Language of document : ECLI:EU:T:2019:469

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Prima Sezione)

2 luglio 2019 (*)

«Responsabilità extracontrattuale – Politica estera e di sicurezza comune – Misure restrittive adottate nei confronti della Repubblica islamica dell’Iran – Congelamento dei capitali – Risarcimento del danno asseritamente subito a seguito dell’inserimento e del mantenimento del nome della ricorrente negli elenchi delle persone e delle entità alle quali si applicano misure restrittive – Danno materiale – Danno morale»

Nella causa T‑405/15,

Fulmen, con sede in Teheran (Iran), rappresentata da A. Bahrami e N. Korogiannakis, avvocati,

ricorrente,

contro

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da R. Liudvinaviciute‑Cordeiro e M. Bishop, in qualità di agenti,

convenuto,

sostenuto da

Commissione europea, rappresentata inizialmente da A. Aresu e D. Gauci, successivamente da A. Aresu e R. Tricot, in qualità di agenti,

interveniente,

avente ad oggetto una domanda fondata sull’articolo 268 TFUE e diretta a ottenere il risarcimento del danno che la ricorrente avrebbe asseritamente subito a seguito dell’adozione della decisione 2010/413/PESC del Consiglio, del 26 luglio 2010, concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran e che abroga la posizione comune 2007/140/PESC (GU 2010, L 195, pag. 39), del regolamento di esecuzione (UE) n. 668/2010 del Consiglio, de 26 luglio 2010, che attua l’articolo 7, paragrafo 2 del regolamento (CE) n. 423/2007 concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran (GU 2010, L 195, pag. 25), della decisione 2010/644/PESC del Consiglio, del 25 ottobre 2010, recante modifica della decisione 2010/413 (GU 2010, L 281, pag. 81), e del regolamento (UE) n. 961/2010 del Consiglio, del 25 ottobre 2010, concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran e che abroga il regolamento (CE) n. 423/2007 (GU 2010, L 281, pag. 1), con i quali il nome della ricorrente era stato inserito e mantenuto negli elenchi delle persone e delle entità alle quali si applicavano le misure restrittive.

IL TRIBUNALE (Prima Sezione),

composto da I. Pelikánová (relatore), presidente, V. Valančius e U. Öberg, giudici,

cancelliere: M. Marescaux, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’11 dicembre 2018,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

I.      Fatti

1        La causa in esame si inserisce nell’ambito delle misure restrittive adottate per indurre la Repubblica islamica dell’Iran a porre fine alle attività nucleari che presentano un rischio di proliferazione e alla messa a punto di vettori per armi nucleari (in prosieguo: la «proliferazione nucleare»).

2        La ricorrente, la Fulmen, è una società iraniana, attiva in particolare nel settore delle apparecchiature elettriche.

3        L’Unione europea ha adottato la posizione comune 2007/140/PESC del Consiglio, del 27 febbraio 2007, concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran (GU L 61, pag. 49), e il regolamento (CE) n. 423/2007 del Consiglio, del 19 aprile 2007, concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran (GU L 103, pag. 1).

4        L’articolo 5, paragrafo 1, lettera b), della posizione comune 2007/140 prevedeva il congelamento di tutti i capitali e di tutte le risorse economiche di determinate categorie di persone e di entità. L’elenco di tali persone ed entità figurava nell’allegato II di detta posizione comune.

5        Per quanto riguardava le competenze della Comunità europea, l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 423/2007 prevedeva il congelamento dei capitali delle persone, entità o organismi riconosciuti dal Consiglio dell’Unione europea come partecipanti alla proliferazione nucleare ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera b), della posizione comune 2007/140. L’elenco di tali persone, entità e organismi costituiva l’allegato V del regolamento n. 423/2007.

6        La posizione comune 2007/140 è stata abrogata dalla decisione 2010/413/PESC del Consiglio del 26 luglio 2010, concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran (GU L 195, pag. 39).

7        L’articolo 20, paragrafo 1, della decisione 2010/413 prevede il congelamento dei capitali di molteplici categorie di entità. Tale disposizione riguarda, in particolare, le «persone ed entità (…) che partecipano, sono direttamente associate o danno il loro sostegno [alla proliferazione nucleare], o [le] persone o entità che agiscono per loro conto o sotto la loro direzione, o [le] entità da esse possedute o controllate, anche attraverso mezzi illeciti, (…) di cui all’elenco nell’allegato II».

8        L’elenco dell’allegato II della decisione 2010/413 è stato sostituito da un nuovo elenco, adottato nella decisione 2010/644/PESC del Consiglio, del 25 ottobre 2010, che modifica la decisione 2010/413 (GU L 281, pag. 81).

9        Il 25 ottobre 2010 il Consiglio ha adottato il regolamento (UE) n. 961/2010, concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran e che abroga il regolamento n. 423/2007 (GU L 281, pag. 1).

10      A partire dall’adozione della decisione 2010/413, il 26 luglio 2010, il nome della ricorrente è stato inserito dal Consiglio nell’elenco di persone, entità ed organismi che figurano nella tabella I dell’allegato II di detta decisione.

11      Di conseguenza, il nome della ricorrente è stato inserito nell’elenco di persone, entità ed organismi che figurano nella tabella I dell’allegato V del regolamento n. 423/2007 in forza del regolamento di esecuzione (UE) n. 668/2010 del Consiglio, del 26 luglio 2010, che attua l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 423/2007 (GU L 195, pag. 25). L’adozione del regolamento di esecuzione n. 668/2010 ha dato luogo al congelamento dei fondi e delle risorse economiche della ricorrente.

12      Nella decisione 2010/413 il Consiglio ha indicato i seguenti motivi in relazione alla ricorrente: «Fulmen è intervenuta nell’installazione di apparecchiature elettriche nel sito di Qom/Fordo [Iran] in un’epoca in cui l’esistenza di questo sito non era stata ancora rivelata». Nel regolamento di esecuzione n. 668/2010 è stata utilizzata la formulazione seguente: «Fulmen è intervenuta nell’installazione di apparecchiature elettriche nel sito di Qom/Fordo in un’epoca in cui l’esistenza di questo sito non era stata ancora rivelata».

13      Con lettera del 28 luglio 2010 il Consiglio ha informato la ricorrente dell’inserimento del suo nome nell’elenco dell’allegato II della decisione 2010/413 e in quello dell’allegato V del regolamento n. 423/2007.

14      Con lettera del 14 settembre 2010 la ricorrente ha chiesto al Consiglio di riconsiderare il suo inserimento nell’elenco dell’allegato II della decisione 2010/413 e in quello dell’allegato V del regolamento n. 423/2007. Essa, inoltre, ha invitato il Consiglio a comunicarle gli elementi sui quali si era basato per l’adozione delle misure restrittive nei suoi confronti.

15      L’adozione della decisione 2010/644 non ha influito sull’inserimento del nome della ricorrente nell’elenco dell’allegato II della decisione 2010/413.

16      Poiché il regolamento n. 423/2007 era stato abrogato dal regolamento n. 961/2010, il Consiglio ha inserito il nome della ricorrente al punto 13 della tabella B dell’allegato VIII di quest’ultimo regolamento. Di conseguenza, i fondi della ricorrente sono stati ormai congelati in forza dell’articolo 16, paragrafo 2, del regolamento n. 961/2010.

17      Con lettera del 28 ottobre 2010 il Consiglio ha risposto alla lettera della ricorrente del 14 settembre 2010, dichiarando che, a seguito di riesame, esso respingeva la sua richiesta mirante all’eliminazione del suo nome dall’elenco dell’allegato II della decisione 2010/413 e da quello dell’allegato VIII del regolamento n. 961/2010, allegato, quest’ultimo, che ha sostituito l’allegato V del regolamento n. 423/2007. A tal riguardo, esso ha precisato che, dal momento che il fascicolo non presentava elementi nuovi che giustificassero un mutamento della sua posizione, la ricorrente doveva continuare ad essere soggetta alle misure restrittive previste dai suddetti testi. Il Consiglio ha inoltre rilevato che la sua decisione di mantenere il nome della ricorrente in tali elenchi non era basata su elementi diversi da quelli riportati nella motivazione di detti elenchi.

18      Con sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), il Tribunale ha annullato la decisione 2010/413, il regolamento di esecuzione n. 668/2010, la decisione 2010/644 e il regolamento n. 961/2010, nella parte in cui riguardavano il sig. Fereydoun Mahmoudian e la ricorrente.

19      Per quanto riguarda gli effetti nel tempo dell’annullamento degli atti impugnati nell’ambito del ricorso che ha dato luogo alla sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), al punto 106 di tale sentenza, il Tribunale, quanto al regolamento n. 961/2010, ha ricordato che, ai sensi dell’articolo 60, secondo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, in deroga all’articolo 280 TFUE le decisioni del Tribunale che annullano un regolamento hanno effetto soltanto a decorrere dalla scadenza del termine di impugnazione contemplato all’articolo 56, primo comma, di detto Statuto oppure, se entro tale termine è stata proposta impugnazione, a decorrere dal relativo rigetto. Nel caso di specie, il Tribunale ha dichiarato che il rischio di un danno grave e irreparabile all’efficacia delle misure restrittive imposte dal regolamento n. 961/2010 non sembrava sufficientemente elevato, tenuto conto del considerevole impatto di siffatte misure sui diritti e sulle libertà dei ricorrenti, da giustificare il mantenimento degli effetti di detto regolamento nei confronti di questi ultimi per un periodo superiore a quello previsto all’articolo 60, secondo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea.

20      Inoltre, al punto 107 della sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), Il Tribunale ha mantenuto gli effetti della decisione 2010/413, come modificata dalla decisione 2010/644, fino a quando l’annullamento del regolamento n. 961/2010 non avesse prodotto effetti.

21      Il 4 giugno 2012 il Consiglio ha proposto impugnazione dinanzi alla Corte avverso la sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142). Tale impugnazione è stata registrata con il numero di ruolo C‑280/12 P. A sostegno di detta impugnazione, il Consiglio ha fatto valere, in particolare, che il Tribunale aveva commesso un errore di diritto in quanto aveva ritenuto che il Consiglio dovesse fornire elementi atti a provare che la ricorrente fosse intervenuta nel sito di Qom/Fordoo (Iran) e ciò malgrado la circostanza che gli elementi deducibili al riguardo provenissero da fonti riservate e che gli errori di diritto commessi dal Tribunale vertessero su due aspetti della comunicazione di tali elementi, il primo attinente alla comunicazione al Consiglio di elementi di prova da parte degli Stati membri e il secondo alla comunicazione di elementi riservati al giudice.

22      Con sentenza del 28 novembre 2013, Consiglio/Fulmen e Mahmoudian (C‑280/12 P, EU:C:2013:775), la Corte ha respinto l’impugnazione in quanto infondata, confermando ciò che il Tribunale aveva dichiarato al punto 103 della sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), ossia che il Consiglio non aveva fornito la prova che la ricorrente fosse intervenuta nel sito di Qom/Fordoo.

23      Con il regolamento di esecuzione (UE) n. 1361/2013 del Consiglio, del 18 dicembre 2013, che attua il regolamento n. 267/2012 (GU 2013, L 343, pag. 7), il Consiglio, traendo le conseguenze dalla sentenza del 28 novembre 2013, Consiglio/Fulmen e Mahmoudian (C‑280/12 P, EU:C:2013:775), ha proceduto alla cancellazione del nome della ricorrente dagli elenchi delle persone ed entità, oggetto di misure restrittive, contenuti rispettivamente nell’allegato II della decisione 2010/413 e nell’allegato IX del regolamento n. 267/2012, con effetto a decorrere dal 19 dicembre 2013. Da allora, il nome della ricorrente non è stato reinserito in un qualsivoglia elenco.

II.    Procedimento e conclusioni delle parti

24      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 25 luglio 2015, la ricorrente ha proposto il presente ricorso. La causa è stata assegnata alla Prima Sezione del Tribunale.

25      Il 9 novembre 2015 il Consiglio ha depositato il controricorso.

26      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 9 novembre 2015, la Commissione europea ha chiesto di intervenire nel presente procedimento, a sostegno delle conclusioni del Consiglio.

27      Il 2 dicembre 2015 la ricorrente ha depositato le proprie osservazioni sulla domanda di intervento della Commissione. Il Consiglio non ha depositato osservazioni in merito a tale domanda entro il termine impartito.

28      Con decisione del presidente della Prima Sezione del Tribunale del 10 dicembre 2015, adottata ai sensi dell’articolo 144, paragrafo 4, del regolamento di procedura del Tribunale, è stato ammesso l’intervento della Commissione nella presente controversia.

29      Il 22 gennaio 2016 la Commissione ha depositato la memoria di intervento. Né il Consiglio né la ricorrente hanno presentato osservazioni su tale memoria.

30      Il 25 gennaio 2016 la ricorrente ha depositato la replica.

31      L’8 marzo 2016 il Consiglio ha presentato la controreplica.

32      Con lettera depositata presso la cancelleria del Tribunale il 29 marzo 2016, la ricorrente ha chiesto lo svolgimento di un’udienza dibattimentale, ai sensi dell’articolo 106, paragrafo 1, del regolamento di procedura.

33      Su proposta del giudice relatore, il Tribunale (Prima Sezione) ha adottato una prima misura di organizzazione del procedimento consistente nel sentire le parti su un’eventuale sospensione del procedimento in attesa della decisione della Corte conclusiva del giudizio nella causa C‑45/15 P, Safa Nicu Sepahan/Consiglio. Il Consiglio ha presentato le sue osservazioni al riguardo entro il termine impartito.

34      Essendo stata modificata la composizione delle sezioni del Tribunale, a norma dell’articolo 27, paragrafo 5, del regolamento di procedura, il giudice relatore è stato assegnato alla Prima Sezione, alla quale, di conseguenza, è stata attribuita la causa in esame.

