Language of document : ECLI:EU:T:2012:431

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Ottava Sezione)

18 settembre 2012 (*)

«Dumping – Importazioni di assi da stiro originarie della Cina – Apertura di un procedimento nei confronti di una sola società – Status di impresa operante in economia di mercato – Termine di tre mesi previsto all’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), secondo comma, del regolamento (CE) n. 1225/2009 – Onere della prova – Determinazione del pregiudizio»

Nella causa T‑156/11,

Since Hardware (Guangzhou) Co., Ltd, con sede in Canton (Cina), rappresentata da V. Akritidis e Y. Melin, avocats,

ricorrente,

contro

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da B. Driessen, in qualità di agente, assistito da B. O’Connor, solicitor, e S. Gubel, avocat,

convenuto,

sostenuto da

Commissione europea, rappresentata da S. Thomas e H. van Vliet, in qualità di agenti,

e da

Vale Mill (Rochdale) Ltd, con sede in Rochdale (Regno Unito),

Colombo New Scal SpA, con sede in Rovagnate (Italia),

rappresentate da G. Berrisch, avocat, e N. Chesaites, barrister,

intervenienti

avente ad oggetto una domanda di annullamento del regolamento di esecuzione (UE) n. 1243/2010 del Consiglio, del 20 dicembre 2010, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di assi da stiro originarie della Repubblica popolare cinese prodotte dalla società Since Hardware (Guangzhou) Co., Ltd (GU L 338, pag. 22),

IL TRIBUNALE (Ottava Sezione),

composto da L. Truchot, presidente, M. E. Martins Ribeiro (relatore) e A. Popescu, giudici,

cancelliere: C. Kristensen, amministratore,

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 2 maggio 2012,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Contesto normativo

 La normativa dell’OMC

1        L’articolo VI, paragrafo 1, dell’accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio del 1994 (GATT) stabilisce che «[l]e parti contraenti riconoscono che il dumping, che permette l’introduzione dei prodotti di un paese sul mercato di un altro paese ad un prezzo inferiore al loro valore normale, è condannabile se causa o minaccia di causare un pregiudizio importante per una produzione in atto di una parte contraente o se ritarda sensibilmente la creazione di una produzione nazionale».

2        L’accordo relativo all’applicazione dell’articolo VI del GATT (GU 1994, L 336, pag. 103; in prosieguo: l’«accordo antidumping») compare all’allegato 1 A dell’accordo che istituisce l’organizzazione mondiale del commercio (OMC) (GU 1994, L 336, pag. 1).

3        L’articolo 1 dell’accordo antidumping precisa quanto segue:

«Una misura antidumping si applica soltanto nei casi previsti dall’articolo VI del GATT (...) e a seguito di inchieste aperte e condotte in conformità con il presente accordo (...)».

4        Ai sensi dell’articolo 3.1 dell’accordo antidumping, «[l]a determinazione di un pregiudizio ai fini dell’articolo VI del GATT (...) deve basarsi su elementi di prova diretti e comportare un esame obiettivo a) del volume delle importazioni oggetto di dumping e del loro effetto sui prezzi dei prodotti simili sul mercato interno e b) dell’incidenza di tali importazioni sui produttori nazionali di tali prodotti».

5        L’articolo 3.4 dell’accordo antidumping stabilisce che «[l]’esame dell’incidenza delle importazioni oggetto di dumping sull’industria nazionale interessata deve comportare una valutazione di tutti i fattori e indicatori economici pertinenti che influiscono sul suo andamento, come la diminuzione reale o potenziale della produzione, delle vendite, dei profitti, della quota di mercato, della produttività, della redditività degli investimenti o dello sfruttamento della capacità; dei fattori che incidono sui prezzi interni; dell’entità del margine di dumping; degli effetti negativi, reali e potenziali, sul flusso di cassa, sulle scorte, sull’occupazione, sui salari, sulla crescita, sulla reperibilità di capitali o investimenti[; q]uesto elenco non è esauriente, né i criteri citati, singolarmente o combinati, costituiscono necessariamente una base di giudizio determinante».

6        L’articolo 5.2 dell’accordo antidumping ha il seguente tenore letterale:

«La domanda di cui al paragrafo 1 deve contenere le prove relative all’esistenza a) del dumping, b) del pregiudizio ai sensi dell’articolo VI del GATT (...) così come interpretato nel presente accordo e c) del nesso di causalità fra le importazioni a prezzo di dumping e il pregiudizio presunto. (...) La domanda deve contenere tutte le informazioni di cui il richiedente possa ragionevolmente disporre relativamente a quanto segue:

(...)

ii)      descrizione completa del prodotto presuntamente oggetto di dumping, nome del paese o dei paesi di origine o di esportazione, identità di ciascun esportatore o produttore straniero noto, corredati di un elenco di soggetti noti che importano il prodotto in questione;

(...)».

7        L’articolo 5.8 dell’accordo antidumping ha il seguente tenore:

«Le autorità devono respingere una domanda presentata ai sensi del paragrafo 1 e chiudere tempestivamente la relativa inchiesta non appena siano convinte che gli elementi di prova relativi al dumping o al pregiudizio non sono sufficienti a giustificare la prosecuzione della procedura. La chiusura dell’inchiesta è immediata qualora il margine di dumping sia minimo o qualora il volume delle importazioni in regime di dumping, effettive o potenziali, o il pregiudizio siano di entità trascurabile (...)».

8        L’articolo 6.1.3 dell’accordo antidumping stabilisce quanto segue:

«Non appena avviata un’inchiesta, le autorità trasmettono il testo integrale della domanda scritta ricevuta a norma dell’articolo 5, paragrafo 1 agli esportatori noti e alle autorità dell’esportatore membro, mettendolo, su richiesta, a disposizione anche delle altre parti interessate. L’esigenza di tutelare le informazioni riservate è tenuta nel debito conto, come previsto del paragrafo 5».

9        L’articolo 6.7 dell’accordo antidumping stabilisce quanto segue:

«Al fine di verificare le informazioni ricevute o di ottenere ulteriori particolari, le autorità possono svolgere le indagini necessarie nel territorio di altri membri, sempreché ottengano il consenso delle aziende interessate e ne diano notifica ai rappresentanti del governo del membro in questione, e sempreché tale membro non si opponga all’indagine. Alle indagini svolte nel territorio di altri membri si applicano le procedure descritte nell’allegato I. Salvo restando l’obbligo di tutelare le informazioni di natura riservata, le autorità devono rendere disponibili i risultati di tali indagini o garantirne la divulgazione, ai sensi del paragrafo 9, alle aziende alle quali si riferiscono, oltre a metterli a disposizione dei richiedenti».

10      In base all’articolo 6.10 dell’accordo antidumping, «[d]i norma, le autorità devono determinare il margine di dumping caso per caso per ogni esportatore o produttore del prodotto oggetto dell’inchiesta[; n]ei casi in cui il numero degli esportatori, produttori, importatori o tipi di prodotto interessati è talmente elevato da rendere impossibile tale determinazione, le autorità possono limitare l’esame ad un numero adeguato di parti o di prodotti interessati facendo ricorso a campioni statisticamente significativi, sulla base dei dati di cui esse dispongono al momento della selezione, oppure limitare l’esame al massimo volume percentuale, ragionevolmente esaminabile, delle esportazioni in uscita dal paese in questione».

11      L’articolo 9.2 dell’accordo antidumping prevede quanto segue:

«Una volta applicato ad un qualsiasi prodotto, il dazio antidumping viene riscosso, per l’importo adeguato al caso e senza discriminazione, su tutte le importazioni di quel prodotto ritenute in regime di dumping e causa di pregiudizio, qualunque ne sia la provenienza, salvo per quelle provenienti da soggetti dei quali sia stata accettata l’assunzione di impegni in materia di prezzi ai sensi del presente accordo. Le autorità indicano il nome del fornitore o dei fornitori del prodotto interessato. Tuttavia, ove si tratti di più fornitori dello stesso paese e risulti impossibile nominarli tutti, le autorità possono limitarsi ad indicare il nome del paese interessato. Nel caso di più fornitori appartenenti a paesi diversi, le autorità possono indicare il nome di tutti i fornitori, oppure, se ciò non è possibile, di tutti i paesi interessati».

 Diritto dell’Unione

12      La normativa antidumping di base è costituita dal regolamento (CE) n. 1225/2009 del Consiglio, del 30 novembre 2009, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU L 343, pag. 51, rettifica in GU 2010, L 7, pag. 22) (in prosieguo: il «regolamento di base»), che ha sostituito il regolamento (CE) n. 384/96 del Consiglio, del 22 dicembre 1995, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU 1996, L 56, pag. 1), come modificato.

13      Dall’articolo 2, paragrafo 7, lettera b), del regolamento di base risulta che «[n]el caso di inchieste antidumping relative ad importazioni in provenienza dalla Repubblica popolare cinese, dal Vietnam e dal Kazakistan, nonché da qualsiasi paese non retto da un’economia di mercato che sia membro dell’OMC alla data di apertura dell’inchiesta, il valore normale è determinato a norma dei paragrafi da 1 a 6 qualora, in base a richieste debitamente motivate di uno o più produttori oggetto dell’inchiesta e in funzione dei criteri e delle procedure di cui alla lettera c), sia dimostrata la prevalenza di condizioni dell’economia di mercato per il produttore o per i produttori in questione relativamente alla produzione e alla vendita del prodotto simile[; q]ualora ciò non sia possibile, si applica il regime di cui alla lettera a)».

14      Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), del regolamento in parola:

«La domanda di cui alla lettera b) dev’essere fatta per iscritto e deve contenere prove sufficienti in ordine al fatto che il produttore opera in condizioni di economia di mercato. Ciò si verifica quando:

–        le decisioni delle imprese in materia di prezzi, costi e fattori produttivi, inclusi ad esempio le materie prime, le spese per gli impianti tecnologici e la manodopera, la produzione, le vendite e gli investimenti, vengano prese in risposta a tendenze del mercato che rispecchiano condizioni di domanda e di offerta, senza significative interferenze statali, ed i costi dei principali mezzi di produzione riflettano nel complesso i valori di mercato;

–        le imprese dispongano di una serie ben definita di documenti contabili di base soggetti a revisione contabile indipendente e che siano d’applicazione in ogni caso in linea con le norme internazionali in materia di contabilità;

(...)

Si procede ad un accertamento se il produttore soddisfa i criteri summenzionati di regola entro sette mesi, ma in ogni caso non oltre otto mesi dall’avvio dell’inchiesta, dopo aver sentito il comitato consultivo e dopo aver dato all’industria comunitaria la possibilità di presentare osservazioni. Quest’accertamento resta valido durante l’inchiesta».

15      L’articolo 3 del regolamento di base dispone quanto segue:

«1.      Ai fini del presente regolamento si intende per pregiudizio, salvo altrimenti disposto, un pregiudizio notevole, la minaccia di un pregiudizio materiale a danno dell’industria comunitaria, oppure un grave ritardo nella creazione di tale industria. Il termine è interpretato a norma del presente articolo.

2.      L’accertamento di un pregiudizio si basa su prove positive e implica un esame obiettivo:

a)      del volume delle importazioni oggetto di dumping e dei loro effetti sui prezzi dei prodotti simili sul mercato comunitario, e

b)      dell’incidenza di tali importazioni sull’industria comunitaria.

3.      Per quanto riguarda il volume delle importazioni oggetto di dumping, occorre esaminare se queste ultime sono aumentate in misura significativa, tanto in termini assoluti quanto in rapporto alla produzione o al consumo nella Comunità. Riguardo agli effetti sui prezzi si esamina se le importazioni oggetto di dumping sono state effettuate a prezzi sensibilmente inferiori a quelli dei prodotti simili dell’industria comunitaria oppure se tali importazioni hanno comunque l’effetto di deprimere notevolmente i prezzi o di impedire in misura notevole aumenti che altrimenti sarebbero intervenuti. Questi fattori, singolarmente o combinati, non costituiscono necessariamente una base di giudizio determinante.

4.      Se le importazioni di un prodotto da più di un paese sono simultaneamente oggetto di inchieste antidumping, gli effetti di tali importazioni possono essere valutati cumulativamente solo se è accertato che:

a)      il margine di dumping stabilito per le importazioni da ciascun paese è superiore a quello minimo definito all’articolo 9, paragrafo 3 e il volume delle importazioni da ciascun paese non è trascurabile, e

b)      la valutazione cumulativa degli effetti delle importazioni oggetto di dumping è opportuna alla luce delle condizioni della concorrenza tra i prodotti importati e tra questi ultimi e il prodotto comunitario simile.

5.      L’esame dell’incidenza delle importazioni oggetto di dumping sull’industria comunitaria interessata comprende una valutazione di tutti i fattori e indicatori economici pertinenti in rapporto con la situazione dell’industria, quali il fatto che l’industria non abbia ancora completamente superato le conseguenze di precedenti pratiche di dumping o di sovvenzioni, l’entità del margine di dumping effettivo, la diminuzione reale e potenziale delle vendite, dei profitti, della produzione, della quota di mercato, della produttività, dell’utile sul capitale investito, e dell’utilizzazione della capacità produttiva; i fattori che incidono sui prezzi nella Comunità, gli effetti negativi, reali e potenziali, sul flusso di cassa, sulle scorte, sull’occupazione, sui salari, sulla crescita e sulla capacità di ottenere capitale o investimenti. Detto elenco non è tassativo, né tali fattori, singolarmente o combinati, costituiscono necessariamente una base di giudizio determinante».

16      L’articolo 5 del regolamento di base, relativo all’apertura del procedimento, ha il seguente tenore letterale:

«1.      Salvo il disposto del paragrafo 6, l’inchiesta per determinare l'esistenza, il grado e l’effetto delle pretese pratiche di dumping è aperta in seguito ad una denuncia scritta presentata da qualsiasi persona fisica o giuridica, nonché da qualsiasi associazione non avente personalità giuridica, che agisce per conto dell’industria comunitaria. (...)

2.      La denuncia di cui al paragrafo 1 deve contenere elementi di prova relativi all’esistenza del dumping, del pregiudizio e del nesso di causalità tra le importazioni assertivamente oggetto di dumping e il preteso pregiudizio. La denuncia deve contenere tutte le informazioni di cui il denunziante può disporre relativamente a quanto segue:

(...)

b)      descrizione completa del prodotto assertivamente oggetto di dumping, nome del paese o dei paesi di origine o di esportazione, identità di ciascun esportatore o produttore noto dei paesi terzi, con un elenco delle persone note che importano il prodotto;

c)      informazioni sui prezzi ai quali il prodotto è venduto quando è destinato al consumo nel mercato interno dei paesi di origine o di esportazione (...);

(...)

7.      Ai fini della decisione relativa all’apertura di un’inchiesta, si tiene conto simultaneamente degli elementi di prova dell’esistenza del dumping e del pregiudizio. La denuncia viene respinta se gli elementi di prova relativi al dumping o al pregiudizio non sono sufficienti per giustificare l’inizio di un’inchiesta. Non vengono avviati procedimenti contro paesi le cui importazioni rappresentano una quota di mercato inferiore all’1%, a meno che tali paesi complessivamente rappresentino una quota pari o superiore al 3% del consumo comunitario.

(...)

9.      Se, previa consultazione, risulta che gli elementi di prova sono sufficienti a tal fine, la Commissione inizia il procedimento entro quarantacinque giorni a decorrere dalla data di presentazione della denuncia e pubblica un avviso nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea. Se gli elementi di prova presentati sono insufficienti, il denunziante ne è informato, previa consultazione, entro quarantacinque giorni a decorrere dalla data alla quale la denuncia è stata presentata alla Commissione».

