Language of document : ECLI:EU:T:2019:414

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Settima Sezione)

13 giugno 2019 (*)

«Marchio dell’Unione europea – Opposizione – Domanda di registrazione di marchio dell’Unione europea denominativo Innocenti – Marchio nazionale figurativo anteriore i INNOCENTI – Impedimento relativo alla registrazione – Rischio di confusione – Articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (UE) 2017/1001»

Nella causa T‑392/18,

Innocenti SA, con sede in Lugano (Svizzera), rappresentata da N. Ferretti, avocat,

ricorrente,

contro

Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), rappresentato da L. Rampini, in qualità di agente,

convenuto,

altra parte nel procedimento dinanzi alla commissione di ricorso dell’EUIPO, interveniente dinanzi al Tribunale:

Filippo Gemelli, residente in Torino (Italia), rappresentato inizialmente da C. Renna, successivamente da F. Canu, avocats,

avente ad oggetto un ricorso proposto contro la decisione della quinta commissione di ricorso dell’EUIPO del 19 aprile 2018 (caso R 2336/2010‑5), relativa ad un procedimento di opposizione tra il sig. Gemelli e la Innocenti,

IL TRIBUNALE (Settima Sezione),

composto da V. Tomljenović, presidente, A. Marcoulli (relatore) e A. Kornezov, giudici,

cancelliere: E. Coulon,

visto il ricorso depositato nella cancelleria del Tribunale il 28 giugno 2018,

vista la domanda di sospensione del procedimento depositata dalla ricorrente presso la cancelleria del Tribunale il 28 giugno 2018,

viste le osservazioni presentate dall’EUIPO e dall’interveniente in merito alla domanda di sospensione del procedimento, depositate presso la cancelleria del Tribunale il 6 settembre 2018,

vista la decisione del 25 settembre 2018 che ha respinto la domanda di sospensione del procedimento presentata dalla ricorrente,

visto il controricorso dell’EUIPO depositato presso la cancelleria del Tribunale il 5 ottobre 2018,

visto il controricorso dell’interveniente depositato presso la cancelleria del Tribunale il 5 ottobre 2018,

vista l’assenza di una domanda di fissazione di udienza presentata dalle parti entro il termine di tre settimane dalla notifica della chiusura della fase scritta del procedimento, e avendo deciso, in applicazione dell’articolo 106, paragrafo 3, del regolamento di procedura del Tribunale, di statuire senza aprire la fase orale del procedimento,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti all’origine della controversia

1        Il 5 gennaio 2009 la Innocenti SA, odierna ricorrente, ha presentato una domanda di registrazione di marchio dell’Unione europea dinanzi all’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), in conformità del regolamento (CE) n. 40/94 del Consiglio, del 20 dicembre 1993, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), come modificato [sostituito dal regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio dell’Unione europea (GU 2009, L 78, pag. 1), come modificato, a sua volta sostituito dal regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea (GU 2017, L 154, pag. 1)].

2        Il marchio di cui è stata chiesta la registrazione è il segno verbale Innocenti.

3        I prodotti per i quali è stata chiesta la registrazione rientrano nelle classi 3, 9, 12, 14, 16, 18 e 25 ai sensi dell’Accordo di Nizza relativo alla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, del 15 giugno 1957, come riveduto e modificato, e corrispondono, segnatamente, per le classi 12 e 25, alla seguente descrizione:

–        classe 12: «Veicoli; apparecchi di locomozione terrestre, aerei o nautici»;

–        classe 25: «Articoli di abbigliamento, scarpe, cappelleria».

4        La domanda di registrazione di marchio è stata pubblicata nel Bollettino dei marchi comunitari n. 2009/7, del 20 febbraio 2009.

5        Il 18 maggio 2009 il sig. Filippo Gemelli, odierno interveniente, ha proposto un’opposizione, ai sensi dell’articolo 41 del regolamento n. 207/2009 (divenuto articolo 46 del regolamento 2017/1001), avverso la registrazione del marchio richiesto per i prodotti rientranti nelle classi 12 e 25 menzionate supra al punto 3.

