Language of document : ECLI:EU:T:2004:180

Arrêt du Tribunal

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quinta Sezione)
10 giugno 2004 (1)

«Dipendenti – Regime disciplinare – Retrocessione di scatto – Contratto di guardianato degli edifici della Commissione – Termine ragionevole – Procedimento penale – Ricorso per risarcimento danni»

Nella causa T-307/01,

Jean-Paul François, dipendente della Commissione delle Comunità europee, residente in Wavre (Belgio), rappresentato dall'avv. A. Colson, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal sig. J. Currall, in qualità di agente, assistito dall'avv. B. Wägenbaur, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

avente ad oggetto, da un lato, una domanda di annullamento della decisione della Commissione 5 aprile 2001 che ha inflitto al ricorrente la sanzione disciplinare della retrocessione di uno scatto, e, dall'altro, una domanda di risarcimento dei danni materiali e morali che il ricorrente reputa di aver subito,



IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Quinta Sezione),



composto dalla sig.ra P. Lindh, presidente, dai sigg. R. García-Valdecasas e J.D. Cooke, giudici,

cancelliere: I. Natsinas, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all'udienza del 2 dicembre 2003,

ha pronunciato la seguente



Sentenza




Contesto giuridico‑normativo

1
Il regolamento della Commissione 11 dicembre 1986, 86/610/CEE, che stabilisce le modalità di esecuzione di alcune disposizioni del regolamento finanziario del 21 dicembre 1977 (GU L 360, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento di esecuzione del regolamento finanziario»), in vigore al momento dei fatti di causa [il regolamento 86/610 è stato successivamente abrogato e sostituito dal regolamento (Euratom, CECA, CE) della Commissione 9 dicembre 1993, n. 3418 (GU L 315, pag. 1)], disponeva, all’art. 68, quanto segue:

«Alle condizioni stabilite negli articoli 54, 55 e 94 del regolamento finanziario, la commissione consultiva degli acquisti e dei contratti è chiamata, a titolo consultivo, a formulare un parere:

a)
su tutti i progetti di contratti d’opere, di forniture o di prestazioni di servizio d’importo superiore a quelli indicati negli articoli 54 e 94 del regolamento finanziario, nonché sui progetti di acquisto di immobili per qualsiasi ammontare;

b)
sui progetti di clausole aggiuntive ai contratti di cui al precedente paragrafo, in tutti i casi in cui dette clausole determinino modifiche dell’importo del contratto iniziale;

[…]

f)
sui problemi sollevati al momento della stipulazione o dell’esecuzione dei contratti (annullamento di ordinativi, richieste di sconti di penalità di mora, deroghe alle disposizioni dei capitolati d’oneri e delle condizioni generali (…), quando il problema è di gravità tale da motivare una richiesta di parere;

[…]».

2
L’art. 11, primo comma, dello Statuto del personale delle Comunità europee (in prosieguo: lo «Statuto») stabilisce che il dipendente deve esercitare le sue funzioni e conformare la sua condotta al dovere di servire esclusivamente le Comunità.

3
L’art. 21 dello Statuto così dispone:

«Il funzionario, qualunque sia il suo posto nella gerarchia, deve assistere e consigliare i suoi superiori; è responsabile dell’esecuzione dei compiti che gli sono affidati.

Il funzionario incaricato di provvedere al funzionamento di un servizio è responsabile nei confronti dei propri superiori gerarchici dell’autorità conferitagli e dell’esecuzione degli ordini da lui dati. La responsabilità diretta dei suoi subordinati non lo libera delle sue responsabilità.

Il funzionario, ove consideri un ordine ricevuto irregolare, o ritenga la sua esecuzione suscettibile di determinare inconvenienti gravi, deve, eventualmente per iscritto, esprimere la propria opinione al suo superiore gerarchico. Se quest’ultimo conferma l’ordine per iscritto, il funzionario deve darvi esecuzione, a meno che esso sia contrario alla legge penale o alle norme di sicurezza applicabili».

4
L’art. 86 dello Statuto dispone che qualsiasi mancanza agli obblighi cui il dipendente o l’ex dipendente è soggetto, ai sensi dello Statuto, commessa volontariamente o per negligenza, lo espone a una sanzione disciplinare. Tra le sanzioni disciplinari previste dal paragrafo 2 del detto art. 86 figura quella della retrocessione di scatto.

5
L’art. 88, quinto comma, dello Statuto prevede quanto segue:

«(…) quando il funzionario sia sottoposto a procedimento penale per gli stessi fatti, la sua posizione sarà definitivamente regolata soltanto dopo il passaggio in giudicato della sentenza dell’autorità giudiziaria».


Fatti all’origine della controversia

6
Il ricorrente è dipendente di grado B 3 della Commissione. Al momento dei fatti costituenti l’oggetto del procedimento disciplinare in questione, egli svolgeva le sue funzioni presso l’ufficio della sicurezza (in prosieguo: l’«UDS») della direzione generale del personale e dell’amministrazione della Commissione e gestiva l’unità finanziaria del detto ufficio. A quell’epoca, i superiori gerarchici del ricorrente erano il sig. De Haan, direttore dell’UDS, e il sig. Eveillard, assistente di quest’ultimo e capo del settore «Protezione Bruxelles».

7
Nel 1991 la Commissione pubblicava un bando di gara d’appalto per il guardianato dei suoi immobili situati in Bruxelles. Nell’ottobre 1992, il contratto di guardianato, per un valore corrispondente ad ECU 75 000 000, veniva attribuito alla società IMS/Group 4, con effetto a partire dal 1° novembre 1992 e per una durata di cinque anni. Nell’ambito delle funzioni da lui a quel tempo ricoperte, il ricorrente veniva chiamato a partecipare alla preparazione ed all’esecuzione di tale contratto.

8
Prima della firma del contratto di guardianato, la società aggiudicataria chiedeva di beneficiare di una garanzia contro il rischio di fluttuazione del tasso di cambio tra il franco belga e l’ecu, valuta nella quale erano indicati gli importi del detto contratto. A seguito di tale domanda, veniva stipulata una convenzione aggiuntiva al contratto (l’allegato 1), che modificava il progetto di contratto già sottoposto alla commissione consultiva degli acquisti e dei contratti (in prosieguo: la «CCAC»), senza che quest’ultima venisse nuovamente consultata in via preliminare. Il detto allegato 1 conteneva una clausola che consentiva l’adeguamento dei prezzi contrattuali alle variazioni di valore dell’ecu rispetto al franco belga e che introduceva ulteriori modificazioni al contratto di guardianato  (2) .

9
Nel novembre 1992, una nota consultiva in merito alla convenzione aggiuntiva in questione veniva redatta per essere sottoposta alla CCAC. Tale documento andava tuttavia smarrito negli archivi dell’UDS. Una volta ritrovato, nel gennaio 1993, esso non veniva trasmesso alla CCAC.

10
Nel gennaio 1993, il controllo finanziario rifiutava di apporre il proprio visto su un ordine di pagamento relativo all’esecuzione del contratto di guardianato, per il fatto che i pagamenti erano previsti in franchi belgi e non in ecu, come risulta dalla relazione di indagine amministrativa del 14 luglio 1998 (pag. 13), realizzata dal sig. Reichenbach, all’epoca direttore della direzione generale «Salute e tutela dei consumatori» della Commissione, su richiesta del sig. Trojan, segretario generale della Commissione, nonché dalla relazione del 6 gennaio 1999 (pag. 12), inviata dalla sig.ra Flesch, direttore generale del servizio di traduzione della Commissione, all’Autorità che ha il potere di nomina (in prosieguo: l’«APN»), e, infine, dal rapporto dell’APN alla commissione di disciplina del 24 febbraio 1999 (punto 31).

11
A seguito di tale diniego di visto del controllo finanziario, il 27 gennaio 1993 un allegato 3 al contratto veniva firmato dal direttore dell’UDS, sig. De Haan, e dall’amministratore della società aggiudicataria, sig. Alexandre  (3) . Tale allegato 3 annullava, a partire dal 1° febbraio 1993, le pattuizioni dell’allegato 1 in merito alla clausola di revisione relativa alle fluttuazioni del tasso di cambio tra il franco belga e l’ecu  (4) .

12
Il 17 febbraio 1993, la direzione generale «Controllo finanziario» della Commissione avviava un audit riguardante le attività dell’UDS e, in particolare, l’attribuzione del contratto di guardianato. La sua relazione finale veniva presentata il 7 luglio 1993  (5) . Tale relazione (pagg. 10, 11 e 12) fa riferimento segnatamente alle modifiche introdotte dall’allegato 1 nel contratto di guardianato dopo la consultazione della CCAC ed alle conseguenze negative di ordine finanziario derivanti da tale allegato  (6) .

13
A seguito dell’apparizione, in data 18 agosto 1997, di un articolo nel giornale De Morgen che evocava responsabilità personali nell’attribuzione del contratto di guardianato, nonché la responsabilità generale della Commissione nel controllo della gestione del detto contratto  (7) , l’unità di coordinamento della lotta antifrode (UCLAF) procedeva ad un’indagine in ordine a tale contratto. L’UCLAF emetteva la propria relazione d’indagine il 12 marzo 1998, denunciando presunte gravi irregolarità nell’attribuzione dell’appalto e nell’esecuzione del contratto di guardianato in questione  (8) . Il 21 aprile 1998, il sig. Trojan chiedeva al sig. Reichenbach di effettuare un’indagine in merito all’appalto dei servizi di guardianato attribuito alla IMS/Group 4. Tale relazione di indagine amministrativa veniva prodotta il 14 luglio 1998.

Procedimento disciplinare

14
Il 29 luglio 1998, l’APN decideva di aprire un procedimento disciplinare a carico del ricorrente. L’APN avviava altresì ulteriori procedimenti disciplinari nei confronti dei superiori gerarchici del ricorrente, i sigg. De Haan ed Eveillard.