17      L’articolo 9, paragrafi 3‑6, del regolamento di base prevede quanto segue:

«3.      Per i procedimenti avviati a norma dell’articolo 5, paragrafo 9, il pregiudizio è di norma considerato irrilevante se le importazioni in oggetto sono inferiori ai volumi di cui all’articolo 5, paragrafo 7. Gli stessi procedimenti sono immediatamente chiusi se si accerta che il margine di dumping è inferiore al 2%, espresso in percentuale del prezzo all’esportazione, a condizione che sia chiusa unicamente l’inchiesta quando il margine è inferiore al 2% per i singoli esportatori, che rimangono soggetti al procedimento e che possono essere sottoposti ad un’ulteriore inchiesta in un eventuale riesame svolto per il paese interessato a norma dell’articolo 11.

4.      Quando dalla constatazione definitiva dei fatti risulta l’esistenza di dumping e di un conseguente pregiudizio e quando gli interessi della Comunità esigono un intervento a norma dell’articolo 21, il Consiglio, deliberando su una proposta presentata dalla Commissione dopo aver sentito il comitato consultivo, istituisce un dazio antidumping definitivo. La proposta è adottata dal Consiglio a meno che questo non decida a maggioranza semplice di respingerla entro un mese dalla sua presentazione da parte della Commissione. Se è stato istituito un dazio provvisorio, una proposta di misura definitiva deve essere presentata al più tardi un mese prima della scadenza di tale dazio. L’importo del dazio antidumping non deve superare il margine di dumping accertato e dovrebbe essere inferiore a tale margine, qualora un importo inferiore sia sufficiente per eliminare il pregiudizio causato all’industria comunitaria.

5.      Il dazio antidumping viene istituito per l’importo adeguato a ciascun caso e senza discriminazione sulle importazioni di prodotti per le quali è stato accertato che sono oggetto di dumping e che causano pregiudizio, indipendentemente dalla fonte, salvo quelle effettuate dagli esportatori i cui impegni sono stati accettati a norma del presente regolamento. Il regolamento che impone i dazi indica i nomi dei fornitori oppure, qualora non sia possibile e, come regola generale, nei casi citati nell’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), il nome del paese fornitore interessato.

Nei casi in cui si applica l’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), viene tuttavia fissato un dazio individuale per gli esportatori in grado di dimostrare, presentando richieste debitamente motivate, che:

a)      nel caso di imprese di proprietà interamente o parzialmente straniera o di joint venture, sono liberi di rimpatriare i capitali e i profitti;

b)      i prezzi e i quantitativi dei prodotti esportati, come pure le condizioni di vendita, sono determinati liberamente;

c)      la maggior parte delle azioni appartiene a privati, che i funzionari statali che ricoprono cariche nel consiglio di amministrazione o si trovano in una posizione direttiva chiave sono in minoranza o che la società è sufficientemente libera dall’ingerenza dello Stato;

d)      le conversioni del tasso di cambio vengono effettuate ai tassi di mercato;

e)      l’ingerenza dello Stato non è tale da consentire l’elusione dei dazi qualora si concedano aliquote diverse ai singoli esportatori.

6.      Se la Commissione ha svolto un esame limitato a norma dell’articolo 17, il dazio antidumping applicato alle importazioni provenienti da esportatori o da produttori che si sono manifestati conformemente all’articolo 17, ma che non sono stati inseriti nell’esame, non supera la media ponderata del margine di dumping stabilito per le parti inserite nel campione. Ai fini del presente paragrafo la Commissione non tiene conto di margini nulli o minimi, né di margini determinati nelle circostanze di cui all’articolo 18. Si applicano dazi individuali alle importazioni provenienti da esportatori o produttori che sono stati sottoposti ad un esame individuale, a norma dell’articolo 17».

18      L’articolo 17 del regolamento in parola, relativo al campionamento, ha il seguente tenore letterale:

«1.      Nei casi in cui il numero di denunzianti, esportatori o importatori, tipi di prodotto o operazioni è molto elevato, l’inchiesta può essere limitata ad un numero adeguato di parti, prodotti o operazioni con l’utilizzazione di campioni statisticamente validi, sulla base delle informazioni disponibili al momento della selezione, oppure al massimo volume rappresentativo della produzione, delle vendite o delle esportazioni che possa essere adeguatamente esaminato entro il periodo di tempo disponibile.

(...)

3.      Qualora l’esame sia stato limitato ai sensi del presente articolo, viene comunque determinato un margine di dumping individuale per gli esportatori o i produttori non inseriti nella selezione iniziale che presentino le informazioni necessarie entro i termini fissati dal presente regolamento, a meno che il numero di esportatori o produttori sia talmente elevato da rendere l’esame dei singoli casi indebitamente gravoso e da impedire la tempestiva conclusione dell’inchiesta.

4.      Qualora si decida di ricorrere al campionamento e le parti selezionate o alcune di esse rifiutino di collaborare in misura tale da incidere sostanzialmente sui risultati dell’inchiesta, può essere selezionato un nuovo campione. Tuttavia, se la mancata collaborazione continua oppure se manca il tempo sufficiente per effettuare una nuova selezione, si applicano le disposizioni pertinenti dell’articolo 18».

19      Il regolamento (CE) n. 1515/2001 del Consiglio, del 23 luglio 2001, relativo ai provvedimenti che la Comunità può prendere facendo seguito a una relazione adottata dall’organo di conciliazione dell’OMC (DSB) in materia di misure antidumping e antisovvenzioni (GU L 201, pag. 10), prevede al suo articolo 1, paragrafo 1, che «[o]gniqualvolta l’organo di conciliazione (...) adotta una relazione riguardante una misura comunitaria adottata in forza del regolamento (...) n. 384/96 [divenuto il regolamento di base], del regolamento (CE) n. 2026/97 (...) o del presente regolamento (...), il Consiglio (...) può prendere uno o più dei seguenti provvedimenti, a seconda di quale ritenga più appropriato: a) abrogare o modificare la misura contestata o b) adottare qualsiasi altra misura speciale ritenuta appropriata date le circostanze».

20      A norma dell’articolo 2, paragrafo 1, del medesimo regolamento «[i]l Consiglio può inoltre, qualora lo ritenga opportuno, adottare qualsiasi provvedimento previsto dall’articolo 1, paragrafo 1, al fine di tener conto delle interpretazioni giuridiche formulate in una relazione adottata dal[l’organo di conciliazione] in merito a una misura non contestata». Il paragrafo 3 della suddetta disposizione stabilisce che «[n]ella misura in cui è opportuno effettuare un riesame prima di adottare o contemporaneamente all’adozione di qualsiasi provvedimento previsto dal paragrafo 1, tale riesame viene avviato dalla Commissione, dopo aver sentito il comitato consultivo».

 Fatti

21      La ricorrente, Since Hardware (Guangzhou) Co., Ltd., è una società con sede a Canton (Cina), che produce ed esporta assi da stiro.

22      Il 23 aprile 2007 il Consiglio dell’Unione europea ha adottato il regolamento (CE) n. 452/2007, che istituisce un dazio antidumping definitivo e dispone la riscossione definitiva del dazio provvisorio istituito sulle importazioni di assi da stiro originarie della Repubblica popolare cinese e dell’Ucraina (GU L 109, pag. 12). Con il regolamento in parola il Consiglio ha istituito misure antidumping definitive a carico di tutti i produttori di assi da stiro provenienti in particolare dalla Cina, ad eccezione della ricorrente che beneficiava di un’esenzione dal dazio (punti 1 e 2 del regolamento impugnato).

23      Il 20 agosto 2009, tre produttori dell’Unione, vale a dire la Colombo New Scal SpA, la Pirolla SpA e la Vale Mill (Rochdale) Ltd, che rappresentano una quota rilevante della produzione totale di assi da stiro all’interno dell’Unione, hanno depositato una denuncia antidumping contro la ricorrente (punto 4 del regolamento impugnato).

24      Il 2 ottobre 2009 la Commissione delle Comunità europee ha pubblicato, ai sensi dell’articolo 5 del regolamento n. 384/96 (divenuto l’articolo 5 del regolamento di base), un avviso di apertura di un procedimento antidumping riguardante le importazioni di assi da stiro originarie della Cina, limitato ad un produttore esportatore cinese, la ricorrente, e, conformemente all’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 1515/2001, ha avviato un riesame delle misure antidumping sulle importazioni di assi da stiro originarie della Cina istituite con il regolamento n. 452/2007 (GU C 237, pag. 5) (punto 3 del regolamento impugnato).

25      Da un lato, nell’avviso di apertura la Commissione ha affermato che aveva stabilito, previa consultazione del comitato consultivo, che la denuncia era stata presentata da o per conto dell’industria comunitaria e che esistevano elementi di prova sufficienti per giustificare l’apertura di un procedimento a norma dell’articolo 5 del regolamento n. 384/96 (punto 5 dell’avviso di apertura).

26      Dall’altro, con riferimento al fatto che il regolamento n. 452/2007 aveva istituito un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di assi da stiro di cui al detto regolamento e che per la ricorrente era prevista un’aliquota del dazio pari allo 0% (punto 10 dell’avviso di apertura), la Commissione ha sottolineato che, alla luce della relazione dell’organo d’appello dell’OMC del 29 novembre 2005 recante il titolo «Mexico – Definitive Anti‑Dumping Measures on Beef and Rice [Messico – Misure antidumping definitive relative al manzo e al riso]» (AB‑2005‑6) (WT/DS295/AB/R) (in prosieguo: la «relazione dell’organo d’appello dell’OMC»), non era opportuno mantenere in vigore le misure imposte alla ricorrente dal regolamento n. 452/2007.

27      La Commissione ha quindi avviato un riesame del regolamento n. 452/2007, conformemente all’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 1515/2001, al fine di permettere le modifiche necessarie alla luce della relazione dell’organo d’appello dell’OMC (punto 10 dell’avviso di apertura).

28      Il 26 ottobre 2009 la ricorrente ha presentato una richiesta ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera b), del regolamento n. 384/96 [divenuto l’articolo 2, paragrafo 7, lettera b), del regolamento di base], per vedersi riconoscere lo status di impresa operante in economia di mercato (in prosieguo: il «SEM») (punto 26 del regolamento impugnato).

29      Il 19 novembre 2009 la ricorrente ha comunicato alla Commissione le sue risposte al questionario antidumping. Il 23 novembre 2009 la ricorrente ha presentato osservazioni in merito alla legittimità del procedimento.

30      Il 25 novembre 2009 la Commissione ha inviato alla ricorrente una lettera di osservazioni relativa alla sua domanda di SEM affinché essa potesse fornirle informazioni aggiuntive. La ricorrente ha risposto alla lettera in parola il 7 dicembre 2009.

31      Il 18 dicembre 2009 i produttori dell’Unione indicati al punto 23 supra hanno inviato alla Commissione le loro risposte al questionario antidumping. Il 3 febbraio 2010 la Commissione ha chiesto ai suddetti produttori informazioni aggiuntive, che le sono state comunicate con lettere del 19 e del 24 febbraio 2010.

32      Dal 4 al 10 febbraio 2010 la Commissione ha effettuato una visita di verifica presso la ricorrente vertente sulle informazioni da questa comunicate nel quadro della sua domanda di SEM e nella sua risposta al questionario antidumping.

33      Con lettera del 2 marzo 2010, la ricorrente ha comunicato alla Commissione alcuni dati statistici relativi al prezzo in Cina di una serie di prodotti di acciaio, sottolineando che essi erano simili ai prezzi sul mercato internazionale. Essa ha altresì illustrato le ragioni per cui tali prezzi non sarebbero rilevanti al fine di decidere se riconoscerle il SEM.

34      Con lettera del 26 marzo 2010, la Commissione ha informato la ricorrente che riteneva che essa non rispondesse al criterio di cui all’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), primo comma, primo e secondo trattino, del regolamento di base, cosicché essa intendeva proporre il rigetto della sua domanda di SEM.

35      La ricorrente ha presentato le proprie osservazioni al riguardo con lettera del 13 aprile 2010. All’interno di quest’ultima lettera la ricorrente, dopo aver sostenuto che la Commissione aveva agito ultra vires avviando un procedimento contro una sola società, ha eccepito una violazione dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), ultimo comma, del regolamento di base, nonché l’inosservanza del primo e del secondo criterio di cui all’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), del medesimo regolamento.

36      Il 29 aprile 2010 si è svolta un’audizione dinanzi al consigliere‑auditore.

37      Con lettera del 30 aprile 2010, la Commissione ha replicato ai principali argomenti dedotti dalla ricorrente nella sua lettera del 13 aprile 2010 e ha confermato le proprie conclusioni formulate nella lettera del 26 marzo 2010 sulla domanda di SEM della ricorrente.

38      Alla luce degli elementi che erano stati oggetto di discussione durante l’audizione del 29 aprile 2010, la ricorrente, con comunicazione del 31 maggio 2010, ha presentato osservazioni aggiuntive concernenti l’apertura del procedimento, alla luce in particolare della relazione dell’organo d’appello dell’OMC e della valutazione della sua domanda di SEM da parte della Commissione. La Commissione ha risposto con lettera del 22 giugno 2010. Il 30 agosto 2010, la ricorrente ha presentato alla Commissione osservazioni aggiuntive a tal proposito.

39      Con lettera del 21 settembre 2010, la Commissione ha inviato alla ricorrente un documento di informazione finale generale, accompagnato da documentazione illustrante il metodo di calcolo del margine di dumping e il metodo di calcolo del margine di pregiudizio, nonché da un documento di informazione particolare contenente le repliche agli argomenti dedotti della ricorrente in merito all’apertura del procedimento. La ricorrente ha replicato a tale documento con lettera del 6 ottobre 2010.

40      L’11 ottobre 2010 si è svolta un’altra audizione dinanzi al consigliere‑auditore, a seguito della quale, il 27 ottobre 2010, è stato trasmesso un verbale alla ricorrente.

41      Il 20 dicembre 2010 il Consiglio ha adottato il regolamento d’esecuzione (UE) n. 1241/2010, che modifica il regolamento n. 452/2007 (GU L 338, pag. 8). In detto regolamento, il Consiglio ha escluso la ricorrente dalla misura antidumping definitiva istituita dal regolamento n. 452/2007.

42      Il 20 dicembre 2010 il Consiglio ha adottato anche il regolamento d’esecuzione (UE) n. 1243/2010, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di assi da stiro originarie della Repubblica popolare cinese prodotte dalla società Since Hardware (Guangzhou) Co., Ltd. (GU L 338, pag. 22) (in prosieguo: il «regolamento impugnato»).

 Il regolamento impugnato

43      Nel regolamento impugnato il Consiglio ha anzitutto ricordato le misure istituite con il regolamento n. 452/2007 nonché le circostanze che hanno accompagnato, nel caso di specie, l’apertura del procedimento.

44      Il Consiglio ha poi sottolineato che, alla luce della relazione dell’organo d’appello dell’OMC, è stata aperta nei confronti di Since Hardware una nuova inchiesta antidumping ai sensi dell’articolo 5 del regolamento di base e non un riesame intermedio ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 3, del regolamento di base, poiché dalla suddetta relazione (paragrafi 305 e 306) emergerebbe che un produttore esportatore a carico del quale non sono state accertate nell’inchiesta iniziale pratiche di dumping non può essere fatto oggetto della misura definitiva istituita a seguito di tale inchiesta, né di riesami amministrativi o per cambiamento di circostanze (punto 5 del regolamento impugnato).

