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Edizione provvisoria

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATA GENERALE

TAMARA ĆAPETA

presentate il 5 settembre 2024 (1)

Causa C438/23

Association Protéines France,

Union végétarienne européenne,

Association végétarienne de France,

Beyond Meat Inc.

contro

Ministre de l’Économie, des Finances et de la Souveraineté industrielle et numérique,

con l’intervento di:

77 Foods SAS,

Les Nouveaux Fermiers SAS,

Umiami SAS,

NxtFood SAS,

Nutrition et santé SAS,

Olga SAS

[Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Conseil d’État (Consiglio di Stato, Francia)]

« Rinvio pregiudiziale – Regolamento (UE) n. 1169/2011 – Fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori – Articoli 7, 9, 17 e 38 e allegato VI, parte A, paragrafo 4 – Pratiche leali d’informazione – Denominazione dell’alimento – Materie espressamente armonizzate – Competenza residuale degli Stati membri – Misura nazionale che vieta l’uso di denominazioni legate a prodotti animali per designare alimenti contenenti proteine vegetali – Applicazione limitata ai prodotti fabbricati sul territorio nazionale »






I.      Introduzione

1.        «Tutto ha una fine, solo la salsiccia ne ha due».

2.        Può una salsiccia finire con l’essere classificata sia come carne che come vegetale? Più precisamente, può uno Stato membro vietare l’uso della denominazione «salsiccia» e di altre denominazioni legate a prodotti animali per designare alimenti a base di proteine vegetali oppure a ciò osta la normativa pertinente dell’Unione?

3.        Questa è la questione chiave che emerge dalla causa in esame, in cui il Conseil d’État (Consiglio di Stato, Francia) ha proposto alla Corte di giustizia diverse questioni concernenti l’interpretazione del regolamento (UE) n. 1169/2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori (2).

II.    Fatti del procedimento principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

4.        Nel 2022, le autorità francesi hanno adottato un decreto relativo all’utilizzo di alcune denominazioni per designare prodotti alimentari contenenti proteine vegetali (in prosieguo: il «decreto del 2022») (3).

5.        Tale decreto attua l’articolo L. 412-10 del Code de la consommation (codice del consumo), come modificato nel 2020, il quale prevede quanto segue: «[l]e denominazioni utilizzate per designare alimenti di origine animale non possono essere utilizzate per descrivere, commercializzare o promuovere alimenti contenenti proteine vegetali. Un decreto stabilisce la percentuale di proteine vegetali al di sopra della quale tale denominazione non è possibile» (4).

6.        Le seguenti associazioni e società che promuovono alimenti a base di proteine vegetali hanno presentato tre distinti ricorsi di annullamento avverso il decreto del 2022: i) l’Association Protéines France (in prosieguo: la «Protéines France») (5); ii) l’Union végétarienne européenne (Unione vegetariana europea; in prosieguo: l’«EVU») e l’Association végétarienne de France (Associazione vegetariana francese; in prosieguo: l’«AVF») (6); e iii) la Beyond Meat, Inc. (in prosieguo: la «Beyond Meat») (7); i ricorsi sono stati proposti dinanzi al Conseil d’État (Consiglio di Stato, Francia), giudice del rinvio nella presente causa.

7.        Le disposizioni pertinenti del decreto del 2022 sono illustrate qui di seguito. In primo luogo, per designare un prodotto trasformato contenente proteine vegetali, l’articolo 2 vieta, in particolare, le denominazioni che utilizzano la terminologia propria dei settori della macelleria, della salumeria e della pescheria, nonché le denominazioni di alimenti di origine animale rappresentative di usi commerciali (8).

8.        In secondo luogo, l’articolo 3 del decreto del 2022 autorizza, in deroga alle disposizioni dell’articolo 2, l’utilizzo di tali denominazioni di alimenti di origine animale per gli alimenti contenenti proteine vegetali, purché non eccedano una determinata percentuale (9). La percentuale massima di proteine vegetali è stabilita in un allegato del decreto del 2022 (10).

9.        In terzo luogo, ai sensi del suo articolo 1, il decreto del 2022 si applica agli alimenti contenenti proteine vegetali fabbricati sul territorio nazionale. L’articolo 5 aggiunge che i prodotti legalmente fabbricati o commercializzati in un altro Stato membro dell’Unione, in uno Stato parte dell’accordo sullo Spazio economico europeo o in Turchia non sono soggetti ai requisiti di cui a tale decreto.

10.      In seguito, nel 2024, le autorità francesi hanno adottato un nuovo decreto con lo stesso titolo del decreto del 2022 (in prosieguo: il «decreto del 2024») (11). Il decreto del 2024 ha abrogato il decreto del 2022 (12) e confermato, con alcune modifiche, il divieto di utilizzare denominazioni legate a prodotti di origine animale per descrivere, commercializzare o promuovere alimenti a base di proteine vegetali. Anche avverso tale nuovo decreto sono stati proposti ricorsi dinanzi al Conseil d’État (Consiglio di Stato).

11.      Le modifiche pertinenti introdotte dal decreto del 2024 sono esposte qui di seguito. In primo luogo, l’articolo 2 di tale decreto stabilisce un elenco di termini che è vietato utilizzare per designare alimenti contenenti proteine vegetali (13), elenco attualmente figurante nell’allegato I (14).

12.      In secondo luogo, l’articolo 3 del decreto del 2024 ribadisce l’autorizzazione all’utilizzo di determinati termini, attualmente riportati nell’allegato II, ai fini della designazione di alimenti di origine animale contenenti proteine vegetali che non superano una determinata percentuale (15).

13.      In terzo luogo, l’articolo 5 del decreto del 2024 è strutturato in modo più ampio. Esso stabilisce, attualmente, che i prodotti legalmente fabbricati o commercializzati in un altro Stato membro o in un paese terzo non sono soggetti ai requisiti di cui a tale decreto.

14.      La presente causa trae origine dal procedimento relativo al decreto del 2022. Con lettere del 14 marzo 2024 e del 6 maggio 2024, il Conseil d’État (Consiglio di Stato) ha informato la Corte che le questioni proposte non erano divenute prive di oggetto per effetto dell’adozione del decreto del 2024 e che l’interpretazione richiesta restava necessaria affinché esso potesse pronunciarsi sulla controversia di cui al procedimento principale e sui ricorsi avverso il decreto del 2024.

15.      A mio avviso, ciò dissipa qualsiasi eventuale dubbio relativo alla questione se la domanda di pronuncia pregiudiziale sia divenuta priva di oggetto.

16.      Nella decisione di rinvio, il giudice spiega che esso interpreta il decreto del 2022 come espressione dell’intenzione delle autorità francesi di proteggere i consumatori da denominazioni che inducono in errore. Lo stesso giudice indica che il decreto del 2022 si applica non soltanto in situazioni in cui le denominazioni che designano prodotti di origine animale sono utilizzate da sole per alimenti a base di proteine vegetali, ma anche quando sono fornite indicazioni aggiuntive immediatamente accanto a tali denominazioni per informare i consumatori della sostituzione parziale o totale con proteine vegetali nella composizione di tali alimenti. Ad esempio, è vietato l’utilizzo delle denominazioni «bistecca di soia» e «salsiccia vegetale» per designare alimenti in cui le proteine animali sono sostituite con proteine vegetali.

17.      Il giudice del rinvio chiede se il regolamento n. 1169/2011 osti all’adozione del decreto del 2022 da parte delle autorità nazionali, a motivo del fatto che le materie oggetto di tale decreto sono state espressamente armonizzate ai sensi dell’articolo 38, paragrafo 1, di tale regolamento. In funzione della risposta a tale questione, il giudice del rinvio pone alcune questioni aggiuntive necessarie per potersi pronunciare sulla compatibilità del decreto in parola con il diritto dell’Unione.

18.      In queste circostanze, il Conseil d’État (Consiglio di Stato) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se le disposizioni dell’articolo 7 del regolamento (UE) n. 1169/2011, che prescrivono di fornire ai consumatori informazioni che non li inducano in errore relativamente all’identità, alla natura e alle qualità degli alimenti, debbano essere interpretate come espressamente armonizzanti, ai sensi e ai fini dell’applicazione dell’articolo 38, paragrafo 1, di tale medesimo regolamento, la materia dell’utilizzo di denominazioni di prodotti di origine animale provenienti dai settori della macelleria, della salumeria e della pescheria per descrivere, commercializzare o promuovere alimenti contenenti proteine vegetali, idonee ad indurre in errore il consumatore, in tal modo impedendo a uno Stato membro di intervenire in tale materia tramite l’adozione di misure nazionali che disciplinino o vietino l’utilizzo di tali denominazioni.

