Language of document : ECLI:EU:C:2013:474

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

ELEANOR SHARPSTON

presentate l’11 luglio 2013 (1)

Cause riunite da C‑199/12 a C‑201/12

X, Y e Z

contro

Minister voor Immigratie, Integratie en Asiel

«Direttiva 2004/83/CE – Condizioni imposte a cittadini di paesi terzi o a apolidi che chiedono lo status di rifugiato – Significato di persecuzione – Orientamento sessuale»





1.        Le presenti domande di pronuncia pregiudiziale presentate dal Raad van State (Paesi Bassi) vertono su tre cittadini di paesi terzi che chiedono la qualifica di rifugiato. Ciascuno di loro sostiene di avere fondato timore di persecuzione a causa del suo orientamento sessuale.

2.        Il giudice nazionale solleva tre questioni vertenti sulla valutazione di domande dello status di rifugiato ai sensi del Capo III della direttiva 2004/83/CE del Consiglio (in prosieguo: la «direttiva») (2). In primo luogo, se i cittadini di paesi terzi di orientamento omosessuale costituiscano un particolare gruppo sociale, ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva. In secondo luogo, con quali modalità le autorità nazionali debbano valutare cosa costituisce un atto di persecuzione a causa di atti omosessuali, ai sensi dell’articolo 9 della direttiva. In terzo luogo, se il fatto di qualificare come reati siffatti atti nel paese di origine del richiedente, con possibilità di una pena detentiva in caso di condanna, configuri una persecuzione ai sensi della direttiva.

 Ambito normativo

 La Convenzione relativa allo status dei rifugiati

3.        Il primo comma dell’articolo 1A, paragrafo 2, della Convenzione relativa allo status dei rifugiati (in prosieguo: la «Convenzione di Ginevra») (3) prevede che il termine «rifugiato» si applica ad ogni individuo che «temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori dal Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che, non avendo la cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra».

 Diritto dell’Unione europea

 La Carta dei diritti fondamentali

4.        L’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») (4) dispone: «[o]gni individuo ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle sue comunicazioni». L’articolo 21 della Carta vieta qualsiasi discriminazione fondata, tra l’altro, sulle tendenze sessuali. L’articolo 52, paragrafo 3, della Carta stabilisce che siffatti diritti devono essere interpretati in conformità dei corrispondenti diritti garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali (in prosieguo: la «CEDU»). (5)

 La direttiva

5.        La direttiva è una delle numerose iniziative volte alla realizzazione di un regime europeo comune in materia di asilo . Tale regime si fonda sull’attuazione della Convenzione di Ginevra, che costituisce la pietra angolare della disciplina giuridica internazionale relativa alla protezione dei rifugiati (6). La direttiva mira a fissare norme minime e criteri comuni per tutti gli Stati membri per il riconoscimento e il contenuto dello status di rifugiato (7), per identificare le persone che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale (8), e per una procedura d’asilo corretta ed efficiente. In questo processo, la direttiva rispetta i diritti, le libertà e i principi riconosciuti nella Carta (9). Ai sensi del considerando 21 della direttiva «[è] altresì importante introdurre una definizione comune del motivo di persecuzione costituito dall’“appartenenza ad un determinato gruppo sociale”».

6.        L’articolo 2, lettera c), della direttiva prevede che per «rifugiato» si intende un «cittadino di un paese terzo il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza ad un determinato gruppo sociale, si trova fuori dal paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di detto paese, oppure [un] apolide che si trova fuori dal paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni succitate e non può o, a causa di siffatto timore, non vuole farvi ritorno, e al quale non si applica l’articolo 12».

7.        Gli Stati membri hanno facoltà di introdurre disposizioni più favorevoli in ordine alla determinazione dei soggetti che possono essere considerati rifugiati, purché siano compatibili con le disposizioni della direttiva (10). L’articolo 4 enuncia le norme che disciplinano la valutazione delle domande di protezione internazionale (11). L’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva stabilisce che l’esame della domanda di protezione internazionale deve essere effettuato su base individuale. Un elenco non tassativo di «responsabili della persecuzione», comprendente lo Stato e i soggetti non statali, figura all’articolo 6.

8.        L’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva enuncia:

«Gli atti di persecuzione, ai sensi dell’articolo 1A della convenzione di Ginevra, devono:

a)      essere sufficientemente gravi, per loro natura o frequenza, da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali, in particolare dei diritti per cui qualsiasi deroga è esclusa a norma dell’articolo 15, paragrafo 2, della [CEDU]; oppure

b)      costituire la somma di diverse misure, tra cui violazioni dei diritti umani, il cui impatto sia sufficientemente grave da esercitare sulla persona un effetto analogo a quello di cui alla lettera a) (12)».

9.        L’articolo 9, paragrafo 2, prevede quanto segue:

«Gli atti di persecuzione che rientrano nella definizione di cui al paragrafo 1 possono, tra l’altro, assumere la forma di:

(…)

c)      azioni giudiziarie o sanzioni penali sproporzionate o discriminatorie;

(…)».

10.      Ai sensi del terzo paragrafo di tale articolo, «[i]n conformità dell’articolo 2, lettera c), i motivi di cui all’articolo 10 devono essere collegati agli atti di persecuzione quali definiti al paragrafo 1».

11.      L’articolo 10 reca il titolo «Motivi di persecuzione». Il paragrafo 1, lettera d), dispone:

«si considera che un gruppo costituisce un particolare gruppo sociale in particolare quando:

–        i membri di tale gruppo condividono una caratteristica innata o una storia comune che non può essere mutata oppure condividono una caratteristica o una fede che è così fondamentale per l’identità o la coscienza che una persona non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi, e

–        tale gruppo possiede un’identità distinta nel paese di cui trattasi, perché vi è percepito come diverso dalla società circostante.

In funzione delle circostanze nel paese d’origine, un particolare gruppo sociale può includere un gruppo fondato sulla caratteristica comune dell’orientamento sessuale. L’interpretazione dell’espressione “orientamento sessuale” non può includere atti classificati come penali dal diritto interno degli Stati membri; possono valere considerazioni di genere, sebbene non costituiscano di per sé stesse una presunzione di applicabilità del presente articolo».

 Diritto nazionale

12.      La Vreemdelingenwet 2000 (legge del 2000 sugli stranieri; in prosieguo: la «Vw 2000») conferisce al Ministro interessato (in prosieguo: il «Ministro») (13) la facoltà di accogliere, rigettare o non esaminare la domanda di rilascio di un permesso di soggiorno a tempo determinato (status di rifugiato). Un permesso di soggiorno a tempo determinato può essere rilasciato allo straniero che sia un rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra.