15
Il 29 luglio 1998, l’APN notificava al ricorrente una serie di addebiti con i quali si imputava a questi «un comportamento […] [colpevole] sul piano professionnale e gravi negligenze quanto al rispetto delle regole di gestione finanziaria, in particolare nella formazione e nell’esecuzione [del contratto di guardianato concluso con la società IMS/Group 4]» (in prosieguo: l’«addebito n. 1»)  (9) . Con nota del 23 settembre 1998, l’APN comunicava al ricorrente i sei seguenti addebiti supplementari  (10) :

«Addebito n. 2:

Atteggiamento di tolleranza, o addirittura di partecipazione, riguardo ad una manipolazione, dopo la data prevista per il loro ricevimento, delle offerte ricevute nell’ambito dell’attribuzione dell’appalto relativo ai […] servizi di guardianato [e di] sorveglianza degli edifici [della Commissione], [nel] 1992 (per un valore approssimativo di ECU 75 000 000 su [cinque] anni); tale manipolazione consisteva nella trasmissione di dati relativi ad una o più offerte ad una delle imprese partecipanti alla gara (IMS/Group 4), laddove il ricevimento di una nuova offerta di quest’ultima comportava una revisione dei prezzi verso il basso e la sostituzione dell’offerta originaria, al fine di orientare l’assegnazione di tale appalto a favore dell’impresa suddetta, e ciò in maniera scorretta e fraudolenta ed in violazione delle regole applicabili nonché, tra l’altro, delle disposizioni dell’art. 17, primo comma, dello Statuto.

Addebito n. 3:

Partecipazione alla predisposizione di un allegato al (progetto di) contratto di guardianato del 1992, [a] seguito [del]l’approvazione da parte della CCAC della proposta di attribuire l’appalto alla ditta IMS/Group 4 e delle condizioni del progetto di contratto, agendo scientemente al fine di consentire a tale ditta di [compensare] la perdita subita [per effetto del]la nuova offerta, e dunque in maniera fraudolenta, oppure incorrendo in grave negligenza, posto che le clausole dell’allegato erano in parte contrarie alle condizioni del bando di gara e del capitolato d’oneri come approvati dalla CCAC, e [ciò] in danno degli interessi patrimoniali della Commissione.

Addebito n. 4:

[In] [s]eguito [al]la preparazione dell’allegato suddetto, omissione – di natura volontaria […] oppure imputabile a grave negligenza – nell’informare la CCAC e/o il controllo finanziario o nell’[organizzare] una consultazione di tali organi, relativamente all’allegato ed alla conseguente modifica del contratto rispetto al progetto approvato dalla CCAC, o prima o dopo la conclusione del contratto che l’incorporava.

Addebito n. 5:

Atteggiamento di tolleranza, o addirittura di partecipazione, riguardo all’utilizzazione abusiva del contratto di guardianato così formato, per effetto della quale veniva sistematicamente proposto di assumere numerose persone presso l’[UDS] e in altri servizi per lo svolgimento di incarichi amministrativi o di altro tipo, mediante predisposizione da parte dell’impresa di contratti di assunzione di dipendenti, in violazione delle clausole del contratto concluso dalla Commissione, delle procedure previste per l’assunzione del personale e del dispositivo della relativa posizione [di bilancio], senza valida autorizzazione né informazione [dei] servizi competenti in tali materie, nonché mediante sviamento delle clausole del contratto relative al pagamento di ore straordinarie connesse ad incarichi di guardianato.

Addebito n. 6:

Più in generale, non [aver] esercitato le [proprie] funzioni di responsabile dell’unità finanziaria dell’[UDS] nell’interesse esclusivo della Comunità, in contrasto con le disposizioni dell’art. 11, primo comma, dello Statuto.

Addebito n. 7:

Risarcimento, in tutto o in parte, del danno subito dalle Comunità a motivo di colpe personali gravi (art. 22 dello Statuto)».

16
Il 6 ottobre 1998, il ricorrente veniva sentito, a norma dell’art. 87 dello Statuto, dalla sig.ra Flesch, direttore generale del servizio di traduzione della Commissione, incaricata in tal senso dall’APN.

17
La sig.ra Flesch trasmetteva all’APN, in data 6 gennaio 1999, la propria relazione, nella quale constatava a carico del ricorrente una serie di carenze professionali, di negligenze rispetto alle regole disciplinanti gli appalti pubblici, alle disposizioni del regolamento finanziario nonché alle procedure amministrative e di bilancio, nonché alcune violazioni dello Statuto  (11) . A seguito della trasmissione di tale documento, l’APN sottoponeva alla commissione di disciplina un rapporto datato 24 febbraio 1999, che enunciava i sette addebiti posti a carico del ricorrente  (12) .

18
Nel parere motivato da essa reso il 9 marzo 2000 la commissione di disciplina riteneva provati gli addebiti nn. 1, 3, 4, 5 e 6, e respingeva invece gli addebiti nn. 2 e 7. Nel suo parere, la commissione di disciplina raccomandava di infliggere al ricorrente la sanzione disciplinare contemplata dall’art. 86, n. 2, lett. d), dello Statuto, vale a dire la retrocessione di scatto, proponendo che questa nella fattispecie fosse pari a due scatti.

19
Il 25 maggio 2000, il ricorrente veniva sentito dall’APN e presentava una memoria difensiva  (13) .

20
Il 5 aprile 2001, l’APN adottava una decisione che infliggeva la sanzione della retrocessione di uno scatto, con effetto al 1° maggio 2001. L’APN faceva riferimento al parere della commissione di disciplina che considerava provati gli addebiti nn. 1, 3, 4, 5 e 6, confermando i medesimi. Alla luce del tenore del detto provvedimento disciplinare, gli addebiti posti a carico del ricorrente possono essere riassunti come segue:

comportamento colpevole sul piano professionale e gravi negligenze relativamente al rispetto delle regole di gestione finanziaria, in particolare nella formazione e nell’esecuzione del contratto di guardianato concluso nell’ottobre 1992 tra la Commissione e la società IMS/Group 4, in particolare a motivo della partecipazione del ricorrente alla predisposizione di un allegato al detto contratto, le cui clausole si sono rivelate contrarie alle condizioni del bando di gara d’appalto e del capitolato d’oneri, come approvati dalla CCAC, e agli interessi patrimoniali della Commissione (addebiti nn. 1 e 3);

grave negligenza consistente nell’omissione della consultazione obbligatoria della CCAC sull’allegato in questione, in violazione dell’art. 111 delle disposizioni generali di esecuzione del regolamento finanziario (addebito n. 4);

utilizzazione abusiva del contratto di guardianato, al fine di proporre l’assunzione di numerose persone presso l’UDS, presso altri servizi della Commissione ed altrove, per svolgere incarichi amministrativi o di altro tipo, attraverso la predisposizione, da parte della società IMS/Group 4, di contratti di assunzione di dipendenti, e ciò in violazione del contratto relativo all’assunzione di sorveglianti, delle procedure previste per l’assunzione del personale e del dispositivo della relativa posizione di bilancio, senza autorizzazione né informazione dei servizi competenti in tali materie, a titolo di contropartita del pagamento di ore di lavoro straordinario previste per incarichi di guardianato, con la circostanza attenuante costituita dalla cronica mancanza di personale dell’UDS e dal fatto che tale prassi all’epoca non era inusuale (addebito n. 5);

non aver esercitato le proprie funzioni nell’interesse esclusivo della Comunità, in contrasto con le disposizioni dell’art. 11, primo comma, dello Statuto (addebito n. 6).

21
Quanto all’addebito n. 2, la decisione 5 aprile 2001 dispone quanto segue:

«Spetterà, se del caso, all’APN riaprire il procedimento disciplinare sulla base dell’art. 11 dell’allegato IX dello Statuto, in particolare nell’ipotesi in cui l’indagine giudiziaria in corso […] giunga a stabilire che vi è stata manipolazione dell’offerta della società IMS/Group 4 dopo il 28 agosto 1992 e prima del deposito del fascicolo dinanzi alla CCAC».

22
Anche il procedimento disciplinare avviato nei confronti del sig. Eveillard si concludeva con l’adozione di una sanzione disciplinare. Nella causa T-258/01, Eveillard/Commissione, il Tribunale veniva chiamato a giudicare su un ricorso proposto contro tale decisione. Per contro, non interveniva decisione definitiva nel caso del sig. De Haan, deceduto il 30 agosto 2000, poco dopo che la commissione di disciplina aveva emesso il parere che lo riguardava.

23
Il 29 maggio 2001, il ricorrente presentava un reclamo ai sensi dell’art. 90, n. 2, dello Statuto contro la decisione dell’APN 5 aprile 2001.

24
Con decisione 10 settembre 2001, l’APN respingeva il reclamo del ricorrente. In tale decisione, l’APN confermava gli addebiti posti a carico dello stesso, introducendo alcune precisazioni in risposta alle allegazioni di quest’ultimo. In primo luogo, per quanto riguarda gli addebiti nn. 3 e 4, relativi alla predisposizione dell’allegato in questione ed alla mancata consultazione della CCAC, l’APN riteneva che l’elemento di colpevolezza risiedesse nel fatto che il ricorrente non aveva avvertito i propri superiori gerarchici – in contrasto con quanto prescritto dall’art. 21 dello Statuto – circa l’obbligo di consultare la CCAC, e non aveva segnalato che l’allegato in questione era contrario agli interessi finanziari della Commissione. In secondo luogo, per quanto riguarda l’addebito n. 5, relativo all’utilizzazione abusiva del contratto di guardianato, l’APN addebitava al ricorrente di non aver avvisato i propri superiori gerarchici dell’irregolarità della quale egli – ad avviso della detta autorità – aveva conoscenza, relativa al fatto che il suo collaboratore, il sig. Burlet, esercitava incarichi puramente amministrativi venendo retribuito dalla società aggiudicataria dell’appalto dei servizi di guardianato. In terzo luogo, quanto all’addebito n. 6, relativo al fatto che il ricorrente non aveva esercitato le proprie funzioni nell’interesse esclusivo della Comunità, l’APN precisava che il ricorrente non aveva avvisato i propri superiori gerarchici – in violazione dell’art. 11, primo comma, dello Statuto – delle conseguenze dell’omessa consultazione della CCAC, mentre sarebbe stato evidente per il responsabile di un’unità finanziaria che il contenuto dell’allegato creava una distorsione della concorrenza.

25
Con la sua decisione 10 settembre 2001, l’APN offriva al ricorrente un indennizzo di EUR 500 a riparazione del danno morale derivante dalla prolungata incertezza in cui egli aveva potuto trovarsi a causa del decorso di un periodo di nove mesi tra l’ultimo parere della commissione di disciplina reso nei summenzionati procedimenti disciplinari – ossia il parere emesso il 4 luglio 2000 nel procedimento avviato a carico del sig. Eveillard – e la decisione adottata dall’APN nei suoi confronti.

