Language of document : ECLI:EU:T:2006:105

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Prima Sezione)

5 aprile 2006(*)

«Marchio comunitario – Domanda di marchio figurativo comprendente l’elemento denominativo “SELEZIONE ORO Barilla” – Opposizione – Marchi denominativi anteriori ORO e ORO SAIWA – Rischio di confusione – Art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento (CE) n. 40/94 – Rigetto dell’opposizione»

Nella causa T-344/03,

Saiwa SpA, con sede in Genova, rappresentata dagli avv.ti G. Sena, P. Tarchini, J.-P. Karsenty e M. Karsenty-Ricard,

ricorrente,

contro

Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), rappresentato dalla sig.ra M. Capostagno e dal sig. O. Montalto, in qualità di agenti,

convenuto,

controinteressata nel procedimento dinanzi alla commissione di ricorso dell’UAMI e interveniente dinanzi al Tribunale:

Barilla Alimentare SpA, con sede in Parma, rappresentata dagli avv.ti A. Vanzetti e S. Bergia,

avente ad oggetto un ricorso contro la decisione della Quarta Sezione di ricorso dell’UAMI 18 luglio 2003 (R 480/2002-4), relativa ad un procedimento di opposizione tra le società Saiwa SpA e Barilla Alimentare SpA,

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Prima Sezione),

composto dal sig. J.D. Cooke, presidente, dal sig. R. García-Valdecasas e dalla sig.ra I. Labucka, giudici,

cancelliere: sig.ra B. Pastor, cancelliere aggiunto,

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 22 novembre 2005,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti di causa

1        Il 17 giugno 1996, la Barilla Alimentare SpA (in prosieguo: l’«interveniente») presentava, ai sensi del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), come modificato, una domanda di registrazione di marchio comunitario all’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI).

2        Il marchio la cui registrazione era richiesta è il segno figurativo comprendente l’elemento denominativo «SELEZIONE ORO Barilla», riprodotto di seguito:

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3        I prodotti per i quali veniva richiesta la registrazione rientrano nella classe 30 ai sensi dell’Accordo di Nizza del 15 giugno 1957, relativo alla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi per la registrazione dei marchi, come rivisto e modificato, e corrispondono alla seguente descrizione: «Paste alimentari, farina e prodotti a base di cereali, pane, pasticceria e confetteria, lievito e polveri per far lievitare; salse (condimenti)».

4        Il 22 giugno 1998, la Saiwa SpA (in prosieguo: la «ricorrente») proponeva opposizione avverso la registrazione del marchio comunitario richiesto. L’opposizione riguardava tutti i prodotti indicati nella domanda di marchio comunitario.

5        Il motivo dedotto a sostegno dell’opposizione era il rischio di confusione previsto all’art. 8, nn. 1, lett. a) e b), e 5, del regolamento n. 40/94, tra il marchio richiesto e due marchi anteriori di cui è titolare la ricorrente. Il primo è costituito dal segno denominativo ORO, che ha formato oggetto di registrazione in Italia con il n. 307 376, decorrente dal 28 settembre 1977, e della registrazione internazionale n. 435 773, del 13 aprile 1978, estesa, in particolare, all’Austria, alla Germania, alla Spagna, alla Francia e al Benelux, per i seguenti prodotti della classe 30: «Caffè, tè, cacao, zucchero, riso, tapioca, sago, succedanei del caffè, farine e preparati fatti di cereali, pane, biscotti, torte, pasticceria, caramelle, confetteria, gelati, miele, sciroppo di melassa; lievito, polvere per lievitare; sale, mostarda, pepe, aceto, salse, spezie, ghiaccio». Il secondo è costituito dal segno denominativo ORO SAIWA, che ha formato oggetto di registrazione in Italia, col n. 332 864, decorrente dal 25 giugno 1956, per i seguenti prodotti della classe 30: «gallettine al latte, biscotti, pane, pasticceria e confetteria».

6        Il 28 marzo 2002, la divisione d’opposizione dell’UAMI respingeva l’opposizione, per assenza di identità dei segni e dei prodotti in questione. La divisione d’opposizione analizzava i marchi in conflitto complessivamente intesi e riteneva che la componente comune «oro» non fosse dotata di sufficiente capacità distintiva – né originaria né acquisita attraverso l’uso – per potersi concludere nel senso della somiglianza tra tali marchi.

