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Conclusions

CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE
DÁMASO RUIZ-JARABO COLOMER
presentate il 27 aprile 2004 (1)



Cause riunite da C-397/01 a C-403/01



Bernhard Pfeiffer e altri

contro

Deutsches Rotes Kreuz Kreisverband Waldshut eV


(Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall'Arbeitsgericht Lörrach)


«Política sociale – Tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori – Direttiva 93/104/CE – Durata massima dell'orario lavorativo settimanale – Principio – Effetto diretto – Deroghe – Presupposti»






I – Antefatti

1.       È la seconda volta che presento conclusioni nel presente procedimento  (2) , avviato nel 2001 per risolvere tre questioni pregiudiziali  (3) deferite dall’Arbeitsgericht Lörrach (Germania), organo giurisdizionale di primo grado competente in materia di lavoro.

2.       Inizialmente la Corte ha deciso di assegnare tali cause, di contenuto tecnico  (4) , ad un collegio di cinque giudici  (5) e di risolverle senza procedere all’udienza. Tuttavia, mentre la soluzione delle prime due questioni appare prevedibile, la terza solleva maggiori difficoltà.

Con tale ultima questione si chiede se, nel caso in cui uno Stato membro non abbia trasposto correttamente nel proprio diritto interno la direttiva 93/104/CEE, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro  (6) , l’art. 6, n. 2, che impone alle autorità nazionali di assicurare che la durata media dell’orario di lavoro settimanale non superi 48 ore, comprese le ore di straordinario, sia sufficientemente preciso e incondizionato per essere fatto valere dai singoli dinanzi ai giudici nazionali.

3.       Secondo l’ordinanza della grande sezione della Corte  (7) 13 gennaio 2004, che dispone la riapertura della fase orale, detto collegio ha considerato che, qualora la disposizione citata rispondesse ai requisiti necessari per produrre effetti diretti, si dovrebbero determinare, nell’ambito di una controversia tra privati, le conseguenze dell’incompatibilità di una norma nazionale che dà attuazione ad una direttiva con una norma di diritto comunitario sufficientemente precisa e incondizionata. Per tale motivo, la Sesta Sezione ha deciso di rimettere le cause al plenum della Corte, ai sensi dell’art. 44, n. 4, del regolamento di procedura.

4.       Al fine di agevolare la discussione, è stata fissata un’udienza cui sono stati invitati a partecipare, oltre alle parti nella causa principale, gli Stati membri, il Consiglio e la Commissione.

Nelle presenti conclusioni mi limiterò ad esaminare tale questione, richiamandomi per il resto alle mie conclusioni precedenti.

5.       All’udienza svoltasi il 9 marzo 2004 sono comparsi i rappresentanti delle ricorrenti nella causa principale e dei governi tedesco, francese, italiano e britannico, nonché l’agente della Commissione.

II – Contesto normativo e fattuale

6.       In Germania la disciplina dell’orario di lavoro e dei periodi di riposo è stata approvata con la legge 6 giugno 1994 sull’orario di lavoro (Arbeitszeitgesetz), adottata allo scopo di recepire la direttiva 93/104 nel diritto interno.

7.       Ai sensi dell’art. 2, n. 1, della suddetta legge, si intende per orario di lavoro l’arco di tempo compreso tra l’inizio e la fine della giornata lavorativa, escluse le pause; a norma dell’art. 3, l’orario di lavoro giornaliero non può superare le otto ore, sebbene possa essere prolungato fino a dieci ore, purché la durata media calcolata su sei mesi naturali o su ventiquattro settimane non ecceda le otto ore per ogni giornata lavorativa.

8.       Tuttavia, in deroga al disposto dell’art. 3, l’art. 7, n. 1, punto 1, permette, mediante contratto collettivo o aziendale,

«a)
di prolungare l’orario di lavoro giornaliero oltre le dieci ore, anche senza compensazione, quando nell’orario di lavoro rientrano di regola e in misura rilevante ore di guardia;

[…]».

9.       A norma dell’art. 14, n. 1, del contratto collettivo sulle condizioni di lavoro degli impiegati, dei lavoratori e degli apprendisti della Croce Rossa (Tarifvertrag über Arbeitsbedingungen für Angestellte, Arbeiter und Auszubildende des Deutschen Roten Kreuzes; in prosieguo: il «contratto collettivo della Croce Rossa»), basato sull’art. 7, n. 1, punto 1, lett. a), della predetta legge tedesca, l’orario di lavoro settimanale, escluse le pause, non può superare le trentanove ore (a partire dal 1° aprile 1990, trentotto ore e mezza). Come base per il calcolo della media si assume, di regola, un periodo di ventisei settimane.

Ora, conformemente al n. 2, la durata della giornata lavorativa ordinaria può essere estesa fino a:

a)
dieci ore al giorno o, in media, a quarantanove ore settimanali, se nell’orario di lavoro rientra, regolarmente, un turno di guardia obbligatoria di, in media, due ore al giorno come minimo;

b)
undici ore al giorno o cinquantaquattro ore settimanali, in media, se il turno di guardia è di tre ore e

c)
dodici ore al giorno o sessanta ore settimanali in media, se il lavoratore rimane a disposizione nel centro, ma lavora solo quando gli viene richiesto.

10.     I ricorrenti, tutti operatori del soccorso dipendenti o ex dipendenti della Croce Rossa tedesca, qualificati per prestare assistenza medica d’urgenza ed effettuare trasporto assistito, chiedono, in due casi, la retribuzione delle ore di lavoro straordinario e, nei restanti casi, il riconoscimento del diritto di non lavorare per più di quarantotto ore settimanali. La convenuta svolge, tra le altre attività, servizio a terra di assistenza medica d’urgenza, gestisce alcuni centri di pronto soccorso aperti ventiquattro ore su ventiquattro ed esegue il servizio di autoambulanze.

11.     I contratti di lavoro sono disciplinati dal contratto collettivo della Croce Rossa. È pacifico tra le parti che sussistono i presupposti di fatto per un prolungamento della giornata di lavoro, a norma dell’art. 14, n. 2, lett. b), del contratto, che consistono nell’effettuazione di almeno tre ore al giorno di guardia obbligatoria (Arbeitsbereitschaft).

12.     In base a tale contratto, nella versione vigente all’epoca dei fatti, la durata massima dell’orario di lavoro settimanale fissata dall’art. 6, n. 2, della direttiva 93/104 poteva essere regolarmente superata in quanto l’art. 7, n. 1, punto 1, lett. a), della predetta legge consentiva di prolungare, in forza di contratto collettivo, la giornata di lavoro oltre le dieci ore, senza compensazione, quando nell’orario di lavoro rientravano regolarmente e in misura rilevante periodi di guardia  (8) .

III – Analisi della questione

13.     Nelle precedenti conclusioni ho rilevato, con alcune citazioni della giurisprudenza e della dottrina, che si trattava di una controversia tra privati, per cui i lavoratori, conformemente alla nota giurisprudenza della Corte in materia di effetto diretto delle direttive non trasposte correttamente dagli Stati membri, non potevano invocare l’art. 6, n. 2, della direttiva 93/104.

14.     Ho inoltre precisato che, in simili circostanze, quando applica il diritto nazionale, il giudice deve interpretarlo quanto più possibile alla luce della lettera e dello scopo della direttiva, per conseguire il risultato perseguito da quest’ultima e conformarsi pertanto all’art. 249, terzo comma, CE.

15.     Infine ho ricordato che, qualora tale «interpretazione conforme» si riveli impossibile, la giurisprudenza della Corte impone al giudice nazionale di garantire la piena efficacia del diritto comunitario, disapplicando, all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale.

16.     Comprendo e condivido la preoccupazione di coloro che vedono un ostacolo a tale soluzione nel fatto che l’effetto diretto orizzontale delle direttive non è stato riconosciuto, ma conciliare la predetta linea giurisprudenziale, adottata contro il parere di alcuni avvocati generali e di buona parte della dottrina, con l’obbligo dell’«interpretazione conforme» è uno dei dilemmi più complessi del diritto comunitario, cui è difficile dare una soluzione di carattere generale. Ciononostante, vale la pena di approfondire l’analisi della situazione per cercare, quanto meno, una soluzione adeguata alle peculiarità delle presenti cause, che tenga conto del principio della preminenza del diritto comunitario, dell’obbligo di leale cooperazione che incombe agli Stati membri in forza dell’art. 10 CE e della natura normativa della direttiva, nonché degli effetti che essa produce nell’ordinamento giuridico istituito dal Trattato.