Procedimento penale dinanzi agli organi giudiziari belgi

26
Il 23 aprile 1998, a seguito della relazione d’indagine dell’UCLAF, la Commissione inviava al Procureur du roi di Bruxelles una denuncia relativa alle presunte irregolarità nell’assegnazione dell’appalto e nell’esecuzione del contratto di guardianato. Tale denuncia, alla quale era acclusa la relazione dell’UCLAF del 12 marzo 1998, riguardava le circostanze in cui l’appalto era stato attribuito, in particolare l’eventuale manipolazione dell’offerta della società IMS/Group 4, nonché la redazione degli allegati del contratto e la mancata consultazione della CCAC, l’esistenza e l’effettiva entità delle prestazioni e la regolarità delle procedure di assunzione delle persone che percepivano uno stipendio nell’ambito del contratto.

27
Il 1° marzo 2001, la Comunità europea, rappresentata dalla Commissione, si costituiva parte civile nel procedimento avviato dinanzi ai tribunali belgi nei confronti del ricorrente e dei sigg. Eveillard e Alexandre, quest’ultimo amministratore delegato della società aggiudicataria dell’appalto.

28
Il 27 marzo 2001, il Procureur du roi di Bruxelles presentava una richiesta di non luogo a procedere a seguito di formale incolpazione.

29
Il 4 maggio 2001, la Commissione depositava un’istanza dinanzi al giudice istruttore chiedendo l’esecuzione di atti istruttori supplementari, la quale veniva respinta con ordinanza 31 maggio 2001.

30
Il 15 giugno 2001, la Commissione interponeva appello contro tale ordinanza. Con sentenza 6 agosto 2001, la Chambre des mises en accusation della Cour d’appel di Bruxelles dichiarava l’appello della Commissione infondato.

31
Il 19 marzo 2002, la Chambre du conseil del Tribunal de première instance di Bruxelles pronunciava un’ordinanza di rigetto delle conclusioni depositate dalla Commissione all’udienza del 12 marzo 2002. La Chambre du conseil riteneva che il deposito tardivo di tale atto difensivo non fosse in alcun modo giustificato e che non esistessero elementi per ritenere sussistenti le violazioni considerate.

32
Il 2 aprile 2002, la Commissione proponeva appello contro tale ordinanza dinanzi alla Cour d’appel di Bruxelles.

33
Il 30 aprile 2002, il Procureur général presso la Cour d’appel di Bruxelles presentava istanza affinché la Chambre des mises en accusation della Cour d’appel dichiarasse infondato l’appello della Commissione, ritenendo che non vi fossero elementi a carico degli imputati.

34
Il 28 maggio 2002, la Chambre des mises en accusation della Cour d’appel di Bruxelles pronunciava una sentenza con la quale dichiarava infondato l’appello proposto dalla Commissione. Nella sua sentenza, la Cour d’appel di Bruxelles statuiva che non esisteva alcun elemento a carico degli imputati in ordine ai fatti ascritti relativi, in particolare, alla modifica dell’offerta, all’adozione dell’allegato in questione ed alla fatturazione, nell’ambito del contratto di guardianato, di prestazioni estranee all’esecuzione di tale contratto. La Cour d’appel di Bruxelles riteneva inoltre che la Commissione non avesse dimostrato di aver subito un danno. Non avendo la Commissione proposto ricorso per cassazione contro tale pronuncia, quest’ultima è diventata definitiva.


Procedimento e conclusioni delle parti

35
Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 10 dicembre 2001, il ricorrente ha proposto il presente ricorso.

36
Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Quinta Sezione) ha deciso di aprire la fase orale. Nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento, il Tribunale ha invitato le parti a produrre taluni documenti ed a rispondere per iscritto ad alcune domande. In particolare, il Tribunale ha invitato la Commissione a produrre il fascicolo disciplinare relativo al ricorrente. Le parti hanno ottemperato a tali richieste entro il termine assegnato.

37
Le parti hanno esposto le loro difese orali e risposto ai quesiti del Tribunale all’udienza pubblica del 2 dicembre 2003.

38
All’udienza, il ricorrente ha precisato, in risposta ad un quesito del Tribunale, che la somma chiesta a titolo di risarcimento del danno materiale e morale da egli asseritamente subito ammontava ad EUR 37 500. La Commissione, sempre in risposta ad un quesito del Tribunale, ha rinunciato ai propri argomenti secondo cui il capo della domanda relativo al preteso danno materiale subito dal ricorrente sarebbe irricevibile, in quanto presentato per la prima volta in sede di memoria di replica.

39
Il ricorrente conclude che il Tribunale voglia:

annullare la decisione dell’APN 5 aprile 2001;

condannare la convenuta al pagamento della somma di EUR 37 500 a titolo di risarcimento del danno materiale e morale subito;

condannare la convenuta a tutte le spese.

40
La Commissione conclude che il Tribunale voglia:

respingere il ricorso;

statuire sulle spese come di diritto.


In diritto

I – Quanto alla domanda di annullamento

41
A sostegno delle sue conclusioni dirette all’annullamento dell’atto impugnato, il ricorrente deduce, in primo luogo, un motivo relativo alla violazione delle regole di procedura e dei diritti della difesa nello svolgimento del procedimento disciplinare; in secondo luogo, un motivo riguardante un errore manifesto di valutazione dei fatti addebitatigli; in terzo luogo, un motivo relativo ad una violazione del principio di non discriminazione e, in quarto luogo, un motivo riguardante una violazione del principio del legittimo affidamento e di buona fede.

A – Quanto al primo motivo, relativo ad una violazione delle regole di procedura e dei diritti della difesa nello svolgimento del procedimento disciplinare

42
Il ricorrente sostiene che il procedimento disciplinare è stato inficiato da vizi di procedura, derivanti, a suo avviso, dalla violazione, da parte dell’APN, delle disposizioni dello Statuto che regolano tale procedimento, nonché dalla violazione dei diritti della difesa. Il ricorrente deduce in particolare le seguenti censure: il ritardo eccessivo nell’adozione della sanzione, la mancata sospensione del procedimento disciplinare malgrado l’esistenza di un procedimento penale, l’accesso tardivo e incompleto al fascicolo, il mancato inserimento nel fascicolo e la mancata trasmissione di importanti documenti, nonché l’omessa audizione di testimoni importanti.

1. Quanto al ritardo nell’adozione della sanzione

Argomenti delle parti

43
Il ricorrente sottolinea che la sanzione inflittagli è intervenuta più di otto anni dopo i fatti che gli vengono addebitati, mentre egli nel frattempo ha continuato ad esercitare le sue funzioni e ha garantito la continuità del servizio affidatogli senza alcun rilievo da parte dell’amministrazione.

44
La Commissione ricorda come lo Statuto, nelle disposizioni riguardanti il regime disciplinare applicabile ai dipendenti, non preveda alcun termine di prescrizione per l’avvio di un procedimento disciplinare.

Giudizio del Tribunale

45
Lo Statuto, agli artt. 86-89 e all’allegato IX, riguardanti il regime disciplinare applicabile ai dipendenti delle Comunità europee, non prevede alcun termine di prescrizione per l’avvio di un procedimento disciplinare nei confronti di un dipendente accusato di esser venuto meno ad uno dei suoi obblighi statutari. In proposito, è importante notare che un termine di prescrizione, per adempiere alla sua funzione di garantire la certezza del diritto, dev’essere previamente fissato dal legislatore comunitario (sentenze del Tribunale 17 ottobre 1991, causa T-26/89, de Compte/Parlamento, Racc. pag. II-781, punto 68, e 30 maggio 2002, causa T‑197/00, Onidi/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A-69 e II-325, punto 88).

46
Nondimeno, occorre ricordare come, per attenuare le possibili conseguenze negative derivanti dall’assenza di un termine di prescrizione riguardante l’esercizio, da parte dell’amministrazione, delle proprie competenze, la Corte abbia statuito che, in assenza di un termine siffatto, la fondamentale esigenza di certezza del diritto osta a che la Commissione possa ritardare indefinitamente l’esercizio dei suoi poteri e che, pertanto, il giudice comunitario, nell’esaminare una doglianza riguardante la tardività dell’azione della Commissione, non deve limitarsi a constatare l’inesistenza di un termine di prescrizione, ma deve verificare se la Commissione non abbia agito in modo eccessivamente tardivo (sentenze della Corte 14 luglio 1972, causa 52/69, Geigy/Commissione, Racc. pag. 787, punto 21, relativamente al potere della Commissione di infliggere ammende in caso di violazione delle regole di concorrenza, e 24 settembre 2002, cause riunite C-74/00 P e C-75/00 P, Falck e Acciaierie di Bolzano/Commissione, Racc. pag. I‑7869, punto 140, nel settore del controllo degli aiuti accordati ai sensi del Trattato CECA).

47
Per quanto riguarda, più in particolare, il regime disciplinare applicabile ai dipendenti comunitari, occorre preliminarmente ricordare che lo Statuto, pur non prevedendo alcun termine di prescrizione per l’avvio di un procedimento disciplinare, fissa nondimeno, nell’allegato IX, e più precisamente all’art. 7, termini rigorosi per lo svolgimento di tale procedimento. Secondo una costante giurisprudenza, i detti termini, pur senza essere perentori, sanciscono nondimeno una regola di buona amministrazione, il cui scopo è quello di evitare, nell’interesse sia dell’amministrazione che dei dipendenti, un ritardo ingiustificato nell’adozione della decisione che pone termine al procedimento disciplinare (sentenze della Corte 4 febbraio 1970, causa 13/69, Van Eick/Commissione, Racc. pag. 3; 29 gennaio 1985, causa 228/83, F/Commissione, Racc. pag. 275, e 19 aprile 1988, cause riunite 175/86 e 209/86, M/Consiglio, Racc. pag. 1891; sentenza de Compte/Parlamento, cit., punto 88). Dall’esigenza di una buona amministrazione, manifestata dal legislatore comunitario, consegue che le autorità competenti hanno l’obbligo di gestire diligentemente il procedimento disciplinare e di agire in modo che ciascun atto inerente all’esercizio dell’azione disciplinare intervenga in un termine ragionevole rispetto all’atto precedente (sentenze del Tribunale 26 gennaio 1995, causa T-549/93, D/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑13 e II-43, punto 25, e Onidi/Commissione, cit., punto 91). La mancata osservanza di tale termine, valutabile soltanto alla luce delle circostanze proprie del singolo caso, può determinare l’annullamento dell’atto tardivamente adottato (sentenze D/Commissione, cit., punto 25, e de Compte/Parlamento, cit., punto 88).