7        Il 31 maggio 2002, la ricorrente presentava ricorso contro tale decisione, ricorso respinto il 18 luglio 2003 con la decisione R 480/2002-4 (in prosieguo: la «decisione impugnata»). La commissione di ricorso riteneva che non esistesse per il consumatore alcun rischio di confusione tra i segni. Essa constatava, contrariamente alla divisione di opposizione, che vi era un’identità sostanziale tra i prodotti. Essa riteneva che non potesse riconoscersi una accresciuta capacità distintiva al marchio ORO, dal momento che la ricorrente non aveva dimostrato che il detto marchio fosse stato oggetto di un uso significativo anteriormente al deposito della domanda di marchio comunitario. Essa confermava parimenti che il marchio ORO era di per sé scarsamente distintivo e che, nel caso del marchio ORO SAIWA, l’elemento dominante era «SAIWA». Essa ne concludeva che la presenza della parola «oro» nei marchi in confitto era insufficiente a dimostrare una loro somiglianza.

 Procedimento e conclusioni delle parti

8        Con atto introduttivo ricevuto nella cancelleria del Tribunale il 2 ottobre 2003, la ricorrente ha proposto il ricorso in esame.

9        L’UAMI e l’interveniente hanno depositato la loro memoria nella cancelleria del Tribunale, rispettivamente, il 22 e il 13 gennaio 2004.

10      Nella sua memoria del 13 gennaio 2004, l’interveniente ha chiesto al Tribunale di sospendere il presente procedimento in attesa di una decisione definitiva del Tribunale ordinario di Milano sulla validità dei marchi ORO e ORO SAIWA. Dopo aver raccolto le osservazioni dell’UAMI e della ricorrente, il Tribunale (Prima Sezione) non ha accolto tale domanda.

11      Con lettera depositata nella cancelleria del Tribunale il 9 febbraio 2004, la ricorrente ha chiesto, conformemente all’art. 135, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale, l’autorizzazione a presentare una replica. Il 10 marzo 2004, il Tribunale (Prima Sezione) ha deciso di respingere tale domanda.

12      Con lettera depositata nella cancelleria del Tribunale il 14 novembre 2005, l’interveniente ha comunicato la sentenza n. 14002/2004 del Tribunale ordinario di Milano, del 14 ottobre 2004, che ha dichiarato nulli i marchi ORO che la ricorrente fa valere nella presente controversia, e cioè la registrazione nazionale italiana n. 307 376 e la registrazione internazionale n. 435 773, chiedendo che tale sentenza sia acquisita agli atti. Il Tribunale (Prima Sezione) ha accolto tale domanda nonché quella della ricorrente di acquisire nel presente procedimento l’atto di appello formulato contro tale sentenza.

13      Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Prima Sezione) ha deciso di passare alla fase orale.

14      Le difese orali e le risposte delle parti ai quesiti del Tribunale sono state sentite all’udienza del 22 novembre 2005.

15      La ricorrente conclude che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        respingere la domanda di registrazione dell’interveniente;

–        condannare l’interveniente alle spese.

16      L’UAMI conclude che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

17      L’interveniente conclude che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

 In diritto

 Argomenti delle parti

18      A sostegno del suo ricorso la ricorrente fa valere un unico motivo di annullamento, fondato sulla violazione dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, relativo al rischio di confusione tra marchi simili.

19      La ricorrente fa valere, in primo luogo, che a torto l’UAMI, per valutare se il termine «oro» avesse acquisito distintività, a seguito dell’uso che ne era stato fatto in Italia, ha distinto tra il marchio ORO e il marchio ORO SAIWA. Essa precisa, a questo proposito, che le sue campagne di pubblicità e le sue vendite, come risulta dai documenti da essa sottoposti all’UAMI, riguardano indistintamente l’insieme dei prodotti della gamma ORO. Essa fa altresì rilevare che nei due marchi con i quali i suoi prodotti sono commercializzati compare il termine «oro». Essa aggiunge che, nella pratica, nel caso di un segno distintivo unico, è d’uso che l’operatore che intende tutelare quest’ultimo proceda non soltanto alla semplice registrazione del marchio denominativo prescelto, ma anche a più domande di registrazione di questo stesso marchio nelle sue diverse rappresentazioni – in bianco e nero ed in caratteri normali o con una specifica grafia e l’utilizzazione di diversi colori o combinazioni – ad esempio, con l’aggiunta della denominazione del produttore. La ricorrente contesta anche la pertinenza della distinzione tra l’ipotesi dell’uso del marchio costituito dal solo termine «oro», accompagnato, sulla confezione, dalla denominazione sociale «Saiwa», e l’ipotesi dell’uso del marchio complesso ORO SAIWA, poiché in entrambi i casi il termine «oro» è utilizzato sulla confezione con il nome del fabbricante, e cioè Saiwa SpA.