Posso anticipare che nessuno degli argomenti dedotti nel corso della discussione mi ha pienamente convinto.

17.     La Corte chiede un chiarimento in merito all’applicabilità del criterio dell’«interpretazione conforme» nelle circostanze delle presenti cause, considerando che 1) l’art. 7, n. 1, punto 1, lett. a), della legge tedesca sull’orario di lavoro giornaliero costituisce una deroga a disposizioni più generali dello stesso testo normativo perfettamente rispondenti alla lettera e allo scopo della normativa comunitaria, 2) la direttiva 93/104 è intesa a tutelare i lavoratori in quanto parte debole nel rapporto di lavoro, e 3) l’azione esercitata dalla maggior parte dei ricorrenti chiede che venga loro riconosciuto il diritto di non lavorare per più di quarantotto ore alla settimana, pretesa priva di contenuto economico e difficile da quantificare, cosicché le possibilità di ottenere un risarcimento a carico delle autorità pubbliche per violazione della legislazione comunitaria sembrano molto limitate.

18.     Queste caratteristiche differenziano le presenti cause da altre esaminate in passato dalla Corte, nelle quali uno Stato membro non aveva trasposto tempestivamente una direttiva nel diritto nazionale o l’aveva trasposta in modo inadeguato. Nel caso in esame, invece, la Germania ha adottato una legge per recepire la lettera e lo scopo della direttiva 93/104 nel proprio diritto interno. Si presume che detto Stato intendesse effettuare una trasposizione corretta, dato che non esistono indizi di una volontà deliberata di eludere l’impegno di lealtà impostogli dall’art. 10 CE. La prova delle sue buone intenzioni è data dal fatto che, in meno di quattro mesi, esso ha modificato la propria legislazione per adeguarla all’interpretazione fornita dalla Corte nella sentenza Jaeger (9) . Inoltre, conformemente alla giurisprudenza, qualsiasi giudice deve presumere che lo Stato abbia avuto intenzione di adempiere pienamente gli obblighi derivanti da una direttiva (10) .

19.     Pertanto si deve ritenere che la legge tedesca sull’orario di lavoro sia diretta a recepire integralmente le disposizioni della direttiva 93/104. Essa tuttavia ha errato su un punto, ossia ha superato i limiti imposti dal corretto coordinamento tra i principi (artt. 1-16) e le deroghe (artt. 17 e 18), su cui si basa il regime istituito dalla direttiva. Si tratta, ovviamente, dell’art. 7, n. 1, punto 1), lett. a), della predetta legge, configurato come deroga, giacché le altre disposizioni contengono le definizioni dell’orario di lavoro e dei periodi di riposo, che sono pienamente conformi alla disciplina comunitaria.

20.     Infatti la citata disposizione della legge tedesca, su cui si fonda l’art. 14 del contratto collettivo della Croce Rossa per prolungare l’orario di lavoro settimanale, è stato introdotto in deroga all’art. 3, a norma del quale l’orario di lavoro giornaliero non può superare le otto ore.

21.     Interpretando quest’ultimo articolo in combinato disposto con l’art. 9 della stessa legge, che riserva la domenica al riposo, si ottiene un orario lavorativo settimanale di quarantotto ore, che coincide con quanto previsto dall’art. 6, n. 2, della direttiva 93/104. La semplice applicazione di queste due disposizioni di diritto interno consentirebbe di dare ragione alla maggior parte dei ricorrenti nella cause principali, in quanto, secondo quanto è stato riportato, dei sette ricorrenti due chiedono il pagamento delle ore di lavoro straordinario, ma gli altri cinque chiedono che sia loro riconosciuto il diritto di non lavorare per più di quarantotto ore alla settimana.

Qualora il giudice tedesco accogliesse tale richiesta, ciò significherebbe che egli riconosce, in contrasto con una reiterata giurisprudenza, l’efficacia diretta di una disposizione contenuta in una direttiva che, come è noto, di per sé non può creare obblighi a carico di un singolo  (11) ?

22.     Gli Stati membri che hanno partecipato al presente procedimento pregiudiziale hanno apertamente manifestato la loro contrarietà di fronte alla possibilità di una svolta giurisprudenziale che riconosca l’effetto diretto di una direttiva non trasposta entro i termini nel diritto nazionale o trasposta in modo inadeguato. Non condivido questi timori, in quanto non credo che si ponga tale questione rispetto all’art. 6, n. 2, della direttiva 93/104, benché esso soddisfi i requisiti di essere sufficientemente preciso e incondizionato  (12) . Non sono d’accordo neanche con coloro che hanno sostenuto che la disapplicazione, nella causa principale, della norma tedesca in contrasto con la citata disposizione comunitaria equivarrebbe ad attribuire a quest’ultima l’effetto in questione, nonostante le numerose pronunce della Corte che escludono detto effetto nell’ambito delle controversie tra privati.

Condivido invece il parere del governo italiano, che ritiene meno perturbante, oltre che più funzionale, considerati gli obiettivi perseguiti dal Trattato mediante le direttive, mantenere la soluzione adottata dalla Corte, privilegiando l’interpretazione della norma nazionale più conforme al diritto comunitario.

23.     È appena il caso di ricordare che l’obbligo degli Stati membri di conseguire il risultato previsto dalle direttive, come pure il dovere loro imposto dall’art. 10 CE di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l’adempimento di tale obbligo, valgono per tutti gli organi degli Stati membri, ivi compresi quelli giurisdizionali  (13) .

24.     Per compensare l’esclusione dell’effetto diretto di una norma specifica di una direttiva in una controversia tra privati, la Corte ha elaborato la cosiddetta giurisprudenza dell’«interpretazione conforme», secondo cui, nell’applicare il diritto nazionale, a prescindere dal fatto che si tratti di norme precedenti o successive, il giudice nazionale deve interpretare il proprio diritto nazionale quanto più possibile alla luce della direttiva e conformarsi pertanto all’art. 249, terzo comma, CE  (14) . Tale principio vale in modo del tutto particolare per il giudice nazionale allorché uno Stato membro ha ritenuto, come nel caso di specie, che le disposizioni adottate soddisfacessero quanto prescritto dalla direttiva  (15) .

25.     Orbene, in numerose cause in cui ha raccomandato questo tipo di interpretazione, trattandosi di controversie tra privati, la Corte non si è limitata semplicemente ad enunciarlo, ma si è spinta oltre, indicando al giudice che l’aveva interrogata in proposito il risultato concreto che si doveva conseguire in ciascun caso. Conviene indicare alcuni esempi  (16) .

26.     Interpretando la direttiva 68/151/CEE  (17) , non recepita nel diritto spagnolo, il cui obiettivo è limitare i casi di nullità delle società anonime per garantire la certezza del diritto nei rapporti tra la società e i terzi, come pure tra i soci, la Corte ha segnalato al giudice nazionale che era tenuto ad interpretare il proprio diritto interno alla luce della lettera e dello scopo della direttiva, al fine di impedire la dichiarazione di nullità di una società per una causa diversa da quelle elencate all’art. 11  (18) .

27.     La Marleasing SA aveva chiesto l’annullamento di un contratto di società per mancanza di causa, per simulazione e perché era stato stipulato in frode dei creditori. La convenuta si era opposta, adducendo che l’art. 11 della detta direttiva elenca tassativamente le cause di nullità, tra le quali non rientra la mancanza di causa. Per conformarsi alla raccomandazione della Corte, occorreva disapplicare gli artt. 1261 e 1275 del codice civile spagnolo, che privano di efficacia giuridica i contratti senza causa o con causa illecita. Così ha appunto fatto il Juzgado de Primera Instancia (Tribunale civile) n. 1 di Oviedo nella sentenza 23 febbraio 1991, che ha respinto la domanda in quanto fondata sulla mancanza di causa, motivo di nullità non previsto dalla direttiva 68/151  (19) . La sentenza, unanimemente elogiata per il suo spirito comunitario, non ha esaminato la questione se l’applicazione della giurisprudenza relativa all’«interpretazione conforme» potesse produrre effetti equiparabili al riconoscimento dell’efficacia diretta orizzontale delle direttive.La sentenza Wagner Miret  (20) ha dedotto dall’ordinanza di rinvio che le norme spagnole non potevano essere interpretate in senso conforme alla direttiva 80/987/CEE  (21) e quindi non consentivanodi assicurare al personale direttivo le garanzie in essa previste, e ha dichiarato che lo Stato membro era tenuto a risarcire i danni subiti dagli interessati a causa dell’inadempimento.