6        L’opposizione era fondata sul marchio italiano figurativo anteriore depositato il 18 maggio 2007 e registrato il 3 giugno 2010 con il numero 1301743, riprodotto qui di seguito:

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7        I prodotti per i quali il marchio anteriore è stato registrato rientrano nelle classi 12 e 25 e corrispondono, per ciascuna di queste classi, alla seguente descrizione:

–        classe 12: «Veicoli; apparecchi di locomozione terrestre, aerei o nautici»;

–        classe 25: «Articoli di abbigliamento, scarpe, cappelleria».

8        L’opposizione era fondata sul motivo previsto dall’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009 [divenuto articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento 2017/1001].

9        Il 29 settembre 2010 la divisione di opposizione ha accolto l’opposizione proposta, a motivo del fatto che esisteva un rischio di confusione tra i marchi in conflitto.

10      Il 25 novembre 2010 la ricorrente ha proposto avverso la decisione della divisione di opposizione un ricorso dinanzi all’EUIPO, ai sensi degli articoli da 58 a 64 del regolamento n. 207/2009 (divenuti articoli da 66 a 71 del regolamento 2017/1001).

11      Il 31 gennaio 2011 la ricorrente ha chiesto la sospensione del procedimento di ricorso, a motivo di un’azione di nullità che essa aveva proposto dinanzi al Tribunale di Torino (Italia) contro il marchio anteriore, sulla base di un’altra registrazione di marchio italiana anteriore di essa ricorrente. Il 14 luglio 2011 la commissione di ricorso dell’EUIPO ha sospeso il procedimento di ricorso. Il 15 settembre 2016 la commissione di ricorso ha chiesto all’interveniente informazioni in merito allo stato della controversia instaurata dinanzi al Tribunale di Torino. Il 10 novembre 2017 l’interveniente ha informato la commissione di ricorso che il marchio anteriore non era più soggetto a una declaratoria di nullità, in quanto il Tribunale di Torino aveva accolto la sua domanda riconvenzionale di declaratoria di decadenza per mancato uso del marchio proposta contro la registrazione italiana anteriore su cui era fondata la suddetta azione di nullità, e che tale sentenza era stata confermata in tutti i gradi di giudizio e resa definitiva in virtù di sentenza della Corte suprema di cassazione (Italia).

12      Il 13 dicembre 2017 la commissione di ricorso ha disposto la riassunzione del procedimento di ricorso.

13      Il 17 gennaio 2018 la ricorrente ha chiesto una nuova sospensione del procedimento di ricorso, a motivo di un’azione di nullità per non uso del marchio che essa aveva proposto dinanzi al Tribunale di Torino, in data 24 ottobre 2017, contro il marchio anteriore. Il 15 febbraio 2018 la commissione di ricorso ha invitato, da un lato, la ricorrente a produrre documenti a sostegno della richiesta di sospensione e, dall’altro, l’interveniente a presentare le proprie osservazioni in merito alla suddetta richiesta. La ricorrente non ha risposto alla richiesta di produzione di documenti. Il 15 marzo 2018 l’interveniente ha presentato delle osservazioni con le quali ha concluso per il rigetto della richiesta di sospensione.

14      Con decisione in data 19 aprile 2018 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), la quinta commissione di ricorso ha respinto il ricorso, a motivo del fatto che esisteva un rischio di confusione tra i marchi in conflitto, ed ha altresì respinto la richiesta di sospensione.

 Conclusioni delle parti

15      La ricorrente conclude che il Tribunale voglia:

–        sospendere il presente procedimento in attesa della decisione del Tribunale di Torino nella causa recante il numero R.G. 23850/2017;

–        riformare, annullandola, la decisione impugnata e respingere l’opposizione.

16      L’EUIPO conclude che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente le spese.

17      L’interveniente conclude che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso, rigettare la domanda di riforma e di annullamento della decisione impugnata e, pertanto, confermare la decisione impugnata;

–        respingere la richiesta di rigetto dell’opposizione e, pertanto, respingere la domanda di marchio;

–        condannare la ricorrente alle spese del presente procedimento e delle precedenti fasi.

