Language of document : ECLI:EU:T:2006:202

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

12 luglio 2006 (*)

«Marchio comunitario – Opposizione – Domanda di marchio comunitario denominativo VITACOAT – Marchi nazionali denominativi anteriori VITAKRAFT – Impedimenti relativi alla registrazione – Rischio di confusione – Art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento (CE) n. 40/94»

Nella causa T‑277/04,

Vitakraft-Werke Wührmann & Sohn GmbH & Co. KG, con sede in Brema (Germania), rappresentata dall’avv. U. Sander,

ricorrente,

contro

Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), rappresentato dal sig. J. Novais Gonçalves, in qualità di agente,

convenuto,

controinteressata nel procedimento dinanzi alla commissione di ricorso dell’UAMI e interveniente dinanzi al Tribunale:

Johnson’s Veterinary Products Ltd, con sede in Sutton Coldfield (Regno Unito), rappresentata dal sig. M. Edenborough, barrister,

avente ad oggetto un ricorso d’annullamento della decisione della prima commissione di ricorso dell’UAMI 27 aprile 2004 (pratica R 560/2003‑1), relativa ad un procedimento d’opposizione tra la Vitakraft-Werke Wührmann & Sohn GmbH & Co. KG e la Johnson’s Veterinary Products Ltd,

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADODELLE COMUNITÀ EUROPEE (Seconda Sezione),

composto dal sig. J. Pirrung, presidente, dal sig. A.W.H. Meij e dalla sig.ra I. Pelikánová, giudici,

cancelliere: sig. J. Plingers, amministratore

visto il ricorso depositato nella cancelleria del Tribunale il 9 luglio 2004,

visto il controricorso dell’UAMI depositato nella cancelleria del Tribunale il 14 gennaio 2005,

visto il controricorso dell’interveniente depositato presso la cancelleria del Tribunale il 13 maggio 2005,

in seguito alla trattazione orale dell’11 gennaio 2006,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti della controversia

1        Il 21 marzo 1996 la Vitacoat Ltd chiedeva all’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI) la registrazione del segno denominativo VITACOAT come marchio comunitario, ai sensi del regolamento del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), come modificato.

2        I prodotti di cui si chiedeva la registrazione rientrano nelle classi 3, 5, e 21 ai sensi dell’accordo di Nizza 15 giugno 1957 sulla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, come rivisto e modificato, e corrispondono alla seguente descrizione:

–        classe 3: «Shampoo, balsami, prodotti per il pelo e per la pelle, deodoranti; tutti per animali»;

–        classe 5: «Prodotti per la distruzione di acari, pidocchi, pulci e altri parassiti; tutti per animali»;

–        classe 21: «Spazzole e pettini per animali».

3        Il 18 dicembre 2000 la domanda di registrazione veniva pubblicata nel Bollettino dei marchi comunitari n. 34/1998, in data 11 maggio 1998.

4        Il 25 maggio 1998 la ricorrente si opponeva alla registrazione del marchio richiesto, sulla base di quattro marchi registrati in Germania (in prosieguo: i «marchi anteriori») rappresentati dal segno denominativo VITAKRAFT e tutelanti, in particolare, i seguenti prodotti:

–        registrazione n. 834 153: «Vetro, porcellana e maiolica, ossia mangiatoie per uccelli, cani e gatti»;

–        registrazione n. 950 955: «Preparati farmaceutici veterinari per pesci, uccelli da compagnia e uccelli domestici, ad eccezione dei preparati in vendita esclusivamente nelle farmacie»;

–        registrazione n. 1 065 186: «Prodotti sanitari e prodotti per l’igiene e di bellezza per animali da compagnia, nonché, shampoo per animali da compagnia»;

–        registrazione n. 39 615 031: «Sostanze per il bucato, saponi, prodotti per l’igiene del corpo e di bellezza, lozioni per i capelli, preparati per la distruzione degli animali nocivi, pettini e spazzole».

5        L’opposizione era fondata in particolare sull’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94 ed era diretta contro tutti i prodotti elencati nella domanda di registrazione.

6        L’11 febbraio 2000 la divisione d’opposizione respingeva l’opposizione adducendo, in particolare, la mancanza di traduzioni complete dei certificati di registrazione dei marchi anteriori. In seguito a ricorso della ricorrente, la terza commissione di ricorso dell’UAMI annullava tale decisione in data 19 giugno 2001 nella parte in cui riguardava i marchi anteriori.

7        Il 4 settembre 2001 la Vitacoat comunicava all’UAMI il trasferimento della domanda di marchio alla società Johnson’s Veterinary Products Ltd, trasferimento che veniva poi iscritto nel Registro dei marchi comunitari il 29 ottobre 2001.

8        Il 29 luglio 2003 la divisione d’opposizione respingeva nuovamente l’opposizione in quanto infondata.

9        Il 24 settembre 2003 la ricorrente presentava un ricorso contro la decisione della divisione di opposizione.

10      Con decisione 27 aprile 2004 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), la prima commissione di ricorso dell’UAMI respingeva il ricorso. Essa considerava, in sostanza, che i prodotti in questione erano in parte identici e in parte simili, ma che i segni controversi presentavano soltanto pochi elementi di somiglianza sotto il profilo fonetico e visivo. Infatti, secondo la commissione di ricorso, le parole «vita» e i marchi VITAKRAFT avevano soltanto uno scarso carattere distintivo intrinseco per i prodotti diversi da quelli oggetto della registrazione tedesca n. 834 153 e dai «pettini e spazzole» di cui alla registrazione tedesca n. 39 615 031. Inoltre, essa affermava che erano differenti sotto il profilo concettuale, poiché la parola «Kraft» significa «forza, potenza» in tedesco e rafforzava così la nozione di «vitalità» («Vitalität» in tedesco) suggerita dall’elemento «vita», mentre la parola «vitacoat» non aveva un significato concreto a prescindere dalla questione se il consumatore tedesco conoscesse il significato della parola inglese «coat». Per quanto riguarda i documenti prodotti dalla ricorrente per provare l’elevato carattere distintivo dei marchi anteriori in ragione del fatto che sarebbero conosciuti nel mercato tedesco, la commissione di ricorso era pervenuta alla conclusione che essi non costituivano prove sufficienti della notorietà dei marchi anteriori (v., infra, punti 24 e 25). A suo avviso, poiché la ricorrente non era riuscita a dimostrare che i suoi marchi erano conosciuti nel mercato tedesco, la somiglianza dei marchi controversi non bastava a creare un rischio di confusione ai sensi dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94.