Nel procedimento pregiudiziale si è rilevato che la Spagna non aveva istituito altri organismi di garanzia oltre al FOGASA, la cui tutela non si applicava alla predetta categoria di personale in caso di azioni di recupero delle retribuzioni arretrate a causa dell’insolvenza del datore di lavoro. Dato il margine di discrezionalità che la direttiva 80/987 concede agli Stati membri, la Corte ha dichiarato che tale categoria di lavoratori non poteva far valere la direttiva per chiedere il pagamento dei crediti retributivi all’organismo di garanzia istituito per le altre categorie di lavoratori subordinati. Nella sentenza 16 febbraio 1994, il Tribunal Superior de Justicia (Corte di cassazione) della Catalogna ha respinto il ricorso, escludendo la responsabilità del FOGASA, ma ha riconosciuto all’attore un diritto di azione nei confronti dello Stato per i danni subiti, che doveva essere esercitato dinanzi alla giurisdizione competente  (22) .

28.     Nella sentenza Océano Grupo Editorial e Salvat Editores  (23) occorreva stabilire se, in caso di mancato adeguamento del diritto interno alla direttiva 93/13/CEE  (24) entro il termine prescritto, fosse possibile rilevare d’ufficio l’incompetenza di un tribunale civile di Barcellona, in quanto la competenza gli era stata attribuita da una clausola contrattuale che lo stesso giudice considerava abusiva ai sensi della direttiva. La Corte, accogliendo la proposta formulata dall’avvocato generale Saggio nelle sue eccellenti conclusioni i cui paragrafi 27‑37 esaminano esaustivamente questa delicata questione, ha risposto in senso affermativo, dichiarando che l’obbligo di «interpretazione conforme» impone al giudice, in particolare, di preferire l’interpretazione della norma di diritto nazionale che gli consenta di declinare d’ufficio la competenza attribuitagli da una clausola abusiva.

       La clausola controversa conferiva al giudice del luogo in cui aveva sede l’impresa la competenza esclusiva a conoscere delle controversie vertenti sull’applicazione di un contratto di compravendita. La direttiva 93/13 è stata recepita in ritardo nel diritto nazionale e nel frattempo erano applicabili le disposizioni vigenti in materia di tutela dei consumatori, che non prevedevano espressamente la possibilità di rilevare d’ufficio la nullità delle clausole abusive, mentre nemmeno il diritto spagnolo, in assenza di un’istanza di parte, forniva alcun fondamento giuridico per attribuire al giudice la competenza a pronunciarsi sulla nullità. Tuttavia, la Corte ha indicato al giudice spagnolo che doveva declinare d’ufficio la competenza a conoscere della controversia che gli era stata assegnata in tali circostanze  (25) . Con ordinanza 14 luglio 2000, il giudice spagnolo di primo grado ha applicato alla lettera la sentenza della Corte, si è avvalso della sua facoltà di verificare d’ufficio se la clausola avesse carattere abusivo e ha dichiarato ricevibile la domanda in considerazione di tale carattere della clausola che deferiva le controversie ai giudici di Barcellona, aggiungendo che, per effetto di tale nullità, la competenza a conoscere della controversia spettava al giudice del domicilio del convenuto  (26) .

29.     L’obbligo di «interpretazione conforme» non riguarda solo le cause pregiudiziali, come si potrebbe dedurre dagli esempi riportati. Dalla sentenza Commissione/Italia  (27) emerge che la declaratoria dell’inadempimento, da parte di uno Stato membro, degli obblighi comunitari ad esso imposti implica, sia per le autorità giudiziarie sia per quelle amministrative del medesimo Stato membro, per un verso, il divieto assoluto di applicare il regime di esenzione fiscale dichiarato incompatibile e, per l’altro, l’obbligo di adottare tutte le disposizioni intese ad agevolare la piena efficacia del diritto comunitario.

30.     In altri procedimenti, senza indicare in modo altrettanto preciso l’obiettivo da conseguire, la Corte ha segnalato al giudice nazionale il modo migliore di realizzare lo scopo della direttiva.

31.     Nella sentenza Pafitis e altri  (28) , la Corte ha dichiarato che l’art. 25 della direttiva 77/91/CEE  (29) , che è destinato a garantire un livello minimo di protezione degli azionisti in tutti gli Stati membri, si oppone ad una normativa nazionale ai cui sensi il capitale sociale di una società per azioni bancaria che si trovi, a causa del suo indebitamento, in una situazione eccezionale può essere aumentato per via amministrativa e senza delibera dell’assemblea generale.

       La causa principale contrapponeva una banca costituita in forma di società per azioni e i suoi nuovi azionisti, da una parte, e i vecchi azionisti, dall’altra, i quali impugnavano sia la modificazione dello statuto sociale che aveva reso possibile un aumento di capitale, sostenendo che era stata decisa dell’amministratore provvisorio senza avere convocato l’assemblea generale degli azionisti, sia la ripartizione delle azioni. Essi chiedevano inoltre che fosse dichiarata la nullità dei tre aumenti del capitale sociale operati susseguentemente. I fatti successivi al procedimento non lasciano intravedere quale seguito abbia avuto la pronuncia della Corte  (30) .

32.     Nella causa Ruiz Bernáldez  (31) , le questioni erano state sollevate nell’ambito di un procedimento penale a carico di un conducente che, in stato di ebrietà, aveva causato un incidente stradale. Il giudice nazionale lo aveva condannato a risarcire i danni materiali cagionati, ma aveva escluso qualsiasi obbligo di indennizzo della sua compagnia di assicurazioni basandosi sulla disciplina nazionale relativa all’assicurazione della responsabilità civile risultante dall’uso e dalla circolazione di autoveicoli, che escludeva la copertura assicurativa dei danni nel caso in cui il conducente fosse in stato di ebrietà.

In tale occasione la Corte ha interpretato le direttive 72/166/CEE (32) e 84/5/CEE  (33) nel senso che, tenuto conto dell’obiettivo di protezione perseguito, l’assicurazione automobilistica obbligatoria deve consentire che le vittime di un incidente causato da un veicolo vengano risarcite per tutti i danni alle persone e alle cose cagionati e che il contratto di assicurazione obbligatoria non può disporre che, in determinati casi, e in particolare qualora il conducente del veicolo si sia trovato in stato di ebrietà, l’assicuratore non è tenuto a risarcire i danni alle persone ed alle cose causati a terzi dal veicolo assicurato. Pertanto si indicava al giudice nazionale che la compagnia di assicurazioni doveva indennizzare le vittime, anche se la legislazione nazionale non lo prevedeva  (34) . L’Audiencia Provincial (Corte d’appello) di Siviglia si è conformata alla pronuncia pregiudiziale della Corte e ha condannato l’assicuratore, con sentenza 30 aprile 1996, a risarcire le vittime per l’incidente cagionato dal sig. Ruiz Bernáldez mentre era in stato di ebrietà  (35) .

33.     Nella sentenza Draehmpaehl  (36) , la Corte ha dichiarato che la direttiva 76/207/CEE  (37) osta a disposizioni legislative nazionali le quali, a differenza delle altre disposizioni nazionali civilistiche e giuslavoristiche, fissino un limite massimo di tre mensilità retributive per l’importo del risarcimento cui può aver diritto un candidato discriminato a causa del sesso in occasione di un’assunzione, qualora dimostri che avrebbe ottenuto il posto da coprire se la selezione fosse avvenuta senza discriminazioni, o di sei mensilità, qualora più candidati chiedano un risarcimento. Il lavoratore si era candidato in relazione ad un’offerta di lavoro rivolta alle donne pubblicata su un giornale e l’impresa non aveva risposto, né aveva restituito la documentazione presentata. Il lavoratore ha adito le vie legali, dichiarando di essere il candidato più qualificato e di avere subito una discriminazione. La chiarezza della pronuncia pregiudiziale non lasciava molta scelta all’Arbeitsgericht di Amburgo  (38) .

