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Conclusions

CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE
DÁMASO RUIZ-JARABO COLOMER
presentate il 6 maggio 2003 (1)



Cause riunite da C-397/01 a C-403/01



Bernhard Pfeiffer e altri

contro

Deutsches Rotes Kreuz, Kreisverband Waldshut eV


(domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dall'Arbeitsgericht Lörrach)


«Politica sociale – Tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori – Direttiva 93/104 – Ambito di applicazione – Operatori del soccorso che prestano servizio a bordo di autoambulanze – Portata della nozione di trasporto stradale – Durata massima dell'orario di lavoro settimanale – Principio – Effetto diretto – Eccezioni – Condizioni»






1.       L’Arbeitsgericht Lörrach (Tribunale del lavoro di Lörrach) (Germania), organo giurisdizionale di primo grado competente in materia di lavoro, ha posto alla Corte di giustizia tre questioni pregiudiziali che vertono sull’interpretazione di alcune disposizioni della direttiva 93/104/CE, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro  (2) , con riguardo, in particolare, all’art. 1, che definisce il campo di applicazione della direttiva, all’art. 6, che fissa la durata massima dell’orario di lavoro settimanale ed all’art. 18, n. 1, lett. b), sub i), che consente, qualora sussistano determinate condizioni, di non applicare l’art. 6.

I – Fatti delle cause principali

2.       Il giudice nazionale ha presentato alla Corte sette ordinanze di rinvio in cui formula questioni pregiudiziali relative ad altrettante cause pendenti. Poiché le questioni sono identiche in tutte le cause e i fatti all’origine delle liti sono simili, i procedimenti sono stati riuniti nel corso della fase scritta, con ordinanza del presidente della Corte 7 novembre 2001.

3.       I ricorrenti sono tutti operatori del soccorso dipendenti o ex dipendenti della Croce Rossa tedesca (Deutsches Rotes Kreuz), qualificati per prestare assistenza medica d’urgenza ed effettuare trasporto assistito; essi chiedono, in due casi, la retribuzione delle ore di lavoro straordinario e, nei restanti casi, il riconoscimento del diritto di non lavorare per più di quarantotto ore settimanali.

4.       La convenuta svolge, tra le altre attività, servizio a terra di assistenza medica d’urgenza in una zona del distretto di Waldshut, dove gestisce alcuni centri di pronto soccorso aperti ventiquattro ore su ventiquattro, ed un centro che effettua soltanto orario diurno, per dodici ore. Il servizio di trasporto viene eseguito con normali autoambulanze che hanno a bordo due operatori del soccorso o infermieri (Rettungstransportfahrzeugen) e con autoambulanze che hanno il medico a bordo, oltre ad un operatore del soccorso o ad un infermiere (Notarzt-Einsatzfahrzeugen).

In caso di chiamata, le ambulanze si recano sul luogo in cui si trova il ferito o il malato per prestare soccorso. Di regola, il paziente viene poi trasportato in un ospedale.

5.       Nei contratti di lavoro, le parti hanno convenuto per l’applicazione della disciplina del contratto collettivo sulle condizioni di lavoro degli impiegati, dei lavoratori e degli apprendisti della Croce Rossa tedesca (Tarifvertrag über Arbeitsbedingungen für Angestellte, Arbeiter und Auszubildende des Deutschen Roten Kreuzes; in prosieguo: il «contratto collettivo della Croce Rossa»).

6.       In base a quanto stipulato nel suddetto contratto, il personale di questo ente è impegnato in servizi di assistenza medica d’urgenza per una media di quarantanove ore lavorative settimanali. È pacifico tra le parti che sussistono i presupposti di fatto per un prolungamento della giornata di lavoro, a norma dell’art. 14, n. 2, lett. b) del contratto, che consistono nell’effettuazione di almeno tre ore al giorno di guardia obbligatoria (Arbeitsbereitschaft).

II – Normativa tedesca applicabile

7.       In Germania, la disciplina dell’orario di lavoro e dei periodi di riposo è stata approvata con la legge 6 giugno 1994 sull’orario di lavoro (Arbeitszeitgesetz), adottata allo scopo di recepire la direttiva 93/104 nel diritto interno.

8.       Ai sensi dell’art. 2, n. 1, della suddetta legge, si intende per orario di lavoro l’arco di tempo compreso tra l’inizio e la fine della giornata lavorativa, escluse le pause; a norma dell’art. 3, l’orario di lavoro giornaliero non può superare le otto ore, sebbene possa essere prolungato fino a dieci ore, purché la durata media calcolata su sei mesi naturali o su ventiquattro settimane non ecceda le otto ore per ogni giornata lavorativa.

9.       In deroga al disposto dell’art. 3, l’art. 7, n. 1, punto 1 permette, mediante contratto collettivo o aziendale,

a)
di prolungare l’orario di lavoro giornaliero oltre le dieci ore, anche senza compensazione, quando nell’orario di lavoro rientrano di regola e in misura rilevante ore di guardia;

b)      di differire ad un altro momento il periodo di riposo compensativo e

c)
di estendere, senza compensazione, l’orario lavorativo giornaliero fino a dieci ore, per un massimo di sessanta giorni all’anno.

10.     In base all’art. 14, n. 1, del contratto collettivo della Croce Rossa tedesca, l’orario di lavoro settimanale, escluse le pause, non può superare le trentanove ore (a partire dal 1° aprile 1990, trentotto ore e mezza). Come base per il calcolo della media si assume, di regola, un periodo di ventisei settimane.

Conformemente al n. 2, la durata della giornata lavorativa ordinaria può essere estesa fino a: a) dieci ore al giorno o, in media, a quarantanove ore settimanali, se nell’orario di lavoro rientra, regolarmente, un turno di guardia obbligatoria di, in media, due ore al giorno come minimo; b) undici ore al giorno o cinquantaquattro ore settimanali, in media, se il turno di guardia è di tre ore e c) dodici ore al giorno o sessanta ore settimanali in media, se il lavoratore rimane a disposizione nel centro, ma lavora solo quando gli viene richiesto.

L’allegato 2 contiene norme speciali per il personale addetto ai servizi di urgenza. Al fine di applicare tale allegato agli operatori del soccorso assegnati al servizio di autoambulanza e al personale addetto al trasporto si deve tener conto della nota in calce all’art. 14, n. 2, in cui è previsto che l’orario massimo di lavoro di 54 ore settimanali stabilito dall’art. 14, n. 2, lett. b) venga progressivamente ridotto. A partire dal 1° gennaio 1993, l’orario di lavoro settimanale è stato portato a quarantanove ore.