 In diritto

18      In via preliminare, per quanto riguarda, da un lato, il primo capo delle conclusioni formulate dalla ricorrente, da considerarsi come una domanda di sospensione del procedimento ai sensi dell’articolo 69 del regolamento di procedura del Tribunale, occorre ricordare che il presidente della Settima Sezione del Tribunale ha deciso, il 25 settembre 2018, in conformità dell’articolo 70, paragrafo 1, del citato regolamento, di non sospendere il presente procedimento. A questo proposito, occorre ricordare che la decisione di sospendere o meno un procedimento rientra nella competenza discrezionale del Tribunale [ordinanze del 20 ottobre 2011, DTL/UAMI, C‑67/11 P, non pubblicata, EU:C:2011:683, punto 33, e del 17 gennaio 2018, Josel/EUIPO, C‑536/17 P, non pubblicata, EU:C:2018:14, punto 5]. Per il resto, occorre rilevare che, nel caso di specie, le altre parti del presente procedimento non hanno espresso il loro accordo in merito alla sospensione richiesta, e che, comunque, la domanda contenuta nel ricorso introduttivo del giudizio non era suffragata da alcuna argomentazione tale da far ritenere che la buona amministrazione della giustizia richiedesse una sospensione siffatta.

19      Dall’altro lato, dato che «confermare la decisione impugnata» e «respingere la richiesta di rigetto dell’opposizione e (…) dichiarare la domanda di marchio (…) respinta» equivalgono ad un rigetto del ricorso, occorre considerare il primo e il secondo capo delle conclusioni formulate dall’interveniente come intesi, nel loro insieme, ad ottenere, in sostanza, il rigetto del ricorso [v., per analogia, sentenza del 13 dicembre 2016, Apax Partners/EUIPO – Apax Partners Midmarket (APAX), T‑58/16, non pubblicata EU:T:2016:724, punto 15 e la giurisprudenza ivi citata].

20      A sostegno del ricorso, la ricorrente fa valere, in sostanza, due motivi, riguardanti, il primo, la mancata sospensione del procedimento di ricorso e, il secondo, il presunto rischio di confusione tra i segni in conflitto.

 Sul primo motivo, relativo alla mancata sospensione del procedimento di ricorso

21      La ricorrente articola, in sostanza, il proprio motivo di ricorso in due parti.

22      Con la prima parte, intitolata «mancato rispetto del termine per il deposito della documentazione attestante il giudizio di decadenza per mancato uso dinanzi al Tribunale di Torino», la ricorrente fa valere che il termine per presentare i documenti a sostegno della richiesta di sospensione non è stato rispettato in quanto il suo rappresentante dell’epoca, per una dimenticanza, non l’aveva informata del termine suddetto. La ricorrente aggiunge che l’interveniente era a conoscenza dell’esistenza della documentazione a fondamento del procedimento di decadenza, dato che egli è la sua controparte nel giudizio suddetto, e che, tuttavia, egli non ha informato la commissione di ricorso del fatto che un’azione giudiziaria che avrebbe dovuto determinare la sospensione del procedimento di ricorso era effettivamente in corso.

23      Con la seconda parte del motivo, la ricorrente fa valere che le linee guida in merito all’esame condotto all’EUIPO sui marchi dell’Unione europea prevedono un certo numero di circostanze nelle quali tale ufficio può sospendere il procedimento, e tra queste rientra il caso in cui il diritto anteriore sia a rischio. Secondo la ricorrente, «[i]l diritto anteriore a rischio va necessariamente considerato ed è cruciale ai fini della decisione». Infatti, sarebbe evidente che, se un procedimento di ricorso di stampo amministrativo giungesse ad una conclusione diversa dalla decisione di un organo giurisdizionale nazionale, oltre a profilarsi un vero e proprio contrasto fra giudicati, si determinerebbe un contrasto fra effetti pratici delle due decisioni. Di conseguenza, ogni qualvolta la nullità (o la decadenza) di un titolo di proprietà industriale sia oggetto di una domanda giudiziale, occorrerebbe necessariamente sospendere ogni procedimento con oggetto dipendente.