34.     Pronunciandosi sulla direttiva 86/653/CEE  (39) nella causa Bellone  (40) , la Corte ha dichiarato che essa osta ad una normativa nazionale che subordini la validità di un contratto di agenzia all’iscrizione dell’agente di commercio in un apposito albo. La legislazione italiana, oltre a richiedere detta iscrizione presso le camere di commercio, subordinava la validità del contratto di agenzia alla registrazione, privando di tutela giuridica coloro che non presentavano tale requisito, in particolare dopo la cessazione dei rapporti tra le parti. Di fatto, la causa verteva sulla domanda di risarcimento presentata da un agente dopo la risoluzione del contratto di agenzia stipulato con un’impresa. L’avvocato generale Saggio, al paragrafo 35 delle conclusioni presentate nella causa Océano Grupo Editorial, ha sostenuto che nella sentenza Bellone la Corte aveva individuato un’incompatibilità insanabile tra la normativa nazionale e la direttiva citata, tale da escludere ogni ricorso all’«interpretazione conforme», e pertanto aveva imposto al giudice del rinvio di non applicare la normativa nazionale  (41) .

35.     La sentenza Centrosteel  (42) ha risolto una controversia considerata come la continuazione della precedente. Un altro giudice italiano, partendo dall’assunto che il rifiuto della giurisprudenza di riconoscere l’effetto diretto orizzontale delle direttive gli impediva di disapplicare la normativa interna, chiedeva alla Corte se le disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione di servizi, la cui applicabilità diretta era indubbia, si opponessero ad una legge nazionale che obbligava ad iscriversi ad un registro coloro che svolgevano attività di agente di commercio e sanzionava con la nullità i contratti rientranti nel suo ambito di applicazione. La causa pregiudiziale è stata risolta rinviando il giudice a quo alla nota giurisprudenza dell’«interpretazione conforme» del diritto nazionale, al fine di conseguire l’obiettivo della direttiva 86/653, senza addentrarsi nell’interpretazione del diritto primario. Sia l’avvocato generale Jacobs, al paragrafo 5 delle conclusioni, che la Corte, al punto 17 della sentenza, hanno affermato che la Corte di cassazione aveva modificato la sua giurisprudenza in considerazione della sentenza Bellone e riteneva che l’omessa iscrizione all’albo non implicasse la nullità del contratto di agenzia.

36.     Discostarsi da questa giurisprudenza determinerebbe un grave regresso nell’applicazione del principio della preminenza del diritto comunitario, minerebbe l’autorità della Corte per quanto riguarda l’interpretazione uniforme delle norme comunitarie nel territorio dell’Unione europea e demotiverebbe i giudici nazionali nell’esercizio delle loro funzioni di giudici comunitari, in particolare qualora si siano attenuti alle indicazioni relative all’«interpretazione conforme» del proprio diritto fornite dalla Corte in via pregiudiziale.

       Poiché siamo tratti per natura, diceva Cicerone  (43) , ad accrescere la felicità del genere umano e, inclini a tale piacere per istinto naturale, ci sforziamo con i nostri pensieri e le nostre fatiche di rendere più sicura e confortevole la vita altrui, continuiamo a percorrere quella stessa via che hanno sempre percorso gli uomini virtuosi e non ascoltiamo i segnali di ritirata di quanti vorrebbero far retrocedere coloro che si sono già spinti innanzi.

37.     Ciononostante la sentenza Arcaro  (44) ha riconosciuto, nell’ambito di un’altra questione pregiudiziale deferita da un giudice italiano, che il diritto comunitario è privo di un meccanismo che consenta di eliminare le disposizioni di uno Stato in contrasto con una disposizione di una direttiva che non può essere fatta valere; ha inoltre riconosciuto che l’obbligo del giudice nazionale di fare riferimento al contenuto della direttiva nell’interpretare le norme rilevanti del suo diritto nazionale incontra un limite qualora tale interpretazione comporti che ad un singolo venga opposto un obbligo previsto da una direttiva non trasposta ovvero, a maggior ragione, qualora abbia l’effetto di determinare o aggravare la responsabilità penale di coloro che ne trasgrediscono le disposizioni.

38.     Tuttavia queste affermazioni contenute nella sentenza Arcaro non possono essere trasposte sic et simpliciter alle cause in esame, come pretendono alcuni degli Stati membri che hanno presentato osservazioni, per vari motivi.

In primo luogo, il procedimento non contrapponeva due privati, in quanto il sig. Arcaro era imputato in un processo penale. Pertanto si trattava di evitare che lo Stato membro che aveva violato l’obbligo di adeguare la sua legislazione alle direttive 76/464/CEE  (45) e 83/513/CEE  (46) traesse vantaggio dal proprio inadempimento e perseguisse penalmente un imprenditore che aveva trasgredito ad alcune disposizioni delle dette direttive. In ogni caso, la Corte ha dichiarato che l’obbligo del giudice nazionale di attenersi al senso della direttiva, nell’interpretare una norma nazionale, incontra il limite dei principi giuridici generali che fanno parte del diritto comunitario ed in particolare quelli della certezza del diritto e dell’irretroattività, soprattutto qualora si possa determinare una responsabilità penale  (47) .

In secondo luogo, le circostanze della causa Arcaro e quelle delle cause avviate dai lavoratori della Croce Rossa sono molto diverse, giacché nella prima il legislatore italiano aveva semplicemente effettuato una trasposizione incompleta del diritto comunitario, mentre la Repubblica federale di Germania ha adottato una legge apposita per attuare integralmente la direttiva 93/104, il cui art. 3 recepisce correttamente il contenuto dell’art. 6, n. 2, della normativa comunitaria, laddove fissa in quarantotto ore la durata massima dell’orario di lavoro settimanale.

39.     Pertanto non si tratta, come sostiene il governo federale, del fatto che il giudice nazionale, disapplicando l’art. 7, n. 1, punto 1, lett. b), della legge sull’orario di lavoro, si troverebbe di fronte ad una lacuna giuridica che lo obbligherebbe ad imporre oneri ad un imprenditore in forza della direttiva 93/104, in quanto potrebbe ricorrere semplicemente ad un’altra norma nazionale facente parte dello stesso testo normativo adottato per recepire le disposizioni comunitarie  (48) , che si adegua alla regola generale prescritta dal legislatore comunitario (49) secondo cui negli Stati membri l’orario di lavoro non può superare tale numero di ore  (50) .

A questo proposito condivido la valutazione espressa dall’avvocato generale Van Gerven al paragrafo 7, secondo capoverso, delle conclusioni nella causa Marleasing (51) , secondo cui l’obbligo che impone ai giudici nazionali di interpretare la normativa nazionale in conformità di una direttiva non comporta che quest’ultima abbia efficacia diretta tra privati. Anzi, sono le stesse disposizioni nazionali che, dopo essere state interpretate conformemente alla direttiva, hanno un’efficacia diretta.

40.     Occorre inoltre richiamarsi a due sentenze ampiamente citate dalle parti che hanno presentato osservazioni in questa fase del procedimento, sia a favore che contro le rispettive posizioni. Si tratta delle sentenze CIA Security International  (52) e Unilever  (53) , che costituiscono pietre miliari nell’evoluzione della giurisprudenza della Corte in materia di applicazione da parte dei giudici nazionali di direttive non rispettate dagli Stati membri, ma non di grande utilità per risolvere la questione deferita nella fattispecie  (54) .

In dette due cause la Corte ha dichiarato che il giudice nazionale doveva escludere l’applicabilità, nell’ambito di una controversia tra privati, di un regolamento tecnico nazionale approvato senza previa notifica alla Commissione, in palese violazione degli artt. 8 e 9 della direttiva 83/189/CEE  (55) , ma ha avuto cura di precisare che a tale proposito la sua giurisprudenza Faccini Dori  (56) non era pertinente, in quanto l’inosservanza di detta direttiva costituiva un vizio procedurale sostanziale e le relative disposizioni non creavano diritti né obblighi per i singoli  (57) .

