Language of document : ECLI:EU:T:2012:658

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Ottava Sezione)

7 dicembre 2012 (*)

«Marchio comunitario – Opposizione – Domanda di marchio comunitario denominativo QUADRATUM – Marchio comunitario denominativo anteriore LOACKER QUADRATINI – Impedimento relativo alla registrazione – Insussistenza di rischio di confusione – Articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (CE) n. 40/94 [divenuto articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (CE) n. 207/2009] – Articolo 73 del regolamento n. 40/94 (divenuto articolo 75 del regolamento n. 207/2009) – Articolo 74 del regolamento n. 40/94 (divenuto articolo 76 del regolamento n. 207/2009)»

Nella causa T‑42/09,

A. Loacker SpA, con sede in Auna di Sotto, rappresentata da V. Bilardo, C. Bacchini e M. Mazzitelli, avvocati,

ricorrente,

contro

Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), rappresentato da A. Sempio, in qualità di agente,

convenuto,

controinteressata nel procedimento dinanzi alla commissione di ricorso dell’UAMI e interveniente dinanzi al Tribunale:

Editrice Quadratum SpA, con sede in Milano, rappresentata da P. Pozzi, P. Perani e G. Ghisletti, avvocati,

avente ad oggetto un ricorso proposto contro la decisione della prima commissione di ricorso dell’UAMI del 23 ottobre 2008 (procedimento R 34/2008‑1), relativa ad un procedimento di opposizione tra l’A. Loacker SpA e l’Editrice Quadratum SpA,

IL TRIBUNALE (Ottava Sezione),

composto dal sig. L. Truchot, presidente, dalla sig.ra E. Martins Ribeiro e dal sig. A. Popescu (relatore), giudici,

cancelliere: sig.ra C. Heeren, amministratore

visto il ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 28 gennaio 2009,

visto il controricorso dell’UAMI depositato presso la cancelleria del Tribunale il 29 aprile 2009,

visto il controricorso dell’interveniente depositato presso la cancelleria del Tribunale il 30 aprile 2009,

vista la decisione del 19 giugno 2009 recante diniego dell’autorizzazione a depositare una memoria di replica,

in seguito all’udienza del 13 giugno 2012,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        Il 26 settembre 2005 l’interveniente, Editrice Quadratum SpA, presentava una domanda di registrazione di marchio comunitario all’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), ai sensi del regolamento (CE) n. 40/94 del Consiglio, del 20 dicembre 1993, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), come modificato [sostituito dal regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio comunitario (GU L 78, pag. 1)].

2        Il marchio del quale era chiesta la registrazione è il segno denominativo QUADRATUM.

3        I prodotti per i quali era chiesta la registrazione appartengono segnatamente alla classe 30 ai sensi dell’Accordo di Nizza del 15 giugno 1957, relativo alla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, come riveduto e modificato, e corrispondono alla seguente descrizione: «Caffè, tè, cacao, zucchero, riso, tapioca, sago, succedanei del caffè, farine e preparati fatti di cereali, pane, pasticceria e confetteria, gelati, miele, sciroppo di melassa, lievito, polvere per lievitazione, sale, senape, aceto, salse (condimenti), spezie, ghiaccio».

4        La domanda di marchio comunitario veniva pubblicata nel Bollettino dei marchi comunitari n. 9/2006 del 27 febbraio 2006.

5        Il 24 maggio 2006 la ricorrente, A. Loacker SpA, proponeva opposizione, ai sensi dell’articolo 42 del regolamento n. 40/94 (divenuto articolo 41 del regolamento n. 207/2009), avverso la registrazione del marchio richiesto per i prodotti di cui al punto 3 supra.

6        L’opposizione era fondata sul marchio comunitario denominativo anteriore LOACKER QUADRATINI, registrato il 17 aprile 2003 con il n. 2240232, per designare i prodotti appartenenti alla classe 30 e corrispondenti alla seguente descrizione: «Biscotti, crostatine, merendine (snack), focacce ed altri prodotti da forno, pasticcini e dolciumi».

7        Il motivo dedotto a sostegno dell’opposizione era quello indicato all’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 40/94 [divenuto articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009].

8        Il 30 ottobre 2007 la divisione di opposizione accoglieva parzialmente l’opposizione e, di conseguenza, respingeva la domanda di registrazione per i seguenti prodotti: «pasticceria e confetteria, gelati, pane, cacao». Essa respingeva l’opposizione per gli altri prodotti.

9        Il 19 dicembre 2007, l’interveniente proponeva ricorso dinanzi all’UAMI, ai sensi degli articoli 57‑62 del regolamento n. 40/94 (divenuti articoli 58‑64 del regolamento n. 207/2009) avverso la decisione della divisione di opposizione.