35      Con decisione del 31 agosto 2016, il presidente della Prima Sezione del Tribunale ha deciso di sospendere il procedimento nella causa in esame.

36      A seguito della pronuncia della sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (C‑45/15 P, EU:C:2017:402), su proposta del giudice relatore, il Tribunale (Prima Sezione) ha adottato una seconda misura di organizzazione del procedimento consistente nel sentire le parti sulle conseguenze che esse traevano dalla citata sentenza per la causa in esame (in prosieguo: la «seconda misura di organizzazione del procedimento»). Le parti principali e la Commissione hanno presentato le loro osservazioni al riguardo entro il termine impartito.

37      Su proposta del giudice relatore, il Tribunale (Prima Sezione) ha adottato una terza misura di organizzazione del procedimento consistente nel porre più quesiti alla ricorrente (in prosieguo: la «terza misura di organizzazione del procedimento»). Quest’ultima ha risposto a tali quesiti entro il termine impartito.

38      Con lettera 28 novembre 2018, la Commissione ha informato il Tribunale che, pur continuando a sostenere la posizione del Consiglio, essa non riteneva necessario partecipare all’udienza nella causa in esame.

39      Le parti principali hanno esposto le proprie difese orali e hanno risposto ai quesiti posti dal Tribunale all’udienza dell’11 dicembre 2018.

40      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        dichiarare il ricorso ricevibile e fondato;

–        condannare il Consiglio a versarle un importo di EUR 11 009 560, a titolo di risarcimento del danno materiale da essa subito e un importo di EUR 100 000, a titolo di risarcimento del danno morale da essa subito;

–        condannare il Consiglio alle spese.

41      Il Consiglio e la Commissione chiedono che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

III. In diritto

A.      Sulla competenza del Tribunale

42      Nella controreplica, basandosi sulla sentenza del 18 febbraio 2016, Jannatian/Consiglio (T‑328/14, non pubblicata, EU:T:2016:86), il Consiglio ribatte che, nei limiti in cui la ricorrente ha fondato la sua domanda risarcitoria sull’illegittimità dell’inserimento del suo nome nell’elenco contenuto nell’allegato II della decisione 2010/413, come modificata dalla decisione 2010/644, il Tribunale non è competente a statuire sul presente ricorso, in quanto l’articolo 275, secondo comma, TFUE non attribuisce al Tribunale la competenza a statuire su una domanda di risarcimento fondata sull’illegittimità di un atto rientrante nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune (PESC).

43      In risposta a un quesito posto dal Tribunale in udienza, il quale lo invitava a comunicare le sue osservazioni sul motivo di irricevibilità del Consiglio, la ricorrente ha precisato che, con il presente ricorso, intendeva chiedere il risarcimento del danno causato unicamente dai regolamenti adottati dal Consiglio, circostanza di cui si è preso atto nel verbale d’udienza. Alla luce di detta risposta, si deve considerare che, in sostanza, la ricorrente ha modificato il secondo capo delle conclusioni dell’atto introduttivo, di modo che, in definitiva, essa chiede unicamente che il Tribunale condanni il Consiglio a versarle un importo di EUR 11 009 560 a titolo di risarcimento del danno materiale da essa subito a causa dell’inserimento illegittimo del suo nome negli elenchi allegati al regolamento di esecuzione n. 668/2010 e al regolamento n. 961/2010 (in prosieguo: gli «elenchi controversi») e un importo di EUR 100 000 a titolo di risarcimento del danno morale da essa subito a causa del medesimo inserimento.

44      In ogni caso, va ricordato che, ai sensi dell’articolo 129 del regolamento di procedura, il Tribunale può statuire d’ufficio, in qualsiasi momento, sentite le parti, sui motivi di irricevibilità di ordine pubblico, tra i quali figura, secondo la giurisprudenza, la competenza del giudice dell’Unione a conoscere del ricorso (v., in tal senso, sentenze del 18 marzo 1980, Ferriera Valsabbia e a./Commissione, 154/78, 205/78, 206/78, da 226/78 a 228/78, 263/78, 264/78, 31/79, 39/79, 83/79 e 85/79, EU:C:1980:81, punto 7, e del 17 giugno 1998, Svenska Journalistförbundet/Consiglio,T‑174/95, EU:T:1998:127, punto 80).

45      A tale titolo, dalla giurisprudenza risulta che, se un ricorso per risarcimento danni diretto a ottenere la riparazione del danno asseritamente subito a seguito dell’adozione di un atto in materia di PESC esula dalla competenza del Tribunale (sentenza del 18 febbraio 2016, Jannatian/Consiglio, T‑328/14, non pubblicata, EU:T:2016:86, punti 30 e 31), per contro, il Tribunale si è sempre riconosciuto competente a conoscere di una domanda di risarcimento del danno asseritamente subito da una persona o da un’entità a causa di misure restrittive adottate nei suoi confronti, conformemente all’articolo 215 TFUE (v., in tal senso, sentenze dell’11 luglio 2007, Sison/Consiglio, T‑47/03, non pubblicata, EU:T:2007:207, punti da 232 a 251, e del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punti da 45 a 149).

46      Lo stesso dicasi nel caso di una domanda di risarcimento di un danno asseritamente subito da una persona o da un’entità a causa di misure restrittive adottate nei suoi confronti, conformemente all’articolo 291, paragrafo 2, TFUE.

47      Infatti, secondo la giurisprudenza, non vi è alcuna disposizione del Trattato FUE che preveda che la parte sesta del medesimo, relativa alle disposizioni istituzionali e finanziarie, non si applichi in materia di misure restrittive. Il ricorso all’articolo 291, paragrafo 2, TFUE, a mente del quale «[a]llorché sono necessarie condizioni uniformi di esecuzione degli atti giuridicamente vincolanti dell’Unione, questi conferiscono competenze di esecuzione alla Commissione o, in casi specifici debitamente motivati e nelle circostanze previste agli articoli 24 e 26 del trattato sull’Unione europea, al Consiglio», non è dunque escluso, salvo il rispetto delle condizioni previste da tale disposizione (sentenza del 1o marzo 2016, National Iranian Oil Company/Consiglio, C‑440/14 P, EU:C:2016:128, punto 35).

48      Nel caso di specie, le misure restrittive adottate nei confronti della ricorrente, con la decisione 2010/413, modificata successivamente dalla decisione 2010/644, sono state attuate dal regolamento di esecuzione n. 668/2010, adottato in conformità all’articolo 291, paragrafo 2, TFUE, e dal regolamento n. 961/2010, adottato in conformità all’articolo 215 TFUE.

49      Ne consegue che, se è vero che il Tribunale non è competente a conoscere della domanda di risarcimento della ricorrente, nei limiti in cui tale domanda è diretta a ottenere il risarcimento del danno che la ricorrente avrebbe subito a causa dell’adozione della decisione 2010/413, modificata successivamente dalla decisione 2010/644, esso è tuttavia competente a conoscere della medesima domanda nei limiti in cui essa verte sul risarcimento del danno che la ricorrente avrebbe subito a causa dell’attuazione della medesima decisione mediante il regolamento di esecuzione n. 668/2010 e il regolamento n. 961/2010 (in prosieguo: gli «atti controversi»).

50      Di conseguenza, si deve concludere che il Tribunale è competente ad esaminare il presente ricorso, come modificato in udienza, vale a dire nei limiti in cui esso è diretto al risarcimento del danno che la ricorrente asserisce di aver subito per il fatto che le misure restrittive adottate nei suoi confronti nella decisione 2010/413, successivamente modificata dalla decisione 2010/644, sono state attuate dagli atti controversi (in prosieguo: le «misure controverse»).

B.      Nel merito

51      Ai sensi dell’articolo 340, secondo comma, TFUE, «[i]n materia di responsabilità extracontrattuale, l’Unione deve risarcire, conformemente ai principi generali comuni ai diritti degli Stati membri, i danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell’esercizio delle loro funzioni». Secondo costante giurisprudenza, il sorgere della responsabilità extracontrattuale dell’Unione, a sensi dell’articolo 340, secondo comma, TFUE, per comportamento illecito delle istituzioni, è subordinato alla compresenza di un insieme di condizioni, ossia l’illegittimità del comportamento contestato alle istituzioni, l’effettiva sussistenza del danno e l’esistenza di un nesso di causalità tra l’asserito comportamento e il danno lamentato (v. sentenze del 9 settembre 2008, FIAMM e a./Consiglio e Commissione, C‑120/06 P e C‑121/06 P, EU:C:2008:476, punto 106 e giurisprudenza ivi citata, e del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punto 47).

52      A sostegno del presente ricorso, la ricorrente fa valere che, nel caso di specie, le tre condizioni summenzionate sono soddisfatte.

53      Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, conclude per il rigetto del presente ricorso, in quanto infondato, sulla base del rilievo che la ricorrente non ha dimostrato, come le incombeva, che nel caso di specie ricorrano tutte le condizioni per la sussistenza della responsabilità extracontrattuale dell’Unione.

54      Secondo costante giurisprudenza, le condizioni per la sussistenza della responsabilità extracontrattuale dell’Unione, ai sensi dell’articolo 340, secondo comma, TFUE, come già enumerate al precedente punto 51, sono cumulative (sentenza del 7 dicembre 2010, Fahas/Consiglio, T‑49/07, EU:T:2010:499, punti 92 e 93, e ordinanza del 17 febbraio 2012, Dagher/Consiglio, T‑218/11, non pubblicata, EU:T:2012:82, punto 34).  Ne consegue che, qualora una di queste condizioni non sia soddisfatta, il ricorso deve essere respinto nella sua integralità, senza che sia necessario esaminare le altre condizioni (sentenza del 26 ottobre 2011, Dufour/BCE, T‑436/09, EU:T:2011:634, punto 193).

55      Occorre pertanto verificare se, nel caso di specie, la ricorrente fornisca la prova, ad essa incombente, dell’illegittimità del comportamento che la stessa contesta al Consiglio, ossia l’adozione degli atti controversi e il mantenimento dell’inserimento del suo nome negli elenchi controversi, l’effettiva sussistenza dei danni materiale e morale che asserisce di aver subito e l’esistenza di un nesso di causalità tra detta adozione e i danni dalla stessa lamentati.

1.      Sullasserita illegittimità

56      La ricorrente sostiene che la condizione relativa all’illegittimità del comportamento di un’istituzione è soddisfatta, in quanto, in sostanza, l’adozione degli atti controversi e il mantenimento dell’inserimento del suo nome negli elenchi controversi costituiscono una violazione sufficientemente qualificata, da parte del Consiglio, di norme giuridiche preordinate a conferire diritti ai singoli tali da far sorgere, secondo la giurisprudenza, la responsabilità extracontrattuale dell’Unione.

57      A tal riguardo, in primo luogo, la ricorrente ricorda che dalla sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), nonché dalla sentenza del 28 novembre 2013, Consiglio/Fulmen e Mahmoudian (C‑280/12 P, EU:C:2013:775), pronunciata su impugnazione del Consiglio e recante rigetto di tale impugnazione (v. supra, punto 22), emerge che gli atti controversi sono viziati da illegittimità.

58      Infatti, da un lato, essa ricorda che, nella sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), il Tribunale ha considerato che il Consiglio non disponeva del benché minimo elemento a suo carico al fine di suffragare l’inserimento del suo nome negli elenchi controversi e ritiene che tale circostanza costituisca una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica preordinata a conferire diritti ai singoli tale da far sorgere la responsabilità extracontrattuale dell’Unione. In risposta al quesito posto nell’ambito della seconda misura di organizzazione del procedimento, essa precisa che, tenuto conto della somiglianza dei fatti generatori nella causa in esame e in quella che ha dato luogo alla sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (C‑45/15 P, EU:C:2017:402), il complesso delle constatazioni relative alla gravità dell’illegittimità del comportamento del Consiglio in quest’ultima causa è applicabile, mutatis mutandis, alla causa in esame. Essa aggiunge che il Tribunale dovrebbe concludere che il mero annullamento degli atti controversi non è tale da costituire un risarcimento sufficiente del suo danno morale.

59      D’altro lato, la ricorrente considera che la decisione del Consiglio, nonostante il carattere palese dell’illegittimità accertata dal Tribunale nella sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), di proporre impugnazione avverso tale sentenza, costituisce uno sviamento di potere che ha avuto come conseguenza l’aggravamento del danno da essa subito.

60      In secondo luogo, la ricorrente sostiene che le misure controverse hanno avuto la conseguenza di violare l’esercizio della libertà d’impresa e il diritto di proprietà, di cui essa gode in forza degli articoli 16 e 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»). Detta violazione di tali diritti fondamentali aggraverebbe l’illecito commesso dal Consiglio, al punto da costituire un’infrazione qualificata.

61      Nella risposta al quesito posto nell’ambito della seconda misura di organizzazione del procedimento, il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, non contesta più l’illegittimità derivante dall’adozione delle misure controverse e riconosce la pertinenza, nella causa in esame, delle conclusioni tratte dalla Corte nella sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (C‑45/15 P, EU:C:2017:402), relative all’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica preordinata a conferire diritti ai singoli, nei limiti in cui la designazione della ricorrente è avvenuta in circostanze simili a quelle della causa che ha dato luogo a tale sentenza. Per contro, il Consiglio contesta le affermazioni della ricorrente relative allo sviamento di potere e alla violazione degli articoli 16 e 17 della Carta e ritiene che la sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (C‑45/15 P, EU:C:2017:402), non fornisca alcuna indicazione pertinente al riguardo.

62      Nel caso di specie, nella sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), il Tribunale ha constatato l’illegittimità degli atti controversi.