41.     Neanche il fatto che l’effetto diretto di una disposizione di un direttiva si ripercuota sui diritti dei singoli, che non sono parti del rapporto verticale, ha rappresentato un ostacolo per il riconoscimento di tale effetto da parte della Corte. Costituiscono chiari esempi di questa affermazione la sentenza Fratelli Costanzo  (58) , relativa all’interpretazione della direttiva 71/305/CEE  (59) nell’ambito di un ricorso d’annullamento contro l’aggiudicazione di un appalto pubblico di lavori  (60) ; la sentenza World Wildlife Fund e altri  (61) , pronunciata nel contesto di un altro ricorso d’annullamento proposto da varie persone residenti in zone limitrofe ad un aeroporto e da due associazioni ambientaliste, che impugnavano l’autorizzazione di un progetto di ristrutturazione degli impianti dell’aeroporto; la sentenza Smith & Nephew e Primecrown  (62) , che ha consentito al titolare dell’autorizzazione all’immissione in commercio di una specialità farmaceutica, concessa ai sensi della direttiva 65/65/CEE  (63) , di far valere le disposizioni di tale direttiva nell’ambito di un procedimento nazionale al fine di contestare la validità di un’autorizzazione rilasciata dall’ente competente sulla base della stessa normativa a uno dei suoi concorrenti per una specialità brevettata recante la medesima denominazione, o la recente sentenza Wells  (64) , secondo cui mere ripercussioni negative sui diritti di terzi, anche se certe, non giustificano che si rifiuti ad un singolo di far valere le disposizioni di una direttiva nei confronti dello Stato membro.

42.     Non sono d’accordo neanche con quanti hanno sostenuto che si può attribuire preminenza solo al diritto comunitario primario o, al massimo, ad un regolamento, in quanto normativa cui si fa riferimento nella sentenza Simmenthal  (65) ; infatti tale distinzione risulta artificiosa e inesatta, giacché  (66) nella detta sentenza la Corte ha confermato la preminenza sia del Trattato che degli atti delle istituzioni direttamente applicabili. Inoltre, ogni qualvolta si ritiene che un precetto comunitario osti ad una norma di uno Stato membro, si ribadisce la preminenza riconosciuta quasi quarant’anni fa, a prescindere dalla fonte comunitaria, sia essa il Trattato  (67) , un regolamento o una direttiva  (68) .

43.     Il mio proposito, in questa sede, non è promuovere l’effetto diretto orizzontale delle direttive non trasposte che presentino i requisiti indicati dalla giurisprudenza. Tanto meno pretendo di esortare i giudici nazionali ad applicare tali direttive, invadendo l’ambito delle funzioni del legislatore nazionale.

Orbene, non posso essere d’accordo neanche con chi sostiene che, in un caso come quello in esame, i singoli possono solo invocare la responsabilità dello Stato per i danni cagionati dall’inadempimento degli obblighi che gli incombono in forza del diritto comunitario, in quanto, nelle intenzioni della Corte, questa soluzione ha carattere sussidiario e nel caso di specie verrebbe in considerazione solo qualora le altre disposizioni nazionali adottate per recepire la direttiva 93/104 non potessero essere interpretate conformemente alla lettera e allo scopo della direttiva medesima.

44.     Nelle circostanze delle presenti cause, il compito attribuito alla Corte in quanto garante dell’interpretazione uniforme del diritto comunitario, soprattutto quando si pronuncia in via pregiudiziale, le impedisce di lasciare il giudice nazionale senza altra alternativa che applicare una norma del diritto interno  (69) contrastante con l’art. 6, n. 2, della direttiva 93/104 e con il suo obiettivo di migliorare la sicurezza, le condizioni igieniche e la salute dei lavoratori  (70) .

45.     Pertanto, dato che l’art. 6, n. 2, della direttiva 93/104 è una norma chiara, precisa e incondizionata, che non lascia alcuna discrezionalità al legislatore nazionale  (71) , e che il giudice tedesco può fare riferimento ad altre disposizioni della legge sull’orario di lavoro diverse dall’art. 7, n. 1, punto 1, lett. a), non occorre indurre i lavoratori ad esercitare un’azione di risarcimento nei confronti dello Stato.

46.     Si deve aggiungere che l’interesse a proteggere i lavoratori in quanto parte debole nel rapporto di lavoro, sancito dalla direttiva 93/104, dev’essere ponderato dal giudice nazionale allorché interpreta le norme di attuazione interne  (72) . La Corte stessa, nella sentenza Unilever  (73) , ha avuto cura di evidenziare la differenza tra le direttive che creano diritti e obblighi per i singoli e quelle che non lo fanno.

47.     Pertanto sembra consigliabile raccomandare all’Arbeitsgericht di Lörrach che, assumendo le proprie responsabilità comunitarie, segua la linea tracciata dal Juzgado de Primera Instancia di Oviedo, dal Tribunal Superior de Justicia della Catalogna, dal Juzgado de Primera Instancia n. 35 di Barcellona, dall’Audiencia Provincial di Siviglia, dall’Arbeitsgericht di Amburgo, dal Tribunale civile di Bologna, dalla Corte di cassazione della Repubblica italiana e dal Pretore di Brescia.

48.     Per i motivi che precedono, propongo alla Corte di dichiarare che l’art. 6, n. 2, della direttiva 93/104 osta - sempreché lo Stato membro interessato non si sia avvalso della facoltà contemplata dall’art. 18, n. 1, lett. b), sub i) -, all’applicazione di una disposizione quale l’art. 7, n. 1, punto 1, lett. a), della legge tedesca sull’orario di lavoro, che consente di prolungare, in forza di contratto collettivo o aziendale, la giornata di lavoro oltre le dieci ore, quando nell’orario di lavoro rientrano in maniera regolare e rilevante periodi di guardia.

49.     Di conseguenza, l’art. 14 del contratto collettivo della Croce Rossa tedesca, in quanto si basa sul citato art. 7, deve essere interpretato in modo da assicurare che i lavoratori interessati non si vedano obbligati a effettuare, in media, un orario superiore alle quarantotto ore settimanali, tenendo presenti le disposizioni dell’art. 16, n. 2, e dell’art. 17, n. 4, della direttiva 93/104, relative alla fissazione del periodo di riferimento per il calcolo della media dell’orario di lavoro.

IV – Conclusione

50.     Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo nuovamente alla Corte di risolvere come segue la terza questione deferita nella presente causa dall’Arbeitsgericht Lörrach:

       «Anche nel caso in cui gli Stati membri prevedano deroghe al periodo di riferimento stabilito dall’art. 16, n. 2, della direttiva 93/104, l’art. 6, n. 2, della stessa direttiva, oltre al fatto che conferisce diritti ai singoli, risulta chiaro, preciso ed incondizionato, cosicché può essere fatto valere dinanzi ai giudici nazionali, qualora lo Stato membro interessato non ne abbia dato corretta attuazione entro il termine prescritto. Tuttavia, tenuto conto del fatto che le cause principali riguardano controversie tra privati, i lavoratori interessati non possono far valere l’effetto diretto della citata norma comunitaria.

       L’art. 6, n. 2, della direttiva 93/104 osta - sempreché lo Stato membro interessato non si sia avvalso della facoltà contemplata dall’art. 18, n. 1, lett. b), sub i) -, all’applicazione di una disposizione quale l’art. 7, n. 1, punto 1, lett. a), della legge tedesca sull’orario di lavoro, che consente di prolungare, in forza di contratto collettivo o aziendale, la giornata di lavoro oltre le dieci ore, quando nell’orario di lavoro rientrano in maniera regolare e rilevante periodi di guardia. Di conseguenza, l’art. 14 del contratto collettivo sulle condizioni di lavoro degli impiegati, dei lavoratori e degli apprendisti della Croce Rossa tedesca, in quanto si basa sul citato art. 7, deve essere interpretato in modo da assicurare che i lavoratori interessati non si vedano obbligati a effettuare, in media, un orario superiore alle quarantotto ore settimanali, tenendo presenti le disposizioni dell’art. 16, n. 2, e dell’art. 17, n. 4, della direttiva 93/104, relative alla fissazione del periodo di riferimento per il calcolo della media dell’orario di lavoro».


