Language of document : ECLI:EU:T:2019:398

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

11 giugno 2019 (*)

«Funzione pubblica – Ex funzionari – Indagine dell’OLAF – Caso “Eurostat” – Trasmissione alle autorità giudiziarie nazionali di informazioni relative a fatti penalmente perseguibili – Mancata informazione previa dei funzionari potenzialmente interessati – Asseriti danni subiti a causa del comportamento dell’OLAF e della Commissione nel corso del procedimento – Danno morale, fisico e materiale – Nesso di causalità»

Nella causa T‑138/18,

Fernando De Esteban Alonso, ex funzionario della Commissione europea, residente in Saint‑Martin‑de‑Seignanx (Francia), rappresentato da C. Huglo, avvocato,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata da R. Striani e J. Baquero Cruz, in qualità di agenti,

convenuta,

avente ad oggetto la domanda fondata sull’articolo 270 TFUE volta ad ottenere il risarcimento dei danni morali, fisici e materiali che il ricorrente asserisce di aver subito,

IL TRIBUNALE (Quinta Sezione),

composto da D. Gratsias, presidente, I. Labucka e I. Ulloa Rubio (relatore), giudici,

cancelliere: E. Coulon

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Contesto normativo

1        L’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF), istituito dalla decisione 1999/352/CE, CECA, Euratom della Commissione, del 28 aprile 1999 (GU 1999, L 136, pag. 20), ha il compito, in particolare, di svolgere indagini amministrative interne miranti a ricercare i fatti gravi, connessi con l’esercizio di attività professionali, che possono costituire un inadempimento degli obblighi dei funzionari ed agenti dell’Unione perseguibile in sede disciplinare o penale.

2        Il regolamento (CE) n. 1073/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 maggio 1999, relativo alle indagini svolte dall’OLAF (GU 1999, L 136, pag. 1), disciplina i controlli, le verifiche e le operazioni che gli agenti dell’OLAF svolgono nell’esercizio delle loro funzioni. Le indagini effettuate dall’OLAF consistono in indagini «esterne», ossia all’esterno delle istituzioni dell’Unione, e in indagini «interne», ossia all’interno di tali istituzioni. Il citato regolamento è stato abrogato dal regolamento (UE, Euratom) n. 883/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 settembre 2013, relativo alle indagini svolte dall’OLAF (GU 2013, L 248, pag. 1).

3        Il considerando 10 del regolamento n. 1073/1999 enunciava quanto segue:

«considerando che tali indagini devono essere condotte in base al trattato, e in particolare al protocollo sui privilegi e sulle immunità delle Comunità, nel rispetto dello statuto dei funzionari delle Comunità europee e del regime applicabile agli altri agenti (…) nonché nel pieno rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in particolare del principio dell’equità, del diritto della persona coinvolta a esprimersi sui fatti che la riguardano e del diritto a che la conclusione dell’indagine si fondi unicamente su elementi aventi valore probatorio; che a tal fine le istituzioni, organi e organismi dovranno determinare le condizioni e le modalità secondo le quali devono svolgersi le indagini interne; che di conseguenza occorrerà modificare lo statuto al fine di definire i diritti e gli obblighi dei funzionari e degli altri agenti nell’ambito delle indagini interne».

4        Il considerando 13 del regolamento n. 1073/1999 era così formulato:

«considerando che spetta alle autorità competenti nazionali, o eventualmente alle istituzioni, organi o organismi decidere, in base alla relazione redatta dall’[OLAF], sui provvedimenti da prendere a seguito delle indagini; che occorre tuttavia prevedere l’obbligo per il direttore dell’[OLAF] di trasmettere direttamente alle autorità giudiziarie dello Stato membro interessato le informazioni raccolte dall’[OLAF] in occasione delle indagini interne su fatti penalmente perseguibili».

5        Il considerando 16 del regolamento n. 1073/1999 così enunciava:

«considerando che, affinché si tenga conto dei risultati delle indagini svolte dagli agenti dell’[OLAF] e affinché vengano presi i provvedimenti che risultino necessari, si deve prevedere che le relazioni possano costituire elementi di prova nei procedimenti amministrativi o giudiziari; che, a tale scopo, dette relazioni vanno redatte tenendo conto dei criteri di elaborazione delle relazioni amministrative nazionali».

6        L’articolo 4 del regolamento n. 1073/1999 era così formulato:

«Indagini interne

1.      Nei settori di cui all’articolo 1, l’[OLAF] svolge le indagini amministrative all’interno delle istituzioni, degli organi e degli organismi (…)

Tali indagini interne sono condotte nel rispetto delle norme dei trattati, in particolare del protocollo sui privilegi e sulle immunità, nonché dello statuto, alle condizioni e secondo le modalità stabilite dal presente regolamento nonché dalle decisioni adottate da ciascuna istituzione, organo od organismo. Le istituzioni si concertano sulla disciplina da istituire con tali decisioni.

(…)

5.      Qualora dalle indagini emerga la possibilità di un coinvolgimento individuale di un membro, di un dirigente, di un funzionario od agente, l’istituzione, l’organo o l’organismo di appartenenza ne è informato.

Nei casi che richiedano che sia mantenuto il segreto assoluto ai fini dell’indagine o che esigano il ricorso a mezzi d’investigazione di competenza di un’autorità giudiziaria nazionale, questa informazione può essere differita.

(…)».

7        L’articolo 9 del regolamento n. 1073/1999, intitolato «Relazione sulle indagini e provvedimenti conseguenti alle indagini», così disponeva:

«1.      Al termine di un’indagine, l’[OLAF] redige sotto l’autorità del direttore una relazione che contiene in particolare i fatti accertati, l’eventuale indicazione del danno finanziario e le conclusioni dell’indagine, incluse le raccomandazioni del direttore dell’[OLAF] sui provvedimenti da prendere.

2.      Queste relazioni sono redatte tenendo conto delle prescrizioni di procedura previste nella legislazione nazionale dello Stato membro interessato. Le relazioni così elaborate costituiscono elementi di prova nei procedimenti amministrativi o giudiziari dello Stato membro nel quale risulti necessario avvalersene al medesimo titolo e alle medesime condizioni delle relazioni amministrative redatte dagli ispettori amministrativi nazionali. Le relazioni sono soggette alle medesime regole di valutazione riguardanti le relazioni amministrative nazionali e hanno valore identico ad esse.

3.      La relazione redatta in seguito a un’indagine esterna ed ogni documento utile ad essa pertinente sono trasmessi alle autorità competenti degli Stati membri interessati in base alla regolamentazione relativa alle indagini esterne.

4.      La relazione redatta in seguito a un’indagine interna ed ogni documento utile ad essa pertinente sono trasmessi all’istituzione, all’organo o all’organismo interessato. Le istituzioni, gli organi e gli organismi danno alle indagini interne il seguito richiesto dalle risultanze ottenute, in particolare sul piano disciplinare e giudiziario, e ne informano il direttore dell’[OLAF] entro la scadenza fissata da quest’ultimo nelle conclusioni della sua relazione».

8        L’articolo 10 del regolamento n. 1073/1999, intitolato «Trasmissione di informazioni da parte dell’[OLAF]», così disponeva:

«1.      Fatti salvi gli articoli 8, 9 e 11 del presente regolamento e le disposizioni del regolamento (Euratom, CE) n. 2185/96, l’[OLAF] può trasmettere in qualsiasi momento alle autorità competenti degli Stati membri interessati le informazioni ottenute nel corso delle indagini esterne.

2.      Fatti salvi gli articoli 8, 9 e 11 del presente regolamento, il direttore dell’[OLAF] trasmette alle autorità giudiziarie dello Stato membro interessato le informazioni raccolte dall’[OLAF] in occasione di indagini interne su fatti penalmente perseguibili. Fatte salve le esigenze di indagine, ne informa simultaneamente lo Stato membro interessato.

3.      Fatti salvi gli articoli 8 e 9 del presente regolamento, l’[OLAF] può trasmettere in qualsiasi momento all’istituzione, all’organo o all’organismo interessato le informazioni ottenute nel corso delle indagini interne».

9        La decisione 1999/396/CE, CECA, Euratom della Commissione, del 2 giugno 1999, riguardante le condizioni e le modalità delle indagini interne in materia di lotta contro le frodi, la corruzione e ogni altra attività illecita lesiva degli interessi finanziari della Comunità (GU 1999, L 149, pag. 57), al suo articolo 4, prevede le modalità di informazione dell’interessato nei seguenti termini:

«Qualora si manifesti la possibilità di coinvolgimento personale di un membro, di un funzionario o di un agente della Commissione, l’interessato viene prontamente informato, se ciò non rischia di pregiudicare l’indagine. In ogni caso non si può trarre alcuna conclusione, al termine dell’indagine, riguardante personalmente un membro, un funzionario o un agente della Commissione senza aver dato modo all’interessato di esprimersi su tutti i fatti che lo concernono.

Nei casi in cui ai fini dell’indagine sia necessaria la massima segretezza e si debba ricorrere ai mezzi investigativi di competenza di un’autorità giudiziaria nazionale, l’esecuzione dell’obbligo di invitare il membro, il funzionario o l’agente della Commissione ad esprimersi, può essere differita con il consenso del presidente della Commissione o del segretario generale della medesima».

10      L’articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, concernente il diritto a un equo processo, dispone quanto segue:

«2.      Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata.

3.      In particolare, ogni accusato ha diritto di:

a)      essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa formulata a suo carico;

b)      disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa;

(…)».

11      La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») così recita:

«Articolo 41

Diritto ad una buona amministrazione

1.      Ogni persona ha diritto a che le questioni che la riguardano siano trattate in modo imparziale ed equo ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni, organi e organismi dell’Unione.

2.      Tale diritto comprende in particolare:

–        il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio;

–        il diritto di ogni persona di accedere al fascicolo che la riguarda, nel rispetto dei legittimi interessi della riservatezza e del segreto professionale e commerciale;

–        l’obbligo per l’amministrazione di motivare le proprie decisioni.

3.      Ogni persona ha diritto al risarcimento da parte dell’Unione dei danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell’esercizio delle loro funzioni, conformemente ai principi generali comuni agli ordinamenti degli Stati membri.

(…)

Articolo 48

Presunzione di innocenza e diritti della difesa

1.      Ogni imputato è considerato innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata.

2.      Il rispetto dei diritti della difesa è garantito ad ogni imputato».

 Fatti

12      Il sig. Fernando De Esteban Alonso, ricorrente, è un ex funzionario della Commissione europea che ha esercitato in particolare le funzioni di direttore della direzione «Informatica, pubblicazioni e relazioni esterne» presso l’Ufficio statistico dell’Unione europea (in prosieguo: l’«Eurostat»).