2)      Se le disposizioni dell’articolo 17 del regolamento (UE) n. 1169/2011 – che prevedono che la denominazione con cui l’alimento è identificato sia, in assenza di una denominazione legale, la sua denominazione usuale o una denominazione descrittiva – in combinato disposto con le disposizioni del suo allegato VI, parte A, paragrafo 4, debbano essere interpretate come espressamente armonizzanti, ai sensi e ai fini dell’applicazione dell’articolo 38, paragrafo 1, di tale medesimo regolamento, la materia del contenuto e dell’utilizzo delle denominazioni, diverse dalle denominazioni legali, che designano alimenti di origine animale per descrivere, commercializzare o promuovere alimenti contenenti proteine vegetali, anche in caso di totale sostituzione di ingredienti di origine vegetale a tutti gli ingredienti di origine animale che compongono un prodotto alimentare, in tal modo impedendo a uno Stato membro di intervenire in tale materia tramite l’adozione di misure nazionali che disciplinino o vietino l’utilizzo di tali denominazioni.

3)      In caso di risposta positiva alla prima o alla seconda questione, se l’armonizzazione espressa operata, ai sensi e ai fini dell’articolo 38, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 1169/2011, dalle disposizioni degli articoli 7 e 17 di tale medesimo regolamento, in combinato disposto con le disposizioni del suo allegato VI, parte A, paragrafo 4, dello stesso, osti a che:

a)      uno Stato membro adotti una misura nazionale che preveda l’imposizione di sanzioni amministrative in caso di mancato rispetto delle prescrizioni e dei divieti derivanti dalle disposizioni di tale regolamento[;]

b)      uno Stato membro adotti una misura nazionale che stabilisca i livelli di proteine vegetali al di sotto dei quali continuerebbe ad essere autorizzato l’utilizzo di denominazioni, diverse dalle denominazioni legali, che designano alimenti di origine animale per descrivere, commercializzare o promuovere alimenti contenenti proteine vegetali.

4)      In caso di risposta negativa alla prima e alla seconda questione, se le disposizioni degli articoli 9 e 17 del regolamento (UE) n. 1169/2011 consentano a uno Stato membro:

a)      di adottare una misura nazionale che determini i livelli di proteine vegetali al di sotto dei quali è consentito l’utilizzo di denominazioni, diverse da quelle legali, che designano alimenti di origine animale per descrivere, commercializzare o promuovere alimenti contenenti proteine vegetali;

b)      di adottare una misura nazionale che vieti l’utilizzo di determinate denominazioni usuali o descrittive, anche quando sono accompagnate da informazioni supplementari che garantiscano un’informazione leale del consumatore[;]

c)      di adottare le misure di cui ai punti 4 a) e 4 b), solo per i prodotti fabbricati sul suo territorio, senza per questo violare il principio di proporzionalità di tali misure».

19.      La Protéines France, l’EVU e la Beyond Meat, nonché i governi francese, italiano ed ellenico e la Commissione europea, hanno presentato osservazioni scritte alla Corte. Non si è tenuta udienza.

III. Analisi

A.      Presentazione del contesto

20.      La presente causa si colloca nel contesto della battaglia sulle denominazioni degli alimenti a base vegetale in Francia.

21.      Tuttavia, la Francia non è l’unica interessata. Relazioni recenti indicano che altri Stati membri, come l’Italia, la Polonia e la Romania (16), hanno adottato, o stanno ponderando di adottare, regole analoghe che vietano l’uso della terminologia legata ai prodotti a base di carne e pesce (in prosieguo: «denominazioni associate alla carne») per alimenti a base vegetale. Sviluppi analoghi sono riscontrabili in altri paesi nel mondo, come in Svizzera (17), Sudafrica (18) e Stati Uniti d’America (19). Allo stesso tempo, taluni Stati membri, come la Germania (20) e i Paesi Bassi (21), hanno adottato misure che consentono espressamente l’uso di tali termini.

22.      Interessi differenti e complessi sono sottesi a queste battaglie sulla denominazione degli alimenti (22). Tuttavia, quando transitano dall’arena politica a quella giudiziaria, gli attori devono scegliere le loro armi giuridiche, siano esse la libertà di espressione (23), la nozione di pratiche commerciali sleali (24), errori procedurali (25) o l’assenza di competenza a disciplinare la materia, quest’ultima dedotta nel caso di specie.

23.      Una serie di argomenti spesso utilizzati nel contesto dell’Unione europea, in quanto ordinamento giuridico multilivello, è l’assenza di competenza degli Stati membri a disciplinare la materia mediante l’adozione di norme nazionali, in ragione dell’intervento di norme dell’Unione nel settore pertinente. In presenza di siffatte norme dell’Unione, agli Stati membri è preclusa un’azione a livello nazionale (26).

24.      Questa è una delle armi giuridiche utilizzate dalle ricorrenti nel procedimento dinanzi al giudice del rinvio. Esse si fondano sul regolamento n. 1169/2011 per contestare la competenza delle autorità francesi ad adottare il decreto del 2022.

25.      L’articolo 38 del regolamento n. 1169/2011 esprime il principio della preclusione nello specifico settore coperto da tale regolamento. Esso prevede quanto segue:

«1.      Quanto alle materie espressamente armonizzate dal presente regolamento, gli Stati membri non possono adottare né mantenere disposizioni nazionali salvo se il diritto dell’Unione lo autorizza. Tali disposizioni nazionali non creano ostacoli alla libera circolazione delle merci, ivi compresa la discriminazione nei confronti degli alimenti provenienti da altri Stati membri.

2.      Fatto salvo l’articolo 39, gli Stati membri possono adottare disposizioni nazionali concernenti materie non specificamente armonizzate dal presente regolamento purché non vietino, ostacolino o limitino la libera circolazione delle merci conformi al presente regolamento» (27).

26.      Sulla base di tale disposizione, la questione principale sollevata dalla presente causa è se le norme francesi rientrino nell’articolo 38, paragrafo 1, del regolamento n. 1169/2011 oppure nell’articolo 38, paragrafo 2, di tale regolamento.

27.      Si tratta di stabilire se il diritto dell’Unione già disciplini la possibilità di utilizzare o meno denominazioni associate alla carne per alimenti a base vegetale.

28.      La Protéines France, l’EVU e la Beyond Meat sostengono che gli articoli 7 e 17 del regolamento n. 1169/2011, in combinato disposto con il paragrafo 4 della parte A, dell’allegato VI di tale regolamento armonizzano espressamente la possibilità degli operatori di utilizzare denominazioni associate alla carne per alimenti a base vegetale, purché accompagnate da indicazioni aggiuntive concernenti il fatto che il prodotto in questione contiene proteine vegetali anziché animali. Pertanto, tali parti sostengono che gli Stati membri non possono più disciplinare la questione di cui trattasi. La Commissione giunge alla stessa conclusione.

29.      I governi francese, italiano ed ellenico sostengono la tesi opposta.

B.      Se le materie coperte dalle norme francesi siano state espressamente armonizzate dal regolamento n. 1169/2011

1.      Disposizioni pertinenti del regolamento n. 1169/2011

30.      Il regolamento n. 1169/2011 affonda le sue radici nella direttiva 79/112/CEE (28) e nella successiva direttiva 2000/31/CE (29). Al pari degli strumenti che l’hanno preceduto, il regolamento n. 1169/2011, fondato sull’articolo 114 TFUE, riflette il duplice obiettivo di garantire il buon funzionamento del mercato interno e un livello elevato di protezione dei consumatori. Esso stabilisce una serie di regole armonizzate, le quali garantiscono che i consumatori dispongano di informazioni adeguate sugli alimenti e che possano quindi effettuare consapevolmente la scelta di acquistare determinati prodotti e quali (30).

31.      Il legislatore dell’Unione ha individuato i tipi di informazioni (denominate indicazioni obbligatorie) che gli operatori sono tenuti a fornire ai consumatori al momento dell’immissione sul mercato di prodotti alimentari. Tra tali indicazioni, l’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 1169/2011 menziona la denominazione dell’alimento.

32.      L’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 1169/2011 impone poi agli operatori l’obbligo di utilizzare la denominazione legale dell’alimento, qualora esista. La denominazione legale può essere prevista dalla normativa dell’Unione o degli Stati membri.

33.      A livello dell’Unione, le denominazioni legali sono prescritte per diversi alimenti in differenti contesti. Ad esempio, esistono normative dell’Unione concernenti il cioccolato (31), il miele (32), il caffè (33) e i succhi di frutta (34), per citarne alcune. Alcuni di questi strumenti si basano sulle disposizioni del mercato interno e altri sulla politica agricola comune (in prosieguo: la «PAC»).

34.      Dall’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 1169/2011 discende chiaramente che agli Stati membri non è preclusa l’introduzione di denominazioni legali qualora tali denominazioni non siano prescritte a livello dell’Unione. A norma dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera n), di tale regolamento, per «denominazione legale» s’intende la denominazione di un alimento prescritta dalle disposizioni dell’Unione a esso applicabili o, in mancanza di tali disposizioni, la denominazione prevista dalle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative applicabili nello Stato membro nel quale l’alimento è venduto al consumatore finale o alle collettività.

35.      In mancanza di una denominazione legale per un determinato alimento, l’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 1169/2011 stabilisce che l’operatore può utilizzare la sua denominazione usuale o una denominazione descrittiva.