63      Tuttavia, occorre ricordare che, secondo una consolidata giurisprudenza del Tribunale, l’accertamento dell’illegittimità di un atto giuridico, per quanto censurabile, non è sufficiente per considerare soddisfatta la condizione per far sorgere la responsabilità extracontrattuale dell’Unione per illegittimità del comportamento contestato alle istituzioni (sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punto 50; v. anche, in tal senso, sentenze del 6 marzo 2003, Dole Fresh Fruit International/Consiglio e Commissione, T‑56/00, EU:T:2003:58, punti da 71 a 75, e del 23 novembre 2011, Sison/Consiglio, T‑341/07, EU:T:2011:687, punto 31). L’eventuale annullamento di uno o più atti del Consiglio da cui sia scaturito il danno invocato dalla ricorrente, ancorché l’annullamento sia stato deciso da una sentenza del Tribunale pronunciata anteriormente alla proposizione dell’azione risarcitoria, non costituisce quindi la prova inconfutabile di una violazione sufficientemente qualificata da parte dell’istituzione medesima che consenta di dichiarare, ipso iure, la responsabilità extracontrattuale dell’Unione.

64      La condizione relativa all’esistenza di un comportamento illegittimo delle istituzioni dell’Unione richiede la violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica preordinata a conferire diritti ai singoli (v. sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, C‑45/15 P, EU:C:2017:402, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).

65      Il requisito di una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica preordinata a conferire diritti ai singoli è diretto, a prescindere dalla natura dell’atto illecito in questione, ad evitare che il rischio di dover risarcire i danni addotti dalle persone interessate ostacoli la capacità dell’istituzione interessata di esercitare pienamente le sue funzioni nell’interesse generale, sia nell’ambito della sua attività normativa o implicante scelte di politica economica sia nell’ambito della sua competenza amministrativa, senza per questo lasciare a carico dei singoli l’onere delle conseguenze di violazioni flagranti e inescusabili (v. sentenze del 23 novembre 2011, Sison/Consiglio, T‑341/07, EU:T:2011:687, punto 34 e giurisprudenza ivi citata, e del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punto 51).

66      Alla luce della giurisprudenza richiamata ai precedenti punti da 63 a 65, occorre esaminare se le norme giuridiche, la cui violazione è invocata nel caso di specie dalla ricorrente, siano preordinate a conferire diritti ai singoli e se il Consiglio abbia commesso una violazione sufficientemente qualificata di dette norme.

67      A sostegno della sua domanda di risarcimento, la ricorrente fa valere, in sostanza, due profili di illegittimità, ossia, in primo luogo, l’adozione degli atti controversi e il mantenimento dell’iscrizione del suo nome negli elenchi controversi, sebbene il Consiglio non disponesse di alcun elemento di prova per suffragarli, illegittimità i cui effetti sarebbero stati aggravati da uno sviamento di potere commesso dal Consiglio, in quanto ha proposto un’impugnazione avverso la sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142) e, in secondo luogo, una violazione degli articoli 16 e 17 della Carta.

68      Anzitutto, per quanto riguarda il profilo di illegittimità relativo all’adozione degli atti controversi e al mantenimento dell’iscrizione del suo nome negli elenchi controversi da parte del Consiglio, sebbene quest’ultimo non disponesse di alcun elemento di prova per suffragarli, occorre ricordare che, ai punti 68 e 69 della sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (T‑384/11, EU:T:2014:986), il Tribunale ha dichiarato che un’amministrazione normalmente prudente e diligente sarebbe stata in grado di comprendere, al momento dell’adozione dell’atto impugnato nella causa in questione, che le spettava raccogliere informazioni o elementi di prova che giustificassero le misure restrittive nei confronti della ricorrente in detta causa, al fine di potere dimostrare, in caso di contestazione, la fondatezza di tali misure, producendo dinanzi al giudice dell’Unione dette informazioni o detti elementi di prova. Esso ne ha concluso che, non avendo agito in tal senso, il Consiglio si era reso responsabile di una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica preordinata a conferire diritti ai singoli, ai sensi della giurisprudenza citata ai precedenti punti 63 e 64. Al punto 40 della sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (C‑45/15 P, EU:C:2017:402), pronunciata in sede di impugnazione avverso la sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (T‑384/11, EU:T:2014:986), e recante rigetto di detta impugnazione, la Corte ha dichiarato che, giustamente, il Tribunale aveva dichiarato, segnatamente ai punti 68 e 69 della sentenza impugnata, che la violazione, per un periodo di quasi tre anni, dell’obbligo incombente al Consiglio di fornire, in caso di contestazione, le informazioni o gli elementi di prova suffraganti le motivazioni addotte per l’adozione di misure restrittive nei confronti di una persona fisica o giuridica, costituiva una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica preordinata a conferire diritti ai singoli.

69      Nel caso di specie, come risulta dalla sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), e come confermato dalla sentenza del 28 novembre 2013, Consiglio/Fulmen e Mahmoudian (C‑280/12 P, EU:C:2013:775), è giocoforza constatare che la violazione commessa dal Consiglio è non solo identica quanto al suo oggetto, ma anche più lunga, di circa sei mesi, rispetto a quella commessa dal Consiglio nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (T‑384/11, EU:T:2014:986).

70      Ne consegue che, da un lato, la norma giuridica, la cui violazione è fatta valere nel caso di specie, è una norma giuridica che conferisce diritti ai singoli, tra i quali figura la ricorrente quale persona giuridica cui si riferiscono gli atti controversi. D’altro lato, la violazione di detta norma costituisce una violazione sufficientemente qualificata, secondo la giurisprudenza richiamata al precedente punto 64.

71      Del resto, dalle osservazioni formulate dalle parti, a seguito della seconda misura di organizzazione del procedimento, riguardo alle conseguenze che esse traevano dalla sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (C‑45/15 P, EU:C:2017:402), sulla causa in esame, risulta che esse stesse concordano ora sul fatto che l’illegittimità dedotta costituisce una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica che conferisce diritti ai singoli.

72      Per quanto riguarda l’affermazione secondo la quale, in sostanza, quest’ultima violazione è tanto più qualificata in quanto è stata aggravata dal fatto che il Consiglio ha commesso uno sviamento di potere proponendo un’impugnazione avverso la sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), tale argomento non può essere accolto.

73      Infatti, secondo una giurisprudenza costante, un atto è viziato da sviamento di potere solo se, in base a indizi oggettivi, pertinenti e concordanti, risulta essere stato adottato allo scopo esclusivo, o quanto meno determinante, di raggiungere fini diversi da quelli dichiarati o di eludere una procedura appositamente prevista dal Trattato per far fronte alle circostanze del caso di specie (v. sentenza del 29 novembre 2017, Montel/Parlamento, T‑634/16, non pubblicata, EU:T:2017:848, punto 161 e giurisprudenza ivi citata).

74      A tal riguardo, da un lato, occorre ricordare che il diritto di proporre un’impugnazione avverso le sentenze del Tribunale è sancito dall’articolo 256, paragrafo 1, secondo comma, TFUE e costituisce parte integrante dei mezzi di ricorso del sistema giurisdizionale dell’Unione. Ai sensi del medesimo articolo, un’impugnazione proposta dinanzi alla Corte deve limitarsi ai motivi di diritto. Peraltro, in forza dell’articolo 56, secondo comma, prima frase, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, l’impugnazione può essere proposta da qualsiasi parte che sia rimasta parzialmente o totalmente soccombente nelle sue conclusioni. Dalle disposizioni del diritto primario dell’Unione risulta che, nel rispetto dei limiti in esso previsti, ogni parte è libera non solo di proporre impugnazione avverso una sentenza del Tribunale, ma anche di dedurre qualsiasi motivo che ritenga utile per far valere e far accogliere la sua domanda. Pertanto, a quest’ultimo titolo, contrariamente a quanto afferma la ricorrente, non si può contestare al Consiglio di aver proposto un’impugnazione avverso la sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), al fine, come precisato nel controricorso, di disporre di «una giurisprudenza consolidata relativa alle misure restrittive geografiche», in quanto siffatto argomento si riferisce manifestamente a un motivo di diritto, ai sensi dell’articolo 256, paragrafo 1, secondo comma, TFUE.

75      D’altro lato, non si può accogliere l’affermazione della ricorrente secondo cui il Consiglio ha proposto un’impugnazione avverso la sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), unicamente al fine di indurre la Repubblica islamica dell’Iran a cessare il suo programma nucleare, mantenendo così gli effetti prodotti dagli atti controversi nei confronti della ricorrente. Infatti, non solo tale affermazione non è corroborata da alcun elemento di prova o di informazione, ma, in ogni caso, è giocoforza constatare che il mantenimento di tali effetti è inerente alla decisione di proporre un’impugnazione, e ciò in forza dell’articolo 60, secondo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea. Così, in forza di tale articolo, «[i]n deroga all’articolo 280 [TFUE], le decisioni del Tribunale che annullano un regolamento hanno effetto soltanto a decorrere dalla scadenza del termine contemplato nell’articolo 56, primo comma, del presente statuto, oppure, se entro tale termine è stata proposta impugnazione, a decorrere dal relativo rigetto».

76      Inoltre, occorre ricordare (v. supra, punto 19) che, per quanto riguarda gli effetti nel tempo dell’annullamento del regolamento n. 961/2010, al punto 106 della sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), il Tribunale ha dichiarato che, nel caso di specie, il rischio di un danno grave e irreparabile all’efficacia delle misure restrittive imposte dal regolamento n. 961/2010 non sembrava sufficientemente elevato da giustificare il mantenimento degli effetti di detto regolamento nei confronti dei ricorrenti per un periodo superiore a quello previsto all’articolo 60, secondo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea. Analogamente, al punto 107 della medesima sentenza (v. supra, punto 20), il Tribunale ha deciso di mantenere gli effetti della decisione 2010/413, come modificata dalla decisione 2010/644, fino a quando l’annullamento del regolamento n. 961/2010 non avesse prodotto effetti.

77      Dalle considerazioni che precedono risulta che il mantenimento degli effetti prodotti dagli atti controversi nei confronti della ricorrente, in seguito all’annullamento di questi ultimi con la sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), discende dall’applicazione delle disposizioni dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea e dalla valutazione sovrana del Tribunale, e non dal comportamento contestato dalla ricorrente al Consiglio, in quanto ha proposto un’impugnazione avverso detta sentenza.

78      Pertanto, in mancanza di un qualsiasi elemento oggettivo, presentato dalla ricorrente, che possa dimostrare che il Consiglio ha proposto l’impugnazione avverso la sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), allo scopo di nuocerle o di indurre la Repubblica islamica dell’Iran a cessare il suo programma nucleare, l’argomento vertente sullo sviamento di potere commesso dal Consiglio, che avrebbe aggravato la violazione della norma giuridica di cui trattasi nel caso di specie, deve essere respinto in quanto infondato.

79      Per quanto riguarda il secondo profilo di illegittimità, relativo alla violazione degli articoli 16 e 17 della Carta, va rilevato che la ricorrente si limita a ricordare le condizioni necessarie per costituire un pregiudizio all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla Carta e a far valere che le misure controverse imposte nei suoi confronti hanno avuto per oggetto e per effetto conseguenti restrizioni al suo diritto di proprietà e alla sua libertà di esercitare un’attività economica, come riconosciuti dagli articoli 16 e 17 della Carta.

80      Orbene, anche se, secondo una giurisprudenza costante, il diritto di proprietà è garantito dall’articolo 17 della Carta, esso non fruisce, nel diritto dell’Unione, di una tutela assoluta, ma va considerato in relazione alla sua funzione nella società. Di conseguenza, possono essere apportate restrizioni all’esercizio di tale diritto, a condizione che tali restrizioni rispondano effettivamente ad obiettivi di interesse generale perseguiti dall’Unione e non costituiscano, alla luce dello scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa del diritto così garantito (v. sentenza del 13 settembre 2013, Makhlouf/Consiglio, T‑383/11, EU:T:2013:431, punto 97 e giurisprudenza ivi citata). Tale giurisprudenza può essere applicata, per analogia, alla libertà d’impresa, garantita dall’articolo 16 della Carta.

81      Nel caso di specie, in primo luogo, occorre rilevare che l’adozione degli atti controversi nei confronti della ricorrente, in quanto prevedevano il congelamento dei suoi capitali, dei suoi proventi finanziari e di altre sue risorse economiche, perseguiva l’obiettivo di impedire la proliferazione nucleare e di indurre quindi la Repubblica islamica dell’Iran a porre fine alle attività in questione. Tale obiettivo si inseriva nel contesto più ampio degli sforzi legati al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale ed era, di conseguenza, legittimo e adeguato (v. in tal senso e per analogia, sentenza del 13 settembre 2013, Makhlouf/Consiglio, T‑383/11, EU:T:2013:431, punti 100 e 101 e giurisprudenza ivi citata).

82      In secondo luogo, le misure controverse risultavano altresì necessarie in quanto misure alternative e meno vincolanti, quali un sistema di previa autorizzazione o un obbligo di giustificazione a posteriori dell’uso dei fondi versati, non consentivano di raggiungere altrettanto efficacemente lo scopo perseguito, ossia di impedire la proliferazione nucleare e di indurre quindi la Repubblica islamica dell’Iran a porre fine alle attività in questione, tenuto conto, in particolare, della possibilità di eludere le restrizioni imposte (v., per analogia, sentenza del 13 settembre 2013, Makhlouf/Consiglio, T‑383/11, EU:T:2013:431, punto101 e giurisprudenza ivi citata).

83      Pertanto, la ricorrente non ha dimostrato che gli atti controversi abbiano violato i diritti di cui essa beneficia in base agli articoli 16 e 17 della Carta.

84      Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, si deve concludere che solo il primo profilo di illegittimità, relativo all’adozione degli atti controversi e al mantenimento dell’iscrizione del suo nome negli elenchi controversi da parte del Consiglio, sebbene quest’ultimo non disponesse di alcun elemento di prova per suffragarli, costituisce un illecito che può far sorgere la responsabilità dell’Unione, secondo la giurisprudenza richiamata al precedente punto 64.