10      Con decisione del 23 ottobre 2008 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), la prima commissione di ricorso dell’UAMI annullava la decisione della divisione di opposizione. Innanzitutto essa riteneva che il pubblico di riferimento fosse costituito dal consumatore medio nel territorio della Comunità europea e che non fosse ragionevole, data la natura dei prodotti di cui trattasi, prendere in considerazione un’elevata soglia di attenzione di tale pubblico. Essa constatava inoltre che i prodotti coperti dai marchi in conflitto erano identici.

11      Successivamente, la commissione di ricorso, per quanto riguarda la comparazione dei segni confliggenti, considerava che, in primo luogo, il marchio richiesto era costituito da un unico termine e che tale circostanza contribuiva in maniera decisiva ad escludere qualsiasi somiglianza con il marchio anteriore, sia sul piano visivo sia sul piano fonetico. In secondo luogo, essa rilevava l’esistenza di una differenza tra la desinenza «tum» del marchio QUADRATUM che ricordava una sonorità caratteristica della lingua latina e la combinazione sillabica «tini» con la quale terminava il marchio anteriore che era, al contrario, tipicamente italiana. In terzo luogo, la commissione di ricorso indicava che il marchio anteriore iniziava con «loacker», termine di pura fantasia che, essendo collocato nella parte iniziale del marchio, attraeva maggiormente l’attenzione del consumatore. In quarto luogo, la commissione di ricorso considerava che, nel caso del marchio anteriore, il termine «quadratini» poteva, così come altri diminutivi, essere compreso dal consumatore italiano come un’allusione alla forma di «quadrato» per prodotti alimentari. La commissione di ricorso, al contrario, riteneva che fosse improbabile che il consumatore italiano ricollegasse il termine «quadratum» alla forma del prodotto, dato che non si trattava né di un vocabolo italiano né di un diminutivo. Infine, la commissione di ricorso concludeva che le differenze tra i marchi confliggenti erano talmente rilevanti che, anche se fossero stati usati per contraddistinguere gli stessi generi alimentari, un consumatore normalmente attento e perspicace non li avrebbe confusi.

 Conclusioni delle parti

12      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        condannare l’UAMI alle spese.

13      L’UAMI e l’interveniente chiedono che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

 In diritto

14      A sostegno del suo ricorso, la ricorrente invoca tre motivi vertenti, rispettivamente, sulla violazione dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 40/94, sulla violazione dell’articolo 73 del regolamento n. 40/94 (divenuto articolo 75 del regolamento n. 207/2009) e sulla violazione dell’articolo 74 del regolamento n. 40/94 (divenuto articolo 76 del regolamento n. 207/2009).

 Sul primo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 40/94

15      Ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 40/94, in seguito all’opposizione del titolare di un marchio anteriore, il marchio richiesto è escluso dalla registrazione se, a causa della sua identità o della sua somiglianza col marchio anteriore e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi designati dai due marchi, sussiste un rischio di confusione per il pubblico del territorio nel quale il marchio anteriore è tutelato. Il rischio di confusione comprende il rischio di associazione con il marchio anteriore.

16      Secondo costante giurisprudenza, costituisce un rischio di confusione la possibilità che il pubblico creda che i prodotti o i servizi in questione provengano dalla stessa impresa o eventualmente da imprese economicamente legate tra loro. A tenore di questa stessa giurisprudenza, il rischio di confusione dev’essere valutato globalmente, secondo la percezione che il pubblico di riferimento ha dei segni e dei prodotti o servizi in questione e prendendo in considerazione tutti i fattori pertinenti del caso di specie, in particolare l’interdipendenza della somiglianza dei segni e quella dei prodotti o dei servizi designati [v. sentenza del Tribunale del 9 luglio 2003, Laboratorios RTB/UAMI – Giorgio Beverly Hills (GIORGIO BEVERLY HILLS), T‑162/01, Racc. pag. II‑2821, punti 30‑33 e giurisprudenza ivi citata].

17      Ai fini dell’applicazione dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 40/94, un rischio di confusione presuppone sia un’identità o una somiglianza dei marchi in conflitto sia un’identità o una somiglianza tra i prodotti o servizi che essi designano. Si tratta di condizioni cumulative [v. sentenza del Tribunale del 22 gennaio 2009, Commercy/UAMI – easyGroup IP Licensing (easyHotel), T‑316/07, Racc. pag. II‑43, punto 42 e giurisprudenza ivi citata].