III – Questioni pregiudiziali

11.     Prima di definire le liti dinanzi ad esso pendenti, l’Arbeitsgericht Lörrach ha deciso di sospendere i relativi procedimenti e di sottoporre alla Corte in via pregiudiziale le seguenti questioni:

«1)
a) Se il rinvio contenuto nell’art. 1, n. 3, della direttiva (...) 93/104/CE (...), all’art. 2, n. 2, della direttiva del Consiglio 12 giugno 1989, 89/391/CEE, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro [ (3) ], ai sensi del quale le direttive non si applicano quando particolarità inerenti ad alcune attività specifiche nei servizi di protezione civile vi si oppongono in modo imperativo, debba essere inteso nel senso che l’attività del ricorrente, lavoratore qualificato per prestare servizio di assistenza medica d’urgenza, rientra in tale esclusione.

b)
Se la nozione di trasporto stradale di cui all’art. 1, n. 3, della direttiva 93/104/CE debba essere interpretata nel senso che sono escluse dal campo di applicazione della direttiva solo quelle attività di guida in cui, per la natura dell’attività, vengono percorse ampie distanze e di conseguenza, a causa dell’imprevedibilità di eventuali impedimenti, gli orari di lavoro non possono essere predeterminati, oppure, al contrario, se tale nozione contempli anche il servizio di autoambulanza, che consiste, almeno in parte, nella guida di veicoli di soccorso e nell’accompagnamento dei pazienti durante il tragitto.

2)
Se, tenuto conto della sentenza Simap  (4) , l’art. 18, n. 1, lett. b), sub i), della direttiva 93/104/CE debba essere interpretato nel senso che richiede necessariamente il consenso espresso del lavoratore al prolungamento dell’orario di lavoro oltre le 48 ore settimanali, ovvero se sia sufficiente, al riguardo, il fatto che, nel contratto di lavoro, il lavoratore concordi con il datore di lavoro che le condizioni di lavoro vengano disciplinate da un contratto collettivo, il quale, dal canto suo, consente di prolungare l’orario di lavoro settimanale ad una media di oltre 48 ore.

3)
Se l’art. 6 della direttiva 93/104/CE abbia un contenuto sufficientemente preciso e incondizionato perché i singoli possano farlo valere dinanzi ai giudici nazionali qualora lo Stato non abbia correttamente trasposto la direttiva nell’ordinamento interno».

IV – Normativa comunitaria

12.     Le disposizioni di cui viene chiesta l’interpretazione sono le seguenti:

Direttiva 89/391

Art. 2

«(...)

2. La presente direttiva non è applicabile quando particolarità inerenti ad alcune attività specifiche nel pubblico impiego, per esempio nelle forze armate o nella polizia, o ad alcune attività specifiche nei servizi di protezione civile vi si oppongono in modo imperativo.

In questo caso, si deve vigilare affinché la sicurezza e la salute dei lavoratori siano, per quanto possibile, assicurate, tenendo conto degli obiettivi della presente direttiva».

Direttiva 93/104

Art. 1

«(...)

3. La presente direttiva si applica a tutti i settori di attività, privati o pubblici, ai sensi dell’articolo 2 della direttiva 89/391/CEE, fatto salvo l’articolo 17 della presente direttiva, ad eccezione dei trasporti aerei, ferroviari, stradali e marittimi, della navigazione interna, della pesca in mare, delle altre attività in mare, nonché delle attività dei medici in formazione.

(...)».

Art. 6

«Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché, in funzione degli imperativi di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori:

1)
la durata settimanale del lavoro sia limitata mediante disposizioni legislative, regolamentari o amministrative oppure contratti collettivi o accordi conclusi fra le parti sociali;

2)
la durata media dell’orario di lavoro per ogni periodo di 7 giorni non superi 48 ore, comprese le ore di lavoro straordinario».

Art. 18, n. 1

«(...)

b) i) Tuttavia, ogni Stato membro ha la facoltà di non applicare l’articolo 6, nel rispetto dei principi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, a condizione che assicuri, mediante le misure necessarie prese a tale scopo, che:

nessun datore di lavoro chieda a un lavoratore di lavorare più di 48 ore nel corso di un periodo di 7 giorni, calcolato come media del periodo di riferimento di cui all’articolo 16, punto 2, a meno che non abbia ottenuto il consenso del lavoratore all’esecuzione di tale lavoro;

nessun lavoratore possa subire un danno per il fatto che non è disposto ad accettare di effettuare tale lavoro;

il datore di lavoro tenga registri aggiornati di tutti i lavoratori che effettuano tale lavoro;

i registri siano messi a disposizione delle autorità competenti che possono vietare o limitare, per ragioni di sicurezza e/o di salute dei lavoratori, la possibilità di superare la durata massima settimanale del lavoro;

il datore di lavoro, su richiesta delle autorità competenti, dia loro informazioni sui consensi dati dai lavoratori all’esecuzione di un lavoro che superi le 48 ore nel corso di un periodo di 7 giorni, calcolato come media del periodo di riferimento di cui all’articolo 16, punto 2.

Prima della scadenza di un periodo di 7 anni a decorrere dalla data di cui alla lettera a), il Consiglio, sulla base di una proposta della Commissione corredata di una relazione di valutazione, riesamina le disposizioni del presente punto i) e decide del seguito da darvi.

(...)».

V – Procedimento dinanzi alla Corte

13.     Hanno presentato osservazioni scritte nel presente procedimento, entro i termini a tal fine stabiliti dall’art. 20 dello Statuto della Corte di giustizia, i ricorrenti nella causa principale e la Commissione.

Dal momento che nessuna delle parti interessate ha chiesto di presentare osservazioni orali, la Corte ha deciso di rinunciare alla fase orale, in conformità a quanto stabilito dall’art. 104, n. 4, del suo regolamento di procedura.

VI – Osservazioni presentate nel presente procedimento

14.     Le parti ricorrenti nelle cause principali sostengono che il contratto collettivo della Croce Rossa consente al datore di lavoro che debba organizzare servizi di assistenza sanitaria permanente, di stabilire unilateralmente la durata media dell’orario di lavoro settimanale senza il consenso del lavoratore. La dottrina e la giurisprudenza tedesca hanno definito la guardia, che viene considerata parte dell’orario di lavoro, come un periodo in cui viene prestata attenzione attiva in condizioni rilassate. Il detto contratto collettivo sarebbe contrario alla direttiva 93/104, in quanto prevede un orario di lavoro settimanale superiore alle quarantotto ore, e poiché tale contratto si conforma all’art. 7, n. 1, punto 1, lett. a) della legge relativa alla giornata lavorativa, ne consegue che il legislatore tedesco non ha trasposto correttamente le disposizioni della detta direttiva nel diritto interno.