2.      Sul danno lamentato e sullesistenza di un nesso di causalità tra lillegittimità del comportamento contestato e tale danno

85      La ricorrente ritiene di aver dimostrato il carattere reale e certo dei danni materiale e morale da essa subiti a causa degli atti controversi e il nesso di causalità tra l’illegittimità del comportamento contestato e il danno lamentato. Tenuto conto delle circostanze particolari del caso di specie, essa considera che la sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (C‑45/15 P, EU:C:2017:402), non rimette in discussione la fondatezza della sua domanda di risarcimento.

86      Nella replica, essa afferma che il Consiglio tenta, in violazione dell’articolo 340 TFUE, di imporre condizioni tali da rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio da parte dei singoli del diritto al risarcimento.

87      In risposta all’argomento del Consiglio relativo alla mancanza del nesso di causalità, alla luce delle misure restrittive adottate nei suoi confronti, nel 2011, negli Stati Uniti (in prosieguo: le «misure americane»), la ricorrente osserva che le misure americane sono intervenute un anno e mezzo dopo gli atti controversi e fanno riferimento a questi ultimi a titolo di «prova». Pertanto, poiché tali misure derivavano da detti atti, esse non avrebbero potuto arrecarle un danno autonomo, cosicché i danni eventualmente causati deriverebbero direttamente dal comportamento illecito del Consiglio e spetterebbe a quest’ultimo risarcirli. D’altro canto, la ricorrente ricorda che i rapporti tra la Repubblica islamica dell’Iran e gli Stati Uniti sono interrotti dal 1980 e che, dal 1995, gli Stati Uniti hanno vietato qualsiasi attività e qualsiasi transazione con le società iraniane. Pertanto, non intrattenendo rapporti con società stabilite negli Stati Uniti e non detenendovi beni, le misure americane non le avrebbero cagionato alcun danno.

88      Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, contesta gli argomenti esposti dalla ricorrente. Esso ritiene che le conclusioni della Corte nella sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (C‑45/15 P, EU:C:2017:402), relative alle condizioni di risarcimento del danno materiale e morale, siano pertinenti e a favore dei suoi argomenti nella causa in esame. Peraltro, per quanto riguarda i danni sia materiale che morale, quali asseritamente subiti in Iran dalla ricorrente, il Consiglio osserva che, durante il periodo di applicazione delle misure controverse, essa era anche soggetta alle misure americane, misure che hanno potuto avere un effetto altrettanto nefasto, se non addirittura più nefasto, e che sono tuttora in vigore. Nella controreplica esso sostiene che le misure americane hanno avuto un impatto concreto sull’attività economica della ricorrente.

89      Occorre esaminare se la ricorrente abbia fornito la prova del danno lamentato e del nesso di causalità tra l’illegittimità del comportamento contestato e tale danno.

90      Per quanto riguarda il requisito dell’effettiva sussistenza del danno, secondo la giurisprudenza la responsabilità extracontrattuale dell’Unione sorge soltanto se il ricorrente ha effettivamente subito un danno reale e certo (v., in tal senso, sentenze del 27 gennaio 1982, De Franceschi/Consiglio e Commissione, 51/81, EU:C:1982:20, punto 9, e del 16 gennaio 1996, Candiotte/Consiglio, T‑108/94, EU:T:1996:5, punto 54). Spetta alla parte ricorrente dimostrare che tale condizione è soddisfatta (v. sentenza del 9 novembre 2006, Agraz e a./Commissione, C‑243/05 P, EU:C:2006:708, punto 27 e giurisprudenza ivi citata) e, più in particolare, fornire prove concludenti in ordine all’esistenza e all’entità del danno (v. sentenza del 16 settembre 1997, Blackspur DIY e a./Consiglio e Commissione, C‑362/95 P, EU:C:1997:401, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).

91      Più nello specifico, ogni domanda di risarcimento danni, che si tratti di danno materiale o morale, a titolo simbolico o per ottenere un vero e proprio risarcimento, deve precisare la natura del danno lamentato riguardo al comportamento addebitato e, anche solo in modo approssimativo, valutare tale danno nel suo complesso (v. sentenza del 26 febbraio 2015, Sabbagh/Consiglio, T‑652/11, non pubblicata, EU:T:2015:112, punto 65 e giurisprudenza citata).

92      Per quanto riguarda la condizione relativa all’esistenza di un nesso di causalità tra il comportamento e il danno asseriti, tale danno deve derivare in modo sufficientemente diretto dal comportamento contestato, vale a dire tale comportamento deve costituire la causa determinante del danno, mentre non sussiste un obbligo di risarcire qualsiasi conseguenza dannosa, anche lontana, di una situazione illecita (v. sentenza del 10 maggio 2006, Galileo International Technology e a./Commissione, T‑279/03, EU:T:2006:121, punto 130 e giurisprudenza ivi citata, e anche, in tal senso, sentenza del 4 ottobre 1979, Dumortier e a./Consiglio, 64/76, 113/76, 167/78, 239/78, 27/79, 28/79 e 45/79, EU:C:1979:223, punto 21). Incombe al ricorrente fornire la prova dell’esistenza di un nesso di causalità tra il comportamento e il danno asseriti (v. sentenza del 30 settembre 1998, Coldiretti e a./Consiglio e Commissione, T‑149/96, EU:T:1998:228, punto 101 e giurisprudenza citata).

93      È alla luce della giurisprudenza sopra richiamata che occorre esaminare se, nel caso di specie, la ricorrente abbia dimostrato il carattere reale e certo dei danni morale e materiale che essa avrebbe subito in seguito all’adozione degli atti controversi e al mantenimento dell’iscrizione del suo nome negli elenchi controversi e l’esistenza di un nesso di causalità tra detta adozione e tali danni.

a)      Sul danno materiale lamentato e sullesistenza di un nesso di causalità

94      La ricorrente sostiene, fondandosi su una relazione, del 21 luglio 2015, redatta da una società di revisione contabile iscritta all’ordine dei revisori contabili della regione Paris Île‑de‑France (Francia), che figura all’allegato A.2 del ricorso (in prosieguo: la «perizia contabile»), di aver subito, in seguito all’adozione degli atti controversi, due tipi di danni materiali in Iran, nonché due tipi di danni materiali in Europa. Per l’insieme di tali danni, essa chiede che il Consiglio sia condannato a versarle indennizzi per un importo complessivo di EUR 11 009 560.

95      In risposta a un quesito posto nell’ambito della terza misura di organizzazione del procedimento, riguardante la discordanza tra l’importo totale del danno materiale contenuto nel dispositivo del ricorso, vale a dire EUR 11 009 560, e la somma degli importi relativi ai diversi danni materiali asseriti quali indicati nella motivazione del ricorso, la ricorrente precisa che tale discordanza risulta da un evidente errore materiale da essa commesso e che deve essere preso in considerazione dal Tribunale. Infatti, mentre aveva menzionato l’importo di ciascun danno finanziario e operativo subito in Iran ai titoli E.1.1.2., E.1.1.3. e E.1.1.4. del ricorso, essa avrebbe dimenticato di fare altrettanto per quanto riguarda il danno finanziario e operativo subito in Iran, indicato al titolo E.1.1.1. Tuttavia, la ricorrente precisa che l’importo di quest’ultimo danno materiale, derivante dal «[c]alo del risultato netto contabile», che essa stima in EUR 2 932 367, è inserito nell’importo totale del danno materiale, di cui conferma l’importo «di EUR 11 009 560[,] come riportato sia [nel] dispositivo del ricorso sia nell’allegato A.2 pagina 35 del ricorso».

96      Occorre osservare che, per dimostrare l’esistenza di un danno e di un nesso di causalità, la ricorrente si basa sostanzialmente sulla perizia contabile. Ciò emerge in modo manifesto da una lettura incrociata dei punti da 60 a 101 del ricorso, che figurano sotto la rubrica E intitolata «Sul danno materiale e sull’esistenza di un nesso di causalità», con le pagine da 8 a 27 di detta perizia. Tali punti del ricorso riproducono parola per parola interi passaggi contenuti in dette pagine della perizia contabile. Tutt’al più la ricorrente si è sforzata, talvolta, di fare una sintesi di talune parti di detta perizia, limitandosi a tagliarne alcuni passaggi.

97      In tale circostanza e nei limiti in cui gran parte delle pretese della ricorrente relative al danno materiale che essa fa valere si basa sulle valutazioni contenute nella perizia contabile, prima di esaminare i danni materiali asseritamente subiti dalla ricorrente in Iran e in Europa e l’esistenza di un nesso di causalità, occorre, in un primo tempo, esaminare il valore probatorio della perizia contabile.

1)      Sull’esame del valore probatorio della perizia contabile

98      In mancanza di una normativa dell’Unione sulla nozione di prova, il giudice dell’Unione ha sancito un principio di libera amministrazione o di libertà dei mezzi di prova, che va inteso come facoltà di avvalersi, per provare un certo fatto, di mezzi di prova di qualsiasi natura, quali prove testimoniali, prove documentali, confessioni ecc. (v., in tal senso, sentenze del 23 marzo 2000, Met‑Trans e Sagpol, C‑310/98 e C‑406/98, EU:C:2000:154, punto 29, dell’8 luglio 2004, Dalmine/Commissione, T‑50/00, EU:T:2004:220, punto 72, e conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi nella causa Archer Daniels Midland/Commissione, C‑511/06 P, EU:C:2008:604, paragrafi 113 e 114). Correlativamente, il giudice dell’Unione ha sancito un principio di libera valutazione della prova, secondo il quale la determinazione della credibilità o, in altri termini, del valore probatorio di un elemento di prova è rimessa all’intimo convincimento del giudice (sentenza dell’8 luglio 2004, Dalmine/Commissione, T‑50/00, EU:T:2004:220, punto 72, e conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi nella causa Archer Daniels Midland/Commissione, C‑511/06 P, EU:C:2008:604, paragrafi 111 e 112).

99      Per valutare il valore probatorio di un documento, bisogna tener conto di diversi elementi, come l’origine del documento, le circostanze in cui è stato elaborato, il destinatario, il contenuto e chiedersi se, in base a tali elementi, l’informazione che esso contiene appaia ragionevole e affidabile (sentenze del 15 marzo 2000, Cimenteries CBR e a./Commissione, T‑25/95, T‑26/95, da T‑30/95 a T‑32/95, da T‑34/95 a T‑39/95, da T‑42/95 a T‑46/95, T‑48/95, da T‑50/95 a T‑65/95, da T‑68/95 a T‑71/95, T‑87/95, T‑88/95, T‑103/95 e T‑104/95, EU:T:2000:77, punto 1838, e del 7 novembre 2002, Vela e Tecnagrind/Commissione, T‑141/99, T‑142/99, T‑150/99 e T‑151/99, EU:T:2002:270, punto 223).

100    In tale contesto, il giudice dell’Unione ha già valutato che un’analisi, fornita da un ricorrente, non poteva essere considerata una prova neutra e imparziale, perché era stata richiesta e finanziata dal ricorrente stesso e sviluppata sul fondamento dei dati messi a disposizione da quest’ultimo, senza che l’esattezza o la pertinenza di tali dati fossero state oggetto di una verifica indipendente (v., in tal senso, sentenza del 3 marzo 2011, Siemens/Commissione, T‑110/07, EU:T:2011:68, punto 137).

101    Il giudice dell’Unione ha anche avuto modo di precisare che la relazione di un esperto poteva essere considerata probatoria solo per il suo contenuto obiettivo e che una semplice affermazione non suffragata, presente in un documento del genere, non era, di per sé, determinante (v., in tal senso, sentenza del 16 settembre 2004, Valmont/Commissione, T‑274/01, EU:T:2004:266, punto 71).

102    È alla luce dei principi richiamati ai precedenti punti da 98 a 101 che occorre valutare, nel caso di specie, il valore probatorio della perizia contabile.

103    A tal riguardo, occorre osservare che la perizia contabile è stata redatta da una società di revisione contabile iscritta all’ordine dei revisori contabili della regione Paris Île‑de‑France. Dalla lettera contenuta nelle pagine 2 e 3 di detta perizia, inviata da detta società alla ricorrente e datata 21 luglio 2015, risulta che, conformemente alle condizioni fissate nel corso di una riunione del 18 giugno 2015, l’obiettivo dell’incarico affidato dalla ricorrente a tale società era quello di valutare i danni causati dalle misure controverse, in Iran e in Europa, alla ricorrente e al suo azionista di maggioranza, il sig. Mahmoudian. Per l’espletamento di detto incarico, in tale lettera viene precisato, in particolare, che: «[tale] perizia è stata redatta in base ai documenti che la società Fulmen ci ha fornito e delle informazioni provenienti dalle istituzioni iraniane». Dalla formulazione della suddetta lettera risulta che la perizia contabile è stata redatta su richiesta della ricorrente al fine di attestare, nell’ambito della presente controversia, l’effettiva sussistenza e l’entità del danno materiale lamentato e che tale perizia si basa essenzialmente su documenti forniti dalla ricorrente. Occorre sottolineare che detti documenti, cui si fa talvolta rinvio attraverso le note a piè di pagina, non sono allegati alla perizia contabile.

104    Dato il contesto in cui è stata redatta la perizia contabile e in conformità ai principi richiamati ai precedenti punti da 98 a 101, il valore probatorio di tale perizia deve essere relativizzato. Tale perizia non può essere considerata sufficiente per dimostrare ciò che vi è contenuto, in particolare per quanto riguarda l’effettiva sussistenza e l’entità del danno lamentato. Tutt’al più, si può affermare che essa vale come prova prima facie, a condizione di essere confermata da altri elementi di prova.