13      Dal 1996 l’Eurostat garantiva la diffusione presso il pubblico dei dati statistici raccolti avvalendosi dell’Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea, il quale aveva creato una rete di punti vendita chiamati «datashop» (in prosieguo: i «datashop»). I rapporti tra l’Eurostat, l’Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea e ciascun datashop erano organizzati sulla base di accordi tripartiti. I datashop prevedevano un circuito di fatturazione complesso che permetteva all’Eurostat di percepire fino al 55% del prezzo di fatturazione dei dati immessi sul mercato.

14      Nel settembre 1999 un procedimento di audit interno si concludeva con una relazione attestante irregolarità nella gestione finanziaria dei contratti stipulati dall’Eurostat con le società Eurocost, Eurogramme, Datashop, Planistat e CESD Communautaire, che avrebbe consentito di alimentare una «dotazione finanziaria» non sottoposta alle norme di bilancio della Commissione. A seguito di tale relazione, il 17 marzo 2000 l’OLAF è stato adito dalla direzione generale incaricata del controllo finanziario. L’OLAF ha avviato diverse indagini riguardanti in particolare i contratti stipulati dall’Eurostat con le società Eurocost, Eurogramme, Datashop, Planistat e CESD Communautaire e le sovvenzioni concesse a queste ultime. Nel corso di una di tali indagini, l’OLAF ha raccolto informazioni volte a dimostrare che un meccanismo finanziario predisposto tramite accordi tripartiti con i datashop di Lussemburgo (Lussemburgo), Bruxelles (Belgio) e Madrid (Spagna) permetteva di escludere dalla voce «entrate» del bilancio dell’Unione somme che dovevano legittimamente rientrarvi.

15      Il 19 marzo 2003 il direttore generale dell’OLAF ha inviato alle autorità giudiziarie francesi una lettera avente ad oggetto la «Trasmissione di informazioni relative a fatti di eventuale rilievo penale CMS N. IO/2002/0510 ‐ Eurostat/Datashop/Planistat», accompagnata da una nota di due ispettori dell’OLAF, indirizzata lo stesso giorno al direttore generale dell’OLAF, avente per oggetto una «Denuncia di fatti di eventuale rilievo penale CMS N. IO/2002/0510 ‐ Eurostat/Datashop/Planistat» (in prosieguo: la «nota del 19 marzo 2003»). A seguito di tale trasmissione, il 4 aprile 2003 il procureur de la République du tribunal de grande instance de Paris (procuratore della Repubblica del Tribunale di primo grado di Parigi, Francia) ha aperto un fascicolo istruttorio per fatti di ricettazione e concorso in appropriazione indebita.

16      Il 3 aprile 2003 il direttore generale dell’OLAF ha inviato un documento di sintesi all’attenzione del segretario generale della Commissione, concernente le indagini in corso sull’Eurostat.

17      Il 10 luglio 2003 la Commissione ha presentato una denuncia contro X al procureur de la République du tribunal de grande instance de Paris (procuratore della Repubblica del Tribunale di primo grado di Parigi). Essa si è altresì costituita parte civile.

18      Il 25 settembre 2003 l’indagine interna dell’OLAF relativa al caso «Datashop – Planistat» è stata chiusa. La relazione finale di indagine ed i suoi allegati sono stati presentati all’autorità giudiziaria francese.

19      Il 29 gennaio 2004, in risposta alla richiesta della procura della Repubblica, la Commissione ha autorizzato la revoca dell’immunità del ricorrente conformemente all’articolo 17, paragrafo 2, del protocollo n. 7 sui privilegi e sulle immunità dell’Unione europea. Successivamente, la Commissione ha avviato un procedimento disciplinare nei confronti del ricorrente (n. 04/001).

20      Il 7 luglio 2008, su istruzione del procureur de la République du tribunal de grande instance de Paris (procuratore della Repubblica del Tribunale di primo grado di Parigi), il ricorrente è stato convocato in qualità di testimone dalla polizia giudiziaria francese a un’audizione per fatti relativi alla Commissione nell’ambito dell’esecuzione della commissione rogatoria n. 2268/03/19.

21      Il 9 settembre 2008, in sede di audizione, il ricorrente è stato sottoposto a fermo di polizia e l’indomani, il 10 settembre 2008, è stato formalmente sottoposto ad indagini per appropriazione indebita per aver, «in L[ussemburgo], B[elgio] e S[spagna], dal 1995 al 1997, (…) distratto parte dei fondi rientranti nel bilancio comunitario per costituire una cassa parallela in collegamento con i [datashop] di L[ussemburgo], B[ruxelles] e M[adrid], impartito gli ordini per l’utilizzo di tali fondi e [fatto] ottenere una sovrafatturazione alla società [C.] per lavori statistici».

22      Il 15 settembre 2008, a seguito della sua formale sottoposizione ad indagini, il ricorrente ha presentato alla Commissione una prima domanda di assistenza ai sensi dell’articolo 24 dello Statuto dei funzionari dell’Unione europea, nella sua versione applicabile ai fatti del caso di specie (in prosieguo: lo «Statuto»). Tale domanda è stata respinta con decisione della Commissione del 17 dicembre 2008.

23      Il 18 febbraio 2009 il ricorrente ha proposto un reclamo ai sensi dell’articolo 90, paragrafo 2, dello Statuto avverso il rigetto della domanda di assistenza. Il reclamo avverso tale diniego di assistenza è stato respinto con decisione dell’autorità che ha il potere di nomina (in prosieguo: l’«APN») del 1o aprile 2009.

24      Il 21 gennaio 2013 il pubblico ministero francese ha formulato una richiesta di archiviazione nei confronti di tutte le persone formalmente sottoposte ad indagini, fra cui il ricorrente, cui ha fatto seguito un’ordinanza di archiviazione del juge d’instruction du tribunal de grande instance de Paris (giudice istruttore del Tribunale di primo grado di Parigi) del 9 settembre 2013 (in prosieguo: l’«ordinanza di archiviazione»).

25      Il 17 settembre 2013 la Commissione, in qualità di parte civile, ha interposto appello avverso l’ordinanza di archiviazione.

26      Il 12 dicembre 2013 il ricorrente ha presentato alla Commissione una seconda domanda di assistenza fondata sull’articolo 24 dello Statuto. Tale seconda domanda di assistenza è stata respinta con decisione della Commissione del 6 maggio 2014.

27      Con sentenza del 23 giugno 2014, la cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) ha dichiarato infondato l’appello della Commissione e confermato l’ordinanza di archiviazione, per il motivo, in sostanza, che «i fatti denunciati (…) costitui[vano] una violazione delle norme di bilancio europee, che è persistita a causa di una negligenza [nelle] verifiche e di un disinteresse del controllo finanziario», che «il mero fatto di affrancarsi dalle disposizioni del controllo finanziario e dalle norme di bilancio comunitarie non basta[va] a integrare [una] situazione [di distrazione di fondi comunitari]», che «non esist[evano] sufficienti elementi a carico contro chiunque di natura tale da riconoscere appropriazioni indebite [e] che i fatti in questione non po[tevano] ricevere un’altra qualificazione penale, in particolare di falso ed uso di falso, (…) in assenza di un elemento intenzionale di rilevante intensità».

28      Il 27 giugno 2014 la Commissione ha impugnato in cassazione la sentenza confermativa dell’ordinanza di archiviazione (v. punto 27 supra).

29      Il 28 luglio 2014 il ricorrente ha proposto un reclamo avverso il secondo diniego di assistenza, fondato sull’articolo 24 dello Statuto. Tale reclamo è stato completato il 18 agosto 2014. L’APN ha respinto il reclamo, completato, del ricorrente con decisione del 21 novembre 2014.

30      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale della funzione pubblica il 24 febbraio 2015 (causa F‑35/15), il ricorrente ha proposto un ricorso volto all’annullamento della decisione dell’APN del 21 novembre 2014 di rigetto del suo reclamo relativo alla domanda di assistenza ai sensi dell’articolo 24 dello Statuto e alla condanna della Commissione a corrispondergli un importo di EUR 17 242,51 in via provvisionale.

31      Con ordinanza del 15 luglio 2015, De Esteban Alonso/Commissione (F‑35/15, EU:F:2015:87), il Tribunale della funzione pubblica ha respinto il ricorso. Il 16 settembre 2015 il ricorrente ha proposto un’impugnazione avverso tale decisione.

32      Con lettera del 10 aprile 2016, l’ufficio «Indagini e affari disciplinari» della Commissione ha comunicato al ricorrente la propria decisione di chiudere il fascicolo nei suoi confronti.

33      Con sentenza del 15 giugno 2016, la Cour de cassation (Corte di cassazione, Francia) ha respinto l’impugnazione della Commissione.

34      Con sentenza del 9 settembre 2016, De Esteban Alonso/Commissione (T‑557/15 P, non pubblicata, EU:T:2016:456), il Tribunale ha respinto l’impugnazione proposta dal ricorrente avverso l’ordinanza del 15 luglio 2015, De Esteban Alonso/Commissione (F‑35/15, EU:F:2015:87).

35      Il 22 dicembre 2016 il ricorrente ha proposto una domanda di risarcimento dei danni subiti a causa del comportamento della Commissione, ai sensi dell’articolo 90, paragrafo 1, dello Statuto. Con decisione del 3 maggio 2017, l’APN ha respinto tale domanda in quanto infondata.

36      Il 1o agosto 2017 il ricorrente ha proposto un reclamo avverso tale decisione di rigetto della sua domanda di risarcimento dei danni subiti a causa del comportamento della Commissione.

37      Con decisione del 29 novembre 2017, l’APN ha respinto il reclamo in quanto infondato.

 Procedimento e conclusioni delle parti

38      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 28 febbraio 2018, il ricorrente ha proposto il ricorso in esame.

39      Nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento di cui all’articolo 89, paragrafo 3, lettere a) e d), del suo regolamento di procedura, il 18 gennaio 2019 il Tribunale ha chiesto alla Commissione di rispondere a taluni quesiti e di fornire documenti relativi alla causa. Essa ha ottemperato a tale richiesta il 6 febbraio 2019.

40      Ai sensi dell’articolo 106, paragrafo 3, del regolamento di procedura, in assenza di una domanda di fissazione di un’udienza presentata dalle parti principali entro un termine di tre settimane decorrenti dalla notifica della chiusura della fase scritta del procedimento, il Tribunale può decidere di statuire su un ricorso senza fase orale. Nel caso di specie, il Tribunale, ritenendo di essere sufficientemente edotto alla luce degli atti del fascicolo, in assenza di una siffatta domanda, ha deciso di statuire senza fase orale.

41      Il ricorrente chiede, in sostanza, che il Tribunale voglia:

–        ingiungere all’OLAF di «produrre la nota del 19 marzo 2003 relativa alla causa Franchet e Byk/Commissione, T‑48/05, condannare la Commissione a corrispondergli l’importo di EUR 1 102 291,68 a titolo di danni morali, fisici e materiali che egli avrebbe subito»;

–        condannare la Commissione al pagamento dell’importo di EUR 3 000 a titolo di spese non ripetibili, nonché alle spese.