20      In secondo luogo, la ricorrente ritiene che il termine «oro» abbia un carattere distintivo intrinseco, il che sarebbe stato ammesso dalla commissione di ricorso, anche se, secondo quest’ultima, esso sarebbe ridotto. La ricorrente fa valere la decisione 22 maggio 2000, n. 908, della divisione di opposizione, nella quale quest’ultima avrebbe riconosciuto che il termine «oro», scritto in caratteri stilizzati per indicare del caffè, presentava un carattere distintivo, pur potendo suggerire una certa qualità dei prodotti. Essa cita anche altri esempi giurisprudenziali di segni metaforici utilizzati per esprimere una certa qualità dei prodotti, ammessi alla registrazione, come «ultraplus», «vitalité», «quick», «optimus», «golden» e «maxima».

21      La ricorrente aggiunge che, in virtù del principio di interdipendenza, secondo il quale il rischio di confusione dev’essere valutato prendendo in considerazione i diversi fattori pertinenti, in particolare il grado di somiglianza fra i beni ed il grado di distintività dei segni, un’eventuale debolezza del carattere distintivo del segno «oro» sarebbe compensata dall’identità dei segni e dei prodotti.

22      In terzo luogo, la ricorrente considera che è necessario procedere, nell’analisi comparativa dei segni, ad un esame del loro aspetto concettuale, vale a dire del messaggio che viene comunicato al consumatore. Nella fattispecie, due messaggi sarebbero trasmessi a quest’ultimo: il primo, risultante dalla parola comune ai marchi in conflitto, e cioè «oro», sarebbe attinente al prodotto e sarebbe identico nei due marchi in conflitto, mentre il secondo, che sarebbe costituito dalle denominazioni «Saiwa» e «Barilla», sarebbe differente, in quanto riguarderebbe l’indicazione dell’impresa di produzione. Il consumatore sarebbe indotto a ritenere che i prodotti siano sostanzialmente identici, pur provenendo da distinte fonti produttive, eventualmente collegate da contratti di licenza, di scambio di know‑how o, più in generale, di collaborazione.

23      La ricorrente precisa che la peculiarietà della controversia è costituita dal fatto che i marchi in conflitto menzionano il nome dell’impresa produttrice così da ridurre il rischio di confusione circa la fonte di origine dei prodotti. Tuttavia, essa considera che la funzione essenziale del marchio non può essere esclusivamente l’indicazione della fonte di origine dei prodotti. Un’interpretazione così rigorosa avrebbe l’effetto di escludere ogni rischio di confusione, anche in caso di riproduzione di un marchio, qualora siano indicati, sulla confezione, sull’etichetta o sul prodotto stesso, elementi che consentano di escludere che il prodotto si colleghi alla stessa fonte produttiva.

24      Secondo la ricorrente, l’assenza di ogni rischio di confusione tra le fonti di origine non esclude automaticamente ogni rischio di confusione o di associazione tra i prodotti e tra le loro caratteristiche merceologiche e qualitative. Orbene, anche l’esclusione di tale rischio farebbe parte delle funzioni inerenti al marchio. Basandosi sulle conclusioni dell’avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer per la sentenza della Corte 12 novembre 2002, causa C‑206/01, Arsenal Football Club (Racc. pag. I‑10273, in particolare pag. I‑10275), presentate il 13 giugno 2002, essa ritiene che il marchio abbia anche come funzione l’identificazione di uno specifico prodotto con le sue caratteristiche merceologiche e qualitative. Nella fattispecie, quest’ultima funzione sarebbe determinante nella presente controversia, il cui oggetto sarebbe l’utilizzazione di uno stesso segno speciale caratterizzante il prodotto abbinato alla denominazione dell’impresa produttrice. La ricorrente ritiene che la presenza della denominazione delle imprese produttrici non impedisca il rischio di confusione per il pubblico interessato per quanto riguarda i prodotti.

25      L’UAMI e l’interveniente contestano la fondatezza del presente ricorso. In mancanza di somiglianza, l’UAMI e l’interveniente ritengono che non vi sia alcun rischio di confusione tra i marchi in conflitto, poiché non è soddisfatta una delle due condizioni contemplate dall’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94.