45      Il Consiglio ha riconosciuto che i procedimenti antidumping sono di norma aperti contro le importazioni da un paese e non contro singole società. Tuttavia, il presente caso costituirebbe un’eccezione a questa regola, tenuto conto anzitutto delle conclusioni di cui ai paragrafi 216‑218 e 305 della relazione dell’organo d’appello dell’OMC, in secondo luogo del fatto che nessuna disposizione del regolamento di base esclude l’apertura di una nuova inchiesta antidumping ai sensi dell’articolo 5 nei confronti di una sola società, nonché, in terzo luogo, del fatto che la legislazione dell’Unione deve, per quanto possibile, essere interpretata in modo coerente con il diritto internazionale, in particolare quando si tratta di disposizioni che sono destinate a dare effetto a un accordo internazionale concluso dall’Unione (punti 7, 8 e 87 del regolamento impugnato).

46      In secondo luogo, per quanto attiene all’accertamento del dumping e in particolare alla determinazione del SEM, il Consiglio ha osservato che, in base alle risultanze dell’inchiesta, la ricorrente, che aveva presentato una domanda di SEM, non poteva vedersi riconosciuto un simile status poiché non soddisfaceva i criteri previsti all’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), primo e secondo trattino, del regolamento di base (punti 26 e 27 del regolamento impugnato). Per quanto riguarda il primo criterio, vale a dire la condizione che le decisioni delle imprese vengano prese in risposta a tendenze del mercato e senza significative interferenze statali e che i costi riflettano i valori di mercato, il Consiglio ha osservato che la ricorrente aveva dichiarato di aver iniziato ad acquistare le sue principali materie prime sul mercato interno cinese. Orbene, lo Stato avrebbe continuato a esercitare un’influenza importante sul mercato interno dell’acciaio e, di conseguenza, i prezzi dell’acciaio in Cina per queste particolari materie prime non seguirebbero liberamente le tendenze del mercato mondiale (punti 28‑33 del regolamento impugnato). Per quanto attiene al secondo criterio, il Consiglio ha osservato che la società non aveva potuto dimostrare che disponeva di una serie ben definita di documenti contabili di base soggetti a revisione contabile indipendente, d’applicazione in ogni caso, in linea con i principi contabili internazionali (IAS) e in quanto i conti e, in particolare, il rapporto di verifica del capitale, non registravano un’importante transazione intervenuta nel corso del periodo dell’inchiesta (punto 34 del regolamento impugnato).

47      In terzo luogo, riguardo alla determinazione del pregiudizio, il Consiglio ha anzitutto sottolineato la specificità della presente inchiesta, in particolare il fatto che, durante il periodo dell’inchiesta, i dazi antidumping erano applicabili a tutte le importazioni di provenienza dalla Cina e dall’Ucraina (con l’eccezione delle importazioni della ricorrente). Dato che l’industria dell’Unione era già protetta contro gli effetti pregiudizievoli di queste importazioni durante il periodo dell’inchiesta, sarebbe stato impossibile effettuare una normale analisi completa del pregiudizio. Per tener conto delle specificità di questa inchiesta si è adottato così, secondo il Consiglio, un approccio specifico, nel quale le istituzioni si sono concentrate su particolari indicatori di pregiudizio. La Commissione ha quindi esaminato, in primis, l’evoluzione delle importazioni in dumping di assi da stiro prodotte dalla ricorrente; in secondo luogo, se queste importazioni siano avvenute a prezzi inferiori ai prezzi di vendita dell’industria dell’Unione e quale sia stata la redditività dei prezzi di quest’ultima; in terzo luogo, ogni informazione fornita dall’industria dell’Unione indicante che le esportazioni della ricorrente verso l’Unione le avevano arrecato un pregiudizio, ad esempio per quanto riguarda perdite di clienti e ordini a vantaggio di tale società e la redditività delle loro vendite nell’Unione durante il periodo d’inchiesta (punti 58‑61 del regolamento impugnato).

48      Per quanto attiene in particolare alle importazioni di assi da stiro prodotte dalla ricorrente, il Consiglio ha constatato anzitutto che tali importazioni nel mercato dell’Unione erano avvenute in dumping (punto 66 del regolamento impugnato); in secondo luogo, che nel corso del periodo considerato le esportazioni della ricorrente verso l’Unione erano fortemente aumentate, del 64% (punto 67 del regolamento impugnato); in terzo luogo, che la quota di mercato delle importazioni delle assi da stiro prodotte dalla ricorrente era aumentata notevolmente (punti 68 e 69 del regolamento impugnato); in quarto luogo, che l’industria dell’Unione aveva perso negli ultimi anni numerosi ordini di clienti a vantaggio della ricorrente (punti 70‑72); in quinto luogo, che il margine di undercutting medio constatato per la ricorrente, espresso in percentuale del prezzo dell’industria dell’Unione, era del 16,1% (punti 73 e 74 del regolamento impugnato), e, in sesto luogo, che i prezzi dell’industria dell’Unione sono risultati complessivamente in perdita nel periodo dell’inchiesta (punto 75 del regolamento impugnato).

 Procedimento e conclusioni delle parti

49      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 15 marzo 2011, la ricorrente ha proposto il ricorso in esame.

50      Con atto separato, depositato in cancelleria lo stesso giorno, la ricorrente chiedeva altresì al Tribunale di statuire nella presente causa mediante procedimento accelerato, ai sensi dell’articolo 76 bis del suo regolamento di procedura. Essa ha depositato a tale fine anche una versione ridotta del ricorso. Con fax del 4 aprile 2011 il Consiglio si è opposto a tale istanza. Con decisione del 19 aprile 2011 il Tribunale (Ottava Sezione) ha respinto detta istanza.

51      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 3 maggio 2011, la Commissione ha chiesto di intervenire nel procedimento a sostegno delle conclusioni del Consiglio. Le parti principali non si sono opposte a tale richiesta.

52      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 27 maggio 2011, anche la Vale Mill (Rochdale) e la Colombo New Scal hanno chiesto di intervenire nel presente procedimento a sostegno delle conclusioni del Consiglio. Le parti principali non si sono opposte a tale richiesta.

53      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 27 giugno 2011, la ricorrente ha chiesto il trattamento riservato nei confronti della Vale Mill (Rochdale) e della Colombo New Scal di determinati documenti allegati al ricorso. Queste ultime non hanno sollevato obiezioni riguardo a tale richiesta.

54      Con ordinanze del 30 agosto 2011, il presidente dell’Ottava Sezione del Tribunale ha accolto le domande di intervento.

55      Il 5 ottobre 2011, la Vale Mill (Rochdale) e la Colombo New Scal hanno depositato le loro memorie di intervento. L’11 ottobre 2011 la Commissione ha depositato la sua memoria di intervento.

56      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare il regolamento impugnato;

–        condannare il Consiglio alle spese.

57      Il Consiglio chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

58      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

59      La Vale Mill (Rochdale) e la Colombo New Scal chiedono che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese, comprese quelle da loro sostenute.

60      Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Ottava Sezione) ha deciso di passare alla fase orale. Nel corso dell’udienza svoltasi il 2 maggio 2012 le parti sono state sentite nelle loro difese orali e nelle loro risposte ai quesiti del Tribunale.

 In diritto

61      A sostegno del suo ricorso la ricorrente deduce tre motivi. Il primo motivo si riferisce alla violazione dell’articolo 5, paragrafo 9, dell’articolo 9, paragrafi 3‑6, e dell’articolo 17 del regolamento di base, poiché l’apertura di un procedimento non potrebbe contemplare una società in particolare, ma dovrebbe riguardare uno o più paesi e l’insieme dei produttori ivi stabiliti. Il secondo motivo concerne la violazione dell’articolo 3, paragrafi 2, 3 e 5, del regolamento di base, dal momento che i dazi antidumping sarebbero stati imposti alla ricorrente senza aver dimostrato che l’industria dell’Unione abbia subito un pregiudizio durante il periodo dell’inchiesta. Il terzo motivo verte sulla violazione dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), secondo comma, del regolamento di base, dal momento che, da un lato, la decisione di non riconoscere il SEM alla ricorrente sarebbe stata adottata in funzione di ciò che la Commissione europea conosceva circa l’effetto di un siffatto diniego sul margine di dumping e, dall’altro, la Commissione avrebbe imposto alla ricorrente un onere della prova eccessivo al riguardo. Nel quadro di questo motivo, la ricorrente eccepisce altresì una violazione del principio di buona amministrazione.

 Sul primo motivo, relativo alla violazione dell’articolo 5, paragrafo 9, dell’articolo 9, paragrafi 3‑6, e dell’articolo 17 del regolamento di base, a ragione del fatto che l’apertura di un procedimento non potrebbe contemplare una società in particolare, ma dovrebbe riguardare uno o più paesi e l’insieme dei produttori ivi stabiliti

62      Il presente motivo si articola in tre parti. La prima parte si riferisce alla violazione dell’articolo 5, paragrafo 9, del regolamento di base, letto in combinato disposto con l’articolo 17 del regolamento di base e interpretato in modo conforme al diritto dell’OMC. La seconda parte è relativa alla violazione dell’articolo 9, paragrafi 4‑6, del regolamento di base, interpretato in modo conforme alla normativa dell’OMC. La terza parte di riferisce alla violazione dell’articolo 9, paragrafo 3, del regolamento di base.

 Sulla prima parte, relativa alla violazione dell’articolo 5, paragrafo 9, del regolamento di base, letto in combinato disposto con l’articolo 17 del regolamento di base e interpretato in modo conforme al diritto dell’OMC

63      Nel quadro della presente parte, la ricorrente afferma, da un lato, che l’analisi compiuta dalla Commissione, riportata ai punti 7, 8 e 87 del regolamento impugnato (v. punto 45 supra), si fonda sulla premessa erronea che nessuna disposizione del regolamento di base o dell’accordo antidumping preclude l’apertura di un procedimento antidumping nei confronti di una sola società. Secondo la ricorrente, emergerebbe chiaramente dall’economia del regolamento di base e dell’accordo antidumping che un procedimento antidumping si riferisce a uno o più paesi, nonché all’insieme dei produttori del paese o dei paesi in questione. Dall’altro, essa sostiene che, per adeguarsi alla relazione dell’organo d’appello dell’OMC, che vieta ai membri dell’OMC di riesaminare le società il cui margine di dumping è risultato essere minimo all’epoca dell’inchiesta iniziale, sarebbe stato sufficiente per le istituzioni escluderla dal campo di applicazione del regolamento n. 452/2007, senza sottoporla a un riesame.

64      Al punto 7 del regolamento impugnato e nelle proprie memorie, il Consiglio ha riconosciuto che la presente causa rappresentava un’eccezione rispetto alle inchieste abitualmente svolte dalle istituzioni dell’Unione. Il regolamento di base non conterrebbe tuttavia alcuna disposizione che impedisce alle istituzioni, in circostanze analoghe a quelle del caso di specie, di avviare un’inchiesta a carico di un solo produttore.

65      In via preliminare, si deve ricordare che il procedimento antidumping concerne, in linea di principio, tutte le importazioni di una determinata categoria di prodotti provenienti da un paese terzo e non i prodotti di imprese determinate (sentenza della Corte del 7 dicembre 1993, Rima Eletrometalurgia/Consiglio, C‑216/91, Racc. pag. I‑6303, punto 17).

66      Tuttavia, occorre anzitutto determinare se, come sostiene la ricorrente, l’articolo 5, paragrafo 9, del regolamento di base, nonché il paragrafo 1, il paragrafo 2, lettere b) e c), e il paragrafo 7 della suddetta disposizione, citati anch’essi dalla ricorrente, letti in combinato disposto con l’articolo 17 di detto regolamento e conformemente all’economia generale del medesimo, all’articolo VI, paragrafo 1, del GATT nonché all’articolo 1, all’articolo 5.2, sub ii), e agli articoli 6.1.3, 6.7, 6.10 e 9.2 dell’accordo antidumping, precludano sempre l’apertura di un procedimento antidumping a carico di un solo produttore, singolarmente identificato, con esclusione di tutti gli altri, cosicché l’articolo 5, paragrafo 9, del regolamento di base non avrebbe potuto fungere da base giuridica per l’avvio del procedimento nel caso in esame.

67      Occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, ai fini dell’interpretazione di una norma di diritto dell’Unione si deve tener conto non soltanto della lettera della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (sentenze della Corte del 17 ottobre 1995, Leifer e a., C‑83/94, Racc. pag. I‑3231, punto 22, e del 30 luglio 1996, Bosphorus, C‑84/95, Racc. pag. I‑3953, punto 11; sentenze del Tribunale del 24 settembre 2008, Reliance Industries/Consiglio e Commissione, T‑45/06, Racc. pag. II‑2399, punto 101, e del 19 giugno 2009, Spagna/Commissione, T‑369/05, non pubblicata nella Raccolta, punto 50).

68      Contrariamente a quanto afferma la ricorrente, la lettera delle disposizioni del regolamento di base da essa invocate non può fondare l’affermazione secondo cui un procedimento antidumping non potrebbe mai essere avviato contro un solo produttore.

69      Dall’articolo 5, paragrafo 1, del regolamento di base si evince che l’inchiesta per determinare l’esistenza, il grado e l’effetto delle pretese pratiche di dumping è aperta, in linea di principio, in seguito ad una denuncia scritta presentata da qualsiasi persona fisica o giuridica, nonché da qualsiasi associazione non avente personalità giuridica, che agisce per conto dell’industria comunitaria. Ai sensi del paragrafo 2 di detta disposizione, una simile denuncia deve contenere elementi di prova relativi all’esistenza del dumping, del pregiudizio e del nesso di causalità tra le importazioni assertivamente oggetto di dumping e il preteso pregiudizio. In base al paragrafo 9 della disposizione in parola, l’avvio del procedimento viene disposto soltanto se, previa consultazione, risulta che gli elementi di prova sono sufficienti.

70      Dalla lettera dei paragrafi pertinenti dell’articolo 5 emerge così che essi indicano i requisiti relativi al deposito di una denuncia per conto dell’industria dell’Unione e agli elementi di prova che tale denuncia deve contenere riguardo all’esistenza del dumping, del pregiudizio e del nesso di causalità tra le importazioni assertivamente oggetto di dumping e il preteso pregiudizio. Essi non permettono quindi di sostenere, come afferma invece la ricorrente, che un procedimento antidumping non può mai essere avviato nei confronti di un solo produttore, in particolare in circostanze come quelle del caso di specie, quando viene dedotto che a praticare un dumping a danno dell’industria dell’Unione è un produttore che, nel quadro di un precedente procedimento antidumping nel corso del quale sono stati istituiti dazi antidumping tuttora in vigore, è stato riconosciuto estraneo a pratiche di dumping. In particolare, l’articolo 5, paragrafo 2, lettere b) e c), del regolamento di base, espressamente richiamato dalla ricorrente, è privo di rilevanza, dal momento che elenca gli elementi che la denuncia presentata dall’industria dell’Unione deve contenere, per la precisione il nome del paese di origine o di esportazione. Orbene, dal fascicolo risulta che la denuncia che ha portato all’apertura del procedimento nel caso di specie indicava il nome di tale paese.

71      Si deve d’altro canto sottolineare a tale riguardo che la ricorrente, pur eccependo una violazione dell’articolo 5 del regolamento di base e in particolare del suo paragrafo 9, non ha indicato nelle sue memorie alcun argomento volto a dimostrare che sono state ignorate le condizioni per l’apertura del procedimento espressamente previste da tale norma. In particolare, essa non nega che sia stata validamente presentata alle istituzioni una denuncia dei produttori dell’Unione contenente elementi di prova concernenti l’esistenza del dumping, di un pregiudizio e di un nesso di causalità tra le sue importazioni e il preteso pregiudizio.