18      Inoltre, nell’ambito della valutazione globale del rischio di confusione, si ritiene che il consumatore medio dei prodotti interessati sia normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto. Peraltro, occorre tener conto del fatto che il consumatore medio solo raramente ha la possibilità di procedere a un confronto diretto dei vari marchi, ma deve fare affidamento sull’immagine imperfetta che ne ha mantenuto nella memoria. Occorre anche prendere in considerazione il fatto che il livello di attenzione del consumatore medio può variare in funzione della categoria di prodotti o servizi di cui trattasi [sentenze del Tribunale del 23 ottobre 2002, Oberhauser/UAMI – Petit Liberto (Fifties), T‑104/01, Racc. pag. II‑4359, punto 28, e del 30 giugno 2004, BMI Bertollo/UAMI – Diesel (DIESELIT), T‑186/02, Racc. pag. II‑1887, punto 38].

19      È alla luce delle considerazioni che precedono che si deve esaminare la sussistenza di una somiglianza tra i segni in conflitto.

 Sul pubblico di riferimento

20      A tal proposito, è pacifico che il pubblico di riferimento, come correttamente rilevato dalla commissione di ricorso al punto 13 della decisione impugnata, è costituito dal consumatore medio nel territorio della Comunità. Inoltre, secondo la commissione di ricorso, data la natura dei prodotti interessati, non è ragionevole prendere in considerazione un’elevata soglia di attenzione da parte del medesimo pubblico al momento dell’acquisto. Tali rilievi, non contestati dalla ricorrente, devono essere condivisi.

 Sulla comparazione dei prodotti

21      In proposito, è sufficiente rilevare che la posizione assunta dalla commissione di ricorso ai punti 15‑17 della decisione impugnata, secondo cui i prodotti di cui trattasi sono identici, non è stata contestata dalla ricorrente e dev’essere condivisa.

 Sulla comparazione dei segni

22      La valutazione globale del rischio di confusione deve fondarsi, per quanto attiene alla somiglianza visiva, fonetica o concettuale dei marchi di cui trattasi, sull’impressione complessiva prodotta dai medesimi, in considerazione, in particolare, dei loro elementi distintivi e dominanti. La percezione dei marchi che il consumatore medio ha dei prodotti o servizi di cui trattasi svolge un ruolo determinante nella valutazione globale di tale rischio. Al riguardo, il consumatore medio percepisce normalmente un marchio come un tutt’uno e non effettua un esame dei suoi singoli elementi (sentenze della Corte dell’11 novembre 1997, SABEL, C‑251/95, Racc. pag. I‑6191, punto 23; del 22 giugno 1999, Lloyd Schuhfabrik Meyer, C‑342/97, Racc. pag. I‑3819, punto 25, e ordinanza della Corte del 28 aprile 2004, Matratzen Concord/UAMI, C‑3/03 P, Racc. pag. I‑3657, punto 29).

23      La ricorrente sostiene che i termini «quadratum» e «quadratini» dei segni in conflitto presentano somiglianze sia sul piano visivo sia sul piano fonetico. Essa considera in particolare che i termini in questione hanno in comune le prime sette lettere, «q» «u» «a» «d» «r» «a» e «t», e che, poiché il consumatore attribuisce di regola maggiore importanza alla parte iniziale delle parole, tale circostanza crea un’indiscutibile somiglianza visiva e fonetica.

24      Nel caso di specie si deve constatare che il marchio anteriore è costituito dagli elementi denominativi «loacker» e «quadratini», mentre il marchio richiesto si compone esclusivamente della parola «quadratum».

25      Per quanto riguarda la comparazione visiva e fonetica, in primo luogo, la circostanza che il marchio anteriore si componga di due parole contrariamente al marchio richiesto, costituito da un’unica parola, rende sostanzialmente diverse la lunghezza e la struttura dei segni in conflitto, dal momento che non hanno alcun elemento in comune.

26      In secondo luogo, il numero complessivo delle sillabe dei segni in conflitto è assai diverso: sette sillabe, «lo» «ac» «ker» «qua» «dra» «ti» e «ni», nel marchio anteriore e soltanto tre sillabe, «qua» «dra» e «tum», nel marchio richiesto.

27      In terzo luogo, il marchio anteriore si compone di diciassette lettere, «l» «o» «a» «c» «k» «e» «r» «q» «u» «a» «d» «r» «a» «t» «i» «n» e «i», mentre il marchio richiesto è costituito soltanto da nove lettere, «q» «u» «a» «d» «r» «a» «t» «u» e «m».