42      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        dichiarare il ricorso infondato e respingerlo in toto;

–        condannare il ricorrente alle spese.

 In diritto

43      A sostegno del proprio ricorso, il ricorrente afferma che l’OLAF e la Commissione hanno violato il principio di buona amministrazione, il dovere di sollecitudine nonché i diritti della difesa, come sanciti dalla Carta e dalle disposizioni del regolamento n. 1073/1999. Il ricorrente deduce, in sostanza, l’esistenza di illeciti commessi dall’OLAF e dalla Commissione per il fatto, da un lato, che non è stato sentito prima della trasmissione alle autorità francesi degli elementi considerati a suo carico e, d’altro lato, che la Commissione ha proseguito i procedimenti penali nei suoi confronti in maniera ingiustificata. Secondo il ricorrente, tali illeciti hanno causato danni materiali, morali e fisici gravi nei suoi confronti, che presentano un nesso di causalità diretto con i presunti illeciti commessi dall’OLAF e dalla Commissione.

44      La Commissione contesta gli argomenti del ricorrente.

 Osservazioni preliminari

45      Da una giurisprudenza costante risulta che, nel contesto di una domanda di risarcimento danni proposta da un funzionario o da un agente, la responsabilità dell’Unione presuppone il sussistere di un complesso di condizioni relative all’illegittimità del comportamento contestato alle istituzioni, all’effettiva esistenza del danno ed all’esistenza di un nesso causale fra il comportamento e il danno asserito (v. sentenza del 16 dicembre 2010, Commissione/Petrilli, T‑143/09 P, EU:T:2010:531, punto 45 e giurisprudenza ivi citata). Le tre condizioni summenzionate sono cumulative, il che implica che, qualora una di esse non sia soddisfatta, non può essere riconosciuta la responsabilità dell’Unione (sentenza del 13 dicembre 2018, UP/Commissione, T‑706/17, non pubblicata, EU:T:2018:924, punto 72).

46      In proposito, si deve precisare che il contenzioso in materia di funzione pubblica ai sensi dell’articolo 270 TFUE e degli articoli 90 e 91 dello Statuto, compreso quello diretto al risarcimento di un danno causato ad un funzionario o ad un agente, obbedisce a norme particolari e speciali rispetto a quelle derivanti dai principi generali che disciplinano la responsabilità extracontrattuale dell’Unione nel contesto dell’articolo 268 TFUE e dell’articolo 340, secondo comma, TFUE. Risulta infatti dallo Statuto, tra l’altro, che, a differenza di qualsiasi altro soggetto, il funzionario o l’agente dell’Unione è legato all’istituzione presso la quale presta servizio da un rapporto giuridico d’impiego che implica un equilibrio di diritti ed obblighi reciproci specifici, che si manifesta nel dovere di sollecitudine dell’istituzione nei confronti dell’interessato. Tale equilibrio è essenzialmente destinato a preservare il rapporto di fiducia che deve esistere tra le istituzioni e i loro funzionari al fine di garantire ai cittadini il buon compimento delle funzioni di interesse generale assegnate alle istituzioni. Ne consegue che, allorché agisce in qualità di datore di lavoro, l’Unione è soggetta ad una maggiore responsabilità, che si manifesta con l’obbligo di risarcire i danni causati al suo personale da qualsiasi atto illegittimo commesso nella sua qualità di datore di lavoro (v. sentenza del 16 dicembre 2010, Commissione/Petrilli, T‑143/09 P, EU:T:2010:531, punto 46 e giurisprudenza ivi citata).

47      Nel caso di specie, il ricorrente sostiene che le tre condizioni per la sussistenza della responsabilità extracontrattuale dell’Unione imposte dalla giurisprudenza sono soddisfatte. Il Tribunale ritiene che occorra esaminare, anzitutto, la condizione relativa all’illegittimità del comportamento contestato all’OLAF e alla Commissione, poi quella relativa al danno e, infine, quella relativa al nesso di causalità tra i due elementi precedenti.

 Sullillegittimità del comportamento dellOLAF e della Commissione

48      Il ricorrente sostiene che sono stati commessi illeciti al tempo stesso da parte dell’OLAF e della Commissione. Egli afferma in proposito che essi hanno violato il principio di buona amministrazione, il dovere di sollecitudine nonché i diritti della difesa come sanciti dalla Carta e dalle disposizioni della decisione n. 1999/396.

49      In primo luogo, il ricorrente asserisce che l’OLAF ha violato i suoi diritti della difesa nonché l’articolo 4 della decisione 1999/396. Esso rileva, anzitutto, la circostanza che il Tribunale, nella sua sentenza dell’8 luglio 2008, Franchet e Byk/Commissione (T‑48/05, EU:T:2008:257, punto 124), relativa allo stesso caso «Eurostat», ha dichiarato che la nota del 19 marzo 2003, trasmessa dall’OLAF alle autorità giudiziarie francesi, costituiva un’indagine interna. Il ricorrente sostiene al riguardo che, per quanto attiene a tale nota relativa a un’indagine interna aperta nei suoi confronti, avrebbe dovuto essere informato e sentito a proposito dei fatti che lo concernevano prima della sua trasmissione, in forza dell’articolo 4 della decisione 1999/396 e come sarebbe stato riconosciuto dalla giurisprudenza del Tribunale nella causa Franchet e Byk/Commissione. Egli afferma, inoltre, che l’OLAF ha commesso una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica che conferisce diritti ai singoli, ai sensi delle norme che disciplinano le indagini interne dell’OLAF, per il fatto di non aver differito l’esecuzione dell’obbligo di invitare il ricorrente ad esprimersi con il consenso del segretario generale della Commissione, se l’amministrazione riteneva che l’indagine non potesse essergli comunicata.

50      In secondo luogo, il ricorrente sostiene che la Commissione ha violato le norme che disciplinano il procedimento disciplinare sancite dal regolamento n. 1073/1999, per aver partecipato ai procedimenti dinanzi ai giudici nazionali francesi, in qualità di parte civile, senza che l’indagine interna condotta dall’OLAF fosse stata chiusa.

51      In terzo luogo, il ricorrente ribadisce che la Commissione ha violato il diritto alla buona amministrazione e il dovere di sollecitudine protraendo i procedimenti giudiziari nei suoi confronti e spingendosi fino ad adire la Cour de cassation (Corte di cassazione), senza produrre sufficienti elementi di prova nei suoi confronti.

52      La Commissione afferma di non aver commesso illeciti idonei a far sorgere la sua responsabilità e chiede il rigetto del motivo in esame.

 Sull’illegittimità del comportamento dell’OLAF

53      Il ricorrente sostiene che avrebbe dovuto essere informato e sentito a proposito dei fatti che lo concernono prima che l’OLAF trasmettesse la nota del 19 marzo 2003 alle autorità giudiziarie francesi. Egli basa le proprie affermazioni sulla sentenza dell’8 luglio 2008, Franchet e Byk/Commissione (T‑48/05, EU:T:2008:257), nella quale il Tribunale avrebbe qualificato l’indagine condotta dall’OLAF come indagine interna e avrebbe considerato che ai sensi dell’articolo 4, primo comma, della decisione 1999/396, avendo violato l’obbligo di informazione ad esso incombente, l’OLAF aveva commesso una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica che conferisce diritti ai singoli.

54      La Commissione sostiene che il ricorrente non si trovava in nessuna delle due situazioni previste dall’articolo 4 della decisione 1999/396, atteso che le informazioni contenute nella nota del 19 marzo 2003 che l’OLAF ha inviato alle autorità nazionali non lo chiamavano in causa né lo riguardavano personalmente.

55      In via preliminare, si deve ricordare che l’informazione dei funzionari interessati dall’indagine è prevista soltanto nell’ambito delle indagini interne, conformemente all’articolo 4 della decisione 1999/396. In proposito, si deve constatare che, come stabilito dal Tribunale al punto 124 della sentenza dell’8 luglio 2008, Franchet e Byk/Commissione (T‑48/05, EU:T:2008:257), l’invio del fascicolo Datashop – Planistat alle autorità giudiziarie francesi in data 19 marzo 2003 riguardava un’indagine interna. Di conseguenza, detta disposizione è applicabile anche al caso di specie.

56      Dalle disposizioni dell’articolo 4, primo comma, della decisione 1999/396 risulta che il funzionario interessato viene prontamente informato della possibilità del suo coinvolgimento personale, se ciò non rischia di pregiudicare l’indagine e, in ogni caso, non si può trarre alcuna conclusione, al termine dell’indagine, riguardante personalmente un funzionario della Commissione senza aver dato modo all’interessato di esprimersi su tutti i fatti che lo concernono.

57      L’inadempienza di tali disposizioni, che fissano le condizioni alle quali il rispetto dei diritti della difesa del funzionario interessato può essere conciliato con le esigenze di riservatezza proprie di ogni indagine di questa natura, costituirebbe una violazione delle forme sostanziali applicabili alla procedura d’indagine (sentenza dell’8 luglio 2008, Franchet e Byk/Commissione, T‑48/05, EU:T:2008:257, punto 129).

58      Tuttavia, l’articolo 4 della decisione 1999/396 non riguarda esplicitamente la trasmissione delle informazioni alle autorità giudiziarie nazionali e quindi non prevede l’obbligo di informare il funzionario interessato prima di tale trasmissione. Infatti, a norma dell’articolo 10 del regolamento n. 1073/1999, l’OLAF può (indagini esterne) o deve (indagini interne) trasmettere le informazioni alle autorità giudiziarie nazionali. Tale trasmissione delle informazioni può quindi precedere le «conclusioni tratte al termine dell’indagine», che normalmente sono contenute nella relazione di indagine (sentenza dell’8 luglio 2008, Franchet e Byk/Commissione, T‑48/05, EU:T:2008:257, punto 130).

59      Orbene, occorre ricordare che, nella sentenza dell’8 luglio 2008, Franchet e Byk/Commissione (T‑48/05, EU:T:2008:257, punto 132), il Tribunale ha considerato che, al momento della trasmissione di informazioni alle autorità giudiziarie nazionali, non esisteva alcuna relazione ai sensi dell’articolo 9 del regolamento n. 1073/1999 comunicata dall’OLAF alla Commissione e concernente personalmente i ricorrenti in tale causa. Tuttavia, il Tribunale ha osservato che la nota del 19 marzo 2003 trasmessa alle autorità giudiziarie nazionali francesi conteneva «conclusioni riguardanti personalmente» i sigg. Yves Franchet e Daniel Byk e che, prima della trasmissione del fascicolo Datashop – Planistat alle autorità giudiziarie francesi, essi avrebbero dovuto essere informati e sentiti in merito ai fatti che li riguardavano, in base all’articolo 4 della decisione 1999/396 (sentenza dell’8 luglio 2008, Franchet e Byk/Commissione, T‑48/05, EU:T:2008:257, punto 145).