105    Per quanto riguarda la circostanza riportata al precedente punto 96, ossia che, al fine di dimostrare l’esistenza di un danno e di un nesso di causalità, la ricorrente si basa sostanzialmente, se non addirittura esclusivamente, sulla perizia contabile, alla luce del principio della libera amministrazione o della libertà dei mezzi di prova richiamato al precedente punto 98, siffatto uso di questo tipo di documento è, di per sé, consentito.

106    Tuttavia, come è stato constatato al precedente punto 104, alla luce del contesto in cui è stata redatta, anche se coperta dal «sigillo» di un revisore contabile, e conformemente alla giurisprudenza richiamata ai precedenti punti da 98 a 101, la perizia contabile non può essere considerata sufficiente, non essendo suffragata da altri elementi di prova, per dimostrare ciò che vi è contenuto, in particolare per quanto riguarda l’effettiva sussistenza e l’entità del danno lamentato.

2)      Sui danni materiali asseritamente subiti in Iran e sull’esistenza di un nesso di causalità

107    La ricorrente sostiene che, in seguito all’imposizione delle misure controverse, essa ha subito danni materiali in Iran, che classifica in due categorie, vale a dire, da un lato, danni finanziari e operativi e, dall’altro, in sostanza, danni commerciali o strutturali.

108    Occorre anzitutto constatare che, ai punti 78, 80 e 81 del ricorso, la ricorrente dichiara espressamente, pur individuandoli nelle due categorie di danni materiali menzionate al precedente punto 107, di non includere nella presente domanda di risarcimento danni alcune voci di danno relative, rispettivamente, alle penalità contrattuali dovute ai suoi clienti per i ritardi nella realizzazione di opere, a una perdita della sua portata internazionale e alla partenza di persone chiave e di dirigenti.

i)      Sui danni finanziari e operativi

109    La ricorrente sostiene che le misure controverse hanno inciso sulla realizzazione di progetti in corso a causa dell’impossibilità, per la stessa, di acquistare determinate apparecchiature provenienti dall’Europa, dell’impossibilità, in taluni casi, di sostituire tali apparecchiature e, pertanto, dell’incapacità di eseguire i progetti in questione e, nei casi in cui è riuscita a sostituire dette apparecchiature, dei conseguenti ritardi nella realizzazione dei progetti e di una perdita di margine di profitto risultante da tali cambiamenti. Ne deriverebbero tre tipi di danni, ossia un calo del risultato netto contabile annuo, l’impossibilità di portare a termine quattro contratti in corso di esecuzione in Iran tra il 2010 e il 2014 e l’impossibilità di ottenere nuovi contratti in Iran durante il periodo controverso.

110    Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, contesta gli argomenti della ricorrente relativi alla sua domanda di risarcimento dei diversi danni finanziari e operativi lamentati, asseritamente subiti in Iran.

111    In primo luogo, per quanto riguarda la voce di danno relativa a un calo del suo risultato netto contabile, la ricorrente sostiene che il fatturato, l’utile netto contabile e il margine di profitto sono nettamente calati a partire dal 2011. La diminuzione del rapporto «risultato netto su fatturato» (dal 2,14% nel periodo 2007/2011 a ‑4,35% nel periodo 2011/2014) sarebbe direttamente connessa al suo inserimento negli elenchi controversi. Tale diminuzione deriverebbe dai cinque elementi seguenti: l’aumento delle spese finanziarie e bancarie, le penalità contrattuali per i ritardi di realizzazione dei progetti dovuti ai clienti, l’aumento del prezzo di acquisto delle materie prime provocato dal ricorso a intermediari per i suoi acquisti all’estero, l’annullamento di contratti di distribuzione a elevato livello di margine, come il contratto di distribuzione con la società Omicron e le spese supplementari generate dalle misure controverse, quali la revisione consecutiva degli studi e degli impianti proposti, la ricerca di eventuali nuovi fornitori e la riassegnazione di membri del personale per la gestione delle misure controverse. Nella replica la ricorrente fornisce un prospetto riassuntivo, contenente il metodo di calcolo del danno relativo al calo del suo risultato netto contabile.

112    Per quanto riguarda la prova dell’effettiva sussistenza del danno, per un calo del risultato netto contabile, anzitutto, è giocoforza constatare che, come sottolineato dal Consiglio, nel ricorso la ricorrente non formula alcuna domanda di risarcimento in cifre di tale danno considerato nel suo insieme.

113    Come è stato esposto al precedente punto 95, in risposta ad un quesito posto nell’ambito della terza misura di organizzazione del procedimento, la ricorrente spiega tale mancanza di una domanda di risarcimento in cifre del danno relativo a un calo del risultato netto contabile con un evidente errore materiale da essa commesso e che, pertanto, dovrebbe essere preso in considerazione dal Tribunale.

114    Tuttavia, sotto un primo profilo, occorre considerare che, se la mancanza di valutazione del danno materiale di cui al titolo E.1.1.1. del ricorso è una realtà oggettiva, per contro, tale mancanza non risulta tuttavia, come sostiene la ricorrente, indicativa di un errore materiale evidente.

115    Infatti, è giocoforza constatare che, considerati i cinque elementi che sarebbero all’origine del danno indicato al titolo E.1.1.1., poiché si riferisce, rispettivamente, al secondo elemento, relativo alle «penalità di mora pagate ai clienti», e al terzo elemento, relativo a un «aumento del prezzo di acquisto delle materie prime», l’esposizione non contiene alcuna valutazione. In tali circostanze, è lecito ritenere che la mancata valutazione dell’importo totale del danno menzionato nel titolo E.1.1.1. possa spiegarsi con la mancata valutazione di ciascuno dei suddetti fattori di cui costituirebbe il risultato. Pertanto, l’errore materiale commesso dalla ricorrente non appare evidente a tal punto da poter essere preso in considerazione dal Tribunale.

116    Sotto un secondo profilo, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza consolidata, pur se il contenuto del ricorso può essere suffragato e completato, su punti specifici, mediante il rinvio a estratti della documentazione allegata, un rinvio complessivo ad altri documenti, anche allegati al ricorso, non può supplire alla mancanza degli elementi essenziali dell’argomentazione in diritto che devono figurare nel ricorso. Inoltre, non spetta al Tribunale ricercare e individuare, negli allegati, i motivi e gli argomenti sui quali, a suo parere, il ricorso dovrebbe essere basato, atteso che gli allegati assolvono una funzione meramente probatoria e strumentale (v. sentenza del 14 dicembre 2005, Honeywell/Commissione, T‑209/01, EU:T:2005:455, punto 57 e giurisprudenza ivi citata).

117    Nel caso di specie, è vero che, nella risposta al quesito posto nell’ambito della terza misura di organizzazione del procedimento, come riportata al precedente punto 95, la ricorrente non menziona in alcun modo il fatto che l’evidente errore materiale che essa fa valere potrebbe essere constatato alla lettura della perizia contabile.

118    Tuttavia, è giocoforza rilevare che i punti da 62 a 74 del ricorso, contenuti nel titolo E.1.1.1., riproducono quasi parola per parola i passaggi delle pagine da 9 a 13 della perizia contabile, che figurano sotto il titolo «Paragrafo 1: Calo del risultato netto contabile» di detta perizia. Orbene, la lettura incrociata di tali punti del ricorso e di tali passaggi della perizia contabile consente di constatare che tale esercizio di copiatura effettuato dalla ricorrente non è stato realizzato in modo esaustivo. Infatti, tanto la tabella 6, riprodotta nelle pagine 12 e 13 di detta perizia, intitolata «Impatto della riduzione della percentuale di risultato netto sul [fatturato] realizzato [tra il 2011 e il 2014]», quanto la conclusione, che figura alla pagina 13 della medesima perizia, nelle quali è contenuta la valutazione del danno materiale in questione, ossia EUR 2 932 367, non sono state riprodotte dalla ricorrente.

119    Tuttavia, alla luce della giurisprudenza richiamata al precedente punto 116, non spetta al Tribunale valutare se il fatto che la ricorrente non abbia riprodotto né la tabella né la conclusione menzionate al precedente punto 118 derivi da una scelta consapevole, da parte sua, in base al suo libero arbitrio nell’elaborazione dei suoi argomenti e nella redazione delle sue memorie, o da una mera dimenticanza, che costituisca un evidente errore materiale di cui il Tribunale potrebbe tenere conto.

120    Alla luce delle suesposte considerazioni, si deve concludere che la ricorrente non ha fornito la prova dell’effettiva sussistenza del danno lamentato, cosicché, senza che occorra esaminare il nesso di causalità, la domanda di risarcimento riguardante la voce di danno relativa a un «calo del risultato netto contabile» deve essere respinta in quanto infondata.

121    In secondo luogo, per quanto riguarda la voce di danno relativa all’annullamento di quattro contratti in corso di realizzazione, ossia i progetti Kamyaran & Shaked, Mahyar, 6 Trans Khouzestan e GIS Tehran, che la ricorrente stima in EUR 771 577, è sufficiente constatare che la ricorrente non fornisce manifestamente la prova del nesso di causalità tra il comportamento asserito e il danno.

122    Infatti, la ricorrente si limita ad affermare che, da un lato, poiché i suoi partner commerciali hanno rifiutato di fornirle le apparecchiature che essa doveva fornire, è stata costretta a cessare l’esecuzione di quattro progetti in Iran tra il 2010 e il 2014 e, dall’altro, che l’adozione degli atti controversi costituirebbe l’unico elemento determinante che ha avuto come conseguenza la risoluzione dei contratti.

123    A sostegno di questa duplice affermazione, la ricorrente si limita a rinviare all’allegato A.6 del ricorso che conterrebbe la «[c]opia di documenti dei progetti Kamyaran, Trans, Mahyar, GIS Tehran». Nella replica essa acclude negli allegati C.5, C.6 e C.7 tre documenti contenenti il calcolo del margine di profitto per tre di questi quattro progetti e la relativa tabella di bilancio.

124    È giocoforza constatare che né gli argomenti esposti nel ricorso, che si limitano ad alcune righe, e nella replica, né i documenti acclusi in allegato a tali memorie, possono essere considerati nel senso di fornire un minimo principio di prova del nesso di causalità tra il comportamento asserito e il danno.

125    Infatti, né il ricorso né la replica contengono un qualsiasi elemento atto a dimostrare che le misure controverse siano state, come afferma la ricorrente, un motivo determinante di interruzione dei quattro progetti indicati nel ricorso. Del pari, per quanto riguarda il presunto rifiuto dei suoi partner commerciali di fornirle le apparecchiature di cui necessitava per eseguire detti progetti, la ricorrente non fornisce assolutamente alcuna prova di tali rifiuti.

126    Tutt’al più precisa, nella replica, che il danno lamentato non può essere stato causato dalle misure americane poiché, da un lato, essa non intratteneva alcun rapporto con società americane né alcun commercio di forniture con gli Stati Uniti e, dall’altro, nel settore delle apparecchiature, i più grandi fornitori mondiali sono tre società europee, vale a dire la Schneider, la ABB e la Siemens.

127    Tuttavia, tali affermazioni non possono in alcun modo essere considerate come riferite alla prova che il comportamento asserito costituisce la causa determinante del presente danno, ossia l’annullamento dei quattro contratti in corso di realizzazione in Iran.

128    Dalle suesposte considerazioni risulta che, poiché la ricorrente non ha fornito la prova del nesso di causalità, la domanda di risarcimento del danno derivante dall’annullamento di quattro contratti deve essere respinta in quanto infondata.

129    In terzo luogo, per quanto riguarda la voce di danno relativa alla perdita di nuovi contratti in Iran, la ricorrente fa valere che, essendo stata privata delle sue fonti di approvvigionamento e di membri del personale, essa si è trovata nell’impossibilità di ottenere nuovi appalti in tale paese durante il periodo controverso. Si deve considerare che, per «periodo controverso», la ricorrente intende il periodo compreso tra il primo inserimento del suo nome il 26 luglio 2010 (v. supra, punto 10) e la cancellazione di detto nominativo dagli elenchi controversi il 19 dicembre 2013 (v. supra, punto 23) (in prosieguo: il «periodo controverso»). Essa stima l’importo del danno così subito in EUR 2 838 897. Occorre nuovamente constatare, anzitutto, che la ricorrente non fornisce la prova del nesso di causalità tra il comportamento asserito e il danno.

130    Infatti, a tal riguardo, essa si limita ad affermare che, alla luce di statistiche relative agli investimenti nel settore dell’energia elettrica in Iran e all’evoluzione della sua quota di mercato in detto settore, che sarebbe passata dal 10,69%, durante il periodo di otto anni che ha preceduto le misure controverse, al 2,70%, nel corso del periodo controverso, «risulta evidente che le sanzioni hanno avuto come effetto una diminuzione assai rilevante della quota di mercato della ricorrente».

131    Orbene, anzitutto, dai dati contenuti nella tabella 9 della perizia contabile emerge che gli investimenti nel settore dell’energia elettrica in Iran, dopo essere passati da EUR 786 000 000, nel 2007‑2008, a EUR 1 070 785 714, nel 2008‑2009, sono diminuiti, sin dall’esercizio 2009‑2010, del 16,6% circa, poi, per l’esercizio 2010‑2011, del 10% circa, poi, per l’esercizio 2011‑2012, del 33,44% circa, e infine, per l’esercizio 2012‑2013, del 52,7% circa. Pertanto, tali dati consentono di constatare che sin dall’esercizio 2009‑2010, ossia prima dell’adozione degli atti controversi, gli investimenti nel settore dell’energia elettrica in Iran avevano iniziato a diminuire in maniera significativa.

132    D’altro canto, dalla tabella 10 della perizia contabile emerge che, certamente, la ricorrente non avrebbe concluso alcun nuovo contratto durante gli esercizi 2012‑2013 e 2013‑2014. Tuttavia, dalla stessa tabella emerge che, nel corso dell’esercizio 2011‑2012, ossia più di un anno dopo l’adozione degli atti controversi, la ricorrente era riuscita a concludere contratti per un importo superiore di oltre il doppio rispetto a quello dei contratti che essa aveva concluso nel 2010‑2011.