28      In quarto luogo, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, la commissione di ricorso ha correttamente indicato, al punto 21 della decisione impugnata, che la presenza del termine «loacker», collocato all’inizio del marchio anteriore, attirava maggiormente l’attenzione del consumatore. Infatti, secondo la giurisprudenza, la parte iniziale dei marchi denominativi può maggiormente attirare l’attenzione del consumatore rispetto alle parti successive [v. sentenza del Tribunale del 12 gennaio 2012, Storck/UAMI – RAI (Ragolizia), T‑462/09, non pubblicata nella Raccolta, punto 25 e giurisprudenza ivi citata].

29      In quinto luogo, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, devono essere confermate le considerazioni della commissione di ricorso al punto 20 della decisione impugnata relative alla differenza tra la desinenza «tum» del marchio QUADRATUM, che ricorda una sonorità della lingua latina, e la combinazione sillabica «tini» con cui termina il marchio anteriore, che, al contrario, è tipicamente italiana.

30      Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre concludere che la circostanza che le parti iniziali dei termini «quadratum» e «quadratini» coincidano perché costituite dalla medesima sequenza di sette lettere, «q» «u» «a» «d» «r» «a» e «t», non è sufficiente per farne derivare una somiglianza dei segni in conflitto. Al contrario, la differenza tra il numero di parole, di sillabe e di lettere nonché la presenza di una parola iniziale autonoma nel marchio anteriore rende i segni in conflitto sostanzialmente differenti sia dal punto di vista visivo sia da quello fonetico.

31      Tale conclusione non è smentita dall’affermazione della ricorrente secondo la quale la presenza del termine «loacker» nel marchio anteriore assume un rilievo secondario ai fini della valutazione del rischio di confusione tra i marchi di cui trattasi, dato che tale termine identifica la denominazione sociale della ricorrente.

32      A tal proposito si deve rilevare che la ricorrente concentra la sua analisi relativa alla comparazione dei segni unicamente sulle asserite analogie esistenti tra i termini «quadratum» e «quadratini» che comporterebbero una somiglianza fonetica e visiva indiscutibile. Orbene, la presenza della parola «loacker» nel marchio anteriore non può essere trascurata.

33      Tuttavia, si deve sottolineare che la funzione essenziale del marchio consiste nel garantire al consumatore o all’utilizzatore finale l’identità di origine del prodotto o del servizio contrassegnato, consentendogli di distinguere senza confusione possibile questo prodotto o servizio da quelli di provenienza diversa (sentenze della Corte del 29 settembre 1998, Canon, C‑39/97, Racc. pag. I‑5507, punto 28, e del 29 aprile 2004, Björnekulla Fruktindustrier, C‑371/02, Racc. pag. I‑5791, punto 20).

34      La presenza in un marchio dell’indicazione della denominazione sociale del produttore è in generale atta a soddisfare tale «funzione d’origine», che è la funzione essenziale del marchio [sentenza della Corte del 6 ottobre 2005, Medion, C‑120/04, Racc. pag. I‑8551, punto 31, e sentenza del Tribunale del 28 ottobre 2010, Farmeco/UAMI – Allergan (BOTUMAX), T‑131/09, non pubblicata nella Raccolta, punto 90].

35      Di conseguenza, alla luce di tale giurisprudenza, nonché di quella richiamata al punto 22 supra, secondo la quale il consumatore medio percepisce normalmente un marchio come un tutt’uno e non effettua un esame dei suoi singoli elementi, si deve prendere in considerazione, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, l’insieme degli elementi che compongono i segni in conflitto. Ne deriva che il termine «loacker» costituisce parte integrante del marchio anteriore e che la sua importanza non può essere affatto trascurata.