60      Nella causa Franchet e Byk/Commissione, il Tribunale ha concluso che, sebbene l’articolo 4 della decisione 1999/396 preveda una deroga relativa ai casi in cui occorra mantenere la massima segretezza ai fini dell’indagine, secondo la quale l’esecuzione dell’obbligo di invitare il funzionario ad esprimersi può essere differita con il consenso del segretario generale della Commissione, le condizioni di applicazione di tale deroga non erano state rispettate e che, di conseguenza, avendo violato l’obbligo di informazione ad esso incombente, l’OLAF aveva commesso una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica che conferisce diritti ai singoli.

61      Nel caso di specie, la Commissione afferma che la giurisprudenza citata non potrebbe essere applicata nei confronti del ricorrente in quanto le informazioni contenute nella nota del 19 marzo 2003 inviata dall’OLAF alle autorità nazionali non lo chiamavano in causa personalmente né lo riguardavano personalmente.

62      Al riguardo, va ricordato che l’articolo 4, primo comma, della decisione 1999/396 stabilisce le modalità di informazione dell’interessato nei seguenti termini:

«Qualora si manifesti la possibilità di coinvolgimento personale di un membro, di un funzionario o di un agente della Commissione, l’interessato viene prontamente informato, se ciò non rischia di pregiudicare l’indagine. In ogni caso non si può trarre alcuna conclusione, al termine dell’indagine, riguardante personalmente un membro, un funzionario o un agente della Commissione senza aver dato modo all’interessato di esprimersi su tutti i fatti che lo concernono».

63      Orbene, tale disposizione dev’essere interpretata conformemente all’articolo 41, paragrafo 2, lettera a), della Carta, in maniera che sancisca, in primo luogo, un obbligo generale di informazione dell’interessato fin da quando appaia la possibilità di un «coinvolgimento personale» di quest’ultimo, lungo tutto il corso dell’indagine, salvo se tale comunicazione rischi di pregiudicare l’indagine. In secondo luogo, tale obbligo di informazione diviene tanto più importante («in ogni caso») allorché si tratta di una «conclusione (…) riguardante personalmente (…) un funzionario». Infatti, in un simile caso, la persona in questione deve poter esprimersi su tutti i fatti che la concernono prima che l’OLAF tragga le conclusioni sull’indagine che la riguardano personalmente.

64      Occorre dunque verificare se dalle informazioni trasmesse nella nota del 19 marzo 2003 alle autorità giudiziarie francesi emerga la possibilità di un «coinvolgimento personale» del ricorrente o se tali informazioni possano essere considerate come «conclusioni riguardanti personalmente» il ricorrente ai sensi dell’articolo 4, primo comma, della decisione 1999/396.

65      Si deve subito rilevare che il ricorrente ha chiesto al Tribunale di ingiungere all’OLAF di produrre «in maniera completa e integrale» la nota del 19 marzo 2003 versata agli atti nella causa Franchet e Byk/Commissione, T‑48/05, EU:T:2008:257. Orbene, anche considerando che, con tale domanda, il ricorrente chiede, in sostanza, al Tribunale di adottare una misura di organizzazione del procedimento nei confronti della Commissione, si deve constatare che, nella presente causa, la nota è stata allegata da quest’ultima al suo controricorso (allegato B.2) e che l’elenco degli allegati che accompagnano la nota nonché gli allegati in questione sono stati richiesti dal Tribunale nell’ambito di misure di organizzazione del procedimento.

66      Va rilevato, anzitutto, che, nella lettera di accompagnamento della nota del 19 marzo 2003, il direttore generale dell’OLAF dichiarava che, fatta salva la valutazione delle autorità giudiziarie francesi, «sembrerebbe che l’OLAF abbia messo in luce attività fraudolente che hanno causato un pregiudizio al bilancio comunitario e che sono suscettibili di ricevere una qualificazione penale», precisando che «[l]’indagine ha messo in evidenza che questi fatti erano l’opera degli animatori della società Planistat Europe SA la cui sede è a Parigi, con la complicità attiva di funzionari europei».

67      Peraltro, nella nota del 19 marzo 2003, allegata alla citata lettera, nel contesto di una «[c]ronistoria dei fatti oggetto dell’indagine», al punto 2.3, intitolato «Le constatazioni fatte nel corso dell’indagine», era indicato che una relazione di audit interno dell’Eurostat datata settembre 1999 relativa ai Datashop situati a Bruxelles, a Lussemburgo e a Madrid, sulla base della quale aveva avuto inizio l’indagine dell’OLAF, «[aveva] evidenziato numerose irregolarità commesse nel contesto della gestione di questi tre Datashop durante il periodo compreso tra il 1996 e la fine del 1999» e che, «[n]el caso di specie, una parte considerevole dei fatturati “dichiarati” da questi tre Datashop – tra il 50 e il 55% – alimentava un fondo nero il cui utilizzo era subordinato all’autorizzazione di un funzionario dell[’Eurostat]».

68      Vi si dichiarava inoltre che «il fondo nero [era] servito anche a pagare spese relative a ristoranti, hotel, viaggi (…) contratte da taluni funzionari dell’Eurostat, fra cui il sig. Byk».

69      Inoltre, nella descrizione degli illeciti penali, al punto 3.1, intitolato «Appropriazione indebita», si rilevava quanto segue:

«La creazione, da parte di alcuni funzionari comunitari, di una rete di operatori economici, uno dei cui obiettivi consisteva nel celare alla Commissione parte degli introiti derivanti dalla vendita di prodotti o di servizi statistici comunitari, può costituire una distrazione “di fondi, valori o altri beni” prevista dall’articolo 314‑1 del codice penale [francese], che definisce l’appropriazione indebita. Tutti gli elementi costitutivi dell’illecito sono stati posti in essere con la complicità di funzionari comunitari, dei dirigenti del gruppo Planistat e dei dirigenti dei Datashop interessati. I funzionari comunitari non potevano ignorare il regolamento finanziario in vigore, che li obbligava a far risultare la totalità delle entrate.

Inoltre, questi stessi funzionari comunitari hanno utilizzato le somme in questione per scopi estranei all’interesse comunitario, dato che tale denaro è chiaramente servito a pagare spese non previste dal contratto stipulato dalla società Planistat Europe SA con la Commissione, o spese personali di detti funzionari. L’intento fraudolento consiste in tale impiego per scopi diversi da quelli comunitari».

70      Infine, al punto 3.3, intitolato «L’associazione per delinquere», si rilevava quanto segue:

«Secondo l’articolo 450‑1 del codice penale, “[c]ostituisce associazione per delinquere qualunque associazione o intesa costituita ai fini della preparazione, caratterizzata da uno o più fatti materiali, di uno o più crimini o delitti puniti con la reclusione non inferiore a cinque anni (…)”.

Rimane da chiedersi se tale qualifica possa essere utilizzata anche nell’ambito del caso in esame, dato che, per realizzare il saccheggio dei fondi comunitari, è stata necessaria l’associazione tra i funzionari, i dirigenti di Planistat e quelli dei Datashop che hanno commesso reati di appropriazione indebita.

(…)».

71      In proposito, va rilevato che, oltre al fatto, già constatato dalla sentenza dell’8 luglio 2008, Franchet e Byk/Commissione (T‑48/05, EU:T:2008:257), che la nota del 19 marzo 2003 contiene «conclusioni riguardanti personalmente» i sigg. Franchet e Byk, dalla medesima nota emerge chiaramente il coinvolgimento di altri «funzionari comunitari», fra cui il ricorrente, ai sensi dell’articolo 4, primo comma, della decisione 1999/396. Si deve infatti rilevare che, alla luce delle affermazioni contenute nella nota relativa ai «funzionari comunitari» e tenuto conto del fatto che il ricorrente era il direttore della direzione «Informatica, pubblicazioni e relazioni esterne» e il superiore gerarchico del sig. Byk, personalmente interessato dalla nota, il coinvolgimento personale del ricorrente era più che probabile, ragion per cui quest’ultimo avrebbe dovuto essere almeno prontamente informato dall’OLAF. Tale affermazione è confermata dal fatto che, a seguito della trasmissione della nota del 19 marzo 2003 da parte del direttore dell’OLAF alle autorità giudiziarie francesi, il 4 aprile 2003 il procureur de la République du tribunal de grande instance de Paris (procuratore della Repubblica del Tribunale di primo grado di Parigi) ha aperto un fascicolo istruttorio nei confronti del ricorrente e di altri funzionari per fatti di ricettazione e concorso in appropriazione indebita e che, a seguito della comunicazione di tali informazioni, il ricorrente è stato sottoposto a fermo di polizia e ad indagini dalle autorità giudiziarie francesi senza essere stato informato né previamente sentito.

72      La Commissione afferma al riguardo che la relazione dell’OLAF, menzionando soltanto i «funzionari comunitari» che lavorano all’Eurostat, rimaneva assai vaga quanto agli individui coinvolti e che non era possibile identificare personalmente l’uno o l’altro di tali funzionari. A suo avviso, l’OLAF ha lasciato ai giudici francesi un ampio margine di discrezionalità in ordine al seguito da dare alle informazioni trasmesse, per quanto riguardava tanto l’oggetto quanto i destinatari dell’istruttoria.

73      Si deve rilevare che, contrariamente a quanto sostiene la Commissione, tanto l’oggetto delle informazioni quanto l’identità dei destinatari dell’istruttoria erano ben chiari nella relazione dell’OLAF, che non lasciava ai giudici francesi un ampio margine di discrezionalità riguardo al coinvolgimento del ricorrente.

74      Infatti, per quanto attiene all’oggetto delle informazioni, esse erano sufficientemente dettagliate, come risulta dal titolo della relazione «denuncia dei fatti qualificabili penalmente» e dal contenuto del punto 2 della relazione «cronistoria dei fatti oggetto dell’indagine».

75      Per quanto concerne il coinvolgimento del ricorrente, si deve constatare, in primo luogo, che la relazione evidenzia il coinvolgimento diretto del sig. Franchet, direttore dell’Eurostat e capo del ricorrente, nonché del sig. Byk, capo unità e subordinato del ricorrente. Pertanto, atteso che la posizione gerarchica del ricorrente è tra il sig. Franchet e il sig. Byk, sebbene egli non sia personalmente interessato dalla relazione, le autorità penali francesi sarebbero necessariamente indotte a supporre il coinvolgimento del ricorrente nei fatti ivi descritti. Tale affermazione è confermata anche dall’ordinanza di archiviazione, nella quale è evidenziato il rapporto professionale tra il ricorrente ed il sig. Byk. Infatti, l’ordinanza di archiviazione afferma che il sig. Byk «dal 1994, esercitava le proprie funzioni sotto l’autorità [del ricorrente]» e che il ricorrente era il «superiore gerarchico del sig. Byk» (pagg. 13 e 21).