36.      L’articolo 2, paragrafo 2, lettera o), del regolamento n. 1169/2011 precisa che per «denominazione usuale» s’intende una denominazione che è accettata quale nome dell’alimento dai consumatori dello Stato membro nel quale tale alimento è venduto, senza che siano necessarie ulteriori spiegazioni, mentre l’articolo 2, paragrafo 2, lettera p), di tale regolamento stabilisce che per «denominazione descrittiva» s’intende una denominazione che descrive l’alimento e, se necessario, il suo uso e che è sufficientemente chiara affinché i consumatori determinino la sua reale natura e lo distinguano da altri prodotti con i quali potrebbe essere confuso.

37.      Allorché stabilisce che una denominazione descrittiva può essere utilizzata ove non esista o non sia utilizzata una denominazione usuale, l’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 1169/2011 permette agli operatori, a mio avviso, di scegliere una denominazione diversa anche qualora esista una denominazione usuale. Siffatta scelta, tuttavia, non è data quando la denominazione è prescritta per legge.

38.      La denominazione dell’alimento, così come qualsiasi altra informazione fornita ai consumatori, deve essere adeguata (35) e non deve creare confusione. A questo proposito, l’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 1169/2011 vieta le informazioni sugli alimenti che inducono in errore, in particolare, per quanto riguarda la loro natura, identità, proprietà e composizione.

39.      Inoltre, l’articolo 7, paragrafo 1, lettera d), del regolamento n. 1169/2011 indica che le informazioni sugli alimenti non possono indurre in errore «suggerendo, tramite l’aspetto, la descrizione o le illustrazioni, la presenza di un particolare alimento o di un ingrediente, mentre di fatto un componente naturalmente presente o un ingrediente normalmente utilizzato in tale alimento è stato sostituito con un diverso componente o un diverso ingrediente».

40.      Infine, per quanto qui interessa, il paragrafo 4 della parte A dell’allegato VI, del regolamento n. 1169/2011, intitolato «Denominazione degli alimenti e indicazioni specifiche che la accompagnano», al quale mi riferirò come alla «regola di cui all’allegato VI», prevede quanto segue:

«Nel caso di alimenti in cui un componente o un ingrediente che i consumatori presumono sia normalmente utilizzato o naturalmente presente è stato sostituito con un diverso componente o ingrediente, l’etichettatura reca – oltre all’elenco degli ingredienti – una chiara indicazione del componente o dell’ingrediente utilizzato per la sostituzione parziale o completa:

a)      in prossimità della denominazione del prodotto; e

b)      in caratteri la cui parte mediana (altezza della x) è pari ad almeno il 75 % di quella utilizzata per la denominazione del prodotto e comunque di dimensioni non inferiori a quelle previste dall’articolo 13, paragrafo 2, del presente regolamento».

41.      È opportuno ricordare che la Corte ha precisato che l’uso dell’espressione «denominazione del prodotto», di cui alla lettera a) di tale norma, equivale, nel suo significato, all’espressione «denominazione dell’alimento» (36).

2.      Prima questione

42.      Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se nel divieto di informazioni che inducono in errore di cui all’articolo 7 del regolamento n. 1169/2011 rientri l’utilizzo di denominazioni associate alla carne per alimenti a base vegetale, con la conseguenza che agli Stati membri sarebbe preclusa la disciplina di tale materia.

43.      Che cosa prevede l’articolo 7 del regolamento n. 1169/2011? In capo a quali soggetti esso impone obblighi e in relazione a che cosa? Per rispondere a queste domande occorre considerare diversi fattori.

44.      In primo luogo, l’atto dell’Unione in questione è un regolamento. I regolamenti non necessitano di attuazione da parte del diritto nazionale e, anzi, ciò è in linea di principio vietato. I diritti e gli obblighi discendenti da un regolamento si applicano direttamente ai destinatari negli Stati membri (37), anche qualora essi siano persone fisiche. In altri termini, i regolamenti sono idonei a produrre un effetto diretto orizzontale.

45.      In secondo luogo, a mio avviso, nonostante la sua formulazione generale, l’articolo 7 del regolamento n. 1169/2011, interpretato in combinato disposto con il suo articolo 8 (38), impone obblighi in capo agli operatori del settore alimentare. Uno di tali obblighi è quello di astenersi dal fornire informazioni che inducono in errore sui propri prodotti. Applicato alla denominazione di un prodotto, detto obbligo significa che la denominazione del loro prodotto fornito ai consumatori non deve indurre in errore.

46.      Di conseguenza, la materia in questione – ossia l’obbligo degli operatori di attribuire denominazioni che non inducano in errore – è, come sostiene la Commissione, espressamente armonizzata dal regolamento n. 1169/2011. Pertanto, agli Stati membri è preclusa l’adozione di norme sulla stessa materia nella propria normativa. Come statuito dalla Corte, un regolamento «esclude, in via di principio, (...), l’adozione o il mantenimento di disposizioni nazionali parallele» (39).

47.      L’articolo 7 del regolamento n. 1169/2011, tuttavia, non stabilisce quali denominazioni concrete inducano in errore i consumatori, né del resto potrebbe stabilirlo. La circostanza se una determinata denominazione induca in errore è una questione di fatto, che dipende dalla cultura (gastronomica) e dalle connesse aspettative dei consumatori nello Stato membro in cui essa è utilizzata. Pertanto, la risposta può variare da Stato a Stato (40). Il regolamento n. 1169/2011 non presuppone aspettative uniformi dell’Unione in materia alimentare. Esso tiene conto delle differenze tra gli Stati membri (41). Questo è il motivo per cui la Corte ha ritenuto che spetti ai giudici nazionali stabilire se l’etichettatura di determinati prodotti sia tale da indurre in errore il consumatore (42).

48.      Gli Stati membri possono stabilire previamente e mediante una normativa generale quali denominazioni inducono in errore?

49.      Secondo il giudice del rinvio, il decreto del 2022 è stato adottato allo scopo di proteggere i consumatori da denominazioni che inducono in errore (v. paragrafo 16 delle presenti conclusioni).

50.      Tuttavia, se, ad esempio, l’uso della denominazione «salsiccia di soia» può effettivamente indurre in errore i consumatori francesi, tale uso è già precluso dall’articolo 7 del regolamento n. 1169/2011. Una situazione di tal genere non necessita di una normativa aggiuntiva, ma soltanto dell’applicazione del divieto di cui trattasi nel caso concreto (43).

51.      Una normativa nazionale applicabile in via generale che stabilisca quali denominazioni inducono in errore e quali no negherebbe il diritto che il regolamento n. 1169/2011 sembra attribuire agli operatori. Salvo che esista una denominazione legale per un determinato alimento, gli operatori possono, ai sensi dell’articolo 17 del regolamento n. 1169/2011, scegliere una denominazione usuale o qualsiasi altra denominazione descrittiva adeguata per un prodotto.

52.      Il diritto di scelta della denominazione è limitato da due obblighi. Uno è prescritto dall’articolo 7 del regolamento n. 1169/2011, che vieta agli operatori di scegliere una denominazione che induce in errore, e l’altro dall’articolo 17 dello stesso regolamento, il quale obbliga gli operatori a utilizzare una denominazione legale, se esistente.

53.      Le denominazioni legali per alcuni tipi di alimenti possono, come già spiegato, essere stabilite dalla normativa degli Stati membri qualora non vi sia una normativa dell’Unione relativa a tale alimento. Tuttavia, il regolamento n. 1169/2011 tace quanto alle possibili ragioni per le quali può essere stabilita una denominazione legale.

54.      Sulla base di quanto precede, suggerisco alla Corte di rispondere alla prima questione nel modo esposto qui di seguito. Il regolamento n. 1169/2011 osta a che gli Stati membri stabiliscano, mediante norme generali, quali denominazioni inducono in errore. Tuttavia, agli Stati membri non è preclusa la possibilità di stabilire denominazioni legali per determinati alimenti mediante norme generali, a condizione che tali denominazioni legali non siano stabilite dal diritto dell’Unione.

55.      La questione pertinente, alla quale dovrà rispondere, in ultima analisi, il giudice del rinvio, è di che cosa trattino realmente norme francesi. Tornerò su questa questione nei paragrafi da 82 a 97 delle presenti conclusioni.

3.      Seconda questione

56.      Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la regola di cui all’allegato VI, interpretata in combinato disposto con l’articolo 17 del regolamento n. 1169/2011, abbia espressamente armonizzato la possibilità di utilizzare denominazioni associate alla carne per descrivere, commercializzare o promuovere alimenti nei quali la carne è sostituita con proteine vegetali (in prosieguo: il «prodotto sostitutivo»).

57.      Anzitutto, le parti dinanzi alla Corte non concordano sull’applicabilità della regola di cui all’allegato VI nel caso il cui la carne sia sostituita con proteine vegetali negli alimenti.

58.      La Protéines France, l’EVU e la Beyond Meat sostengono che la regola di cui all’allegato VI effettivamente si applica a tali sostituzioni. Per come interpreto il loro argomento, esse ritengono che il legislatore dell’Unione abbia permesso l’utilizzo di denominazioni associate alla carne nel caso di prodotti nei quali la carne è sostituita con proteine vegetali, a patto che i consumatori siano adeguatamente informati mediante indicazioni aggiuntive che accompagnano la denominazione dell’alimento e che, quindi, non siano indotti in errore. Di conseguenza, gli Stati membri non possono vietare, per un prodotto sostitutivo, l’uso di una denominazione conforme a tali requisiti.