48
Tale dovere di diligenza e di rispetto di un termine ragionevole si impone anche in relazione all’avvio del procedimento disciplinare, segnatamente nel caso ed a partire dal momento in cui l’amministrazione abbia acquisito conoscenza dei fatti e dei comportamenti idonei a configurare violazioni degli obblighi incombenti a un dipendente in forza dello Statuto. Infatti, anche in assenza di un termine di prescrizione, le autorità competenti hanno l’obbligo di agire in modo che l’avvio del procedimento destinato a concludersi con l’inflizione di una sanzione intervenga entro un termine ragionevole (sentenza del Tribunale 19 giugno 2003, causa T-78/02, Voigt/BCE, Racc. PI pagg. I-A-89, II-471, punto 64). L’inosservanza di un termine ragionevole ai fini dell’avvio del procedimento disciplinare – la quale, anche in tal caso, va valutata alla luce delle circostanze proprie di ciascuna fattispecie – è idonea a determinare l’illegittimità del procedimento disciplinare avviato dall’amministrazione in modo eccessivamente tardivo e, dunque, a comportare l’annullamento della sanzione adottata all’esito di tale procedimento (v., per analogia, sentenza della Corte 27 novembre 2001, causa C-270/99 P, Z/Parlamento, Racc. pag. I-9197, punti 43 e 44; sentenze D/Commissione, cit., punto 25, e de Compte/Parlamento, cit., punto 88).

49
È importante altresì rilevare come il principio della certezza del diritto verrebbe rimesso in discussione qualora l’amministrazione ritardasse eccessivamente l’avvio del procedimento disciplinare. Infatti, tanto la valutazione da parte dell’amministrazione dei fatti e dei comportamenti idonei a configurare un illecito disciplinare quanto l’esercizio da parte del dipendente dei suoi diritti della difesa possono rivelarsi particolarmente difficili nel caso in cui sia decorso un lungo periodo di tempo tra il momento in cui tali fatti e comportamenti si sono verificati e l’inizio dell’indagine disciplinare. Infatti, da un lato, possono essere venuti meno testimoni e documenti importanti, tanto a carico quanto a discarico, e, dall’altro, diventa difficile per tutte le persone interessate e per i testimoni restituire fedelmente i loro ricordi dei fatti in questione e delle circostanze in cui si sono realizzati. È dunque importante ricordare, a titolo di esempio, che, nel caso di specie, il sig. De Haan – il quale, come sopra indicato, dirigeva l’UDS all’epoca dei fatti – è deceduto il 30 agosto 2000, ossia molto tempo dopo i fatti addebitati al ricorrente nella fattispecie, e tuttavia prima della conclusione del procedimento disciplinare che lo riguardava.

50
Di conseguenza, il Tribunale non può, nel caso di specie, limitare la propria verifica della fondatezza di tale addebito alla constatazione che non esisteva alcun termine di prescrizione nel settore in questione. Occorre dunque verificare se la Commissione non abbia agito in modo eccessivamente tardivo.

51
Occorre ricordare che il contratto di guardianato, la cui conclusione ed esecuzione costituiscono il fondamento del procedimento disciplinare avviato nei confronti del ricorrente, è stato firmato nell’ottobre 1992. L’elaborazione e la conclusione dell’allegato controverso, alle quali il ricorrente ha partecipato – fatto costituente l’addebito n. 3 mosso nei suoi confronti – hanno avuto luogo nel mese di ottobre 1992. La nota consultiva relativa a tale allegato, la cui mancata trasmissione legittima, secondo l’APN, l’addebito n. 4, è stata ritrovata nel gennaio 1993 e, ad avviso della Commissione, avrebbe dovuto essere trasmessa alla CCAC non oltre tale data. Quanto ai fatti costituenti l’oggetto dell’addebito n. 5, relativo alla pretesa violazione, da parte del ricorrente, del dovere di avvisare i propri superiori gerarchici del fatto che il suo collaboratore, il sig. Burlet, esercitava incarichi amministrativi malgrado venisse pagato nell’ambito del contratto di guardianato, occorre notare come il predetto sig. Burlet, che aveva già lavorato all’UDS dal 15 luglio 1992 al 15 marzo 1993 a titolo di supplente, sia stato assunto dalla IMS/Group 4 il 16 marzo 1993, in qualità di impiegato amministrativo incaricato di compiti amministrativi presso la Commissione, e come però egli abbia lavorato presso l’UDS in tale veste soltanto fino al 16 maggio 1993, per poi beneficiare di successivi congedi non retribuiti da parte della IMS/Group 4  (14) .

52
Risulta dal fascicolo che la Commissione aveva acquisito conoscenza delle presunte irregolarità relative alla conclusione ed all’esecuzione del contratto di guardianato ben prima della data di avvio del procedimento disciplinare. Infatti, risulta dalla relazione d’indagine amministrativa del 14 luglio 1998 (pag. 13) realizzata dal sig. Reichenbach che l’ufficio del presidente della Commissione era stato informato all’inizio dell’anno 1993 delle presunte irregolarità relative al contratto di guardianato  (15) . Nel gennaio 1993, il controllo finanziario ha rifiutato il proprio visto per il fatto che i pagamenti erano previsti in franchi belgi e non in ECU (v. supra, punto 10). Tale diniego di visto ha portato all’annullamento parziale dell’allegato controverso, mediante convenzione aggiuntiva sottoscritta il 27 gennaio 1993 (v. supra, punto 11). Il 17 febbraio 1993, la direzione generale «Controllo finanziario» della Commissione ha avviato un audit riguardante le attività dell’UDS e l’assegnazione del contratto di guardianato. La relazione finale della direzione generale «Controllo finanziario» porta la data del 7 luglio 1993 e fa riferimento a violazioni delle procedure di controllo e di approvazione delle operazioni finanziarie e dei contratti, e tratta, più specificamente, delle modifiche introdotte nel contratto di guardianato sottoposto alla CCAC, le quali – rileva la relazione – non erano state approvate da tale organo, erano contrarie ai termini ed alle condizioni del contratto e implicavano un aumento del costo delle prestazioni e una distorsione della concorrenza. La relazione d’indagine amministrativa del 14 luglio 1998 si riferisce a tale audit del mese di luglio 1993, rilevando che esso aveva fatto riferimento a «problemi sostanziali», ma che non era stato seguito da alcuna azione amministrativa o disciplinare, salvo il fatto che il sig. Eveillard non si era più viste attribuite le funzioni di capo del settore «Protezione Bruxelles».

53
Orbene, soltanto il 29 luglio 1998 l’APN ha avviato un procedimento disciplinare nei confronti del ricorrente. Pertanto, l’avvio del procedimento disciplinare si è verificato quasi sei anni dopo la realizzazione dei fatti ascritti. La sanzione, a sua volta, è stata irrogata soltanto il 5 aprile 2001, quasi tre anni dopo l’avvio del procedimento disciplinare.

54
Di conseguenza, ed alla luce delle circostanze del caso di specie, il Tribunale ritiene – considerato che i fatti addebitati al ricorrente risalgono al mese di ottobre 1992 e che la Commissione ha acquisito conoscenza delle presunte irregolarità in questione al più tardi tra i mesi di gennaio e luglio 1993 – che la detta istituzione abbia agito in maniera eccessivamente tardiva, avviando un procedimento disciplinare nei confronti del ricorrente soltanto il 29 luglio 1998. Tale violazione, da parte della Commissione, dell’obbligo di rispettare un termine ragionevole per l’avvio di un procedimento disciplinare costituisce una flagrante violazione dei principi di certezza del diritto e di buona amministrazione ed una violazione dei diritti della difesa, e comporta, di conseguenza, l’irregolarità del detto procedimento.

55
Consegue da quanto sopra che la presente censura è fondata.

2. Quanto alla mancata sospensione del procedimento disciplinare in attesa della conclusione del procedimento giurisdizionale

Argomenti delle parti

56
Il ricorrente rileva come l’APN non abbia accolto le sue ripetute richieste di sospensione del procedimento disciplinare, in attesa della conclusione dell’istruttoria del procedimento penale avviato a suo carico dinanzi ai tribunali belgi. Il ricorrente sostiene che era evidente che tale procedimento si sarebbe concluso con un non luogo a procedere.

57
La Commissione fa osservare come il procedimento disciplinare e quello penale non abbiano la medesima finalità, in quanto quest’ultimo riguarda eventuali violazioni del codice penale, mentre il primo ha ad oggetto le violazioni di taluni obblighi previsti dallo Statuto del personale che non hanno, per definizione, alcuna rilevanza penale, tenendo conto d’altronde che le sanzioni possono riguardare unicamente il rapporto di lavoro tra l’interessato e il suo datore di lavoro. La Commissione ricorda che la procedura applicabile in materia di regime disciplinare dei dipendenti non ha carattere giurisdizionale, bensì amministrativo (ordinanza della Corte 16 luglio 1998, causa C‑252/97 P, N/Commissione, Racc. pag. I-4871, punto 52).

58
All’udienza, e in risposta ad un quesito del Tribunale, la Commissione ha fatto valere che, nella fattispecie, non vi è stata alcuna sovrapposizione tra il procedimento penale ed il procedimento disciplinare, considerata la diversità dei fatti e delle relative qualificazioni giuridiche nei due procedimenti. Il procedimento penale sarebbe stato diretto, più specificamente, ad evidenziare eventuali delitti di falso, nonché di utilizzazione di atti falsi e di truffa, mentre il procedimento disciplinare sarebbe stato inteso a sanzionare negligenze ed omissioni configuranti violazioni degli obblighi professionali del ricorrente. È per tale motivo che, secondo la Commissione, l’APN ha deciso nel corso del procedimento disciplinare di separare la parte disciplinare da quella penale. La Commissione sostiene infine che la sospensione del procedimento disciplinare in attesa della conclusione del procedimento penale avrebbe notevolmente ritardato lo svolgimento del primo dei detti procedimenti.