76      In secondo luogo, il coinvolgimento del ricorrente mediante le sue funzioni ed il suo ruolo all’interno dell’Eurostat risulta chiaramente dai fatti delittuosi denunciati nella nota del 19 marzo 2003 ed è stato confermato dall’ordinanza di archiviazione. Infatti, al punto 2.3 della nota del 19 marzo 2003, relativo alle «constatazioni fatte nel corso dell’indagine», si afferma, nel quarto paragrafo, che «[n]el caso di specie, una parte considerevole dei fatturati “dichiarati” da questi tre Datashop – tra il 50 e il 55% – alimentava un fondo nero il cui utilizzo era subordinato all’autorizzazione di un funzionario dell[’Eurostat]». Orbene, come risulta dalla pagina 9 dell’ordinanza di archiviazione, «il direttore commerciale delle MESSAGERIES DU LIVRE richiedeva all’Eurostat, rappresentato dai sigg. (…) o DE ESTEBAN, l’autorizzazione di pagamento delle fatture trasmesse». Si deve rilevare che, come risulta dagli atti di causa, soltanto cinque persone potevano concedere tale autorizzazione, delle quali una è personalmente interessata dalla nota e l’altra è il ricorrente. Peraltro, alla pagina 15 dell’ordinanza di archiviazione, è spiegato che «i movimenti effettuati sulla riserva finanziaria erano realizzati sotto il controllo (…) fino al 1998, [del ricorrente], direttore del sig. Byk». Di conseguenza, non sussisteva alcun possibile dubbio riguardo all’identità delle persone coinvolte nei fatti descritti nella nota inviata dall’OLAF. Le stesse considerazioni si applicano alle affermazioni secondo le quali «taluni funzionari comunitari hanno istituito una rete di operatori economici, uno dei cui obiettivi consiste nell’occultare alla Commissione parte degli introiti» e «questi stessi funzionari comunitari hanno disposto delle somme in questione» (pagina 7 della nota del 19 marzo 2013, punto 3.1 Appropriazione indebita). Infatti, le persone coinvolte descritte avrebbero il ruolo, per via delle loro funzioni all’interno dell’Eurostat, di operatori economici aventi la capacità, anche in forza delle loro funzioni, di disporre delle somme in questione. Di conseguenza, il coinvolgimento del ricorrente, che era il direttore della direzione «Informatica, pubblicazioni e relazioni esterne» della Commissione e il superiore gerarchico del sig. Byk, emerge facilmente dai fatti descritti nella nota del 19 marzo 2013.

77      In siffatte circostanze, occorre dunque rilevare che, in virtù delle informazioni trasmesse dall’OLAF nella nota del 19 marzo 2003 alle autorità giudiziarie francesi, il ricorrente avrebbe dovuto essere assimilato, date le funzioni che esercitava all’epoca dei fatti, ai soggetti personalmente interessati dalle conclusioni dell’OLAF.

78      Peraltro, per quanto concerne la deroga relativa alla necessità di mantenere la massima segretezza ai fini dell’indagine, di cui all’articolo 4, secondo comma, della decisione 1999/396, ai punti 148 e 149 della sentenza dell’8 luglio 2008, Franchet e Byk/Commissione (T‑48/05, EU:T:2008:257), è stato rilevato che, sebbene il direttore generale dell’OLAF avesse constatato nella nota del 3 aprile 2003 che «erano implicati funzionari di Eurostat e dell’Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, che tale parte del fascicolo era stata trasmessa alle autorità giudiziarie francesi e che occorreva differire l’informativa ai funzionari, conformemente all’art[icolo] 4 della decisione 1999/396, data la necessità di mantenere la massima segretezza ai fini dell’indagine», in una risposta scritta al Tribunale la Commissione aveva confermato che il suo segretario generale non aveva avuto modo di prestare il proprio consenso al differimento dell’obbligo di invitare i sigg. Franchet e Byk ad esprimersi.

79      Nel caso di specie, si deve constatare che la Commissione, a seguito di un quesito scritto posto dal Tribunale nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento, ha confermato che il suo segretario generale non era stato contattato riguardo al ricorrente, in quanto quest’ultimo non era personalmente interessato dalle conclusioni dell’OLAF e che, di conseguenza, il suo caso non rientrerebbe nell’ambito di applicazione dell’articolo 4 della decisione 1999/396. Pertanto, l’OLAF non avrebbe né l’obbligo di dargli modo di esprimersi né, del resto, la possibilità di differire tale audizione del ricorrente. Orbene, si deve rilevare che, come risulta dal precedente punto 77, alla luce delle informazioni contenute nella nota del 19 marzo 2003 e trasmesse dall’OLAF alle autorità giudiziarie francesi, il ricorrente avrebbe dovuto essere assimilato ai soggetti personalmente interessati dalle conclusioni dell’OLAF, ai sensi della seconda frase del primo comma dell’articolo 4 della decisione 1999/396.

80      Si deve inoltre rilevare che, secondo la giurisprudenza, l’obbligo di chiedere e ottenere il consenso del segretario generale della Commissione non è una semplice formalità, eventualmente esperibile in una fase successiva. Infatti, se così fosse, l’esigenza di ottenere tale consenso perderebbe la sua ragion d’essere, ossia garantire che siano rispettati i diritti della difesa dei funzionari interessati, che la loro informazione venga differita solo in casi del tutto eccezionali e che la valutazione di tale carattere eccezionale non venga riservata all’OLAF, ma sia rimessa anche al giudizio del segretario generale della Commissione (sentenza dell’8 luglio 2008, Franchet e Byk/Commissione, T‑48/05, EU:T:2008:257, punto 151).

81      Di conseguenza, le condizioni di applicazione della deroga di cui all’articolo 4, secondo comma, della decisione 1999/396, che permette di differire l’audizione in questione, non sono state soddisfatte neppure per quanto concerne il ricorrente, che era implicitamente, ma necessariamente, interessato dalla nota del 19 marzo 2013.

82      Ciò premesso, l’OLAF ha violato l’articolo 4 della decisione 1999/396 e i diritti della difesa del ricorrente nel trasmettere il fascicolo Datashop – Planistat alle autorità giudiziarie francesi.

83      In ogni caso, anche considerando che il ricorrente non sia assimilabile ad un soggetto personalmente interessato dalle conclusioni dell’OLAF ai sensi della seconda frase del primo comma dell’articolo 4 della decisione 1999/396, si deve constatare che da tutto quanto precede risulta che il ricorrente avrebbe dovuto, perlomeno, essere ritenuto personalmente coinvolto nei fatti all’origine del caso di specie e, perciò, prontamente informato, nella misura in cui non è stato dimostrato che ciò avrebbe rischiato di pregiudicare l’indagine, conformemente alla prima frase del primo comma del medesimo articolo.

84      In proposito, si deve constatare che dal fascicolo non risulta alcun motivo idoneo a giustificare l’omessa informazione del ricorrente da parte dell’OLAF. Al contrario, secondo il verbale della 1613a riunione della Commissione tenutasi il 21 maggio 2003, allegato al controricorso, la Commissione aveva rilevato «l’intenzione dell’OLAF di accelerare le proprie indagini in corso e, in particolare, di dare ai funzionari da esso considerati come potenzialmente coinvolti l’opportunità di essere sentiti». Da tale affermazione si evince che, in quella fase, non era stato svelato alcun motivo cogente di mantenere la massima segretezza sull’indagine in questione. Inoltre, nessun elemento del fascicolo sembra dimostrare che il ricorrente avrebbe potuto pregiudicare l’indagine, qualora fosse stato informato del suo possibile coinvolgimento personale nei fatti.

85      Si deve quindi considerare che l’OLAF non ha adempiuto il proprio obbligo di informare il ricorrente, obbligo ad esso incombente in forza della prima frase del primo comma dell’articolo 4 della decisione 1999/396.

86      La questione in che misura le illegittimità constatate abbiano potuto essere all’origine del danno lamentato dal ricorrente sarà esaminata nel prosieguo, ai punti 122 e seguenti.

 Sull’illegittimità del comportamento della Commissione

87      Il ricorrente deduce due censure. In primo luogo, egli sostiene che la Commissione, costituendosi parte civile dinanzi ai giudici francesi prima della chiusura dell’indagine condotta dall’OLAF, ha violato le norme di cui al regolamento n. 1073/1999.

88      In secondo luogo, il ricorrente afferma che la Commissione ha violato il diritto alla buona amministrazione e il dovere di sollecitudine nei suoi confronti, protraendo reiteratamente i procedimenti giudiziari fino ad adire la Cour de cassation (Corte di cassazione), senza produrre sufficienti elementi di prova nei suoi confronti.

–       Sulla censura relativa alla violazione da parte della Commissione delle norme di cui al regolamento n. 1073/1999 per essersi costituita parte civile dinanzi ai giudici francesi prima della chiusura dell’indagine condotta dall’OLAF

89      La Commissione sostiene che detta censura dev’essere dichiarata irricevibile, in quanto è stata sollevata per la prima volta nell’atto introduttivo del ricorso presentato dinanzi al Tribunale dal ricorrente, non essendo stata infatti menzionata in precedenza nella fase precontenziosa.

90      Si deve ricordare che, come risulta da una costante giurisprudenza, la regola della concordanza tra il reclamo, ai sensi dell’articolo 91, paragrafo 2, dello Statuto, e il successivo atto introduttivo del ricorso impone, a pena di irricevibilità, che i motivi aventi direttamente ad oggetto l’atto lesivo dedotti dinanzi al giudice dell’Unione siano già stati dedotti nell’ambito del procedimento precontenzioso, affinché l’APN sia in grado di conoscere le censure formulate dall’interessato avverso la decisione contestata. Tale principio si giustifica con la finalità stessa del procedimento precontenzioso, procedimento che ha lo scopo di consentire una composizione amichevole delle controversie sorte tra i funzionari e l’amministrazione (v. sentenza del 5 marzo 2015, Gyarmathy/FRA, F‑97/13, EU:F:2015:7, punto 67 e giurisprudenza ivi citata).

91      Pertanto, nei ricorsi di funzionari, le domande formulate dinanzi al giudice dell’Unione possono contenere solo i capi di impugnazione basati sulla stessa causa su cui si basano i capi di impugnazione invocati nel reclamo, fermo restando che tali capi di impugnazione possono essere sviluppati, dinanzi al giudice dell’Unione, mediante deduzione di motivi e argomenti non contenuti necessariamente nel reclamo, ma ad esso strettamente connessi (v. sentenza del 5 marzo 2015, Gyarmathy/FRA, F‑97/13, EU:F:2015:7, punto 68 e giurisprudenza ivi citata).