59.      Di converso, i governi francese, italiano ed ellenico, unitamente alla Commissione, ritengono che la regola di cui all’allegato VI non sia applicabile alle circostanze di cui alla presente causa. Essi sostengono, in sostanza, che detta regola non si applica agli alimenti composti da un solo ingrediente (44), e che in essa non rientrano i casi di sostituzione totale.

60.      A mio avviso, l’argomentazione avanzata dai summenzionati Stati membri e dalla Commissione non è persuasiva. Ritengo invece che nella regola di cui all’allegato VI rientri l’uso di denominazioni associate alla carne per prodotti sostitutivi a base vegetale (45).

61.      Prima di spiegarne il motivo, è necessario affrontare una questione preliminare. L’applicazione della regola di cui all’allegato VI presuppone che, di fronte alle denominazioni contenute nelle norme francesi, i consumatori presumano che si tratti di prodotti a base di carne.

62.      Ricordo che la regola di cui all’allegato VI si applica nel caso in cui «un componente o un ingrediente che i consumatori presumono sia normalmente utilizzato o naturalmente presente è stato sostituito con un diverso componente o ingrediente» (46).

63.      Non sembra che sia controverso, tra le parti dinanzi alla Corte, il fatto che i consumatori presumano che un alimento designato mediante la sola denominazione «salsiccia», «bistecca» o qualsiasi altra espressione riportata nelle norme francesi sia un prodotto di origine animale.

64.      Sulla base di tale premessa, proseguirò con l’analisi concernente il tipo di sostituzioni alle quali si applica la regola di cui all’allegato VI.

a)      Se nella regola di cui all’allegato VI rientri la sostituzione della carne con proteine vegetali

65.      Sulla base della sua formulazione espressa, la regola di cui all’allegato VI è pertinente per le situazioni in cui un ingrediente che i consumatori presumono presente in un determinato alimento è parzialmente o completamente sostituito da un ingrediente diverso. Pertanto, la formulazione di tale regola copre le situazioni in cui, ad esempio, una salsiccia non contiene carne, ma soltanto proteine vegetali. Inoltre, nulla in tale formulazione indica che la regola si applichi soltanto agli alimenti contenenti più di un ingrediente.

66.      Se si colloca la regola di cui all’allegato VI nel contesto più ampio del regolamento n. 1169/2011, l’articolo 7, paragrafo 1, lettera d), di tale regolamento sembra pertinente. Tale disposizione implica che l’uso, per un alimento, di una denominazione associata alla presenza di un ingrediente normalmente presente nell’alimento (carne), ma che in realtà è stato sostituito con un altro ingrediente (proteine vegetali), è, in linea di principio, fuorviante e, quindi, vietato.

67.      A tal riguardo, la regola di cui all’allegato VI può essere interpretata nel senso che offre una soluzione per effetto della quale la denominazione in questione può comunque essere utilizzata nonostante l’avvenuta sostituzione dell’ingrediente che si presume presente. La soluzione consiste nell’aggiungere un’indicazione che accompagni la denominazione e precisi l’ingrediente sostitutivo. Ad esempio, sebbene la denominazione «salsiccia» induca a presumere che si tratti di carne, il termine «salsiccia vegetale» potrebbe chiarire che, in quel prodotto, la carne è stata sostituita con proteine vegetali (47).

68.      L’applicabilità della regola di cui all’allegato VI alla sostituzione della carne con proteine vegetali è corroborata anche dalla genesi legislativa.

69.      Nel corso del processo decisionale, sia il Parlamento europeo che il Consiglio concordavano sul fatto che sarebbe stato possibile utilizzare la denominazione di un alimento originale i cui ingredienti erano stati sostituiti per designare l’alimento sostitutivo contenente ingredienti diversi. Essi, tuttavia, non concordavano sulle modalità attraverso le quali i consumatori avrebbero dovuto esserne informati. Mentre il Parlamento aveva proposto l’uso di determinate designazioni come «imitazione di un prodotto alimentare» (48), il Consiglio si è opposto e ha preferito la chiara indicazione dell’ingrediente sostitutivo in aggiunta alla denominazione dell’alimento (49). Nella versione finale, la soluzione di compromesso è consistita nel prevedere che tale indicazione fosse collocata in prossimità della denominazione e con caratteri di determinate dimensioni (50).

70.      Dunque, la genesi legislativa indica che né il Parlamento né il Consiglio dell’Unione europea intendevano impedire l’uso di denominazioni tradizionalmente impiegate per un tipo di alimenti anche per tipi di alimenti differenti; la loro posizione differiva soltanto quanto alla soluzione proposta per evitare qualsiasi confusione per i consumatori.

71.      Da quanto precede risulta che la sostituzione della carne con proteine vegetali rientra nella regola di cui all’allegato VI .

b)      Pertinenza della sentenza nella causa TofuTown.com ai fini dell’interpretazione della regola di cui all’allegato VI

72.      La sentenza nella causa TofuTown.com (51) suggerisce che l’applicazione della regola di cui all’allegato VI può essere esclusa mediante la creazione di una denominazione legale.

73.      Come già spiegato (v. paragrafi da 32 a 37 delle presenti conclusioni), ai sensi dell’articolo 17 del regolamento n. 1169/2011, gli operatori devono descrivere i loro prodotti alimentari mediante la denominazione legale, se esistente. In mancanza di questa, e dato che devono dare un nome ai loro prodotti, essi possono utilizzare una denominazione usuale o descrittiva.

74.      La causa TofuTown.com verteva sulla questione se termini quali «burro di tofu», «formaggio vegetale» e «latte di soia» potessero essere utilizzati, dato che il regolamento n. 1308/2013 (52) prevede definizioni specifiche per le nozioni di «latte» e «prodotti lattiero‑caseari», ivi compresi il «burro» e il «formaggio». La Corte ha statuito che tali termini non possono essere utilizzati ai fini di designare prodotti puramente vegetali, anche nel caso in cui siano presenti indicazioni aggiuntive circa gli ingredienti sostitutivi in prossimità della loro denominazione. La Corte ha ritenuto che tali termini fossero riservati unicamente ai prodotti lattiero‑caseari (53).

75.      Inoltre, il regolamento n. 1308/2013 ha riservato esclusivamente ai prodotti lattiero-caseari le denominazioni di cui all’articolo 17 del regolamento n. 1169/2011 effettivamente utilizzate per i prodotti lattiero-caseari. In ciò rientrano le denominazioni usuali, quali il termine «Sahne» in lingua tedesca. A differenza del termine «Rahm», il termine «Sahne» non è stato incluso nel regolamento n. 1308/2013. Ciò nonostante, la Corte ha ritenuto che neppure tale denominazione usuale potesse essere utilizzata per designare un prodotto puramente vegetale (54).

76.      Mi sembra che tale sentenza possa essere interpretata nel modo seguente: quando un prodotto ha una denominazione legale, non è possibile utilizzare tale denominazione legale, neppure accompagnata da indicazioni aggiuntive, per designare un prodotto che contiene ingredienti sostitutivi. Ciò significa, ad esempio, che se il termine «salsiccia» fosse una denominazione legale, esso non potrebbe essere utilizzato per designare un prodotto che contiene proteine puramente vegetali, anche in presenza di indicazioni aggiuntive quali «salsiccia vegetale».

77.      La conclusione che si può trarre dalla sentenza TofuTown.com è che la regola di cui all’allegato VI permette l’uso di denominazioni associate alla carne per alimenti a base di proteine vegetali che rechino indicazioni aggiuntive alla denominazione dell’alimento soltanto se la denominazione associata alla carne non è una denominazione legale. Stabilendo una denominazione legale, il legislatore può vietarne l’uso per qualsiasi prodotto sostitutivo.

78.      Siffatta denominazione legale può essere prevista dalla normativa dell’Unione, come nel caso di cui alla sentenza TofuTown.com, oppure, in assenza di una normativa dell’Unione, dalla normativa nazionale.

79.      Di conseguenza, gli Stati membri possono vietare l’uso di denominazioni usuali associate alla carne per alimenti a base di proteine vegetali trasformando tali denominazioni usuali in denominazioni legali.

80.      Suggerisco pertanto alla Corte di rispondere alla seconda questione nel modo esposto qui di seguito. La regola di cui all’allegato VI, interpretata in combinato disposto con l’articolo 17 del regolamento n. 1169/2011, non ha armonizzato espressamente l’uso di denominazioni per prodotti sostitutivi. Tali disposizioni lasciano agli Stati membri la possibilità di stabilire denominazioni legali, riservando in tal modo tali denominazioni a particolari alimenti.

81.      Poiché il legislatore può escludere la regola di cui all’allegato VI stabilendo denominazioni legali, la pertinente questione a cui deve rispondere, in ultima analisi, il giudice del rinvio è, ancora una volta, di che cosa trattino effettivamente le norme francesi. Mi occuperò ora di tale questione.