15.     La Commissione considera che le ore di guardia del personale di soccorso sul posto di lavoro formano parte integrante dell’orario di lavoro, in quanto le attività svolte dagli operatori del soccorso non rientrano nell’eccezione di cui all’art. 2, n. 2, della direttiva 89/391, e ricadono pertanto nell’ambito di applicazione della direttiva 93/104; i dipendenti di un datore di lavoro che non opera nel settore del trasporto su strada non sono contemplati dall’eccezione prevista dall’art. 1, n. 3, della direttiva 93/104 per quel settore di attività, neppure se il trasporto di persone o merci rientra nelle attività dell’impresa. A suo avviso, affinché la durata dell’orario settimanale di lavoro possa venire estesa oltre le quarantotto ore è necessario che vengano soddisfatte tutte le condizioni enunciate all’art. 18, n. 1, lett. b), sub i), della direttiva 93/104, tra le quali figura il consenso espresso del lavoratore, non essendo sufficiente, a tal fine, la circostanza che quest’ultimo sia al corrente del fatto che il proprio rapporto di lavoro è retto da un contratto collettivo che permette di estendere tale durata. La Commissione asserisce che l’art. 6 della direttiva 93/104 è formulato in maniera sufficientemente precisa e incondizionata, talché i singoli possono invocarlo dinanzi ai giudici nazionali qualora uno Stato membro non abbia trasposto correttamente le sue disposizioni. In questo caso, il giudice nazionale deve interpretare il diritto nazionale alla luce del dettato e della finalità della direttiva, allo scopo di realizzare il risultato che essa persegue.

VII – Analisi delle questioni pregiudiziali

16.     Con la prima questione, formulata in due parti, il giudice nazionale chiede alla Corte di delimitare l’ambito di applicazione della direttiva 93/104, allo scopo di chiarire se vi ricada l’attività svolta dai ricorrenti nelle cause principali.

A – Prima parte della prima questione

17.     In primo luogo, l’Arbeitsgericht vuole sapere se l’art. 1, n. 3, della direttiva 93/104 e l’art. 2 della direttiva 89/391 escludano dall’ambito di applicazione delle direttive medesime le attività degli operatori del soccorso che lavorano nei servizi sanitari di urgenza.

18.     Come ha rilevato la Corte nella sentenza Simap  (5) , l’art. 1, n. 3, della direttiva 93/104 definisce il suo campo d’applicazione, da un lato, facendo riferimento espresso all’art. 2 della direttiva 89/391 e, dall’altro, prevedendo una serie di eccezioni a favore di talune attività particolari. Di conseguenza, per poter stabilire se l’attività di operatore del soccorso presso un servizio di assistenza sanitaria di urgenza rientri nel campo di applicazione della direttiva 93/104, occorre preliminarmente esaminare se la stessa ricada nell’ambito della direttiva 89/391.

19.     Ai sensi del suo art. 2, n. 1, la direttiva 89/391 concerne tutti i settori di attività privati o pubblici, e, in particolare, le attività industriali, agricole, commerciali, amministrative, di servizi, educative, culturali e ricreative. Tuttavia, ai sensi del n. 2, essa non è applicabile quando vi si oppongono imperativamente particolarità inerenti ad alcune attività specifiche nel pubblico impiego, per esempio nelle forze armate o nella polizia, ovvero nei servizi di protezione civile.

20.     Nella sentenza Simap  (6) , la Corte ha considerato che le attività specifiche del pubblico impiego menzionate dalla suddetta disposizione sono destinate ad assicurare l’ordine e la pubblica sicurezza, indispensabili al buon funzionamento della vita sociale, e che in circostanze normali, l’attività del personale medico che presta servizio continuato di assistenza non è assimilabile alle suddette attività.

21.     Nel caso di specie, si tratta di stabilire con esattezza se l’assistenza medica di urgenza prestata dagli operatori del soccorso della Croce Rossa rientri fra i servizi di protezione civile. In caso di risposta affermativa, dovremmo poi accertare se essa ricada tra le attività specifiche, le cui particolarità si oppongono imperativamente all’applicazione della direttiva 93/104 sull’organizzazione dell’orario di lavoro.

22.     Come ha rilevato anche la Corte nella sentenza Simap  (7) , in base tanto all’oggetto della direttiva 89/391, che consiste nel promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul lavoro, quanto al dettato del suo art. 2, n. 1, si deduce che il suo campo di applicazione deve essere inteso in senso ampio. Ne consegue che le eccezioni alla sfera di applicazione della direttiva, inclusa quella prevista dall’art. 2, n. 2, devono essere interpretate restrittivamente.

23.     La protezione civile è di norma un servizio pubblico la cui principale missione consiste nel garantire l’integrità fisica delle persone e dei beni in situazioni che implicano grave pericolo per la collettività, nonché nei casi eccezionali di calamità o catastrofe, che possono mettere in pericolo la sicurezza e la vita delle persone.

24.     Il servizio di assistenza medica di urgenza, realizzato con l’impiego di medici, operatori del soccorso ed ambulanze, che nelle fattispecie delle cause principali viene assicurato dalla Croce Rossa, è volto a prestare i primi soccorsi ai malati e a trasportarli in condizioni adeguate verso le strutture dove potranno ricevere le cure necessarie. Dato che la protezione civile è concepita per operare in casi di emergenza in generale, essa non include l’attività svolta dal suddetto servizio in circostanze normali.

25.     È vero che, in caso di catastrofe o in stato di calamità, le pubbliche autorità mobilitano tutte le risorse umane e materiali di cui dispongono, ricorrendo anche all’aiuto di organizzazioni o imprese e, qualora necessario, perfino ai singoli cittadini. In tali circostanze straordinarie, non sorgono dubbi sul fatto che ogni servizio di autoambulanza debba contribuire con il proprio personale e con i propri mezzi a realizzare gli interventi della protezione civile.

26.     Secondo me, l’esclusione di determinate attività specifiche, connesse ai servizi di protezione civile, dall’ambito di applicazione della direttiva si spiega in base a diverse ragioni: in primo luogo, per l’eterogeneità e l’ampiezza delle situazioni di emergenza, delle necessità che ad esse si collegano, così come delle risorse umane e materiali che devono essere mobilitate in un breve lasso di tempo; in secondo luogo, in ragione del fatto che la protezione civile opera attraverso sistemi di organizzazione, pianificazione, coordinamento, nonché direzione di diversi servizi pubblici e privati, connessi con il pericolo che deve essere affrontato, e, in terzo luogo, poiché la protezione civile può esigere l’esecuzione di prestazioni individuali da parte di tutti gli abitanti del luogo, nonché la collaborazione dei servizi di sorveglianza, di assistenza sanitaria di emergenza, di protezione e lotta contro gli incendi, pubblici e privati, e perfino dei mezzi di telecomunicazione.

