Language of document : ECLI:EU:T:2006:85

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quarta Sezione)

15 marzo 2006(*)

«Ricorso di annullamento – Regolamento (CE) n. 316/2004 – Organizzazione comune del mercato vitivinicolo – Protezione delle menzioni tradizionali – Modifica della classificazione di talune menzioni tradizionali complementari – Utilizzazione dell’etichettatura di vini originari di paesi terzi – Vizio di procedura – Principio di proporzionalità – Accordo ADPIC»

Nella causa T‑226/04,

Repubblica italiana, rappresentata dal sig. M. Fiorilli, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. M. Nolin e V. Di Bucci, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

avente ad oggetto una domanda di annullamento parziale del regolamento (CE) della Commissione 20 febbraio 2004, n. 316, recante modifica del regolamento (CE) n. 753/2002 che fissa talune modalità di applicazione del regolamento (CE) del Consiglio n. 1493/1999 per quanto riguarda la designazione, la presentazione e la protezione di taluni prodotti vitivinicoli (GU L 55, pag. 16), nella parte in cui modifica gli artt. 24, 36 e 37 del regolamento (CE) della Commissione 29 aprile 2002, n. 753 (GU L 118, pag. 1), per quanto concerne la protezione delle menzioni tradizionali,

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO

DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Quarta Sezione),

composto dal sig. H. Legal, presidente, dal sig. P. Mengozzi e dalla sig.ra I. Wiszniewska-Białecka, giudici,

cancelliere: sig. J. Palacio González, amministratore principale,

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 14 dicembre 2005,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Contesto normativo

1       Il regolamento (CE) del Consiglio 17 maggio 1999, n. 1493, relativo all’organizzazione comune del mercato vitivinicolo (GU L 179, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento di base»), espone, nei suoi artt. 47-53 e nei suoi allegati VII e VIII, la normativa comunitaria applicabile alla designazione, alla denominazione, alla presentazione e alla protezione di taluni prodotti vitivinicoli.

2       Il regolamento (CE) della Commissione 29 aprile 2002, n. 753, che fissa talune modalità di applicazione del regolamento di base per quanto riguarda la designazione, la denominazione, la presentazione e la protezione di taluni prodotti vitivinicoli (GU L 118, pag. 1), ha istituito talune modalità di applicazione delle disposizioni del regolamento di base considerate al precedente punto 1.

3       Il regolamento (CE) della Commissione 20 febbraio 2004, n. 316, recante modifica del regolamento n. 753/2002 (GU L 55, pag. 16), modifica in particolare gli artt. 24, 36 e 37 e l’allegato III del regolamento n. 753/2002 per quanto riguarda la protezione delle menzioni tradizionali.

 Regolamento n. 753/2002

4       Il regolamento n. 753/2002 disciplina tre categorie di menzioni tradizionali: le menzioni tradizionali complementari di cui all’art. 23, che possono essere utilizzate al contempo per i vini di qualità prodotti in regioni determinate (v.q.p.r.d.) e per i vini da tavola che beneficiano di un’indicazione geografica (in prosieguo: i «VDT con IG»), i termini di cui all’art. 28, la cui utilizzazione è riservata ai VDT con IG, e le menzioni specifiche tradizionali di cui all’art. 29, la cui utilizzazione è riservata ai v.q.p.r.d.

5       L’art. 23 del regolamento n. 753/2002 definisce la nozione di menzione tradizionale complementare come un’espressione che «si utilizza tradizionalmente per indicare i [VDT con IG e i v.q.p.r.d.] negli Stati membri produttori; essa si riferisce in particolare ad un metodo di produzione, di elaborazione o di invecchiamento oppure alla qualità, al colore o al tipo di luogo o ad un evento connesso alla storia del vino e che è definito nella legislazione degli Stati membri produttori allo scopo di designare i vini in questione prodotti nel loro territorio».

6       L’art. 24 del regolamento n. 753/2002, intitolato «Protezione delle menzioni tradizionali», che figura nel titolo IV, relativo alle norme applicabili ai VDT con IG e ai v.q.p.r.d., nella sua versione anteriore al regolamento n. 316/2004, disponeva:

«1.      Ai fini dell’applicazione del presente articolo, per “menzioni tradizionali” si intendono le menzioni tradizionali complementari di cui all’articolo 23, i termini di cui all’articolo 28 e le menzioni specifiche tradizionali di cui all’articolo 14, paragrafo 1, primo comma, lettera c), all’articolo 29 e all’articolo 38, paragrafo 3.

2.      Le menzioni tradizionali che figurano nell’allegato III sono riservate ai vini ai quali esse si riferiscono e sono tutelate:

a)      contro qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se la menzione protetta è accompagnata da espressioni quali “genere”, “tipo”, “metodo”, “imitazione”, “marchio” o altre menzioni analoghe;

b)      contro qualsiasi altra indicazione abusiva, falsa o ingannevole relativa alla natura o alle qualità essenziali del vino usata sulla confezione o sull’imballaggio, nella pubblicità o sui documenti relativi al prodotto di cui trattasi;

c)      contro qualsiasi altra prassi che possa indurre in errore il pubblico e in particolare che lasci supporre che il vino fruisca della menzione tradizionale protetta.

3.      Per la designazione di un vino non possono essere utilizzati sull’etichettatura marchi contenenti le menzioni tradizionali riportate nell’allegato III se il vino in questione non ha diritto a tale designazione.

(...)

4.      Se una menzione tradizionale che figura nell’allegato III del presente regolamento rientra anche in una delle categorie di indicazioni di cui all’allegato VII, sezione A [relativa alle indicazioni obbligatorie] e [sezioni B.1 e B.2] [relative alle indicazioni facoltative] del regolamento [di base], si applicano a questa menzione tradizionale le disposizioni del presente articolo anziché le altre disposizioni del titolo IV o del titolo V.

La protezione di una menzione tradizionale si applica esclusivamente in relazione alla lingua o alle lingue in cui essa figura nell’allegato III.

Ogni menzione tradizionale che figura all’allegato III è legata ad una categoria di vini o a più categorie di vino. Tali categorie sono le seguenti:

a)      i vini liquorosi di qualità prodotti in regioni determinate e i vini liquorosi con indicazione geografica; in tal caso la tutela della menzione tradizionale si applica soltanto alla designazione dei vini liquorosi;

b)      i vini spumanti di qualità prodotti in regioni determinate (…); in tal caso la tutela della menzione tradizionale si applica soltanto alla designazione dei vini spumanti e dei vini spumanti gassificati;

c)      i vini frizzanti di qualità prodotti in regioni determinate e i vini frizzanti con indicazione geografica; in tal caso la tutela della menzione tradizionale si applica soltanto alla designazione dei vini frizzanti e dei vini frizzanti gassificati;

d)      i [v.q.p.r.d.] diversi da quelli menzionati nelle lettere a), b) e c) e i [VDT con IG]; in tal caso la protezione della menzione tradizionale si applica soltanto alla designazione dei vini diversi dai vini liquorosi, dai vini spumanti, dai vini spumanti gassificati, dai vini frizzanti e dai vini frizzanti gassificati;

(…)

5.      Per poter figurare nell’allegato III, sezione A, una menzione tradizionale deve essere conforme alle seguenti condizioni:

a)      essere specific[a] di per sé e precisamente definit[a] nella legislazione dello Stato membro;

b)      essere sufficientemente distintiv[a] e/o godere di una solida reputazione nell’ambito del mercato comunitario;

c)      essere stat[a] utilizzat[a] tradizionalmente per almeno 10 anni nello Stato membro in questione;

d)      essere associat[a] a uno o, eventualmente, a più vini o categorie di vini comunitari.

6.      Per poter figurare nell’allegato III, sezione B, le menzioni tradizionali devono rispettare le condizioni indicate al paragrafo 5, essere associate a un vino recante un’indicazione geografica e servire a identificare questo vino come originario di detta regione o località del territorio comunitario qualora la reputazione, una qualità o un’altra caratteristica determinata del vino, espressa dalla menzione tradizionale in causa, possa essere attribuita essenzialmente a tale origine geografica.

7.      Gli Stati membri comunicano alla Commissione:

a)      gli elementi atti a giustificare il riconoscimento delle menzioni tradizionali;

b)      le menzioni tradizionali dei vini ammesse nelle rispettive legislazioni nazionali che soddisfano le condizioni sopra esposte, nonché i vini ai quali dette menzioni sono riservate;

c)      se del caso, le menzioni tradizionali che cessano di essere protette nel loro paese d’origine.

8.      In deroga ai paragrafi da 1 a 7, alcune menzioni tradizionali di cui all’allegato III, sezione A, possono essere utilizzate nell’etichettatura di vini recanti un’indicazione geografica e originari di paesi terzi nella lingua del paese terzo d’origine, o in un’altra lingua qualora l’impiego di tale lingua sia tradizionale per le indicazioni di cui trattasi, a condizione che:

a)      tali paesi abbiano presentato una domanda motivata alla Commissione e abbiano trasmesso i testi legislativi relativi alle suddette menzioni;

b)      siano soddisfatte le condizioni di cui ai paragrafi 5 e 9;

c)      le disposizioni stabilite dai paesi terzi non siano tali da indurre in errore il consumatore sulla menzione in causa.

I paesi terzi interessati sono elencati, per ciascuna menzione tradizionale, nell’allegato III, sezione A.