4.      Se le norme francesi stabiliscano denominazioni legali

82.      Le parti dinanzi alla Corte sembrano assumere posizioni differenti quanto alla questione se le norme francesi stabiliscano denominazioni legali per prodotti di origine animale.

83.      Nelle osservazioni scritte presentate alla Corte, il governo francese non ha preso posizione sulla questione se le autorità francesi intendessero stabilire delle denominazioni legali. Tuttavia, la Protéines France sostiene che, nel contesto del procedimento nazionale, le autorità francesi hanno respinto l’ipotesi che il decreto del 2022 abbia stabilito denominazioni legali (55). Il contesto in cui è stata resa tale affermazione non è stato precisato.

84.      A mio avviso, la decisione se le norme francesi abbiano disciplinato denominazioni legali deve essere valutata in modo oggettivo, sulla base degli effetti prodotti da tali norme. L’intenzione delle autorità nazionali non è decisiva ai fini di tale valutazione.

85.      Se le norme nazionali hanno l’effetto di riservare talune denominazioni a determinati tipi di prodotti, in tal caso esse stabiliscono denominazioni legali. Ciò anche nel caso in cui siffatte norme non dichiarino formalmente di disciplinare le denominazioni di alimenti.

86.      Sulla base delle informazioni contenute nel fascicolo, mi sembra che le norme francesi stabiliscano le denominazioni legali di taluni alimenti a base di carne.

87.      Anzitutto, è evidente che esiste un margine per disciplinare le denominazioni dei prodotti a base di carne a livello nazionale, dato che tali denominazioni non sono stabilite a livello dell’Unione, come avviene invece, ad esempio, per i prodotti lattiero-caseari. Per quanto a mia conoscenza, fatte salve alcune eccezioni (56), nella normativa dell’Unione non si rinvengono denominazioni legali per specifici prodotti a base di carne (57).

88.       A tal riguardo, nel contesto della normativa dell’Unione relativa alla PAC, il Parlamento aveva proposto un emendamento diretto a limitare l’uso di taluni termini per prodotti a base di carne. L’emendamento prevedeva quanto segue: «[i] nomi che rientrano nell’articolo 17 del [regolamento n. 1169/2011] che sono attualmente utilizzati per i prodotti a base di carne e le preparazioni di carne sono riservati esclusivamente ai prodotti contenenti carne. Tali denominazioni comprendono, ad esempio: bistecca; salsiccia; scaloppina; burger; hamburger» (58). Tuttavia, tale proposta è stata abbandonata (59).

89.      Se il legislatore dell’Unione poteva disciplinare tali denominazioni a livello dell’Unione, ma non lo ha fatto, per quale motivo uno Stato membro non potrebbe fare la stessa cosa a livello nazionale?

90.      Al pari della proposta normativa dell’Unione che è stata abbandonata, le norme francesi riservano determinate denominazioni a prodotti di origine animale. Come indicato dalla Beyond Meat, queste norme rendono impossibile, nella pratica, l’utilizzo di denominazioni associate alla carne per alimenti a base di proteine vegetali.

91.      Infatti, le norme francesi codificano denominazioni usuali o descrittive per la carne, così trasformandole in denominazioni legali. Da questo punto di vista, le norme francesi non sono molto diverse dalla normativa dell’Unione sul latte e i prodotti lattiero-caseari, in discussione nella causa TofuTown.com. Così come il regolamento n. 1308/2013 non definisce il contenuto preciso dei prodotti lattiero-caseari ivi elencati, come il burro e il formaggio, ma esige che essi contengano latte, le norme francesi non definiscono il contenuto preciso di ciascun prodotto menzionato, ma implicano che debba contenere carne.

92.      Inoltre, analogamente al regolamento n. 1308/2013, oggetto della causa TofuTown.com, che si riferiva a denominazioni effettivamente utilizzate per i prodotti lattiero-caseari, senza elencarle espressamente, le norme francesi si riferiscono a denominazioni effettivamente utilizzate per i prodotti a base di carne – come termini specifici utilizzati nel settore della macelleria e della salumeria – trasformandole così, come riconosciuto dalla Corte nella sentenza TofuTown.com, in denominazioni legali riservate unicamente a prodotti contenenti carne.






93.      Rileva l’intento alla base dell’adozione delle norme nazionali?

94.      Sono dell’avviso che le intenzioni non siano importanti al fine di accertare se determinate norme abbiano stabilito denominazioni legali. Il fatto che le autorità francesi abbiano effettivamente inteso proteggere i consumatori o l’industria della carne oppure che la ragione sottesa a tali norme sia la protezione del patrimonio gastronomico nazionale, come suggerito dal governo italiano, la preservazione della diversità linguistica o qualsiasi altra ragione non influisce sulla risposta alla questione se l’effetto delle norme sia riservare talune denominazioni a determinati prodotti. A mio parere, questa è l’unica questione rilevante.

95.      Sono altresì incline a concordare con gli argomenti dedotti dal governo italiano, ai sensi dei quali il divieto di utilizzare, per taluni alimenti, una denominazione tradizionalmente utilizzata per altri equivale a riservare tale denominazione all’alimento originale. Non importa che le norme non dichiarino formalmente che si tratta di denominazioni legali.

96.      Applicando tale ragionamento alle norme francesi, il divieto di utilizzare denominazioni associate alla carne per alimenti a base di proteine vegetali equivale a riservare tali denominazioni agli alimenti a base di carne.

97.      Di conseguenza, a mio avviso, le norme francesi stabiliscono denominazioni legali. Tuttavia, tale verifica compete, in ultima analisi, al giudice del rinvio.

98.      In sintesi, né l’articolo 7 del regolamento n. 1169/2011, né la regola di cui all’allegato VI, interpretati in combinato disposto con l’articolo 17 di tale regolamento, impediscono agli Stati membri di stabilire denominazioni legali (in assenza di denominazioni legali stabilite a livello dell’Unione). Pertanto, se le norme francesi stabiliscono denominazioni legali, esse rientrano nell’articolo 38, paragrafo 2, di tale regolamento.

C.      Questioni aggiuntive

99.      Poiché suggerisco di trattare le norme francesi come rientranti nell’ambito di applicazione dell’articolo 38, paragrafo 2, del regolamento n. 1169/2011, è necessario rispondere ai quesiti collocati nel contesto della quarta questione.

1.      Quarta questione

100. La risposta alla quarta questione, lettere a) e b), discende dall’analisi della seconda questione.

101. Gli articoli 9 e 17 del regolamento n. 1169/2011 non ostano a che gli Stati membri adottino una misura nazionale che determina le percentuali di proteine vegetali al di sotto delle quali è consentito l’utilizzo di denominazioni che designano alimenti di origine animale per descrivere, commercializzare o promuovere alimenti contenenti proteine vegetali. Determinando tali percentuali, gli Stati membri stabiliscono, in effetti, denominazioni legali.

102. Adottando misure nazionali che vietano l’uso di determinate denominazioni usuali e descrittive, anche quando accompagnate da indicazioni aggiuntive, uno Stato membro trasforma tali denominazioni usuali e descrittive in denominazioni legali, cosa che è legittimato a fare.

103. Con la quarta questione, lettera c), il giudice del rinvio sembra chiedere conferma di una decisione che ha già preso. Dall’ordinanza di rinvio risulta, segnatamente, che una censura concernente la violazione, da parte del decreto del 2022, delle norme del Trattato in materia di libera circolazione delle merci è stata presentata come una censura distinta nel procedimento principale ed è stata respinta dal giudice del rinvio. Tale giudice ha spiegato di aver ritenuto che il decreto in parola non crei ostacoli alle importazioni di alimenti da altri Stati membri, né alle esportazioni dalla Francia verso altri Stati membri.

104. Ricordo che, se le norme francesi sono classificate come materie non espressamente armonizzate dal regolamento n. 1169/2011, allora, in virtù dell’articolo 38, paragrafo 2, di tale regolamento, tali norme sono permesse «purché non vietino, ostacolino o limitino la libera circolazione delle merci».

105. Il governo francese sostiene che le norme francesi sono conformi all’articolo 38, paragrafo 2, del regolamento n. 1169/2011, in quanto concernono situazioni puramente interne e, quindi, non rientrano nell’ambito di applicazione della libera circolazione delle merci. Siffatte misure, che non sono dirette a disciplinare gli scambi di merci tra gli Stati membri, non possono costituire un ostacolo alla libera circolazione delle merci.

106. Di converso, l’EVU e la Beyond Meat sostengono che il decreto del 2022 limita la libera circolazione delle merci. Esse sostengono inoltre che tale decreto non risponde ad alcun obiettivo di interesse generale e che non è necessario né proporzionato.

107. A tal riguardo, ricordo che le norme francesi si applicano soltanto agli alimenti prodotti in Francia e destinati al mercato francese. Tali norme, pertanto, disciplinano una situazione puramente interna, che esula dall’ambito di applicazione delle norme del Trattato concernenti le libertà del mercato.