Giudizio del Tribunale

59
L’art. 88, quinto comma, dello Statuto prevede che, «quando il funzionario sia sottoposto a procedimento penale per gli stessi fatti, la sua posizione sarà definitivamente regolata soltanto dopo il passaggio in giudicato della sentenza dell’autorità giudiziaria». Risulta da tale disposizione che è vietato all’APN regolare definitivamente, sul piano disciplinare, la posizione del dipendente interessato pronunciandosi su fatti costituenti l’oggetto di un procedimento penale concomitante, finché non sia passata in giudicato la decisione emessa dall’organo giurisdizionale penale adito (sentenza del Tribunale 13 marzo 2003, causa T‑166/02, Pessoa e Costa/Commissione, Racc. PI pagg. I-A-89, II-471, punto 45). Pertanto, l’art. 88, quinto comma, dello Statuto non conferisce un potere discrezionale all’APN incaricata di regolare definitivamente la posizione del dipendente nei cui confronti sia in corso un procedimento disciplinare, a differenza dell’art. 7, secondo comma, dell’allegato IX dello Statuto, in forza del quale la commissione di disciplina, nel caso in cui i fatti addebitati siano oggetto di azione promossa dinanzi ad un giudice penale, può decidere di soprassedere a formulare il proprio parere fino a quando non verrà emessa la decisione dell’autorità giudiziaria (sentenza del Tribunale 19 marzo 1998, causa T-74/96, Tzoanos/Commissione, Racc. PI pagg. I-A-129 e II-343, punti 32 e 33).

60
È importante notare preliminarmente che il ricorrente – come risulta dal fascicolo disciplinare che lo riguarda – ha segnalato al presidente della commissione di disciplina, con lettera dell’8 aprile 1999, che il procedimento disciplinare avviato nei suoi confronti doveva essere necessariamente preceduto da una decisione sulla fondatezza delle accuse elevate nei suoi confronti in sede penale dinanzi alle autorità giudiziarie belghe, e che egli ha chiesto, a norma dell’art. 88, quinto comma, dello Statuto, la sospensione del procedimento disciplinare in attesa della conclusione dell’istruttoria penale  (16) . A seguito della detta lettera, il 23 aprile 1999, il presidente della commissione di disciplina ha chiesto alla direzione generale del personale e dell’amministrazione della Commissione informazioni in merito all’esistenza, all’oggetto preciso ed allo stato del procedimento penale in questione  (17) . I servizi della detta direzione generale hanno quindi chiesto informazioni all’UCLAF con lettera 4 maggio 1999  (18) . L’UCLAF ha risposto con lettera 28 maggio 1999, confermando che la trasmissione degli atti al Procureur du roi di Bruxelles ad opera del segretariato generale della Commissione in data 23 aprile 1998 aveva determinato l’avvio di un’istruttoria formale dinanzi al giudice istruttore belga, sig. Van Espen, in data 19 maggio 1998  (19) . È infine importante notare che, nella sua memoria all’APN in data 25 maggio 2000, il ricorrente ha rinnovato la propria richiesta di sospensione del procedimento disciplinare in attesa della conclusione del procedimento penale  (20) .

61
Il procedimento penale avviato contro il ricorrente ha avuto termine con la sentenza 28 maggio 2002 della Chambre des mises en accusation della Cour d’appel di Bruxelles. Pertanto, tale sentenza, in assenza di ricorso in cassazione da parte della Commissione, costituisce la decisione definitiva dei giudici belgi nei confronti del ricorrente, ai sensi dell’art. 88, quinto comma dello Statuto.

62
Ora, va rilevato in proposito che il procedimento disciplinare relativo al ricorrente si è concluso prima del 28 maggio 2002, data della pronuncia della sentenza della Chambre des mises en accusation della Cour d’appel di Bruxelles. Infatti, l’APN ha adottato la decisione sanzionatoria nei confronti del ricorrente in data 5 aprile 2001. Il 10 settembre 2001, l’APN ha respinto il reclamo proposto dal ricorrente il 29 maggio dello stesso anno ai sensi dell’art. 90, n. 2, dello Statuto, confermando così la detta decisione.

63
La Commissione sostiene tuttavia che non vi è stata nella fattispecie alcuna sovrapposizione tra il procedimento penale e il procedimento amministrativo e che, pertanto, essa non era obbligata ad attendere la conclusione del procedimento penale prima di pronunciarsi definitivamente in merito alla posizione del ricorrente nell’ambito del procedimento disciplinare. Di conseguenza, occorre verificare se esistesse o no un’identità tra i fatti costituenti l’oggetto delle azioni penali e quelli sanzionati nell’ambito del procedimento disciplinare (sentenze Tzoanos/Commissione, cit., punto 35, e Onidi/Commissione, cit., punto 81).

64
Occorre dunque ricordare che in data 23 aprile 1998 la Commissione ha inviato al Procureur du roi di Bruxelles una denuncia relativa alle presunte irregolarità nell’assegnazione dell’appalto e nell’esecuzione del contratto di guardianato (v. supra, punto 26). Tale denuncia, alla quale era allegata la relazione dell’UCLAF del 12 marzo 1998, aveva ad oggetto le circostanze dell’attribuzione dell’appalto, in particolare l’eventuale manipolazione dell’offerta della società IMS/Group 4, la redazione degli allegati al contratto e la mancata consultazione della CCAC, nonché l’esistenza e l’effettiva entità delle prestazioni e la regolarità delle procedure di assunzione delle persone che percepivano uno stipendio nell’ambito del contratto.

65
A seguito di tale denuncia e delle misure disposte dal giudice istruttore, l’Ufficio centrale per la repressione della corruzione, presso la polizia giudiziaria di Bruxelles, ha elaborato una relazione di sintesi, datata 21 giugno 2000, contenente i risultati dell’indagine approfondita condotta nel caso in esame. In tale relazione, il commissario della polizia giudiziaria di Bruxelles, sig. L., ha ritenuto, in primo luogo, non provato che l’offerta della società IMS/Group 4 fosse stata modificata; in secondo luogo, che fosse stato sì firmato un allegato che modificava il contratto in modo sostanziale, ma che, sebbene la procedura di controllo preliminare non fosse stata integralmente rispettata, il controllo finanziario fosse stato nondimeno informato di tale allegato prima della firma del medesimo, e, in terzo luogo, che taluni agenti della società IMS Group 4, le cui prestazioni erano state fatturate nell’ambito del contratto di guardianato, avessero in effetti esercitato a vantaggio della Commissione funzioni che nulla avevano a che vedere con il detto contratto, ma che tale utilizzazione abusiva, diffusa a quell’epoca, fosse perfettamente nota alla Commissione.

66
Nella sua dichiarazione di costituzione di parte civile dinanzi al giudice istruttore, datata 1° marzo 2001, la Commissione ha fatto valere che essa aveva sofferto un danno quale conseguenza di un falso in atti commesso nell’ambito della gara d’appalto, nonché della fatturazione delle prestazioni fornite da persone che non avevano svolto incarichi nell’ambito della convenzione di guardianato.

67
Nella sua richiesta di non luogo a procedere previa formale incolpazione, datata 27 marzo 2001, il Procureur du roi ha concluso che non esistevano elementi sufficienti a carico del ricorrente e degli altri imputati, i sigg. Eveillard e Alexandre, per quanto riguardava, in primo luogo, la realizzazione di un falso in atti pubblici o privati, in secondo luogo, eventuali manipolazioni nell’ambito della gara d’appalto e, in terzo luogo, l’esistenza di personale non incaricato dell’esecuzione del contratto di guardianato, ma remunerato a tal titolo.

68
Nella sua sentenza del 6 agosto 2001, la Chambre des mises en accusation della Cour d’appel di Bruxelles ha ritenuto, in primo luogo, che le operazioni finanziarie in questione fossero state parzialmente approvate dalla CCAC e che, per il resto, esse fossero state approvate dal controllo finanziario e, in secondo luogo, che le pratiche relative all’utilizzazione abusiva del contratto di guardianato avessero avuto luogo a saputa della Commissione, essendo state organizzate ed avallate dagli organi di quest’ultima.

69
Nella sua ordinanza del 19 marzo 2002, la Chambre du conseil del Tribunal de première instance di Bruxelles ha statuito che non vi era alcun elemento che confermasse l’esistenza delle violazioni contestate e che, in particolare, il fascicolo non conteneva il benché minimo elemento che potesse indurre a ritenere che il ricorrente ed i sigg. Eveillard e Alexandre fossero stati animati da un qualsivoglia intento fraudolento.

70
Infine, il 28 maggio 2002, la Chambre des mises en accusation della Cour d’appel di Bruxelles ha pronunciato una sentenza che ha dichiarato infondato l’appello proposto dalla Commissione il 2 aprile 2002 contro l’ordinanza 19 marzo 2002. Nella sua sentenza, la Cour d’appel di Bruxelles ha statuito che non vi era alcun elemento a carico degli accusati per il capo di imputazione relativo alla modifica dell’offerta, all’adozione dell’allegato controverso ed alla fatturazione, nell’ambito del contratto di guardianato, di prestazioni estranee all’esecuzione del detto contratto.

71
Dall’insieme delle considerazioni sopra esposte risulta che i comportamenti che hanno costituito l’oggetto del procedimento penale possono essere classificati in tre gruppi distinti: in primo luogo, le circostanze dell’attribuzione dell’appalto dei servizi di guardianato, e segnatamente la presunta manipolazione dell’offerta risultata infine vincitrice; in secondo luogo, la redazione e la conclusione dell’allegato che ha modificato il contenuto del contratto e la mancata consultazione della CCAC in proposito; infine, in terzo luogo, l’esistenza di persone remunerate nell’ambito del contratto di guardianato per prestazioni che non rientravano tra gli incarichi previsti da quest’ultimo.

72
Il primo di tali gruppi di fatti, relativo alla presunta manipolazione dell’offerta, coincideva con l’oggetto dell’addebito n. 2, che è stato formulato dall’APN nei confronti del ricorrente con nota del 23 settembre 1998. Tuttavia, tale addebito non è stato successivamente convalidato dalla commissione di disciplina, che nel suo parere del 9 marzo 2000 lo ha respinto. Il secondo gruppo di fatti, relativo alla conclusione dell’allegato in questione ed alla mancata consultazione della CCAC, costituiva l’oggetto degli addebiti nn. 3 e 4, che l’APN ha posto a carico del ricorrente nella sua decisione sanzionatoria del 5 aprile 2001 e che sono stati confermati dalla decisione 10 settembre 2001 recante rigetto del reclamo. Allo stesso modo, il terzo gruppo di fatti costituiva il fondamento dell’addebito n. 5, del pari posto dall’APN a carico del ricorrente.