9.      In applicazione dell’allegato VII, [parte D, n.] 1, sesto comma [relativo alle lingue che possono essere utilizzate per l’etichettatura], del regolamento [di base] e del paragrafo 8 del presente articolo, l’utilizzazione di una lingua diversa dalla lingua ufficiale del paese è considerata tradizionale per quanto concerne una menzione tradizionale se l’utilizzazione di tale lingua è prevista dalla legislazione del paese e se tale lingua è utilizzata per questa menzione tradizionale in modo costante da almeno venticinque anni.

(…)».

7       L’allegato III del regolamento n. 753/2002, che stabilisce l’elenco delle menzioni tradizionali di cui al citato art. 24, si componeva, conformemente alle prescrizioni di tale articolo, di due parti, una parte A, costituita da una tabella divisa, per ciascuno Stato membro, in tre sezioni (menzioni specifiche tradizionali di cui all’art. 29, termini previsti all’art. 28 e menzioni tradizionali complementari), e una parte B, mentre le condizioni di inserimento di una menzione tradizionale nell’una o nell’altra parte di tale allegato erano precisate nel citato art. 24.

8       L’art. 36 del regolamento n. 753/2002, intitolato «Vini importati con indicazione geografica», che figura nel titolo V, relativo alle norme applicabili ai prodotti importati, disponeva, al suo n. 3, terzo comma:

«alcune menzioni dei paesi terzi che servono a identificare un vino come vino originario di una regione o località del proprio territorio, qualora la reputazione, una qualità o un’altra caratteristica determinata del vino, espressa dalla menzione suddetta, possa essere attribuita essenzialmente a tale origine geografica e che sono omonime delle menzioni tradizionali che figurano nell’allegato III, parte B, possono essere utilizzate in condizioni pratiche che consentano di differenziarle tra loro, tenuta presente la necessità di garantire un equo trattamento dei produttori interessati e di non indurre in errore i consumatori».

9       L’art. 36, n. 4, del regolamento n. 753/2002 stabiliva:

«Le indicazioni geografiche e le menzioni tradizionali di cui ai paragrafi 1, 2 e 3 non possono essere utilizzate se, quantunque letteralmente esatte per quanto concerne il territorio, la regione o la località di cui sono originari i prodotti, inducano a torto i consumatori a ritenere che i prodotti siano originari di un altro territorio».

10     L’art. 37 del regolamento n. 753/2002, figurante anch’esso nel titolo V, e intitolato «Altre indicazioni che possono figurare sull’etichettatura dei vini con indicazione geografica importati», disponeva:

«1.      In applicazione dell’allegato VII, sezione B.2, del regolamento [di base], l’etichettatura dei vini originari dei paesi terzi (esclusi i vini spumanti e i vini spumanti gassificati, ma compresi i vini ottenuti da uve stramature) e dei mosti di uve parzialmente fermentati destinati al consumo umano diretto elaborati nei paesi terzi che recano il nome di un’indicazione geografica conformemente all’articolo 36, può essere completata dalle indicazioni seguenti:

(...)

e)      per quanto riguarda i vini dei paesi terzi e i mosti di uve parzialmente fermentati destinati al consumo umano diretto dei paesi terzi, menzioni tradizionali complementari diverse da quelle che figurano nell’allegato III, conformemente alla legislazione del paese terzo di cui trattasi, e menzioni tradizionali complementari che figurano nell’allegato III, purché le condizioni d’impiego siano disciplinate dal paese terzo interessato conformemente agli articoli 23 e 24;

(...)».

11     L’art. 49 del regolamento n. 753/2002 stabiliva che detto regolamento si sarebbe applicato a decorrere dal 1° gennaio 2003, ma il suo art. 47, n. 1, secondo comma, prevedeva che «[l]e etichette e gli imballaggi preconfezionati recanti diciture stampate in conformità alle pertinenti disposizioni vigenti al momento dell’immissione sul mercato dei prodotti in questione che non [fossero] più conformi alle suddette disposizioni in seguito all’applicabilità del presente regolamento, [avrebbero potuto] essere utilizzati fino al 1° agosto 2003».

12     Tale disposizione ha formato oggetto di varie modifiche. L’ultima modifica intervenuta prima dell’adozione del regolamento n. 316/2004 è stata introdotta dal regolamento (CE) della Commissione 4 luglio 2003, n. 1205, recante modifica del regolamento n. 753/2002 (GU L 168, pag. 13). Ai sensi dell’art. 1 del regolamento n. 1205/2003, l’art. 47, n. 1, secondo comma, del regolamento n. 753/2002 era modificato come segue:

«Le etichette e gli imballaggi preconfezionati recanti diciture stampate in conformità alle pertinenti disposizioni vigenti fino alla data in cui entra in applicazione il presente regolamento possono essere utilizzati fino al 1° febbraio 2004».

 Regolamento n. 316/2004

13     Il regolamento n. 316/2004 è stato adottato in forza del regolamento di base, e in particolare del suo art. 53 e del suo art. 80, lett. b).

14     Ai sensi del suo secondo ‘considerando’, il regolamento n. 316/2004 apporta modifiche al regolamento n. 753/2002, in particolare, al fine di prendere in considerazione le riserve che tale regolamento aveva suscitato presso un certo numero di paesi terzi produttori di vini a seguito della notifica del regolamento n. 753/2002 all’Organizzazione mondiale del commercio (OMC). Tale regolamento precisa così al suo terzo ‘considerando’ che le modifiche introdotte hanno lo scopo di «consentire l’uso di alcune espressioni tradizionali ai paesi terzi che soddisfino condizioni equivalenti a quelle imposte agli Stati membri» e che, «dal momento che diversi paesi terzi non hanno lo stesso livello di centralizzazione della produzione normativa della Comunità, è opportuno modificare alcune disposizioni regolamentari mantenendone tuttavia l’obbligatorietà».

15     L’art. 1, punto 4, lett. a), del regolamento n. 316/2004 modifica l’art. 24, n. 5, del regolamento n. 753/2002 sostituendo la frase introduttiva con una disposizione ai sensi della quale, «[p]er poter figurare nell’allegato III, una menzione tradizionale deve essere conforme alle condizioni seguenti». Il resto del n. 5 rimane invariato e le disposizioni dell’art. 24, nn. 6 e 8, del regolamento n. 753/2002 sono soppresse in forza dell’art. 1, punto 4, lett. b) e c), del regolamento n. 316/2004.

16     L’art. 1, punto 9, del regolamento n. 316/2004 modifica l’art. 36 del regolamento n. 753/2002 sopprimendo il n. 3, terzo comma, e sostituendo, in particolare, il n. 4 con il testo seguente:

«Le indicazioni geografiche di cui ai paragrafi 1, 2 e 3 non possono essere utilizzate se, quantunque letteralmente esatte per quanto concerne il territorio, la regione o la località di cui sono originari i prodotti, inducano a torto i consumatori a ritenere che i prodotti siano originari di un altro territorio».

17     L’art. 1, punto 10, lett. a), sub i) e iv), del regolamento n. 316/2004 modifica l’art. 37, n. 1, lett. e), del regolamento n. 753/2002, il quale recita ormai come segue:

«1.      In applicazione dell’allegato VII, sezione B.2, del regolamento [di base], l’etichettatura dei vini originari dei paesi terzi (esclusi i vini spumanti, i vini spumanti gassificati e i vini frizzanti gassificati, ma compresi i vini ottenuti da uve stramature) e dei mosti di uve parzialmente fermentati destinati al consumo umano diretto, elaborati nei paesi terzi che recano il nome di un’indicazione geografica conformemente all’articolo 36, può essere completata dalle indicazioni seguenti:

(...)

e)      per quanto riguarda i vini dei paesi terzi e i mosti di uve parzialmente fermentati destinati al consumo umano diretto dei paesi terzi, menzioni tradizionali complementari:

i)      diverse da quelle figuranti nell’allegato III, conformemente alle norme applicabili ai produttori di vino del paese terzo di cui trattasi, comprese quelle stabilite da organizzazioni professionali rappresentative e

ii)      figuranti nell’allegato III, purché le condizioni d’impiego siano conformi alle norme applicabili ai produttori di vino del paese terzo di cui trattasi, comprese quelle stabilite da organizzazioni professionali rappresentative, e a condizione che:

–       tali paesi abbiano presentato alla Commissione una domanda motivata e trasmesso gli elementi che permettono di giustificare il riconoscimento delle menzioni tradizionali,

–       le menzioni siano specifiche di per sé,

–       le menzioni siano sufficientemente distintive e/o godano di una solida reputazione all’interno del paese terzo,

–       le menzioni siano state utilizzate tradizionalmente per almeno dieci anni nel paese terzo,

–       le menzioni siano associate a uno o, eventualmente, a più categorie di vini del paese terzo,

–       le prescrizioni stabilite dal paese terzo non siano di natura tale da indurre i consumatori in errore circa la menzione di cui trattasi.

         Inoltre, alcune menzioni tradizionali figuranti nell’allegato III possono essere utilizzate nell’etichettatura dei vini che recano un’indicazione geografica e sono originari dei paesi terzi nella lingua del paese terzo di origine oppure in un’altra lingua, se l’utilizzazione di una lingua diversa dalla lingua ufficiale del paese è considerata tradizionale per quanto concerne una menzione tradizionale, se l’utilizzazione di tale lingua è prevista dalla legislazione del paese e se tale lingua è utilizzata per questa menzione tradizionale ininterrottamente da almeno venticinque anni.

         Si applica, mutatis mutandis, il disposto dell’articolo 23, […] dell’articolo 24, paragrafi 2, 3, 4, secondo comma, e [dell’articolo 24] paragrafo 6, lettera c).