 Procedimento e conclusioni delle parti

11      Il ricorso è stato inizialmente proposto in lingua tedesca. L’inglese è divenuto la lingua processuale conformemente all’art. 131, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale in seguito alle obiezioni dell’interveniente depositate presso la cancelleria del Tribunale l’11 agosto 2004.

12      La ricorrente ha unito al suo ricorso numerosi allegati redatti in tedesco. Il 31 gennaio 2005 ne ha sostituito una parte con versioni abbreviate.

13      Conformemente all’art. 131, n. 3, del regolamento di procedura, alla ricorrente è stato consentito presentare le proprie difese in tedesco.

14      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        condannare l’UAMI alle spese.

15      L’UAMI chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

16      L’interveniente chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        confermare la decisione impugnata;

–        rinviare la domanda di marchio comunitario all’UAMI affinché esso possa procedere alla sua registrazione;

–        condannare la ricorrente alle spese dell’interveniente sostenute per i giudizi dinanzi al Tribunale, dinanzi alla commissione di ricorso e dinanzi alla divisione d’opposizione.

17      All’udienza, l’interveniente ha spiegato, rispondendo ad un quesito del Tribunale, che il secondo capo delle sue conclusioni si confondeva, in realtà, con il primo. Il terzo capo delle conclusioni è diretto, secondo l’interveniente, ad assicurare che l’UAMI prosegua effettivamente il procedimento di registrazione del marchio richiesto in caso di rigetto del ricorso. Per quanto riguarda le spese, essa ha dichiarato di aver formulato il quarto capo delle conclusioni nel modo più ampio possibile, per precauzione.

 In diritto

 Sulla domanda della ricorrente diretta all’annullamento della decisione impugnata

18      La ricorrente deduce un motivo unico, attinente alla violazione dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94. Tale motivo si suddivide, in sostanza in tre parti. Con la prima parte, la ricorrente sostiene che i marchi VITAKRAFT ed il loro elemento «vita» godono di un carattere distintivo elevato per il fatto che tale marchio è conosciuto nel mercato tedesco. Con la seconda parte del motivo, la ricorrente contesta alla commissione di ricorso di aver effettuato una valutazione erronea della somiglianza dei segni, in particolare perché non si sarebbe accorta che la parola «vita» ne costituisce l’elemento dominante. Con la terza parte, essa afferma che tali due errori nonché il fatto di non aver tenuto conto del grado di somiglianza dei prodotti di cui trattasi hanno indotto la commissione di ricorso a non riconoscere l’esistenza, nella fattispecie, di un rischio di confusione, il quale sarebbe stato, peraltro, regolarmente riconosciuto dai tribunali tedeschi in casi paragonabili a quello della fattispecie.

 Osservazioni generali

19      Ai termini dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento 40/94, in seguito all’opposizione del titolare di un marchio anteriore, il marchio richiesto è escluso dalla registrazione se, a causa dell’identità o della somiglianza del detto marchio col marchio anteriore e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dai due marchi, sussiste un rischio di confusione per il pubblico del territorio nel quale il marchio anteriore è tutelato.

20      Per giurisprudenza costante della Corte e del Tribunale, il rischio di confusione quanto all’origine commerciale dei prodotti o dei servizi deve essere valutato complessivamente secondo la percezione che il pubblico di riferimento ha dei segni e dei prodotti o servizi di cui trattasi e tenendo conto di tutti i fattori caratterizzanti il caso di specie, in particolare dell’interdipendenza tra la somiglianza dei segni e quella dei prodotti o servizi designati [v. sentenza del Tribunale 1° febbraio 2005, causa T‑5703, SPAG/UAMI – Dann e Backer (HOOLIGAN), Racc. pag. II‑287, punto 51].

21      Nel caso di specie, le parti concordano sul fatto che, poiché i marchi anteriori sono tutelati in Germania e i prodotti sono destinati a chiunque possieda un animale da compagnia, il pubblico di riferimento è costituito dal consumatore medio tedesco che possiede un animale del genere.

22      Inoltre, come emerge dai punti 21‑23 della decisione impugnata, la commissione di ricorso ha constatato che tutti i prodotti di cui alla domanda di marchio erano identici all’uno o all’altro dei prodotti tutelati dei marchi anteriori n. 1 065 186 e n. 39 615 031. Essa ha poi affermato, al punto 24 della decisione impugnata, che i prodotti di cui al marchio richiesto e quelli di cui al marchio n. 834 153 erano simili. La ricorrente non ha contestato tali conclusioni.

23      È alla luce delle suesposte considerazioni che occorre esaminare il motivo unico dedotto dalla ricorrente.

 Sulla prima parte del motivo, attinente all’esistenza di un carattere distintivo elevato dei marchi anteriori a causa della loro notorietà

–       Decisione impugnata

24      Dinanzi alla commissione di ricorso, la ricorrente ha fornito gli elementi di prova seguenti a dimostrazione della notorietà dei suoi marchi:

–        un listino prezzi dei prodotti con il marchio VITAKRAFT per l’anno 1994;

–        uno studio di mercato del 1997 sui marchi VITAKRAFT;

–        uno studio di mercato del 1992 sul marchio VITA e sul probabile collegamento che il pubblico potrebbe stabilire tra tale marchio ed il segno VITAKRAFT.