 Giudizio del Tribunale

26      Ai sensi dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, in seguito all’opposizione del titolare di un marchio anteriore, un marchio è escluso dalla registrazione se, a causa dell’identità o della somiglianza di detto marchio con un marchio anteriore e a causa dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi che i due marchi designano, sussiste un rischio di confusione per il pubblico del territorio nel quale il marchio anteriore è tutelato.

27      Secondo una giurisprudenza costante, costituisce un rischio di confusione il rischio che il pubblico possa credere che i prodotti o i servizi in questione provengano dalla stessa impresa o, se del caso, da imprese collegate economicamente.

28      Secondo questa stessa giurisprudenza, il rischio di confusione dev’essere valutato globalmente, secondo la percezione che il pubblico interessato ha dei segni e dei prodotti o servizi in questione, prendendo in considerazione tutti i fattori pertinenti del caso di specie, in particolare l’interdipendenza tra la somiglianza dei segni e quella dei prodotti o servizi designati [v. sentenza del Tribunale 9 luglio 2003, causa T‑162/01, Laboratorios RTB/UAMI – Giorgio Beverly Hills (GIORGIO BEVERLY HILLS), Racc. pag. II‑2821, punti 31‑33 e giurisprudenza ivi citata].

 Sul pubblico cui è destinato il prodotto

29      I prodotti in questione sono prodotti alimentari di consumo corrente e quotidiano. Pertanto, giustamente la commissione di ricorso ha constatato, al punto 23 della decisione impugnata, che il pubblico interessato era costituito dal grande pubblico, ossia dal consumatore medio.

 Sulla somiglianza tra i prodotti

30      La ricorrente non ha contestato la considerazione della commissione di ricorso secondo la quale esisteva un’identità sostanziale tra i prodotti (decisione impugnata, punti 11 e 24). Infatti, i prodotti della classe 30, considerati nella domanda di marchio e corrispondenti alla descrizione «Farine e preparati fatti di cereali, pane, pasticceria e confetteria», sono identici a quelli del marchio ORO e molto simili a quelli del marchio ORO SAIWA.

 Sulla somiglianza tra i segni

31      Secondo una giurisprudenza consolidata, la valutazione globale del rischio di confusione deve fondarsi, per quanto attiene alla somiglianza visiva, fonetica o concettuale dei marchi di cui trattasi, sull’impressione complessiva prodotta da questi ultimi, in considerazione, in particolare, dei loro elementi distintivi e dominanti. Il consumatore medio percepisce normalmente un marchio come un tutto e non procede ad un esame dei vari dettagli [v. sentenze del Tribunale 14 ottobre 2003, causa T‑292/01, Phillips-Van Heusen/UAMI – Pash Textilvertrieb und Einzelhandel (BASS), Racc. pag. II‑4335, punto 47, e 6 luglio 2004, causa T‑117/02, Grupo El Prado Cervera/UAMI – Eredi Debuschewitz (CHUFAFIT), Racc. pag. II‑2073, punto 44 e giurisprudenza ivi citata].

32      Nella fattispecie, la commissione di ricorso ha legittimamente ritenuto, al punto 22 della decisione impugnata, che il marchio ORO avesse in sé stesso un carattere scarsamente distintivo. Infatti, come ha affermato la commissione di ricorso (punti 20 e 21 della decisione impugnata), il consumatore di prodotti alimentari ragionevolmente accorto annetterà alla parola «oro» il significato di qualità superiore, in quanto essa implica un’allusione alle caratteristiche positive di un prodotto suggerendo la sua qualità, la sua utilità e il suo valore superiore. In Italia, questo segno ha un carattere distintivo molto scarso, in quanto tale termine serve principalmente a definire una gamma alta di prodotti che si distingue da una gamma intermedia e si tratta di un termine molto frequentemente utilizzato dai fabbricanti di tutti i tipi di prodotti alimentari per vantare l’elevata qualità dei loro prodotti. Esiste una grande varietà di settori che, come il settore alimentare, utilizzano nel linguaggio commerciale il termine «oro», in particolare quello delle carte di credito, del tabacco, dei prodotti d’igiene, dei prodotti tessili, o anche il settore discografico. D’altro canto, sia nei procedimenti dinanzi all’UAMI, sia dinanzi al Tribunale, la ricorrente non ha fornito alcun elemento tale da comprovare la forza distintiva intrinseca del segno «oro» nei paesi interessati dalla registrazione internazionale n. 435 773.