         Per ciascuna menzione tradizionale di cui al [precedente] punto ii), i paesi terzi interessati sono indicati nell’allegato III».

18     L’art. 1, punto 18, del regolamento n. 316/2004 sostituisce l’allegato III del regolamento n. 753/2002 con una nuova versione, il cui testo fonde le parti A e B della vecchia versione. Le menzioni tradizionali che figuravano in precedenza nella parte B figurano ormai nella categoria delle menzioni tradizionali complementari della nuova versione di tale allegato.

19     Infine, l’art. 1, punto 16, del regolamento n. 316/2004 modifica l’art. 47, n. 1, secondo comma, del regolamento n. 753/2002, prorogando sino al 15 marzo 2004 la possibilità di utilizzare le etichette e gli imballaggi preconfezionati conformi alle disposizioni in vigore sino all’entrata in applicazione del regolamento n. 753/2002, così come modificato.

 Procedimento e conclusioni delle parti

20     Con atto introduttivo depositato nella cancelleria della Corte il 3 maggio 2004, la Repubblica italiana ha proposto il presente ricorso.

21     Con ordinanza della Corte 8 giugno 2004, questa causa è stata rinviata al Tribunale, conformemente alle disposizioni dell’art. 2 della decisione del Consiglio 26 aprile 2004, 2004/407/CE, Euratom, che modifica gli artt. 51 e 54 del Protocollo sullo Statuto della Corte di giustizia (GU L 132, pag. 5).

22     Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Quarta Sezione) ha deciso di passare alla fase orale.

23     Sono state sentite le difese orali delle parti e le risposte di queste ultime ai quesiti orali loro rivolti dal Tribunale all’udienza del 14 dicembre 2005.

24     La Repubblica italiana conclude che il Tribunale voglia annullare il regolamento n. 316/2004 nella parte in cui modifica gli artt. 24, 36 e 37 del regolamento n. 753/2002 per quanto riguarda la protezione delle menzioni tradizionali.

25     La Commissione conclude che il Tribunale voglia:

–       respingere il ricorso;

–       condannare la Repubblica italiana alle spese;

–       in subordine, se il ricorso viene accolto, ordinare che ciascuna parte sopporti le proprie spese.

 In diritto

26     A sostegno del suo ricorso, diretto contro l’art. 1, punto 4, punto 9, punto 10, lett. a), sub iv), e punto 18, del regolamento n. 316/2004 (in prosieguo: le «disposizioni impugnate»), il governo italiano solleva, in sostanza, quattro motivi, fondati, in primo luogo, su vizi di procedura e sulla mancanza di un contraddittorio effettivo, in secondo luogo, su una violazione del regolamento di base, delle conclusioni del Consiglio sugli accordi bilaterali relativi ai vini, allegate alla nota (punto A) del comitato speciale «Agricoltura» n. 12192/00 del 20 ottobre 2000 (in prosieguo: le «conclusioni del Consiglio»), nonché del regolamento n. 753/2002, in terzo luogo, su una violazione del principio di proporzionalità e su uno sviamento di potere e, in quarto luogo, su una violazione di norme internazionali inderogabili.

 Sul motivo relativo a vizi di procedura e alla mancanza di contraddittorio effettivo

 Argomenti delle parti

27     Il governo italiano sottolinea, in primo luogo, che il procedimento di adozione del regolamento n. 316/2004 è intervenuto prima ancora che tutte le disposizioni del regolamento n. 753/2002 fossero applicabili.

28     In secondo luogo, esso precisa che il procedimento è stato avviato con una lettera della Commissione del 9 ottobre 2003 (documento di lavoro all’attenzione dei membri del comitato di gestione dei vini, relativo alle proposte di modifiche al regolamento n. 753/2002, AGRI/63485.2003-REV.2). Secondo il governo italiano, tale lettera faceva riferimento a domande di paesi terzi presentate nell’ambito dell’OMC. Tuttavia, la Commissione non avrebbe né distribuito agli Stati membri il documento dell’OMC nel quale i paesi terzi si lamentavano dell’adozione del regolamento n. 753/2002, né spiegato le considerazioni di tali paesi in maniera esplicita, eccetto le considerazioni sommarie figuranti nei progetti sfociati nel regolamento n. 316/2004.

29     In terzo luogo, il governo italiano avrebbe manifestato, sia per iscritto sia oralmente, ed in tempo utile, la sua opposizione al progetto di regolamento n. 316/2004. Inoltre, in occasione della riunione del comitato di gestione vini (in prosieguo: il «comitato di gestione») del 27 gennaio 2004, esso avrebbe votato contro l'adozione di tale regolamento così come i governi francese, spagnolo, portoghese, greco e lussemburghese. Il regolamento n. 316/2004 sarebbe tuttavia stato adottato dalla Commissione senza il parere di tale comitato.

30     In quarto luogo, la procedura adottata dalla Commissione per il voto non sarebbe regolare, dato che il progetto è stato sottoposto per parere in occasione della riunione del comitato di gestione del 27 gennaio 2004 solo nella sua versione in lingua francese. Per rimediare a tale vizio, la Commissione avrebbe del resto nuovamente proposto il progetto di regolamento tradotto in tutte le lingue ufficiali in occasione della riunione del 10 febbraio 2004 per la conferma del voto del 27 gennaio 2004.

31     La Commissione considera, innanzi tutto, che nessuna norma le impone di trasmettere agli Stati membri i documenti distribuiti o le osservazioni presentate dai paesi terzi nell’ambito dell’OMC, dato che gli Stati membri hanno già ricevuto tali documenti nella loro qualità di membri dell’OMC.

32     In secondo luogo, la Commissione risponde, da un lato, che gli effetti del preteso vizio che risulterebbe dalla mancata trasmissione iniziale del progetto di regolamento in lingua italiana sono stati neutralizzati, dato che il progetto di regolamento in tutte le lingue ufficiali è stato sottoposto al voto del comitato di gestione nel corso della riunione del 10 febbraio 2004, e, dall'altro, che tale vizio non sarebbe mai esistito poiché il regolamento è stato adottato solo il 20 febbraio 2004, ossia dopo che il comitato di gestione era stato chiamato ad esprimere il proprio parere su un testo redatto in tutte le lingue ufficiali. In ogni caso, la procedura del comitato di gestione prevista all’art. 75 del regolamento di base permetterebbe alla Commissione di adottare misure immediatamente applicabili, comunicate poi al Consiglio unicamente se non sono conformi al parere espresso dal comitato di gestione. Ora, nella fattispecie, il comitato di gestione non avrebbe espresso un parere alla maggioranza richiesta.

33     In terzo luogo, la violazione del principio del contraddittorio non sarebbe provata, posto che la procedura di adozione del regolamento non prevede un esame in contraddittorio con ciascuno Stato membro, ma unicamente la consultazione del comitato di gestione.

 Giudizio del Tribunale

34     In primo luogo, il Tribunale rileva che il fatto che il procedimento di adozione delle disposizioni impugnate sia intervenuto prima ancora che tutte le disposizioni del regolamento n. 753/2002 fossero divenute applicabili non è pertinente. Infatti, è pacifico che le disposizioni che hanno costituito il fondamento normativo delle modifiche apportate dalle disposizioni impugnate, e cioè in particolare l’art. 53 e l’art. 80, lett. b), del regolamento di base, erano in vigore al momento dell’adozione delle disposizioni impugnate. Pertanto, la Commissione disponeva di un fondamento normativo per adottarle e il fatto che non tutte le disposizioni che queste ultime modificano fossero in quel momento applicabili è ininfluente sulla loro legittimità.

35     In secondo luogo, il fatto che la Commissione non abbia distribuito agli Stati membri, al momento dell’avvio del procedimento di modifica del regolamento n. 753/2002, documenti comunicati da paesi terzi nell’ambito dell’OMC è anch’esso ininfluente sulla legittimità delle disposizioni impugnate, dato che sulla Commissione non gravava alcun obbligo in tal senso.

36     Infatti, il procedimento di adozione del regolamento n. 316/2004 è disciplinato dall’art. 53, n. 1, del regolamento di base, ai sensi del quale, in particolare, «[l]e modalità di applicazione del presente capo (...) sono adottate secondo la procedura di cui all’art. 75», e dall’art. 80, lett. b), dello stesso regolamento, che precisa in particolare che, «[s]econdo la procedura di cui all’art. 75, sono adottate misure (...) necessarie per risolvere problemi pratici specifici».

37     L’art. 75 del regolamento di base, nella sua versione in vigore il 9 ottobre 2003, data in cui la Commissione ha avviato il procedimento di adozione delle disposizioni impugnate, prevede che la Commissione è assistita dal comitato di gestione e che, nel caso in cui sia fatto riferimento nel regolamento di base all’art. 75 di questo stesso regolamento, si applicano gli artt. 4 e 7 della decisione del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/468/CE, recante modalità per l’esercizio delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione (GU L 184, pag. 23).

38     In forza dell’art. 4 della decisione 1999/468, la Commissione sottopone al comitato di gestione interessato un progetto contenente le misure da adottare. Ai sensi del n. 2 di tale articolo, tale comitato deve esprimere un parere su tale progetto alla maggioranza e secondo le regole di ponderazione previste dall’art. 205, n. 2, CE, per l’adozione delle decisioni che il Consiglio deve prendere su proposta della Commissione.