25      La commissione di ricorso ha respinto il listino prezzi perché riguardava essenzialmente prodotti diversi da quelli contraddistinti dai marchi anteriori controversi (punto 29 della decisione impugnata). Per quanto riguarda lo studio del 1997, la commissione di ricorso non ha ritenuto sufficiente il suo valore probatorio, dato che le persone intervistate non avevano spontaneamente collegato i marchi VITAKRAFT e i prodotti da essi tutelati, poiché i questionari avevano loro indicato il segno ed i prodotti in questione (punto 30 della decisione impugnata). Quanto allo studio del 1992, la commissione di ricorso ha ritenuto che il suo valore probatorio fosse notevolmente ridotto, perché non copriva il periodo rilevante. Secondo la commissione di ricorso, si deve presumere che le realtà di un mercato cambino notevolmente in quattro anni, a meno che non sia dimostrato il contrario. Essa ha aggiunto che lo studio non riguardava i marchi VITAKRAFT, che riguardava solo consumatori che avevano un animale da compagnia, che tali consumatori erano orientati verso il marchio VITA per i prodotti controversi e che soltanto [il] 20[% delle] persone intervistate aveva identificato i marchi VITAKRAFT (punto 31 della decisione impugnata).

–       Argomenti delle parti

26      Per quanto riguarda, innanzi tutto, il listino prezzi del 1994, la ricorrente evidenzia che esso riguarda anche i prodotti contraddistinti dai marchi anteriori.

27      Quanto poi allo studio del 1997, la ricorrente critica, in sostanza, il fatto che la commissione di ricorso non ha accettato le indicazioni fornite agli intervistati sul marchio e sui prodotti controversi. Secondo la ricorrente, è impossibile non indicare il marchio cui si riferisce uno studio, quando si intervistano i consumatori. Essa ha aggiunto all’udienza che, essendo la parola «vita» un elemento spesso utilizzato nei marchi che tutelano i prodotti per l’alimentazione umana, per escludere una confusione con marchi attinenti al settore dell’alimentazione umana era necessario indicare i prodotti tutelati dai marchi anteriori.

28      Per quel che riguarda infine lo studio del 1992, la ricorrente sostiene, innanzi tutto, che il mercato di cui trattasi non cambia nel corso di un periodo relativamente breve di quattro anni, come dimostrerebbe anche lo studio del 1997. Essa sottolinea, poi, che l’istituto di sondaggi d’opinione Allensbach, che ha condotto tale studio, gode di un’altissima reputazione. Lo studio dimostrerebbe che, per un gruppo rappresentativo del mercato di cui trattasi, la parola «vita» costituisce l’elemento dominante dei marchi VITAKRAFT e che il pubblico stabilirebbe un collegamento immediato tra la presenza della parola «vita» contenuta nel segno che contraddistingue i prodotti controversi e i marchi anteriori della ricorrente.

29      L’UAMI ribatte, in primo luogo, che il listino prezzi non può, da solo, dimostrare che i marchi anteriori erano conosciuti, a prescindere dal suo contenuto.

30      Per quanto riguarda lo studio del 1997, l’UAMI considera che, di norma, i consumatori non si indirizzano verso un marchio determinato, ma decidono spontaneamente quale prodotto desiderano acquistare. Di conseguenza, soltanto una risposta spontanea sulla conoscenza che il consumatore ha di un marchio in relazione a prodotti determinati potrebbe fornire una prova sufficiente del fatto che esso è conosciuto sul mercato. Nel caso di specie, da un lato, i consumatori sarebbero stati direttamente indirizzati verso i marchi VITAKRAFT e, dall’altro, lo studio sarebbe particolarmente vago per quel che riguarda i prodotti interessati. L’UAMI ha aggiunto all’udienza che il valore probatorio dello studio era ulteriormente attenuato dal fatto che quest’ultimo si riferiva ad un periodo successivo a quello rilevante e, pertanto poteva essere influenzato da campagne pubblicitarie condotte dopo la data di deposito delle domande di marchio.

31      Quanto, infine, allo studio del 1992, l’UAMI osserva che secondo quest’ultimo il 70% degli intervistati non aveva stabilito alcun collegamento tra la parola «vita» ed i marchi anteriori nonostante le domande fossero state poste in modo da orientare i consumatori intervistati verso un risultato determinato.

32      L’interveniente ritiene che lo studio del 1997 debba essere respinto, poiché riguarda un periodo successivo alla data rilevante, e che il valore probatorio dello studio del 1992 non sia sufficiente, dato che tale studio non riguarda i marchi anteriori, ma il segno VITA. Essa ha precisato all’udienza che le domande poste agli intervistati nel 1992 potevano, tutt’al più, illustrare una certa associazione tra i segni VITA e VITAKRAFT.

–       Giudizio del Tribunale

33      Come risulta dal settimo ‘considerando’ del regolamento n. 40/94, la valutazione del rischio di confusione dipende da numerosi fattori tra cui, in particolare, la notorietà del marchio sul mercato di cui trattasi. Poiché il rischio di confusione è tanto più elevato quanto più rilevante è il carattere distintivo del marchio anteriore, i marchi che hanno un elevato carattere distintivo, o intrinsecamente o a motivo della loro conoscenza presso il pubblico, godono di una tutela più ampia rispetto ai marchi il cui carattere distintivo è inferiore (v., per analogia, sentenze della Corte 11 novembre 1997, causa C‑251/95, SABEL, Racc. pag. I‑6191, punto 24; 29 settembre 1998, causa C‑39/97, Canon, Racc. pag. I‑5507, punto 18, e 22 giugno 1999, causa C‑342/97, Lloyd Schuhfabrik Meyer, Racc. pag. I‑3819, punto 20).