108. Ad esempio, nella causa Mathot (60), la Corte ha statuito che le regole in materia di etichettatura del burro imposte ai soli produttori belgi, e non ai produttori di altri Stati membri, non ostacolavano le importazioni di burro e non sfavorivano lo smercio del burro importato (ai sensi dell’attuale articolo 34 TFUE). Pertanto, esse non violavano le norme in materia di libera circolazione.

109. Più recentemente, nella causa Asociación Nacional de Productores de Ganado Porcino (61), la Corte ha stabilito che né l’articolo 34 TFUE, in materia di restrizioni all’importazione, né l’articolo 35 TFUE, in materia di restrizioni alle esportazioni, ostavano a una normativa nazionale la quale prevedeva che una determinata denominazione di vendita del suino iberico («ibérico de cebo») poteva essere attribuita esclusivamente a prodotti conformi a taluni requisiti imposti da detta normativa, limitata al territorio nazionale. Tale normativa conteneva una disposizione ai sensi della quale i prodotti provenienti da altri Stati membri e dotati di denominazioni simili potevano essere importati e commercializzati in Spagna con siffatte denominazioni, senza dover soddisfare i requisiti previsti dalla normativa in parola.

110. Le norme francesi contengono disposizioni analoghe.

111. Le norme nazionali che esulano dall’ambito di applicazione delle norme in materia di libera circolazione non necessitano di giustificazione (62). Pertanto, gli argomenti secondo i quali siffatte norme non sarebbero proporzionate sono irrilevanti dal punto di vista del diritto dell’Unione, in quanto esse non creano un ostacolo agli scambi.

112. La Beyond Meat aggiunge un argomento concernente il motivo per cui il decreto del 2022 potrebbe essere visto come un ostacolo agli scambi. Essa sottolinea che gli operatori gestiscono catene di approvvigionamento complesse, che interessano più Stati membri, sicché il decreto di cui trattasi crea notevoli rischi giuridici per gli operatori stabiliti in altri Stati membri allorché commercializzano i loro prodotti in Francia, poiché saranno tenuti a dimostrare l’origine dei loro prodotti e la loro conformità alla normativa di uno degli altri Stati membri.

113. Posso concordare sul fatto che questo argomento abbia una certa forza. Il decreto del 2022 stabilisce che esso non si applica ai prodotti provenienti da altri Stati membri, da Stati SEE e dalla Turchia. Pertanto, al fine di non rientrare nelle sue regole, un importatore dovrebbe dimostrare che il prodotto proviene da uno di questi Stati, il che potrebbe comportare oneri e costi amministrativi aggiuntivi.

114. Tuttavia, questa disposizione del decreto del 2022 è stata modificata. Il decreto del 2024 prevede ora che le sue norme non si applichino a nessun prodotto importato, il che significa che gli importatori non sono tenuti a dimostrare l’origine degli alimenti importati per evitare l’applicazione di tale decreto.

115. Di conseguenza, suggerisco alla Corte di rispondere alla quarta questione, lettera c), nel senso che il regolamento n. 1169/2011 non osta a che gli Stati membri adottino norme applicabili esclusivamente a situazioni puramente interne e che siffatte misure non necessitano di giustificazione.

116. Aggiungo che, in forza del diritto nazionale, potrebbe comunque essere necessaria una giustificazione. Inoltre, il dibattito concernente le ragioni per introdurre o meno una normativa che stabilisca denominazioni legali costituisce una questione attinente alle politiche nazionali.

117. Tuttavia, le battaglie politiche possono essere condotte nell’arena dell’Unione, poiché l’Unione può decidere di creare denominazioni legali o di impedirne la creazione. Gli argomenti dedotti nel corso del presente procedimento, ai sensi dei quali il divieto di utilizzare denominazioni associate alla carne per alimenti a base di proteine vegetali è in contrasto con politiche dell’Unione quali la strategia «Dal produttore al consumatore» (63) o, più in generale, il Green Deal europeo, sono argomenti importanti. Tuttavia, finché il legislatore dell’Unione non interverrà, i giudici della Corte non potranno pronunciarsi, e lo stesso vale per me, sulla giustificazione del divieto di utilizzare denominazioni associate alla carne per alimenti a base vegetale in Francia o in qualsiasi altro Stato membro, a prescindere dalle nostre opinioni personali in materia.

2.      Terza questione

118. La terza questione è posta per il caso in cui la risposta alla prima o alla seconda questione sia che gli Stati membri non possono adottare misure quali il decreto del 2022. Qualora la Corte accolga il mio suggerimento, non sarà necessario rispondere alla terza questione. Per il caso contrario, me ne occuperò brevemente.

119. Suggerisco di rispondere alla terza questione, lettera b), nel senso che, se gli Stati membri non dispongono di una competenza normativa residua, non possono neppure fissare le percentuali di proteine vegetali ai fini dell’utilizzo di denominazioni associate alla carne.

120. Per quanto riguarda la terza questione, lettera a), relativa all’imposizione di sanzioni amministrative, è chiaro che, anche in presenza di un’armonizzazione espressa, gli Stati membri possono e, anzi, devono garantire l’effettiva applicazione delle norme dell’Unione. Qualora le autorità nazionali ritengano che le sanzioni amministrative siano un metodo efficace per garantire l’efficacia delle norme dell’Unione, essi hanno facoltà di imporre tali sanzioni in caso di inosservanza dei requisiti stabiliti nel regolamento n. 1169/2011.

121. Ciò è confermato, come indicato dalla Commissione, dal regolamento (CE) n. 178/2002 (64), che affida agli Stati membri la responsabilità di applicare la legislazione alimentare. Ciò include la definizione di norme in materia di sanzioni (65).

122. Di conseguenza, suggerisco alla Corte di rispondere alla terza questione, lettera a), nel senso che il regolamento n. 1169/2011 non osta a che gli Stati membri impongano sanzioni amministrative in caso di inosservanza di tale regolamento.

IV.    Conclusione

123. Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali proposte dal Conseil d’État (Consiglio di Stato, Francia) come segue:

1)      In risposta alla prima questione, il regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, che modifica i regolamenti (CE) n. 1924/2006 e (CE) n. 1925/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio e abroga la direttiva 87/250/CEE della Commissione, la direttiva 90/496/CEE del Consiglio, la direttiva 1999/10/CE della Commissione, la direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, le direttive 2002/67/CE e 2008/5/CE della Commissione e il regolamento (CE) n. 608/2004 della Commissione, osta a che gli Stati membri stabiliscano, mediante norme generali, quali denominazioni inducono in errore. Tuttavia, agli Stati membri non è preclusa la possibilità di stabilire denominazioni legali per determinati alimenti mediante norme generali, a condizione che tali denominazioni legali non siano stabilite dal diritto dell’Unione.

2)      In risposta alla seconda questione, l’allegato VI, parte A, paragrafo 4, del regolamento n. 1169/2011, interpretato in combinato disposto con l’articolo 17 di tale regolamento, non ha armonizzato espressamente l’uso di denominazioni per prodotti sostitutivi. Tali disposizioni lasciano agli Stati membri la possibilità di stabilire denominazioni legali, riservando in tal modo tali denominazioni a particolari alimenti.

3)      In risposta alla quarta questione, gli articoli 9 e 17 del regolamento n. 1169/2011 non ostano a che gli Stati membri adottino una misura nazionale che determini le percentuali di proteine vegetali al di sotto delle quali è consentito l’utilizzo di denominazioni che designano alimenti di origine animale per descrivere, commercializzare o promuovere alimenti contenenti proteine vegetali. Determinando tali percentuali, gli Stati membri stabiliscono, in effetti, denominazioni legali.

Adottando misure nazionali che vietano l’uso di determinate denominazioni usuali e descrittive, anche quando accompagnate da indicazioni aggiuntive, uno Stato membro trasforma tali denominazioni usuali e descrittive in denominazioni legali, cosa che è legittimato a fare.

Gli articoli 9 e 17 del regolamento n. 1169/2011 non ostano a che gli Stati membri adottino norme applicabili esclusivamente a situazioni puramente interne e siffatte misure non necessitano di giustificazione.

4)      Non è necessario rispondere alla terza questione. In subordine, in risposta alla terza questione, il regolamento n. 1169/2011 non osta a che gli Stati membri impongano sanzioni amministrative in caso di inosservanza di tale regolamento.

Se gli Stati membri non dispongono di una competenza normativa residua, non possono neppure fissare le percentuali di proteine vegetali ai fini dell’utilizzo di denominazioni associate alla carne.




1      Lingua originale: l’inglese.


2      Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, che modifica i regolamenti (CE) n. 1924/2006 e (CE) n. 1925/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio e abroga la direttiva 87/250/CEE della Commissione, la direttiva 90/496/CEE del Consiglio, la direttiva 1999/10/CE della Commissione, la direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, le direttive 2002/67/CE e 2008/5/CE della Commissione e il regolamento (CE) n. 608/2004 della Commissione (GU 2011, L 304, pag. 18).