39     L’art. 4, n. 3, della decisione 1999/468 prevede che la Commissione adotta misure che sono immediatamente applicabili e che soltanto nel caso in cui queste ultime non siano conformi al parere espresso dal comitato di gestione esse sono comunicate al Consiglio che può allora, in forza del n. 4, adottare a maggioranza qualificata una decisione diversa da quella adottata dalla Commissione durante il periodo precisato nell’atto di base. Ai sensi dell’art. 75, n. 2, secondo comma, del regolamento di base, tale periodo è di un mese.

40     Così, né le norme applicabili, né i principi di buona amministrazione e di leale cooperazione impongono alla Commissione l’obbligo di comunicare ai membri del comitato di gestione interessato nel caso di specie tutti i documenti emanati da paesi terzi che potrebbero esserle trasmessi in particolare nell’ambito dell’OMC, in mancanza di una richiesta specifica al riguardo. La mancata comunicazione dei documenti invocati dalla Repubblica italiana è pertanto ininfluente sulla legittimità delle disposizioni impugnate.

41     Lo stesso vale per quanto riguarda la motivazione del progetto di regolamento proposto dalla Commissione alla luce delle considerazioni espresse dai paesi terzi nell’ambito dell’OMC. Come risulta dai punti precedenti, in forza delle norme procedurali applicabili, la Commissione non era tenuta a sottoporre, per la proposta di regolamento, una motivazione che riportasse in dettaglio le doglianze espresse da tali paesi terzi. Neanche l’argomento del governo italiano relativo alla mancanza di spiegazioni da parte della Commissione sulle considerazioni espresse dai paesi terzi nell’ambito dell’OMC può dunque essere accolto.

42     In terzo luogo, né il fatto che la Repubblica italiana abbia manifestato la sua opposizione all’adozione delle disposizioni impugnate né il fatto che queste ultime siano state adottate in mancanza di un parere del comitato di gestione sono pertinenti. Infatti, è pacifico che il comitato di gestione è stato consultato preliminarmente all’adozione delle disposizioni impugnate. D’altro canto, come esposto in precedenza, in forza dell’art. 4, n. 2, della decisione 1999/468, la Commissione può adottare misure immediatamente applicabili e solo nell’ipotesi in cui un parere non conforme sia stato espresso dal comitato di gestione essa è tenuta a trasmettere la sua proposta al Consiglio, affinché quest’ultimo prenda posizione. Orbene, è pacifico che la maggioranza di 62 voti prevista all’art. 205, n. 2, CE, per l’adozione delle decisioni che il Consiglio deve prendere su proposta della Commissione, nella versione di tale disposizione applicabile al momento dei fatti, non è stata raggiunta. Infatti, dai verbali delle riunioni del comitato di gestione del 27 gennaio e del 10 febbraio 2004, acclusi in allegato al ricorso, risulta che 40 voti sono stati espressi a favore dell’adozione di un parere sfavorevole e 47 voti a favore dell’adozione di un parere favorevole.

43     In quarto luogo, l’argomento relativo alla comunicazione iniziale delle proposte di modifica unicamente in lingua francese dev’essere respinto in quanto inefficace. Anche se è accertato che la Commissione ha inizialmente trasmesso solo la versione francese del progetto di regolamento contenente le disposizioni impugnate, è pacifico che, in occasione della riunione del comitato di gestione del 10 febbraio 2004, il progetto di regolamento è stato presentato al detto comitato in tutte le versioni linguistiche, che un voto sulla proposta della Commissione è stato nuovamente sollecitato e che il voto espresso il 10 febbraio 2004 è stato identico a quello espresso nel corso della riunione del 27 gennaio 2004. Pertanto, il fatto che il progetto di regolamento non sia stato inizialmente presentato nella versione italiana è ininfluente sulla legittimità delle disposizioni impugnate, dato che gli Stati membri, ivi compresa la Repubblica italiana, sono stati consultati e chiamati a votare sulla base di tutte le versioni linguistiche del progetto.

44     Risulta da quanto precede che il comitato di gestione vini è stato regolarmente consultato e che l’asserita violazione del principio del contraddittorio non è dimostrata.

45     Pertanto, il presente motivo dev’essere respinto.

 Sul motivo relativo alla violazione del regolamento di base, delle conclusioni del Consiglio e del regolamento n. 753/2002

 Argomenti delle parti

46     In primo luogo, secondo il governo italiano risulta dai ‘considerando’ del regolamento di base che la Commissione non dispone nella fattispecie di un potere discrezionale incondizionato nella formulazione delle disposizioni di applicazione di tale regolamento. Il regolamento di base disciplinerebbe l’esercizio del potere delegato alla Commissione stabilendo che le disposizioni concernenti la designazione, la denominazione e la presentazione del vino perseguono l’obiettivo di tutelare gli interessi legittimi dei consumatori e dei produttori, il buon funzionamento del mercato interno e lo sviluppo di produzioni di qualità. Le modifiche apportate dalle disposizioni impugnate agli artt. 24, 36 e 37 e all’allegato III del regolamento n. 753/2002, e quindi alla protezione delle menzioni tradizionali, in particolare quelle che figuravano in precedenza nella parte B dell’allegato III del regolamento n. 753/2002, pregiudicando la realizzazione di tale obiettivo, sarebbero illegittime. Nella sua replica, il governo italiano precisa che la Commissione si è fatta legislatore violando i principi posti dal Consiglio per il conseguimento degli obiettivi dell’art. 33 CE.

47     Il governo italiano aggiunge che il regolamento di base prevede al suo allegato VII, parte B, n. 1, lett. b), quinto trattino, che l’etichettatura dei VDT con IG e dei v.q.p.r.d. può essere completata con l’indicazione di menzioni tradizionali complementari «secondo le modalità previste dallo Stato membro produttore», in quanto tali menzioni tradizionali costituiscono semplicemente un tutt’uno con le indicazioni geografiche, la cui disciplina incombe agli Stati membri. In forza delle direttive impartite dal Consiglio, la normativa della Commissione avrebbe soltanto dovuto stabilire disposizioni regolamentari comuni dirette ad accrescere la protezione delle menzioni tradizionali, attraverso disposizioni analoghe a quelle relative alle indicazioni geografiche. Ciò discenderebbe sia dai ‘considerando’ del regolamento n. 753/2002 sia dall’art. 24, n. 2, di tale regolamento.

48     Il governo italiano ritiene che la normativa posteriore al regolamento di base non possa in alcun caso comportare una diminuzione della protezione delle menzioni tradizionali. Tale diminuzione sarebbe quindi sostanzialmente in contrasto con il regolamento di base.

49     In secondo luogo, la divisione dell’allegato III in due parti sarebbe derivata dalle direttive impartite dal Consiglio alla Commissione per la conclusione di accordi bilaterali relativi ai vini. Il governo italiano fa riferimento in particolare al punto II delle conclusioni del Consiglio.

50     Tuttavia, le disposizioni impugnate, sopprimendo la parte B dell’allegato III, avrebbero posto fine alla distinzione esistente tra la protezione delle menzioni rientranti nella parte A e la protezione di quelle rientranti nella parte B, attribuendo a tutte le menzioni un grado di protezione inferiore e diminuendo così la protezione di numerose menzioni in precedenza riservate ai vini comunitari con un’indicazione geografica, e che potrebbero ormai essere accordate a vini originari di paesi terzi a condizioni molto favorevoli. Ciò avrebbe comportato, per le menzioni tradizionali complementari integranti la provenienza geografica, la confisca dei diritti di proprietà intellettuale dei produttori.

51     In terzo luogo, la Commissione non avrebbe avuto il potere di adottare le disposizioni impugnate, che riducono la protezione delle menzioni tradizionali, laddove l’art. 24, n. 2, del regolamento n. 753/2002 assicurava, secondo il governo italiano, una protezione delle menzioni tradizionali anche contro l’evocazione (così come per le indicazioni geografiche), e le modifiche apportate hanno invece l’effetto di abolire l’equiparazione tra menzioni tradizionali e indicazioni geografiche.

52     Le modifiche apportate dalle disposizioni impugnate abbasserebbero il livello di protezione di tutte le menzioni tradizionali del nuovo allegato III. Infatti, prima di queste ultime, le menzioni figuranti nella parte A potevano, secondo il governo italiano, essere utilizzate da paesi terzi solo se ricorrevano le condizioni dell’art. 24, nn. 5 e 9, del regolamento n. 753/2002, in particolare la condizione di solida reputazione nell’ambito del mercato comunitario. Tuttavia, in applicazione delle disposizioni impugnate, basterebbe ormai che la reputazione sia acquisita e dimostrata semplicemente all’interno del paese terzo interessato.

53     In via preliminare, la Commissione fa valere che, secondo la giurisprudenza e in forza della delega accordatale dal Consiglio nel regolamento di base, essa dispone nella fattispecie di un’ampia discrezionalità.

54     Essa sostiene, in via generale, che la regolarità del presente motivo alla luce dell’art. 21, primo comma, dello Statuto della Corte nonché dell’art. 38, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura della Corte, che si applicava al momento della proposizione del ricorso, è incerta, dato che i motivi che consentono di concludere per l’illegittimità delle disposizioni impugnate non sono precisamente esposti. Ciò premesso, la Commissione risponde agli argomenti della ricorrente.

55     In primo luogo, le disposizioni dell’allegato VII, parte B, n. 1, lett. b), quinto trattino, del regolamento di base non prevedrebbero alcunché in ordine al controllo delle menzioni tradizionali, salvo il fatto che esse hanno lo scopo di consentire che l’etichettatura dei VDT con IG e dei v.q.p.r.d. sia completata dall’indicazione di menzioni tradizionali complementari «secondo le modalità previste dallo Stato membro produttore». Tale rinvio riguarderebbe quindi le modalità d’uso di ciascuna menzione tradizionale riconosciuta dal diritto comunitario, e non il contenuto o la portata del controllo delle menzioni tradizionali in generale.

