni fornite dalle parti interessate e sulle quali la Commissione prevede di basare le sue conclusioni deve essere accertata con la massima accuratezza. Conseguentemente, questa stessa disposizione legittima non solo la possibilità, ma anche il dovere, incombente alla Commissione, di verificare i documenti che le sono forniti. Tale dovere, in materia di antidumping, si esercita ovviamente senza pregiudizio delle procedure specifiche previste al riguardo a vantaggio delle autorità doganali, tanto più che, nella fattispecie, la Commissione non ha rimesso in discussione la validità dei certificati contestati in quanto tale, ma solamente il loro insufficiente valore probatorio.

100    Nella fattispecie, la Commissione ha concluso che i certificati contestati non potevano essere considerati prove sufficienti a dimostrare l’origine dei pezzi di bicicletta in esame, sulla base di una serie di indizi oggettivi, chiari e concordanti, i quali non sono stati peraltro messi in discussione da parte della ricorrente.

101    A tal proposito, in primo luogo, la Commissione ha constatato che i certificati contestati erano stati rilasciati non sulla base dei costi di fabbricazione reali, ma sulla base di una proiezione dei costi di fabbricazione per il futuro, non atta a garantire che le parti di bicicletta fossero state effettivamente fabbricate conformemente ai costi previsti. Si trattava semplicemente di una proiezione globale dei costi di fabbricazione validi per un volume di produzione indeterminato su un periodo di circa un anno, come peraltro la ricorrente stessa ha confermato (considerando 98 e 101 del regolamento impugnato). Inoltre, la Commissione ha notato che, per alcuni tipi di telai e forcelle di cui erano stati rilasciati i certificati contestati, mancavano le relative dichiarazioni di spesa (considerando 98 del regolamento impugnato), ad esempio, per i telai e le forcelle da 24 e 26 pollici, e che taluni dei certificati di cui trattasi erano stati rilasciati senza le relative dichiarazioni di spesa, come nel caso, in particolare, dei manubri da 10 pollici.

102    In secondo luogo, le autorità dello Sri Lanka hanno confermato alla Commissione di aver applicato questa metodologia generale alla Great Cycles senza effettuare controlli ex post.

103    In terzo luogo, la Commissione ha sottolineato il fatto che le dichiarazioni di spesa prodotte a sostegno della domanda di rilascio dei certificati contestati erano redatte sulla base delle dimensioni dei pezzi di bicicletta – telai, forcelle, cerchi e ruote –, e non per singoli prodotti.

104    In quarto luogo, il valore franco a bordo indicato sui certificati contestati non corrispondeva a quello figurante in altri documenti forniti dalla ricorrente, come quelli della tabella F.2 (v. punti 9 e 12 supra) o in alcune fatture relative alle relazioni commerciali tra la Great Cycles e la ricorrente, tra la Flying Horse e la ricorrente o tra la Great Cycles e Flying Horse. Per quanto riguarda alcune di queste fatture, la ricorrente sostiene, a torto, che il riferimento a dieci di queste presente nel controricorso è irricevibile poiché esse non sono state divulgate mediante le conclusioni della Commissione. Infatti, dal fascicolo risulta che è la ricorrente stessa ad aver fornito tali fatture alla Commissione durante la verifica in loco e che tali pezzi, menzionati nella tabella F.2, sono stati oggetto di contraddittorio nel procedimento amministrativo. La Commissione era perciò legittimata a farvi riferimento, compreso nell’ambito del presente procedimento.

105    Perciò, nelle particolari circostanze della fattispecie e alla luce dell’insieme di indizi indicati ai punti da 101 a 104 supra, la Commissione ha potuto giustamente ritenere che i certificati contestati non costituissero prove sufficienti a dimostrare l’origine dei pezzi di bicicletta.