13.      Nella Vreemdelingencirculaire 2000 (circolare del 2000 sugli stranieri; in prosieguo: la «Vc 2000») sono riprodotti gli orientamenti amministrativi adottati dal Ministro in attuazione della Vw 2000. La Vc 2000 enuncia che, secondo una politica costante ed una giurisprudenza consolidata, nella persecuzione a causa dell’appartenenza ad un gruppo sociale, ai sensi dell’articolo 1A della Convenzione di Ginevra, rientra anche la persecuzione a causa dell’orientamento sessuale. Le domande di status di rifugiato basate su tale motivo sono valutate avendo riguardo, in particolare, alla posizione del richiedente nel suo paese di origine. Se l’omosessualità o la manifestazione di orientamenti sessuali sono oggetto di sanzioni penali nel paese di origine del richiedente, la pena applicabile deve essere di una certa severità. Una semplice sanzione pecuniaria sarebbe di norma insufficiente per legittimare la conclusione che lo status di rifugiato debba essere automaticamente garantito. Dalla circostanza che l’omosessualità o gli atti omosessuali configurino un reato nel paese di origine del richiedente non discende il riconoscimento automatico dello status di rifugiato. Il richiedente deve argomentare in maniera plausibile di avere un fondato timore di persecuzione. I richiedenti omosessuali non possoo essere costretti a nascondere il loro orientamento sessuale al ritorno al loro paese d’origine.

 Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

14.      I richiedenti nei procedimenti principali sono stati resi anonimi e indicati con X, Y e Z. X è un cittadino della Sierra Leone, Y è ugandese e Z è senegalese.

15.      Nella Sierra Leone gli atti omosessuali configurano reati ai sensi dell’articolo 61 dell’Offences against the Person Act (legge sui reati contro la persona) del 1861 e sono soggetti ad una pena detentiva da un minimo di 10 anni all’ergastolo. In Uganda, a norma dell’articolo 145 del Penal Code Act (codice penale) del 1950, chi è giudicato colpevole di un reato descritto come «conoscenza carnale contro le leggi di natura» è punito con una pena detentiva che può arrivare all’ergastolo. Le autorità senegalesi qualificano come reato gli atti omosessuali. Ai sensi dell’articolo 319, paragrafo 3, del Code Pénale (codice penale), una persona colpevole di taluni atti omosessuali è condannata ad una pena detentiva da uno a cinque anni e ad una sanzione pecuniaria compresa tra XOF (14) 100 000 e XOF 1 500 000 (all’incirca da EUR 150 a EUR 2 000).

16.      In tutti e tre i casi il Ministro ha respinto le domande iniziali di permesso di soggiorno (status di rifugiato) ai sensi della Vw 2000. Ciascun richiedente ha impugnato la decisione nei suoi confronti. X e Z hanno presentato ricorso al Rechtbank. Y ha fatto domanda di provvedimenti provvisori. Le domande di X e Y sono state accolte, mentre il ricorso di Z è stato respinto dal Rechtbank.

17.      Il Ministro ha quindi presentato ricorso dinanzi al Raad van State nelle controversie relative a X e a Y. Anche Z ha presentato ricorso dinanzi a tale giudice.

18.      In nessuna delle tre cause è in discussione l’orientamento omosessuale del richiedente (15).

19.      Per questo motivo, il Raad van State ha deciso di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se gli stranieri di orientamento omosessuale costituiscano un particolare gruppo sociale ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della [direttiva].

2)      In caso di risposta affermativa alla prima questione, quali atti omosessuali rientrino nell’ambito di applicazione della direttiva e, nel caso di persecuzione di siffatti atti e ove siano soddisfatti gli ulteriori requisiti, se ciò possa determinare il riconoscimento dello status di rifugiato. Questa domanda comprende le seguenti sottoquestioni:

a)      Se si possa esigere da stranieri di orientamento omosessuale che tengano segreta per tutti nel paese di origine la loro tendenza, al fine di evitare la persecuzione.

b)      In caso di risposta negativa alla questione che precede, se, ed eventualmente in che misura, si possa esigere dagli stranieri di orientamento omosessuale che mantengano un atteggiamento riservato riguardo a tale orientamento nel paese di origine al fine di evitare la persecuzione. Se al riguardo ciò si possa esigere in maggior misura dagli omosessuali che dagli eterosessuali.

c)      Nell’ipotesi in cui, a questo riguardo, si possa operare una distinzione tra forme di manifestazione che riguardano il nucleo essenziale dell’orientamento e forme di manifestazione che non lo riguardano, cosa si intenda per “nucleo essenziale” dell’orientamento omosessuale e in che modo esso possa essere individuato.

3)      Se il mero fatto di qualificare come reati gli atti omosessuali e la comminatoria di una pena detentiva in relazione ai medesimi, come stabilito [nell’Offences against the Person Act del 1861 della Sierra Leone, nel Penal Code Act dell’Uganda e nel Code Pénale del Senegal,] costituiscano un atto di persecuzione ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), in combinato disposto con l’articolo 9, paragrafo 2, lettera c), della direttiva. In caso negativo, in che circostanze ciò si configuri».

20.      Hanno presentato osservazioni scritte X, Y e Z, l’UNHCR, i governi tedesco, greco, francese, dei Paesi Bassi e del Regno Unito nonché la Commissione, i quali tutti (salvo il Regno Unito) hanno presenziato all’udienza dell’11 aprile 2013.

 Valutazione

 Osservazioni preliminari

21.      Le questioni sollevate dal giudice del rinvio presentano un certo grado di sovrapposizione. Nell’interpretazione degli articoli 9 e 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva occorre tenere presente quanto segue.

22.      In primo luogo, si evince da una giurisprudenza consolidata che la direttiva deve essere interpretata alla luce del suo impianto sistematico e della sua finalità, nel rispetto della Convenzione di Ginevra e degli altri trattati pertinenti di cui al suo fondamento giuridico (articolo 78, paragrafo 1, TFUE) (16). Come emerge dal suo considerando 10, la direttiva deve anche essere interpretata nel rispetto dei diritti riconosciuti dalla Carta (17).

23.      In secondo luogo, la Convenzione di Ginevra fornisce il contesto – e, in tal modo, aiuta a definire l’economia generale e la finalità – della direttiva, che la richiama frequentemente. Pertanto, benché le venga richiesto di interpretare gli articoli 9 e 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva, la Corte deve fare riferimento alla Convenzione di Ginevra per poter fornire tale interpretazione (18).