133    Pertanto, i dati che figurano nelle tabelle 9 e 10 della perizia contabile non consentono di fornire la prova del nesso di causalità tra il comportamento asserito e il danno in questione.

134    Inoltre, occorre altresì sottolineare che, poiché le misure controverse erano applicabili solo nell’Unione, esse non vietavano, in quanto tali, alla ricorrente di candidarsi per tentare di ottenere nuovi appalti in Iran. Orbene, la ricorrente non produce alcun elemento di prova che dimostri che essa avrebbe, quanto meno, presentato un’offerta per ottenere tali appalti e che la sua offerta sarebbe stata respinta alla luce, in particolare, come essa afferma, dell’insufficienza delle sue capacità tecniche e di perizia. In definitiva, essa non sostiene neppure di aver presentato una candidatura per ottenere un qualsiasi appalto in Iran, ma si limita ad affermare di non aver concluso alcun contratto tra il 2012 e il 2014.

135    Infine, la ricorrente non precisa di quali fonti di approvvigionamento di impianti elettrici e di quali membri del personale, dotati dell’esperienza professionale richiesta per l’esecuzione di tali tipi di contratti, essa sarebbe stata privata, in seguito all’adozione degli atti controversi.

136    Alla luce delle suesposte considerazioni, la ricorrente non fornisce la prova che l’adozione delle misure controverse spiegherebbe la riduzione della sua quota di mercato nel settore dell’energia elettrica in Iran. Infatti, tanto le difficoltà incontrate da detto settore, in materia di riduzione degli investimenti, quanto la mancanza stessa di prove che essa avesse presentato offerte per appalti in detto settore possono spiegare siffatta diminuzione della quota di mercato.

137    Pertanto, poiché la ricorrente non ha fornito la prova del nesso di causalità, la domanda di risarcimento del danno derivante dalla perdita di nuovi contratti in Iran deve essere respinta in quanto infondata.

138    Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, occorre respingere la domanda di risarcimento dei danni finanziari e operativi in quanto infondata.

ii)    Sui danni commerciali o strutturali

139    Per quanto riguarda, in sostanza, i danni commerciali o strutturali di cui chiede il risarcimento, la ricorrente asserisce, anzitutto, che il suo inserimento negli elenchi controversi ha comportato un’interruzione dei suoi rapporti con le banche e con i partner privilegiati. Inoltre, al fine di evitare «sanzioni a cascata», il suo inserimento negli elenchi controversi avrebbe richiesto una riduzione strutturale del gruppo, attraverso la vendita forzata delle sue partecipazioni, tra cui tre di maggioranza, in altre sei società iraniane.

140    Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, conclude per il rigetto della domanda di risarcimento dei danni commerciali o strutturali lamentati, asseritamente subiti in Iran.

141    In primo luogo, per quanto riguarda l’interruzione dei suoi rapporti commerciali con la banca Tejarat e con sei partner privilegiati, la società Omicron, da un lato, e altre cinque società, dall’altro, che sarebbe stata causata dagli atti controversi, è vero che la ricorrente riconosce che l’annullamento di tali diversi partenariati ha avuto un impatto sulla sua attività, che è già incluso nel calcolo del calo del risultato netto contabile, già invocato nella categoria dei danni finanziari ed operativi. Tuttavia, per il danno attualmente lamentato, essa fa valere anche danni, verificatisi successivamente all’annullamento delle sanzioni, che si riferiscono, in sostanza, alle prospettive di ripristino di tali partenariati privilegiati. La perdita di tali partenariati privilegiati, indipendentemente dagli utili non realizzati durante il periodo controverso, le avrebbe causato un danno che essa stima in EUR 1 026 974.

142    In risposta ad un quesito posto dal Tribunale, in un primo tempo, nella terza misura di organizzazione del procedimento, e in un secondo tempo, in udienza, la ricorrente ha dichiarato di rinunciare alla domanda di risarcimento del danno connesso all’interruzione dei rapporti con la banca Tejerat, circostanza di cui si è preso atto nel verbale d’udienza. Pertanto, l’esame del danno derivante dall’interruzione dei rapporti commerciali si limita ai sei partenariati privilegiati fatti valere dalla ricorrente.

143    A tale titolo, sotto un primo profilo, per quanto riguarda l’interruzione dei rapporti con la società Omicron, di cui la ricorrente afferma di essere stata il distributore esclusivo dal 2003 e che, in seguito all’adozione degli atti controversi, avrebbe concesso i diritti di distribuzione in esclusiva a un’altra società iraniana, la ricorrente stima il danno subito in EUR 526 974, importo che corrisponderebbe a un margine di profitto annuo che essa avrebbe realizzato su tre anni, a concorrenza di un tasso del 22% applicato su una media annua di vendite regolari stimata in EUR 798 449.

144    Per quanto riguarda la prova del danno, occorre constatare che, nel caso di specie, la ricorrente chiede il risarcimento di un futuro mancato guadagno che essa calcola proiettandosi su tre anni.

145    Orbene, si deve constatare che la ricorrente non fornisce in alcun modo la prova dell’utile non realizzato in seguito all’interruzione del rapporto contrattuale in questione. Tutt’al più si limita a far valere l’applicazione di un tasso di margine di profitto netto del 22% applicato su una media annua di vendite regolari che essa stima in EUR 798 449.

146    Orbene, da un lato, né il ricorso né la perizia contabile o gli elementi di informazione da essa prodotti fanno emergere il modo in cui è stata calcolata la cifra delle «vendite regolari per una media annua di EUR 798 449», fatta valere dalla ricorrente. Tuttavia, tale cifra serve come base per il calcolo del danno lamentato. D’altro lato, la ricorrente non ha neppure fornito un qualsiasi elemento che possa dimostrare che essa conseguiva effettivamente, come sostiene, un tasso di margine di profitto netto del 22%. Tutt’al più essa afferma che siffatto margine, come risulta dalla nota a piè di pagina inserita al punto 86 del ricorso, «è stato calcolato (…) sulla vendita più significativa e considerando il 30% di spese», senza che sia possibile individuare su quali documenti si basa la ricorrente per fornire la prova dell’effettiva sussistenza del danno in questione.

147    Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre concludere che, per quanto riguarda l’interruzione dei rapporti commerciali con la società Omicron, la ricorrente non ha fornito la prova di un danno reale e certo.

148    Pertanto, senza che si debba verificare se sia stata fornita la prova del nesso di causalità, occorre respingere in quanto infondata la domanda di risarcimento del danno connesso all’interruzione dei suoi rapporti commerciali con la società Omicron.

149    Sotto un secondo profilo, per quanto riguarda i partenariati privilegiati con altre cinque società, la ricorrente stima in EUR 100 000 per fascicolo il costo del ripristino di tali rapporti commerciali.

150    A tale titolo, anzitutto, per quanto riguarda la prova del danno, è sufficiente rilevare che la ricorrente non fornisce alcun elemento relativo alla prova dell’esistenza e della natura dei rapporti esistenti con le cinque società interessate ancor prima dell’adozione degli atti controversi. Inoltre, è giocoforza constatare che, ancora una volta, la ricorrente fa valere una spesa futura e ipotetica, la cui valutazione è puramente arbitraria e forfettaria. Pertanto, il presunto danno, derivante dall’interruzione dei rapporti commerciali con le cinque società menzionate al precedente punto 141, non è né reale né certo.

151    Da quanto precede risulta che la domanda di risarcimento del danno derivante dall’interruzione dei rapporti tra la ricorrente e la società Omnicron e gli altri suoi cinque partner privilegiati deve essere respinta in quanto infondata.

152    In secondo luogo, la ricorrente fa valere che essa ha dovuto cedere le proprie partecipazioni in diverse società iraniane, al fine di evitare «sanzioni a cascata». Essa precisa che, non essendo in grado di stimare l’importo della perdita finanziaria risultante da tali cessioni forzate nonché la riduzione della sua capacità, essa si limita a quantificare le spese necessarie per la ricostituzione di dette partecipazioni. A tale titolo, essa stima il costo dell’audit preliminare e le spese legali in EUR 30 000 per le partecipazioni di maggioranza e in EUR 5 000 per le partecipazioni di minoranza, ossia per un importo complessivo di EUR 105 000. In allegato alla replica, essa acclude un preventivo per i servizi di controllo di tali società ai fini della ricostituzione di un gruppo della stessa portata.

153    Per quanto riguarda la prova del danno, è giocoforza nuovamente constatare che il danno attualmente lamentato è meramente ipotetico e futuro. Infatti, la ricorrente non produce alcun elemento che possa giustificare i due tipi di importo richiesti per il costo dell’audit preliminare e delle spese legali, che dovrebbero essere sostenuti per la ricostituzione delle partecipazioni di maggioranza e delle partecipazioni di minoranza. Si rileva, del resto, chiaramente che, al riguardo, la stessa ricorrente riconosce, al punto 11 del ricorso, di non essere in grado di stimare, da un lato, l’importo della perdita finanziaria derivante dalle cessioni forzate di cui trattasi e, dall’altro, la riduzione della sua capacità. Orbene, la valorizzazione delle quote delle società che essa afferma di essere stata obbligata a cedere si rivela essenziale al fine di valutare il danno asseritamente subito. Infatti, anche supponendo che la ricorrente abbia deciso di cedere le proprie partecipazioni in varie società iraniane al fine di evitare «sanzioni a cascata», ciò non può essere, di per sé, sufficiente per provare l’esistenza di un danno. Del resto, la ricorrente non spiega affatto la ragione per cui non sarebbe stata in grado di procedere a siffatta valutazione del danno da essa fatto valere.

154    Per quanto riguarda il nesso di causalità, è giocoforza rilevare che la ricorrente non fornisce alcuna prova del fatto che la cessione delle partecipazioni da essa detenute in diverse società iraniane sia il risultato di una qualsiasi misura connessa all’adozione degli atti controversi. Inoltre, essa non spiega quali fossero le competenze e le tecnologie proprie delle imprese in cui deteneva partecipazioni, che avrebbero potuto comportare un rischio di «sanzioni a cascata». Tutt’al più si evince dal testo contenuto nella tabella 16 riportata alla pagina 22 della perizia contabile, pagina alla quale la ricorrente rinvia al punto 91 del ricorso, che le partecipazioni cedute sarebbero state inizialmente acquisite o per estendere l’offerta della ricorrente a prodotti e servizi complementari alla sua offerta, o per esercitare un’influenza sulle imprese che potevano generare opportunità di mercato. Tuttavia, sebbene tale descrizione in termini generali delle proprie scelte di investimento rifletta scelte relativamente comuni di strategia economica d’impresa, esse non consentono di comprendere per quali ragioni la ricorrente sostiene di aver dovuto cedere le proprie partecipazioni nelle imprese iraniane interessate.

155    Alla luce delle suesposte considerazioni, non avendo fornito la prova del danno nonché del nesso di causalità, la domanda di risarcimento del danno derivante dalla cessione forzata delle partecipazioni della ricorrente in diverse società iraniane, al fine di evitare «sanzioni a cascata», deve essere respinta in quanto infondata.

156    Da tutte le valutazioni che precedono deriva che la domanda di risarcimento dei danni materiali asseritamente subiti in Iran deve essere respinta in quanto infondata.

3)      Sui danni materiali asseritamente subiti in Europa e sull’esistenza di un nesso di causalità

157    Per quanto riguarda i danni materiali asseritamente subiti in Europa, la ricorrente afferma che, in seguito all’imposizione delle misure controverse, essa ha subito danni connessi, anzitutto, all’acquisizione di partecipazioni dirette nel capitale della società di diritto francese Codefa Connectique S.A.S. (in prosieguo: la «Codefa»), poi, alla perdita dei beni che essa aveva affidato a una società austriaca denominata SED e, infine, al congelamento di vari progetti di ricerca e sviluppo da essa avviati, a partire dal 2007, in collaborazione con varie società europee.

158    Il Consiglio contesta gli argomenti della ricorrente per quanto riguarda i danni materiali asseritamente subiti in Europa.

159    In primo luogo, per quanto riguarda la domanda di risarcimento del danno che la ricorrente avrebbe subito per la cessione della sua partecipazione nella sua controllata in Francia, la Codefa, essa lo stima in EUR 244 109, a titolo dell’importo dell’operazione di cessione cui aggiunge EUR 30 000 per spese di transazione. Nella replica essa precisa che tale cessione poteva consentire agli altri azionisti di limitare il loro danno connesso alla Codefa. A tal riguardo, essa acclude in allegato alla replica una fattura di spese riguardanti, asseritamente, l’audit preliminare alla cessione.

160    Sotto un primo profilo, per quanto riguarda la prova del danno, la ricorrente menziona certamente difficoltà finanziarie incontrate dalla Codefa, asseritamente determinate dagli atti controversi, che avrebbero giustificato la sua scelta di cedere le proprie partecipazioni in detta società. Per tale cessione, la ricorrente avrebbe subito una minusvalenza di cui chiede il risarcimento. Tuttavia, da un lato, si deve constatare che, se è vero che la ricorrente sostiene di aver investito EUR 232 490 per l’acquisto delle azioni di tale società, dal tenore del ricorso emerge che, dal 2010, essa non aveva versato al venditore il saldo di EUR 155 000 per tale acquisizione. D’altro lato, per quanto riguarda la fattura relativa alle spese prodotta dalla ricorrente in allegato alla replica per giustificare l’importo di EUR 30 000 per spese di transazione di cui chiede il risarcimento, è giocoforza constatare che, come riconosciuto dalla stessa ricorrente in udienza e di cui si è preso atto nel verbale, tale documento, non datato, si riferisce alle spese di revisione contabile che erano state pagate per valutare «l’opportunità di effettuare investimenti nella società Codefa Connectique», investimenti che si sono concretizzati con l’acquisizione di quest’ultima da parte della ricorrente nel 2009, ossia un anno prima dell’adozione delle misure controverse. Pertanto, le spese di transazione fatte valere dalla ricorrente non si riferiscono in alcun caso alla cessione delle sue partecipazioni nella Codefa nel novembre 2010, cessione di cui essa chiede il risarcimento, ma alla loro acquisizione nel 2009. Pertanto, senza che sia necessario pronunciarsi sulla ricevibilità dell’allegato summenzionato in quanto è stato inserito nel fascicolo solo in fase di replica, occorre respingerlo in quanto non pertinente per quanto riguarda il danno attualmente in questione. Dalle suesposte considerazioni risulta che la ricorrente non ha fornito la prova del danno lamentato.