Queste caratteristiche mettono in evidenza – oltre alla natura imprevedibile degli interventi assegnati ai servizi della protezione civile – il fatto che la maggior parte delle persone chiamate ad intervenire in caso di calamità lavora per enti dediti alla realizzazione di interventi di aiuto e soccorso di persone e cose. Quando prendono parte ad azioni di salvataggio, essi realizzano le funzioni per le quali sono competenti, nel rispetto delle misure di protezione e prevenzione del rischio, stabilite dall’impresa cui appartengono in applicazione della legislazione nazionale che ha attuato la direttiva 89/391. Da ultimo, dato che, nella maggior parte dei casi, i servizi della protezione civile non funzionano allo stesso modo di una struttura con personale dipendente, è logico che essi siano sottratti all’applicazione di una direttiva volta a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori.

27.     Come ho segnalato poc’anzi, la direttiva 89/391 ha un ambito di applicazione assai ampio, che include le attività di assistenza medica di urgenza realizzate dalla Croce Rossa con l’impiego di autoambulanze, in circostanze normali. Quando, in presenza di catastrofi o di calamità pubbliche, le si richiedono servizi di protezione civile, i dipendenti della Croce Rossa sono chiamati a svolgere le stesse funzioni che svolgono abitualmente, o funzioni simili, cosicché gli obblighi imposti dalla direttiva 89/391 riguardo alla salute ed alla sicurezza dei lavoratori non variano. Non si può dire, pertanto, che particolarità inerenti a questa attività si oppongano imperativamente all’applicazione della direttiva.

Di conseguenza, l’attività controversa ricade nell’ambito di applicazione della direttiva 89/391, tanto in circostanze normali, quanto nel caso in cui la Croce Rossa collabori con la protezione civile in presenza di calamità.

28.     Per ciò che riguarda il campo di applicazione ratione materiae della direttiva 93/104, merita osservare che, oltre ai settori inerenti a particolari modalità di trasporto, alla navigazione marittima ed alle attività di pesca, viene esclusa soltanto l’attività dei medici in formazione  (8) .

Poiché l’attività degli operatori del soccorso che operano per i servizi di assistenza sanitaria di urgenza non figura tra le eccezioni previste, l’art. 1, n. 3, della direttiva 93/104 e l’art. 2 della direttiva 89/391 devono essere interpretati nel senso che tale attività rientra nell’ambito di applicazione di ambedue le citate normative.

B – Seconda parte della prima questione

29.     L’Arbeitsgericht richiama poi l’attenzione sulla nozione di trasporto stradale, di cui all’art. 1, n. 3, della direttiva 93/104, in quanto settore escluso dal campo di applicazione della direttiva stessa, affinché si chiarisca se tale nozione comprende l’attività svolta nell’ambito del servizio di ambulanza, che consiste, almeno in parte, nella guida di veicoli e nell’accompagnamento dei pazienti durante il tragitto.

30.     Nella sentenza BECTU (9) la Corte si è pronunciata in merito alla finalità della direttiva 93/104 ed ha in proposito rilevato che, tanto dall’art. 118 A del Trattato  (10) , che costituisce la base giuridica di quest’ultima, quanto dai ‘considerando’ primo, quarto, settimo e ottavo, nonché dalla stessa formulazione dell’art. 1, n. 1, della direttiva, risulta che essa intende fissare prescrizioni minime destinate a migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori mediante il ravvicinamento delle disposizioni nazionali riguardanti, in particolare, l’orario di lavoro; la Corte ha anche aggiunto che tale armonizzazione a livello comunitario è diretta a garantire una migliore tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori, facendo godere questi ultimi di periodi minimi di riposo e di periodi di pausa adeguati.

31.     La direttiva 93/104 stabilisce quindi prescrizioni minime di sicurezza e di salute in materia di organizzazione dell’orario di lavoro, che si applicano ai periodi minimi di riposo giornaliero, riposo settimanale e ferie annuali, nonché alle pause ed alla durata massima settimanale del lavoro, così come a taluni aspetti del lavoro notturno, del lavoro a turni e del ritmo di lavoro.

32.     A mio parere, il trasporto su strada è escluso dall’ambito di applicazione della direttiva poiché, quando è stata adottata quest’ultima, esisteva già una legislazione comunitaria che dettava prescrizioni più specifiche in materia di orario e di condizioni di lavoro in questo settore.

Si tratta, precisamente, del regolamento (CEE) n. 3820/85  (11) , in cui vengono regolati i diversi aspetti di carattere sociale nel settore dei trasporti su strada, quali il periodo di guida, le interruzioni e i periodi di riposo, con l’esclusione del trasporto effettuato in situazioni di emergenza o nel corso di operazioni di salvataggio, casi tra i quali rientra, a mio parere, il servizio di autoambulanze  (12) .

33.     La Corte ha esaminato la portata dell’esclusione del settore dei trasporti stradali dal campo di applicazione della direttiva 93/104, nell’ambito della sentenza Bowden e a.  (13) , in cui ha constatato che, riferendosi ai «trasporti aerei, ferroviari, stradali e marittimi, della navigazione interna», il legislatore comunitario ha inteso prendere in considerazione globalmente siffatti settori di attività, mentre, per quanto riguarda le «altre attività in mare» e le «attività dei medici in formazione», esso ha inteso richiamarsi «esattamente a queste specifiche attività in quanto tali»  (14) . Pertanto, l’esclusione del settore dei trasporti stradali, in particolare, si estende a tutti i lavoratori di tale settore.

Come rileva la Commissione, in questa sentenza è stata presa in considerazione l’attività del datore di lavoro, senza dare peso all’attività svolta dai lavoratori all’interno dell’impresa. L’appartenenza dell’impresa ad uno dei settori compresi nel suddetto elenco, ai quali, secondo la Corte, il legislatore si sarebbe «globalmente» riferito, come, ad esempio, al settore dei trasporti su strada, comporta che tutti i dipendenti dell’impresa rimangano esclusi dalla sfera di applicazione della direttiva 93/104.

34.     L’attività della Croce Rossa, che assume operatori del soccorso con il compito di prestare assistenza medica nel luogo dove si trova il malato e di trasferirlo con l’ambulanza in un centro dove possa ricevere le cure necessarie, non è inclusa nel settore dei trasporti su strada, nonostante che si tratti di trasporto terrestre, come, allo stesso modo, non può essere classificato come trasporto aereo il trasporto a bordo di aeromobili o di elicotteri in casi di estrema gravità.

35.     Tuttavia, l’organo giurisdizionale tedesco esprime dubbi circa il trattamento da riservare al trasporto con ambulanza alla luce della pronuncia della Corte nella causa Tögel  (15) , in cui si dichiara che gli aspetti relativi al trasporto di feriti e di malati con assistenza di un infermiere rientrano nella categoria 2 dell’allegato I A della direttiva 92/50/CEE (16) , che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi.