92      Si deve infine sottolineare che, poiché il procedimento precontenzioso ha un carattere informale e gli interessati agiscono generalmente, in tale fase, senza l’assistenza di un avvocato, l’amministrazione non deve interpretare i reclami in modo restrittivo, ma, al contrario, deve esaminarli con spirito di apertura. L’articolo 91 dello Statuto, inoltre, non ha lo scopo di delimitare, in modo rigoroso e definitivo, l’eventuale fase contenziosa, purché il ricorso contenzioso non modifichi né la causa né l’oggetto del reclamo. Tuttavia, resta il fatto che, affinché il procedimento precontenzioso di cui all’articolo 91, paragrafo 2, dello Statuto possa raggiungere il suo obiettivo, l’APN deve essere in grado di conoscere, in modo sufficientemente preciso, le censure che gli interessati formulano avverso la decisione contestata (v. sentenza del 5 marzo 2015, Gyarmathy/FRA, F‑97/13, EU:F:2015:7, punto 69 e giurisprudenza ivi citata).

93      Nel caso di specie, si deve constatare che, tanto nella domanda di risarcimento quanto nel reclamo, il ricorrente deduce illeciti commessi dall’OLAF e dalla Commissione per non averlo sentito ed informato della trasmissione del fascicolo dell’OLAF alle autorità giudiziarie francesi e per l’accanimento della Commissione nelle sue azioni dinanzi ai giudici francesi, in assenza di nuovi elementi di prova dopo che era stato scagionato dall’ordinanza di archiviazione. Il suo argomento giuridico è, pertanto, elaborato in due parti nel corso di tutto il procedimento precontenzioso, mentre si articola intorno a tre censure nell’atto introduttivo del ricorso presentato dinanzi al Tribunale. Si deve tuttavia rilevare che, nella domanda di risarcimento presentata all’APN il 22 dicembre 2016, il ricorrente contestava il fatto che «la Commissione si [era] costituita parte civile, senza esservi obbligata» nel contesto della censura relativa all’illecito commesso dalla Commissione in relazione alla prosecuzione delle azioni penali nei suoi confronti dopo che era stato scagionato (punto 14, secondo paragrafo, pag. 6, allegato A 11 dell’atto introduttivo del ricorso). Peraltro, nel reclamo proposto il 1o agosto 2017 avverso la decisione dell’APN di respingere la sua domanda di risarcimento, il ricorrente ricorda che «sulla base di tale indagine, chiusa il 25 settembre 2003, il juge d’instruction [giudice istruttore] (…) ha notificato detta ordinanza alle persone formalmente sottoposte ad indagini» (pag. 5, allegato A 13). Inoltre, nel reclamo il ricorrente afferma che «la Commissione europea è stata realmente ostinata nel procedimento penale diretto» contro di lui (pag. 6, allegato A 13).

94      Da quanto precede risulta che, anche se gli argomenti della seconda censura, relativi alla contestazione del fatto che la Commissione si è costituita parte civile dinanzi ai giudici francesi prima della chiusura dell’indagine condotta dall’OLAF, non sono stati dedotti come un’autonoma censura nel reclamo, tali argomenti si fondano sulla stessa causa dei capi di impugnazione fatti valere nel reclamo e sono stati presentati durante tutta la fase precontenziosa. Inoltre, tale argomento è strettamente connesso alla censura concernente gli illeciti commessi dalla Commissione in relazione alle sue azioni giudiziarie nei confronti del ricorrente, in primo luogo costituendosi parte civile e, in secondo luogo, proseguendo i procedimenti nei confronti del ricorrente, senza disporre di sufficienti elementi di prova a suo carico. Occorre, pertanto, considerare tale censura ricevibile in forza della giurisprudenza citata al precedente punto 91.

95      È pertanto necessario valutare se la Commissione, costituendosi parte civile dinanzi ai giudici francesi prima della chiusura dell’indagine condotta dall’OLAF, abbia violato le norme sancite dal regolamento n. 1073/1999.

96      La Commissione afferma in proposito di aver depositato una denuncia e di essersi costituita parte civile dinanzi ai giudici francesi a seguito delle informazioni ricevute dalla procura della Repubblica di Parigi, secondo le quali, conformemente alle disposizioni dell’articolo 113‑8 del Code de procédure pénale (Codice di procedura penale francese), la Commissione deve depositare una denuncia presso la procura della Repubblica di Parigi affinché la richiesta finanziaria non si limiti ai soli fatti di ricettazione commessi in Francia e affinché essa possa così chiedere anche il risarcimento per l’intero danno subito a Lussemburgo e a Bruxelles (v. allegato B.11).

97      In proposito, per quanto concerne le indagini interne, l’articolo 9, paragrafo 4, del regolamento n. 1073/1999 stabilisce quanto segue:

«La relazione redatta in seguito a un’indagine interna ed ogni documento utile ad essa pertinente sono trasmessi all’istituzione, all’organo o all’organismo interessato. Le istituzioni, gli organi e gli organismi danno alle indagini interne il seguito richiesto dalle risultanze ottenute, in particolare sul piano disciplinare e giudiziario, e ne informano il direttore dell’[OLAF] entro la scadenza fissata da quest’ultimo nelle conclusioni della sua relazione».

98      Per quanto concerne i procedimenti disciplinari, nella causa Franchet e Byk/Commissione (T‑48/05, EU:T:2008:257, punto 351), il Tribunale ha considerato che la Commissione aveva violato le norme che regolano il procedimento disciplinare per il fatto di aver avviato il procedimento disciplinare nei confronti dei sigg. Franchet e Byk prima che le indagini dell’OLAF si fossero concluse. Peraltro, il Tribunale ha ricordato che lo scopo perseguito da tali norme consisteva, in particolare, nel tutelare il funzionario interessato garantendo che l’APN avviasse il procedimento disciplinare solo qualora disponesse di elementi precisi e pertinenti, in particolare a sua difesa, raccolti durante l’indagine condotta dall’OLAF, che poteva avvalersi di ampi mezzi investigativi. Per tale ragione, le norme che disciplinano il procedimento disciplinare ricordate costituirebbero norme giuridiche che conferiscono diritti ai singoli.

99      Peraltro, all’articolo 25 dell’allegato IX relativo ai procedimenti disciplinari, lo Statuto enuncia che «[q]uando il funzionario sia sottoposto a procedimento penale per gli stessi fatti, la sua posizione sarà definitivamente regolata soltanto dopo il passaggio in giudicato della sentenza dell’autorità giudiziaria».

100    Orbene, nella presente causa, il ricorrente non contesta il fatto che nei suoi confronti sia stato avviato un procedimento disciplinare, bensì il fatto che la Commissione abbia dato impulso ad azioni giudiziarie nei suoi confronti senza che l’indagine dell’OLAF fosse stata chiusa. Sebbene sia certamente vero che non esiste una norma espressa che vieti alla Commissione di costituirsi parte civile o di denunciare penalmente un funzionario finché l’OLAF non abbia consegnato la propria relazione di indagine definitiva, resta nondimeno il fatto che il ragionamento dinanzi illustrato riguardo ai procedimenti disciplinari è applicabile per analogia anche ai procedimenti giudiziari nazionali, il che è conforme alla ratio e alla formulazione letterale del regolamento n. 1073/1999.

101    Infatti, l’articolo 9, paragrafi 2 e 4, del regolamento n. 1073/1999 stabilisce, da un lato, che «[l]e relazioni (…) elaborate costituiscono elementi di prova nei procedimenti amministrativi o giudiziari dello Stato membro nel quale risulti necessario avvalersene al medesimo titolo e alle medesime condizioni delle relazioni amministrative redatte dagli ispettori amministrativi nazionali» e, d’altro lato, che «[l]e istituzioni, gli organi e gli organismi danno alle indagini interne il seguito richiesto dalle risultanze ottenute, in particolare sul piano disciplinare e giudiziario».

102    Pertanto, in forza di tali disposizioni, se l’OLAF ha condotto un’indagine ai sensi del regolamento n. 1073/1999, l’istituzione interessata deve dare il seguito giudiziario richiesto dalla relazione di indagine, considerato che tale relazione costituisce un elemento di prova necessario ai fini di detto procedimento.

103    Peraltro, durante la sua riunione del 21 maggio 2003 (v. verbale della 1613a riunione della Commissione tenutasi il 21 maggio 2003, pagg. 16 e 17), la Commissione, riferendosi al caso «Eurostat» e all’indagine dell’OLAF, ha insistito «sul necessario rispetto della presunzione di innocenza» e sul fatto che «le informazioni a sua disposizione non consentono in questa fase di trarre conclusioni sui funzionari interessati». Ciononostante, dal medesimo verbale risulta che essa ha deciso di «costituirsi parte civile nel procedimento aperto presso il procureur de la République du tribunal de grande instance (procuratore della Repubblica del Tribunale di primo grado) a Parigi, come seguito dell’adizione dell’OLAF». A tal fine, la Commissione «incarica la DG BILANCIO di esaminare il seguito delle relazioni di audit redatte dall’Eurostat per quanto concerne il rispetto della normativa finanziaria». Inoltre, come spiegato al punto 84 supra, essa «evidenzia l’intenzione dell’OLAF di accelerare le proprie indagini in corso e, in particolare, di dare ai funzionari da esso considerati potenzialmente coinvolti l’opportunità di essere sentiti». La Commissione dichiara inoltre che il direttore generale dell’OLAF attende gli esiti di tali lavori per la fine di giugno del 2003. Infine, essa «incarica il Segretario Generale di coordinare le differenti parti di tale fascicolo nonché di proporre le necessarie misure e procedure interne».

104    Da detto verbale risulta che in tale data, ossia il 21 maggio 2003, la Commissione era consapevole del fatto che occorreva vigilare sul rispetto del principio della presunzione di innocenza nell’ambito del caso in esame, dato che le informazioni a sua disposizione non permettevano di concludere nel senso della colpevolezza dei funzionari personalmente interessati, né tantomeno per quella dei funzionari potenzialmente coinvolti, fra cui il ricorrente. Inoltre, la Commissione decide di costituirsi parte civile e, a tal fine, incarica la direzione generale del bilancio di analizzare il seguito delle relazioni di revisione contabile dell’Eurostat e richiama l’attenzione sulla circostanza che l’OLAF aveva intenzione di accelerare le proprie indagini e di comunicarne i risultati per la fine di giugno del 2003. A tale scopo, la Commissione aveva incaricato il segretario generale di coordinare dette informazioni nonché di proporre le necessarie misure e procedure interne.

105    Orbene, dal fascicolo del caso risulta che, il 10 luglio 2003, la Commissione ha depositato una denuncia contro X e si è costituita parte civile, senza che l’indagine dell’OLAF fosse giunta al termine e senza disporre di elementi di prova diversi da quelli presentati dall’OLAF in occasione della relazione inviata il 19 marzo 2003 (v. allegato B3, Decisione della Commissione di presentare una denuncia contro X, punto 14).