34      L’esistenza di un carattere distintivo superiore al normale, a motivo della conoscenza del marchio sul mercato presso il pubblico, presuppone necessariamente che tale marchio sia conosciuto almeno da una parte significativa del pubblico interessato, senza che debba necessariamente avere notorietà ai sensi dell’art. 8, n. 5, del regolamento n. 40/94. Non si può stabilire in maniera generale, ad esempio facendo ricorso a percentuali determinate relative al grado di conoscenza che il pubblico ha del marchio negli ambienti interessati, che un marchio ha un elevato carattere distintivo a motivo della sua conoscenza presso il pubblico (v., in tal senso e per analogia, sentenze della Corte 4 maggio 1999, cause riunite C‑108/97 e C‑109/97, Windsurfing Chiemsee, Racc. pag. I‑2779, punto 52, e Lloyd Schuhfabrik Meyer, cit., punto 24). Occorre tuttavia riconoscere una certa interdipendenza tra la conoscenza che il pubblico ha di un marchio e il carattere distintivo di quest’ultimo nel senso che, più il marchio è conosciuto dal pubblico di riferimento, più il carattere distintivo di tale marchio risulta rafforzato.

35      Per valutare se un marchio goda di un elevato carattere distintivo a motivo della sua conoscenza presso il pubblico, occorre prendere in considerazione tutti gli elementi pertinenti del caso, ossia, in particolare, la quota di mercato detenuta dal marchio, la frequenza, l’estensione geografica e la durata dell’uso di tale marchio, la consistenza degli investimenti realizzati dall’impresa per promuoverlo, la quota degli ambienti interessati che identifica i prodotti o i servizi come provenienti da una determinata impresa grazie al marchio, così come le dichiarazioni delle camere di commercio e dell’industria o di altre associazioni professionali (v., per analogia, sentenze Windsurfing Chiemsee, cit., punto 51, e Lloyd Schuhfabrik Meyer, cit., punto 23, e, in tal senso e per analogia, sentenza della Corte 14 settembre 1999, causa C‑375/97, General Motors, Racc. pag. I‑5421, punti 26 e 27).

36      Nel caso di specie, la ricorrente ha prodotto tre elementi di prova per suffragare la conoscenza dei suoi marchi anteriori presso il pubblico, ovvero un listino prezzi del 1994, uno studio di mercato del 1997 e uno studio di mercato del 1992 (v., supra, punto 24).

37      Per quanto riguarda, in primo luogo, il listino prezzi, occorre ricordare che la sola presentazione di cataloghi, senza indicazioni né prove relative alla loro distribuzione presso il pubblico o all’entità della loro eventuale distribuzione, non basta a dimostrare l’uso di un marchio [v., in tal senso, sentenza del Tribunale 6 ottobre 2004, causa T‑356/02, Vitakraft-Werke Wührmann/UAMI – Krafft (VITAKRAFT), Racc. pag. II‑3445, punto 34]. A maggior ragione, non può provare la frequenza di un tale uso. Questa giurisprudenza può essere applicata al caso di un listino prezzi, la cui funzione può essere assimilata a quella di un catalogo. Ne consegue che l’argomento della ricorrente, secondo il quale la commissione di ricorso si è sbagliata in ordine al contenuto di tale listino prezzi, va respinto.

38      Per quanto riguarda, in secondo luogo, gli studi di mercato del 1992 e del 1997, occorre rilevare, innanzi tutto, che, per poter beneficiare di un carattere distintivo maggiore a motivo di un’eventuale conoscenza presso il pubblico, un marchio anteriore deve comunque essere conosciuto presso il pubblico al momento della data di deposito della domanda di marchio o, eventualmente, della data di priorità fatta valere a sostegno di tale domanda [v., in tal senso, sentenza del Tribunale 13 dicembre 2004, causa T‑8/03, El Corte Inglés/UAMI – Pucci (EMILIO PUCCI), Racc. pag. II‑4297, punti 71‑73, non impugnata su questi punti]. Non si può tuttavia escludere a priori che uno studio effettuato qualche tempo prima o dopo tale data possa contenere indicazioni utili, tenendo però presente che il suo valore probatorio può variare a seconda che il periodo interessato sia più o meno vicino alla data di deposito o alla data di priorità della domanda di marchio di cui trattasi. Il suo valore probatorio dipende inoltre dal metodo d’indagine impiegato.

39      Nel caso di specie, il valore probatorio dello studio del 1997 è attenuato, come giustamente rilevato dalla commissione di ricorso, dal fatto che le persone intervistate non hanno risposto spontaneamente, dato che i questionari utilizzati hanno indicato loro il segno in questione ed i prodotti. Tale constatazione non è invalidata dall’argomento della ricorrente secondo il quale, da un lato, l’indicazione dei prodotti interessati era necessaria per evitare che il pubblico indicasse marchi di alimenti destinati al consumo umano e, dall’altro, un sondaggio senza alcuna menzione del marchio interessato porta a risultati utili solo nel caso di marchi molto famosi («berühmte Marken») (v., supra, punto 27). Infatti, sarebbe stato possibile segnalare alle persone intervistate i prodotti controversi, senza menzionare i marchi VITAKRAFT, oppure mostrare loro un elenco di vari marchi fra cui, in particolare, il segno anteriore controverso.

40      Date queste circostanze, la commissione di ricorso non ha commesso errori di diritto nel considerare che lo studio del 1997 non era sufficiente, da solo, a dimostrare la conoscenza presso il pubblico dei marchi VITAKRAFT. Il Tribunale non deve quindi pronunciarsi sull’altro argomento dell’UAMI e dell’interveniente secondo il quale il valore probatorio dello studio è attenuato anche dal fatto che esso si riferisce ad un periodo successivo alla data rilevante.