24      L’EUIPO e l’interveniente contestano gli argomenti della ricorrente.

25      In via preliminare, occorre rilevare che l’articolo 71, paragrafo 1, del regolamento delegato (UE) 2017/1430 della Commissione, del 18 maggio 2017, che integra il regolamento n. 207/2009 e abroga i regolamenti (CE) n. 2868/95 e (CE) n. 216/96 (GU 2017, L 205, pag. 1) [divenuto articolo 71, paragrafo 1, del regolamento delegato (UE) 2018/625 della Commissione, del 5 marzo 2018, che integra il regolamento 2017/1001 e abroga il regolamento delegato 2017/1430 (GU 2018, L 104, pag. 1)], stabilisce che la commissione di ricorso può sospendere il procedimento d’ufficio, se una sospensione è opportuna nelle circostanze del caso, oppure su richiesta motivata di una delle parti dei procedimenti in contraddittorio se una sospensione è opportuna nelle circostanze del caso, tenuto conto degli interessi delle parti e della fase del procedimento.

26      Secondo la giurisprudenza, la commissione di ricorso dispone di un ampio potere discrezionale per sospendere o meno un procedimento di ricorso. La sospensione resta una facoltà per la commissione di ricorso, la quale la pronuncia soltanto qualora la ritenga giustificata. Il procedimento dinanzi alla commissione di ricorso non è quindi automaticamente sospeso a seguito di una richiesta in questo senso presentata da una parte dinanzi a detta commissione [sentenze del 25 novembre 2014, Royalton Overseas/UAMI – S.C. Romarose Invest (KAISERHOFF), T‑556/12, non pubblicata, EU:T:2014:985, punto 30, e del 21 ottobre 2015, Petco Animal Supplies Stores/UAMI – Gutiérrez Ariza (PETCO), T‑664/13, EU:T:2015:791, punto 31].

27      La circostanza che la commissione di ricorso disponga di un ampio potere discrezionale per sospendere il procedimento dinanzi ad essa pendente non sottrae la sua valutazione al controllo del giudice dell’Unione europea. Detta circostanza limita tuttavia tale controllo sotto il profilo di merito alla verifica dell’assenza di un errore manifesto di valutazione o di uno sviamento di potere (v. sentenze del 25 novembre 2014, KAISERHOFF, T‑556/12, non pubblicata, EU:T:2014:985, punto 31 e la giurisprudenza ivi citata, e del 21 ottobre 2015, PETCO, T‑664/13, EU:T:2015:791, punto 32 e la giurisprudenza ivi citata).

28      A questo proposito, risulta dalla giurisprudenza che, nell’esercitare il proprio potere discrezionale relativo alla sospensione del procedimento, la commissione di ricorso deve rispettare i principi generali che disciplinano un procedimento equo in seno a una comunità di diritto. Pertanto, nell’esercizio di detto potere, essa deve tenere conto non soltanto dell’interesse della parte il cui marchio o la cui domanda di marchio dell’Unione europea vengono contestati, ma anche dell’interesse delle altre parti. La decisione di sospendere o meno il procedimento deve essere il risultato di un bilanciamento degli interessi in gioco (v. sentenze del 25 novembre 2014, KAISERHOFF, T‑556/12, non pubblicata, EU:T:2014:985, punto 33 e la giurisprudenza ivi citata, e del 21 ottobre 2015, PETCO, T‑664/13, EU:T:2015:791, punto 33 e la giurisprudenza ivi citata).

29      È alla luce di questi principi che occorre esaminare le due parti del primo motivo di ricorso presentato dalla ricorrente.