1
Lingua originale: lo spagnolo.


2
Le prime conclusioni sono state pubblicate il 6 maggio 2003, data in cui si è chiusa la fase orale del procedimento.


3
Si tratta di sette ordinanze del 26 settembre 2001, relative ad altrettante cause pendenti dinanzi a detto giudice. Le sette cause sono state cumulate durante la fase scritta con ordinanza del presidente della Corte 7 novembre 2001.


4
Durante la fase scritta hanno presentato osservazioni solo i ricorrenti nelle cause principali e la Commissione.


5
E precisamente alla Sesta Sezione.


6
Direttiva del Consiglio 23 novembre 1993 (GU L 307, pag. 18).


7
V. punto 6 che lo conferma.


8
Il governo tedesco, in risposta a un quesito della Corte, precisa che, a partire dal 1° gennaio 2004, l’entrata in vigore di una modifica della legge relativa all’orario di lavoro giornaliero impone di compensare il lavoratore in caso di prolungamento della giornata lavorativa oltre le dieci ore. La modifica è stata introdotta in considerazione della sentenza della Corte 9 settembre 2003, causa C-151/02 P, Jaeger (Racc. pag. I-8389), al cui punto 71 si afferma che un servizio di guardia che un medico svolge secondo il regime della presenza fisica in ospedale va considerato come interamente rientrante nell’orario di lavoro a norma della direttiva 93/104, sicché la medesima direttiva osta alla normativa di uno Stato membro che qualifica come periodi di risposo i periodi di inattività del lavoratore durante un tale servizio di guardia.


9
Sentenza Jaeger, cit.


10
Sentenza 16 dicembre 1993, causa C-334/92, Wagner Miret (Racc. pag. I-6911, punto 20).


11
Sentenze 26 febbraio 1986, causa 152/84, Marshall (Racc. pag. 723, punto 48), e 13 novembre 1990, causa C-106/89, Marleasing (Racc. pag. I-4135, punto 6).


12
Sentenze 19 gennaio 1982, causa 8/81, Becker (Racc. pag. 53, punto 25), 22 giugno 1989, causa 103/88, Fratelli Costanzo (Racc. pag. 1839, punto 29), 17 settembre 1996, cause riunite da C-246/94 a C-249/94, Cooperativa Agricola Zootecnica S. Antonio e a. (Racc. pag. I-4373, punto 17), 1° giugno 1999, causa C-319/97, Kortas (Racc. pag. I-3143, punto 21), e 5 febbraio 2004, causa C-157/02, Rieser Internationale Transporte (Racc. pag. I-1477, punto 22).


13
Sentenze 10 aprile 1984, causa 14/83, Von Colson e Kamann (Racc. pag. 1891, punto 26), e 15 maggio 1986, causa 222/84, Johnston (Racc. pag. 1651, punto 53).


14
Sentenze Marleasing, punto 8, e Wagner Miret, punto 20, cit., 14 luglio 1994, causa C-91/92, Faccini Dori (Racc. pag. I-3325, punto 26), e 13 luglio 2000, causa C-456/98, Centrosteel (Racc. pag. I-6007, punto 16).


15
Sentenza Wagner Miret, cit., punto 21. V. L. Bernardeau, «Clauses abusives: illecité des clause attributives de compétence et l’autonomie de leur contrôle judiciaire», in Revue européenne de droit de la consommation, 2000, pagg. 261-281, in particolare pag. 270: «L’obligation d’interprétation conforme qui découle du principe de la primauté du droit communautaire s’applique a fortiori lorsque la directive a été transposée».


16
Una parte della dottrina tedesca riconosce al giudice nazionale la competenza per superare, mediante un’interpretazione conforme, le carenze o persino le incompatibilità del diritto nazionale con il diritto comunitario, al fine di conseguire gli obiettivi della direttiva comunitaria. V. V. Götz, «Europäische Gesetzgebung durch Richtlinien – Zusammenwirken von Gemeinschaft und Staat» in Neue Juristische Wochenschrift, 1992, pag. 1854: «Über die Auslegung von Begriffen und Normen, die eine offensichtliche Kongruenz zwischen Richtlinie und staatlichem Umsetzungsrecht aufweisen, hinaus, kann richtlinienkonforme Auslegung in begrenztem Umfange die weitergehende Funktion erfüllen, Unzulänglichkeiten der staatlichen Gesetzgebung zu überbrücken oder der Richtlinie zu einem Anwendungsvorrang gegenüber solchen Bestimmungen des nationalen Rechts zu verhelfen, die nicht direkt umsetzungsbedingt sind, deren Anwendung aber im Bereich der Richtlinie mit dieser nicht zu vereinbaren wäre». Secondo questa dottrina, il primato del diritto comunitario si estende anche alla sua interpretazione, per cui il significato attribuito dalla Corte prevale su qualsiasi altro significato attribuibile alle norme nazionali dirette a dare attuazione alla direttiva comunitaria, il che determinerebbe una situazione in cui il giudice nazionale deve interpretare il diritto nazionale contra legem, al fine di garantire l’applicazione della norma comunitaria. A titolo di esempio si può citare A. Dendrinos, Rechtprobleme der Direktwirkung von EWG-Richtlinien, pagg. 290-292, in particolare pag. 290: «In diesem Punkt muss hervorgehoben werden, dass die Richtlinienbestimmungen Vorrang in der Auslegung haben. Dies bedeutet, dass den durch den EuGH ausgelegten Richtlinienvorschriften des Gemeinschaftsrechts für den Ausgangsfall Vorrang gegenüber der gegenteiligen einheimischen Interpretation einer mehrdeutigen zur Ausführung der Richtlinien ergangenen nationalen Norm gebührt. Hier spricht man von der unmittelbar wirkenden Auslegung. Aufgrund dieser Erkenntnis kommt man der Anerkennung der horizontalen unmittelbaren Wirkung ein Stück näher, da der nationale Richter wegen der vorrangigen Auslegung des EuGH gegebenenfalls nationales Recht contra legem auslegen muss, welches zur Umsetzung der Richtlinie ergangen ist und zugleich private Rechtsverhältnisse regelt», e W. Brechmann, Die Richtlinienkonforme Auslegung, pagg. 160-166, in particolare pag. 163, che fa riferimento a questa dottrina condivisa da vari autori: «Die These von Dendrinos, dass eine Richtlinienkonforme Auslegung contra legem erlaube, ist jedoch keineswegs eine vereinzelte Sondermeinung, sondern sie wird von anderen Autoren der völkerrechtlichen Theorie vertreten».


17
Prima direttiva del Consiglio 9 marzo 1968, 68/151/CEE, intesa a coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società a mente dell’articolo 58, secondo comma, del trattato per proteggere gli interessi dei soci e dei terzi (GU L 65, pag. 8).


18
Sentenza Marleasing, cit., punto 13. D. Curtin, «Directives: the effectiveness of judicial protection of individual rights», Common Market Law Review, 1990, pagg. 709-739, in particolare pag. 724: «In Marleasing, the end result was that the Spanish tribunal was obliged to interpret the provisions of the Spanish Civil Code in a manner so as to preclude a declaration of nullity of a public limited company based on a ground different from those set out in Article 11 of the (unimplemented) first Company Directive. This means in effect that the obligation contained in a directive is placed on private parties, albeit after having been transformed, via judicial interpretation, into one of national law. In practice, this clever judicial strategy achieves, where the national law is at all open to interpretation, the same result as if a particular provision of that directive could be recognized as enjoying horizontal direct effects. In this manner, “horizontal” rights which are enshrined in directives can have the force of law as between individuals without a specific domestic legislative process and the primacy of Community law is assured».


19
V. database DEC-NAT della Corte, riferimento dos-Cour QP/01853-P1.


20
Sentenza Wagner Miret, cit., punto 22.


21
Direttiva del Consiglio 20 ottobre 1980, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro (GU L 283, pag. 23), come modificata dalla direttiva del Consiglio 2 marzo 1987, 87/164/CEE (GU L 66, pag. 11).