41      Lo studio del 1992 non può essere scartato ipso facto, soltanto perché riguarda principalmente il marchio VITA e non i marchi VITAKRAFT, giacché la ricorrente cerca di dimostrare che la parola «vita» rappresenta l’elemento dominante dei marchi anteriori in quanto il pubblico di riferimento opera un collegamento immediato tra il termine «vita» ed i marchi VITAKRAFT perché conosce i due segni e giacché una domanda di tale studio riguarda proprio questo eventuale collegamento.

42      Tuttavia, come giustamente constatato dalla commissione di ricorso, il valore probatorio dello studio del 1992 è attenuato dal fatto che quest’ultimo è stato effettuato circa quattro anni prima della data di deposito della domanda di marchio in questione. Inoltre, occorre rilevare, come ha fatto la commissione di ricorso, che la percentuale di persone che effettua un legame diretto tra la parola «vita» ed i marchi anteriori non è abbastanza alta per dimostrare che questi ultimi o anche il loro elemento «vita» godano di un elevato carattere distintivo a motivo della loro conoscenza presso il pubblico. Infatti, la domanda posta ai consumatori dagli intervistatori li portava a stabilire un legame economico tra i marchi VITAKRAFT ed ogni segno contenente la parola «vita», dato che l’eventuale presenza di altri elementi a fianco del termine «vita» non poteva venire in mente al consumatore intervistato. Pure in tali circostanze, soltanto il 33% delle persone intervistate in possesso di un animale da compagnia pensava che tutti i segni contenenti l’elemento «vita» appartenessero alla stessa impresa. Soltanto il 25% delle persone intervistate in possesso di un animale da compagnia collegavano il termine «vita» ad un marchio o ad un’impresa dal nome VITAKRAFT.

43      La commissione di ricorso ha poi giustamente esposto che i consumatori erano stati informati sui prodotti interessati (prodotti per la cura degli animali) nonché sui marchi controversi (VITA e VITAKRAFT). Tenuto conto del fatto che le domande rivolte ai consumatori potevano orientarli verso una risposta piuttosto favorevole alla ricorrente, la commissione di ricorso è giustamente pervenuta alla conclusione che lo studio del 1992 non bastava a dimostrare che i suddetti marchi anteriori fossero conosciuti e, quindi, che avessero un elevato carattere distintivo o che l’avesse il loro elemento «vita».

44      Per queste ragioni, non avendo la ricorrente dimostrato sufficientemente che i marchi anteriori godevano di un elevato carattere distintivo fondato sulla loro conoscenza presso il pubblico, la prima parte del motivo deve essere dichiarata infondata.

 Sulla seconda parte del motivo, vertente sulla valutazione errata della somiglianza dei segni controversi

–       Argomenti delle parti

45      Per quanto riguarda il confronto dei segni controversi, la ricorrente contesta, in via preliminare, che l’elemento «vita» goda di un ridotto carattere distintivo intrinseco, anche qualora si ritenga che la commissione di ricorso abbia ragione a ritenere che il pubblico di riferimento associ tale parola alle parole tedesche «vital» (vitale) e «Vitalität» (vitalità). Da un lato, anche se tale parola latina, che significa «vita», è talvolta utilizzata, da una minoranza di persone con una buona cultura generale, per parlare della «vita di una persona» («Lebenslauf» in tedesco), tale significato non sarebbe conosciuto dalla maggior parte dei consumatori tedeschi. Dall’altro, la ricorrente afferma che, contrariamente a quanto conclude la commissione di ricorso, le parole tedesche «vital» e «Vitalität» non descrivono i prodotti tutelati dai marchi anteriori. Inoltre, la ricorrente osserva che l’UAMI ha già riconosciuto il carattere distintivo della parola «vita» avendo pubblicato, il 15 luglio 2002, la domanda di registrazione del marchio denominativo comunitario VITA che riguarda prodotti analoghi a quelli contraddistinti dai marchi anteriori.

46      A motivo della conoscenza presso il pubblico dei marchi anteriori, la parola «vita» costituisce, secondo la ricorrente, l’elemento dominante di questi ultimi.

47      A prescindere da quanto precede, la ricorrente si oppone alla valutazione effettuata dalla commissione di ricorso in merito alla somiglianza dei segni sotto i profili visivo, concettuale e fonetico.

48      Per quanto riguarda, in primo luogo, la somiglianza visiva, la ricorrente fa presente, innanzi tutto, che il consumatore non procederà ad un’analisi filologica del marchio. Al contrario, poiché il suo grado d’attenzione è relativamente scarso al momento di scegliere i prodotti controversi, l’identità della prima parte dei segni VITAKRAFT e VITACOAT nonché l’identità delle lettere «a» e «t» nella loro seconda parte potrebbero indurlo a confondere i segni in questione. La ricorrente ha evidenziato, all’udienza, il fatto che il consumatore presta più attenzione all’inizio del segno denominativo che alla fine.

49      Per quanto riguarda, in secondo luogo, la somiglianza concettuale, la commissione di ricorso, secondo la ricorrente, è incorsa in un errore ritenendo che il consumatore non effettui alcun collegamento tra la parola inglese «coat» e l’allusione alle parole tedesche «vital» e «Vitalität», e ciò a prescindere dal sapere se conosca il significato della parola inglese. La ricorrente sostiene che molti consumatori tedeschi sanno che la parola «coat» significa «Fell» (pelame) in tedesco, sicché comprenderebbero il carattere descrittivo del segno richiesto. Inoltre, la comprensione da parte del pubblico interessato della parola «coat» non porterebbe ad una differenza concettuale, ma, al contrario, metterebbe in risalto la somiglianza concettuale dei marchi in conflitto.