36      Dal punto di vista concettuale, la ricorrente deduce, in primo luogo, che, in violazione dell’articolo 74 del regolamento n. 40/94, nel fascicolo non vi è prova alcuna che indichi che si deve considerare usuale nel mercato italiano la prassi che consiste nell’utilizzare diminutivi (quali i termini «triangolini», «stelline» e «anellini») per descrivere la forma di prodotti alimentari. Essa asserisce che l’utilizzo dei predetti diminutivi riguarda soltanto la pasta e non i prodotti in questione. In secondo luogo, la ricorrente sostiene che i segni in conflitto alludono entrambi al concetto di «quadrato», quantomeno con riguardo al pubblico di lingua italiana, essendo il termine «quadratini» il diminutivo in lingua italiana della parola latina «quadratum», che viene chiaramente percepita nel suo significato dal consumatore italiano, attesa la forte somiglianza con la traduzione di tale parola in lingua italiana (quadrato). In terzo luogo, nell’ipotesi in cui il termine «quadratini» facesse effettivamente riferimento alla forma dei prodotti alimentari in generale, tale parola, secondo la ricorrente, dev’essere considerata alla stregua di un segno dotato di un carattere distintivo medio, ma non debole. Essa considera inoltre che, anche in presenza di un marchio anteriore a debole carattere distintivo, può sussistere un rischio di confusione, in particolare a causa di una somiglianza dei segni e dei prodotti o dei servizi considerati. In quarto luogo, la ricorrente sostiene che, con riguardo ai consumatori diversi da quelli di lingua italiana, il fatto di non percepire il significato dei termini in questione e, conseguentemente, il loro collegamento concettuale, è in ogni caso compensato dall’evidente somiglianza dei termini «quadratum» e «quadratini» sui piani fonetico e visivo. In quinto luogo, la ricorrente deduce che l’elemento denominativo «loacker», che, nel marchio anteriore, affianca il marchio speciale «QUADRATINI», identifica la sua denominazione sociale. Tale circostanza determinerebbe un rischio di associazione tra i segni, alla luce della contestuale presenza della radice «quadrat» nei segni in conflitto.

37      Nel caso di specie la commissione di ricorso ha considerato innanzitutto, al punto 21 della decisione impugnata, che il marchio anteriore iniziava con «loacker», termine di pura fantasia e per di più collocato nella parte iniziale del marchio, ove attirava maggiormente l’attenzione del consumatore. Successivamente, al punto 22, essa ha respinto l’argomento della ricorrente secondo il quale i due segni in conflitto verrebbero confusi, dal momento che entrambi farebbero riferimento al concetto di «quadrato».

38      A tal proposito la commissione di ricorso indica che, anche se il marchio anteriore evoca l’idea di quadrato come riferimento alla possibile forma dei prodotti (focacce o biscotti a forma di quadrato) in quanto il consumatore italiano si aspetta di vedere impiegato nel settore alimentare il termine «quadratini» alla stessa stregua di altri diminutivi, è improbabile che il consumatore italiano associ il termine «quadratum» alla forma dei prodotti, dato che non si tratta né di un vocabolo italiano né di un diminutivo.

39      Tali considerazioni della commissione di ricorso, che debbono essere condivise, non sono contraddette da alcun argomento della ricorrente.

40      In primo luogo, per quanto riguarda l’asserita mancanza di prove nella decisione impugnata della prassi che consiste nell’utilizzare in lingua italiana diminutivi per descrivere la forma di prodotti alimentari, si deve rilevare che tale contestazione corrisponde, in sostanza, agli argomenti invocati dalla ricorrente nell’ambito del terzo motivo di ricorso vertente sulla violazione dell’articolo 74 del regolamento n. 40/94.

41      Orbene, si deve ricordare che le commissioni di ricorso, per accertare la percezione che il pubblico di riferimento avrà dei marchi in conflitto, possono riferirsi a fatti notori o a particolari conoscenze dei loro membri relativamente a tali fatti notori, salvo che la parte pregiudicata da tale valutazione dimostri un errore di valutazione rispetto al carattere notorio di detti fatti [v., in tal senso, sentenze del Tribunale del 17 ottobre 2006, Hammarplast/UAMI – Steninge Slott (STENINGE SLOTT), T‑499/04, non pubblicata nella Raccolta, punto 53, e del 17 ottobre 2007, InterVideo/UAMI (WinDVD Creator), T‑105/06, non pubblicata nella Raccolta, punto 40].

42      Nel caso di specie la commissione di ricorso ha correttamente qualificato come fatto notorio l’utilizzo usuale in lingua italiana dei diminutivi per descrivere la forma dei prodotti alimentari. Essa ha citato, al punto 22 della decisione impugnata, diversi esempi di diminutivi siffatti, quali «triangolini» (a forma di triangolo), «stelline» (a forma di stella), «anellini» (a forma di anello), «orecchiette» (a forma di orecchio), «cubetti» (a forma di cubo), «dadini» (a forma di dado). Orbene, la ricorrente non ha prodotto alcun elemento né idoneo a smentire la circostanza che il consumatore italiano utilizzava abitualmente diminutivi per descrivere la forma di prodotti alimentari né idoneo a dimostrare che tali diminutivi erano adottati soltanto in relazione alla pasta e non ai prodotti di cui trattasi nel caso di specie.

43      A tal proposito si deve inoltre constatare che la commissione di ricorso ha menzionato espressamente al punto 22 della decisione impugnata esempi di diminutivi, quali «triangolini» (a forma di triangolo), «cubetti» (a forma di cubo) e «dadini» (a forma di dado), che non sono utilizzati dal consumatore italiano per la pasta, bensì per altri prodotti alimentari. Ne consegue che tale argomento dev’essere respinto.