56     Per giunta, il governo italiano non contesterebbe il principio secondo il quale il legislatore comunitario può definire il livello e la portata della tutela accordata alle menzioni tradizionali, ma si limiterebbe a criticare le scelte concretamente operate dalla Commissione. Esso ammetterebbe così che, in base all’allegato VII, parte B, n. 1, lett. b), quinto trattino, il contenuto e la portata della tutela accordata alle menzioni tradizionali sarebbero determinate non dal diritto dello Stato membro produttore, ma dalle disposizioni di esecuzione emanate dalla Commissione.

57     La Commissione fa valere, in secondo luogo, che, nei limiti in cui l’argomentazione del governo italiano dev’essere intesa come fondata sulla violazione delle conclusioni del Consiglio, queste ultime non la vincolano. Da un lato, tali conclusioni riguarderebbero i negoziati con i paesi terzi, e non la normativa interna della Comunità. Dall’altro, il Consiglio avrebbe autorizzato la Commissione ad emanare norme di esecuzione in forza dell’art. 53, n. 2, lett. e), e dell’allegato VII, parte B, n. 1, lett. b), quinto trattino, del regolamento di base, i quali non imporrebbero alla Commissione di attenersi a una distinzione tra due tipi di menzioni tradizionali. Il Consiglio non avrebbe quindi potuto vincolare la Commissione con le sue conclusioni, ma solo mediante una formale modifica del regolamento di base.

58     In terzo luogo, la censura relativa alla violazione dell’art. 24, n. 2, del regolamento n. 753/2002 sarebbe anch’essa infondata. Da un lato, tale norma sarebbe pari ordinata rispetto a quelle impugnate e non potrebbe quindi costituire un parametro di legittimità. Dall’altro, benché le disposizioni impugnate possano derogare all’art. 24, n. 2, esse sarebbero in realtà complementari a quest’ultimo. L’art. 24, n. 2, tutelerebbe le menzioni tradizionali dell’allegato III mentre le disposizioni impugnate stabilirebbero le condizioni alle quali i vini di paesi terzi potrebbero beneficiare delle menzioni tradizionali dell’allegato III, assicurando la possibilità di beneficiare della tutela prevista all’art. 24, n. 2. Non esisterebbe dunque alcuna contraddizione tra tali norme.

59     Quanto all’asserita diminuzione del livello di protezione di numerose menzioni tradizionali, la Commissione, denunciando la difficoltà di cogliere, nell’argomentazione del governo italiano, eventuali profili d’illegittimità delle disposizioni impugnate al riguardo, fa valere che la posizione del governo italiano si fonda su una premessa erronea. La fusione delle due parti dell’allegato III non avrebbe comportato l’autorizzazione per i vini dei paesi terzi di utilizzare le menzioni precedentemente elencate nella parte B dell’allegato III. La concessione di una siffatta autorizzazione potrebbe avvenire solo caso per caso, su domanda motivata del paese terzo interessato, previa verifica da parte della Commissione del rispetto dei requisiti e modifica dell’allegato III. Il ricorso sarebbe quindi privo di oggetto ove sia considerato come diretto contro il fatto che il regolamento n. 316/2004 permetta, per vini originari di paesi terzi, l’utilizzazione delle menzioni che figuravano in precedenza nella parte B dell’allegato III.

60     La Commissione fa valere infine che, se il ricorso è considerato come riguardante in maniera più generale la modifica del sistema normativo che disciplina il controllo delle menzioni tradizionali e l’autorizzazione del loro impiego per i vini dei paesi terzi, esso non può essere accolto, in mancanza di illegittimità di tale modifica. Da un lato, la tutela delle menzioni tradizionali non sarebbe stata abbassata immediatamente, tanto più che il divieto dell’uso delle menzioni tradizionali non autorizzate sarebbe divenuto effettivo solo dal 15 marzo 2004, ossia dopo l’entrata in vigore delle disposizioni impugnate. Dall’altro, la fusione degli elenchi e la modifica delle condizioni previste per l’uso di menzioni tradizionali da parte dei vini dei paesi terzi rientrerebbero nel potere discrezionale della Commissione.

 Giudizio del Tribunale

61     In via preliminare, occorre esaminare l’argomento della Commissione secondo il quale il presente motivo non soddisfa i requisiti dell’art. 21, primo comma, dello Statuto della Corte e dell’art. 44, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura del Tribunale, omologo dell’art. 38, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura della Corte, applicabile alla controversia quando essa è stata portata dinanzi alla Corte.

62     Ai sensi dell’art. 21, primo comma, dello Statuto della Corte, applicabile alla procedura dinanzi al Tribunale conformemente all’art. 53, primo comma, dello stesso Statuto, e dell’art. 44, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura del Tribunale, il ricorso di cui all’art. 21 dello Statuto della Corte deve in particolare contenere l’oggetto della controversia e l’esposizione sommaria dei motivi dedotti. Secondo una giurisprudenza costante, tali indicazioni devono essere sufficientemente chiare e precise per consentire alla parte convenuta di predisporre la propria difesa e al Tribunale di pronunciarsi sul ricorso, eventualmente, senza altre informazioni a sostegno. Al fine di garantire la certezza del diritto e una corretta amministrazione della giustizia è necessario, affinché un ricorso sia ricevibile, che gli elementi essenziali di fatto e di diritto sui quali esso è fondato emergano, anche sommariamente, purché in modo coerente e comprensibile, dall’atto introduttivo stesso (ordinanza del Tribunale 28 aprile 1993, causa T‑85/92, De Hoe/Commissione, Racc. pag. II‑523, punto 20, e sentenza del Tribunale 3 febbraio 2005, causa T‑19/01, Chiquita Brands e a./Commissione, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 64).

63     Nell’ambito del presente motivo, il governo italiano sostiene, in sostanza, che, adottando le disposizioni impugnate, la Commissione ha ecceduto i poteri ad essa conferiti dal Consiglio. Le disposizioni impugnate sarebbero dunque illegittime per violazione del regolamento di base e per violazione delle conclusioni del Consiglio. La loro illegittimità risulterebbe altresì dal fatto che esse diminuirebbero, in maniera generale, la tutela delle menzioni tradizionali quale risultava dall’art. 24, n.  2, del regolamento n. 753/2002 prima della modifica.

64     Per quanto riguarda la violazione dei principi stabiliti dal Consiglio per la realizzazione degli obiettivi dell’art. 33 CE, il Tribunale rileva che tale censura è stata mossa dal governo italiano per la prima volta nella replica. Ai sensi dell’art. 48, n.  2, primo comma, del regolamento di procedura, è vietata la deduzione di motivi nuovi in corso di causa, a meno che essi si basino su elementi di diritto e di fatto emersi durante il procedimento. Tuttavia una giurisprudenza costante ammette che un motivo o un argomento non presentato nel ricorso ma presentato per la prima volta in corso di causa, che costituisca l’estensione di un motivo precedentemente dedotto, direttamente o implicitamente, nell’atto introduttivo del giudizio, e che sia a questo strettamente connesso, non costituisce un motivo ai sensi dell’art. 48, n. 2, del regolamento di procedura e dev’essere dichiarato ricevibile (sentenza della Corte 30 settembre 1982, causa 108/81, Amylum/Consiglio, Racc. pag. 3107, punto 25, e sentenza del Tribunale 30 settembre 2003, cause riunite T‑346/02 e T‑347/02, Cableuropa e a./Commissione, Racc. pag. II‑4251, punto 111).

65     Nella fattispecie, tale censura non può essere considerata come l’ampliamento di una delle censure già esposte nel ricorso. Peraltro, il governo italiano non fa valere alcun elemento di diritto o di fatto che sia emerso nel corso del procedimento e sul quale tale censura possa essere fondata. Ne consegue che tale censura è irricevibile.

66     Pertanto, il presente motivo è ricevibile solo nella parte in cui il governo italiano fa valere la violazione del regolamento di base, delle conclusioni del Consiglio e dell’art. 24, n. 2, del regolamento n. 753/2002.

67     Nel merito, il Tribunale ricorda che, perché sia garantito il rispetto dell’equilibrio istituzionale tra il Consiglio e la Commissione, la Commissione è tenuta ad esercitare i suoi poteri di esecuzione nei limiti della normativa adottata dalle istituzioni competenti. Così, secondo una giurisprudenza costante, il sistema di ripartizione delle competenze fra le varie istituzioni comunitarie mira a garantire il rispetto dell’equilibrio istituzionale contemplato dal Trattato (sentenza della Corte 13 marzo 1992, causa C‑282/90, Vreugdenhil/Commissione, Racc. pag. I‑1937, punto 20, e sentenza Chiquita Brands e a./Commissione, punto 62 supra, punto 181). Inoltre, la Corte ha dichiarato che, in materia agricola, la Commissione è autorizzata ad adottare tutte le misure d’applicazione necessarie o utili per l’attuazione della disciplina di base, purché non siano contrastanti con tale disciplina o con la normativa di applicazione del Consiglio (v. sentenza Chiquita Brands e a./Commissione, punto 62 supra, punto 184 e giurisprudenza ivi citata).