50      All’udienza, la ricorrente ha aggiunto che, ai sensi della giurisprudenza del Tribunale [sentenze 14 ottobre 2003, causa T‑292/01, Phillips-Van Heusen/UAMI – Pash Textilvertrieb und Einzelhandel (BASS), Racc. pag. II‑4335, punto 54; 22 giugno 2004, causa T‑185/02, Ruiz‑Picasso e a./UAMI – DaimlerChrysler (PICARO), Racc. pag. II‑1739, punto 56, e 27 ottobre 2005, causa T‑336/03, Éditions Albert René/UAMI – Orange (MOBILIX), Racc. pag. II‑4667, punto 80, impugnata], una differenza concettuale in grado di neutralizzare, in gran parte, le somiglianze visive e fonetiche tra i segni considerati sussisteva solo se il segno nel suo insieme aveva un significato chiaro e determinato A suo avviso, ciò non si verifica nel caso di specie, giacché le parole «vitakraft» e «vitacoat» non hanno un significato concreto né in tedesco né in inglese.

51      Per quanto riguarda, in terzo luogo, la somiglianza fonetica, da un lato, la ricorrente sostiene che quest’ultima non può essere neutralizzata dalla pretesa differenza concettuale dei segni, che non esiste nella fattispecie. Dall’altro, la constatazione della commissione di ricorso secondo la quale la presenza delle lettere «r» e «f» nei marchi anteriori esclude una somiglianza fonetica violerebbe il principio per il quale l’esistenza di un rischio di confusione deve essere valutata in base agli elementi di somiglianza tra i segni e non in base alle loro differenze.

52      L’UAMI e l’interveniente contestano tali argomenti della ricorrente.

–       Giudizio del Tribunale

53      Come emerge da costante giurisprudenza, la valutazione globale del rischio di confusione deve fondarsi, per quanto attiene alla somiglianza visiva, fonetica o logica dei segni in conflitto, sull’impressione complessiva prodotta da questi ultimi, in considerazione, in particolare, dei loro elementi distintivi e dominanti (v. sentenza BASS, cit. punto 47 e giurisprudenza ivi citata).

54      Per quanto attiene, innanzi tutto, al carattere distintivo della parola «vita», il pubblico di riferimento, costituito dal consumatore tedesco medio che possiede un animale da compagnia, capirà che la parola «vita», che non esiste come tale in lingua tedesca, fa allusione a parole come «vital» (vitale) e «Vitalität» (vitalità). Per quanto una parola di origine latina sia meno familiare ad un consumatore germanofono che ad un consumatore spagnolo, la parola «vita» evoca in generale una qualità positiva attribuibile ad una vasta gamma di prodotti o di servizi diversi. Infatti, la parola «vita» costituisce un prefisso che attribuisce alla parola che segue, ovvero la parola tedesca «Kraft» (forza, potenza), una connotazione di «vitalità». Pertanto, il pubblico non la percepirà, nella fattispecie, come l’elemento distintivo e dominante del segno anteriore. Occorre dunque respingere la tesi della ricorrente secondo la quale la parola «vita» possiede un elevato carattere distintivo intrinseco. Inoltre, come emerge dai precedenti punti 33‑44, la parola «vita» non è particolarmente distintiva nemmeno a motivo della conoscenza dei marchi anteriori presso il pubblico oppure a motivo di un legame economico che il pubblico di riferimento stabilirebbe tra il titolare di questi ultimi e quello dei marchi VITA.

55      La circostanza che la domanda di marchio comunitario denominativo VITA per prodotti analoghi a quelli oggetto dei marchi anteriori sia stata pubblicata dall’UAMI non invalida tale valutazione. Infatti, non si tratta di ritenere che questo segno sia «sprovvisto di carattere distintivo o sia «puramente descrittivo», così da vedersi opposto un rigetto della domanda di registrazione ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. b) o c), del regolamento n. 40/94. Si tratta soltanto di stabilire se la parola «vita» costituisca l’elemento dominante dei marchi anteriori.

56      Per quanto riguarda, poi, la somiglianza visiva, occorre rilevare che i segni in questione sono composti dagli elementi «vita», da un lato, e «kraft» o «coat», dall’altro. Hanno quindi in comune la prima parte («vita») e l’ultima lettera («t») nonché una lettera nel mezzo della loro seconda parte («a»). Inoltre, la loro lunghezza è quasi identica. Nonostante tali elementi di somiglianza, la differenza tra le seconde parti delle parole, ossia gli elementi «kraft» e «coat», produce un’impressione complessiva differente. Di conseguenza, la commissione di ricorso ha giustamente constatato che, nell’impressione visiva d’insieme, le differenze prevalevano sugli elementi di somiglianza.

57      Sul piano fonetico, occorre rilevare che la parola «vitakraft» si scompone in tre sillabe («vi», «ta» e «kraft»), con una successione di vocali «i‑a‑a» ed una certa impronta fonetica che colpisce le consonanti «r» e «f», poiché le consonanti «k» e «t» sono sorde e brevi. L’accento principale cade sulla prima sillaba ed un accento più leggero sull’ultima. Per quanto riguarda il segno richiesto, occorre invece osservare che le parole inglesi sono abbastanza diffuse nella pubblicità in Germania, cosicché molti consumatori sono in grado di conoscere quanto meno le regole di pronuncia inglese. Quindi, pronunceranno la parola «coat» in un unico suono, molto simile a «co:t». Mentre, poiché la parola «vita» assomiglia alle parole tedesche «vital» e «Vitalität», i consumatori non sostituiranno la pronuncia tedesca di tale parola («vi:ta») con la pronuncia inglese («vaita»). Il marchio richiesto presenta dunque tre sillabe con una successione di vocali «i‑a‑o» e, nella seconda parte, soltanto le consonanti «c» e «t», poiché l’accento cade sulla prima sillaba. Data la differenza di pronuncia della terza sillaba delle parole «vitakraft» e «vitacoat», occorre concludere, alla stregua della commissione di ricorso, che gli elementi di differenza fonetica sono notevoli.