73
Di conseguenza, è giocoforza constatare come il procedimento disciplinare attivato contro il ricorrente riguardasse quegli stessi fatti che costituivano l’oggetto del procedimento penale. Pertanto, essendo soddisfatti i presupposti di applicazione dell’art. 88, quinto comma, dello Statuto, era vietato alla Commissione di pronunciarsi definitivamente sulla posizione del dipendente, sotto il profilo disciplinare, fino a che non fosse intervenuta una decisione definitiva degli organi giudiziari penali.

74
Tale conclusione non può essere infirmata dall’argomento con il quale la Commissione sostiene, da un lato, che le qualificazioni giuridiche dei fatti controversi erano diverse nell’ambito del procedimento penale e di quello disciplinare e, dall’altro, che le negligenze ed omissioni in concreto addebitate al ricorrente in occasione del procedimento disciplinare non configuravano un illecito penale che potesse essere sanzionato nell’ambito delle azioni penali avviate dinanzi agli organi giurisdizionali belgi.

75
La tesi della Commissione si basa su un’erronea lettura dell’art. 88, quinto comma, dello Statuto. Infatti, occorre precisare che tale disposizione risponde ad una duplice ratio. Da un lato, essa soddisfa l’esigenza di non incidere sulla posizione del dipendente interessato nell’ambito di azioni penali che vengano avviate nei suoi confronti in relazione a fatti che costituiscono anche l’oggetto di un procedimento disciplinare in seno alla sua istituzione di appartenenza (sentenza Tzoanos/Commissione, cit., punto 34). Dall’altro, la sospensione del procedimento disciplinare in attesa della conclusione del procedimento penale consente di prendere in considerazione, nell’ambito del detto procedimento disciplinare, constatazioni di fatto operate dal giudice penale, una volta che la decisione di quest’ultimo sia passata in giudicato. Al riguardo si deve ricordare come l’art. 88, quinto comma, dello Statuto sancisca il principio secondo cui «il penale blocca il disciplinare nello stato in cui si trova», il che si giustifica in particolare con il fatto che i giudici penali nazionali dispongono di poteri di indagine più ampi rispetto a quelli dell’APN (sentenza del Tribunale 21 novembre 2000, causa T‑23/00, A/Commissione, Racc. PI pagg. I-A-263 e II-1211, punto 37). Pertanto, nel caso in cui i medesimi fatti possano configurare un illecito penale ed una violazione degli obblighi statutari incombenti al dipendente, l’amministrazione è vincolata agli accertamenti di fatto compiuti dal giudice penale nell’ambito del procedimento di sua competenza. Una volta che quest’ultimo ha accertato l’esistenza dei fatti in questione nella fattispecie, l’amministrazione può procedere alla loro qualificazione giuridica alla luce della nozione di illecito disciplinare, verificando in particolare se essi costituiscano violazioni degli obblighi statutari (v., in tal senso, sentenza A/Commissione, cit., punto 35).

76
Infine, l’argomento della Commissione secondo cui la sospensione del procedimento disciplinare avrebbe ritardato notevolmente lo svolgimento del medesimo, e dunque la definizione ultima della posizione del ricorrente, non può essere accolto. Infatti, la Commissione, avendo atteso più di cinque anni e mezzo per avviare il procedimento disciplinare nei confronti del ricorrente, non poteva invocare il rischio di un eventuale ritardo per giustificare la propria decisione di non attendere la conclusione del procedimento giurisdizionale per regolare definitivamente la posizione del ricorrente stesso sotto il profilo disciplinare. Occorre inoltre constatare come il ricorrente, a più riprese, abbia effettivamente sollecitato la sospensione del procedimento disciplinare. Orbene, posto che le decisioni dei giudici penali belgi erano favorevoli ad un non luogo a procedere a favore del ricorrente, tali richieste di sospensione non rientravano assolutamente in una tattica dilatoria di quest’ultimo, il quale aveva infatti tutto l’interesse a che il procedimento disciplinare tenesse conto di un’eventuale decisione definitiva del giudice penale dichiarativa dell’infondatezza delle imputazioni formulate a suo carico.

77
Pertanto, è giocoforza constatare che la Commissione ha violato l’art. 88, quinto comma, dello Statuto, adottando una sanzione disciplinare nei confronti del ricorrente senza attendere la decisione definitiva del giudice penale, e la doglianza del ricorrente va pertanto accolta.

78
Dall’insieme delle considerazioni che precedono deriva che la Commissione ha commesso una violazione delle regole di procedura, dei diritti della difesa e dei principi di certezza del diritto e di buona amministrazione. Pertanto, occorre dichiarare fondato il primo motivo, senza che sia necessario esaminare le altre doglianze prospettate dal ricorrente.

B – Quanto al secondo motivo, relativo ad un manifesto errore di valutazione dei fatti addebitati al ricorrente

1. Quanto all’addebito n. 4, relativo alla mancata consultazione della CCAC

Argomenti delle parti

79
Il ricorrente sostiene che è pacifico che egli ha effettivamente predisposto la nota consultiva relativa all’allegato in questione e destinata alla CCAC, e che tale nota è stata vistata dal sig. Eveillard e sottoscritta dal sig. De Haan. Tale nota sarebbe andata smarrita negli archivi dell’UDS e dunque non sarebbe giunta al suo destinatario per ragioni totalmente indipendenti dalla volontà del ricorrente. Una volta ritrovata la nota suddetta, il ricorrente avrebbe informato i suoi superiori gerarchici della necessità di inviarla, sia pure tardivamente; sarebbe quindi stato con perfetta cognizione di causa che questi ultimi avrebbero ritenuto che non fosse utile inviare tale nota alla CCAC, fermo restando che non sarebbe spettato al ricorrente agire contro le loro decisioni.

80
La Commissione rileva come sia dimostrato che l’allegato in questione non è stato sottoposto alla CCAC per un parere, ed afferma altresì che il ricorrente non ha provato di aver informato in modo appropriato i propri superiori dell’obbligo di consultazione della CCAC e che egli avrebbe dovuto confermare per iscritto i propri avvertimenti. Quanto alle allegazioni del ricorrente secondo cui non spettava a lui agire contro le decisioni dei suoi superiori, la Commissione ricorda il disposto dell’art. 21, terzo comma, dello Statuto e rileva come la giurisprudenza relativa a tale disposizione confermi che un dipendente non può invocare le eventuali responsabilità dei propri superiori gerarchici per sfuggire a quelle che gli incombono (sentenza Tzoanos/Commissione, cit., punti 188 e segg.).

Giudizio del Tribunale

81
A norma dell’art. 68 delle disposizioni del regolamento di esecuzione del regolamento finanziario, la previa consultazione della CCAC in merito all’allegato controverso era obbligatoria nel caso di specie, tenuto conto del fatto che esso modificava sostanzialmente le condizioni finanziarie del contratto di guardianato. Al riguardo occorre rilevare che l’addebito concretamente posto a carico del ricorrente consisteva nel fatto che egli avrebbe omesso di avvertire in modo appropriato i suoi superiori dell’obbligo di consultazione della CCAC.

82
Orbene, occorre constatare che il sig. Eveillard, superiore del ricorrente, ha confermato dinanzi alla commissione di disciplina di essere stato informato dal ricorrente che bisognava consultare la CCAC in merito alla convenzione aggiuntiva al contratto di guardianato  (21) . Allo stesso modo, la Commissione non contesta il fatto che il ricorrente ha preparato nel novembre 1992 una nota consultiva riguardante l’allegato al contratto, destinata alla CCAC, e che tale nota è stata vistata dal sig. Eveillard e sottoscritta dal sig. De Haan. È altresì pacifico che tale nota è andata smarrita negli archivi dell’UDS. Del pari incontestato è che la decisione di non inviare tale nota consultiva, una volta ritrovata, alla CCAC è stata presa dai sigg. De Haan ed Eveillard, superiori del ricorrente.

83
Alla luce di quanto precede, il Tribunale ritiene che la tesi della Commissione secondo cui il ricorrente avrebbe dovuto formulare per iscritto i suoi avvertimenti e, non avendolo fatto, condividerebbe la responsabilità dei suoi superiori gerarchici per non aver consultato la CCAC, non possa essere accolta nelle circostanze del caso di specie. Infatti, posto che il ricorrente ha informato oralmente i suoi superiori dell’obbligo di consultazione, ha trasmesso al controllo finanziario il contratto con i relativi allegati ed ha preparato la nota consultiva destinata alla CCAC, non può essere convalidato l’addebito ascrittogli, secondo cui egli non avrebbe avvertito in modo appropriato i propri superiori gerarchici per il semplice fatto di non avervi provveduto in forma scritta.

84
Per giunta, quanto alla mancata consultazione a posteriori della CCAC nel momento in cui la nota consultiva è stata ritrovata, nel gennaio 1993, occorre rilevare che l’effetto utile di una siffatta consultazione tardiva sarebbe stato soltanto limitato. Infatti, non soltanto il contratto di guardianato era già in corso di esecuzione, ma anche, il 27 gennaio 1993, a seguito di un diniego di visto del controllo finanziario relativamente ad un ordine di pagamento, era stato sottoscritto l’allegato 3 al contratto, che annullava, a partire dal 1° febbraio 1993, le pattuizioni dell’allegato 1 in ordine alla clausola di revisione riguardante le fluttuazioni del tasso di cambio dell’ecu rispetto al franco belga.

85
Pertanto, l’addebito n. 4, riguardante la mancata trasmissione alla CCAC della nota consultiva relativa alla convenzione aggiuntiva in questione, è infondato.