44      In secondo luogo, si deve respingere l’argomento della ricorrente secondo il quale i segni in conflitto alludono entrambi al concetto di «quadrato», quantomeno per il pubblico di lingua italiana, dato che il termine «quadratini» rappresenta il diminutivo in lingua italiana della parola latina «quadratum».

45      A tal proposito, la commissione di ricorso ha correttamente indicato al punto 22 della decisione impugnata che il consumatore italiano sarà indotto ad associare il termine «quadratini» alla possibile forma di un prodotto alimentare, dato che si tratta di un diminutivo di un termine italiano. Al contrario, è improbabile che il consumatore italiano ricolleghi il termine «quadratum» alla forma dei prodotti alimentari, dato che non si tratta né di un vocabolo italiano né di un diminutivo.

46      Ne consegue che la circostanza che i due segni in conflitto alludano al concetto di «quadrato» non è sufficiente per dedurre la sussistenza di una somiglianza concettuale tra detti segni.

47      In terzo luogo, per quanto riguarda l’asserito carattere distintivo medio del termine «quadratini», si deve rilevare che tale argomento muove dalla premessa erronea secondo la quale la commissione di ricorso avrebbe considerato tale termine come avente un carattere distintivo debole. Infatti la commissione di ricorso ha effettuato un’analisi della somiglianza dei segni, prendendo in considerazione l’insieme degli elementi che costituiscono tali segni senza fare riferimento al carattere distintivo di alcuno di essi. Per queste ragioni essa ha correttamente concluso che le differenze tra detti segni erano talmente rilevanti che un consumatore normalmente attento e perspicace non li avrebbe confusi. Ne consegue che tale argomento della ricorrente dev’essere del pari respinto.

48      Per quanto riguarda, infine, gli argomenti della ricorrente vertenti rispettivamente sul fatto che l’eventuale mancata percezione del collegamento concettuale tra i segni di cui trattasi sarebbe compensata dall’evidente somiglianza dei termini «quadratum» e «quadratini» sui piani fonetico e visivo e dal fatto che la contestuale presenza della radice «quadrat» nei segni in conflitto determinerebbe un rischio di associazione tra i segni, dato che l’elemento denominativo «loacker» identifica la denominazione sociale della ricorrente, essi non possono del pari essere condivisi.

49      A tal proposito si deve ricordare, come concluso ai punti 30 e 35 supra, che la commissione di ricorso ha correttamente preso in considerazione, nell’ambito della comparazione dei segni in conflitto, il complesso degli elementi che compongono tali segni e su tali basi, senza incorrere in errore alcuno, ha concluso per la sussistenza di differenze tra i segni in questione da un punto di vista sia fonetico sia visivo. Pertanto, un’eventuale somiglianza tra i termini «quadratum» e «quadratini» oppure la presenza della medesima radice «quadrat» nei segni in conflitto non sono sufficienti né a compensare l’insussistenza di una somiglianza concettuale né, ancor meno, a determinare un rischio di associazione tra i segni in questione.

50      Sulla scorta di quanto precede, è esclusa una somiglianza concettuale dei marchi in conflitto.

51      Alla luce delle considerazioni che precedono risulta che la commissione di ricorso non è incorsa in errore nel considerare che i segni in conflitto si differenziano sia sul piano visivo e fonetico sia sul piano concettuale.

52      Tenuto conto dell’insussistenza di somiglianza visiva, fonetica o concettuale, si deve considerare che i marchi in conflitto non sono né identici né simili e che, di conseguenza, non è soddisfatto uno dei presupposti indispensabili per l’applicazione dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 40/94.

53      Quanto all’argomento della ricorrente secondo il quale la commissione di ricorso avrebbe disatteso l’orientamento giurisprudenziale a mente del quale, per escludere il rischio di confusione, l’identità e la somiglianza dei prodotti contraddistinti dai marchi confliggenti devono essere compensate da un elevato grado di diversità tra i segni, si deve rilevare che, al contrario, la commissione di ricorso si è fondata proprio su tale principio per concludere, al punto 23 della decisione impugnata, che le differenze tra i marchi in conflitto erano talmente rilevanti che un consumatore normalmente attento e perspicace non li avrebbe confusi. Di conseguenza, tale argomento non può essere accolto.