58      Infine, sul piano concettuale, la commissione di ricorso ha constatato, giustamente, che l’associazione, nei marchi anteriori, tra la parola «vita», legata al concetto di vitalità, e la parola «kraft», che significa «forza, potenza» in tedesco, indurrebbe i consumatori ad associare la parola «vitakraft» alla qualità di rafforzare o ristabilire la salute e la vitalità, nonostante la parola non esista come tale in tedesco. Per quanto riguarda il marchio richiesto, la parola «coat» non ha alcun significato in tedesco. È improbabile che i consumatori comprendano la parola inglese «coat». Essi sanno, tutt’al più, che tale parola significa «cappotto» in inglese. Comunque, quand’anche conoscessero tutti i suoi significati, questi si distinguerebbero pur sempre nettamente da quello della parola «Kraft». Inoltre, l’eventuale comprensione, da parte dei consumatori, del significato di «coat» non gli farà percepire la parola «vita» come elemento dominante del marchio richiesto, come neppure dei marchi anteriori. L’impressione concettuale complessiva sarà quella di un insieme in cui il prefisso «vita» dà alla parola seguente «coat» una certa connotazione legata all’idea di «vitalità», tali due parole formando così un’unità, senza che l’una delle due possa essere considerata dominante rispetto all’altra.

59      Di conseguenza, occorre rilevare che esiste una scarsa somiglianza visiva, costituita, in sostanza, dall’identità delle quattro lettere iniziali dei due segni, ma notevolmente attenuata a causa della differenza tra la seconda parte dei segni controversi, ossia le parole «kraft» e «coat».

60      Del pari, esiste una scarsa somiglianza fonetica, costituita dall’identità delle due sillabe iniziali («vi‑ta»), ma notevolmente attenuata dalla differenza fonetica tra la parola «kraft» (marcata dalla presenza della vocale «a» e delle consonanti «r» e «f») e la parola «coat» (marcata dalla presenza della vocale «o»).

61      Infine, dato che la parola «Kraft» ha un significato preciso ed immediatamente percepibile dai consumatori tedeschi, mentre la parola «coat» non avrà per loro alcun significato o sarà, tutt’al più, riconosciuta come una parola inglese con un significato diverso, occorre constatare una differenza concettuale marcata tra i segni. Una simile differenza concettuale è in grado di neutralizzare in gran parte le tenui somiglianze visive e fonetiche tra i segni controversi (v., in tal senso, sentenza BASS, cit., punto 54). La presenza del prefisso «vita» nei segni in conflitto non è in grado di modificare tale valutazione, poiché esso sarà percepito come un prefisso, cosicché l’impressione complessiva prodotta dai segni è ampiamente determinata, sotto il profilo concettuale, dalla seconda parte dei segni.

62      Tenuto conto della differenza concettuale tra i segni controversi e degli elementi di differenza visiva e fonetica, occorre concordare con la conclusione della commissione di ricorso secondo la quale i segni sono solo scarsamente simili, poiché la differenza concettuale è in grado di neutralizzare in gran parte gli elementi di somiglianza fonetica e visiva.

 Sulla terza parte del motivo, riguardante l’esistenza di un rischio di confusione

–       Argomenti delle parti

63      La valutazione complessiva del rischio di confusione da parte della commissione di ricorso è, secondo la ricorrente, viziata dai seguenti errori.

64      In primo luogo, essa non avrebbe tenuto conto dell’elevato carattere distintivo dei marchi anteriori derivante dal fatto che essi sarebbero conosciuti nel mercato. In secondo luogo, essa avrebbe sottostimato il grado di somiglianza dei segni in conflitto. In terzo luogo, la commissione di ricorso non avrebbe accordato abbastanza importanza all’identità dei prodotti contraddistinti dai marchi controversi.

65      Infine, la ricorrente sostiene che i tribunali tedeschi, in casi analoghi, avrebbero regolarmente riconosciuto l’esistenza di un rischio di confusione, come emergerebbe dalle decisioni di tali tribunali allegate al ricorso.

66      L’UAMI e l’interveniente contestano tali argomenti. L’UAMI sostiene inoltre che, poiché le decisioni dei tribunali tedeschi non sono state prodotte nel corso del procedimento dinanzi all’UAMI, tali documenti vanno dichiarati irricevibili.

–       Giudizio del Tribunale

67      In via preliminare, occorre considerare che, come risulta dai precedenti punti 44 e 62, la commissione di ricorso non ha commesso errori nel ritenere, da un lato, che i marchi anteriori non godessero di un elevato carattere distintivo a motivo della loro conoscenza presso il pubblico e, dall’altro, che i segni controversi fossero solo scarsamente simili.

68      Occorre poi rilevare che la commissione di ricorso ha tenuto conto dell’identità della maggior parte dei prodotti contraddistinti dai marchi controversi. Tuttavia, essa ha considerato che i segni presentavano sufficienti differenze, in particolare sotto il profilo concettuale, per escludere l’esistenza di un rischio di confusione anche rispetto a prodotti identici. Il Tribunale approva tale conclusione, e ciò anche se si tiene conto di uno scarso grado di attenzione nella scelta dei prodotti in questione.

69      Per quanto riguarda infine la giurisprudenza tedesca rammentata dalla ricorrente, occorre constatare, innanzi tutto, che le pronunce dei tribunali tedeschi sono state fatte valere per la prima volta dinanzi al Tribunale.