22
V. database DEC-NAT della Corte, riferimento dos-Cour QP/02395-P1.


23
Sentenza 27 giugno 2000, cause riunite da C-240/98 a C-244/98 (Racc. pag. I-4941, punto 32).


24
Direttiva del Consiglio 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU L 95, pag. 29).


25
P. Craig e G. Búrca, EU Law. Text, cases and materials, Third Edition, Oxford University Press, pag. 219: «This ruling does not declare that the Spanish court must decline jurisdiction by reading national law in the light of the Directive’s requirements, but it certainly encourages the national court to do this, by indicating that it should “favour” that interpretation if it is possible. And while such an interpretation of national law would not impose any legal obligation on Océano, it would deprive that company of any possible existing right under national law to enforce the consumer contract before the Barcelona court. While the defendant would not himself or herself have to “invoke” the right (since the defendant might well not appear before a court outside his or her domicile) that party would benefit from the terms of the directive even though it was not implemented, and the plaintiff company would suffer a legal disadvantage»; e J. Stuyck, Common Market Law Review, 38, pagg. 719-737, in particolare pag. 737: «Océano means a further step in the Court’s case law on the role of the national judge in applying Community law, by construing a duty for the national courts to invoque of their own motion the unfair character […] of a jurisdiction clause».


26
V. database DEC-NAT della Corte, riferimento dos-Cour QP/03748-P1.


27
Sentenza 19 gennaio 1993, causa C-101/91 (Racc. pag. I-191, punto 24). V. anche sentenza 13 luglio 1972, causa 48/71, Commissione/Italia (Racc. pag. 529, punto 7).


28
Sentenza 12 marzo 1996, causa C-441/93 (Racc. pag. I-1347, punto 60).


29
Seconda direttiva del Consiglio 13 dicembre 1976, intesa a coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società di cui all’articolo 58, secondo comma, del trattato, per tutelare gli interessi dei soci e dei terzi per quanto riguarda la costituzione della società per azioni, nonché la salvaguardia e le modificazioni del capitale sociale della stessa (GU 1977, L 26, pag. 1).


30
In questo caso, il giudice nazionale che aveva deferito la questione pregiudiziale non ha accolto l’interpretazione della Corte e ha respinto il ricorso (database DEC-NAT, dos-Cour QP/02610-P1). In sede di appello, il giudice greco ha deferito una nuova questione pregiudiziale, che è stata ritirata per rinuncia agli atti delle parti. Pertanto la Corte non ha potuto pronunciarsi sulla mancata applicazione della sua sentenza da parte del giudice di primo grado.


31
Sentenza 28 marzo 1996, causa C-129/94 (Racc. pag. I-1829, punto 24).


32
Direttiva del Consiglio 24 aprile 1972, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli, e di controllo dell’obbligo di assicurare tale responsabilità (GU L 103, pag. 1).


33
Seconda direttiva del Consiglio 30 dicembre 1983, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli (GU L 8, pag. 17).


34
T. Tridimas, «Black, white and shades of grey: horizontality of directives revisited», in Yearbook of European Law, 21, 2001-2002, pagg. 327-354, in particolare pag. 352: «Bernáldez causes problems. It is clear that the insurance directives were relied upon to impose an obligation on a third party, i.e. the insurance company, which was not represented in the proceedings. The Court expressly held that Article 3(1) of the First Directive precludes an insurer from being able to rely on statutory provisions or contractual clauses to refuse to compensate third-party victims of an accident caused by the insured vehicle. How can this be distinguished from horizontal direct effect? The answer is with difficulty».


35
  V. database DEC-NAT della Corte (dos-Cour QP/02722‑P1).


36
  Sentenza 22 aprile 1997, causa C-180/95 (Racc. pag. I-2195, punti 37 e 43).


37
  Direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU L 39, pag. 40).


38
V. il database DEC-NAT della Corte di giustizia (dos-Cour QP/02961 PI). L'Arbeitsgericht Amburgo condannò in contumacia l'impresa convenuta, che non era comparsa in nessuna delle fasi del procedimento, a versare all'interessato l'importo di DEM 11 100. Sebbene la sentenza tedesca 29 aprile 1998 difetti di motivazione, come pare sia usuale in tale tipo di procedimento, si suppone che l'importo corrisponda a tre mesi e mezzo di salario richiesto dal ricorrente. Secondo l'informazione inviata dal giudice di rinvio, la sentenza non è stata appellata.


39
Direttiva del Consiglio 18 dicembre 1986, relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti (GU L 382, pag. 17).


40
Sentenza 30 aprile 1998, causa C-215/97 (Racc. pag. I-2191, punto 18).


41
Con sentenza 5 maggio 1999, il Tribunale civile di Bologna ha dichiarato il contratto di agenzia valido ed efficace tra le parti, ha accolto la domanda della sig.ra Bellone e ha condannato l’impresa a corrisponderle gli importi dovuti. Nella motivazione ha dichiarato che la sanzione prevista dalla normativa nazionale, consistente nella nullità del contratto di agenzia in caso di mancata iscrizione dell’agente all’albo, risultava incompatibile con il diritto comunitario; che, in caso di incompatibilità, quest’ultimo prevale sul diritto degli Stati membri, e che le sentenze della Corte hanno efficacia diretta, per cui, a suo giudizio, era inapplicabile la legislazione nazionale che subordinava la validità del detto contratto alla previa iscrizione dell’agente all’albo (dos-Cour QP/03475-P1). Inoltre si può rilevare che nel database DEC-NAT della Corte figurano varie pronunce con cui la Corte di cassazione ha annullato le sentenze dei tribunali inferiori che avevano respinto, per mancanza di iscrizione all’albo, le richieste di agenti commerciali che rivendicavano il pagamento di importi dovuti in esecuzione di un contratto di agenzia. V. sentenze 15 maggio 1999 (dos-Cour IA/18784-A), 18 marzo 2002 (dos-Cour IA-22741-A), e 17 aprile 2002 (dos-Cour IA/22749-A).


42
Sentenza Centrosteel, cit.


43
Cicerone, Dello Stato, a cura di Anna Resta Barrile, Mondadori, 1994, Libro primo, II, pagg.  6 e 7.


44
Sentenza 26 settembre 1996, causa C-168/95 (Racc. pag. I-4705, punti 42 e 43).


45
Direttiva del Consiglio 4 maggio 1976, concernente l’inquinamento provocato da certe sostanze pericolose scaricate nell’ambiente idrico della Comunità (GU L 129, pag. 23).


46
  Direttiva del Consiglio 26 settembre 1983, concernente i valori limite e gli obiettivi di qualità per gli scarichi di cadmio (GU L 291, pag. 1).


47
  Sentenze 11 giugno 1987, causa 14/86, Pretore di Salò (Racc. pag. 2545, punto 20), e 8 ottobre 1987, causa 80/86, Kolpinghuis Nijmegen (Racc. pag. 3969, punto 13).