106    Pertanto, occorre respingere il motivo di ricorso su questo punto in quanto infondato.

–       Sull’applicazione «per analogia» dell’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base

107    Dopo aver respinto i certificati contestati in quanto prove insufficienti a dimostrare l’origine ricollegabile allo Sri Lanka dei pezzi di bicicletta in oggetto, la Commissione ha richiesto, e la ricorrente ha prodotto, la dichiarazione di spesa di fabbricazione dei pezzi di cui trattasi durante il periodo di riferimento, nel formato richiesto. La Commissione ha così applicato, «per analogia», i criteri di cui all’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base, al fine di verificare, basandosi sui loro costi di fabbricazione, l’«origine» di detti pezzi (secondo il verbale d’udienza dell’audizione dinanzi al consigliere-uditore) o la loro «provenienza» (secondo la parte finale del testo del considerando 101 del regolamento impugnato, v. punti 89 e 90 supra).

108    Orbene, come rilevato al punto 86 supra, nella fattispecie tali pezzi «provenivano» dallo Sri Lanka. Resta dunque ancora da verificare se la Commissione, senza commettere errore di diritto, avrebbe potuto applicare «per analogia» l’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base al caso di specie, al fine di verificare l’origine di tali pezzi.

109    Occorre precisare, al riguardo, che i costi di fabbricazione presentati a tal fine dalla ricorrente non sono stati respinti dalla Commissione in quanto insufficienti o non attendibili. Al contrario, dal fascicolo e dai considerando 13 e 101 del regolamento impugnato risulta che la Commissione si è fondata proprio su tali informazioni al fine di applicare «per analogia» l’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base.

110    Orbene, da un lato, applicando «per analogia» l’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base la Commissione ha in realtà esaminato se la fabbricazione dei pezzi di bicicletta in Sri Lanka eludesse le misure antidumping riguardanti le biciclette originarie della Cina, tuttavia non facenti oggetto dell’inchiesta che ha dato luogo all’adozione del regolamento impugnato.

111    Infatti, dalla lettera stessa dell’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base risulta che quest’ultimo si applica a «operazioni di assemblaggio», e la regola del 60% ivi contenuta si applica così al valore complessivo dei pezzi del «prodotto assemblato». Orbene, è pacifico che, nella fattispecie, l’inchiesta non avesse ad oggetto le «operazioni di assemblaggio» delle biciclette in Sri Lanka, né che fosse diretta in alcun modo alle biciclette «assemblate» in detto paese.

112    Dall’altro lato, l’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base non costituisce una norma relativa all’origine, così come peraltro riconosciuto dalla stessa Commissione al considerando 101 del regolamento impugnato, che lo ha confermato nelle sue memorie. Pertanto, non può essere applicato «per analogia» al fine di determinare l’origine di una merce, tanto più che i criteri previsti all’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base sono sostanzialmente differenti da quelli riguardanti le norme relative all’origine. Orbene, se si dovesse ritenere che più del 40% del valore complessivo dei pezzi del prodotto assemblato sia costituito da pezzi originari di un paese diverso da quello soggetto alla misura, le operazioni di assemblaggio non potrebbero essere considerate come elusive del dazio antidumping inizialmente imposto, ai sensi dell’articolo 13 del regolamento di base (v., in tal senso, sentenza del 26 settembre 2000, Starway/Consiglio, T‑80/97, EU:T:2000:216, punto 85).

113    Inoltre, dall’articolo 14, paragrafo 3, del regolamento di base risulta che «[d]isposizioni particolari, relative tra l’altro alla definizione comune del concetto di origine, contenuta nel regolamento [n. 2913/92], possono essere adottate a norma del presente regolamento». Tuttavia, è pacifico che, prima dell’entrata in vigore del regolamento impugnato, siffatte disposizioni non erano state adottate (v., in tal senso, sentenza del 26 settembre 2000, Starway/Consiglio, T‑80/97, EU:T:2000:216, punto 108).

114    Pertanto, la Commissione ha commesso un errore di diritto applicando «per analogia» l’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base ai pezzi di bicicletta acquistati in Sri Lanka al fine di verificare la loro origine nell’ambito delle operazioni in Pakistan.