24.      In terzo luogo, né nella Convenzione di Ginevra, né nella CEDU esiste un espresso riferimento ad un diritto a manifestare l’orientamento sessuale. La giurisprudenza della Corte europea per i diritti dell’Uomo relativa all’orientamento sessuale si è sviluppata nel contesto delle violazioni dell’articolo 8 della CEDU (diritto alla vita privata e familiare) e del divieto di discriminazione di cui all’articolo 14 della CEDU (19). È pertanto necessario considerare le questioni sollevate dal giudice nazionale alla luce dei principi sviluppati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (20).

25.      In quarto luogo, sotto tale profilo la Convenzione di Ginevra, come la CEDU, non è immutabile. Essa è invece uno strumento vivo, che dovrebbe essere interpretato alla luce delle condizioni attuali e degli sviluppi del diritto internazionale (21). La giurisprudenza della Commissione europea per i diritti dell’Uomo relativa al diverso trattamento delle relazioni omosessuali ed eterosessuali riguardo all’età minima per il consenso mostra che l’approccio all’interpretazione della CEDU si è evoluto in tal senso. Infatti, se prima del 1997 detta Commissione considerava che la fissazione di un’età minima più elevata per le relazioni omosessuali fosse compatibile con la CEDU (22), nella sentenza Sutherland c. Regno Unito essa ha riveduto la propria giurisprudenza e se ne è distaccata, dichiarando che il mantenimento di un’età minima più elevata per gli atti omosessuali fosse discriminatorio e costituisse una violazione del diritto del richiedente al rispetto della sua vita privata alla luce dei recenti sviluppi (23).

26.      Infine, mi sembra che le questioni sollevate dal giudice del rinvio vertano proprio sulla fissazione di criteri comuni applicabili ai fini dell’identificazione delle persone effettivamente bisognose di protezione internazionale, che invochino lo status di rifugiato ai sensi della direttiva a causa della loro omosessualità. La problematica sollevata nella seconda questione può essere descritta come di natura politico-giuridica piuttosto che di interpretazione testuale. Di conseguenza, tratterò prima le questioni 1 e 3, che sollevano problemi più semplici concernenti l’interpretazione della lettera della direttiva, per poi passare all’esame della questione 2.

 Prima questione

27.      Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede se i richiedenti lo status di rifugiato aventi un orientamento omosessuale possano costituire un particolare gruppo sociale ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva.

28.      Tutti coloro che hanno presentato osservazioni alla Corte (salvo il Regno Unito, che non ha trattato questo punto) concordano sul fatto che a tale questione debba essere data risposta affermativa.

29.      Condivido questa tesi.

30.      Nel procedimento principale riguardante Z le prove dedotte dinanzi al giudice nazionale di primo grado (il Rechtbank) non hanno convinto tale giudice del fatto che in Senegal le persone di orientamento omosessuale siano generalmente perseguitate o discriminate; il Rechtbank ha pertanto ritenuto che il richiedente non facesse parte di un particolare gruppo sociale ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva (24).

31.      L’articolo 10 consiste di due paragrafi. Il primo paragrafo prevede che gli Stati membri tengono conto di taluni elementi nel valutare i motivi di persecuzione. In questo contesto, l’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), definisce la nozione di cosa costituisca un particolare gruppo sociale. Il secondo paragrafo spiega poi come valutare se un richiedente abbia un timore fondato di essere perseguitato. Ne consegue che non è necessario che un richiedente dimostri di essere oggetto di persecuzione o di discriminazione nel suo paese d’origine (25) (elementi che fanno parte dell’articolo 10, paragrafo 2), al fine di dimostrare la sua appartenenza ad un particolare gruppo sociale, [e dunque che egli rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d)].

32.      Possono uomini omosessuali essere «membri di un particolare gruppo sociale» ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva?

33.      Diversamente dalla Convenzione di Ginevra, che si riferisce semplicemente all’«appartenenza ad un determinato gruppo sociale», l’espressione «orientamento sessuale» viene utilizzata nella direttiva senza esservi definita. È dunque possibile che il legislatore dell’Unione, all’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva, abbia espressamente fatto riferimento all’appartenenza ad un gruppo sociale a causa dell’orientamento sessuale perché, all’epoca in cui la Commissione presentava il suo progetto, stava nascendo la consapevolezza che i singoli possono essere obbligati a fuggire alla persecuzione e a chiedere protezione internazionale su questa base (26), anche se un motivo del genere non era espressamente previsto dalla Convenzione di Ginevra (27).

34.      L’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), inizia con l’espressione «si considera che un gruppo costituisce un particolare gruppo sociale in particolare (…)», immediatamente seguita da due commi (il primo contenente tre opzioni separate dalla congiunzione «o»). I commi sono legati dalla congiunzione «e», ad indicare che essi impongono condizioni cumulative che devono essere soddisfatte. Tuttavia, il testo continua enunciando (espressamente) che, «[i]n funzione delle circostanze nel paese d’origine, un particolare gruppo sociale può includere un gruppo fondato sulla caratteristica comune dell’orientamento sessuale (…)».

35.      In considerazione del tenore letterale di tale testo e della contrapposizione ai due commi che lo precedono immediatamente, mi sembra che il legislatore dell’Unione abbia indicato il più chiaramente possibile che persone che condividono una caratteristica di orientamento sessuale possono effettivamente essere membri di un particolare gruppo sociale ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d). Queste persone soddisfano il primo comma (direi, in ogni caso, in quanto rientrano nella terza opzione, vale a dire «condividono una caratteristica (…) così fondamentale per l’identità (…) che una persona non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi»). In funzione delle circostanze nel paese d’origine, esse possono soddisfare anche il secondo comma (ovvero che «tale gruppo possiede un’identità distinta nel paese di cui trattasi, perché vi è percepito come diverso dalla società circostante»). La questione se soddisfino o meno il secondo comma implica una valutazione delle norme giuridiche e dei costumi sociali e culturali nel paese di origine del richiedente. Questa circostanza deve essere stabilita dalle autorità nazionali competenti sulla base dei fatti, ed è soggetta al controllo del giudice nazionale.

36.      Considero pertanto che si debba rispondere alla prima questione nel senso che i richiedenti lo status di rifugiato che hanno un orientamento omosessuale possono, a seconda delle circostanze nel loro paese d’origine, costituire un particolare gruppo sociale ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2004/83. Spetta al giudice nazionale valutare se siffatto gruppo possieda un’«identità distinta», nel caso del paese d’origine di ciascun richiedente, «perché vi è percepito come diverso dalla società circostante», ai sensi del secondo comma di tale disposizione.

 Terza questione

37.      Con la sua terza questione, il giudice del rinvio si interroga sulla circostanza se il fatto di qualificare come reato gli atti omosessuali e la possibile pena detentiva in relazione ai medesimi, in caso di condanna, costituiscano un atto di persecuzione ai sensi dell’articolo 9 della direttiva.