106    L’indagine dell’OLAF, infatti, è stata chiusa il 25 settembre 2003 e, successivamente, la relazione finale e i suoi allegati sono stati presentati all’autorità giudiziaria francese (v. allegato B4, Relazione Finale dell’OLAF 295/09/2003). Va osservato che, nella relazione finale di indagine, l’OLAF afferma che «a seguito della trasmissione da parte dell’OLAF al Servizio Giuridico della Commissione di una relazione circostanziata del 22 aprile 2003, la Commissione europea ha autorizzato il Servizio Giuridico a presentare una denuncia per il danno subito». Nondimeno, si deve rilevare che detta relazione circostanziata del 22 aprile 2003 (v. allegato B11, Nota all’attenzione del servizio giuridico della Commissione) non fornisce informazioni, indizi o elementi di prova sui fatti e sui funzionari chiamati in causa penalmente. Tale lettera del direttore generale dell’OLAF si limita a ricordare l’invio della nota del 19 marzo 2003 alle autorità francesi e mette in rilievo che egli ha ricevuto informazioni da parte dei giudici francesi in forza delle quali, conformemente alle disposizioni dell’articolo 113‑8 del Codice di procedura penale francese, ritiene necessario che la Commissione depositi una denuncia presso la procura della Repubblica di Parigi affinché la richiesta finanziaria non si limiti ai soli fatti di ricettazione commessi in Francia e per poter così chiedere anche il risarcimento per l’intero danno subito a Lussemburgo e a Bruxelles.

107    Occorre inoltre rilevare che l’articolo 87 del Codice di procedura penale francese, per quanto concerne la costituzione di parte civile nell’ipotesi in cui la procura della Repubblica avvii un’indagine preliminare, prevede che «la costituzione di parte civile può aver luogo in qualsiasi momento nel corso dell’istruzione». La Commissione, pertanto, avrebbe potuto attendere la chiusura dell’indagine dell’OLAF prima di costituirsi parte civile e di presentare una denuncia. Peraltro, come risultava dal verbale del 21 maggio 2003, la Commissione era informata dell’«intenzione dell’OLAF di accelerare le proprie indagini in corso» e del fatto «che il direttore generale dell’OLAF attende[va] gli esiti di tali lavori per la fine di giugno del 2003».

108    Ciò premesso, si deve considerare che la Commissione non avrebbe dovuto costituirsi parte civile e presentare una denuncia dinanzi ai giudici nazionali francesi prima della chiusura dell’indagine dell’OLAF, avente ad oggetto i medesimi fatti, al fine di tutelare i funzionari interessati. Infatti, soltanto disponendo delle conclusioni dell’indagine dell’OLAF la Commissione sarebbe stata in grado di adottare una decisione informata, tenendo conto dell’insieme degli elementi rivelati dall’OLAF e, potenzialmente, degli elementi precisi e pertinenti a difesa dei funzionari interessati.

109    Alla luce delle precedenti considerazioni, si deve rilevare che la Commissione ha violato il regolamento n. 1073/1999 e, più specificamente, il suo articolo 9, paragrafo 4, costituendosi parte civile e depositando denunce dinanzi ai giudici francesi prima che la relazione finale dell’OLAF fosse stata consegnata, senza disporre di elementi di prova sufficienti e concludenti a difesa delle persone potenzialmente coinvolte dalla nota del 19 marzo 2003, fra cui il ricorrente.

110    La questione di in che misura tale illegittimità abbia causato un danno al ricorrente sarà esaminata nel prosieguo, ai punti 122 e seguenti.

–       Sulla censura relativa alla violazione del diritto alla buona amministrazione e del dovere di sollecitudine della Commissione per il fatto di aver protratto i procedimenti giudiziari senza aver prodotto sufficienti elementi di prova

111    In proposito, occorre ricordare che il fatto di poter far valere i propri diritti per via giudiziaria e il sindacato giurisdizionale che ciò implica sono espressione di un principio generale del diritto che si trova alla base delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e che è anche sancito dagli articoli 6 e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (sentenze del 15 maggio 1986, Johnston, 222/84, EU:C:1986:206, punti 17 e 18, e del 17 luglio 1998, ITT Promedia/Commissione, T‑111/96, EU:T:1998:183, punto 60) e dall’articolo 47 della Carta. Poiché l’accesso al giudice è un diritto fondamentale e un principio generale che garantisce il rispetto del diritto, è solo in circostanze del tutto eccezionali che il fatto, per un’istituzione, d’intentare un’azione giudiziaria è idoneo a costituire un illecito amministrativo (v., in tal senso, sentenza del 28 settembre 1999, Frederiksen/Parlamento, T‑48/97, EU:T:1999:175, punto 97).

112    Nel caso di specie, si deve considerare che, qualsiasi siano i termini dell’ordinanza di archiviazione e della sentenza della cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi), le circostanze del caso di specie non appaiono eccezionali al punto di indurre a concludere che l’appello e l’impugnazione in cassazione costituissero illeciti amministrativi della Commissione, ai sensi della citata giurisprudenza. Peraltro, si deve rilevare che il ricorrente non ha prodotto elementi atti a dimostrare che la Commissione, con il proprio comportamento, ha commesso un simile illecito.

113    Ne consegue che il ricorrente non è legittimato a chiedere il risarcimento di un danno materiale, fisico e morale causato dal fatto che la Commissione abbia contestato l’ordinanza di archiviazione dinanzi ai giudici penali francesi tra il 2013 e il 2016.

114    Per quanto attiene alla violazione del diritto alla buona amministrazione e del dovere di sollecitudine della Commissione in relazione al fatto di aver protratto i procedimenti giudiziari nei confronti del ricorrente, si deve ricordare che, secondo la giurisprudenza, il dovere di sollecitudine rispecchia l’equilibrio dei diritti e dei doveri reciproci nei rapporti fra la pubblica autorità e gli agenti del servizio pubblico. Questo equilibrio implica in particolare che, quando si pronuncia sulla situazione di un funzionario, l’autorità prenda in considerazione il complesso degli elementi atti a determinare la sua decisione e, nel farlo, tenga conto non solo dell’interesse del servizio, ma anche, in particolare, di quello del funzionario interessato. Quest’ultimo obbligo è imposto all’amministrazione anche dal principio di buona amministrazione sancito all’articolo 41 della Carta [v., in tal senso, sentenza del 13 dicembre 2017, Arango Jaramillo e a./BEI, T‑482/16 RENV, EU:T:2017:901, punto 131 (non pubblicato) e giurisprudenza ivi citata].

115    Nel caso di specie, come ricordato al precedente punto 112, la Commissione non ha commesso un illecito amministrativo avendo contestato dinanzi ai giudici penali francesi l’ordinanza di archiviazione fino dinanzi al giudice di cassazione allo scopo di difendere gli interessi economici dell’istituzione. Analogamente, il dovere di sollecitudine dell’amministrazione nei confronti del ricorrente non può, in alcun caso, imporle l’obbligo di non difendere gli interessi economici dell’istituzione e, di conseguenza, di non contestare le decisioni di giudici francesi. Pertanto, tale censura dev’essere respinta.

 Sulleffettiva esistenza dei pretesi danni subiti e sullesistenza di un nesso di causalità

116    Visto il legame particolarmente stretto, nelle circostanze della presente causa, tra la questione dell’esistenza di un danno risarcibile subito dal ricorrente e quella del nesso di causalità tra le illegittimità constatate e il danno lamentato, occorre esaminare le due questioni congiuntamente.

117    In via preliminare, il ricorrente afferma di aver subito un danno pecuniario derivante dalla lesione della sua reputazione e del suo onore provocata dalle accuse gravi e infondate mosse nei suoi confronti nonché un danno morale per le sofferenze provocate dal fatto di essere perseguito indefinitamente e in maniera temeraria da parte dell’amministrazione. Tali danni materiali, morali e fisici, a suo avviso, sarebbero stati causati dalla violazione delle norme relative alle indagini svolte dall’OLAF e dal comportamento ingiustificato e sproporzionato della Commissione nei suoi confronti.

118    Più specificamente, il ricorrente sostiene che, per quanto attiene ai danni materiali, il comportamento illegittimo della Commissione gli ha causato ingenti spese di rappresentanza. Egli chiede in proposito, da un lato, l’importo di EUR 39 293,38 a titolo di spese per avvocati sostenute dinanzi ai giudici nazionali francesi e dell’Unione e, d’altro lato, l’importo di EUR 872,74 costituito dalle spese di trasferta sostenute durante i procedimenti giudiziari.

119    Il ricorrente asserisce poi che la sua formale sottoposizione ad indagini ed ad un lungo procedimento penale gli hanno causato un danno morale. Egli sostiene che il fatto di dare impulso a un procedimento giudiziario nei suoi confronti mentre l’indagine interna condotta dall’OLAF non era conclusa, e di contestare la sua innocenza, senza disporre di elementi informativi sufficientemente precisi e pertinenti, fino dinanzi al giudice di cassazione, dopo che essa era stata dichiarata dai giudici francesi, hanno arrecato pregiudizio alla sua onorabilità e alla sua reputazione professionale. A suo avviso, il procedimento condotto nei suoi confronti ha lasciato credere ai suoi ex colleghi e ai suoi conoscenti che fosse coinvolto in uno scandalo finanziario. Egli chiede perciò un importo di EUR 500 000 a titolo di risarcimento del danno morale subito ad opera degli illeciti commessi dalla Commissione.

120    Il ricorrente sostiene infine che i gravi illeciti contestati all’amministrazione dell’Unione hanno altresì causato un danno al suo stato di salute in quanto, a seguito dell’angoscia provocatagli dal procedimento penale avviato nei suoi confronti in maniera temeraria e interminabile, è stato affetto da una grave malattia, certificata da una relazione medica. Per questo, egli chiede gli importi di EUR 500 000 a titolo di risarcimento del danno fisico subito per la degradazione del suo stato di salute e di EUR 2 125,56 quale risarcimento di tutte le spese per esami medici da lui sostenute a causa della malattia che lo ha colpito a seguito del comportamento sproporzionato e ingiustificato della Commissione nei suoi confronti.

121    La Commissione contesta le affermazioni del ricorrente.

122    Si deve preliminarmente ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, un danno, per essere risarcibile, deve derivare in modo sufficientemente diretto dal comportamento contestato (sentenze del 4 ottobre 1979, Dumortier e a./Consiglio, 64/76, 113/76, 167/78, 239/78, 27/79, 28/79 e 45/79, EU:C:1979:223, punto 21; del 27 giugno 2000, Meyer/Commissione, T‑72/99, EU:T:2000:170, punto 49, e dell’8 luglio 2008, Franchet e Byk/Commissione, T‑48/05, EU:T:2008:257, punto 397). Risulta inoltre da una giurisprudenza costante che spetta al ricorrente fornire la prova del nesso di causalità (v., in tal senso, sentenze del 30 gennaio 1992, Finsider e a./Commissione, C‑363/88 e C‑364/88, EU:C:1992:44, punto 25; del 30 settembre 1998, Coldiretti e a./Consiglio e Commissione, T‑149/96, EU:T:1998:228, punto 101, e dell’8 luglio 2008, Franchet e Byk/Commissione, T‑48/05, EU:T:2008:257, punto 397).