33      Per quanto riguarda l’argomento della ricorrente relativo all’esistenza di una capacità distintiva accresciuta attraverso l’uso in Italia, il Tribunale considera che giustamente la commissione di ricorso ha rilevato (decisione impugnata, punto 19) che nessuna utilizzazione significativa del marchio ORO poteva essere accertata anteriormente al deposito del marchio comunitario, dato che i documenti prodotti permettono di provare solo l’utilizzazione in Italia del marchio ORO SAIWA.

34      Per quanto riguarda i documenti che la ricorrente ha prodotto in allegato alla sua memoria dinanzi alla commissione di ricorso, giustamente quest’ultima non li ha presi in considerazione in quanto, in particolare, essi descrivevano fatti intervenuti dopo il deposito della domanda di marchio comunitario (decisione impugnata, punto 18). Infatti tali documenti, in particolare l’indagine demoscopica del mese di giugno 2002 e il prospetto delle vendite pubblicitarie, sono posteriori di diversi anni rispetto alla data del deposito della domanda di marchio comunitario e, pertanto, non possono essere presi in considerazione per dimostrare la rinomanza di marchi anteriori al momento del deposito della domanda di marchio comunitario [v., in questo senso, sentenza del Tribunale 13 dicembre 2004, causa T‑8/03, El Corte Inglés/UAMI – Pucci (EMILIO PUCCI), Racc. pag. II‑4297, punti 71 e 72].

35      Per quanto riguarda i risultati dell’indagine demoscopica effettuata nel gennaio 2000, anch’essi sono privi di rilevanza. Occorre, a questo proposito, rilevare che tale indagine è stata realizzata tre anni e mezzo dopo il deposito della domanda di marchio comunitario. Inoltre, come rilevato ai punti 13 e 14 della decisione impugnata, le conclusioni di tale indagine non hanno valore probante, dato che la domanda: «Dovendo definire la qualità superiore di un prodotto, quale espressione Lei userebbe, utilizzando possibilmente una sola parola?» induceva il consumatore a rispondere utilizzando espressioni correnti come «buono», «eccellente», «ottimo», «migliore», ma non consentiva di effettuare l’esame del significato che poteva produrre, presso il consumatore, un termine metaforico come «oro».

36      Per quanto riguarda, infine, gli altri documenti sottoposti alla divisione di opposizione, e cioè la tavola statistica che illustra gli investimenti pubblicitari realizzati tra il 1983 e il 2000 e le campagne pubblicitarie effettuate, la commissione di ricorso ha correttamente osservato che essi non permettono di distinguere quale fosse la quota dell’uso riguardante il marchio ORO e quella legata all’utilizzazione del marchio ORO SAIWA. Come essa ha affermato, gli investimenti pubblicitari si riferiscono genericamente ai prodotti della «linea» ORO, senza operare distinzioni a seconda del marchio interessato. Altrettanto legittimamente la commissione di ricorso ha rilevato che, quanto alle campagne pubblicitarie, i soli prodotti che formavano oggetto di pubblicità erano i biscotti e che, in tali pubblicità, il termine «oro» era sempre utilizzato in stretto contatto con il termine «Saiwa».

37      Orbene, la ricorrente non ha contestato tali rilievi, ma si è limitata a precisare che i documenti che essa aveva sottoposto all’UAMI riguardavano indistintamente tutti i prodotti della «gamma» ORO. Così facendo, la ricorrente non ha fornito alcun argomento per dimostrare che la commissione di ricorso avesse commesso un errore di valutazione esigendo una distinzione tra i marchi ORO e ORO SAIWA, per quanto riguarda le prove dell’uso dei suoi marchi anteriori e l’affermazione secondo la quale il marchio ORO, preso isolatamente, avrebbe acquisito un carattere distintivo in base al suo uso. Il Tribunale rileva, a questo proposito, che la ricorrente non può utilizzare le prove relative all’uso del marchio ORO SAIWA per dimostrare che il marchio ORO ha acquisito un carattere distintivo in base all’uso, dato che i due marchi ORO e ORO SAIWA sono marchi distinti.

38      Ne consegue che giustamente la commissione di ricorso ha concluso che, nel marchio ORO SAIWA, l’elemento dominante era SAIWA.