68     Alla luce di questo principio saranno esaminati gli argomenti del governo italiano.

69     Per quanto riguarda, in primo luogo, l’asserita violazione del regolamento di base, che avrebbe imposto alla Commissione di rispettare la distinzione stabilita tra la parte A e la parte B del suo allegato III dal regolamento n. 753/2002 e un livello di protezione più elevato per le menzioni tradizionali complementari che figuravano nella parte B di tale allegato, occorre rilevare, innanzi tutto, che il regolamento di base si limita ad apportare, per quanto riguarda la disciplina comunitaria delle menzioni tradizionali complementari, le seguenti precisazioni:

–       la designazione e la presentazione dei prodotti considerati dal regolamento di base non devono essere erronee e tali da creare confusione o indurre in errore le persone alle quali sono rivolte, in particolare per quanto riguarda le caratteristiche dei prodotti quali, segnatamente, la natura, la composizione, il titolo alcolometrico volumico, il colore, l’origine o la provenienza, la qualità, la varietà di vite, l’anno del raccolto o il volume nominale dei recipienti (art. 48);

–       le menzioni tradizionali complementari possono essere utilizzate per la designazione, la presentazione e la pubblicità di una bevanda diversa da un vino o da un mosto di uve soltanto a condizione che sia escluso qualsiasi rischio di confusione sulla natura, l’origine o la provenienza e la composizione di tale bevanda (art. 52, n. 2);

–       l’etichettatura dei prodotti ottenuti nella Comunità può essere completata in particolare da menzioni tradizionali complementari, secondo le modalità previste dallo Stato membro produttore [allegato VII, parte B, n. 1, lett. b), quinto trattino] e, per i vini originari di paesi terzi, da indicazioni facoltative corrispondenti da determinarsi (allegato VII, parte B, n. 2);

–       le indicazioni sull’etichettatura sono redatte in una e più lingue ufficiali della Comunità per consentire al consumatore finale di comprendere facilmente ciascuna delle indicazioni; tuttavia, l’indicazione delle menzioni tradizionali complementari è redatta unicamente in una delle lingue ufficiali dello Stato membro sul cui territorio il prodotto è stato elaborato (allegato VII, parte D, n. 1, commi primo e secondo).

70     Così, il regolamento di base si limita ad imporre alla Commissione l’adozione di disposizioni che disciplinano le condizioni di utilizzazione delle menzioni tradizionali complementari, senza operare alcuna distinzione in seno a tale categoria.

71     Inoltre, non può essere accolta neppure l’argomentazione più generale svolta dal governo italiano, relativa alla pretesa illegittimità della diminuzione del livello di protezione delle menzioni tradizionali che figuravano nella parte A dell’allegato III. Infatti, anche supponendo che le disposizioni impugnate indeboliscano effettivamente la tutela accordata a tali menzioni tradizionali rispetto a quella di cui queste ultime beneficiavano in forza della normativa anteriore alle modifiche apportate dalle disposizioni impugnate, il governo italiano non ha in nessun modo provato che tale diminuzione sia in contrasto col regolamento di base.

72     Infine, per quanto riguarda l’argomento del governo italiano tratto dalla lettera dell’allegato VII, parte B, n. 1, lett. b), quinto trattino, del regolamento di base, è giocoforza constatare che tale disposizione non ha la portata che tale governo le attribuisce. Prevedendo che l’etichettatura dei VDT con IG e dei v.q.p.r.d. può essere completata da menzioni tradizionali complementari «secondo le modalità previste dallo Stato membro produttore», tale disposizione non mira in alcun modo ad obbligare la Commissione a far rispettare sul piano comunitario la protezione precedentemente accordata alle menzioni tradizionali complementari sul piano nazionale (v., in questo senso, sentenza della Corte 3 marzo 2005, causa C‑283/02, Italia/Commissione, non pubblicata nella Raccolta, punto 40). Essa si limita, come rileva giustamente la Commissione, a precisare che le modalità dell’utilizzazione delle menzioni tradizionali complementari sull’etichettatura dei prodotti ottenuti nella Comunità rientrano nella competenza dello Stato membro produttore.

73     Pertanto, non è dimostrato che, adottando le disposizioni impugnate, la Commissione abbia violato le disposizioni del regolamento di base che disciplinano l’esercizio del suo potere di esecuzione.

74     Per quanto riguarda, in secondo luogo, la violazione delle conclusioni del Consiglio a proposito delle quali il Tribunale rileva che esse sono state, in realtà, formalmente adottate dal Consiglio nel corso della sua duemilatrecentesima sessione tenutasi il 23 ottobre 2000 (comunicato stampa n. 12470/00), il governo italiano asserisce in sostanza che esse prescrivevano la suddivisione che era stata stabilita tra la parte A e la parte B dell’allegato III del regolamento n. 753/2002 e che le disposizioni impugnate violerebbero tali conclusioni a causa dell’eliminazione di tale suddivisione.

75     In base alle sue conclusioni, intitolate «Conclusioni del Consiglio sugli accordi bilaterali relativi ai vini», il Consiglio «conferma di tenere in modo particolare alla difesa e alla protezione delle menzioni tradizionali», «sottolinea la necessità di coerenza tra gli accordi bilaterali e la normativa comunitaria in materia di etichettatura, considerando in particolare che esistono [due] tipi di menzioni, quelle incontestabilmente legate a un’indicazione geografica e quelle che caratterizzano piuttosto la particolarità di elaborazione del vino» e aggiunge che «le menzioni tradizionali intimamente connesse ad un’origine devono poter essere tutelate analogamente alle denominazioni d’origine e quindi, ove possibile, anche mediante il controllo dell’etichettatura». Esso precisa infine che, «[q]uanto alle altre [menzioni tradizionali], [esso] è disposto ad esaminare la possibilità per i paesi che già le utilizzano di mantenerne l’uso, alla condizione esplicita che detti paesi rispettino un capitolato che imponga norme di produzione, di elaborazione e di commercializzazione equivalenti a quelle esistenti nell’Unione europea, al fine di preservare le condizioni di una concorrenza leale e assicurare la corretta informazione del consumatore».

76     Occorre innanzi tutto osservare, al riguardo, che l’eventuale mancato rispetto delle direttive che il Consiglio può rivolgere alla Commissione ai fini dei negoziati da essa condotti nell’ambito dell’art. 300, n. 1, CE trova normalmente la sua sanzione nella decisione spettante al Consiglio di concludere o meno l’accordo. Siffatte direttive non fanno quindi parte, in linea di massima, delle norme alla luce delle quali dev’essere valutata la legittimità degli atti compiuti dalla Commissione nell’ambito di negoziati internazionali, nella misura in cui tali atti siano impugnabili.

77     Inoltre non risulta dal fascicolo e non viene sostenuto dalle parti che negoziati al fine di giungere alla conclusione di accordi ai sensi dell’art. 300 CE siano stati formalmente avviati con Stati terzi sulla questione della protezione delle menzioni tradizionali complementari preliminarmente all’adozione delle modifiche regolamentari oggetto della presente controversia. Non si può quindi ritenere provato che le conclusioni del Consiglio costituiscano direttive rivolte da quest’ultimo alla Commissione ai fini di negoziati che possano condurre alla modifica di disposizioni contenute nel regolamento n. 753/2002.

78     Infine, appare chiaramente alla lettura delle conclusioni che le stesse si limitano a indicare la linea di condotta che il Consiglio chiede alla Commissione di seguire nell’ambito di negoziati bilaterali avviati con paesi terzi ai fini della conclusione di accordi bilaterali relativi ai vini. Siffatte conclusioni non possono, in ogni caso, interpretarsi nel senso che implichino un obbligo per la Commissione di pervenire al risultato raccomandato per tutti gli orientamenti ivi definiti, purché il risultato sia conforme alla normativa di base, che non è stata modificata dal Consiglio nel senso prescritto da tali conclusioni, e la cui violazione da parte della Commissione attraverso l’adozione delle disposizioni impugnate non è stata provata. Ne consegue che, anche supponendo, come sostiene la Repubblica italiana, che le disposizioni impugnate non rispettino le conclusioni del Consiglio, questa sola circostanza non permetterebbe di concludere nel senso dell’illegittimità di tali disposizioni.

79     Per quanto riguarda, in terzo luogo, la censura fondata sulla violazione dell’art. 24, n. 2, del regolamento n. 753/2002, essa non può essere accolta. Da un lato, il regolamento n. 753/2002 non definisce l’estensione dei poteri di esecuzione detenuti dalla Commissione nella fattispecie. Dall’altro, e in ogni caso, l’art. 24, n. 2, del regolamento n. 753/2002 si limita a precisare in quale misura le menzioni tradizionali di cui all’allegato III di tale regolamento sono protette. Né questa disposizione, né alcun’altra disposizione di tale regolamento, né i suoi ‘considerando’ possono essere considerati nel senso che impongano alla Commissione di aumentare, o di non diminuire, il livello di protezione delle menzioni tradizionali complementari. Peraltro, non è stato prodotto agli atti alcun elemento da cui risulti che la protezione delle menzioni tradizionali complementari di cui all’art. 24, n. 2, del regolamento n. 753/2002 sarebbe compromessa dall’applicazione delle disposizioni impugnate.

80     Alla luce di quanto precede, il presente motivo dev’essere respinto.

 Sul motivo relativo alla violazione del principio di proporzionalità e ad uno sviamento di potere

 Argomenti delle parti

81     Il governo italiano fa valere che la modifica della protezione comunitaria del diritto alle menzioni tradizionali, che risulta dalle disposizioni impugnate, non rispetta il principio di proporzionalità.