54      Per quanto riguarda l’argomento della ricorrente, invocato nell’ambito della valutazione complessiva del rischio di confusione e che è stato richiamato in udienza, vertente sul fatto che l’elemento «quadratini» avrebbe una posizione distintiva autonoma nel marchio anteriore, che indurrebbe il pubblico di riferimento a credere che i prodotti di cui trattasi provengano da imprese economicamente legate tra loro, supponendo sia ricevibile, dev’essere del pari respinto.

55      Nel caso di specie, anche se si considerasse che l’elemento «quadratini», pur non costituendo l’elemento dominante del marchio anteriore, ha una posizione distintiva autonoma in tale marchio, la ricorrente non ha dimostrato la somiglianza tra i segni LOACKER QUADRATINI e QUADRATUM (v., in tal senso, sentenza della Corte dell’11 dicembre 2008, Gateway/UAMI, C‑57/08 P, non pubblicata nella Raccolta, punti 51‑54).

56      Infatti, secondo il principio d’interdipendenza richiamato in particolare ai punti 17 e 52 supra, una delle condizioni cumulative che devono essere soddisfatte per stabilire la sussistenza di un rischio di confusione ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 40/94 è la somiglianza o l’identità dei segni.

57      Alla luce di quanto precede, il primo motivo non è fondato e dev’essere pertanto respinto.

 Sul secondo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 73 del regolamento n. 40/94

58      Il secondo motivo si articola in due censure. In primo luogo, secondo la ricorrente, una duplice contraddizione inficia la decisione della commissione di ricorso. Infatti, se, da un lato, ai punti 13‑17 della decisione impugnata, la commissione di ricorso afferma che i prodotti di cui trattasi sono identici e destinati al consumatore medio nel territorio della Comunità, la cui soglia di attenzione al momento dell’acquisto di tali prodotti non può essere ragionevolmente ritenuta elevata, dall’altro, al punto 23 della medesima decisione, la commissione di ricorso dubita chiaramente, innanzitutto, del fatto che il pubblico di riferimento abbia un grado di attenzione normale, dal momento che essa si riferisce ad un consumatore perspicace, e, successivamente, del fatto che si tratti di prodotti identici.

59      In secondo luogo, la ricorrente addebita alla commissione di ricorso di aver violato l’obbligo di motivazione previsto all’articolo 73 del regolamento n. 40/94 in quanto ha omesso di spiegare perché, escludendo il rischio di confusione, essa abbia implicitamente escluso anche il rischio di associazione, allontanandosi in tal modo dalla decisione della divisione di opposizione.

60      In forza dell’articolo 73, prima frase, del regolamento n. 40/94, le decisioni dell’UAMI devono essere motivate. Secondo la giurisprudenza, tale obbligo ha la medesima portata di quello sancito dall’articolo 253 CE ed il suo scopo è consentire, da un lato, agli interessati di conoscere le giustificazioni alla base del provvedimento adottato al fine di difendere i loro diritti e, dall’altro, al giudice dell’Unione di esercitare il suo sindacato di legittimità sulla decisione [sentenza del Tribunale del 17 dicembre 2009, Notartel/UAMI – SAT.1 (R.U.N.), T‑490/07, non pubblicata nella Raccolta, punto 21].

61      Con riferimento, in primo luogo, all’asserita duplice contraddizione che inficerebbe la decisione impugnata, si deve constatare, innanzitutto, per quanto riguarda il pubblico di riferimento, che, al punto 13 della decisione impugnata, la commissione di ricorso ha considerato che il pubblico di riferimento è il consumatore medio nel territorio della Comunità. Al punto 14 della medesima decisione, la commissione di ricorso ha indicato che, vista la natura dei prodotti di cui trattasi, che sono spesso acquistati per essere consumati immediatamente e, generalmente, senza la riflessione che caratterizza la scelta di articoli più duraturi, non è ragionevole fare affidamento su un’elevata soglia di attenzione di tale pubblico.

62      Al punto 23 della decisione impugnata, dopo aver effettuato la comparazione dei segni, la commissione di ricorso ha concluso che le differenze tra i segni in conflitto erano talmente rilevanti che un consumatore normalmente attento e perspicace non li avrebbe confusi.

63      A tal proposito si deve rilevare che, secondo la giurisprudenza, nell’ambito della valutazione globale del rischio di confusione, si ritiene che il consumatore medio dei prodotti interessati sia normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto [sentenza Lloyd Schuhfabrik Meyer, cit., punto 26; sentenze del Tribunale DIESELIT, cit., punto 38, e del 13 febbraio 2007, Mundipharma/UAMI – Altana Pharma (RESPICUR), T‑256/04, Racc. pag. II‑449, punto 42].