161    Sotto un secondo profilo, e in ogni caso, la ricorrente non fornisce neppure la prova del nesso di causalità. Infatti, occorre constatare che, tutt’al più nel ricorso, ai punti 94 e 97 di quest’ultimo nei quali sono individuati diversi fatti che consentirebbero di constatare che le difficoltà incontrate dalla Codefa derivavano dall’adozione degli atti controversi, essa rinvia alla lettura delle pagine 24 e 25 della perizia contabile e all’allegato A.19 del ricorso. Ai fini di tale constatazione, si rinvia, nelle note a piè di pagina contenute nelle pagine 24 e 25 di detta perizia, a diversi elementi di prova. Tuttavia, questi ultimi elementi non sono allegati alla suddetta perizia. Inoltre, la ricorrente non precisa se li abbia prodotti nell’ambito del presente procedimento. Pertanto, la ricorrente non ha dimostrato il nesso di causalità tra il danno lamentato e il comportamento contestato.

162    Ad abundantiam, occorre osservare che, sebbene, come risulta dal titolo riportato nell’elenco degli allegati al ricorso, l’allegato A.19 consista in «[c]opie di documenti riguardanti la società CODEFA», è giocoforza constatare che la ricorrente non rinvia a nessuno di detti documenti, nonostante siano riprodotti su un totale di 114 pagine nel fascicolo contenente gli allegati al ricorso.

163    Orbene, sotto un primo profilo, come è stato ricordato al precedente punto 116, non spetta al Tribunale ricercare e individuare, negli allegati, i motivi e gli argomenti sui quali, a suo parere, il ricorso dovrebbe essere basato. Ciò vale a maggior ragione quando un allegato è simile a un fascicolo che raccoglie vari documenti riguardanti un soggetto o una persona, documenti che sono riprodotti su un numero voluminoso di pagine. In un caso del genere, in mancanza di un rinvio preciso, ad opera della parte che li comunica, agli elementi e ai passaggi di detti allegati che essa intende mettere in evidenza per provare la fondatezza dei suoi argomenti, alla luce della giurisprudenza citata al precedente punto 116, tali allegati vedono il loro valore probatorio e strumentale fortemente ridotto.

164    Così avviene manifestamente, nel caso di specie, per quanto riguarda l’allegato A.19 del ricorso, che consiste, come indicato dalla ricorrente, in «[c]opie di documenti riguardanti la società CODEFA», riprodotti alle pagine da 390 a 503 del fascicolo contenente gli allegati al ricorso, ossia un totale di 114 pagine. In mancanza di un rinvio preciso, nel ricorso, agli elementi contenuti in queste 114 pagine dell’allegato A.19, si deve ritenere che la ricorrente non abbia dimostrato la fondatezza dei suoi argomenti di cui trattasi nel caso di specie.

165    Sotto un secondo profilo, anche supponendo che il Tribunale, senza ricercare né individuare tali elementi nell’allegato A.19 del ricorso, si limiti ad analizzare il primo documento accluso nel suddetto allegato, riprodotto alla pagina 390 degli allegati al ricorso, documento consistente in una lettera raccomandata con ricevuta di ritorno, inviata dalla banca Société générale, il 2 settembre 2010, alla Codefa, certamente, il suo oggetto, intitolato «Preavviso di chiusura di conto a 60 giorni – Risoluzione dell’apertura di credito C.T.C. Conto numero: (…)», e i suoi termini sembrano riferirsi all’interruzione del rapporto tra detta banca e detta società, che la ricorrente fa valere al punto 95 del ricorso. Tuttavia, è giocoforza constatare che non risulta in alcun modo dalla formulazione di detta lettera che la chiusura del conto della Codefa aperto presso la banca Société générale nonché l’annullamento dell’autorizzazione di scoperto di EUR 80 000 di cui la Codefa beneficiava presso tale banca deriverebbero dall’adozione degli atti controversi.

166    Dalle suesposte considerazioni deriva che la ricorrente non ha fornito la prova del danno e del nesso di causalità, cosicché la domanda di risarcimento per il danno derivante dalla presunta cessione forzata della sua partecipazione nella controllata, la Codefa, deve essere respinta in quanto infondata.

167    In secondo luogo, per quanto riguarda la domanda di risarcimento del danno che essa avrebbe subito a causa dell’impossibilità di recuperare l’anticipo di EUR 2 828 370,44 che essa avrebbe concesso alla società austriaca SED affinché acquistasse apparecchiature e prodotti provenienti da diversi paesi europei, indispensabili per la prosecuzione delle attività della ricorrente, essa lo stima nell’importo dell’anticipo così concesso, aumentato di EUR 262 266 applicando un tasso di attualizzazione del 3% su tre anni, ossia un totale di EUR 3 090 636.

168    Sotto un primo profilo, per quanto riguarda la prova del danno, dal primo comma del titolo E.2.2.1 del ricorso, intitolato «Perdite dei beni in Austria», e dal punto 98 del ricorso, risulta che la ricorrente, che si è limitata a copiare quasi integralmente i passaggi pertinenti delle pagine 25 e 26 della perizia contabile, afferma che, alla data del suo inserimento negli elenchi controversi, l’importo degli anticipi che essa aveva concesso alla società SED ammontava a EUR 2 828 370,44.

169    Alla pagina 25 della perizia contabile, per quanto riguarda la somma menzionata al precedente punto 168, si rinvia, nella nota a piè di pagina, ad un «riconoscimento dei crediti SED e dichiarazioni dei crediti effettuati dalla Fulmen». Tuttavia, tali documenti non sono allegati a detta perizia e la ricorrente non precisa se li abbia prodotti nell’ambito della causa in esame.

170    È vero che non si può escludere che tali elementi possano figurare nell’allegato A.4 del ricorso, al quale la ricorrente rinvia globalmente, in una nota a piè di pagina inserita sotto la rubrica del titolo E.2.2.1. del ricorso.

171    Tuttavia, come è stato ricordato al precedente punto 116, non spetta al Tribunale ricercare e individuare, negli allegati, i motivi e gli argomenti sui quali, a suo parere, il ricorso dovrebbe essere basato. Orbene, ancora una volta, l’allegato A.4 del ricorso, intitolato «Documenti relativi alla società SED» nell’elenco degli allegati al ricorso, consiste in vari documenti riprodotti alle pagine da 36 a 71 del fascicolo contenente gli allegati al ricorso. In mancanza di un rinvio preciso, nel ricorso, agli elementi e ai passaggi di detto allegato che essa intende mettere in evidenza per provare la fondatezza dei suoi argomenti, alla luce in particolare della giurisprudenza richiamata al precedente punto 116, si deve ritenere che la ricorrente non abbia fornito la prova della fondatezza dei suoi argomenti di cui trattasi nel caso di specie.

172    Alla luce delle suesposte considerazioni, si deve concludere che la ricorrente non ha dimostrato l’effettività del suo credito nei confronti della società SED e, pertanto, non ha fornito la prova del danno.

173    Sotto un secondo profilo, in ogni caso, per quanto riguarda la prova del nesso di causalità, è giocoforza constatare che, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, dal fascicolo della causa non risulta che il fatto generatore del danno lamentato, ossia l’impossibilità di recuperare l’anticipo concesso alla società SED, consista nell’inserimento del nome della ricorrente negli elenchi controversi. Infatti, come precisa la stessa ricorrente nel ricorso, al primo comma del titolo E.2.2.1. del ricorso, «[p]rima della revoca delle sanzioni contro la ricorrente, la società SED ha dichiarato la cessazione dei pagamenti e la somma anticipata dalla ricorrente è divenuta irrecuperabile a seguito della liquidazione della SED». Pertanto, la ricorrente non ha fornito in alcun modo la prova del nesso di causalità tra il comportamento contestato e il danno lamentato.

174    Alla luce delle suesposte considerazioni, la ricorrente non ha fornito la prova del danno e del nesso di causalità, cosicché la domanda di risarcimento per il danno derivante dall’impossibilità di recuperare l’anticipo concesso alla società austriaca SED deve essere respinta in quanto infondata.

175    In terzo luogo, per quanto riguarda il danno lamentato riguardo al congelamento delle attività di ricerca e sviluppo della ricorrente, che essa aveva avviato, a partire dal 2007, in collaborazione con varie società europee e che stimava, nel ricorso, in EUR 2 179 125, occorre rilevare quanto segue. Nell’ambito della terza misura di organizzazione del procedimento, il Tribunale ha invitato la ricorrente a spiegare in quale misura, da un lato, al punto 117 della replica, essa dichiarava di mantenere gli argomenti esposti ai punti da 60 a 101 del ricorso, dato che i punti 99 e 101 di quest’ultimo si riferiscono al danno derivante dal congelamento delle sue attività di ricerca e sviluppo, mentre, dall’altro, al punto 116 della replica, essa dichiarava espressamente di aver «scelto di non includerlo nel danno di cui è richiesto il risarcimento». Considerando che la risposta della ricorrente a tale quesito era privo di chiarezza, il Tribunale le ha posto lo stesso quesito in udienza. La ricorrente ha quindi ammesso che, al punto 117 della replica, si era insinuato un errore nel rinvio ai punti del ricorso. Essa ha così precisato che detto punto doveva essere inteso nel senso che essa «mant[eneva] gli argomenti esposti ai paragrafi [da] 60 [a] 98 del [r]icorso» e non «ai paragrafi [da] 60 [a] 101 del [r]icorso», circostanza di cui si è preso atto nel verbale d’udienza. Pertanto, si deve ritenere che la ricorrente abbia deciso di rinunciare a chiedere un risarcimento per il danno derivante dal congelamento delle sue attività di ricerca e sviluppo.

176    Da tutte le suesposte valutazioni deriva che la domanda di risarcimento dei danni materiali asseritamente subiti in Europa deve essere respinta in quanto infondata.

177    Alla luce delle conclusioni tratte ai precedenti punti 156 e 176, occorre respingere la domanda di risarcimento del danno materiale asseritamente subito in quanto infondata.

b)      Sul danno morale lamentato e sullesistenza di un nesso di causalità

178    La ricorrente sostiene che l’adozione degli atti controversi e il mantenimento dell’iscrizione del suo nome negli elenchi controversi, nei limiti in cui essi hanno leso i suoi diritti della persona, e in particolare la sua reputazione, le hanno causato un danno morale rilevante, di cui essa stima l’importo ex æquo et bono in EUR 100 000.

179    Nella sua risposta al quesito posto nell’ambito della seconda misura di organizzazione del procedimento riguardo alle conseguenze della sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (C‑45/15 P, EU:C:2017:402), sulla causa in esame, essa ritiene che, nel caso di specie, tenuto conto delle circostanze aggravanti considerate, in particolare, dello sviamento di potere commesso dal Consiglio, il risarcimento integrale del danno morale richieda un importo superiore a quello stabilito nella citata sentenza.

180    Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, conclude per il rigetto della domanda di risarcimento del danno morale lamentato.

181    A tal riguardo, il Consiglio considera che, anzitutto, la ricorrente non fa valere alcun effetto nefasto sulla sua attività economica diverso da quelli già compresi nelle domande di risarcimento del danno materiale. Gli effetti negativi delle misure controverse sulla reputazione della ricorrente, in quanto essa sarebbe stata stigmatizzata come partecipante al programma di proliferazione nucleare, sarebbero stati sufficientemente controbilanciati dall’annullamento delle misure controverse e dalla pubblicità data a tale annullamento, sia attraverso la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea che, in particolare, attraverso la diffusione di un reportage della trasmissione «Sept à huit» da parte del canale televisivo francese TF1. Dal momento che la ricorrente riconoscerebbe che la sua attività economica è ripresa sin dalla revoca delle misure controverse, ciò dimostrerebbe che la reputazione della ricorrente non ha subito danni che sarebbero perdurati al di là dell’annullamento degli atti controversi, cosicché tale annullamento costituirebbe un risarcimento sufficiente.

182    Inoltre, per quanto riguarda il danno morale che supererebbe la sfera degli abituali interessi commerciali della ricorrente, quest’ultima non fornirebbe alcun argomento né alcun elemento di prova che possa dimostrare sia il carattere reale e certo di tale danno sia il nesso diretto tra detto danno e gli atti controversi.

183    Infine, per quanto riguarda l’entità del danno lamentato, la ricorrente non preciserebbe su quali criteri o elementi si basa per calcolare l’importo del risarcimento che essa richiede, né ciò che tale importo tenderebbe a risarcire. Orbene, si dovrebbe tenere conto del fatto che, a differenza della ricorrente nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (C‑45/15 P, EU:C:2017:402), nel caso di specie, la ricorrente resta soggetta alle misure americane.

184    In primo luogo, occorre rilevare che le misure controverse hanno conseguenze negative importanti e un’incidenza significativa sui diritti e sulle libertà delle persone interessate (v., in tal senso, sentenza del 28 maggio 2013, Abdulrahim/Consiglio e Commissione, C‑239/12 P, EU:C:2013:331, punto 70). A tale riguardo, quando un’entità costituisce l’oggetto di misure restrittive in ragione dell’appoggio che si afferma abbia fornito alla proliferazione nucleare, essa viene pubblicamente associata ad un comportamento considerato come una minaccia grave alla pace ed alla sicurezza internazionali, con la conseguenza di compromettere la sua reputazione ed arrecandole, pertanto, un danno non patrimoniale (sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punto 80).