70      Per giurisprudenza costante, il ricorso di cui il Tribunale viene investito mira al controllo della legittimità delle decisioni delle commissioni di ricorso ai sensi dell’art. 63 del regolamento n. 40/94. Orbene, fatti invocati dinanzi al Tribunale che non siano stati previamente dedotti dinanzi all’UAMI possono viziare la legittimità di una tale decisione solo se l’UAMI avesse dovuto tenerne conto d’ufficio. A tale proposito, dall’art. 74, n. 1, in fine, del regolamento n. 40/94, secondo cui, in procedimenti concernenti impedimenti relativi alla registrazione, l’UAMI si limita, in tale esame, ai fatti, prove ed argomenti addotti e alle richieste presentate dalle parti, emerge che questo non è tenuto a tenere conto, d’ufficio, dei fatti che non sono stati dedotti dalle parti. Pertanto, fatti del genere non sono idonei a mettere in discussione la legittimità di una decisione della commissione di ricorso [sentenza del Tribunale 13 luglio 2004, causa T‑115/03, Samar/UAMI – Grotto (GAS STATION), Racc. pag. II‑2939, punto 13].

71      Ciò premesso, occorre tuttavia precisare che né alle parti né allo stesso Tribunale si può impedire di ispirarsi, nell’interpretazione del diritto comunitario, ad elementi derivati dalla giurisprudenza comunitaria, nazionale o internazionale. Una siffatta possibilità di riferirsi a pronunce nazionali non è stata presa in considerazione dalla giurisprudenza ricordata al precedente punto 70, giacché non si tratta di contestare alla commissione di ricorso di non aver tenuto conto degli elementi di fatto contenuti in una sentenza nazionale precisa, ma di aver violato una disposizione del regolamento n. 40/94, e di richiamare la giurisprudenza a sostegno di tale argomento.

72      Nella fattispecie, occorre tuttavia constatare che le decisioni dei tribunali tedeschi richiamate dalla ricorrente non sono in grado di invalidare la decisione impugnata. Da un lato, esse non possono né rimettere in discussione le constatazioni di fatto della commissione di ricorso né dimostrare che il pubblico conosca i marchi anteriori sul mercato o che il consumatore tedesco colleghi la parola «vita» ai marchi anteriori della ricorrente, per le ragioni esposte al precedente punto 70. Dall’altro, la ricorrente non ha addotto argomenti giuridici specifici derivanti dalle suddette decisioni tali da potersene ispirare nel contesto illustrato al precedente punto 71.

73      Discende da quanto precede che la commissione di ricorso non ha commesso errori nella valutazione complessiva del rischio di confusione. Di conseguenza, la terza parte del motivo è infondata. Occorre quindi respingere il motivo unico della ricorrente e, dunque, il ricorso.

 Sulla domanda dell’interveniente diretta a far registrare i marchi richiesti

74      Per quanto riguarda il terzo capo delle conclusioni dell’interveniente, occorre ricordare che, in conformità dell’art. 63, n. 6, del regolamento n. 40/94, l’UAMI è tenuto a prendere i provvedimenti necessari per conformarsi alla sentenza del giudice comunitario. Di conseguenza, non spetta al Tribunale rivolgere ingiunzioni all’UAMI. Incombe, infatti, a quest’ultimo trarre le conseguenze dal dispositivo e dalla motivazione della presente sentenza [sentenze del Tribunale 8 luglio 1999, causa T‑163/98, Procter & Gamble/UAMI (BABY-DRY), Racc. pag. II‑2383, punto 53; 31 gennaio 2001, causa T‑331/99, Mitsubishi HiTec Paper Bielefeld/UAMI (Giroform), Racc. pag. II‑433, punto 33; 27 febbraio 2002, causa T‑34/00, Eurocool Logistik/UAMI (EUROCOOL), Racc. pag. II‑683, punto 12, e 23 ottobre 2002, causa T‑388/00, Institut für Lernsysteme/UAMI – Educational Services (ELS), Racc. pag. II‑4301, punto 19].

75      Nei limiti in cui l’interveniente mira a che l’UAMI prosegua il procedimento di registrazione, quest’ultima costituisce, in ultima analisi, un provvedimento necessario per conformarsi alla sentenza e si confonde, in realtà, con il primo capo delle conclusioni, diretto al rigetto del ricorso. Qualora l’interveniente intendesse, poi, chiedere al Tribunale di ingiungere all’UAMI di procedere alla registrazione del marchio richiesto, tale domanda sarebbe irricevibile ai sensi della costante giurisprudenza citata al punto precedente.

 Sulle spese

76      Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Ai sensi dell’art. 136, n. 2, del regolamento di procedura, le spese sostenute dalle parti per il procedimento dinanzi alla commissione di ricorso sono considerate spese ripetibili. Quest’ultima disposizione riguarda, però il caso in cui la decisione della commissione di ricorso sia annullata, compreso il dispositivo riguardante le spese processuali. Quando invece la decisione impugnata non è annullata, nemmeno in parte, la decisione sulle spese sostenute dinanzi all’UAMI resta valida, fatta salva un’eventuale impugnazione.

77      Occorre quindi respingere la domanda dell’interveniente diretta a far condannare la ricorrente alle spese processuali sostenute dinanzi alla divisione d’opposizione e alla commissione di ricorso. Quanto alle spese processuali sostenute dinanzi al Tribunale, poiché la ricorrente è rimasta soccombente, occorre condannarla alle spese, conformemente alla domanda del convenuto e dell’interveniente.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La ricorrente sopporterà, oltre alle proprie, le spese dell’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI) nonché le spese dell’interveniente sostenute dinanzi al Tribunale.

Pirrung

Meij

Pelikánová

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 12 luglio 2006.

Il cancelliere

 

      Il presidente

E. Coulon

 

      J. Pirrung


* Lingua processuale: l'inglese.