64      Nel caso di specie, riferendosi ad un consumatore «normalmente attento e perspicace», la commissione di ricorso ha semplicemente inteso rammentare la regola secondo la quale, nell’ambito della valutazione globale del rischio di confusione, il consumatore medio della categoria dei prodotti interessati dev’essere normalmente informato, attento e avveduto. A tal fine, si deve ritenere che essa abbia utilizzato l’aggettivo «perspicace» attribuendogli il medesimo significato dell’aggettivo «avveduto».

65      Inoltre la commissione di ricorso ha collocato l’avverbio «normalmente» quale fattore comune non soltanto all’aggettivo «attento», ma altresì all’aggettivo «perspicace». Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, essa ha pertanto attribuito al pubblico di riferimento una soglia di attenzione normale e non elevata, conformemente ai principi giurisprudenziali menzionati al punto 63 supra.

66      Pertanto, è con una motivazione esente da qualunque contraddizione che la commissione di ricorso si è riferita, al punto 23 della decisione impugnata, ad un consumatore normalmente attento e perspicace, dopo aver indicato, ai punti 13 e 14 della medesima decisione, che il pubblico di riferimento è costituito dal consumatore medio la cui soglia di attenzione non può essere considerata elevata.

67      Per quanto riguarda, poi, l’identità dei prodotti, la ricorrente non può addebitare alla commissione di ricorso di aver negato la stessa allorché ha affermato, al punto 23 della decisione impugnata, che le differenze tra i marchi erano talmente rilevanti che, «anche se fossero usati per contraddistinguere gli stessi generi alimentari», un pubblico normalmente attento e perspicace non li avrebbe confusi. Infatti la commissione di ricorso ha semplicemente delineato un’ipotesi per sottolineare che il consumatore medio non avrebbe mai confuso i segni in conflitto.

68      Alla luce di quanto precede, si deve respingere la censura vertente sull’asserita duplice contraddizione inficiante la decisione impugnata.

69      In secondo luogo, quanto alla nozione di rischio di associazione, si deve rilevare che tale nozione non è alternativa alla nozione di rischio di confusione, bensì serve a precisarne la portata. La nozione di rischio di associazione non può trovare applicazione se non sussiste nel pubblico un rischio di confusione (v., in tal senso, sentenza della Corte del 22 giugno 2000, Marca Mode, C‑425/98, Racc. pag. I‑4861, punto 34).

70      Ne consegue che la commissione di ricorso non ha violato in alcun modo l’articolo 73 del regolamento n. 40/94, poiché, avendo escluso, al punto 23 della decisione impugnata, la sussistenza di un rischio di confusione, essa non era affatto tenuta a motivare espressamente anche l’esclusione del rischio di associazione. Tale censura dev’essere quindi del pari respinta.

71      Alla luce di quanto precede, occorre respingere il secondo motivo.

 Sul terzo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 74 del regolamento n. 40/94

72      Secondo la ricorrente, nel fascicolo non vi è prova alcuna che indichi che si deve considerare usuale la prassi che consiste nell’utilizzare diminutivi (quali i termini «triangolini», «stelline» e «anellini») per descrivere la forma di prodotti alimentari. Di conseguenza, secondo la ricorrente, le affermazioni della commissione al riguardo non appaiono conformi al dettato dell’articolo 74 del regolamento n. 40/94, secondo il quale l’UAMI è tenuto a fondare le sue decisioni sugli elementi di fatto e di diritto addotti dalla parte interessata.

73      A tal proposito è sufficiente rammentare, come rilevato al punto 42 supra, che, nel caso di specie, la commissione di ricorso ha in sostanza qualificato come fatto notorio l’utilizzo usuale in lingua italiana dei diminutivi per descrivere la forma dei prodotti alimentari. Orbene, alla luce della giurisprudenza citata al punto 41 supra, spetta alla ricorrente dimostrare un errore nella valutazione della commissione di ricorso rispetto al carattere notorio di tale fatto. Tuttavia, la ricorrente non ha fornito alcun elemento in grado di smentire la prassi che consiste nell’utilizzare in lingua italiana diminutivi per descrivere la forma dei prodotti alimentari. Ne consegue che il terzo motivo dev’essere respinto in quanto infondato.

74      Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, il ricorso dev’essere integralmente respinto.

 Sulle spese

75      Ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 2, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. La ricorrente, risultata soccombente, va condannata alle spese sostenute dall’UAMI e dall’interveniente, conformemente alla domanda di questi ultimi.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Ottava Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      L’A. Loacker SpA è condannata alle spese.

Truchot

Martins Ribeiro

Popescu

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 7 dicembre 2012.

Firme


* Lingua processuale: l’italiano.