72      Non può neppure essere accolto l’argomento della ricorrente, fondato sull’articolo 5, paragrafo 7, del regolamento di base, secondo cui la Commissione dovrebbe verificare quali sono le importazioni dai paesi oggetto della denuncia e concludere che esse rappresentano più dell’1% del consumo dell’Unione. Detta disposizione prevede, infatti, che «[n]on vengono avviati procedimenti contro paesi le cui importazioni rappresentano una quota di mercato inferiore all’1%, a meno che tali paesi complessivamente rappresentino una quota pari o superiore al 3% del consumo comunitario». Da un lato, questa disposizione non comporta la benché minima limitazione quanto al numero di produttori che possono essere destinatari di un procedimento avviato dalla Commissione. Dall’altro, si deve comunque constatare che la ricorrente non afferma che le importazioni del prodotto interessato, indicato al punto 20 del regolamento impugnato, non superano l’1% del consumo dell’Unione.

73      Non può trovare accoglimento neppure l’argomento della ricorrente concernente il fatto che l’articolo 17 del regolamento di base, letto in modo conforme all’articolo 6.10 dell’accordo antidumping, permetterebbe il ricorso al campionamento solo nei casi in cui il numero di produttori sia considerevole e che, in tutti gli altri casi, andrebbe riconosciuta a tutti i produttori dei paesi interessati la possibilità di cooperare con la Commissione e di ottenere un margine di dumping individuale, poiché tale disposizione non contiene la benché minima indicazione quanto all’avvio, da parte della Commissione, di un procedimento nei confronti di un solo produttore. Nel caso di specie la Commissione non era quindi tenuta a procedere ad un campionamento dei produttori esportatori interessati, poiché il procedimento è stato avviato contro le sole importazioni della ricorrente.

74      Non si può neppure ritenere che l’impossibilità di avviare un procedimento contro un solo produttore derivi dall’articolo VI, paragrafo 1, del GATT o dall’articolo 1 dell’accordo antidumping. L’articolo VI, paragrafo 1, del GATT non si riferisce all’avvio dei procedimenti e neppure al numero di produttori che possono essere destinatari di siffatti procedimenti. L’articolo 5.2, sub ii), e gli articoli 6.1.3, 6.7, 6.10 e 9.2 dell’accordo antidumping non contengono poi alcun limite quanto al numero di produttori che possono essere coinvolti all’atto dell’avvio di un procedimento.

75      Da quanto esposto in precedenza si evince che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, dal tenore letterale delle disposizioni del regolamento di base e dell’accordo antidumping da essa invocate e dell’articolo IV, paragrafo 1, del GATT non risulta che un procedimento non possa mai essere avviato nei confronti di un solo produttore.

76      Per quanto attiene al contesto nel quale si inserisce l’articolo 5, paragrafo 9, del regolamento di base e al suo obiettivo, occorre osservare che tale disposizione si colloca all’interno della normativa di base relativa alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri dell’Unione e, in particolare, nel suo articolo 5, che indica le condizioni che permettono l’apertura di procedimenti volti a tutelare l’Unione di fronte a siffatte importazioni che le causano pregiudizio. La norma in parola mira in particolare ad obbligare la Commissione a iniziare il procedimento entro quarantacinque giorni a decorrere dalla data di presentazione della denuncia e a pubblicare un avviso nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea qualora, previa consultazione, risulti che gli elementi di prova sono sufficienti a tal fine.

77      Ne consegue che l’articolo 5, paragrafo 9, del regolamento di base non può essere interpretato nel senso di precludere alle istituzioni dell’Unione, validamente adite con una denuncia contenente elementi di prova concernenti l’esistenza di dumping, di un pregiudizio e di un nesso di causalità tra le importazioni assertivamente in regime di dumping e il preteso pregiudizio, di avviare un procedimento nei confronti di un solo produttore, qualora, in circostanze come quelle del caso di specie, nel corso di un’inchiesta precedente sia stato accertato che il suddetto produttore aveva un margine di dumping pari a zero o minimo e che sono in vigore misure antidumping nei confronti di tutti gli altri produttori dello stesso prodotto interessato.

78      In secondo luogo, la ricorrente afferma che la relazione dell’organo d’appello dell’OMC preclude agli Stati membri dell’OMC di sottoporre a riesame le società il cui margine di dumping all’epoca dell’inchiesta iniziale era minimo, come nel suo caso. Secondo la ricorrente, le istituzioni dell’Unione avrebbero quindi dovuto limitarsi a escluderla dal campo di applicazione del regolamento n. 452/2007, senza sottoporla a riesame. La ricorrente aggiunge che una società che non ha attuato pratiche di dumping prima dell’imposizione di misure antidumping non può praticare il dumping quando diviene la sola ad essere esentata dai dazi.

79      A tal proposito si deve immediatamente osservare che la ricorrente non è stata formalmente sottoposta a un riesame.

80      Come ricordato dal Consiglio al punto 7 del regolamento impugnato, la relazione dell’organo d’appello dell’OMC precisa, ai paragrafi 216‑218, che l’articolo 5.8 dell’accordo antidumping impone all’autorità investigativa di chiudere l’inchiesta nei riguardi di un esportatore per il quale, nel corso di un’inchiesta iniziale, non sia stato accertato un margine superiore a quello minimo e, al paragrafo 305, che di conseguenza tale esportatore non deve essere destinatario di misure antidumping definitive né di riesami amministrativi o di riesami per cambiamento di circostanze.

81      Al paragrafo 305 della sua relazione, l’organo d’appello dell’OMC ha precisato a questo proposito che «[l]’autorità incaricata dell’inchiesta non impon[eva] evidentemente dazi – neppure dazi pari allo 0% – agli esportatori esclusi dall’ambito di applicazione della misura antidumping definitiva» e che esso «condivid[eva] quindi il parere del gruppo speciale a detta del quale la “conseguenza logica” di tale approccio era che gli esportatori in parola non potevano essere oggetto di riesami amministrativi o di riesami per cambiamento di circostanze poiché questi riesami vertono rispettivamente sul “dazio versato” e sulla “necessità di tenere in essere il dazio”[; s]e l’autorità incaricata dell’inchiesta dovesse intraprendere un riesame per gli esportatori che sono stati esclusi dal campo di applicazione delle misure antidumping in virtù del loro margine minimo, i suddetti esportatori verrebbero di fatto assoggettati alla misura antidumping in violazione dell’articolo 5.8».

82      Ne consegue che è in ragione del fatto che sono esclusi dall’ambito di applicazione della misura antidumping e che le loro esportazioni sono esenti da dazio che i produttori interessati non possono essere oggetto di riesami, dal momento che questi ultimi si riferiscono ai diritti versati o alla necessità di tenere in essere il dazio e non possono quindi applicarsi ai produttori il cui margine sia minimo.

83      Le considerazioni che precedono, limitandosi ad illustrare le ragioni per cui l’organo d’appello dell’OMC esclude la possibilità di un riesame, non possono implicare che le conclusioni della relazione del suddetto organo precludano alle istituzioni dell’Unione di avviare un nuovo procedimento nei confronti di una società quando sia stata loro validamente presentata una denuncia contenente elementi di prova concernenti l’esistenza di dumping, di un pregiudizio e di un nesso di causalità tra le importazioni assertivamente oggetto di dumping e il preteso pregiudizio.

84      Tale conclusione non può essere rimessa in discussione dall’argomento della ricorrente secondo cui la relazione dell’organo d’appello dell’OMC imporrebbe alle istituzioni di limitarsi ad escluderla dall’ambito di applicazione del regolamento n. 452/2007. Un simile approccio equivarrebbe, infatti, ad imporre alle istituzioni di astenersi dall’indagare su presunte pratiche di dumping che causano pregiudizio all’industria dell’Unione per il solo fatto che, nell’ambito di un’inchiesta anteriore, sarebbe stato accertato che il produttore esportatore interessato aveva un margine di dumping minimo e questo benché le istituzioni dell’Unione siano state validamente adite con una denuncia in merito. Orbene, come correttamente rilevato dal Consiglio al punto 8 del regolamento impugnato (v. altresì punto 45 supra), dato che l’accordo antidumping, da una parte, permette ai membri dell’OMC di imporre dazi per contrastare il dumping pregiudizievole ma, dall’altra, secondo l’interpretazione che ne è stata data dall’organo d’appello dell’OMC nella sua relazione, non permette di sottoporre a riesame le società che l’inchiesta iniziale ha accertato essere estranee a pratiche di dumping, il regolamento di base deve essere interpretato nel senso che autorizza le istituzioni dell’Unione, in un caso come questo, ad aprire un procedimento a norma dell’articolo 5 del medesimo regolamento.

85      In questo contesto, l’affermazione della ricorrente secondo cui una società che non ha attuato pratiche di dumping prima dell’imposizione di misure antidumping non può attuarle quando diviene la sola ad essere esente da dazi non può essere condivisa, fondandosi sulla premessa errata per cui una società che abbia beneficiato di un dazio minimo non potrebbe mai praticare il dumping dopo che è stato stabilito, a suo riguardo, un dazio pari a zero.

86      Una simile affermazione è contraddetta, del resto, dal fatto che, nel caso di specie, benché nel quadro dell’inchiesta che ha condotto all’adozione del regolamento n. 452/2007 (in prosieguo: la «prima inchiesta») le istituzioni non abbiano riscontrato l’attuazione di pratiche di dumping da parte della ricorrente, nel corso della presente inchiesta è emerso che quest’ultima ha effettuato esportazioni oggetto di dumping e l’esistenza di un tale dumping non è stata neppure contestata dalla ricorrente nell’ambito del presente ricorso.

87      Alla luce delle considerazioni che precedono, la prima parte del primo motivo deve essere respinta.

 Sulla seconda parte, relativa alla violazione dell’articolo 9, paragrafi 4‑6, del regolamento di base, interpretato in modo conforme al diritto dell’OMC

88      La ricorrente afferma che l’articolo 9, paragrafi 4‑6, del regolamento di base, letto in modo conforme al diritto dell’OMC, non permette l’imposizione di dazi antidumping sulle importazioni provenienti da una sola società, ma richiede l’imposizione di dazi sulle importazioni di tutte le società che si trovano nel territorio di uno o più paesi.

89      Interrogata in udienza sulla portata della presente parte del primo motivo, la ricorrente ha affermato, in merito alla pretesa violazione dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base, che è stata dedotta soltanto la violazione della seconda frase del primo comma di detta disposizione.

90      In via preliminare, occorre evidenziare che la ricorrente, nelle sue memorie, si è limitata a sostenere che, dato che il regolamento impugnato imporrebbe un dazio antidumping sulle importazioni di assi da stiro da essa prodotte e non un dazio individuale contro ciascuno dei fabbricanti cinesi di assi da stiro, o un dazio residuo contro alcuni di loro, esso violerebbe l’articolo 9, paragrafi 4‑6, del regolamento di base.

91      Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, e alla luce della giurisprudenza citata al punto 67 supra, si deve constatare che dalle disposizioni che essa invoca non emerge che il Consiglio non può imporre dazi antidumping sulle importazioni dei prodotti di una sola società.

92      Anzitutto, l’articolo 9, paragrafo 4, del regolamento di base, nel prevedere che un dazio antidumping viene istituito quando dalla constatazione definitiva dei fatti risulta l’esistenza di dumping e di un conseguente pregiudizio, nonché la necessità di un intervento per tutelare gli interessi della Comunità, non pone alcuna condizione quanto al numero di società nei cui confronti deve essere compiuto l’accertamento in parola e imposto il dazio antidumping.

93      Inoltre, riguardo all’obbligo posto dall’articolo 9, paragrafo 5, primo comma, seconda frase, del regolamento di base, che prevede che il regolamento istitutivo dei dazi fissi il dazio per ciascun fornitore oppure, qualora non sia possibile, il nome del paese fornitore interessato, occorre osservare che l’espressione «ciascun fornitore» deve essere interpretata come indicante ciascun fornitore coinvolto nel procedimento. Questa norma non impone pertanto, come pretende invece la ricorrente, che i dazi siano imposti a tutti i fornitori del paese terzo interessato. Occorre altresì osservare, a questo proposito, che un’interpretazione siffatta trova conferma anche nella lettera dell’articolo 9.2 dell’accordo antidumping, che si riferisce espressamente al fatto che «[l]e autorità indicano il nome del fornitore o dei fornitori del prodotto interessato».

94      Infine, l’articolo 9, paragrafo 6, del regolamento di base prevede che, se la Commissione ha svolto un esame limitato a norma dell’articolo 17, il dazio antidumping applicato alle importazioni provenienti da esportatori o da produttori che si sono manifestati conformemente all’articolo 17, ma che non sono stati inseriti nell’esame, non supera la media ponderata del margine di dumping stabilito per le parti inserite nel campione. Si deve tuttavia constatare che questa disposizione non è stata applicata nel caso di specie ed è pertanto prima di rilevanza, dal momento che il procedimento avviato dalla Commissione ha riguardato soltanto le esportazioni della ricorrente e che non è stato imposto alcun dazio residuo. In ogni caso, essa non obbliga le istituzioni dell’Unione a istituire dazi antidumping soltanto sulle importazioni di prodotti fabbricati da tutti i produttori di un paese.

95      Ne consegue che non può essere riscontrata alcuna violazione dell’articolo 9, paragrafi 4‑6, del regolamento di base e che la seconda parte del presente motivo deve pertanto essere rigettata.

 Sulla terza parte, relativa alla violazione dell’articolo 9, paragrafo 3, del regolamento di base

–       Osservazioni preliminari

96      Nel quadro della parte in esame, la ricorrente ricorda la giurisprudenza costante del giudice dell’Unione, secondo cui, tenuto conto della loro natura e della loro economia, gli accordi OMC non figurano in linea di principio tra le normative alla luce delle quali il giudice dell’Unione controlla la legittimità degli atti delle istituzioni dell’Unione. Solo nel caso in cui l’Unione abbia inteso dare esecuzione ad un obbligo particolare assunto nell’ambito dell’OMC, ovvero nel caso in cui l’atto dell’Unione rinvii espressamente a precise disposizioni degli accordi OMC, spetta al giudice dell’Unione controllare la legittimità dell’atto controverso alla luce delle norme dell’OMC (v., in tal senso, sentenze della Corte del 30 settembre 2003, Biret International/Consiglio, C‑93/02 P, Racc. pag. I‑10497, punti 52 e 53; del 1° marzo 2005, Van Parys, C‑377/02, Racc. pag. I‑1465, punti 39 e 40, e del 27 settembre 2007, Ikea Wholesale, C‑351/04, Racc. pag. I‑7723, punti 29 e 30).

97      Nell’ambito di un argomento formulato in via principale, la ricorrente afferma che l’articolo 9, paragrafo 3, del regolamento di base non è volto a trasporre una disposizione dell’accordo antidumping nel diritto dell’Unione. La relazione dell’organo d’appello dell’OMC non avrebbe pertanto alcun effetto diretto e non potrebbe autorizzare la Commissione a disapplicare l’articolo 9, paragrafo 3, del regolamento di base, in quanto incompatibile con la suddetta relazione, e a rifiutarsi di riesaminare un dazio nullo sulla base di tale norma nel caso in cui l’industria dell’Unione presenti una denuncia ricevibile.

98      Così facendo, le istituzioni dell’Unione avrebbero violato la giurisprudenza della Corte, da cui sembrerebbe evincersi «che l’efficacia diretta delle convenzioni internazionali di cui l’Unione è parte non permette di disapplicare una norma di diritto derivato dell’Unione quando non sia possibile interpretarla in modo conforme alle disposizioni della convenzione».