38.      Dai procedimenti nazionali emergono taluni dati concernenti tutti e tre i richiedenti. Riguardo a X, l’omosessualità non configura di per sé un reato nella Sierra Leone, ma taluni atti omosessuali sono passibili di sanzioni penali. Riguardo a Y, in Uganda l’omosessualità configura di per sé un reato (28). Riguardo a Z, l’omosessualità è in sé non sembra configurare un reato in Senegal, ma taluni atti omosessuali sono soggetti a sanzioni penali (29).

39.      Posto che non è in discussione che i tre richiedenti siano omosessuali, nelle presenti conclusioni non sono tenuta ad operare alcuna distinzione tra la situazione in Uganda (per cui è stato accertato che l’omosessualità è qualificata come reato di per sé) e in Sierra Leone o in Senegal (dove taluni atti omosessuali sono passibili di sanzioni penali) (30).

40.      X, Y e Z sostengono che l’articolo 9 della direttiva deve essere interpretato nel senso che il fatto di qualificare come reati gli atti omosessuali costituisce di per sé un atto di persecuzione. Vi è per contro un ragionevole livello di convergenza a favore della tesi contraria tra la Commissione, i governi degli Stati membri che hanno presentato osservazioni e l’UNHCR.

41.      All’interno dell’Unione europea, è stato introdotto un nuovo approccio, posto che la normativa che qualifica come reato e sanziona gli atti omosessuali che avvengono in privato tra adulti consenzienti è attualmente considerata contraria alla CEDU (31). È pertanto ovvio che negli Stati membri siffatte misure oggi costituirebbero una violazione dei diritti fondamentali dell’individuo, che siano applicate in concreto o meno. L’obiettivo della direttiva, tuttavia, non è quello di garantire protezione ogniqualvolta una persona non possa esercitare pienamente ed effettivamente nel suo paese d’origine le libertà che le sono riconosciute dalla Carta o dalla CEDU. In altri termini: l’obiettivo non è quello di esportare siffatte norme minime (32), ma di limitare il riconoscimento dello status di rifugiato alle persone che rischiano di essere esposte ad una negazione grave o ad una violazione sistematica dei loro diritti più essenziali e la cui vita nel loro paese d’origine è divenuta intollerabile.

42.      Configura necessariamente un atto di persecuzione ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva, ciò che costituirebbe una violazione di un diritto fondamentale all’interno dell’UE?

43.      L’articolo 9, paragrafo 1, stabilisce che «[g]li atti di persecuzione, ai sensi dell’articolo 1A della convenzione di Ginevra, devono: a) essere sufficientemente gravi, per loro natura o frequenza, da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali (…) oppure b) costituire la somma di diverse misure, tra cui violazioni dei diritti umani, il cui impatto sia sufficientemente grave da esercitare sulla persona un effetto analogo a quello di cui alla lettera a)». Dai termini «sufficientemente gravi», «violazione grave» e «somma (…) sufficientemente grave» consegue che non potrà essere considerata un «atto di persecuzione», ai sensi dell’articolo 9, qualsiasi violazione dei diritti umani (per quanto condannabile). Infatti, l’elenco non tassativo degli atti di persecuzione di cui all’articolo 9, paragrafo 2, rinvia espressamente agli standard enunciati all’articolo 9, paragrafo 1, nella misura in cui dichiara che «gli atti di persecuzione che rientrano nella definizione di cui al paragrafo 1» (33) possono tra l’altro assumere la forma enunciata alle lettere da a) a f). L’articolo 9, paragrafo 3, prosegue spiegando che i motivi di persecuzione, di cui all’articolo 10, e gli atti di persecuzione, definiti all’articolo 9, paragrafo 1, devono essere collegati.

44.      Una difficoltà concettuale sorge per il fatto che, atteso che la Carta tutela una libertà fondamentale, qualsiasi persecuzione o pena inflitta ad una persona per l’esercizio di siffatta libertà all’interno dell’Unione sarebbe per definizione «sproporzionata». Considero pertanto il riferimento di cui all’articolo 9, paragrafo 2, lettera c) – la voce nell’elenco non tassativo di atti di persecuzione che sembra più rilevante ai fini del presente procedimento – ad «azioni giudiziarie o sanzioni penali sproporzionate o discriminatorie» come analogo ad «azioni giudiziarie o sanzioni penali gravi o discriminatorie».

45.      Mi sembra che, ai fini di stabilire – su siffatto fondamento – se atti che vietano la manifestazione di un orientamento sessuale possano costituire «atti di persecuzione» ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, le autorità nazionali debbano tenere conto, segnatamente, (i) delle prove relative all’applicazione di disposizioni penali nel paese di origine del richiedente, quali quelle relative all’eventualità che le autorità avviino effettivamente un’azione penale e perseguano le persone coinvolte; (ii) dell’eventualità che le sanzioni penali siano eseguite e in tal caso, della loro severità effettiva e (iii) delle informazioni relative alle prassi e ai costumi della società in generale nel paese d’origine (34).

46.      Il criterio applicabile per valutare una domanda di status di rifugiato è se una misura o una somma di misure possano indicare che tale richiedente ha un fondato timore che i suoi diritti umani fondamentali verranno negati ove tornasse nel suo paese d’origine (35).

47.      Le sanzioni penali che prevedono un lungo periodo di detenzione per aver espresso un orientamento omosessuale potrebbero configurare una violazione dell’articolo 3 della CEDU (proibizione di pene o trattamenti inumani o degradanti) e sarebbero dunque abbastanza severe da costituire una grave violazione dei diritti umani fondamentali, ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva.

48.      In quest’ottica, è a mio avviso evidente (anche senza informazioni dettagliate riguardo alle caratteristiche dei reati imputati ai richiedenti nei procedimenti principali e alle pene specifiche di norma inflitte per siffatti reati) che, in linea generale, le pene inflitte in Sierra Leone, Uganda e Senegal possono teoricamente configurare una pena «sproporzionata» ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera c), della direttiva. È vero che le sanzioni previste dalla legge per taluni atti omosessuali in Senegal non sono tanto draconiane come quelle previste in Sierra Leone o in Uganda. Prima di concludere che, per questo motivo, non è superato il limite critico, previsto all’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva, per configurare un atto di persecuzione, il giudice nazionale dovrebbe tenere conto del rischio di persecuzione unica o ripetuta e della sanzione inflitta in caso di condanna.