3      Décret n° 2022-947 du 29 juin 2022 relatif à l’utilisation de certaines dénominations employées pour désigner des denrées comportant des protéines végétales (decreto n. 2022-947 del 29 giugno 2022 relativo all’utilizzo di alcune denominazioni per designare alimenti contenenti proteine vegetali) (JORF n. 150 del 30 giugno 2022, testo n. 3).


4      L’articolo L. 412-10 del codice del consumo è stato introdotto dall’articolo 5 della Loi du 10 juin 2020 relative à la transparence de l’information sur les produits agricoles et alimentaires (legge del 10 giugno 2020 in materia di trasparenza delle informazioni sui prodotti agricoli e alimentari) (JORF n. 142 dell’11 giugno 2020, testo n. 1).


5      La Protéines France è un’associazione di imprese del mercato francese delle proteine vegetali. Una serie di società è intervenuta a sostegno del suo ricorso nel procedimento principale, tra le quali la società Beyond Meat, Inc., nonché la 77 Foods SAS, Les Nouveaux Fermiers SAS, la Umiami SAS, la NxtFood SAS, la Nutrition et santé SAS e la Olga SAS.


6      L’EVU è un’organizzazione ombrello di associazioni e società vegane e vegetariane dell’intera Unione europea. In qualità di membro dell’EVU, l’AVF è un’associazione con sede in Francia il cui scopo è promuovere il vegetarianismo.


7      La Beyond Meat è un produttore di alimenti a base di proteine vegetali, con sede negli Stati Uniti d’America.


8      V. articolo 2, paragrafi 3 e 4, del decreto del 2022.


9      V. articolo 3, paragrafo 1, del decreto 2022.


10      L’elenco di cui all’allegato, composto da oltre 300 denominazioni, è suddiviso in cinque sezioni relative a prodotti animali, accanto alle quali è indicata la percentuale massima di proteine vegetali che non può essere superata, generalmente compresa tra lo 0,5% e il 7%. Ad esempio, ai sensi della sezione III, concernente le denominazioni tratte dal codice degli usi per la salumeria mediante salatura e le conserve di carne, «bacon», 0,5%; «chipolata», 0,5%, «merguès/merguez» e «salami», 1,0%. Ai sensi della sezione IV, concernente le denominazioni tratte dal codice di buone pratiche per i prodotti avicoli, «nuggets [di pollame]», 3,5%.


11      Décret n° 2024-144 du 26 février 2024 relatif à l’utilisation de certaines dénominations employées pour désigner des denrées comportant des protéines végétales (decreto n. 2024-144 del 26 febbraio 2024 sull’uso di alcune denominazioni per designare alimenti contenenti proteine vegetali) (JORF n. 48 del 27 febbraio 2024, testo n. 15).


12      V. articolo 9 del decreto del 2024.


13      V. articolo 2, paragrafo 3, del decreto del 2024, che sostituisce l’articolo 2, paragrafi 3 e 4, del decreto del 2022.


14      L’allegato I del decreto 2024 contiene il seguente elenco di 21 termini: «filet; faux filet; rumsteck; entrecote; aiguillette baronne; bavette d’aloyau; onglet; hampe; bifteck; basse côte; paleron; flanchet; steak; escalope; tendron; grillade; longe; travers; jambon; boucher/bouchère; charcutier/charcutière».


15      L’allegato II del decreto del 2024 contiene un elenco consolidato di termini, attualmente presentato in ordine alfabetico.


16      V., ad esempio, Carreño, I., «France Bans “Meaty” Terms for Plant-Based Products: Will the European Union Follow?», European Journal of Risk Regulation, Vol. 13, n. 4, 2022, p. 665; Planchenstainer, F. «“Meat me in Italy”: The Italian Ban on Meat-Sounding Names and Cell-Cultured Meat», European Food and Feed Law Review, Vol. 19, n. 2, 2024, pag. 66, in particolare pag. 71.


17      V., ad esempio, Polydor, S. e Strobel, E.-M., «Switzerland: “No” to Vegan Salami, but “Yes” to Soy-Based Whipping Cream? Labelling Rules for Plant-Based Alternatives to Foods of Animal Origin», European Food and Feed Law Review, Vol. 16, n. 3, 2021, pag. 239.


18      V., ad esempio, Buxton, A., «Plant-Based Labeling Globally: Where Consumers and Companies Currently Stand», Plant Based World Pulse, 18 luglio 2023.


19      Per quanto riguarda gli Stati Uniti, la dottrina osserva che circa trenta Stati hanno tentato di approvare normative che vietano la terminologia legata alla carne per prodotti a base vegetale o di carne sintetica. V. ad esempio, Taylor, S., «Meat Wars: The Unsettled Intersection of Federal and State Food Labeling Regulations for Plant-Based Meat Alternatives», University of Massachutts Law Review, Vol. 15, n. 2, 2020, pag. 269.


20      Per quanto concerne la Germania, v., ad esempio, Meisterernst, A., «Leitsätze vegetarische Lebensmittel Vor 300. Leitsätze für vegane und vegetarische Lebensmittel mit Ähnlichkeit zu Lebensmitteln tierischen Ursprungs», in Sosnitza/Meisterernst, Lebensmittelrecht, Werkstand: 187 EL, agosto 2023. Rn. 1-14; Horn, D., «II. Grundlagen des Lebensmittelrecht», in Streinz/Kraus, Lebensmittelrechts-Handbuch, Werkstand: 46 EL gennaio 2024, Rn. 246a-246m (letto con l’ausilio di strumenti di traduzione automatica).


21      Per quanto riguarda i Paesi Bassi, v. Nederlandse Voedsel- en Warenautoriteit, Handboek Etikettering van levensmiddelen, versione 8.0, 27 giugno 2022, punto 22.10 (letto con l’ausilio di strumenti di traduzione automatica).


22      V., ad esempio, Tai, S., «Legalizing the meaning of meat», Loyola University Chicago Law Journal, Vol. 51, n. 3, 2020, pag. 743.


23      Trattasi di uno dei principali argomenti sollevati in un contesto simile negli Stati Uniti d’America. V., ad esempio, Pitkoff, J., «State Bans on Labelling for Alternative Meat Products: Free Speech and Consumer Protection», N.Y.U. Environmental Law Journal, Vol. 29, n. 2, 2021, pag. 297.


24      Ad esempio, nel contesto della causa che ha dato origine alla sentenza del 14 giugno 2017, TofuTown.com (C‑422/16, EU:C:2017:458, punto 16), il ricorrente ha intentato, sulla base del diritto nazionale in materia di concorrenza sleale, un’azione inibitoria diretta a vietare l’uso di determinate denominazioni al fine di commercializzare prodotti a base vegetale.


25      Nella presente causa, le ricorrenti hanno dedotto tale argomento, sostenendo che l’adozione del decreto del 2022 ha comportato una violazione della procedura di notificazione prevista dalla direttiva (UE) 2015/1535 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 settembre 2015, che prevede una procedura d’informazione nel settore delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione (GU 2015, L 241, pag. 1). Tuttavia, il giudice del rinvio ha precisato di aver respinto detto argomento e non ha posto alcuna questione a tal riguardo.


26      V., ad esempio, Gutman, K., The Constitutional Foundations of Contract Law: A Comparative Analysis, Oxford University Press, Oxford, 2014, pagg. da 31 a 36. V. anche Weatherill, S., «The Fundamental Question of Minimum or Maximum Harmonisation», in Garben, S. e I. Govaere (a cura di), The Internal Market 2.0, Hart Publishing, Oxford, 2020, pag. 261.


27      Il corsivo è mio.


28      Direttiva del Consiglio del 18 dicembre 1978, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari destinati al consumatore finale, nonché la relativa pubblicità (GU 1979, L 33, pag. 1), basata, in particolare, sull’articolo 100 del trattato CEE (attuale articolo 115 TFUE).


29      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 marzo 2000, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità (GU 2000, L 109, pag. 29), basata sull’articolo 95 TCE (attuale articolo 114 TFUE).


30      V., in particolare, articolo 1, paragrafo 1, e articolo 3, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 1169/2011, unitamente ai suoi considerando da 1 a 3 e 37.


31      Direttiva 2000/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 giugno 2000, relativa ai prodotti di cacao e di cioccolato destinati all’alimentazione umana (GU 2000, L 197, pag. 19).


32      Direttiva 2001/110/CE del Consiglio, del 20 dicembre 2001, concernente il miele (GU 2002, L 10, pag. 47).


33      Direttiva 1999/4/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 febbraio 1999 relativa agli estratti di caffè e agli estratti di cicoria (GU 1999, L 66, pag. 26).


34      Direttiva 2001/112/CE del Consiglio, del 20 dicembre 2001, concernente i succhi di frutta e altri prodotti analoghi destinati all’alimentazione umana (GU 2002, L 10, pag. 58).


35      Ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 1169/2011, le informazioni sugli alimenti sono precise, chiare e facilmente comprensibili per il consumatore.


36      V. sentenza del 1º dicembre 2022, LSI – Germany (C‑595/21, EU:C:2022:949, in particolare punti 24, 25 e 35).


37      V., ad esempio, sentenze del 10 ottobre 1973, Variola (34/73, EU:C:1973:101, punto 10); del 5 maggio 2015, Spagna/Parlamento e Consiglio, C‑146/13, EU:C:2015:298, punto 105); e del 21 marzo 2024, Remia Com Impex (C‑10/23, EU:C:2024:259, punto 52).