99      Nel quadro di un argomento formulato in via subordinata, la ricorrente sostiene inoltre che l’ultima frase dell’articolo 9, paragrafo 3, del regolamento di base non darebbe esecuzione ad un obbligo particolare assunto nell’ambito dell’OMC né rinvierebbe a una disposizione precisa degli accordi OMC e non avrebbe pertanto alcuna efficacia diretta nel diritto dell’Unione.

100    Interrogata in udienza sulla pertinenza, nel caso di specie, della giurisprudenza citata al punto 96 supra, la ricorrente ha affermato di aver richiamato tale giurisprudenza a sostegno del suo argomento secondo cui il giudice dell’Unione deve verificare se un’interpretazione data dalle istituzioni del regolamento di base sia conforme agli obblighi derivanti in capo all’Unione dalla normativa dell’OMC.

101    La ricorrente ha così precisato che, nel quadro della parte in esame, essa si fondava sulla giurisprudenza del giudice dell’Unione secondo cui la prevalenza degli accordi internazionali conclusi dall’Unione sulle norme di diritto derivato impone di interpretare queste ultime, per quanto possibile, in maniera conforme a detti accordi.

102    In ogni caso, occorre evidenziare che, nel caso di specie, le istituzioni non si sono fondate su una qualche efficacia diretta delle regole dell’OMC e neppure della stessa relazione dell’organo d’appello dell’OMC per decidere, nel caso concreto, di non sottoporre la ricorrente a un riesame ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 3, del regolamento di base. Come si evince dal punto 10 dell’avviso di apertura, dai «visto» del regolamento n. 1241/2010 e dai punti 3 e 7 del regolamento impugnato, le istituzioni hanno previsto le modifiche necessarie del regolamento n. 452/2007 alla luce della relazione dell’organo d’appello dell’OMC e fondandosi sul regolamento n. 1515/2001.

103    Occorre rispondere agli argomenti formulati dalla ricorrente nella parte in esame del presente motivo alla luce delle considerazioni svolte ai punti 96‑102 supra.

–       Sull’argomento formulato in via principale, relativo al fatto che l’articolo 9, paragrafo 3, del regolamento di base imporrebbe alle istituzioni di riesaminare i dazi nulli dei produttori il cui margine di dumping è minimo in applicazione dell’articolo 11, paragrafo 3, del suddetto regolamento

104    La ricorrente afferma che l’articolo 9, paragrafo 3, del regolamento di base «impone» alle istituzioni di riesaminare i dazi nulli dei produttori il cui margine di dumping è minimo in applicazione dell’articolo 11, paragrafo 3, del suddetto regolamento.

105    Occorre in primo luogo osservare che, come indicato espressamente nell’avviso di apertura, la Commissione ha dato avvio al procedimento nella presente controversia a norma dell’articolo 5 del regolamento di base, dopo aver stabilito, previa consultazione del comitato consultivo, che la denuncia depositata il 20 agosto 2009 da tre produttori dell’Unione era stata presentata da o per conto dell’industria comunitaria e che esistevano elementi di prova sufficienti per giustificare l’apertura di un procedimento (punti 1 e 5 dell’avviso di apertura).

106    Inoltre, è ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 1515/2001 che la Commissione ha deciso di avviare un riesame del regolamento n. 452/2007, alla luce della relazione dell’organo d’appello dell’OMC (punto 10 dell’avviso di apertura), e che il Consiglio ha adottato il regolamento n. 1241/2010, il quale ha escluso la ricorrente dal campo di applicazione del regolamento n. 452/2007.

107    Occorre ricordare a questo proposito che, a norma dell’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento n. 1515/2001, ogniqualvolta l’organo di conciliazione adotta una relazione riguardante una misura non contestata, il Consiglio può, qualora lo ritenga opportuno, abrogare o modificare la misura contestata o adottare qualsiasi altra misura speciale ritenuta appropriata date le circostanze, al fine di tener conto delle interpretazioni giuridiche ivi formulate. In base al punto 5 del regolamento in parola, inoltre, le istituzioni dell’Unione possono ritenere opportuno abrogare o modificare le misure adottate in forza del regolamento di base, ivi comprese le misure che non hanno formato oggetto di un procedimento di risoluzione delle controversie nel quadro del memorandum d’intesa sulle norme e sulle procedure che disciplinano la risoluzione delle controversie, o adottare qualsiasi altra misura speciale al fine di tener conto delle interpretazioni giuridiche formulate in una relazione adottata dall’organo di conciliazione.

108    In secondo luogo, come osserva correttamente la ricorrente, le norme dell’Unione devono essere interpretate, per quanto possibile, alla luce del diritto internazionale, in particolare quando tali norme sono volte ad attuare un accordo internazionale concluso dall’Unione, com’è il caso del regolamento di base che è stato adottato per adempiere gli obblighi internazionali derivanti dall’accordo antidumping (v. punto 3 del regolamento di base).

109    La prevalenza degli accordi internazionali conclusi dall’Unione sulle norme di diritto derivato dell’Unione impone di interpretare queste ultime in maniera per quanto possibile conforme agli accordi (v., in questo senso, sentenze della Corte del 10 settembre 1996, Commissione/Germania, C‑61/94, Racc. pag. I‑3989, punto 52; del 14 luglio 1998, Bettati, C‑341/95, Racc. pag. I‑4355, punto 20; del 23 novembre 1999, Portogallo/Consiglio, C‑149/96, Racc. pag. I‑8395, punto 49; del 9 gennaio 2003, Petrotub e Republica, C‑76/00 P, Racc. pag. I‑79, punti 56 e 57, e del Tribunale del 28 ottobre 2004, Shanghai Teraoka Electronic/Consiglio, T‑35/01, Racc. pag. II‑3663, punto 138).

110    Si deve constatare che l’interpretazione dell’articolo 9, paragrafo 3, del regolamento di base fornita dalle istituzioni nella fattispecie era conforme alle conclusioni della relazione dell’organo d’appello dell’OMC. Occorre osservare, a questo proposito, che l’articolo 9, paragrafo 3, del regolamento di base prevede una semplice facoltà e non un obbligo per le istituzioni di effettuare un riesame nel caso in cui si accerti che un esportatore ha un margine minimo.

111    Dal tenore letterale della disposizione in parola risulta che i procedimenti vengono immediatamente chiusi nei confronti dei singoli esportatori per i quali, durante l’inchiesta, è stato accertato che il margine di dumping è minimo, «a condizione che sia chiusa unicamente l’inchiesta (...) [e che essi] rimangono soggetti al procedimento e che possono essere sottoposti ad un’ulteriore inchiesta in un eventuale riesame».

112    A tal proposito, l’utilizzo del verbo «potere» indica che le istituzioni dispongono di una facoltà e non di un obbligo, nel corso di un riesame, di sottoporre a una nuova inchiesta un produttore il cui margine di dumping era minimo. Si deve quindi ritenere che la norma in parola conferisce alle istituzioni un margine di discrezionalità nel decidere se procedere con una nuova inchiesta nei confronti di singoli esportatori il cui margine di dumping sia inferiore al 2% nell’ambito di un riesame. La ricorrente non può quindi sostenere che le istituzioni abbiano «deliberatamente ignorato» l’articolo 9, paragrafo 3, ultima frase, del regolamento di base, dal momento che quest’ultima norma non impone alle istituzioni di compiere un riesame quando un esportatore si è visto attribuire un margine minimo.

113    Alla luce delle considerazioni che precedono e della conclusione dell’organo d’appello contenuta al paragrafo 305 della relazione dell’organo d’appello dell’OMC, secondo cui l’esportatore che non ha un margine di dumping superiore al minimo non può essere fatto oggetto di riesame amministrativo o per cambiamento di circostanze, si deve ritenere che le istituzioni non hanno violato il regolamento di base avvalendosi nella fattispecie della possibilità riconosciuta loro dall’ultima frase del suo articolo 9, paragrafo 3, di non sottoporre la ricorrente al procedimento di riesame di cui all’articolo 11 del regolamento in parola, sottoponendola invece a una nuova inchiesta ai sensi delle disposizioni dell’articolo 5 del regolamento di cui trattasi.

114    Si deve quindi ritenere che le istituzioni, in conformità dell’articolo 9, paragrafo 3, del regolamento di base, avessero la facoltà di non sottoporre la ricorrente al procedimento di riesame.

115    In terzo luogo, per quanto attiene alle affermazioni della ricorrente secondo cui il ricorso ad un nuovo procedimento, invece che a un riesame, avrebbe per essa conseguenze importanti, basti osservare che, anche ammettendo che tali conseguenze siano reali, essa ha comunque omesso di provare un qualche profilo di illegittimità degli atti delle istituzioni; questo argomento non può quindi essere accolto.

116    Dalle considerazioni che precedono consegue che l’argomento svolto in via principale dalla ricorrente deve essere respinto.

–       Sull’argomento formulato in via subordinata, relativo al fatto che la Commissione avrebbe compiuto un riesame de facto del dazio nullo della ricorrente, in violazione dell’articolo 9, paragrafo 3, del regolamento di base, come interpretato in conformità della relazione dell’organo d’appello dell’OMC

117    La ricorrente sostiene che la Commissione ha compiuto un riesame de facto dell’esenzione dal dazio della ricorrente, in violazione dell’articolo 9, paragrafo 3, del regolamento di base, come interpretato in conformità della relazione dell’organo d’appello dell’OMC. Così facendo, le istituzioni dell’Unione avrebbero in realtà cercato di annullare gli effetti di tale relazione.

118    Per dimostrare che la Commissione avrebbe di fatto proceduto a un tale riesame, la ricorrente afferma in primo luogo, richiamando il suo secondo motivo, che la Commissione, pur indicando al punto 5.1 dell’avviso di apertura che l’inchiesta avrebbe stabilito se il prodotto in esame, originario della Cina e prodotto dalla ricorrente, fosse oggetto di dumping e se tale dumping avesse contribuito a un pregiudizio, non avrebbe invece compiuto una simile analisi. Infatti, benché il periodo d’inchiesta si estenda dal 1° luglio 2008 al 30 giugno 2009, la Commissione non avrebbe analizzato il pregiudizio subito dall’industria dell’Unione nel corso di tale periodo, ma si sarebbe limitata a riprendere le conclusioni della sua prima inchiesta, nell’ambito della quale era stato riscontrato un pregiudizio per l’anno 2007, e ad esaminare se le importazioni interessate del prodotto fabbricato dalla ricorrente avessero potuto contribuire a tale pregiudizio.

119    Occorre ricordare che la determinazione del pregiudizio dopo l’apertura di un procedimento presuppone, a norma dell’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento di base, che sia dimostrata l’esistenza di «un pregiudizio notevole, la minaccia di un pregiudizio materiale a danno dell’industria comunitaria, oppure un grave ritardo nella creazione di tale industria», mentre l’articolo 11, paragrafo 3, del regolamento di base, concernente i riesami intermedi, prevede che nel corso di un tale riesame «la Commissione può, tra l’altro, esaminare se le circostanze relative al dumping o al pregiudizio siano mutate in misura significativa oppure se le misure vigenti hanno raggiunto lo scopo di eliminare il pregiudizio precedentemente accertato».

120    Nella fattispecie, ai punti 58‑61 del regolamento impugnato, il Consiglio ha evidenziato le specificità dell’inchiesta in parola che hanno reso impossibile, in questo caso, effettuare una normale analisi completa del pregiudizio. Il Consiglio ha così indicato, in primo luogo, che un’analisi completa del pregiudizio era già stata compiuta nel quadro della prima inchiesta. In secondo luogo, il Consiglio ha evidenziato che, nel corso di tale inchiesta, la Commissione aveva stabilito che le importazioni in dumping di assi da stiro originarie, tra l’altro, della Cina, con l’unica esclusione delle importazioni di assi da stiro prodotte dalla ricorrente, avevano arrecato un grave pregiudizio all’industria dell’Unione. In terzo luogo, il Consiglio ha sottolineato che, durante il periodo d’inchiesta erano in vigore dazi antidumping su tali importazioni (ad eccezione delle importazioni della ricorrente) e che l’industria era pertanto già protetta contro gli effetti pregiudizievoli di queste importazioni. Il Consiglio ha quindi osservato che era stato adottato, per tener conto delle specificità di questa inchiesta, un approccio specifico, nel quale le istituzioni si sono concentrate su particolari indicatori di pregiudizio.

121    Questi indicatori ricomprendevano lo stato delle importazioni della ricorrente, il volume e la quota di mercato delle importazioni oggetto di dumping, l’undercutting dei prezzi, il fatto che i prezzi dell’industria dell’Unione erano risultati complessivamente in perdita nel periodo d’inchiesta, così come tutte le informazioni fornite dall’industria dell’Unione indicanti che le esportazioni della ricorrente verso l’Unione le avevano cagionato un pregiudizio (punti 71‑76 del regolamento impugnato).

122    Senza che occorra, nell’ambito di questa parte, pronunciarsi sulla pertinenza degli indicatori di pregiudizio presi in considerazione dalle istituzioni, si deve constatare, alla luce delle considerazioni ricordate supra ai punti 120 e 121, che, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, la Commissione non si è limitata nella presente inchiesta a esaminare se le circostanze concernenti il dumping e il pregiudizio fossero mutate in modo significativo o se le misure vigenti avessero raggiunto lo scopo sperato di eliminare il pregiudizio precedentemente accertato. Dal punto 76 del regolamento impugnato si evince invece che il Consiglio è effettivamente giunto alla conclusione che i prodotti venduti in dumping dalla ricorrente sul mercato dell’Unione hanno cagionato un danno all’industria dell’Unione.

123    Il Consiglio ha quindi correttamente osservato, al punto 90 del regolamento impugnato, che l’analisi del pregiudizio da esso condotta non si è limitata a confermare la constatazione del pregiudizio compiuta nel corso della prima inchiesta. Al contrario, questa analisi ha messo in luce gli effetti realmente pregiudizievoli causati all’industria dell’Unione dalle importazioni effettuate dalla ricorrente a prezzi di dumping dopo tale inchiesta, tenuto conto dell’impossibilità di compiere qui una normale analisi del pregiudizio.

124    In secondo luogo, la ricorrente afferma che il dazio imposto con il regolamento impugnato scade contemporaneamente ai dazi istituiti con il regolamento n. 452/2007 nei confronti degli altri produttori cinesi, benché la durata di cinque anni prevista all’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento di base sembri essere un lasso di tempo imperativo. Un simile argomento deve tuttavia essere respinto.

125    Si deve in effetti osservare che, ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 1, del regolamento di base, le misure antidumping restano in vigore per il tempo e nella misura necessari per agire contro il dumping arrecante pregiudizio. Secondo l’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento di base, «[l]e misure di antidumping definitive scadono dopo cinque anni dalla data in cui sono state istituite». A questo proposito si deve ricordare che il Consiglio dispone di un potere discrezionale che gli consente di fissare in una durata inferiore a cinque anni il periodo di applicazione dei dazi antidumping definitivi quando, in considerazione della sussistenza di circostanze particolari, tale limitazione costituisca il miglior modo per poter tener conto dei divergenti interessi delle parti nel procedimento e di mantenere l’equilibrio tra tali interessi, equilibrio che il regolamento di base mira a stabilire (v., per analogia, sentenza del Tribunale dell’8 luglio 1998, Cecom/Consiglio, T‑232/95, Racc. pag. II‑2679, punto 46).

126    Le istituzioni potevano quindi legittimamente riconoscere, al punto 90 del regolamento impugnato, che la ricorrente, pur non potendo trarre alcun vantaggio dal fatto di aver avviato le sue pratiche di dumping dopo la prima inchiesta, non doveva neppure subire effetti negativi ingiustificati. Così, secondo il Consiglio, se non fosse stato richiesto un riesame in previsione della scadenza per il regolamento n. 452/2007, costituirebbe una discriminazione continuare ad applicare il dazio alla ricorrente dopo la scadenza di quel regolamento.