49.      In generale, spetta dunque alle autorità nazionali, dopo aver verificato se un determinato richiedente, a causa del suo orientamento sessuale, debba essere considerato membro di un particolare gruppo sociale ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), procedere ad esaminare se le circostanze nel suo paese di origine siano tali da dare adito ad atti di persecuzione ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1. A questo fine, esse devono valutare se siano applicabili misure repressive a coloro che sono, o sono ritenuti essere, membri di siffatto gruppo sociale (36); se tali misure siano effettivamente applicate e la severità delle sanzioni inflitte; e se – di conseguenza – il richiedente abbia un fondato timore di persecuzione. È ovvio che i relativi accertamenti delle autorità nazionali devono essere soggetti al controllo dei giudici nazionali, al fine di garantire la corretta applicazione dei criteri enunciati dalla direttiva.

50.      Di conseguenza, ritengo che si debba rispondere alla terza questione sollevata dal giudice del rinvio nel senso che il fatto di qualificare come reato un determinato atto non costituisce di per sé un atto di persecuzione ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva. Spetta invece alle autorità nazionali competenti valutare, alla luce delle circostanze rilevanti nel paese di origine del richiedente, segnatamente (i) del rischio e della frequenza della persecuzione, (ii) in caso di condanna, della severità della sanzione normalmente inflitta, e (iii) di qualsiasi altra misura e prassi sociale a cui il richiedente può ragionevolmente temere di essere sottoposto, se è probabile che un determinato richiedente venga assoggettato a misure sufficientemente gravi, per loro natura o frequenza, da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali, o ad una somma di diverse misure, tra cui violazioni dei diritti umani, il cui impatto sia sufficientemente grave da esercitare sulla persona un effetto analogo.

 Seconda questione

51.      Con la seconda questione, il giudice a quo vuole sapere se, qualora un richiedente omosessuale debba essere considerato come appartenente ad un particolare gruppo sociale ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva, taluni atti omosessuali rientrino nell’ambito di applicazione della direttiva e determinino il riconoscimento dello status di rifugiato.

52.      Il giudice nazionale pone poi una serie di sottoquestioni (37), concernenti i criteri comuni applicabili al fine di determinare chi possa essere qualificato un rifugiato. Egli chiede, in primo luogo, in che misura la manifestazione pubblica o privata di un orientamento omosessuale sia tutelata dall’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva. In secondo luogo, vuole sapere se si possa esigere che un richiedente tenga segreto il suo orientamento omosessuale al fine di evitare la persecuzione nel suo paese di origine. In terzo luogo, se si possa pretendere dal richiedente riservatezza nel manifestare il suo orientamento omosessuale, ed, eventualmente, in che misura. In quarto luogo, cosa si debba quindi intendere per «nucleo essenziale» di un orientamento sessuale. Infine, se il diritto dell’Unione in generale, o la direttiva in particolare, osti ad una distinzione relativa alla protezione a cui hanno diritto gli stranieri, a seconda se il loro orientamento sia omosessuale o eterosessuale.

53.      Prima di esaminare dette sottoquestioni, occorre fare alcune osservazioni preliminari.

54.      In primo luogo, il giudice nazionale chiede sostanzialmente assistenza sulle modalità con cui deve effettuare la valutazione dettagliata prevista dagli articoli 9 e 10 della direttiva. L’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), pone un limite esplicito a cosa possa costituire un gruppo sociale fondato su una caratteristica comune dell’orientamento sessuale, nella misura in cui stabilisce che «[l]’interpretazione dell’espressione “orientamento sessuale” non può includere atti classificati come penali dal diritto interno degli Stati membri». Pertanto, ad esempio, un orientamento sessuale che comportava che il richiedente eseguisse una mutilazione genitale forzata alla sua partner donna, per renderla «degna» di rapporti sessuali con lui, non è meritevole della tutela conferita dall’articolo 10, paragrafo 1, lettera d). L’articolo 9 contiene una definizione [articolo 9, paragrafo 1, lettere a) e b)] seguita da un elenco non tassativo (articolo 9, paragrafo 2) e dal requisito dell’esistenza di una connessione tra i motivi e gli atti di persecuzione (articolo 9, paragrafo 3), ma è indeterminato riguardo a cosa possa costituire un atto di persecuzione.

55.      In secondo luogo, non è chiara la relazione precisa tra le sottoquestioni presentate e i problemi sollevati nei procedimenti a quo. Il giudice nazionale sembra invece chiedere consiglio su come applicare la direttiva in linea generale. Ciò esula dalla competenza della Corte nell’ambito del procedimento di rinvio pregiudiziale (38).

56.      In terzo luogo, sotto un profilo più pratico, il giudice nazionale spiega che le autorità dei Paesi Bassi ritengono che gli atti omosessuali meritino la medesima tutela degli atti eterosessuali. Non ritengo tuttavia che gli atti del richiedente debbano costituire il punto focale della valutazione. Gli articoli 9 e 10 sostanzialmente non vertono sul comportamento della persona che chiede lo status di rifugiato. Essi riguardano invece possibili atti di persecuzione e i motivi che li determinano, ovvero il comportamento attivo dei possibili autori della persecuzione piuttosto che il comportamento quotidiano dell’eventuale vittima.

57.      In quarto luogo, nell’effettuare tale valutazione occorre ovviamente tenere conto delle restrizioni eventualmente applicabili al richiedente prima che lasciasse il suo paese di origine. Tuttavia, è parimenti rilevante esaminare le prove disponibili per valutare se è probabile che il richiedente sarà esposto ad atti di persecuzione nel caso di un suo ritorno. Pertanto, la questione è se il richiedente abbia un fondato timore di subire una grave violazione dei suoi diritti umani fondamentali. Siffatta questione non può essere risolta prendendo in considerazione soltanto eventi occorsi prima che egli lasciasse il suo paese d’origine.

58.      In quinto luogo, la premessa su cui si basano le questioni del giudice nazionale sembra essere che gli omosessuali che chiedono lo status di rifugiato, ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), hanno la scelta (e forse addirittura la responsabilità) di comportarsi nei rispettivi paesi d’origine in modo tale da ridurre il rischio di essere vittima di atti di persecuzione per il loro orientamento sessuale. Mi sembra che siffatta premessa non possa essere accolta, poiché è contraria al loro diritto al rispetto dell’identità sessuale.

59.      Ciò premesso, vengo adesso ad esaminare le diverse sottoquestioni sollevate dal giudice del rinvio.

60.      Riguardo alla prima sottoquestione, si chiede se la direttiva operi una distinzione tra la manifestazione dell’orientamento sessuale di un richiedente in privato o in pubblico.