123    In proposito, va ricordato che, da un lato, gli illeciti dell’OLAF che possono determinare il sorgere della responsabilità dell’Unione consistono nella trasmissione di informazioni alle autorità giudiziarie francesi senza aver sentito il ricorrente o, perlomeno, averlo tenuto informato (v. punti 82 e 85 supra). D’altro lato, la Commissione ha commesso un illecito idoneo a determinare il sorgere della responsabilità dell’Unione costituendosi parte civile e presentando una denuncia nei confronti del ricorrente prima della chiusura dell’indagine dell’OLAF (v. punto 108 supra).

124    Il ricorrente ha dedotto tre danni distinti nel caso di specie, ossia un danno materiale, un danno morale e un danno fisico. Occorre esaminare in successione ciascuno di questi tipi di danno per valutare in che misura siano dimostrati, da un lato, la loro esistenza e, d’altro lato, il nesso di causalità tra essi e i comportamenti contestati all’OLAF e alla Commissione.

 Sul danno materiale

125    Il ricorrente sostiene che il comportamento illegittimo della Commissione gli ha causato ingenti spese di rappresentanza. Egli chiede in proposito, da un lato, l’importo di EUR 39 293,38 a titolo di spese per avvocati sostenute dinanzi ai giudici nazionali francesi e dell’Unione e, d’altro lato, l’importo di EUR 872,4 costituito dalle spese di trasferta sostenute durante i procedimenti giudiziari.

126    In proposito, occorre rilevare, come correttamente constatato dalla Commissione, che le spese che il ricorrente avrebbe sostenuto per la propria difesa dinanzi ai giudici dell’Unione non costituiscono un danno materiale, ma spese. Si deve infatti ricordare che le spese sostenute dalle parti ai fini del procedimento giurisdizionale non possono, in quanto tali, essere considerate un danno distinto rispetto all’onere delle spese del giudizio (v., in tal senso, sentenza del 10 giugno 1999, Commissione/Montorio, C‑334/97, EU:C:1999:290, punto 54).

127    Inoltre, per quanto riguarda eventuali spese connesse ai procedimenti dinanzi ai giudici nazionali, si deve osservare che tali spese non possono essere rimborsate nel presente procedimento, in mancanza di un nesso di causalità tra il danno asserito e gli illeciti commessi dall’OLAF e dalla Commissione (v., in tal senso, sentenza del 10 giugno 2004, François/Commissione, T‑307/01, EU:T:2004:180, punto 109). In ogni caso, la questione del rimborso delle spese sostenute a livello nazionale appartiene alla competenza esclusiva del giudice nazionale, il quale deve, in mancanza di misure di armonizzazione dell’Unione nel settore, decidere tale questione a norma delle vigenti disposizioni nazionali (v., in tal senso, sentenza del 18 settembre 1995, Nölle/Consiglio e Commissione, T‑167/94, EU:T:1995:169, punto 37).

128    Ciò premesso, si deve constatare che la domanda del ricorrente volta ad ottenere il risarcimento del danno materiale che asserisce di aver subito dev’essere respinta.

 Sul danno morale

129    Il ricorrente sostiene che il fatto di dare impulso a un procedimento giudiziario nei suoi confronti mentre l’indagine interna condotta dall’OLAF non era conclusa e di contestare la sua innocenza fino dinanzi al giudice di cassazione, dopo che essa è stata dichiarata dai giudici francesi, senza disporre di elementi informativi sufficientemente precisi e pertinenti, hanno arrecato pregiudizio al suo onore e alla sua reputazione professionale. Egli afferma che il procedimento condotto nei suoi confronti ha indotto i suoi ex colleghi e i suoi conoscenti a ritenerlo coinvolto in uno scandalo finanziario e chiede perciò un importo di EUR 500 000 a titolo di risarcimento del danno morale subito a causa degli illeciti commessi dalla Commissione.

130    Nel caso di specie, si deve rilevare, anzitutto, che il fatto che la Commissione si sia costituita parte civile e abbia presentato una denuncia dinanzi ai giudici francesi prima che l’indagine condotta dall’OLAF fosse stata chiusa ha causato al ricorrente una lesione del suo onore e della sua reputazione professionale. Infatti, il comportamento della Commissione ha causato un danno morale al ricorrente per il fatto di aver lasciato credere alla sua colpevolezza nell’esercizio delle sue funzioni e indotto la sua cerchia personale e professionale a ritenerlo coinvolto in fatti di frode e in uno scandalo finanziario. Occorre pertanto constatare che tale danno discende direttamente dal comportamento della Commissione e che sussiste quindi un nesso di causalità fra tale comportamento e detto danno in forza della giurisprudenza citata al precedente punto 122.

131    Peraltro, il fatto che l’OLAF abbia trasmesso alle autorità giudiziarie francesi la nota del 19 marzo 2003, che coinvolge il ricorrente, senza averlo sentito o, perlomeno, informato, gli ha causato un danno morale per non aver quest’ultimo potuto né esprimersi né difendersi riguardo ai fatti che hanno motivato le azioni nei suoi confronti. Infatti, la circostanza di non essere stato sentito gli ha suscitato un sentimento di ingiustizia, di impotenza e di frustrazione. Occorre considerare che tali danni risultano dal comportamento illecito dell’OLAF e che, di conseguenza, sussiste un nesso di causalità fra i danni dedotti e l’illecito commesso.

132    Infine, per quanto concerne il danno morale subito dal ricorrente connesso alla condotta persecutoria della Commissione nel procedimento penale fino dinanzi al giudice di cassazione, dopo che egli era stato dichiarato innocente in primo grado dai giudici francesi, sebbene sia vero che una simile situazione di incertezza ha potuto causare al ricorrente turbamenti nell’ambito della sua vita privata costituenti un danno morale, resta nondimeno il fatto che il ricorrente non è riuscito a dimostrare che detto comportamento sia illecito. Pertanto, atteso che una delle tre condizioni per il sorgere della responsabilità extracontrattuale dell’Unione non è soddisfatta in relazione a tali affermazioni, le richieste risarcitorie devono essere respinte, in forza della giurisprudenza citata al precedente punto 45, senza che sia necessario verificare se ricorrano le altre due condizioni.

133    Da tutto quanto precede discende che il ricorrente ha subito un danno morale consistente, da un lato, in una lesione del suo onore nonché della sua reputazione professionale e, d’altro lato, in un sentimento di ingiustizia, di impotenza e di frustrazione che si è trovato a patire. Si deve conseguentemente decidere ex æquo et bono che un risarcimento di EUR 62 000 costituisce un’adeguata riparazione di tale danno.

 Sul danno fisico

134    Il ricorrente asserisce che i gravi illeciti contestati all’amministrazione dell’Unione gli hanno causato un danno connesso al suo stato di salute dato che, a seguito dell’angoscia provocatagli dal lungo procedimento penale imprudentemente avviato nei suoi confronti, è stato affetto da una grave malattia che è stata certificata da una relazione medica. In tali condizioni, egli chiede gli importi di EUR 500 000 in riparazione del danno fisico subito per la degradazione del suo stato di salute e di EUR 2 125,56 a titolo di risarcimento di tutte le spese sostenute per esami.

135    Nel caso di specie, va rilevato che la degradazione dello stato di salute del ricorrente può essere sopraggiunta, come da lui stesso ammesso nei suoi scritti difensivi, soltanto a partire dalla sua formale sottoposizione ad indagini in data 10 settembre 2008, fino al 15 giugno 2016, giorno in cui è stata pronunciata la sentenza della Cour de cassation (Corte di cassazione). Tuttavia, anche supponendo che le prove prodotte dal ricorrente dimostrino che il suo stato di salute si sarebbe deteriorato in conseguenza dei procedimenti penali avviati nei suoi confronti, tale circostanza non può porre in discussione il fatto che il ricorrente non ha sufficientemente dimostrato, sotto il profilo giuridico, come risulta dalla presente sentenza, che il comportamento della Commissione volto a contestare l’ordinanza di archiviazione in appello e successivamente in cassazione sia illecito.

136    Di conseguenza, atteso che una delle tre condizioni per il sorgere della responsabilità extracontrattuale dell’Unione non è soddisfatta, dette richieste risarcitorie devono essere respinte, in forza della giurisprudenza citata al precedente punto 45, senza che sia necessario verificare se ricorrano le altre due condizioni.

 Sulle spese

 Sulle domande relative alle «spese non ripetibili»

137    Il ricorrente ha chiesto la condanna della Commissione al pagamento dell’importo di EUR 3 000 a titolo di «spese non ripetibili».

138    La Commissione non si è pronunciata al riguardo.

139    Nel caso di specie, si deve rilevare che il ricorrente non precisa la natura delle spese non ripetibili di cui chiede il pagamento. Orbene, se le domande del ricorrente hanno ad oggetto il risarcimento di spese indispensabili da lui sostenute per la causa, si deve ricordare che, in forza dell’articolo 140 del regolamento di procedura, simili spese sono incluse nelle spese (v., in tal senso, ordinanza del 18 novembre 2013, Trabelsi/Consiglio, T‑162/12, non pubblicata, EU:T:2013:619, punti da 32 a 36).

140    Di conseguenza, tale domanda dev’essere esaminata unitamente alle domande volte ad ottenere la condanna della Commissione alle spese.

 Sulla liquidazione delle spese

141    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 3, del regolamento di procedura, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, le spese sono compensate. Tuttavia, se ciò appare giustificato alla luce delle circostanze del caso di specie, il Tribunale può decidere che una parte sostenga, oltre alle proprie spese, una quota delle spese dell’altra parte.

142    Nel caso di specie, poiché il ricorso per risarcimento è stato essenzialmente accolto, sarà operata un’equa valutazione della causa, tenuto conto del contesto particolare della controversia, condannando la Commissione a sopportare, oltre alle proprie spese, quelle sostenute dal ricorrente.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      La Commissione europea è condannata a versare al sig. Fernando De Esteban Alonso l’importo di EUR 62 000 a titolo di risarcimento del danno morale da lui subito.

2)      Il ricorso è respinto per il resto.

3)      La Commissione sopporterà le proprie spese e quelle sostenute dal sig. De Esteban Alonso.

Gratsias

Labucka

Ulloa Rubio

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo l’11 giugno 2019.

Firme


*      Lingua processuale: il francese.