127    Tenuto conto delle circostanze particolari del presente caso, legate in particolare al fatto che l’industria dell’Unione era già protetta in parte dall’imposizione di dazi antidumping in forza del regolamento n. 452/2007 e che occorreva limitare la durata delle misure imposte con il regolamento impugnato alla scadenza delle misure antidumping adottate con il regolamento n. 452/2007, per evitare potenziali discriminazioni tra la ricorrente e i produttori soggetti a tale regolamento e permettere, se del caso, un riesame contestuale delle misure imposte con il regolamento n. 452/2007 e con il regolamento impugnato, si deve concludere che l’argomento fondato sulla durata delle misure antidumping istituite con il regolamento impugnato non permette di dimostrare che, nella fattispecie, sia stato compiuto un riesame de facto del dazio antidumping nullo della ricorrente.

128    In terzo luogo, la ricorrente afferma di essere stata oggetto di un «accanimento» da parte delle istituzioni il cui evidente obiettivo sarebbe stato quello di porre fine al dazio nullo di cui essa avrebbe beneficiato sulla base delle informazioni fornite nel quadro della prima inchiesta e che non sarebbero mai state rimesse in discussione.

129    Occorre interpretare l’argomento della ricorrente come volto a dimostrare uno sviamento di potere da parte delle istituzioni.

130    Tuttavia, un simile argomento dev’essere respinto. Da una giurisprudenza costante si evince che una decisione o un atto dell’Unione è viziato da sviamento di potere solo qualora risulti, sulla scorta di indizi obiettivi, pertinenti e concordanti, che è stato adottato per conseguire scopi diversi da quelli in esso indicati (sentenza della Corte dell’11 luglio 1990, Sermes, C‑323/88, Racc. pag. I‑3027, punto 33; sentenze del Tribunale del 18 settembre 1995, Nölle/Consiglio e Commissione, T‑167/94, Racc. pag. II‑2589, punto 66, e del 15 ottobre 1998, Industrie des poudres sphériques/Consiglio, T‑2/95, Racc. pag. II‑3939, punto 376). Orbene, la ricorrente ha omesso di fornire tali indizi.

131    Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve respingere la parte del motivo qui in esame, nonché il motivo nel suo insieme.

 Sul secondo motivo, relativo alla violazione dell’articolo 3, paragrafi 2, 3 e 5, del regolamento di base, in ragione del fatto che i dazi antidumping sarebbero stati imposti alla ricorrente senza aver dimostrato che l’industria dell’Unione abbia subito un pregiudizio durante il periodo d’inchiesta

132    Con il suo secondo motivo, la ricorrente afferma che nel caso di specie i dazi antidumping sono stati imposti senza provare che l’industria dell’Unione abbia subito un pregiudizio nel corso del periodo d’inchiesta, in violazione dell’articolo 3, paragrafi 2, 3 e 5, del regolamento di base.

133    La ricorrente afferma, a tal proposito, che l’articolo 3 del regolamento di base, letto in modo conforme agli articoli 3.1 e 3.4 dell’accordo antidumping, interpretato in questo senso dall’organo d’appello dell’organo di conciliazione dell’OMC e dalla Corte, impone di effettuare, nell’ambito di ogni inchiesta, una valutazione di tutti i fattori e indicatori economici pertinenti. Questa norma imporrebbe così alle istituzioni di valutare quantomeno l’incidenza dei sedici fattori e indicatori enumerati all’articolo 3.4 dell’accordo antidumping dell’OMC, cui si aggiungerebbe il fattore specifico indicato all’articolo 3, paragrafo 5, del regolamento di base. Orbene, nella fattispecie, l’analisi del pregiudizio sarebbe stata limitata a determinati indicatori, inerenti soltanto all’evoluzione dei prodotti della ricorrente, in termini di quote di mercato e di prezzi, senza alcuna analisi dei fattori e degli indicatori relativi allo stato dell’industria dell’Unione, in relazione ai quali il Consiglio si sarebbe integralmente richiamato alle conclusioni della prima inchiesta.

134    Occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, in materia di politica commerciale comune e, specialmente, nell’ambito delle misure di difesa commerciale, le istituzioni dell’Unione godono di un ampio potere discrezionale in considerazione della complessità delle situazioni economiche, politiche e giuridiche che devono esaminare (v., in tal senso, sentenze della Corte del 4 ottobre 1983, Fediol/Commissione, 191/82, Racc. pag. 2913, punto 26; Ikea Wholesale, cit. al punto 96 supra, punto 40, e del 3 settembre 2009, Moser Baer India/Consiglio, C‑535/06 P, Racc. pag. I‑7051, punto 85).

135    Inoltre, secondo una consolidata giurisprudenza, la determinazione del danno presuppone l’esame di questioni economiche complesse. Le istituzioni dell’Unione dispongono nel farlo di un ampio potere discrezionale (sentenza della Corte del 7 maggio 1991, Nakajima/Consiglio, C‑69/89, Racc. pag. I‑2069, punto 86; sentenze del Tribunale del 28 settembre 1995, Ferchimex/Consiglio, T‑164/94, Racc. pag. II‑2681, punto 131, e del 14 marzo 2007, Aluminium Silicon Mill Products/Consiglio, T‑107/04, Racc. pag. II‑669, punto 43).

136    Il giudice dell’Unione deve quindi limitare il suo sindacato alla verifica dell’osservanza delle norme di procedura, dell’esattezza materiale dei fatti considerati nell’operare la scelta contestata, dell’insussistenza di errore manifesto nella valutazione di tali fatti e dell’insussistenza di sviamento di potere (sentenze del Tribunale Ferchimex/Consiglio, cit. al punto 135 supra, punto 67; del 28 ottobre 1999, EFMA/Consiglio, T‑210/95, Racc. pag. II‑3291, punto 57, e Aluminium Silicon Mill Products/Consiglio, punto 135 supra, punto 43).

137    Spetta d’altra parte alla ricorrente fornire gli elementi di prova che consentano al Tribunale di constatare che il Consiglio ha commesso un errore di valutazione manifesto nell’accertamento del danno (v. sentenze del Tribunale Shanghai Teraoka Electronic/Consiglio, cit. al punto 109 supra, punto 119, e del 4 ottobre 2006, Moser Baer India/Consiglio, T‑300/03, Racc. pag. II‑3911, punto 140, e la giurisprudenza citata).

138    Come ricordato dalla Corte nella sua sentenza Ikea Wholesale, citata al punto 96 supra (punti 61 e 62), l’articolo 3, paragrafo 5, del regolamento di base attribuisce così alle autorità dell’Unione un potere discrezionale nell’esame e nella valutazione dei diversi indici in esso elencati. Inoltre, tale disposizione richiede solo che siano esaminati i fattori e gli indici economici «pertinenti che influiscono sulla situazione [dell’industria dell’Unione]».

139    È quindi nell’esercizio del loro potere discrezionale che le istituzioni sono tenute ad analizzare tali fattori e a scegliere, fra gli elementi di valutazione elencati a tal fine nella norma sopra menzionata, quelli ch’esse ritengono pertinenti in ciascun caso concreto (sentenza della Corte del 10 marzo 1992, Sharp Corporation/Consiglio, C‑179/87, Racc. pag. I‑1635, punto 46).

140    Essendo pacifico che nel regolamento impugnato le istituzioni non hanno esaminato tutti i fattori indicati all’articolo 3, paragrafo 5, del regolamento di base, occorre stabilire se, nella fattispecie, come sostenuto dalla ricorrente, le istituzioni abbiano commesso un manifesto errore di valutazione esaminando unicamente i fattori e gli indici economici che esse hanno ritenuto essere pertinenti, nel caso concreto, in rapporto con la situazione dell’industria dell’Unione.

141    In via preliminare, occorre osservare che, nel quadro del presente motivo, la ricorrente non contesta la pertinenza dei fattori e degli indicatori economici presi in considerazione dalle istituzioni nel valutare il pregiudizio subito dall’industria dell’Unione e neppure l’analisi che ne è stata fatta dalla Commissione, come risulta dai punti 58‑75 del regolamento impugnato. Essa non contesta neppure la conclusione delle istituzioni illustrata al punto 76 del regolamento impugnato, secondo cui l’industria dell’Unione ha subito un pregiudizio dovuto alle quantità di prodotti vendute in dumping dalla ricorrente sul mercato dell’Unione e che avrebbero potuto essere vendute dalla sua stessa industria.

142    La ricorrente si limita, infatti, ad affermare, da un lato, che le istituzioni dell’Unione non hanno analizzato tutti i fattori e gli indicatori menzionati all’articolo 3.4 dell’accordo antidumping e all’articolo 3, paragrafo 5, del regolamento di base e, dall’altro, che il Consiglio, nell’esaminare i fattori e gli indicatori relativi alla situazione dell’industria dell’Unione, si è richiamato in toto alle conclusioni della prima inchiesta benché, nel quadro di detta inchiesta, avesse accertato che la ricorrente non praticava dumping.

143    Benché sia indubbiamente pacifico che nel quadro della presente inchiesta la Commissione non ha provveduto, come aveva fatto nel corso della prima inchiesta, a esaminare l’insieme dei fattori e degli indicatori relativi alla situazione dell’industria dell’Unione [punti 94‑107 del regolamento (CE) n. 1620/2006 della Commissione, del 30 ottobre 2006, che istituisce un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di assi da stiro originarie della Repubblica popolare cinese e dell’Ucraina (GU L 300, pag. 13), e punti 44‑47 del regolamento n. 452/2007], non se ne può dedurre che, nel caso di specie, le istituzioni non abbiano provveduto a esaminare i soli elementi pertinenti ai sensi della giurisprudenza citata ai punti 138 e 139 supra.

144    Come sottolineato al punto 61 del regolamento impugnato, nel caso di specie la Commissione ha esaminato in primo luogo l’evoluzione delle importazioni in dumping di assi da stiro prodotte dalla ricorrente; in secondo luogo, se tali importazioni siano avvenute a prezzi inferiori ai prezzi di vendita dell’industria dell’Unione e quale sia stata la redditività dei prezzi di quest’ultima; in terzo luogo, ogni informazione fornita dall’industria dell’Unione indicante che le esportazioni della ricorrente verso l’Unione le avevano arrecato un pregiudizio, ad esempio per quanto riguarda perdite di clienti e ordini a vantaggio di tale società e la redditività delle loro vendite nell’Unione durante il periodo d’inchiesta.

145    Per quanto attiene in particolare all’analisi compiuta dalla Commissione della situazione dell’industria dell’Unione, il Consiglio ha osservato, ai punti 70‑72 del regolamento impugnato, da un lato, che l’industria dell’Unione aveva perso numerosi ordini di clienti a vantaggio della ricorrente e, dall’altro, che le vendite di molti produttori dell’Unione a clienti dell’Unione erano diminuite sensibilmente rispetto al periodo oggetto della prima inchiesta, mentre le vendite della ricorrente a questi clienti erano sensibilmente aumentate nel corso del periodo d’inchiesta attuale. Orbene, la ricorrente non contesta la pertinenza di tali fattori e indicatori di pregiudizio.

146    Diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, le istituzioni non hanno taciuto sul fatto che non le era stata contestata alcuna pratica di dumping nel corso della loro prima inchiesta. Al contrario, esse hanno tenuto conto adeguatamente delle conclusioni e degli effetti del regolamento n. 452/2007 al fine di esaminare soltanto gli indici di pregiudizio pertinenti nell’ambito del presente caso.

147    Occorre ricordare a tal proposito che, come già osservato nel quadro del primo motivo (v. punto 120 supra), dai punti 58‑61 del regolamento impugnato emerge che il Consiglio si è riferito alle conclusioni della prima inchiesta al fine di spiegare che non era possibile effettuare nel caso di specie una normale analisi completa del pregiudizio, dato che l’industria dell’Unione durante il periodo dell’inchiesta era già protetta dagli effetti pregiudizievoli di tutte le importazioni di assi da stiro provenienti dalla Cina e dall’Ucraina ad eccezione di quelle della ricorrente e che per tale motivo si è adottato, per tener conto delle specificità di questa inchiesta, un approccio specifico, nel quale le istituzioni si sono concentrate su particolari indicatori di pregiudizio. Inoltre, il Consiglio si è basato su determinati dati raccolti durante la prima inchiesta per stabilire con certezza che taluni importanti clienti dell’industria dell’Unione avevano cambiato fornitore, preferendo rifornirsi presso la ricorrente anziché presso l’industria dell’Unione in misura maggiore che in precedenza (punti 70‑72 del regolamento impugnato).

148    Il Consiglio non ha quindi commesso alcun errore manifesto di valutazione nell’indicare, al punto 96 del regolamento impugnato, che un nuovo esame di questi fattori non sarebbe stato di alcuna utilità perché, anche supponendo che tutti questi fattori fossero ora diventati positivi, questo sarebbe dovuto (almeno in parte) al fatto che l’industria dell’Unione è ora protetta contro tutte le esportazioni in dumping dalla Cina e dall’Ucraina (ad eccezione di quelle in provenienza dalla ricorrente).

149    Risultando dalle considerazioni che precedono che il Consiglio ha correttamente esaminato i soli elementi pertinenti ai sensi della giurisprudenza menzionata ai punti 138 e 139 supra, deve essere respinto, in quanto inoperante, l’argomento della ricorrente secondo cui l’affermazione contenuta al punto 96 del regolamento impugnato (v. punto 148 supra) sarebbe «un riconoscimento del fatto che, se la Commissione avesse analizzato tutti i fattori e gli indici, tutti questi fattori sarebbero stati positivi dal momento che l’industria dell’Unione era già protetta dai dazi in vigore».

150    Alla luce delle considerazioni che precedono, il presente motivo deve essere respinto.

 Sul terzo motivo, relativo alla violazione dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), secondo comma, del regolamento di base, in ragione del fatto che la decisione di negare alla ricorrente il SEM sarebbe stata adottata in funzione di ciò che la Commissione europea conosceva circa l’effetto di un siffatto diniego sul suo margine di dumping, nonché alla violazione dei principi in materia di onere della prova e di buona amministrazione

151    Nell’ambito del suo terzo motivo, la ricorrente afferma che la decisione di non accordarle il SEM sarebbe contraria al diritto dell’Unione. Nella prima parte, la ricorrente afferma che la decisione di rigetto della sua domanda di SEM sarebbe stata adottata in funzione di ciò che la Commissione europea conosceva circa l’effetto di un siffatto diniego sul suo margine di dumping. Nella seconda parte, la ricorrente lamenta che l’onere della prova impostole sarebbe eccessivo e violerebbe i principi generali del diritto dell’Unione.

 Sulla prima parte, relativa al fatto che la decisione di non accordare il SEM alla ricorrente sarebbe stata adottata in funzione di ciò che la Commissione europea conosceva circa l’effetto di un siffatto diniego sul margine di dumping della ricorrente, in violazione dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), secondo comma, del regolamento di base

152    La ricorrente sostiene che la decisione della Commissione di non riconoscerle il SEM è stata adottata in funzione di ciò che la Commissione europea conosceva circa l’effetto di un siffatto diniego sul suo margine di dumping, in violazione dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), secondo comma, del regolamento di base, come interpretato dal Tribunale nelle sue sentenze del 14 novembre 2006, Nanjing Metalink/Consiglio (T‑138/02, Racc. pag. II‑4347, punti 43 e 44), e del 18 marzo 2009, Shanghai Excell M&E Enterprise e Shanghai Adeptech Precision/Consiglio (T‑299/05, Racc. pag. II‑565, punti 128 e 138). Essa afferma inoltre che le istituzioni avrebbero violato «più in generale i suoi diritti della difesa».