2. Quanto all’addebito n. 5, relativo all’utilizzazione abusiva del contratto di guardianato

Argomenti delle parti

86
Quanto all’addebito n. 5, relativo all’utilizzazione abusiva del contratto di guardianato, in particolare per quanto riguarda l’assunzione del sig. Burlet per lo svolgimento di incarichi amministrativi, quando questi veniva invece retribuito dalla società aggiudicataria dell’appalto, il ricorrente rileva che tale prassi era usuale a quell’epoca, era nota ai funzionari della Commissione di più alto grado e, in definitiva, sarebbe stata organizzata e avallata dalla stessa Commissione. Il ricorrente non avrebbe assolutamente avuto alcuna responsabilità nell’assunzione del sig. Burlet, il che d’altronde non sarebbe rientrato nelle sue attribuzioni, le quali sarebbero state limitate alla preparazione dei documenti per la liquidazione delle fatture della società aggiudicataria.

87
La Commissione ricorda che al ricorrente viene addebitato il suo atteggiamento di tolleranza, o addirittura di partecipazione, riguardo all’utilizzazione abusiva del contratto di guardianato – circostanza questa che il ricorrente non avrebbe contestato – e non anche la responsabilità per l’assunzione di personale, compresa quella del sig. Burlet. Sarebbe tale conoscenza dei fatti, unita all’omessa segnalazione dei medesimi ed alla mancata presa di distanza da essi nei modi opportuni, che costituirebbe l’oggetto dell’addebito n. 5. Quanto alla tesi del ricorrente relativa all’assenza di un intervento diretto da parte sua nella gestione del contratto di guardianato, la Commissione rileva che la funzione di esso ricorrente di responsabile dell’unità finanziaria dell’UDS non lo liberava da qualsiasi responsabilità in proposito, e che anzi egli era, per questo motivo, tanto maggiormente tenuto ad informare i suoi superiori dell’utilizzazione abusiva del detto contratto. Il fatto che pratiche siffatte corrispondessero ad una «prassi corrente» a quell’epoca – circostanza questa contestata dalla Commissione – non farebbe venir meno il carattere illecito del comportamento in questione, né esonererebbe il ricorrente dalla sua responsabilità al riguardo.

Giudizio del Tribunale

88
Occorre anzitutto precisare che le pratiche in questione non consistevano nell’utilizzazione del contratto di guardianato al fine di remunerare fraudolentemente persone che non avevano effettuato alcuna prestazione a favore della Commissione, bensì nell’assunzione, nell’ambito del detto contratto, di persone chiamate a svolgere effettivamente determinati incarichi in seno alla Commissione, diversi però da quelli previsti nel contratto di guardianato.

89
Risulta dai vari elementi del fascicolo che l’assunzione di personale per lo svolgimento di incarichi amministrativi in sede di esecuzione del contratto di guardianato costituiva una prassi corrente a quell’epoca e che essa era generalmente nota all’interno della Commissione. La decisione che ha inflitto la sanzione disciplinare ha dunque considerato come circostanza attenuante a favore del ricorrente il fatto che «la prassi dell’epoca seguita all’UDS non era anomala». La relazione di sintesi formata il 21 giugno 2000 dal sig. L., commissario dell’Ufficio centrale per la repressione della corruzione, della polizia giudiziaria di Bruxelles, a seguito dell’indagine condotta da tale servizio di polizia, ha rilevato in proposito (pag. 10) che «[tale utilizzazione asseritamente abusiva del contratto] veniva effettuata, apparentemente, a saputa di tutti, ed anche con generale soddisfazione» e che «[s]ono dunque stati gli stessi organi della Commissione europea a organizzare e ad avallare tale prassi». Anche le successive decisioni dei giudici penali belgi hanno provato che tale prassi era stata organizzata ed avallata dagli organi della Commissione.

90
L’esistenza e la generale accettazione di una prassi in tal senso in seno alla Commissione risultano del pari confermate dalla lettera datata 5 ottobre 1987 del sig. Hay, all’epoca direttore generale del personale e dell’amministrazione della Commissione, indirizzata al sig. De Haan. Tale lettera aveva come oggetto la suddivisione delle competenze tra l’UDS e la direzione generale del personale e dell’amministrazione e faceva riferimento ad una riunione del comitato di sicurezza svoltasi il 23 luglio 1987. In tale lettera si legge quanto segue: «Il comitato di sicurezza [aveva] accettato il principio secondo cui “il personale intervigilanza che assicura lo svolgimento di servizi di guardianato o [di] sicurezza o di incarichi misti [verrebbe] posto sotto l’autorità e la gestione dell’UDS. Soltanto il personale con compiti puramente amministrativi rientrerebbe sotto la [direzione generale del personale e dell’amministrazione]. Un contratto distinto potrebbe eventualmente essere preso in considerazione per tale categoria di personale”». A questo proposito, il sig. Hay, dopo aver constatato che «la quasi totalità del personale di sorveglianza [assicurava all’epoca l’espletamento] di compiti amministrativi e di sicurezza, malgrado che il rispettivo peso [variasse] a seconda dell’incarico e/o dell’immobile», e che, per contro, «il personale con compiti puramente amministrativi era poco numeroso», ha rilevato che« [gli pareva] inopportuno elaborare contratti distinti che avrebbero appesantito la gestione di bilancio ed avrebbero potuto, in progresso di tempo, essere fonte di conflitti di competenza qualora la natura dei compiti di taluno di questi agenti avesse assunto carattere più amministrativo ovvero più di controllo».

91
Da quanto precede risulta che la prassi consistente nell’assumere personale per svolgere compiti amministrativi nell’ambito del contratto di guardianato non soltanto era nota alla Commissione e non era inusuale, come ricordato dalla decisione 5 aprile 2001, ma era stata altresì organizzata ed avallata dalle competenti direzioni generali della Commissione e faceva parte della loro politica di gestione delle risorse umane, al fine di sopperire alla cronica mancanza di personale ad esse assegnato, per svolgere le funzioni attribuite ai diversi servizi della Commissione.

92
Il Tribunale ritiene che sia ingiustificato addebitare ad un dipendente della categoria B – il quale, ai sensi dell’art. 5, n. 1, dello Statuto, è chiamato a svolgere funzioni di esecuzione e di inquadramento, ma non di direzione, essendo queste riservate ai dipendenti della categoria A – di aver violato gli obblighi statutari che gli incombono per il semplice fatto di non aver segnalato che un collaboratore veniva pagato dalla società aggiudicataria del contratto di guardianato, quando invece tale prassi era stata organizzata dai diversi servizi della Commissione, aveva carattere generalizzato, era stata promossa dai più alti gradi dell’istituzione e, ancorché irregolare, non aveva di per sé carattere fraudolento.

93
Alla luce delle circostanze sopra esposte, e segnatamente del fatto che il ricorrente non ha partecipato direttamente all’introduzione di una prassi siffatta né all’assunzione del sig. Burlet, occorre concludere che l’APN non può porre a carico del ricorrente medesimo un addebito fondato sul semplice fatto che egli non avrebbe segnalato che il sig. Burlet, suo collaboratore, aveva esercitato per tre mesi compiti meramente amministrativi ricevendo la sua retribuzione dalla società aggiudicataria dell’appalto dei servizi di guardianato, ovvero che egli non avrebbe preso le distanze da tale situazione nei modi opportuni.

94
Pertanto, l’addebito n. 5, relativo all’utilizzazione abusiva del contratto di guardianato, è infondato.

3. Quanto all’addebito n. 1, relativo all’esistenza di un comportamento colpevole sul piano professionale e di gravi negligenze in ordine al rispetto delle regole di gestione finanziaria

Argomenti delle parti

95
Il ricorrente ricorda come la relazione di audit del sig. De Moor abbia dimostrato che erano riscontrabili soltanto alcuni errori derivanti da una gestione irregolare. Il ricorrente fa valere che egli non ha mai dovuto subire il benché minimo rilievo da parte dei suoi superiori gerarchici, e che anzi costoro si sono più volte congratulati con lui, come attestato dai rapporti informativi che lo riguardano.

96
La Commissione sostiene che il ricorrente non ha contestato la fondatezza dell’addebito n. 1. I rapporti informativi citati dal ricorrente non avrebbero avuto lo scopo di valutare o di qualificare i fatti che sono alla base del procedimento disciplinare.

Giudizio del Tribunale

97
Il Tribunale ritiene che l’addebito n. 1, relativo all’esistenza di un comportamento colpevole sul piano professionale ed alla commissione di gravi negligenze in ordine al rispetto delle regole di gestione finanziaria, in particolare nella formazione e nell’esecuzione del contratto di guardianato con la IMS/Group 4, non costituisca un addebito autonomo e che esso sia riferito alla partecipazione del ricorrente alla formazione dell’allegato controverso ed alla mancata consultazione della CCAC. Pertanto, occorre concludere che le considerazioni poste a fondamento di tale addebito non hanno natura autonoma e indipendente da quelle sulle quali si fondano gli addebiti nn. 3 e 4.

4. Quanto all’addebito n. 6, relativo alla violazione, da parte del ricorrente, dell’art. 11, primo comma, dello Statuto, per aver egli omesso di esercitare le proprie funzioni nell’interesse esclusivo della Comunità

Argomenti delle parti

98
Il ricorrente contesta la tesi dell’APN secondo cui egli non avrebbe svolto le proprie funzioni nell’interesse esclusivo delle Comunità, in quanto avrebbe omesso di avvisare i suoi superiori delle conseguenze della mancata consultazione della CCAC.

99
La Commissione afferma che la convenzione aggiuntiva al contratto di guardianato era lesiva degli interessi finanziari della Comunità e che il ricorrente non contesta tale circostanza.

Giudizio del Tribunale

100
L’addebito in questione si riferisce alle medesime condotte cui si riferiscono gli addebiti nn. 1, 3 e 4, e segnatamente alle conseguenze derivanti dalle irregolarità imputate al ricorrente, in particolare la predisposizione dell’allegato in questione e l’omessa consultazione della CCAC. Pertanto, il Tribunale reputa che tale addebito non abbia un contenuto autonomo e indipendente da quello degli addebiti nn. 1, 3 e 4.

101
Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che occorre dichiarare fondato anche il secondo motivo, senza che sia necessario statuire sulla fondatezza dell’addebito n. 3, in considerazione del carattere unico e indivisibile della sanzione disciplinare disposta con la decisione impugnata e del fatto che tale sanzione si fonda sugli addebiti accolti in tale decisione considerati nel loro complesso (v., in tal senso, sentenze del Tribunale 9 luglio 2002, causa T-21/01, Zavvos/Commissione, Racc. PI pagg. I-A-101 e II-483, punto 316, e 11 settembre 2002, causa T-89/01, Willeme/Commissione, Racc. PI pagg. I-A-153 e II-803, punto 83).