82     La procedura seguita per la modifica sarebbe confusa, ingiusta e caratterizzata da un manifesto eccesso di potere. La versione iniziale del regolamento n. 753/2002 avrebbe già soddisfatto le aspettative di taluni paesi terzi di poter espropriare di fatto un diritto di proprietà intellettuale dei produttori comunitari. I produttori comunitari di vini recanti indicazioni geografiche qualificati dalle menzioni tradizionali sarebbero depositari di una tradizione di produzione di cui la menzione tradizionale costituirebbe il riconoscimento formale e formerebbe oggetto di un diritto di proprietà intellettuale. La Commissione sarebbe andata al di là delle domande dei paesi terzi fissando de facto una protezione delle menzioni tradizionali comunitarie ad un livello inferiore a quello reclamato dai paesi terzi. L’illegittimità risulterebbe principalmente dal fatto che le domande dei paesi terzi non sarebbero state portate a conoscenza degli Stati membri ai fini della loro valutazione e dal fatto che la Commissione, anziché rispondere ai paesi terzi in maniera coordinata con gli Stati membri, che sarebbero i soli depositari dei diritti di proprietà intellettuale sanciti dalla possibilità di rivendicare una menzione tradizionale o un’indicazione geografica, protetti in forza delle legislazioni nazionali e nell’ambito dell’OMC, tenendo conto dei principi stabiliti dal Consiglio per la conclusione di accordi bilaterali relativi al vino, avrebbe preferito la via più breve della modifica unilaterale, per giunta violando le norme procedurali, come risulterebbe dagli argomenti esposti nell’ambito del primo motivo.

83     La Commissione ricorda, innanzi tutto, che essa detiene nella fattispecie un ampio potere discrezionale e che le disposizioni impugnate non hanno avuto l’effetto di autorizzare alcun vino di alcun paese terzo a fregiarsi di una menzione tradizionale precedentemente compresa nella parte B dell’allegato III.

84     Essa fa poi valere che nulla dimostra che essa abbia commesso un manifesto errore di valutazione, abbia ecceduto i limiti della propria competenza o commesso uno sviamento di potere. Non le si potrebbe neppure rimproverare di aver tenuto conto della necessità di rispettare gli obblighi internazionali che vincolano la Comunità e gli Stati membri.

85     Infine, per quanto riguarda l’argomento secondo il quale essa sarebbe andata oltre le richieste dei paesi terzi, risulterebbe in realtà sia dalle osservazioni presentate dai paesi terzi dopo la notifica del regolamento n. 753/2002 sia dal verbale della riunione del comitato dell’OMC sulle barriere tecniche al commercio del 23 marzo 2004, tenutasi dopo la comunicazione del regolamento n. 316/2004, che, per numerosi paesi terzi, persino le modifiche apportate non rispondono appieno alle obiezioni da essi sollevate.

 Giudizio del Tribunale

86     Secondo una giurisprudenza costante, per stabilire se una norma di diritto comunitario sia conforme al principio di proporzionalità, si deve accertare se i mezzi da essa contemplati siano idonei a conseguire lo scopo perseguito e non eccedano quanto è necessario per raggiungere detto scopo (sentenza della Corte 11 marzo 1987, cause riunite 279/84, 280/84, 285/84 e 286/84, Rau/Commissione, Racc. pag. 1069, punto 34, e sentenza Chiquita Brands e a./Commissione, punto 62 supra, punto 227). Inoltre, il legislatore comunitario dispone, in materia di politica agricola comune, di un ampio potere discrezionale corrispondente alle responsabilità politiche che gli artt. 34 CE e 37 CE gli attribuiscono. Di conseguenza, solo la manifesta inidoneità di un provvedimento adottato in tale ambito rispetto allo scopo che l’istituzione competente intende perseguire può inficiare la legittimità di tale provvedimento (sentenze del Tribunale 13 luglio 1995, cause riunite T‑466/93, T‑469/93, T‑473/93, T‑474/93 e T‑477/93, O’Dwyer e a./Consiglio, Racc. pag. II‑2071, punto 107, e Chiquita Brands e a./Commissione, punto 62 supra, punto 228).

87     Per giunta, risulta dalla giurisprudenza che la Commissione dispone di un ampio potere discrezionale in situazioni analoghe a quelle della fattispecie, che implicano la necessità di valutare tanto un mercato complesso quanto la natura o la portata dei provvedimenti da adottare e che, nel controllare l’esercizio di tale competenza, il giudice deve limitarsi ad esaminare se esso non sia viziato da errore manifesto o da sviamento di potere o se l’autorità di cui trattasi non abbia manifestamente superato i limiti del suo potere discrezionale (v. sentenza Italia/Commissione, punto 72 supra, punto 37 e giurisprudenza ivi citata).

88     Nella fattispecie, il governo italiano sostiene, in sostanza, che le modifiche apportate al regolamento n. 753/2002 dalle disposizioni impugnate vanno al di là di quanto era necessario per soddisfare le richieste espresse dai paesi terzi nell’ambito dell’OMC. Ora, anche supponendo che spetti al giudice comunitario verificare la conformità del comportamento delle istituzioni comunitarie a impegni sottoscritti in tale ambito, il governo italiano non ha, in ogni caso, dimostrato che l’obiettivo perseguito dalle modifiche regolamentari contestate nel caso di specie, ossia quello di rispondere alle preoccupazioni espresse da taluni paesi terzi in ordine alle condizioni di utilizzazione di talune menzioni tradizionali complementari da parte di tali paesi, avrebbe potuto essere conseguito con mezzi meno costrittivi. Ne consegue che il governo italiano non ha dimostrato che la Commissione abbia violato il principio di proporzionalità adottando le disposizioni impugnate.

89     Occorre tuttavia verificare se la brevità della motivazione del regolamento n. 316/2004 abbia potuto impedire al governo italiano di provare una violazione del principio di proporzionalità.

90     A questo proposito, occorre ricordare che il secondo e il terzo ‘considerando’ del regolamento n. 316/2004 sono così formulati:

«Il regolamento [n. 753/2002] è stato notificato all’[OMC]. Alcuni paesi terzi produttori di vino hanno espresso riserve sul testo del regolamento. In seguito a tali commenti si sono svolte a Ginevra due consultazioni per spiegare le nuove norme di etichettatura e prendere conoscenza delle preoccupazioni dei paesi terzi.

Tenendo conto delle asserzioni dei paesi terzi è opportuno apportare alcune modifiche al regolamento [n. 753/2002]. In particolare, occorre consentire l’uso di alcune espressioni tradizionali ai paesi terzi che soddisfino condizioni equivalenti a quelle imposte agli Stati membri. Inoltre, dal momento che diversi paesi terzi non hanno lo stesso livello di centralizzazione della produzione normativa della Comunità, è opportuno modificare alcune disposizioni regolamentari mantenendone tuttavia l’obbligatorietà».

91     Tuttavia, questa motivazione, oltre ad essere sufficiente trattandosi dei ‘considerando’ di un atto regolamentare, è stata integrata dalla Commissione nel corso del procedimento. Così, la Commissione ha in particolare prodotto in allegato al suo controricorso i commenti e le osservazioni ricevuti da otto paesi terzi membri dell’OMC in risposta alla notifica del regolamento n. 753/2002 presso l’OMC. Di conseguenza, il governo italiano è stato messo in condizione di formulare, nella replica, la sua argomentazione relativa all’eventuale esistenza di una violazione del principio di proporzionalità. La motivazione poco estesa del regolamento n. 316/2004 non è quindi tale da rimettere in discussione le considerazioni esposte al precedente punto 88.

92     Per giunta, il governo italiano non adduce alcun indizio obiettivo che consenta di concludere che la Commissione abbia commesso uno sviamento di potere nell’esercizio delle sue competenze. Infatti, secondo la giurisprudenza, una decisione è viziata da sviamento di potere solamente ove risulti, sulla base di elementi obiettivi, pertinenti e concordanti, che essa sia stata emanata allo scopo esclusivo, o quanto meno determinante, di raggiungere fini diversi da quelli dichiarati (sentenze del Tribunale 23 ottobre 1990, causa T‑46/89, Pitrone/Commissione, Racc. pag. II‑577, punto 71, e 6 marzo 2002, cause riunite T‑92/00 e T‑103/00, Diputación Foral de Álava/Commissione, Racc. pag. II‑1385, punto 84). Orbene, ciò non avviene nel caso di specie.

93     Da quanto precede risulta che il presente motivo dev’essere respinto.

 Sul motivo relativo ad una violazione di norme imperative di diritto internazionale

 Argomenti delle parti

94     Il governo italiano fa valere in via preliminare che, ai sensi del regolamento n. 753/2002 nella sua redazione anteriore alle modifiche apportate dalle disposizioni impugnate, le menzioni tradizionali contenute nella parte B dell’allegato III si identificano con l’indicazione geografica come definita nell’accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (ADPIC) del 15 aprile 1994 (GU L 336, pag. 214). Infatti, l’aggiunta di una menzione tradizionale alla zona geografica di produzione di vini di qualità sarebbe costitutiva della denominazione di tali vini e dovrebbe quindi essere considerata nel suo complesso come un’indicazione geografica di provenienza. Tali menzioni tradizionali sarebbero state meglio protette di quelle contenute nella parte A dell’allegato III per il fatto che esse sarebbero state strettamente collegate alle indicazioni geografiche in questione che designavano paesi della Comunità e non avrebbero potuto essere concesse ai vini recanti un’indicazione geografica originari di paesi terzi, salvo casi di omonimia.