153    In via preliminare, quanto alla pretesa violazione dei diritti della difesa della ricorrente, occorre ricordare che, a norma dell’articolo 21 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea e dell’articolo 44, paragrafo 1, del regolamento di procedura del Tribunale, l’atto introduttivo deve contenere l’esposizione sommaria dei motivi dedotti. Questa indicazione deve essere sufficientemente chiara e precisa per consentire alla parte convenuta di preparare la sua difesa e al Tribunale di pronunciarsi sul ricorso, eventualmente senza il supporto di altre informazioni. Il ricorso deve chiarire il motivo sul quale il ricorso stesso si basa, di modo che la semplice enunciazione astratta dei motivi non risponde alle prescrizioni del regolamento di procedura (sentenze del Tribunale del 12 gennaio 1995, Viho/Commissione, T‑102/92, Racc. pag. II‑17, punto 68; del 14 maggio 1998, Mo och Domsjö/Commissione, T‑352/94, Racc. pag. II‑1989 punto 333, e del 12 ottobre 2011, Association belge des consommateurs test‑achats/Commissione, T‑224/10, Racc. pag. II‑7177, punto 71). Non avendo la ricorrente in alcun modo precisato il suo motivo concernente la violazione dei suoi diritti della difesa, esso deve essere dichiarato irricevibile.

154    Per quanto attiene alla violazione dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), secondo comma, del regolamento di base, la ricorrente afferma che dalle sentenze Nanjing Metalink/Consiglio e Shanghai Excell M&E Enterprise e Shanghai Adeptech Precision/Consiglio, citate al punto 152 supra, si evince che il termine previsto da tale disposizione viene violato ogniqualvolta la Commissione adotti la sua decisione di negare il SEM in un momento in cui è già in possesso di elementi che le permetterebbero di calcolare il margine di dumping del produttore interessato in caso di concessione del SEM e in caso di diniego.

155    Interrogata in udienza sulla portata del suo argomento, la ricorrente ha precisato che l’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), secondo comma, del regolamento di base, come interpretato dal Tribunale nelle sentenze indicate al punto 152 supra, nonché nella sua sentenza dell’8 novembre 2011, Zhejiang Harmonic Hardware Products/Consiglio (T‑274/07, non pubblicata nella Raccolta, punto 37), offre protezione contro l’arbitrio della Commissione, che non potrà adottare una decisione sulla domanda di SEM di una società in funzione di quella che essa sa essere l’incidenza di una simile decisione sul margine di dumping di tale società.

156    Queste condizioni sarebbero in pratica soddisfatte quando la Commissione ha chiesto e ricevuto da parte del produttore interessato le risposte alle sezioni del questionario antidumping relative alle sue vendite sul mercato interno e ai suoi costi, e ha ricevuto tali informazioni anche da parte della società o delle società nel paese di riferimento, oppure quando la Commissione è venuta a conoscenza in altro modo del fatto che il valore normale sul mercato di riferimento era superiore rispetto a quello praticato in Cina.

157    Orbene, nel caso di specie la Commissione avrebbe potuto calcolare il suo margine di dumping il 18 dicembre 2009, data in cui la Commissione ha ricevuto le risposte al questionario antidumping dei produttori dell’Unione, cosicché il regolamento impugnato dovrebbe essere annullato, dal momento che la decisione relativa alla questione se la ricorrente potesse beneficiare del SEM avrebbe potuto essere diversa se la Commissione non avesse avuto a disposizione detti elementi.

158    Occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera b), del regolamento di base, nel caso di inchieste antidumping relative ad importazioni in provenienza dalla Cina, il valore normale è determinato a norma dei paragrafi 1‑6 qualora, in base a richieste debitamente motivate di uno o più produttori oggetto dell’inchiesta e in funzione dei criteri e delle procedure di cui alla lettera c), sia dimostrata la prevalenza di condizioni dell’economia di mercato per il produttore o per i produttori in questione relativamente alla produzione e alla vendita del prodotto simile interessato.

159    A norma dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), secondo comma, del regolamento di base, «[s]i procede ad un accertamento se il produttore soddisfa i criteri summenzionati entro tre mesi dall’avvio dell’inchiesta, dopo aver sentito il comitato consultivo e dopo aver dato all’industria comunitaria la possibilità di presentare osservazioni[; q]uest’accertamento resta valido durante l’inchiesta».

160    Alla luce delle sentenze richiamate dalla ricorrente, citate ai punti 152 e 155 supra, non si può in primis ritenere che ogni superamento del termine previsto all’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), secondo comma, del regolamento di base debba comportare automaticamente l’annullamento del regolamento del Consiglio che istituisce dazi antidumping definitivi, il cui iter di adozione comprende il termine in causa. Infatti, come osservato dal Tribunale nella sua sentenza Shanghai Excell M&E Enterprise e Shanghai Adeptech Precision/Consiglio, citata al punto 152 supra (punti 138 e 139), il superamento del termine di cui all’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), del regolamento di base può comportare un simile annullamento soltanto se la ricorrente prova che, in mancanza di questo superamento, il Consiglio avrebbe potuto adottare un regolamento diverso e più favorevole ai suoi interessi rispetto al regolamento impugnato.

161    In secondo luogo, la ricorrente non può fondarsi sulla ratio legis dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), del regolamento di base, come interpretata dal Tribunale nelle sentenze citate ai punti 152 e 155 supra, per sostenere che il termine previsto da tale disposizione viene violato ogniqualvolta la Commissione adotti la sua decisione di diniego del SEM in un momento in cui è già in possesso di elementi che le permettono di calcolare il margine di dumping del produttore interessato e, di conseguenza, per disapplicare la stessa lettera di tale disposizione, che prevede che la Commissione dispone di un termine di tre mesi per decidere delle domande di SEM che le vengono sottoposte.

162    A questo proposito si deve anzitutto osservare che il Tribunale, nella sentenza Nanjing Metalink/Consiglio, citata al punto 152 supra (punto 44), proprio nel rispondere ad uno specifico argomento sollevato dalla ricorrente nel caso ivi in esame – secondo cui l’ultima frase dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), del regolamento di base prevedrebbe, senza eccezioni, che l’accertamento relativo al SEM resta valido durante l’inchiesta – ha sottolineato che l’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), del regolamento di base impediva alle istituzioni di valutare nuovamente le informazioni di cui già disponevano in sede di accertamento iniziale del SEM e che tale disposizione miraVA, in particolare, a garantire che la questione se il produttore de quo operi in condizioni di economia di mercato non venga decisa in funzione dei suoi effetti sul calcolo del margine di dumping. L’argomento della parte ricorrente è stato tuttavia respinto, dal momento che nel ragionamento del Tribunale ha prevalso la considerazione che una decisione di concessione del SEM non può mantenere efficacia quando non rispecchia più la situazione del produttore in esame (sentenza Nanjing Metalink/Consiglio, cit. al punto 152 supra, punti 45‑47).

163    Inoltre, nella sentenza Shanghai Excell M&E Enterprise e Shanghai Adeptech Precision/Consiglio, citata al punto 152 supra (punto 128), il Tribunale si è richiamato alla ratio legis della disposizione precitata ai soli fini di affermare che l’effetto utile di detto termine non sarebbe rimesso in questione qualora nel periodo intercorrente tra la scadenza del termine di tre mesi e la decisione sul SEM, e tenuto conto delle circostanze della specie, si dovesse constatare che le imprese che richiedono il riconoscimento del SEM avevano posto la Commissione nell’impossibilità di sapere quale effetto avrebbe potuto avere la sua decisione sul SEM sul calcolo del margine di dumping.

164    Infine, nella sentenza Zhejiang Harmonic Hardware Products/Consiglio, citata al punto 155 supra (punto 37), il Tribunale ha richiamato la ratio legis dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), secondo comma, del regolamento di base, ricordando che tale disposizione non osta a che il riconoscimento del SEM non venga mantenuto quando un cambiamento della situazione di fatto in base alla quale tale status era stato attribuito non consente più di ritenere che il produttore de quo operi in condizioni di economia di mercato oppure quando la Commissione sarebbe indotta a proporre al Consiglio misure definitive che perpetuano, a danno dell’impresa interessata, un errore commesso nella valutazione iniziale dei criteri materiali enunciati all’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), primo comma, del regolamento in parola.

165    Ne consegue che, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, nelle sentenze Nanjing Metalink/Consiglio, Shanghai Excell M&E Enterprise e Shanghai Adeptech Precision/Consiglio, citate al punto 152 supra, e Zhejiang Harmonic Hardware Products/Consiglio, citata al punto 155 supra, il Tribunale non ha statuito che la ratio legis dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), secondo comma, del regolamento di base giustificava l’annullamento di un regolamento istitutivo di dazi antidumping definitivi a carico di un’impresa ogniqualvolta la Commissione abbia potuto conoscere gli effetti della decisione relativa al SEM sul calcolo del margine del dumping di tale impresa e in virtù di tale sola conoscenza al momento dell’adozione della decisione relativa al SEM. Occorre osservare, alla stregua del Consiglio, che non sussiste un collegamento diretto fra il termine di tre mesi previsto all’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), secondo comma, del regolamento di base e l’eventuale conoscenza da parte della Commissione dell’effetto di una decisione sul SEM sui margini di dumping di un’impresa. D’altra parte, il regolamento di base non impone che la decisione sul SEM sia adottata in un momento in cui la Commissione non era a conoscenza di elementi che le permettevano di conoscere l’effetto di una decisione relativa al SEM sui margini di dumping di un’impresa. A questo proposito non si può escludere che, anche quando nell’adottare la decisione sul SEM non sia stato superato il termine in parola, la Commissione prenda una decisione siffatta benché sia già a conoscenza di informazioni che le permettono di calcolarne l’effetto sul margine di dumping dell’impresa interessata.

166    In ogni caso, dalla sentenza della Corte del 1° ottobre 2009, Foshan Shunde Yongjian Housewares & Hardware/Consiglio (C‑141/08 P, Racc. pag. I‑9147), si evince che, fondandosi sui principi di legalità e di buona amministrazione e nel rispetto delle garanzie procedurali previste dal regolamento di base, la Corte intende privilegiare la corretta applicazione dei criteri sostanziali fissati dall’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), del regolamento di base piuttosto che l’esigenza di immutabilità di una decisione sul SEM o ancora la mancata conoscenza dell’effetto di una decisione sul SEM sul margine di dumping di un’impresa all’atto dell’adozione di una decisione simile. Come ricordato dal Tribunale nella sua sentenza Zhejiang Harmonic Hardware Products/Consiglio, citata al punto 155 supra (punto 39), la Corte ha infatti ritenuto, in tale sentenza, che alla luce dei principi di legalità e di buona amministrazione l’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), del regolamento di base non può ricevere un’interpretazione che obblighi la Commissione a proporre al Consiglio misure definitive che perpetuerebbero, a danno dell’impresa interessata, un errore commesso nella valutazione dei criteri sostanziali previsti da tale norma. Quindi, nel caso in cui la Commissione si avveda, nel corso dell’inchiesta, che, contrariamente alla sua iniziale valutazione, un’impresa soddisfa i criteri posti dall’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), primo comma, del regolamento di base, essa ne dovrebbe trarre conseguenze appropriate, assicurando al contempo il rispetto delle garanzie procedurali previste dal regolamento di base (sentenza Foshan Shunde Yongjian Housewares & Hardware/Consiglio, cit., punti 111 e 112).

167    Alla luce delle considerazioni che precedono si deve ritenere che, se è vero, in linea di principio, che tutte le decisioni sul SEM, a norma del tenore letterale dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), secondo comma, del regolamento di base, dovrebbero essere adottate entro tre mesi dall’apertura dell’inchiesta e che l’accertamento effettuato dovrebbe restare valido durante tale inchiesta, ciò non toglie che, allo stato attuale del diritto dell’Unione e secondo l’interpretazione data di tale norma dal giudice dell’Unione e ricordata ai punti 152 e 155 supra, da un lato, l’adozione di una decisione al di fuori di tale termine non comporta di per sé l’annullamento di un regolamento istitutivo di un dazio antidumping e, dall’altro, una tale decisione potrebbe essere modificata nel corso del procedimento qualora si riveli errata.

168    Nel caso di specie è pacifico che la decisione finale di rigetto del SEM della ricorrente non è stata adottata nel termine di tre mesi previsto all’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), secondo comma, del regolamento di base. L’avviso di apertura del procedimento è stato infatti pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea il 2 ottobre 2009, mentre la decisione finale di rigetto del SEM è stata proposta il 26 marzo 2010 e confermata il 30 aprile 2010.

169    Occorre inoltre osservare che la Commissione ha ricevuto le risposte al questionario antidumping della ricorrente il 19 novembre 2009, comprese le sezioni del questionario relative alle vendite nell’Unione e ai loro costi (v. punto 29 supra). Secondo la ricorrente, queste informazioni hanno permesso alla Commissione di calcolare il suo margine di dumping in caso di concessione del SEM. D’altra parte, il 18 dicembre 2009 la Commissione ha ricevuto le risposte ai questionari antidumping dei produttori dell’Unione indicati al punto 23 supra e poteva, come sottolinea la ricorrente, a tale data, calcolare l’effetto di una decisione di rigetto del SEM della ricorrente sul suo margine di dumping.

170    Tuttavia, alla luce delle considerazioni che precedono si deve ritenere che, anche supponendo che il fatto che la Commissione, in ragione del mancato rispetto del termine di tre mesi previsto all’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), secondo comma, del regolamento di base, abbia potuto aver conoscenza dell’effetto della decisione relativa al SEM della ricorrente sul margine di dumping di quest’ultima sia rilevante, in quanto si ritiene che la Commissione possa essere stata influenza da tale conoscenza in sede di adozione della decisione, si dovrebbe constatare che la ricorrente non ha dimostrato che il regolamento impugnato avrebbe potuto avere un contenuto diverso in mancanza delle pretese irregolarità nell’iter di adozione della decisione sul SEM.

171    Anzitutto, il suo argomento secondo cui la decisione della Commissione di respingere la sua domanda di SEM sarebbe stata adottata «in funzione di ciò che essa conosceva circa l’effetto di un siffatto diniego sul [suo] margine di dumping e che detta decisione avrebbe potuto essere diversa se la Commissione non avesse avuto a disposizione tali informazioni» non può essere accolto. Infatti, la semplice conoscenza dell’effetto di una decisione sul SEM sul margine di dumping di un’impresa non comporta necessariamente che una tale decisione – e, di conseguenza, il regolamento impugnato – avrebbe potuto avere un contenuto diverso se tale decisione fosse stata adottata nel termine di tre mesi di cui all’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), del regolamento di base. Da un lato, a detta della stessa ricorrente, la Commissione era già in grado il 18 dicembre 2009, vale a dire prima del decorso di tale termine, di conoscere l’effetto della decisione di rigetto del SEM sul suo margine di dumping. Dall’altro, si deve considerare che, anche quando la Commissione dispone di informazioni che le permettono di calcolare il margine di dumping di un produttore al momento dell’adozione della decisione sul SEM di tale produttore, resta tuttavia la possibilità che tale decisione – e il regolamento che impone i dazi antidumping definitivi – non avrebbe comunque potuto essere diversa. Ciò potrebbe accadere qualora fosse evidente che un simile produttore non poteva beneficiare del SEM in virtù del fatto che la Commissione aveva legittimamente ritenuto che esso non soddisfaceva i criteri per la concessione del SEM previsti all’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), del regolamento di base, e che erano integrate le condizioni necessarie per poter istituire i dazi antidumping.