185    Da un lato, il pregiudizio alla reputazione dell’entità interessata, causato da misure restrittive come le misure controverse, non riguarda le sue capacità economiche e commerciali, bensì la sua volontà di essere implicata in attività considerate riprovevoli dalla comunità internazionale. L’entità interessata viene quindi coinvolta oltre la sfera dei suoi abituali interessi commerciali (v., in tal senso, sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punto 82).

186    D’altro lato, detto pregiudizio è tanto più grave in quanto risulta non tanto dall’espressione di una opinione personale, quanto da una presa di posizione ufficiale da parte di una istituzione dell’Unione, pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea e accompagnata da conseguenze giuridiche obbligatorie (sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punto 83).

187    Alla luce di quanto precede, si deve ritenere che, nel caso di specie, l’adozione degli atti controversi ed il mantenimento dell’iscrizione del nome della ricorrente negli elenchi controversi abbiano arrecato a quest’ultima un danno non patrimoniale, distinto dal danno materiale dovuto al pregiudizio alle proprie relazioni commerciali. Si deve pertanto riconoscere alla ricorrente il diritto ad essere risarcita di tale danno (v., in tal senso, sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punto 85).

188    Per quanto riguarda l’effettiva sussistenza del presunto danno morale subito, si deve rammentare che, per quanto riguarda più in particolare un danno del genere, sebbene la presentazione di prove o di offerte di prova non sia necessariamente considerata quale presupposto per il riconoscimento di un siffatto danno, incombe quantomeno alla parte ricorrente dimostrare che il comportamento contestato all’istituzione interessata fosse tale da procurarle il danno stesso (v. sentenza del 16 ottobre 2014, Evropaïki Dynamiki/Commissione, T‑297/12, non pubblicata, EU:T:2014:888, punto 31 e giurisprudenza ivi citata; v. anche, in tal senso, sentenza del 28 gennaio 1999, BAI/Commissione, T‑230/95, EU:T:1999:11, punto 39).

189    Inoltre, sebbene, nella sentenza del 28 maggio 2013, Abdulrahim/Consiglio e Commissione (C‑239/12 P, EU:C:2013:331), la Corte abbia statuito che l’annullamento di misure restrittive illegittime può costituire una forma di riparazione del danno morale subito, ciò tuttavia non comporta che tale forma di riparazione sia necessariamente sufficiente, in ogni caso, a garantire la riparazione integrale di tale danno, ma qualsiasi decisione al riguardo deve essere presa sulla base di una valutazione delle circostanze del caso (sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, C‑45/15 P, EU:C:2017:402, punto 49).

190    Nel caso di specie, è vero che l’annullamento degli atti controversi con la sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), in cui si constata che l’associazione della ricorrente con la proliferazione nucleare è ingiustificata e, pertanto, illegittima, è tale da costituire una forma di risarcimento del danno morale che quest’ultima ha subito e di cui chiede il risarcimento nella causa in esame. Tuttavia, nelle circostanze del caso di specie, tale annullamento non può costituire un risarcimento integrale di detto danno.

191    Infatti, come risulta dalla giurisprudenza richiamata al precedente punto 184, l’adozione degli atti controversi e, a tale titolo, l’affermazione del coinvolgimento della ricorrente nella proliferazione nucleare, ha avuto come conseguenza di incidere sulla sua reputazione e, pertanto, sul comportamento delle entità terze nei suoi confronti (v., in tal senso, sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punto 88).

192    Orbene, tali effetti, che sono durati per quasi tre anni e mezzo e sono all’origine del danno morale subito dalla ricorrente, non possono essere controbilanciati integralmente dall’accertamento, nel caso di specie, a posteriori, dell’illegittimità degli atti controversi, e ciò per i seguenti motivi.

193    Sotto un primo profilo, l’adozione di misure restrittive nei confronti di un’entità tende ad attirare maggiore attenzione ed a suscitare un numero maggiore di reazioni, soprattutto fuori dall’Unione, rispetto al loro successivo annullamento (v., in tal senso, sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punto 88).

194    Sotto un secondo profilo, quanto affermato dal Consiglio nei confronti della ricorrente è particolarmente grave, in quanto associa quest’ultima alla proliferazione nucleare, vale a dire a una attività che costituisce, secondo il Consiglio, un pericolo per la pace e la sicurezza internazionali (v., in tal senso, sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punto 89).

195    Sotto un terzo profilo, come si evince dal precedente punto 22, tale affermazione non è supportata da alcun elemento di informazione o di prova pertinente (v., in tal senso, sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punto 90).

196    Sotto un quarto profilo, e in ogni caso, mentre l’inserimento del nome della ricorrente, che è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale, avrebbe potuto essere revocato dal Consiglio in qualsiasi momento, o quantomeno modificato o completato, al fine di porre rimedio a eventuali illegittimità che avrebbero potuto viziarlo, esso è stato mantenuto per quasi tre anni e mezzo, nonostante le rimostranze della ricorrente, in particolare in merito alla mancanza di prove per quanto riguarda l’affermazione fatta valere nei suoi confronti. A tal riguardo, il fascicolo non contiene elementi tali da suggerire che il Consiglio abbia verificato, in qualsiasi momento o a qualunque titolo, di propria iniziativa o in risposta alle rimostranze della ricorrente, la fondatezza di detta affermazione, al fine di limitarne le conseguenze pregiudizievoli per la ricorrente (v., in tal senso, sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punto 91).

197    Siffatta verifica sarebbe stata in ogni caso particolarmente giustificata, nel caso di specie, dopo la pronuncia della sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), alla luce della gravità dell’illegittimità da essa constatata, in base a una giurisprudenza consolidata. Infatti, sebbene tale sentenza abbia potuto costituire, sia pure parzialmente, un risarcimento del danno morale subito dalla ricorrente, essa non può aver prodotto in alcun caso un qualsiasi effetto in tal senso per quanto riguarda il periodo successivo alla sua pronuncia, periodo di circa un anno e nove mesi durante il quale l’iscrizione del nome della ricorrente è stata mantenuta come tale.

198    Senza rimettere affatto in discussione il diritto dell’istituzione interessata di proporre un’impugnazione avverso la decisione del Tribunale conclusiva del giudizio né il rinvio degli effetti di siffatta decisione, come risulta dal disposto dell’articolo 60, secondo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, si deve ritenere che, in un’Unione di diritto, considerata la gravità del comportamento illegittimo constatato dal Tribunale, spetti all’istituzione interessata procedere, ancorché in parallelo alla presentazione di un’impugnazione, a una verifica delle valutazioni che sono state sanzionate dal Tribunale. Siffatto requisito non è inteso a imporre all’istituzione interessata di eseguire sin d’ora la sentenza del Tribunale, ma, come risulta dal punto 91 della sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (T‑384/11, EU:T:2014:986), di verificare se, alla luce delle conclusioni tratte dal Tribunale, gli atti contestati non possano, o addirittura non debbano, essere revocati, sostituiti o modificati, al fine di limitarne le conseguenze pregiudizievoli.

199    Infatti, il danno morale così causato, attraverso il mantenimento dell’iscrizione del nome della ricorrente successivamente alla pronuncia della sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), come espressamente denunciato dalla ricorrente nel ricorso, si distingue da quello verificatosi precedentemente alla pronuncia di tale sentenza. Così, in detta sentenza, il Tribunale ha formalmente concluso, come sosteneva la ricorrente, per l’illegittimità dell’inserimento del suo nome, alla luce di una giurisprudenza consolidata, a causa della mancanza di elementi di prova a sostegno dell’affermazione ad essa relativa.

200    Nel caso di specie, il Consiglio avrebbe quindi potuto esaminare, in particolare alla luce delle valutazioni e delle conclusioni formulate dal Tribunale nella sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), se fosse giustificato il mantenimento dell’iscrizione del nome della ricorrente come tale, ossia senza alcun elemento di prova a sostegno dell’affermazione ad essa relativa, senza rischiare di aggravare ulteriormente il danno che essa aveva già subito, alla data della pronuncia di detta sentenza.

201    Tale conclusione non può essere modificata con riferimento alla sentenza del 28 novembre 2013, Consiglio/Fulmen e Mahmoudian (C‑280/12 P, EU:C:2013:775). Infatti, in detta sentenza, poiché la Corte ha unicamente esaminato e respinto l’impugnazione proposta dal Consiglio avverso la sentenza di annullamento del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), essa non ha potuto statuire sul risarcimento del danno morale causato dal mantenimento del nome della ricorrente negli elenchi controversi dopo la pronuncia di quest’ultima sentenza.

202    Alla luce delle suesposte considerazioni e, in ogni caso, di quelle esposte ai precedenti punti da 196 a 200, si deve concludere che l’annullamento dell’inserimento del nome della ricorrente con la sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), non ha costituito un risarcimento integrale del danno morale subito dalla ricorrente.

203    In secondo luogo, occorre esaminare se, come sostiene la ricorrente, taluni fattori aggiuntivi possano aver contribuito ad aggravare il danno morale da essa subito e se, pertanto, debbano essere presi in considerazione per la valutazione del risarcimento del danno da essa subito.

204    Anzitutto, per quanto riguarda il presunto prolungamento e aggravamento del danno morale subito dalla ricorrente, per il fatto che il Consiglio avrebbe, da un lato, esaurito i mezzi di ricorso a sua disposizione in forza del Trattato FUE, in particolare proponendo un’impugnazione avverso la sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), e, dall’altro, dedotto, per la prima volta dinanzi alla Corte, taluni motivi o argomenti a sostegno di detta impugnazione, anche menzionando, senza averli tuttavia comunicati, elementi riservati che avrebbero suffragato gli atti controversi, tale argomento non può essere accolto. Infatti, allo stesso modo e per le stesse ragioni dichiarate ai precedenti punti da 72 a 78 secondo cui tali circostanze non possono costituire un fattore aggravante dell’illecito commesso dal Consiglio, esse non possono neppure, in linea di principio, essere all’origine di un qualsiasi danno morale che possa far sorgere la responsabilità extracontrattuale dell’Unione.

205    Inoltre, per quanto riguarda la diffusione del reportage della trasmissione «Sept à huit», da parte del canale televisivo francese TF1, lungi dal menzionare, come sostenuto dalla ricorrente, per il suo contenuto, un danno morale aggravato che essa avrebbe subito, tale trasmissione, disponibile online su Internet, contribuisce al contrario al ripristino della reputazione della ricorrente. Infatti, essa garantisce in particolare la pubblicità dell’annullamento degli atti controversi da parte del giudice dell’Unione. Tuttavia, alla luce dell’affermazione particolarmente grave formulata dal Consiglio nei confronti della ricorrente, la diffusione di tale trasmissione, come sostiene il Consiglio, non può essere considerata idonea a controbilanciare gli effetti negativi delle misure controverse sulla reputazione della ricorrente.

206    Infine, per quanto riguarda il danno morale lamentato, che deriverebbe dalle misure americane, danno di cui l’Unione sarebbe responsabile, per il fatto che le prime sarebbero state adottate in base agli atti controversi, siffatto argomento non può essere accolto. Infatti, è giocoforza constatare che le misure americane, come prodotte in allegato alla replica, non fanno alcun riferimento agli atti controversi né del resto ad una qualsiasi azione che sarebbe stata intrapresa dall’Unione nei confronti della ricorrente. Pertanto, ciascuna delle misure restrittive adottate rispettivamente dall’Unione e negli Stati Uniti producono effetti autonomi. Così, anche supponendo che le misure americane abbiano potuto causare un danno alla ricorrente, alla luce dell’autonomia di tali misure rispetto agli atti controversi, l’Unione non può essere ritenuta responsabile di un eventuale danno morale che esse potrebbero aver causato alla ricorrente. Tuttavia, alla luce della stessa autonomia delle misure americane, il Consiglio ha erroneamente ritenuto che la stima dell’importo del danno morale subito dalla ricorrente debba prendere in considerazione il fatto che la ricorrente è rimasta soggetta alle misure americane dopo l’annullamento degli atti controversi.

207    Alla luce di quanto precede, il Tribunale, stimando il danno morale subito dalla ricorrente ex æquo et bono, ritiene che l’assegnazione di un importo di EUR 50 000 costituisca un congruo risarcimento.

208    In conclusione, si deve accogliere il presente ricorso per risarcimento danni e, a tale titolo, concedere alla ricorrente un risarcimento di EUR 50 000 per il danno morale da essa subito. Per contro, la sua domanda di risarcimento del danno materiale è respinta.

IV.    Sulle spese

209    A norma dell’articolo 134, paragrafo 2, del regolamento di procedura, qualora vi siano più parti soccombenti, il Tribunale decide sulla ripartizione delle spese.

210    Nel caso di specie, il Consiglio è risultato soccombente per quanto riguarda la domanda di risarcimento del danno morale subito dalla ricorrente, mentre quest’ultima è rimasta soccombente nella sua domanda di risarcimento del danno materiale. In tali circostanze, si deve statuire che ciascuna parte sopporterà le proprie spese.

211    Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, le istituzioni intervenute nella causa sopportano le proprie spese. La Commissione, pertanto, sopporterà le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Prima Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il Consiglio dell’Unione europea è condannato a versare alla Fulmen un risarcimento pari a EUR 50 000 per il danno morale subito.

2)      Per il resto, il ricorso è respinto.

3)      La Fulmen, il Consiglio e la Commissione europea sopporteranno ciascuno le proprie spese.


Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 2 luglio 2019.

Firme


Indice



*      Lingua processuale: il francese.