61.      Il testo della direttiva non fa una distinzione del genere. Mi sembra pertanto che una siffatta distinzione non sia rilevante al fine di stabilire se si configuri un atto di persecuzione ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva. Le questioni rilevanti sono invece se il richiedente, a motivo del suo orientamento sessuale, sia membro di un gruppo sociale ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), e se esista una connessione, come richiesto dall’articolo 9, paragrafo 3, tra i «motivi di persecuzione» e uno o più atti di persecuzione, ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1.

62.      Il giudice nazionale chiede poi se dai richiedenti lo status di rifugiato si possa esigere che, nel loro paese d’origine, nascondano il loro orientamento sessuale o lo manifestino con riservatezza. Dall’ordinanza di rinvio non emerge se tale questione abbia effetto sul modo in cui le autorità nazionali competenti hanno esaminato le presenti domande di asilo. È possibile che il giudice nazionale voglia sapere se, stabilendo che la dissimulazione non è un criterio da considerare, la Vc 2000 si limiti a riflettere le norme della direttiva o se rappresenti invece l’applicazione ad opera di uno Stato membro di norme minime più favorevoli, come consentito dall’articolo 3 (39). Posto che siffatte questioni sono meramente ipotetiche, la Corte non è tenuta a dare una risposta. Ad ogni buon conto, le esaminerò brevemente.

63.      Non ritengo che da un richiedente lo status di rifugiato si possa pretendere che tenga segreto il suo orientamento sessuale al fine di evitare la persecuzione nel suo paese d’origine.

64.      Né il tenore letterale, né la struttura della direttiva confortano questa tesi. Sarebbe effettivamente assurdo interpretare la direttiva in questo senso. Ciò significherebbe che, se non nascondesse il proprio orientamento sessuale, il richiedente (la vittima) sarebbe considerato in qualche modo responsabile della propria sofferenza come un autore della persecuzione, il che è incompatibile con la formulazione dell’articolo 6 della direttiva. Al contrario, la condizione che i richiedenti debbano nascondere il loro orientamento sessuale potrebbe essere considerata come configurante di per sé un atto di persecuzione.

65.      Si può esigere dai richiedenti lo status di rifugiato che tornino in patria e si comportino con riservatezza nel loro paese d’origine?

66.      Non lo ritengo possibile.

67.      In primo luogo, non mi è chiaro come una siffatta condizione possa concettualmente rientrare nella struttura della direttiva (o appunto della Convenzione di Ginevra). La direttiva stabilisce norme minime sull’attribuzione della qualifica di rifugiato a cittadini di paesi terzi o apolidi (articolo 1). Al fine di valutare se un determinato richiedente soddisfi tali norme minime, lo Stato membro esamina i fatti e le circostanze (articolo 4) per stabilire se il richiedente abbia già subito o possa subire atti di persecuzione o danni gravi (quali definiti all’articolo 9), per taluni motivi specifici di persecuzione (definiti all’articolo 10). Se un richiedente ha un fondato timore di essere perseguitato, gli viene riconosciuto lo status di rifugiato. In nessun punto di tale schema si ravvisano spunti a favore della tesi secondo la quale non occorrerebbe concedere lo status di rifugiato se il richiedente smettesse di «provocare» gli autori della persecuzione essendo se stesso.

68.      In secondo luogo, è certamente vero che una persona che chiede asilo a causa del suo orientamento omosessuale non può attendersi di avere il diritto di vivere nel suo paese di origine allo stesso modo in cui potrebbe vivere nei Paesi Bassi (40). Ciò premesso, la determinazione di quale grado di «riservatezza» (a) sarebbe richiesto perché il richiedente possa ritornare in patria senza problemi, pur (b) essendo compatibile con il mantenimento del diritto fondamentale il cui diniego giustifica il riconoscimento dello status di rifugiato, mi sembra un processo che sarebbe per natura soggettivo e che con ogni probabilità condurrebbe a risultati arbitrari invece di assicurare la certezza del diritto. Lo stesso giudice nazionale dichiara nell’ordinanza di rinvio che il Ministro non è in grado di stabilire a priori che grado di riservatezza si possa esigere. Già soltanto da questa dichiarazione desumo che siffatto approccio in pratica non funzionerebbe.

69.      In terzo luogo, affermare che tutto si sistemerà se il richiedente al suo ritorno in patria si comporta con discrezione significa ignorare la realtà. La discrezione non è una protezione sicura contro il rischio di essere scoperti e il conseguente ricatto o persecuzione.

70.      Ciò premesso, non occorre risolvere la sottoquestione (relativa a cosa costituisca il «nucleo essenziale» di un orientamento sessuale). Ad ogni buon conto, aggiungo tuttavia le seguenti osservazioni.

71.      Ritengo che l’espressione «nucleo essenziale» sia desunta dalla sentenza Y e Z, in cui la Corte ha esaminato se i diritti fondamentali dei richiedenti fossero violati da restrizioni imposte all’esercizio del diritto della libertà religiosa. Non sono convinta che tale espressione possa essere trasposta nel contesto della manifestazione di un orientamento sessuale. Mi sembra infatti che una persona o ha un orientamento sessuale, o non lo ha (41). Non esiste un «nucleo» o un «centro» che possa essere considerato come tale. Mi sembra dunque difficile accogliere la tesi che sia possibile identificare un nucleo centrale della manifestazione di un orientamento sessuale, né credo che la Corte debba seguire questa strada.

72.      Più in generale, tuttavia, considero che l’iter logico seguito dalla Corte nella sentenza Y e Z si applichi per analogia nella fattispecie in esame (42). Nella formulazione degli articoli 9 e 10 della direttiva non si ravvisa alcuna base per un approccio vertente su un «nucleo centrale». L’articolo 9 rinvia ai diritti fondamentali della CEDU e dovrebbe essere il punto di riferimento per la valutazione di atti di persecuzione. Nulla suggerisce che si debba operare una distinzione tra diversi tipi di manifestazione, o atti di manifestazione, che non siano atti sessuali o manifestazioni di affetto. Per definizione è probabile che un approccio fondato su siffatta premessa comporterebbe arbitrarietà.

73.      Con l’ultima sottoquestione si chiede se il diritto dell’Unione in generale, o la direttiva in particolare, vieti di operare una distinzione tra la protezione a cui hanno diritto gli stranieri a seconda che il loro orientamento sessuale sia omosessuale o eterosessuale.

74.      Come devono essere valutate le domande di status di rifugiato se gli asseriti atti di persecuzione colpiscono sia gli omosessuali che gli eterosessuali?