36.     Non ritengo che questa pronuncia sia determinante per definire l’ambito di applicazione della direttiva 93/104 concernente l’organizzazione dell’orario di lavoro.

37.     Infatti, la direttiva 92/50 prevede un’applicazione delle disposizioni riguardanti l’aggiudicazione degli appalti su due binari, in funzione del fatto che il servizio figuri nell’elenco dell’allegato I A ovvero dell’allegato I B. Gli appalti appartenenti alla prima categoria sono aggiudicati conformemente alle disposizioni dei titoli da III a VI e quelli appartenenti alla seconda categoria devono rispettare le norme di cui agli artt. 14-16. Se i servizi figurano contemporaneamente in ambedue gli elenchi la procedura applicabile viene decisa in base al valore dell’appalto.

Nella causa Tögel si è accertato che i servizi controversi figuravano al contempo nella categoria 2 dell’allegato I A (servizi di trasporto terrestre) e nella categoria 25 dell’allegato I B (servizi sociali sanitari), ragione per cui la Corte ha ritenuto che l’appalto dovesse essere regolato in base all’una o all’altra procedura, in funzione del fatto che il valore dei servizi figuranti nell’allegato I A fosse superiore o inferiore al valore dei servizi di cui all’allegato I B.

38.     Nel caso che ci occupa, tuttavia, non si tratta di individuare la procedura corretta per aggiudicare un appalto pubblico di servizi e pertanto la direttiva 92/50 e la giurisprudenza che l’ha interpretata non sono di applicazione.

39.     Per le ragioni suesposte, si deve dichiarare che la nozione di trasporto stradale di cui all’art. 1, n. 3, della direttiva 93/104 non ricomprende l’attività nel servizio di autoambulanza che consiste, almeno in parte, nelle guida di veicoli e nell’accompagnamento del paziente durante il tragitto.

C – Seconda questione

40.     Di seguito, l’Arbeitsgericht chiede se, ai sensi dell’art. 18, n. 1, lett. b), sub i), primo trattino, della direttiva 93/104, ai fini del prolungamento dell’orario di lavoro oltre le quarantotto ore settimanali, sia necessario il consenso espresso del lavoratore, oppure se sia sufficiente che il lavoratore accetti le condizioni di lavoro stabilite nel contratto collettivo che, a sua volta, consente di prolungare l’orario di lavoro settimanale, in media, oltre il suddetto limite.

41.     La citata disposizione autorizza gli Stati membri a non applicare l’art. 6 della direttiva, relativo alla durata massima dell’orario di lavoro settimanale, sempreché essi rispettino i principi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, e a condizione che assicurino, mediante le misure necessarie prese a tale scopo, che nessun datore di lavoro richieda a un dipendente di lavorare, senza il suo consenso, più di quarantotto ore nel corso di un periodo di sette giorni, calcolato come media del periodo di riferimento di cui all’art. 16, punto 2.

42.     Come la Corte rileva nella sentenza Simap  (17) , il dettato stesso del citato articolo rende necessario il consenso individuale del lavoratore. Se l’intenzione del legislatore comunitario fosse stata quella di permettere di sostituire al consenso del lavoratore quello espresso da un sindacato nell’ambito di un contratto collettivo, l’art. 6 della direttiva sarebbe stato incluso nell’elenco delle disposizioni derogabili mediante contratto collettivo o accordo concluso tra le parti sociali, elenco che figura all’art. 17, n. 3, della direttiva medesima.

43.     L’Arbeitsgericht intende inoltre accertare se sia sufficiente, in proposito, il fatto che il lavoratore acconsenta all’applicabilità di un contratto collettivo che autorizza il datore di lavoro, in determinate circostanze, a prolungare l’orario di lavoro settimanale oltre la durata massima fissata dall’art. 6 della direttiva 93/104, a quarantotto ore, in media, per ogni periodo di sette giorni, comprese le ore di lavoro straordinario.

44.     Ritengo, per diverse ragioni, che si debba rispondere in senso negativo. In primo luogo, perché dal punto di vista del lavoratore c’è una differenza notevole tra l’ipotesi del prolungamento dell’orario settimanale oltre il limite massimo fissato dalla direttiva 93/104 e l’obbligo di effettuare ore di lavoro straordinario su richiesta del datore di lavoro, con la possibilità di estendere, in tal modo, il normale orario di lavoro giornaliero o settimanale.

45.     Riguardo a questa seconda ipotesi, la Corte ha rilevato che l’art. 2, n. 2, lett. i) della direttiva 91/533/CEE, relativa all’obbligo del datore di lavoro di informare il lavoratore delle condizioni applicabili al contratto o al rapporto di lavoro  (18) , in quanto si riferisce al normale orario di lavoro, non riguarda la prestazione di lavoro straordinario, caratterizzato dal fatto di essere svolto al di fuori del normale orario di lavoro, al quale esso si affianca. Tuttavia, il datore di lavoro è comunque tenuto a comunicare al lavoratore dipendente una clausola avente la natura di elemento essenziale del contratto o del rapporto di lavoro, in forza della quale il lavoratore è obbligato a prestare lavoro straordinario, e questa informazione deve essere comunicata alle stesse condizioni previste dalla direttiva per gli elementi essenziali espressamente menzionati al suo art. 2, n. 2. Essa può eventualmente risultare, per analogia con il disposto dell’art. 2, n. 3, della direttiva, riguardante il normale orario di lavoro, da un riferimento alle disposizioni legislative, regolamentari, amministrative, statutarie o ai contratti collettivi che sono di applicazione  (19) .

46.     Tuttavia, tale possibilità non sussiste, qualora il datore di lavoro intenda convertire il normale orario di lavoro settimanale in un orario che eccede sistematicamente la durata massima stabilita dall’art. 6 della direttiva 93/104 allo scopo di proteggere la sicurezza e la salute dei lavoratori. Gli Stati membri che decidono di non applicare questo precetto, si impegnano nondimeno a rispettare gli obblighi imposti al riguardo dal citato art. 18, n. 1, lett. b), sub i), della direttiva medesima.