102
Di conseguenza, senza che sia necessario statuire sugli altri motivi dedotti dal ricorrente, occorre dichiarare fondato il presente ricorso e annullare la decisione impugnata.

II – Quanto alla domanda di risarcimento

Argomenti delle parti

103
Il ricorrente afferma di aver subito un notevole danno morale a causa degli sviluppi di tale vicenda, in particolare per le sottili persecuzioni che avrebbe subito dal 1992 da parte di alcuni inquirenti e delle gravi accuse mosse nei suoi confronti, che sono state diffuse tanto all’interno che all’esterno dell’istituzione, pregiudicando la sua reputazione e il suo onore. Il clima di sospetto in tal modo creato dall’autorità ha turbato, a suo dire, la sua vita sociale e familiare. Egli avrebbe inoltre sofferto problemi di salute generati dallo stress provocato da tale situazione. La Commissione, malgrado le indagini minuziose condotte dai magistrati inquirenti di Bruxelles, non avrebbe esitato ad agire in maniera dilatoria al fine di ritardare la conclusione del processo penale, che era destinato a scagionare completamente il ricorrente.

104
Relativamente alla quantificazione di tale danno, il ricorrente propone un importo valutato in via equitativa in EUR 37 500. Il ricorrente si richiama altresì all’errore compiuto dalla Commissione nell’infliggergli una sanzione, nonché al fatto che egli si è visto costretto a presentare un reclamo ai sensi dell’art. 90, n. 2, dello Statuto contro la decisione che ha rifiutato di promuoverlo al grado B 2. Egli fa valere che, per far fronte alle diverse procedure, ha dovuto sostenere spese legali provvisoriamente stimate in EUR 7 736,81.

105
Al riguardo, la Commissione, in sostanza, contesta che l’indagine condotta nella fattispecie possa essere qualificata come comportamento persecutorio e fa valere che il presunto nocumento portato all’onore del ricorrente ed i problemi di salute del medesimo sarebbero – anche a supporli provati – conseguenze del fatto che egli, non conformandosi ai suoi obblighi statutari, si sarebbe esposto al rischio di un procedimento disciplinare. Quanto al reclamo proposto dal ricorrente contro la decisione recante il diniego di promozione, la Commissione rileva come tale procedimento non influisca in alcun modo sulla presente vicenda. Infine, la Commissione conclude che il danno non è dimostrato e che non sussistono i presupposti per un risarcimento. Quanto alla durata dell’indagine, la Commissione ricorda che lo Statuto non prevede alcun termine di prescrizione per l’avvio di un procedimento disciplinare e che, se è vero che all’inizio di un procedimento siffatto l’APN deve presumere l’innocenza dell’interessato, nondimeno essa può abbandonare tale presunzione una volta accertati i fatti posti a carico del predetto.

106
Ad ogni modo, la Commissione rinnova l’offerta di EUR 500 a titolo di riparazione del danno morale, per compensare la prolungata incertezza in cui si sarebbe trovato il ricorrente tra la data dell’ultimo parere della commissione di disciplina ed il momento della decisione disciplinare finale.

Giudizio del Tribunale

107
Secondo una costante giurisprudenza, l’insorgere della responsabilità della Comunità presuppone che risultino dimostrate l’illiceità del comportamento addebitato alle istituzioni, l’esistenza e l’effettiva portata del danno e la sussistenza di un nesso di causalità tra il comportamento in questione ed il danno lamentato (sentenze del Tribunale 9 febbraio 1994, causa T-3/92, Latham/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑23 e II‑83, punto 63; 15 febbraio 1996, causa T-589/93, Ryan‑Sheridan/FEACVT, Racc. PI pagg. I‑A‑27 e II‑77, punto 141; 28 settembre 1999, causa T-140/97, Hautem/BEI, Racc. PI pagg. I‑A‑171 e II‑897, punto 83, e Willeme/Commissione, cit., punto 94).

108
Quanto alla prima condizione, ossia l’illiceità del comportamento dell’istituzione, si deve rilevare che il Tribunale ha statuito nella presente sentenza che la Commissione ha commesso, nella fattispecie, varie violazioni dello Statuto e dei principi che governano il procedimento disciplinare, le quali si sono concretizzate nella controversa decisione 5 aprile 2001. Secondo il Tribunale, tale comportamento della Commissione costituisce un illecito amministrativo idoneo a far sorgere la responsabilità dell’istituzione. Pertanto, occorre a questo punto verificare l’esistenza e l’effettiva portata dei danni lamentati nonché il sussistere di un nesso di causalità tra il comportamento addebitato alla Commissione e tali danni.

109
In primo luogo, quanto al danno materiale, il Tribunale ritiene che il ricorrente nei suoi scritti difensivi non ne abbia precisato né la natura né l’entità. Infatti, il ricorrente si è limitato a fare riferimento alle spese legali che avrebbe sostenuto per affrontare i vari procedimenti, nonché all’erronea applicazione della sanzione ed al fatto che si sarebbe visto costretto a proporre un reclamo contro una decisione recante diniego di promozione. Per quanto riguarda le spese legali, occorre affermare che le spese relative allo svolgimento dei procedimenti penali non possono essere rimborsate nell’ambito della presente causa, in assenza di un nesso di causalità tra tale presunto danno e l’illecito commesso dalla Commissione. Per quanto riguarda, in generale, le conseguenze finanziarie dell’applicazione della sanzione disciplinare, e in particolare la perdita di reddito conseguente alla decisione di retrocessione di scatto, è sufficiente ricordare che, ai sensi dell’art. 233 CE, la Commissione è tenuta a prendere i provvedimenti che l’esecuzione della presente sentenza comporta. Infine, quanto agli asseriti danni derivanti dal diniego di promozione fatti valere dal ricorrente, essi non riguardano il presente procedimento.

110
Per quanto riguarda il danno morale, secondo una costante giurisprudenza, tranne che in casi particolari, l’annullamento di una decisione impugnata da un dipendente costituisce, di per sé, una riparazione adeguata e, in linea di principio, sufficiente del danno che egli può aver subito (sentenze del Tribunale 27 febbraio 1992, causa T‑165/89, Plug/Commissione, Racc. pag. II‑367, punto 118; Hautem/BEI, cit., punto 82, e Willeme/Commissione, cit., punto 97). Tuttavia, occorre sottolineare che nel caso di specie le varie decisioni e i pareri amministrativi facenti parte del procedimento disciplinare hanno formulato accuse nei confronti del ricorrente che si sono rivelate inesatte. Inoltre, la Commissione ha avviato il procedimento disciplinare in violazione del principio del termine ragionevole, laddove poi tale procedimento si è protratto per quasi tre anni fino all’inflizione della sanzione. Infine, la Commissione non ha sospeso il procedimento disciplinare in attesa della conclusione del procedimento penale avviato nei confronti del ricorrente. Il Tribunale ritiene che tale insieme di circostanze abbia cagionato al ricorrente un pregiudizio alla sua reputazione e perturbamenti nella sua vita privata e l’abbia posto in uno stato di prolungata incertezza. Tali fatti configurano un danno morale che deve essere risarcito. Al riguardo, non si può ritenere che tale danno risulti adeguatamente ristorato in virtù dell’annullamento della decisione impugnata. Infatti, tale annullamento, nelle particolari circostanze del caso di specie, non è in grado di eliminare retroattivamente il danno morale subito dal ricorrente.

111
Di conseguenza, la Commissione va condannata a pagare al ricorrente un importo a titolo di risarcimento del danno morale da egli sofferto. Il Tribunale ritiene che l’importo di EUR 500 offerto dalla Commissione al ricorrente non sia sufficiente per compensare adeguatamente il danno morale subito. Alla luce delle circostanze del caso di specie, il Tribunale fissa in via equitativa l’importo di tale risarcimento in misura pari ad EUR 8 000.


Sulle spese

112
Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. La Commissione, rimasta soccombente, dev’essere dunque condannata a sopportare tutte le spese, in conformità delle conclusioni presentate in tal senso dal ricorrente.


Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)
La decisione della Commissione 5 aprile 2001, che ha inflitto al ricorrente la sanzione disciplinare della retrocessione di uno scatto, è annullata.

2)
La Commissione è condannata a versare al ricorrente un importo di EUR 8 000 a titolo di risarcimento del danno morale da lui sofferto.

3)
La Commissione sopporterà tutte le spese.

Lindh

García-Valdecasas

Cooke

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 10 giugno 2004.

Il cancelliere

Il presidente

H. Jung

P. Lindh


1
Lingua processuale: il francese.


2
Allegato 1 della risposta della Commissione alle misure di organizzazione del procedimento, pagg. 321, ultimo trattino, e 322, trattini 1‑3.


3
Allegato 5 della risposta della Commissione, pag. 400.


4
Allegato 1 della risposta della Commissione, pag. 241, punto 31; pag. 323, quarto capoverso.


5
Allegato 5 della risposta della Commissione, pag. 401.


6
Allegato 5 della risposta della Commissione, pag. 407, punti 6 e 7; pag. 410, punto 2.1.1; pag. 411, punti 2.1.2 e 2.2; pag. 412, punto B.


7
Allegato 1 della risposta della Commissione, pag. 314, terzo capoverso; allegato 3 a, pag. 360, primo capoverso.


8
Allegato 3 della risposta della Commissione, pag. 357.


9
Allegato 1 della risposta della Commissione, pag. 303.


10
Allegato 1 della risposta della Commissione, pagg. 299 e 300.


11
Allegato 1 della risposta della Commissione, pag. 244.


12
Allegato 1 della risposta della Commissione, pag. 234.


13
Allegato I 2 del ricorso introduttivo, pag. 1; allegato 1 della risposta della Commissione, pag. 138.


14
Allegato 1 della risposta della Commissione, pag. 326, nota a piè di pagina n. 15.


15
Allegato 1 della risposta della Commissione, pag. 323, primo e secondo capoverso.


16
Allegato 1 della risposta della Commissione, pag. 226.


17
Allegato 1 della risposta della Commissione, pag. 230.


18
Allegato 1 della risposta della Commissione, pag. 223.


19
Allegato 1 della risposta della Commissione, pag. 222.


20
Allegato 1 della risposta della Commissione, pag. 144.


21
Allegato I 1 dell'atto introduttivo, pag. 2, primo capoverso.