39      Per quanto riguarda la comparazione visiva e fonetica tra i marchi ORO e ORO SAIWA, da un lato, e SELEZIONE ORO Barilla, dall’altro, il Tribunale considera che vi sono importanti differenze visive e fonetiche nella percezione dei marchi in conflitto da parte del consumatore e che la semplice presenza del termine «oro» non può comportare una somiglianza tra loro.

40      Quanto al punto di vista concettuale, il senso che sarebbe annesso al nome comune «oro» svolge un ruolo secondario, se non trascurabile, nella percezione del consumatore, il quale non ha l’abitudine di attribuire tale termine ad un determinato fabbricante, come ha affermato la commissione di ricorso al punto 25 della decisione impugnata. L’esistenza di un esiguo grado di somiglianza concettuale tra i marchi in conflitto non è quindi tale da controbilanciare le loro differenze visive e fonetiche.

41      Giustamente, infine, la commissione di ricorso ha considerato, al punto 25 della decisione impugnata, che la parola «oro», nel marchio richiesto, aveva una funzione descrittiva rispetto al termine «selezione», per indicare al consumatore che si trattava di un prodotto Barilla appartenente alla gamma alta. Infatti, essendo immediatamente accostata alla parola «selezione», la parola «oro» non ha una funzione distintiva autonoma ma dev’essere intesa come apposta al termine descrittivo «selezione». Ne consegue che, nel marchio richiesto, il carattere distintivo del segno è dovuto al termine «Barilla».

42      Risulta da quanto precede che l’impressione d’insieme prodotta dai marchi in conflitto, tenendo conto dei loro elementi distintivi e dominanti, non può creare, tra loro, una somiglianza sufficiente a comportare un rischio di confusione agli occhi del consumatore.

43      Infine, gli argomenti della ricorrente sulla funzione essenziale del marchio sono privi di fondamento.

44      Secondo una giurisprudenza costante, la funzione essenziale del marchio è quella di garantire al consumatore o all’utilizzatore finale la provenienza del prodotto o del servizio contrassegnato, consentendogli di distinguere senza alcuna possibilità di confusione tale prodotto o tale servizio da quelli di diversa provenienza. Un marchio deve distinguere i prodotti o i servizi interessati come provenienti da un’impresa determinata [sentenza del Tribunale 23 ottobre 2002, causa T‑6/01, Matratzen Concord/UAMI – Hukla Germany (MATRATZEN), Racc. pag. II‑4335, punto 58; v. altresì, per analogia, sentenze della Corte 29 settembre 1998, causa C‑39/97, Canon, Racc. pag. I‑5507, punto 28; 4 ottobre 2001, causa C‑517/99, Merz & Krell, Racc. pag. I‑6959, punto 22, e 6 maggio 2003, causa C‑104/01, Libertel, Racc. pag. I‑3793, punto 62].

45      Contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, le particolarità della presente controversia, e cioè l’utilizzazione di uno stesso segno che caratterizza il prodotto accostando a quest’ultimo la denominazione dell’impresa produttrice, non possono modificare l’impressione d’insieme prodotta dai marchi in questione, né indurre in errore il consumatore sui prodotti interessati. Infatti, come è stato esposto al precedente punto 41, la parola «oro» adempie, nel marchio richiesto, una funzione descrittiva essendo apposta al termine «selezione». Pertanto, essa dev’essere considerata qualificativa delle denominazioni «Saiwa» o «Barilla», le quali, designando le imprese produttrici, escludono ogni rischio di confusione per il consumatore.

46      Infine, l’identificazione di un prodotto specifico non è la funzione essenziale di un marchio, ma piuttosto una caratteristica propria dei marchi che godono già di grande rinomanza e per i quali, agli occhi del pubblico, il prodotto interessato può essere designato o identificato con un semplice riferimento al marchio.

47      Alla luce di tutto quanto precede, si deve constatare l’insussistenza di un rischio di confusione tra i marchi in conflitto e, pertanto, respingere il motivo relativo ad una violazione dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94.

48      Ne consegue che il ricorso deve essere respinto.

 Sulle spese

49      Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

50      Nella fattispecie, la ricorrente è rimasta soccombente e l’UAMI e l’interveniente concludono nel senso che la ricorrente sia condannata alle spese. Si deve pertanto condannare la ricorrente alle spese sostenute sia dall’UAMI sia dall’interveniente.


Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Prima Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La ricorrente è condannata alle spese.

Cooke

García-Valdecasas

Labucka

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 5 aprile 2006.

Il cancelliere

 

      Il presidente

E. Coulon

 

      R. García-Valdecasas


* Lingua processuale: l'italiano.