47.     La seconda ragione per cui ritengo che la suddetta questione debba ricevere una risposta negativa è che il consenso del lavoratore non è l’unica condizione imposta dalla direttiva affinché sia consentito non applicare l’art. 6. Non si deve dimenticare che la direttiva ha come primo obiettivo la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, che rappresentano la parte più vulnerabile del rapporto di lavoro. Al fine, giustamente, di evitare che il datore di lavoro riesca ad ottenere, ricorrendo a sotterfugi o a intimidazioni, che il lavoratore rinunci al proprio diritto di svolgere un orario di lavoro settimanale entro i limiti massimi stabiliti per legge, la condizione relativa al consenso esplicito dell’interessato viene accompagnata da una serie di garanzie volte ad assicurare, segnatamente, che il lavoratore non subisca danni per il fatto di non aver accettato un orario di lavoro superiore alle quarantotto ore settimanali nei termini descritti, che il datore di lavoro tenga un registro aggiornato dei dipendenti che effettuano lavoro straordinario con un orario eccedente la durata massima settimanale, che i detti registri siano messi a disposizione delle autorità competenti e che l’imprenditore provveda a fornire, su richiesta delle autorità competenti, l’informazione relativa al consenso accordato dai lavoratori.

La mera introduzione nel contratto di lavoro di una clausola contenente il riferimento ad un contratto collettivo, nelle circostanze descritte dall’Arbeitsgericht, non soddisfa le suddette condizioni.

48.     Infine, come ultima ragione, perché dal tenore della citata disposizione si deduce che la possibilità di non applicare l’art. 6 non è una facoltà concessa alle parti sociali o alle parti di un contratto di lavoro, ma rappresenta piuttosto un’opzione per gli Stati membri che si impegnino a rispettare i principi generali di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori e ad adottare le misure appropriate per assicurare il conseguimento del risultato prefisso, che consiste nel garantire che il consenso sia espresso, cosciente e libero, che il rifiuto del consenso non rechi pregiudizio all’interessato, che l’assenso del lavoratore risulti per scritto e che l’informazione pertinente sia resa disponibile alle autorità competenti.

49.     Ritengo pertanto che l’art. 18, n. 1, lett. b), sub i), della direttiva 93/104 obblighi gli Stati membri che scelgono di non applicare l’art. 6 a predisporre quanto è necessario al fine di garantire il conseguimento di determinati risultati, tra i quali quello di assicurare che nessun imprenditore possa imporre ad un dipendente, senza che questi abbia dato il suo consenso, di lavorare per più di quarantotto ore, in media, per ogni periodo di sette giorni. Il fatto che, nel contratto, il lavoratore accetti che le condizioni di lavoro siano disciplinate da contratti collettivi i quali, a loro volta, consentono di prolungare l’orario di lavoro settimanale, in media, oltre la durata massima stabilita, non costituisce un’espressione del consenso, valida a tale effetto.

D – Terza questione

50.     Con la terza questione, il giudice tedesco intende accertare se il dettato dell’art. 6 della direttiva 93/104 risulti essere sufficientemente preciso e incondizionato, perché i singoli possano farlo valere dinanzi agli organi giurisdizionali nazionali, qualora il diritto interno non sia conforme al suo precetto.

51.     Secondo una giurisprudenza costante della Corte (20) , in tutti i casi in cui le disposizioni di una direttiva risultano essere, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, i singoli possono farle valere nei confronti dello Stato, tanto se questo non ha trasposto tempestivamente la direttiva nel diritto nazionale, quanto se esso l’ha trasposta in modo inadeguato. Una norma comunitaria è incondizionata se non è soggetta ad alcuna condizione né subordinata, per quanto riguarda la sua osservanza o i suoi effetti, all’emanazione di alcun atto da parte delle istituzioni della Comunità o degli Stati membri  (21) ; essa è poi sufficientemente precisa per essere fatta valere dal singolo ed applicata dal giudice se impone un obbligo in termini inequivocabili  (22) .

52.     L’art. 6 della direttiva 93/104 obbliga gli Stati membri a prendere le misure necessarie affinché, in funzione degli imperativi di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, la durata media dell’orario di lavoro per ogni periodo di 7 giorni non superi 48 ore, comprese le ore di lavoro straordinario.

Tale norma risulta essere formulata in maniera chiara e precisa, talché, in via di principio, non lascia agli Stati membri alcun margine di manovra nel momento in cui ne effettuano la trasposizione nel diritto interno.

53.     Occorre tenere presente, tuttavia, che per calcolare la durata media, in base all’art. 16, n. 2, si deve prendere in considerazione un periodo di riferimento non superiore a quattro mesi, sebbene, in applicazione dell’art. 17 , n. 4, tale periodo possa raggiungere i sei o i dodici mesi.

In proposito, nella sentenza Simap  (23) , la Corte ha dichiarato che, anche se le dette disposizioni della direttiva 93/104 lasciano agli Stati membri un certo margine di discrezionalità per quanto concerne il periodo di riferimento da fissare per l’applicazione dell’art. 6 della direttiva stessa, tale circostanza non incide sul loro carattere preciso e incondizionato, poiché tale margine di discrezionalità non esclude che sia possibile determinare alcuni diritti imprescindibili. La Corte ha poi aggiunto che dal dettato dell’art. 17, n. 4, della direttiva risulta che il periodo di riferimento non può in alcun caso oltrepassare i dodici mesi, essendo quindi possibile determinare la tutela minima che deve essere garantita.

54.     Alla luce di tale interpretazione giurisprudenziale, anche nel caso in cui gli Stati membri prevedano eccezioni al periodo di riferimento fissato dall’art. 16, n. 2, la norma di cui all’art. 6, n. 2, risulta essere chiara, precisa e incondizionata, oltre al fatto che conferisce diritti ai singoli, i quali possono pertanto farla valere dinanzi ai giudici nazionali, qualora lo Stato membro non l’abbia attuata correttamente entro i termini previsti  (24) .

55.     È vero che l’art. 18, n. 1, lett. b), sub i), della direttiva 93/104 riconosce agli Stati membri la facoltà di non applicare l’art. 6, per cui i singoli non sempre sono in grado di fare valere l’effetto diretto di tale disposizione.

È altrettanto vero, tuttavia, che per avvalersi di questa opzione, gli Stati membri devono assicurare il rispetto dei principi generali di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, nonché adottare le misure necessarie per conseguire i risultati concreti enunciati nello stesso articolo. Spetta al giudice nazionale il compito di accertare se lo Stato membro abbia fatto uso di tale prerogativa e soddisfatto i requisiti imposti dalla detta disposizione  (25) .

56.     Orbene, come noto, la Corte si è sistematicamente rifiutata di riconoscere che un singolo possa far valere nei confronti di un altro singolo una direttiva alla quale lo Stato membro non ha dato una corretta attuazione entro il termine stabilito. La Corte ha dichiarato, in proposito, che, ai sensi dell’art. 249 CE, il carattere vincolante di una direttiva, sul quale si fonda la possibilità di farla valere dinanzi al giudice nazionale, esiste solo nei confronti di «ogni Stato membro destinatario», cosicché, di per sé, una direttiva non può far nascere obblighi in capo ai singoli e perciò una sua disposizione non può essere opposta nei loro confronti  (26) .