38      L’articolo 8 del regolamento n. 1169/2011 stabilisce le responsabilità degli operatori del settore alimentare per quanto concerne i requisiti in materia di informazioni sugli alimenti.


39      Sentenza del 15 novembre 2012, Al-Aqsa/Consiglio e Paesi Bassi/Al-Aqsa (C‑539/10 P e C‑550/10 P, EU:C:2012:711, punto 85). Il corsivo è mio.


40      Per le difficoltà che sorgono a tal riguardo, v. Nilsson, K.L., «Misleading? To whom?», European Food and Feed Law Review, Vol. 7, n. 1, 2012, pag. 22.


41      L’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento n. 1169/2011 prevede quanto segue: «[i]l presente regolamento stabilisce le basi che garantiscono un elevato livello di protezione dei consumatori in materia di informazioni sugli alimenti, tenendo conto delle differenze di percezione dei consumatori e delle loro esigenze in materia di informazione (...)» (il corsivo è mio). V. anche il considerando 16 di tale regolamento.


42      V., ad esempio, sentenze del 10 settembre 2009, Severi (C‑446/07, EU:C:2009:530, punto 60) e del 4 giugno 2015, Teekanne (C‑195/14, EU:C:2015:361, punto 36).


43      Rilevo inoltre che le norme francesi non vietano l’importazione in Francia di prodotti che utilizzano denominazioni associate alla carne per alimenti a base di proteine vegetali. Ciò rende difficile comprendere in che modo le regole di cui trattasi proteggano i consumatori dall’essere indotti in errore, dato che possono coesistere prodotti identici commercializzati con denominazioni diverse.


44      A tal riguardo, la Commissione si basa sul suo stesso documento di orientamento, e menziona, fra gli esempi ivi riportati, quello di una pizza in cui il formaggio è stato sostituito con un altro prodotto. V. comunicazione della Commissione relativa alle domande e risposte sull’applicazione del [regolamento n. 1169/2011] (GU 2018, C 196, pag. 1), punto 2.1.


45      V., a tal riguardo, Oelrichs, C., «Ersatzzutatenkennzeichnung und Irreführungseignung – Konsequenzen der EuGH-Rechtsprechung für die Gestaltung von Lebensmittelaufmachungen», Zeitschrift für das gesamte Lebensmittelrecht, 2023, parte 2, pag. 164 (letto con l’ausilio di strumenti di traduzione automatica).


46      Il corsivo è mio.


47      Ciò non significa, tuttavia, che l’aggiunta del termine «vegetale» alla denominazione «salsiccia» elimini automaticamente il rischio di confusione. Tale denominazione potrebbe comunque indurre in errore. Essa potrebbe, ad esempio, indurre un consumatore a ritenere che si tratti di una salsiccia con l’aggiunta di vegetali. Tuttavia, la questione se l’indicazione aggiuntiva scelta induca o meno in errore è distinta dalla questione se l’aggiunta di siffatta indicazione a una denominazione associata alla carne per designare un alimento a base vegetale sia, in linea di principio, ammessa.


48      V. relazione del Parlamento europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla fornitura di informazioni alimentari ai consumatori, A7-0109/2010, 19 aprile 2010, emendamenti 63, 78 e 230, pagg. 42, 43, 49, 50, 128 e 129.


49      V. posizione (UE) n. 7/2011 del Consiglio in prima lettura in vista dell’adozione del regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, che modifica i regolamenti (CE) n. 1924/2006 e (CE) n. 1925/2006 e abroga le direttive 87/250/CEE, 90/496/CEE, 1999/10/CE, 2000/13/CE, 2002/67/CE, 2008/5/CE e il regolamento (CE) n. 608/2004, adottata dal Consiglio il 21 febbraio 2011 (2011 C 102 E, pag. 1), motivazione del Consiglio, parte III, lettera a), punto b), pag. 44. V. anche, ad esempio, comunicazione della Commissione al Parlamento europeo ai sensi dell’articolo 294, paragrafo 6 [TFUE] relativa alla posizione del Consiglio in prima lettura sull’adozione di un regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla fornitura di informazioni alimentari ai consumatori, COM (2011) 77 final, 22 febbraio 2011, pagg. 4 e 5; documento del Consiglio 9426/11, 5 maggio 2011, in particolare pag. 4 e allegato, pagg. da 113 a 116.


50      V., ad esempio, documento del Consiglio 11001/11, 6 giugno 2011, in particolare pag. 7 e allegato, pagg. da 46 a 50; documento del Consiglio 11623/11, 20 giugno 2011; documento del Consiglio 12512/11, 14 luglio 2011.


51      Sentenza del 14 giugno 2017 (C‑422/16, EU:C:2017:458).


52      V. regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli e che abroga i regolamenti (CEE) n. 922/72, (CEE) n. 234/79, (CE) n. 1037/2001 e (CE) n. 1234/2007 del Consiglio (GU 2013, L 347, pag. 671), in particolare articolo 78, paragrafo 1, lettera c), e allegato VII, parte III, punti 1 e 2, di tale regolamento. Il regolamento in parola è stato adottato nel contesto della PAC.


53      V. sentenza del 14 giugno 2017, TofuTown.com (C‑422/16, EU:C:2017:458, in particolare punti da 25 a 27 e 40).


54      V. sentenza del 14 giugno 2017, TofuTown.com (C‑422/16, EU:C:2017:458, in particolare punti da 28 a 30).


55      La Protéines France richiama l’ordonnance du juge des référés du Conseil d’État (ordinanza del giudice del procedimento sommario del Consiglio di Stato) del 27 luglio 2022, punto 10.


56      V. regolamento n. 1308/2013, in particolare articolo 78, paragrafo 1, lettere a) e d), e allegato VII, parte I, punti da I a III (concernente le carni bovine). V. anche regolamento (CE) n. 853/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, che stabilisce norme specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale (GU 2004, L 139, pag. 55), punti 1.1, 3.1 e 7.1 dell’allegato I (relativo alle definizioni di carne, prodotti della pesca e prodotti a base di carne), richiamati all’articolo 2, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 1169/2011.


57      V. Carreño, I. e Dolle, T., «Tofu Steaks? Developments on the Naming and Marketing of Plant-based Foods in the Aftermath of the TofuTown Judgment», European Journal of Risk Regulation, Vol. 9, n. 3, 2018, pag. 575, in particolare pag. 576.


58      Relazione del Parlamento europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica i regolamenti (UE) n. 1308/2013 recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli, (UE) n. 1151/2012 sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari, (UE) n. 251/2014 concernente la definizione, la designazione, la presentazione, l’etichettatura e la protezione delle indicazioni geografiche dei prodotti vitivinicoli aromatizzati, (UE) n. 228/2013 recante misure specifiche nel settore dell’agricoltura a favore delle regioni ultraperiferiche dell’Unione e (UE) n. 229/2013 recante misure specifiche nel settore dell’agricoltura a favore delle isole minori del Mar Egeo (in prosieguo: la «proposta»), A8-0198/2019, 7 maggio 2019, emendamento 165, pagg. 176 e 177.


59      V. emendamenti del Parlamento europeo, approvati il 23 ottobre 2020, alla proposta citata alla nota 58 delle presenti conclusioni, P9-TA(2020)0289; v. anche risoluzione legislativa del Parlamento europeo del 23 novembre 2021 su tale proposta, P9_TA(2021)0458.


60      V. sentenza del 18 febbraio 1987 (98/86, EU:C:1987:89, punti da 6 a 9 e 12).


61      V. sentenza del 14 giugno 2018 (C‑169/17, EU:C:2018:440, punti da 21 a 31).


62      V., a tal riguardo, le mie conclusioni nella causa Società Italiana Imprese Balneari (C‑598/22, EU:C:2024:129, in particolare paragrafi da 36 a 44), in cui discuto la distinzione tra, da un lato, le misure nazionali che rappresentano quanto meno un ostacolo alla libera circolazione, e che non sono necessariamente vietate se possono essere giustificate e, dall’altro, le misure nazionali che non costituiscono un ostacolo agli scambi, e alle quali, dunque, non si applicano i trattati.


63      V., a tal riguardo, comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, Una strategia «Dal produttore al consumatore» per un sistema alimentare equo, sano e rispettoso dell’ambiente, COM/2020/381 final, 20 maggio 2020, in particolare punto 2.4.


64      V. regolamento del 28 gennaio 2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare (GU 2002, L 31, pag. 1), in particolare articolo 17, paragrafo 2.


65      Per quanto riguarda lo strumento che ha preceduto il regolamento n. 1169/2011, ossia la direttiva 2000/13, v. sentenza del 23 novembre 2006, Lidl Italia (C‑315/05, EU:C:2006:736, punto 58); v. anche le conclusioni dell’avvocato Generale Stix-Hackl nella causa Lidl Italia (C‑315/05, EU:C:2006:553, paragrafo 35).