115    Nessuno degli argomenti dedotti dalla Commissione rimette in discussione tale conclusione. In primo luogo, per quanto riguarda l’argomento dedotto nella controreplica, secondo cui la Commissione non era tenuta ad esaminare altri elementi in quanto l’insufficiente valore probatorio dei certificati contestati le ha consentito di respingere la richiesta di esenzione solo su tale base, occorre rilevare che non risulta da alcuna disposizione del regolamento impugnato che l’applicazione «per analogia» dell’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base ai pezzi di bicicletta acquistati in Sri Lanka sia stata effettuata a titolo aggiuntivo. Al contrario, da più considerando del regolamento impugnato, come i considerando 13, 98, 100 e 101, risulta che tale motivo ha costituito un elemento essenziale dell’esame operato dalla Commissione, essendo stato inoltre sollevato e discusso per tutta la durata del procedimento sfociato nell’adozione del regolamento impugnato. La Commissione non può trarre al riguardo alcun serio argomento riguardo all’utilizzo del termine «inoltre» (moreover) al considerando 101 del regolamento impugnato, nei limiti in cui tale motivo figura in numerosi altri considerando e in cui tale termine indica solamente l’aggiunta di un argomento, senza che ciò implichi la superfluità di tale aggiunta.

116    In secondo luogo, la stessa Commissione riconosce che le circostanze della presente causa, per quanto certamente dubbie, non sono sufficienti, in quanto tali, «a stabilire in modo concludente che la ricorrente [sia] risultata coinvolta in pratiche di elusione in Pakistan durante il periodo dell’inchiesta» (punto 11 in limine della controreplica). Pertanto, la Commissione non può limitarsi ad invocare un «insieme d’indizi» senza tuttavia dimostrare che le condizioni previste all’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base fossero soddisfatte, tanto più che si è considerato che la società abbia collaborato, come rilevato al punto 21 supra.

117    In terzo luogo, e in ogni caso, dalla giurisprudenza risulta che la Commissione deve esaminare, non in maniera sommaria, bensì con cura ed imparzialità, i documenti consegnati dall’operatore commerciale interessato nell’ambito dell’inchiesta per provare l’esattezza di quanto da esso enunciato (v., in tal senso, sentenza del 26 settembre 2000, Starway/Consiglio, T‑80/97, EU:T:2000:216, punto 115). La Commissione non può dunque prescindere dalle informazioni fornite dalla ricorrente per dimostrare l’origine dei pezzi di bicicletta in oggetto con il pretesto che siffatto esame non si imponesse, tanto più che la stessa Commissione si è basata su tali informazioni, quali figurano nella tabella F.4.1, e senza rimettere in discussione la loro attendibilità, al fine di applicare, «per analogia», l’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base.

118    Infine, il fatto che la verifica dei costi di fabbricazione dei pezzi in esame sia stata effettuata «su carta», dato che gli strumenti di produzione sarebbero stati trasferiti, non è determinante, poiché la Commissione non contesta il fatto che, durante il periodo di riferimento, i pezzi in esame sono stati lavorati in Sri Lanka. In ogni caso, quest’unica circostanza non può porre rimedio all’errore di diritto commesso dalla Commissione.

119    Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che il motivo unico di ricorso è fondato. Occorre quindi accogliere detto motivo e, conseguentemente, annullare il regolamento impugnato nella parte in cui riguarda la ricorrente.

 Sulle spese

120    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

121    Nella fattispecie, la Commissione, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese, conformemente alla domanda della ricorrente in tal senso.

122    L’interveniente sopporterà le proprie spese, in applicazione dell’articolo 138, paragrafo 3, del regolamento di procedura.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Settima Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il regolamento di esecuzione (UE) 2015/776 della Commissione, del 18 maggio 2015, che estende il dazio antidumping definitivo istituito dal regolamento (UE) n. 502/2013 del Consiglio sulle importazioni di biciclette originarie della Repubblica popolare cinese alle importazioni di biciclette spedite dalla Cambogia, dal Pakistan e dalle Filippine, indipendentemente dal fatto che siano o no dichiarate originarie della Cambogia, del Pakistan e delle Filippine, è annullato nella parte in cui riguarda la Kolachi Raj Industrial (Private) Ltd.

2)      La Commissione europea è condannata a sopportare le proprie spese e quelle della Kolachi Raj Industrial (Private).

3)      La European Bicycle Manufacturers Association (EBMA) sopporterà le proprie spese.

Tomljenović

Marcoulli

Kornezov

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 10 ottobre 2017.

Firme


*      Lingua processuale: l’inglese.