57.     Dal momento che i procedimenti principali riguardano controversie tra privati, secondo questa linea giurisprudenziale i lavoratori interessati non hanno il diritto di invocare l’effetto diretto dell’art. 6, n. 2, della direttiva 93/104  (27) .

58.     Secondo la giurisprudenza della Corte  (28) , in simili circostanze, quando applica il diritto nazionale – a prescindere dal fatto che si tratti di norme precedenti o successive alla direttiva –, il giudice nazionale deve interpretare le norme di diritto interno quanto più possibile alla luce della lettera e dello scopo della direttiva, per conseguire il risultato perseguito da quest’ultima e conformarsi pertanto all’art. 249, terzo comma, CE. Quindi, il giudice del rinvio, investito di una lite che rientra nel campo di applicazione di una direttiva e trae origine da fatti verificatisi dopo la scadenza del termine di attuazione della direttiva nell’ordinamento nazionale, ha l’obbligo di interpretare le disposizioni del diritto interno in conformità degli obiettivi perseguiti dalla direttiva stessa.

Qualora tale interpretazione conforme alla direttiva si riveli impossibile, il giudice nazionale dovrà garantire la piena efficacia del diritto comunitario, disapplicando, all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale  (29) .

59.     Da quanto finora esposto discende che l’art. 6, n. 2, della direttiva 93/104 osta – sempreché lo Stato membro interessato non si sia avvalso della possibilità prevista dall’art. 18, n. 1, lett. b), sub i) – all’applicazione di una norma quale l’art. 7, n. 1, punto 1, lett. a), della legge tedesca sull’orario di lavoro, che consente di prolungare, in forza di contratto collettivo o aziendale, la giornata di lavoro oltre le dieci ore, quando nell’orario di lavoro rientrano regolarmente ed in misura rilevante periodi di guardia.

Di conseguenza, l’art. 14 del contratto collettivo della Croce Rossa tedesca, in quanto si basa sul citato art. 7, deve essere interpretato in modo da assicurare che i lavoratori interessati non si vedano obbligati a effettuare, in media, un orario superiore alle quarantotto ore settimanali, tenendo presenti le disposizioni dell’art. 16, n. 2 e all’art. 17, n. 4, della direttiva 93/104, relative alla fissazione del periodo di riferimento per il calcolo della media dell’orario di lavoro.

VIII – Conclusione

60.     Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di giustizia di risolvere le questioni poste dall’Arbeitsgericht Lörrach nel seguente modo:

«1)
a) L’art. 1, n. 3, della direttiva del Consiglio 23 novembre 1993, 93/104/CE, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, e l’art. 2 della direttiva del Consiglio 12 giugno 1989, 89/391/CEE, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro, devono essere interpretati nel senso che l’attività degli operatori del soccorso che lavorano per un servizio sanitario di urgenza rientra nella sfera di applicazione di ambedue le citate disposizioni.

b)
La nozione di trasporto stradale di cui all’art. 1, n. 3, della direttiva 93/104 non ricomprende l’attività nel servizio di autoambulanza che consiste, almeno in parte, nella guida di veicoli e nell’accompagnamento dei pazienti durante il tragitto.

2)
L’art. 18, n. 1, lett. b), sub i), della direttiva 93/104 obbliga gli Stati membri che scelgono di non applicare l’art. 6 a prendere i provvedimenti necessari per assicurare che nessun datore di lavoro possa imporre ad un lavoratore, senza che questi abbia dato il suo consenso, di lavorare, in media, per più di quarantotto ore per ogni periodo di sette giorni. Il fatto che, nel contratto, il lavoratore accetti che le condizioni di lavoro siano disciplinate da contratti collettivi i quali, a loro volta, consentono di prolungare l’orario di lavoro settimanale, in media, oltre la durata massima stabilita, non costituisce un’espressione del consenso, valida a tale effetto.

3)
Anche nel caso in cui gli Stati membri prevedano eccezioni al periodo di riferimento stabilito dall’art. 16, n. 2, della direttiva 93/104, l’art. 6, n. 2, della stessa direttiva, oltre al fatto che conferisce diritti ai singoli, risulta chiaro, preciso ed incondizionato, cosicché può essere fatto valere dinanzi ai giudici nazionali, qualora lo Stato membro interessato non ne abbia dato corretta attuazione entro il termine prescritto. Tuttavia, tenuto conto del fatto che le cause principali riguardano controversie tra privati, i lavoratori interessati non possono far valere l’effetto diretto della citata norma comunitaria.

L’art. 6, n. 2, della direttiva 93/104 osta – sempreché lo Stato membro interessato non si sia avvalso della facoltà contemplata dall’art. 18, n. 1, lett. b), sub i) –, all’applicazione di una disposizione quale l’art. 7, n. 1, lett. a), della legge tedesca sull’orario di lavoro, che consente di prolungare, in forza di contratto collettivo o aziendale, la giornata di lavoro oltre le dieci ore, quando nell’orario di lavoro rientrano in maniera regolare e rilevante periodi di guardia. Di conseguenza, l’art. 14 del contratto collettivo sulle condizioni di lavoro degli impiegati, dei lavoratori e degli apprendisti della Croce Rossa tedesca, in quanto si basa sul citato art. 7, deve essere interpretato in modo da assicurare che i lavoratori non si vedano obbligati a effettuare, in media, un orario superiore alle quarantotto ore settimanali, tenendo presenti le disposizioni dell’art. 16, n. 2 e dell’art. 17, n. 4, della direttiva 93/104, relative alla fissazione del periodo di riferimento per il calcolo della media dell’orario di lavoro».


1
Lingua originale: lo spagnolo.


2
Direttiva del Consiglio 23 novembre 1993 (GU L 307, pag. 18).


3
GU L 183, pag. 1.


4
Sentenza della Corte 3 ottobre 2000, causa C-303/98, Simap (Racc. pag. I-7963).


5
Citata supra, punti 30 e 31.


6
Citata supra, punti 36 e 37.


7
Citata supra, punti 35 e 35.


8
Questa eccezione ha cessato di essere tale dopo l’adozione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 giugno 2000, 2000/34/CE, che modifica la direttiva 93/104/CE del Consiglio concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, al fine di comprendere i settori e le attività esclusi dalla suddetta direttiva (GU L 195, pag. 41).


9
Sentenza 26 giugno 2001, causa C- 173/99 (Racc. pag. I-4881, punti 37 e 38).


10
Gli artt. 117-120 del Trattato CE sono stati sostituiti dagli artt. 136 CE-143 CE.


11
Regolamento del Consiglio 20 dicembre 1985, relativo all’armonizzazione di alcune disposizioni in materia sociale nel settore dei trasporti su strada (GU L 370, pag. 1). Le sue disposizioni sono state completate dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 11 marzo 2002, 2002/15/CE, concernente l’organizzazione dell’orario di lavoro delle persone che effettuano operazioni mobili di autotrasporto (GU L 80, pag. 35) il cui termine per la trasposizione scadrà il 23 marzo 2005.