75.      Si supponga che in un certo paese terzo sia vietata qualsiasi manifestazione pubblica di affetto tra due persone (come tenersi la mano o baciarsi) e che, ai sensi del diritto di quel paese, la sanzione in caso di condanna per siffatto reato possa variare (a seconda delle circostanze) da una sanzione pecuniaria alla fustigazione. La disposizione che qualifica e sanziona come reato siffatta condotta è adottata per applicarsi indistintamente a eterosessuali e a omosessuali. Nell’ipotesi in cui una persona di orientamento omosessuale fugga da quel paese e arrivi in uno Stato membro dell’Unione per chiedere asilo, non sarebbe immediatamente evidente che siffatto richiedente è soggetto a persecuzione per il semplice motivo del suo orientamento sessuale. Tuttavia, se questa persona potesse dimostrare che il provvedimento veniva applicato in pratica soltanto nei confronti di omosessuali, o che ad essi venivano inflitte le sanzioni più severe (e che, in pratica, le persone eterosessuali potevano generalmente camminare tenendosi le mani o baciarsi in pubblico impunemente o ricevendo invariabilmente soltanto sanzioni pecuniarie molto lievi), sarebbe probabilmente meglio in grado di dimostrare di far parte di un particolare gruppo sociale ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva. Si dovrà in tal caso esaminare se le persecuzioni e le sanzioni tipicamente imposte ad un omosessuale in caso di condanna configurino un atto di persecuzione ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva (nel mio esempio e a mio avviso la risposta sarebbe positiva).

76.      Tirando le fila delle mie risposte alle diverse sottoquestioni sollevate dal giudice del rinvio, ritengo che la seconda questione debba essere risolta nel senso che, nel valutare se il fatto di qualificare come reato la manifestazione dell’omosessualità come espressione di un orientamento sessuale sia un atto di persecuzione ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva, le autorità competenti di uno Stato membro devono considerare se sia probabile che il richiedente sia soggetto a misure, o ad una somma di diverse misure, per loro natura o frequenza sufficientemente gravi da rappresentare una grave violazione dei diritti umani fondamentali.

 Conclusione

77.      Sono pertanto del parere che la Corte debba risolvere le questioni sollevate dal Raad van State come segue:

1)      I richiedenti lo status di rifugiato che hanno un orientamento omosessuale, a seconda delle circostanze nel loro paese di origine, possono costituire un particolare gruppo sociale ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta. Spetta al giudice nazionale valutare se siffatto gruppo possieda un’«identità distinta», nel caso del paese di origine di ciascun richiedente, «perché vi è percepito come diverso dalla società circostante», ai sensi del secondo comma di tale disposizione.

2)      Il fatto di qualificare come reato gli atti omosessuali non costituisce di per sé un atto di persecuzione ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva. Spetta alle autorità nazionali competenti valutare, alla luce delle circostanze pertinenti nel paese d’origine del richiedente, e con riferimento, segnatamente:

–        al rischio e alla frequenza della persecuzione;

–        in caso di condanna, alla severità della sanzione normalmente inflitta; e

–        a qualsiasi altra misura e prassi sociale a cui il richiedente può ragionevolmente temere di essere sottoposto,

se è probabile che un determinato richiedente venga assoggettato a misure sufficientemente gravi, per loro natura o frequenza, da rappresentare una violazione grave dei diritti umani, o ad una somma di diverse misure, tra cui violazioni dei diritti umani, il cui impatto sia sufficientemente grave da esercitare sulla persona un effetto analogo.

3)      Nel valutare se il fatto di qualificare come reato la manifestazione dell’omosessualità come espressione di un orientamento sessuale sia un atto di persecuzione ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva, le autorità competenti di uno Stato membro devono considerare se sia probabile che il richiedente sia soggetto a misure, o ad una somma di diverse misure, per loro natura o frequenza sufficientemente gravi da rappresentare una grave violazione dei diritti umani fondamentali.


1 – Lingua originale: l’inglese.


2 – Direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (GU L 304, pag. 12).


3 – Firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [United Nations Treaty Series, Vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954)], entrata in vigore il 22 aprile 1954, come integrata e modificata dal Protocollo relativo allo status dei rifugiati, firmato a New York il 31 gennaio 1967, entrato in vigore il 4 ottobre 1967. Mi riferisco congiuntamente ai due atti come alla «Convenzione di Ginevra».


4 – GU 2010, C 83, pag. 389.


5 – Diritti corrispondenti sono sanciti, rispettivamente, agli articoli 8 e 14 della CEDU. L’articolo 8 tutela il diritto al rispetto della vita privata e familiare dell’individuo. L’articolo 14 garantisce che il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella CEDU deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione.


66 – V. considerando 1 e 2 e articolo 1 della direttiva.


7 – V. considerando 3 della direttiva. V. anche considerando 15, ai sensi del quale delle consultazioni con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati possono offrire preziose indicazioni agli Stati membri all’atto di decidere se riconoscere lo status di rifugiato ai sensi dell’articolo 1 della Convenzione di Ginevra.


78 – V. considerando 4 della direttiva.


89 −      V. considerando 6, 16 e 17 della direttiva.


9 – V. considerando 10 della direttiva.


10 – V. articolo 3 della direttiva.


11 – Attualmente sono pendenti dinanzi alla Corte tre cause, da C‑148/13 a C‑150/13, A, B e C, vertenti sull’interpretazione dell’articolo 4 della direttiva e sui criteri comuni per valutare la credibilità dell’orientamento sessuale dichiarato dal richiedente.


12 –      I diritti fondamentali ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 2, della CEDU sono il diritto alla vita (articolo 2), le proibizioni della tortura, della schiavitù e del lavoro forzato (rispettivamente articoli 3 e 4) e un diritto individuale a non essere punito senza un previo giudizio legale (articolo 7).


13 – Al momento della presentazione delle domande, il Ministro interessato era il «Minister voor Immigratie en Asiel» (Ministro per l’Immigrazione e l’Asilo). Da allora il suo titolo è stato modificato in «Minister voor Immigratie, Integratie en Asiel» (Ministro per l’Immigrazione, l’Integrazione e l’Asilo).


14 – Franco CFA (BCEAO).


15 – L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (in prosieguo: l’«UNHCR») ha incluso le persone lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e intersessuali nell’ambito delle sue osservazioni scritte e ha usato l’acronimo «LGBTI» per trasmettere un ampio significato all’espressione «orientamento sessuale». Tuttavia, poiché i procedimenti principali vertono su tre omosessuali maschi che chiedono lo status di rifugiato, nelle presenti conclusioni ho conservato tale descrizione.


16 – Sentenza del 5 settembre 2012, Y e Z (C‑71/11 e C‑99/11, punto 48 e la giurisprudenza ivi citata).


17 – Sentenza del 19 dicembre 2012, Abed El Karem El Kott e a. (C-364/11, punti 42 e 43 e la giurisprudenza ivi citata).