48
Una parte della dottrina si è pronunciata nello stesso senso. V., ad esempio, S. Faro, «La Cassazione torna a pronunciarsi sull’efficacia diretta "orizzontale" delle direttive comunitarie», in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 1998, pagg. 1398-1407, in particolare pagg. 1403 e 1404: «la previsione di questo obbligo [interpretare la norma nazionale in coerenza con quella contenuta in una direttiva comunitaria] comporta, di fatto, il riconoscimento di un effetto orizzontale “indiretto” delle direttive, indiretto in quanto la norma che trova applicazione al rapporto tra i privati è, in ogni caso, la norma nazionale»; G. Tesauro, Diritto Comunitario, terza edizione, CEDAM, 2003, pagg. 162-184, in particolare pag. 180: «I risultati pratici cui si perviene con l’obbligo di interpretare il diritto nazionale in modo conforme alla norma di una direttiva […] non sono molto diversi da quelli che si realizzerebbero con l’affermazione pura e semplice dell’effetto orizzontale e verticale. Non a caso, dunque, la Corte ha talvolta trasformato il problema della portata dell’effetto diretto della direttiva in un problema di interpretazione conforme»; P. Rodiere, «Sur les effets directifs du droit (social) communautaire», in Revue trimestrielle de droit européen, 27 (4), 1994, pagg. 565-586, in particolare pag. 577: «L’opération consiste, donc, à substituer une norme de droit national conforme au droit communautaire à celle qui ne l’était pas. La norme à appliquer a un caractère national, le rôle du droit communautaire se borne à en opérer la désignation. Double avantage: peu importe qu’une directive communautaire ne puisse créer directement des obligations pesant sur les particuliers, puisque on le demande au droit national»; C.W.A. Timmermans, «Directives: their effect within the national legal systems», in Common Market Law Review, 16, 1979, pagg. 533-555, in particolare pag. 551: «I do not exclude the possibility that, once the process of legal review of national law with regard to directives has become common practice, the Court of Justice will accept and even require such review also with regard to directives relating to horizontal relationships», e A Bach, Juristenzeitung, 1990, pag. 1113: «Die richtlinienkonforme Auslegung ebenso wie die Nichtanwendung gemeinschaftswidriger Normen können dabei erhebliche Auswirkungen auf die Rechte und Pflichten einzelner haben. Objektive Wirkungen sind durchaus auch zu Lasten Privater möglich».


49
L’avvocato generale Alber si è pronunciato a favore di questa soluzione, ai paragrafi 25-31 delle conclusioni presentate nella causa C-343/98, Collino e Chiappero, decisa con sentenza 14 settembre 2000, (Racc. pag. I-6659), per il caso in cui il giudice nazionale ritenesse di trovarsi dinanzi ad una controversia tra privati. Nel risolvere le questioni pregiudiziali, la Corte ha lasciato al giudice nazionale il compito di accertare se i lavoratori potessero far valere le disposizioni della direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti (GU L 61, pag. 26), nei confronti di un’impresa cui era stata affidata, tramite concessione, la prestazione dei servizi pubblici di telecomunicazioni e che era succeduta ad un organismo pubblico precedentemente incaricato di svolgere tale servizio.


50
V. anche conclusioni dell’avvocato generale Jacobs nella causa Centrosteel, citata, paragrafo 35, e conclusioni dell’avvocato generale Geelhoed nella causa C-62/00, Marks & Spencer, decisa con sentenza 11 luglio 2002 (Racc. pag. I-6325, paragrafo 42).


51
Citata.


52
Sentenza 30 aprile 1996, causa C-194/94 (Racc. pag. I-2201).


53
Sentenza 26 settembre 2000, causa C-443/98 (Racc. pag. I-7535).


54
M. López Escudero, «Efectos del incumplimiento del procedimiento de información aplicable a las reglamentaciones técnicas (Directiva 83/189/CEE)», in Revista de Instituciones Europeas, 1996, pagg. 839-861, in particolare pag. 861: «los particulares no pueden deducir derecho alguno de actos normativos comunitarios que, como la Directiva 83/189, establecen un procedimiento de información en el seno del cual las Instituciones comunitarias carecen de poder para determinar la compatibilidad con el derecho comunitario de las reglamentaciones nacionales notificadas. Por ello, considero que la utilización del principio del efecto directo para garantizar la efectividad de este tipo de normas comunitarias no es conveniente. El efecto directo no debe ser utilizado jurisprudencialmente para “enmendar” las deficiencias surgidas en la aplicación de cualquier tipo de normativa comunitaria».


55
Direttiva del Consiglio 28 marzo 1983, che prevede una procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche (GU L 109, pag. 8).


56
Sentenza Faccini Dori, cit.


57
Sentenza Unilever, cit., punti 50 e 51.


58
Sentenza Fratelli Costanzo, cit..


59
Direttiva del Consiglio 26 luglio 1971, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici (GU L 185, pag. 5).


60
T. Tridimas, op. cit., pag. 334: «Although [the Court] did not examine specifically the implications of allowing reliance on the directive, it did not consider as impermissible horizontal effect the adverse legal implications that would inevitably flow for the successful tenderer by the annulment of the tendering authority’s decision».


61
Sentenza 16 settembre 1999, causa C-435/97, World Wildlife Fund e a. (Racc. pag. I-5613, punti 69-71).


62
Sentenza 12 novembre 1996, causa C-201/94, Smith & Nephew e Primecrown (Racc. pag. I-5819, punto 39).


63
Direttiva del Consiglio 26 gennaio 1965, per il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative relative alle specialità medicinali (GU 1965, n. 22, pag. 369).


64
Sentenza 7 gennaio 2004, causa C-201/02, Wells (Racc. pag. I-723, punto 57).


65
Sentenza 9 marzo 1978, causa 106/77, Simmenthal (Racc. pag. 629, punto 17).


66
V. D. Simon, «La directive européenne», Dalloz 1997, pag. 95: «l’obligation d’écarter les règles nationales contraires au droit communautaire s’impose au juge national en vertu du principe de primauté, y compris si la norme en cause est dépourvue d’effet direct».


67
V. sentenza 15 luglio 1964, causa 6/64, Costa (Racc. pag. 1127, in particolare pagg. 1144-1145).


68
Sentenza 5 aprile 1979, causa 148/78, Ratti (Racc. pag. 1629, punti 20-24). L’avvocato generale Van Gerven, al paragrafo 9 delle conclusioni nella causa Marleasing, afferma quanto segue: «Per di più, la direttiva (…) ha, in quanto elemento del diritto comunitario, la precedenza su tutte le disposizioni di diritto nazionale. Ciò vale, in particolare, quando si tratti di disposizioni nazionali che (…) si riferiscono all’ambito giuridico disciplinato dalla direttiva».


69
S. Prechal, Directives in European Community Law. A Study of Directives and Their Enforcement in National Courts, Clarendon Press Oxford, 1995, pag. 229: «The domestic courts are here operating within the context of Community law. For this very reason Community law and, specially Article 5 of the Treaty, may not only require them to do something positive but may also stop them if they should transcend the limits of what is considered as acceptable under Community law».


70
K. Lenaerts, «L’égalité de traitement en droit communautaire. Un principe unique aux apparences multiples», in Cahiers de droit européen, 1991, pagg. 3-41, in particolare pag. 38: «Le juge aura généralement tendance à interpréter la norme nationale concernée dans le sens de la directive et de garantir de la sorte l’effet utile de la directive dans les relations entre particuliers»; P. E. Morris, «The direct effect of directives —some recent developments in the European Court—», in The journal of business law, maggio 1989, pagg. 233-245, in particolare pag. 241: «if national judiciaries respond positively to this exhortation something approaching horizontal direct effect may be achieved by a circuitous route. The substantive contents of directives could gradually percolate into private legal relationships without the problems which investing directives with horizontal direct effect would bring in its train, most notably the erosion of legal certainty, the risk of a national judicial revolt and the distortion of article 189».


71
Sentenza 5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93, Brasserie du pêcheur e Factortame e a. (Racc. pag. I-1029, punto 22).


72
Alcuni autori sottolineano che certi settori dell’ordinamento giuridico, quali il diritto del lavoro e il diritto della tutela dei consumatori, che disciplinano rapporti tra singoli, mostrano una flessibilità che può consentire, senza grossi problemi, un’interpretazione delle norme nazionali alla luce del diritto comunitario in grado di contribuire alla loro evoluzione. V. G. C. Rodríguez Iglesias e K. Riechenberg, «Zur richtlinienkonformen Auslegung (Ein Ersatz für die fehlende horizontale Wirkung?)», Festschrift für Ulrich Everling, vol. II, pag. 1229: «Es gibt Rechtsgebiete, die so flexibel ausgestaltet sind, dass eine Auslegung der einschlägigen innerstaatlichen Vorschriften im Lichte des Gemeinschaftsrechts ohne größere Schwierigkeiten möglich ist. Ein gutes Beispiel für eine Rechtsgebiet, das in allen Mitgliedstaaten in den letzten Jahren tiefgreifende Änderungen erfahren hat, ist das Arbeitsrecht. Auch jüngere Rechtsgebiete, wie das Verbraucherschutzrecht, dürften für eine solche Rechtsfortbildung offen sein».


73
Sentenza Unilever, cit.