95     Le disposizioni impugnate violerebbero l’art. 24, n. 3, dell’accordo ADPIC, ai sensi del quale «[n]ell’attuare la […] sezione [relativa alle indicazioni geografiche], un membro non può diminuire la protezione delle indicazioni geografiche vigente nel suo ambito immediatamente prima della data di entrata in vigore dell’Accordo OMC [1° gennaio 1995]». Posto che le menzioni tradizionali della ex parte B dell’allegato III costituiscono un tutt’uno con l’indicazione geografica, la Commissione, al pari dei membri dell’OMC, non potrebbe violare tale norma diminuendo di fatto la protezione delle indicazioni geografiche che rientrano nel suo territorio. Nella replica, il governo italiano fa valere anche gli artt. 22 e 23 dell’accordo ADPIC, i cui contenuti chiarirebbero anch’essi l’illegittimità delle disposizioni impugnate.

96     La Commissione ribatte, in via preliminare, che non si possono assimilare le menzioni tradizionali contenute nella parte B dell’allegato III a indicazioni geografiche. Così, l’argomento del governo italiano presupporrebbe che le menzioni tradizionali costituiscano un diritto di proprietà intellettuale. Tuttavia, nell’ambito dell’organizzazione dei mercati vitivinicoli istituita dal regolamento di base, le menzioni tradizionali non sarebbero indicazioni geografiche e quindi non costituirebbero diritti di proprietà intellettuale disciplinati dall’accordo ADPIC.

97     La Commissione aggiunge che, in ogni caso, il quinto motivo del governo italiano non può essere accolto.

98     Da un lato, secondo la giurisprudenza, le norme dell’accordo ADPIC non figurerebbero tra le normative alla luce delle quali la Corte controlla la legittimità degli atti delle istituzioni comunitarie. I criteri della giurisprudenza illustrata dalla sentenza Nakajima/Consiglio (sentenza della Corte 7 maggio 1991, causa C‑69/89, Racc. pag. I‑2069) non sarebbero soddisfatti nel caso di specie; tale giurisprudenza si applicherebbe solo nei casi eccezionali in cui la Comunità ha inteso rendere esecutivo, tramite una trasposizione nell’ordinamento comunitario, un accordo concluso nell’ambito dell’OMC. Essa non riguarderebbe un caso come quello di specie, in cui si tratta di conciliare vari obiettivi.

99     D’altro lato, la clausola di «stand still» dell’art. 24, n. 3, dell’accordo ADPIC non si applicherebbe nel caso di specie, dato che, al momento dell’entrata in vigore di tale accordo, non sarebbe esistita alcuna normativa comunitaria di protezione delle menzioni tradizionali. Inoltre, il regolamento n. 753/2002 non avrebbe mai vietato l’uso di tali menzioni per i vini di paesi terzi, e ciò per effetto di proroghe e di regimi transitori. Le disposizioni impugnate avrebbero quindi avuto l’effetto di aumentare il livello di protezione rispetto alla situazione precedente.

 Giudizio del Tribunale

100   Risulta da una giurisprudenza costante che la legittimità di un atto comunitario non può essere valutata alla luce di strumenti di diritto internazionale che, come l’accordo OMC e l’accordo ADPIC che ne fa parte, tenuto conto della loro natura e della loro economia, non figurano in linea di principio tra le normative alla luce delle quali la Corte e il Tribunale controllano la legittimità degli atti delle istituzioni comunitarie. Solo nel caso in cui la Comunità abbia inteso dare esecuzione ad un obbligo particolare assunto nell’ambito dell’OMC, ovvero nel caso in cui l’atto comunitario rinvii espressamente a precise disposizioni degli accordi OMC, spetta alla Corte controllare la legittimità dell’atto comunitario controverso alla luce delle norme dell’OMC [v., per quanto riguarda l’accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio (GATT) del 1947, sentenza Nakajima/Consiglio, punto 98 supra, punto 31, nonché, per quanto riguarda gli accordi OMC, sentenze della Corte 23 novembre 1999, causa C‑149/96, Portogallo/Consiglio, Racc. pag. I‑8395, punti 47 e 49, e 1° marzo 2005, causa C‑377/02, Van Parys, Racc. pag. I‑1465, punti 39 e 40].

101   Questa regola emersa dalla sentenza Nakajima/Consiglio (punto 98 supra) è volta, a titolo eccezionale, a consentire al soggetto di diritto di dedurre, in via incidentale, la violazione da parte della Comunità o delle sue istituzioni degli accordi dell’OMC. In quanto eccezione al principio secondo il quale i singoli non possono invocare direttamente le disposizioni degli accordi dell’OMC dinanzi al giudice comunitario, tale norma è soggetta ad interpretazione restrittiva (sentenza Chiquita Brands e a./Commissione, punto 62 supra, punto 117).

102   D’altro canto, secondo la giurisprudenza, il requisito di applicabilità della regola stabilita dalla sentenza Nakajima/Consiglio (punto 98 supra), secondo la quale l’atto comunitario la cui legittimità sia controversa deve essere stato adottato al fine di dare esecuzione ad un obbligo particolare assunto nell’ambito degli accordi dell’OMC presuppone, in particolare, che tale atto garantisca, specificamente, la trasposizione nel diritto comunitario di prescrizioni derivanti dagli accordi dell’OMC (sentenza Chiquita Brands e a./Commissione, punto 62 supra, punto 125). Per determinare se un atto comunitario la cui legittimità viene contestata sia stato adottato allo scopo di dare esecuzione ad un obbligo particolare assunto nell’ambito degli accordi dell’OMC ai sensi della detta giurisprudenza, è necessario esaminare, caso per caso, da una parte, le caratteristiche specifiche di tale atto e, dall’altra, quelle delle pertinenti disposizioni degli accordi dell’OMC invocate (sentenza Chiquita Brands e a./Commissione, punto 62 supra, punto 156).

103   Nella fattispecie, né l’art. 24, n. 3, dell’accordo ADPIC, di cui il governo italiano lamenta la violazione, né le altre disposizioni dell’accordo ADPIC fatte valere permettono di concludere per l’esistenza di un’intenzione della Commissione di dare esecuzione, nell’ambito dell’adozione delle disposizioni impugnate, ad un obbligo particolare assunto nell’ambito dell’accordo ADPIC ai sensi della giurisprudenza derivata dalla sentenza Nakajima/Consiglio (punto 98 supra).

104   In primo luogo, il regolamento n. 316/2004 si limita a ricordare il contesto generale nel quale esso è stato adottato, e cioè la notifica del regolamento n. 753/2002 all’OMC, le riserve espresse su tale regolamento da alcuni paesi terzi produttori di vini e le consultazioni avvenute a Ginevra a questo proposito, prima di concludere che «tenendo conto delle osservazioni dei paesi terzi, è opportuno apportare alcune modifiche al regolamento [n. 753/2002]». Non vi compare alcun riferimento ad un obbligo particolare assunto dalla Comunità nell’ambito degli accordi dell’OMC la cui trasposizione nell’ordinamento comunitario sarebbe specificamente assicurata da tale regolamento.

105   In secondo luogo, anche supponendo che, al fine di controllare la legittimità delle disposizioni impugnate alla luce dell’accordo ADPIC, sia possibile far riferimento al regolamento di base e al regolamento n. 753/2002, modificato dalle disposizioni impugnate, l’eccezione prevista dalla giurisprudenza derivata dalla sentenza Nakajima/Consiglio (punto 98 supra) resterebbe inapplicabile nel caso di specie.

106   Da un lato, è vero che il ‘considerando’ 56 e l’art. 50 del regolamento di base tendono a dare esecuzione nell’ordinamento comunitario ad un obbligo particolare assunto nell’ambito dell’accordo ADPIC. Tuttavia, tali disposizioni si limitano a prevedere la protezione, nella Comunità, delle indicazioni geografiche dirette a identificare un prodotto come originario del territorio di un paese terzo membro dell’OMC o di una regione o località di tale territorio, ipotesi diversa da quella del caso di specie, nel quale viene in questione la protezione nella Comunità delle menzioni tradizionali degli Stati membri in generale, ivi comprese le menzioni tradizionali complementari della Repubblica italiana.

107   Dall’altro, il quarto ‘considerando’ del regolamento n. 753/2002, ai sensi del quale occorre tener conto «degli obblighi derivanti dagli accordi internazionali conclusi conformemente all’art. 300, n. 2, [CE]», presenta un carattere troppo generale per consentire di ritenere che la Commissione abbia inteso dare esecuzione nell’ordinamento comunitario ad un obbligo particolare assunto nell’ambito degli accordi dell’OMC.

108   Pertanto, né le disposizioni impugnate né, anche supponendo che sia possibile farli valere nel caso di specie, il regolamento di base o il regolamento n. 753/2002 provvedono a trasporre nell’ordinamento comunitario l’art. 24, n. 3, dell’accordo ADPIC, o un’altra disposizione dell’accordo ADPIC fatta valere dal governo italiano, in misura pertinente per il caso di specie.

109   Ne consegue che il presente motivo dev’essere respinto, così come il ricorso nel suo complesso.

 Sulle spese

110   Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica italiana, rimasta soccombente, va condannata alle spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Repubblica italiana è condannata alle spese.

Legal

Mengozzi

Wiszniewska-Białecka

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 15 marzo 2006.

Il cancelliere

 

      Il presidente

E. Coulon

 

      H. Legal


* Lingua processuale: l'italiano.