12
Mayer, U.R., in The European Legal Forum 2001, pag. 280 e segg.; in particolare, a pag. 285.


13
Sentenza 4 ottobre 2001, causa C-133/00 (Racc. pag. I-7031, punto 39).


14
La sentenza non motiva il perché è stato inteso in modo diverso il riferimento alle une o alle altre attività, peraltro tutte comprese, senza distinzioni, nell’elenco di cui all’art. 1, n. 3, della direttiva 93/104 e non si pronuncia su un altro settore, quello della pesca in mare, che sembra rientri ugualmente nell’ambito di tale disposizione. Ho potuto comprovare che tale omissione non è una «dimenticanza» propria della versione spagnola, in quanto lo stesso riferimento è assente nelle versioni francese ed inglese, nonostante quest’ultima fosse, tra l’altro, la lingua del procedimento nella detta causa.


15
Sentenza 24 settembre 1998, causa C-76/97 (Racc. pag. I-5357).


16
Direttiva del Consiglio 18 giugno 1992 (GU L 209, pag. 1).


17
Citata supra, punto 73.


18
Direttiva del Consiglio 14 ottobre 1991 (GU L 288, pag. 32).


19
Sentenza 8 febbraio 2001, causa C-350/99, Lange (Racc. pag. I-1061, punti 16 e 25).


20
Sentenze 19 gennaio 1982, causa 8/81, Becker (Racc. pag. 53, punto 25); 26 febbraio 1986, causa 152/84, Marshall (Racc. pag. 723, punto 46); 20 settembre 1988, causa 31/87, Beentjies (Racc. pag. 4635, punto 40); 22 giugno 1989, causa 103/88, Fratelli Costanzo (Racc. pag. 1839, punto 29), e 19 novembre 1991, cause riunite 6/90 e 9/90, Francovich e a. (Racc. pag. I-5357, punto 17).


21
Sentenze 3 aprile 1968, causa 28/67, Molkerei-Zentrale Westfalen (Racc. pag. 211), e 23 febbraio 1994, causa C-236/92, Comitato di coordinamento per la difesa della cava e a., (Racc. pag. I-483, punto 9).


22
Sentenza 4 dicembre 1986, causa 71/85, Federatie Nederlandse Vakbeweging (Racc. pag. 3855, punto 18).


23
Citata supra, punto 68.


24
Sentenza 5 aprile 1979, causa 148/78, Ratti (Racc. pag. 1629, punto 22).


25
All’udienza nella causa C- 151/02, Jaeger, in cui la Corte deve parimenti interpretare alcune disposizioni della direttiva 93/104, il rappresentante del governo tedesco ha confermato, rispondendo ad una domanda che gli avevo rivolto, che il suo paese non si è avvalso della citata disposizione per prolungare l’orario di lavoro settimanale nel settore sanitario. V. le conclusioni che ho presentato in questa causa in data 8 aprile 2003.


26
Sentenze 8 ottobre 1987, causa 80/86, Kolpinghuis Nijmegen (Racc. pag. 3969, punto 9); 14 luglio 1994, causa C-91/92, Faccini Dori (Racc. pag. I-3325, punto 24), e 7 marzo 1996, causa C-192/94, El Corte Inglés (Racc. pag. I-1281, punti 16 e 17). La dottrina si è mostrata piuttosto critica nei confronti di questa linea giurisprudenziale. Si veda, per esempio, Tridimans, T., «Horizontal effect of directives: a missed opportunity», in European Law Review, 1994, pag. 621 e segg., in particolare, a pag. 635; Turnbull, E., «The ECJ rejects Horizontal Direct Effect of Directives», in European Business Law Review, 1994, pag. 230 e segg., in particolare, a pag. 233; Vilà Costa, B., in Revista Jurídica de Catalunya, 1995, pag. 204 e segg., a pag. 269; Bernard, N., «The Direct Effect of Directives: Retreating from Marshall», in Industral Law Journal, 1994, pag. 97 e segg., a pag. 99; Turner, S., «Horizontal Direct Enforcement of Directives Rejected» in Northern Ireland Legal Quarterly, 1995, pag. 244 e segg., in particolare, a pag. 246; Emmert F. e Pereira de Azevedo, M.: «Les jeux sont faits: rien ne va plus ou une nouvelle occasion perdue pour la CJCE», in Revue trimestrelle de droit européen, pag. 11 e segg., in particolare, a pag. 19; Betlem, G., «Medium Hard Law ─ Still no Horizontal Direct Effect of Community Directives After Faccini Dori», in The Columbia Journal of European Law, 1995, pag. 469 e segg., specialmente a pag. 488; Regaldo, F., «Il caso “Faccini Dori”: una occasione perduta?», in Rivista di diritto civile, 1996, pag. 65 e segg., in particolare, a pag. 110 e Antoniolli Deflorian, L., «Il formante giurisprudenziale e la competizione fra il sistema comunitario e gli ordinamenti interni: la svolta inefficiente di Faccini Dori» in Rivista critica di diritto privato, 1995, pag. 735 e segg., in particolare, a pag. 749.


27
Si deve porre in evidenza che nelle conclusioni presentate nella citata causa Faccini Dori, l’avvocato generale Lenz ha espresso la convinzione che, in futuro, si sarebbe dimostrato necessario riconoscere l’applicabilità generale di disposizioni precise e incondizionate delle direttive nell’ambito di un’evoluzione giurisprudenziale fondata sul Trattato CE, nell’interesse di un’applicazione uniforme ed efficace del diritto comunitario, per soddisfare le legittime aspettative che i cittadini dell’Unione nutrono in seguito alla realizzazione del mercato interno e all’entrata in vigore del Trattato sull’Unione europea. Egli cita, al paragrafo 47 e nella nota 36, alcuni membri della Corte di giustizia che già prima del 1994 si erano mostrati favorevoli all’efficacia orizzontale delle direttive.


28
Sentenze 13 novembre 1990, causa C-106/89, Marleasing (Racc. pag. I-4135, punto 8); 16 dicembre 1993, causa C-334/92, Wagner Miret (Racc. pag. I-6911, punto 20); Faccini Dori, citata supra, punto 26; 27 giugno 2000, cause riunite da C-240/98 a C-244/98, Océano Grupo Editoria e Salvat Editores (Racc. pag. I-4941, punto 30), e 13 luglio 2000, causa C-456/98, Centrosteel (Racc. pag. I-6007, punti 16 e 17).


29
Sentenza 9 marzo 1978, causa 106/77, Simmenthal (Racc. pag. 629, punto 24).