172    D’altro canto, l’argomento della ricorrente non è in alcun modo fondato. Infatti, da una parte, la ricorrente si limita a sostenere, senza dedurre alcun elemento a comprova di tale affermazione, «che l’obiettivo della Commissione era di mettere fine al dazio nullo di cui [essa] beneficiava (...), e che tutti i mezzi erano leciti per raggiungere tale obiettivo». Date le circostanze, anche supponendo che con il suo argomento la ricorrente abbia inteso eccepire uno sviamento di potere della Commissione, esso dovrebbe essere rigettato per i motivi illustrati al punto 130 supra.

173    Dall’altra, la ricorrente non fornisce alcuna indicazione circa gli elementi della decisione sul SEM che sarebbero potuti essere interpretati diversamente se la decisione della Commissione a tal proposito fosse stata adottata entro il termine di tre mesi o senza la pretesa conoscenza dell’incidenza di una decisione siffatta sul suo margine di dumping.

174    Effettivamente la ricorrente formula, in via incidentale, alcune considerazioni concernenti il prezzo pagato per i suoi principali fattori produttivi sul mercato interno. La ricorrente afferma così che la Commissione non ha riscontrato alcuna interferenza dello Stato cinese sulle sue decisioni sull’acquisto delle materie prime. A tal proposito, le uniche interferenze contestate sarebbero di carattere macroeconomico e si riferirebbero al preteso intervento delle autorità cinesi per regolare il prezzo di mercato nel suo insieme. Orbene, tali interferenze non sarebbero tali da costituire un’interferenza significativa dello Stato sulle decisioni delle imprese in relazione ai prezzi e ai costi dei fattori produttivi, idonea a impedire che le decisioni vengano prese in risposta a tendenze del mercato che rispecchiano condizioni di domanda e di offerta.

175    Tali osservazioni mirano tuttavia più a contestare l’applicazione del criterio di cui all’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), primo trattino, del regolamento di base che a dimostrare che la decisione di rigetto del SEM era stata adottata in funzione della conoscenza che la Commissione aveva dell’effetto di una decisione siffatta sul margine di dumping della ricorrente, circostanza questa che forma oggetto della censura alla base del presente motivo.

176    In ogni caso, anche a supporre che contestando l’applicazione da parte della Commissione di detto criterio la ricorrente intendesse provare che, indipendentemente da ogni inosservanza del termine di tre mesi previsto dall’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), secondo comma, del regolamento di base, la decisione sul SEM era erronea, occorrerebbe osservare che, come emerge dai punti 27‑34 del regolamento impugnato, l’inchiesta ha stabilito che la ricorrente non soddisfaceva i criteri previsti all’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), primo trattino, del regolamento di base, relativi ai costi delle materie prime, e neppure i criteri di cui all’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), secondo trattino, del regolamento di base, relativi alla tenuta dei suoi documenti contabili.

177    Dal momento che il produttore interessato deve soddisfare tutte le condizioni enunciate all’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), del regolamento di base per beneficiare dello status di impresa operante in economia di mercato e che, se egli non soddisfa una di queste condizioni, la sua domanda dev’essere respinta (sentenza Shanghai Teraoka Electronic/Consiglio, cit. al punto 109 supra, punto 54), l’argomento della ricorrente non può rimettere in discussione la valutazione compiuta dalla Commissione in relazione alla sua domanda di SEM, in quanto essa non nega il fatto che non soddisfaceva la condizione indicata all’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), secondo trattino, del regolamento di base.

178    Ne consegue che la ricorrente ha omesso di dimostrare che il regolamento impugnato avrebbe potuto avere un contenuto diverso se la decisione della Commissione sulla sua domanda di SEM fosse stata adottata nel termine di tre mesi di cui all’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), del regolamento di base o quando la Commissione non era a conoscenza di elementi idonei a permetterle di calcolare il suo margine di dumping.

179    Occorre quindi respingere la presente parte del terzo motivo.

 Sulla seconda parte, relativa al fatto che l’onere della prova imposto dalla Commissione alla ricorrente affinché questa dimostri di operare in economia di mercato è eccessivo e viola i principi generali di diritto dell’Unione

180    Nell’ambito di questa parte la ricorrente afferma che l’onere della prova impostole dalla Commissione affinché essa dimostri di operare in economia di mercato è eccessivo e viola i principi generali di diritto dell’Unione e, segnatamente, il principio di buona amministrazione. Secondo la giurisprudenza del Tribunale, le istituzioni non possono pretendere che un esportatore cinese, per beneficiare di un dazio previsto dal regolamento di base, dia la prova di un fatto che è per lui impossibile dimostrare.

181    Nel caso di specie la Commissione avrebbe imposto alla ricorrente di provare che il mercato dell’acciaio in Cina era libero da interferenze significative da parte delle autorità cinesi, aspetto questo che la ricorrente è impossibilitata a provare. La Commissione dovrebbe indicare chiaramente le informazioni che vuole ricevere da parte dei produttori cinesi e fare in modo che le informazioni richieste non siano eccessive tenuto conto dell’oggetto della domanda e delle capacità degli esportatori interessati.

182    Così, come ricordato al punto 134 supra, da una giurisprudenza costante della Corte in materia di politica commerciale comune e, specialmente, nell’ambito delle misure di difesa commerciale, deriva che le istituzioni dell’Unione dispongono di un ampio potere discrezionale in considerazione della complessità delle situazioni economiche, politiche e giuridiche che devono esaminare. Quanto al sindacato giurisdizionale su tale valutazione, esso deve essere limitato alla verifica del rispetto delle norme procedurali, dell’esattezza materiale dei fatti considerati nell’operare la scelta contestata, dell’assenza di un manifesto errore di valutazione di tali fatti ovvero dell’assenza di uno sviamento di potere (sentenze della Corte Ikea Wholesale, cit. al punto 96 supra, punti 40 e 41, e del 16 febbraio 2012, Consiglio e Commissione/Interpipe Niko Tube e Interpipe NTRP, C‑191/09 P e C‑200/09 P, punto 63).

183    Lo stesso vale per le situazioni di fatto, di ordine giuridico e politico, esistenti nel paese considerato che le istituzioni dell’Unione devono valutare per accertare se un esportatore operi nelle condizioni di mercato senza intervento significativo dello Stato e possa, conseguentemente, beneficiare del riconoscimento dello status proprio delle imprese operanti in economia di mercato (v. in tal senso, sentenze del Tribunale del 18 settembre 1996, Climax Paper/Consiglio, T‑155/94, Racc. pag. II‑873, punto 98; Shanghai Teraoka Electronic/Consiglio, cit. al punto 109 supra, punto 49, e Shanghai Excell M&E Enterprise e Shanghai Adeptech Precision/Consiglio, cit. al punto 152 supra, punto 81).

184    Tuttavia, in tale contesto, se è vero che nel settore delle misure di protezione commerciale e, segnatamente, delle misure antidumping, il giudice dell’Unione non può intervenire nella valutazione riservata alle autorità dell’Unione, spetta nondimeno al detto giudice assicurarsi che le istituzioni abbiano tenuto conto di tutte le circostanze pertinenti e che abbiano valutato gli elementi versati agli atti con tutta la diligenza richiesta (v., in tal senso, sentenza del Tribunale del 13 luglio 2006, Shandong Reipu Biochemicals/Consiglio, T‑413/03, Racc. pag. II‑2243, punto 64 e giurisprudenza ivi citata).

185    Dall’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), del regolamento di base risulta peraltro che l’onere della prova grava sul produttore che intende beneficiare dello status riconosciuto alle società operanti in economia di mercato. Infatti, a norma dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), del regolamento di base, la domanda di cui alla lettera b) dev’essere fatta per iscritto e deve contenere prove sufficienti in ordine al fatto che il produttore opera in condizioni di economia di mercato. Non spetta dunque alle istituzioni dell’Unione provare che il produttore non soddisfa le condizioni previste per beneficiare di detto status. Per contro, a tali istituzioni compete valutare se gli elementi forniti dal produttore interessato siano sufficienti per dimostrare che le condizioni poste dall’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), del regolamento di base sono soddisfatte e al giudice dell’Unione compete verificare che tale valutazione non sia viziata da un errore manifesto [sentenza della Corte del 2 febbraio 2012, Brosmann Footwear (HK) e a./Consiglio, C‑249/10 P, punto 32; v. altresì, in tal senso, sentenze Shanghai Teraoka Electronic/Consiglio, cit. al punto 109 supra, punto 53, e Shanghai Excell M&E Enterprise e Shanghai Adeptech Precision/Consiglio, cit. al punto 152 supra, punto 83].

186    Diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, nel presente caso le istituzioni non hanno violato l’onere della prova.

187    In via preliminare, occorre sottolineare che, nel ricorso e in udienza, la ricorrente si è richiamata alla giurisprudenza citata al punto 184 supra, pur senza contestare la fondatezza delle valutazioni compiute dalle istituzioni circa la sua domanda di SEM, contenute ai punti 28‑33 del regolamento impugnato. La ricorrente non ha neppure messo in dubbio la valutazione compiuta dalla Commissione, ai punti 37‑44 del regolamento impugnato, degli elementi da essa indicati, in particolare, nelle sue lettere del 2 marzo 2010 e del 13 aprile 2010 al fine di dimostrare che essa soddisfaceva le condizioni previste all’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), del regolamento di base, e non ha nemmeno sostenuto che la Commissione abbia commesso un manifesto errore di valutazione al riguardo.

188    In primis, basandosi sulla sentenza del Tribunale del 17 giugno 2009, Zhejiang Xinan Chemical Industrial Group/Consiglio (T‑498/04, Racc. pag. II‑1969, punti 99 e 100), la ricorrente afferma che l’onere della prova gravante sul produttore esportatore richiedente il SEM è soddisfatto quando quest’ultimo ha fornito alla Commissione diversi elementi di prova intesi a dimostrare che esso soddisfaceva il requisito previsto dall’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), come sollecitati dalla Commissione stessa nel suo questionario destinato ai produttori richiedenti il SEM, e che sono stati oggetto di verifica da parte della Commissione senza che ne venisse messa in discussione l’autenticità.

189    Tuttavia, come si è osservato al punto 187 supra, la ricorrente non afferma che gli elementi da essa dedotti nel corso del procedimento amministrativo a fondamento della sua domanda di SEM dimostravano che aveva soddisfatto la condizione indicata all’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), primo trattino, del regolamento di base e non contesta la fondatezza della valutazione compiuta dalle istituzioni a tal proposito. Tale argomento non può pertanto essere accolto.

190    In secondo luogo, la ricorrente afferma che la Commissione ha preteso che essa «dimostri che il mercato dell’acciaio in Cina è libero da interferenze significative da parte delle autorità cinesi», prova questa che sarebbe per lei impossibile fornire. Essa tuttavia non fornisce prova alcuna di una tale richiesta da parte delle istituzioni, che viene peraltro negata dal Consiglio nel suo controricorso.

191    A tal proposito, come correttamente sottolineato dal Consiglio, spettava alla ricorrente dimostrare, mediante prove sufficienti, che essa operava in condizioni di economia di mercato e, segnatamente, che i costi dei suoi fattori produttivi erano conformi ai valori di mercato.

192    Dal momento che la Commissione ha provato che la ricorrente aveva acquistato le sue materie prime durante il periodo dell’inchiesta sul mercato interno cinese e aveva così beneficiato, in tale periodo, di prezzi dell’acciaio artificialmente bassi e distorti (punti 32 e 33 del regolamento impugnato) e che i costi dei fattori produttivi non rispecchiavano i valori di mercato, spettava alla ricorrente presentare alla Commissione elementi idonei a confutare tali conclusioni. La censura della ricorrente non può pertanto essere accolta.

193    Dato che il motivo concernente l’asserita violazione del principio di buona amministrazione si fonda unicamente sull’eccepita violazione dei principi in materia di onere della prova, anch’esso deve essere respinto.

194    Ne consegue che il terzo motivo dev’essere respinto, così come l’intero ricorso.

 Sulle spese

195    Ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. In conformità dell’articolo 87, paragrafo 4, del regolamento di procedura, le istituzioni intervenute nella causa sopportano le proprie spese.

196    La ricorrente, rimasta soccombente, deve essere condannata a sopportare, oltre alle proprie spese, quelle sostenute dal Consiglio, dalla Vale Mill (Rochdale) e dalla Colombo New Scal.

197    La Commissione sopporterà le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Ottava Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Since Hardware (Guangzhou) Co., Ltd sopporterà le proprie spese nonché quelle sostenute dal Consiglio dell’Unione europea, dalla Vale Mill (Rochdale) Ltd e dalla Colombo New Scal SpA.

3)      La Commissione europea sopporterà le proprie spese.

Truchot

Martins Ribeiro

Popescu

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 18 settembre 2012.

Indice


Contesto normativo

La normativa dell’OMC

Diritto dell’Unione

Fatti

Il regolamento impugnato

Procedimento e conclusioni delle parti

In diritto

Sul primo motivo, relativo alla violazione dell’articolo 5, paragrafo 9, dell’articolo 9, paragrafi 3‑6, e dell’articolo 17 del regolamento di base, a ragione del fatto che l’apertura di un procedimento non potrebbe contemplare una società in particolare, ma dovrebbe riguardare uno o più paesi e l’insieme dei produttori ivi stabiliti

Sulla prima parte, relativa alla violazione dell’articolo 5, paragrafo 9, del regolamento di base, letto in combinato disposto con l’articolo 17 del regolamento di base e interpretato in modo conforme al diritto dell’OMC

Sulla seconda parte, relativa alla violazione dell’articolo 9, paragrafi 4‑6, del regolamento di base, interpretato in modo conforme al diritto dell’OMC

Sulla terza parte, relativa alla violazione dell’articolo 9, paragrafo 3, del regolamento di base

– Osservazioni preliminari

– Sull’argomento formulato in via principale, relativo al fatto che l’articolo 9, paragrafo 3, del regolamento di base imporrebbe alle istituzioni di riesaminare i dazi nulli dei produttori il cui margine di dumping è minimo in applicazione dell’articolo 11, paragrafo 3, del suddetto regolamento

– Sull’argomento formulato in via subordinata, relativo al fatto che la Commissione avrebbe compiuto un riesame de facto del dazio nullo della ricorrente, in violazione dell’articolo 9, paragrafo 3, del regolamento di base, come interpretato in conformità della relazione dell’organo d’appello dell’OMC

Sul secondo motivo, relativo alla violazione dell’articolo 3, paragrafi 2, 3 e 5, del regolamento di base, in ragione del fatto che i dazi antidumping sarebbero stati imposti alla ricorrente senza aver dimostrato che l’industria dell’Unione abbia subito un pregiudizio durante il periodo d’inchiesta

Sul terzo motivo, relativo alla violazione dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), secondo comma, del regolamento di base, in ragione del fatto che la decisione di negare alla ricorrente il SEM sarebbe stata adottata in funzione di ciò che la Commissione europea conosceva circa l’effetto di un siffatto diniego sul suo margine di dumping, nonché alla violazione dei principi in materia di onere della prova e di buona amministrazione

Sulla prima parte, relativa al fatto che la decisione di non accordare il SEM alla ricorrente sarebbe stata adottata in funzione di ciò che la Commissione europea conosceva circa l’effetto di un siffatto diniego sul margine di dumping della ricorrente, in violazione dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), secondo comma, del regolamento di base

Sulla seconda parte, relativa al fatto che l’onere della prova imposto dalla Commissione alla ricorrente affinché questa dimostri di operare in economia di mercato è eccessivo e viola i principi generali di diritto dell’Unione

Sulle spese


* Lingua processuale: il francese.