18 – V. paragrafo 32 delle mie conclusioni nella causa Abed El Karem El Kott e a., cit. supra alla nota 18.


19 – V. Corte eur. D.U., sentenza Dudgeon c. Regno Unito del 22 ottobre 1981, punti da 60 a 62, serie A n. 45, sul diritto alla vita privata. V. anche Corte eur. D.U., sentenza X e a. c. Austria [GC] del 19 febbraio 2013, n. 19010/07, Recueil des arrêts et décisions 2013, punto 95, sul diritto alla vita familiare.


20 – Taluni provvedimenti locali, quali la Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli, garantiscono il diritto alla non discriminazione. Tuttavia, come nel caso della Convenzione di Ginevra e della CEDU, non si garantisce espressamente il diritto di manifestare l’orientamento sessuale. V. «Making Love a Crime – Criminalisation of Same-Sex Conduct in Sub-Saharan Africa», una relazione pubblicata da Amnesty International il 25 giugno 2013: www.amnesty.org/en/library/into/AFRO1/001/2013/en.


21 – V. Corte eur. D.U., sentenza Mamatkulov e Askarov c. Turchia [GC] del 4 febbraio 2005 nn. 46827/99 e 46951/99, Recueil des arrêts et décisions 2005-I, punto 121, vertente sulla CEDU in generale. V. punti da 5 a 7 delle Linee guida in materia di protezione internazionale n. 9 del 23 ottobre 2012, consultabili sul sito www.unhcr.org/509136ca9.html (in prosieguo: le «Linee guida dell’UNHCR»), in relazione alla Convenzione di Ginevra.


22 – V. le decisioni della Commissione eur D.U. del 30 settembre 1975, X. c. Repubblica federale di Germania, n. 5935/72, punto 2, e del 17 luglio 1986, Johnson c. Regno Unito, n. 10389/83.


23 – Decisione della Commissione eur D.U. del 1° luglio 1997, n. 25186/94, punti da 58 a 66.


24 – Tale valutazione del Rechtbank è menzionata nel rinvio pregiudiziale del Raad van State. Tuttavia, il giudice del rinvio non ha dichiarato se esso condivida questa tesi del Rechtbank. La mia interpretazione è che il Raad van State ha fatto riferimento alla valutazione del Rechtbank per spiegare i motivi che lo hanno indotto a chiedere assistenza nell’interpretazione dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva. Ho pertanto tenuto conto di tale valutazione del Rechtbank nella mia analisi.


25 – Il Rechtbank può essere stato fuorviato dal fatto che il secondo comma dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), si riferisce ad un gruppo avente un’identità distinta perché è «percepito come diverso dalla società circostante». Tuttavia, essere «percepito come diverso» costituisce di per sé uno stato neutro. Invece, essere perseguitato o discriminato evidentemente non è tale.


26 – V. COM(2001) 510 def., segnatamente la parte 3.


27 – Le linee guida UNHCR richiamano attualmente i Principi di Yogyakarta sull’applicazione del diritto internazionale in materia di diritti umani in relazione all’orientamento sessuale e all’identità di genere, adottati nel marzo 2007. Al considerando 4 dei Principi di Yogyakarta, per «orientamento sessuale» si intende «la capacità di ogni persona di provare una profonda attrazione emotiva, affettiva e sessuale con persone dell’altro sesso o dello stesso sesso o di più di un sesso, e di intrattenere con esse relazioni sessuali intime».


28 – Nelle cause relative a X e a Y, siffatti accertamenti eseguiti in primo grado (rispettivamente dal Rechtbank e dal giudice che si è pronunciato sui provvedimenti provvisori) sono menzionati nei rinvii pregiudiziali del Raad van State. Tuttavia, il giudice del rinvio non ha indicato se condivida questa tesi dei giudici di primo grado. La mia interpretazione è che il Raad van State abbia fatto riferimento a tali accertamenti per spiegare i motivi che lo hanno indotto a chiedere assistenza nell’interpretazione dell’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva, e ne ho pertanto tenuto conto nella mia valutazione.


29 – V. paragrafo 15 supra.


30 – Mi risulta che le autorità dei Paesi Bassi adottino una posizione analoga nella Vc 2000. V. paragrafo 13 supra.


31 – Oltre alla sentenza Dudgeon, cit. supra alla nota 20, i casi conosciuti sono le sentenze del 26 ottobre 1988, Norris c. Irlanda, serie A n. 142, e del 22 aprile 1993, Modinos c. Cipro, serie A n. 259. La legislazione nazionale su cui verteva la causa Modinos è stata modificata in tempi relativamente recenti (nel 1997). V. anche la giurisprudenza della Commissione europea per i diritti dell’Uomo relativa alla discriminazione e al limite di età per il consenso agli atti omosessuali ed eterosessuali, menzionata al paragrafo 25 e alle note 23 e 24 supra.


32 – Corte eur. D.U., decisioni F. c. Regno Unito, n. 17341/03, punto 3, e I.I.N. c. Paesi Bassi, n. 2035/04. Siffatta esportazione potrebbe infatti essere considerata come una forma di imperialismo dei diritti dell’uomo o culturale.


33 – Il corsivo è mio.


34 – Pertanto, ad esempio, se la manifestazione di intimità sessuale in pubblico tra adulti eterosessuali viene scoraggiata e punita dal diritto penale, la mera applicazione delle medesime disposizioni agli adulti omosessuali non configurerebbe un atto di persecuzione. La posizione sarebbe diversa, tuttavia, se tale norma non venisse mai applicata nei confronti delle persone eterosessuali, ma venisse attivamente applicata nei confronti degli omosessuali. V., inoltre, paragrafo 75 infra.


35 – V. sentenza Y e Z, cit. supra alla nota 17, punti 53 e 54.


36 – V. articoli 9, paragrafo 3, e 10, paragrafo 2.


37 – Ho riorganizzato le sottoquestioni al fine di separare i vari problemi sollevati dal giudice nazionale.


38 – Sentenza del 16 dicembre 1981, Foglia (244/80, Racc. pag. 3045, punti da 18 a 20).


39 – V. paragrafo 13 supra.


40 – V., ad esempio, sentenza F. c. Regno Unito, cit. alla nota 33 supra.


41 – Il celibato, quale deliberata assenza di manifestazione (fisica) dell’orientamento sessuale di una persona, può essere scelto volontariamente per diverse ragioni, ma non può essere imposto senza negare l’esistenza stessa della personalità sessuale.


42 – V. paragrafi da 38 a 52 e da 62 a 68 delle conclusioni presentate dall’avvocato generale Bot nella causa Y e Z, cit. supra alla nota 17.