30      Per quanto riguarda la prima parte del motivo, occorre rilevare come la ricorrente non sostenga che un termine che le sarebbe stato applicabile non è stato rispettato dalla commissione di ricorso, bensì soltanto che essa ricorrente non ha risposto alla commissione di ricorso a causa di una dimenticanza del suo rappresentante dell’epoca che non l’ha informata del termine suddetto, e che l’interveniente non ha comunicato i documenti in questione alla commissione di ricorso pur essendo a conoscenza degli stessi. Orbene, tenuto conto del fatto che, mediante questi argomenti, la ricorrente non muove alcuna censura contro la commissione di ricorso e non fa valere alcun tipo di errore o di violazione che la commissione di ricorso avrebbe commesso, la prima parte del primo motivo deve essere respinta perché inoperante o, comunque, perché infondata. Del resto, è pacifico che la ricorrente non ha depositato documenti a sostegno della sua richiesta di sospensione del 17 gennaio 2018 e non ha risposto alla lettera della commissione di ricorso del 15 febbraio 2018.

31      Anche supponendo che l’argomento della ricorrente relativo ad una dimenticanza del suo rappresentante dell’epoca debba essere inteso come collegato all’invocazione di un caso fortuito o di una forza maggiore od anche di un errore scusabile, neppure un argomento siffatto può trovare accoglimento. Infatti, secondo una costante giurisprudenza, può derogarsi all’applicazione delle norme dell’Unione in materia di termini procedurali unicamente in circostanze del tutto eccezionali, atteso che la rigorosa applicazione di tali norme risponde all’esigenza della certezza del diritto ed alla necessità di evitare qualsiasi discriminazione o trattamento arbitrario nell’amministrazione della giustizia. A prescindere dal fatto che tali circostanze vengano qualificate come caso fortuito o forza maggiore ovvero come errore scusabile, esse implicano, in ogni caso, un elemento soggettivo attinente all’obbligo, per l’interessato in buona fede, di dar prova di tutta l’attenzione e di tutta la diligenza richieste ad un operatore normalmente accorto al fine di seguire attentamente lo svolgimento della procedura e di rispettare i termini previsti [v. sentenza del 21 maggio 2014, Melt Water/UAMI (NUEVA), T‑61/13, EU:T:2014:265, punto 38 e la giurisprudenza ivi citata].

32      Orbene, nel caso di specie, poiché la ricorrente asserisce che «il termine per la produzione della documentazione a sostegno della richiesta di sospensione è stato trascurato a causa della mancata comunicazione all’odierna ricorrente di detto termine da parte del proprio rappresentante [dell’epoca]» (punto 18 del ricorso introduttivo del giudizio), a «causa di un’omissione» (punto 34 di tale ricorso), occorre ricordare come risulti dalla giurisprudenza che una parte ricorrente non può far valere né un funzionamento difettoso della propria organizzazione interna, né la trasgressione delle proprie direttive interne, per tentare di dimostrare il carattere scusabile dell’errore commesso da essa o dai propri dipendenti, ovvero l’esistenza di un caso fortuito o di una forza maggiore, né può invocare un funzionamento difettoso dell’organizzazione interna dello studio legale che la rappresenta [v. ordinanze del 28 aprile 2008, PubliCare Marketing Communications/UAMI (Publicare), T‑358/07, non pubblicata, EU:T:2008:130, punto 17 e la giurisprudenza ivi citata, e del 28 maggio 2013, Honnefelder/Commissione, T‑130/13 P, EU:T:2013:276, punto 20].

33      Per quanto riguarda la seconda parte del motivo, occorre iniziare constatando come risulti dalla decisione impugnata che, nell’ambito della sua valutazione della richiesta di sospensione, la commissione di ricorso ha preso in considerazione vari elementi. Anzitutto, essa si è fondata sul fatto che la ricorrente non aveva depositato alcun documento a sostegno della richiesta (punti 61, 62 e 64 della decisione impugnata). Poi, essa si è fondata sul fatto che il procedimento di opposizione era già stato sospeso, su richiesta della ricorrente, in sostanza, dal 14 luglio 2011 al 13 dicembre 2017 (punto 62 della decisione impugnata). Infine, la commissione di ricorso si è basata sul fatto che un’azione di decadenza per non uso del marchio anteriore avrebbe potuto essere presentata dalla ricorrente sin dal 3 giugno 2015, vale a dire cinque anni dopo la data di registrazione di tale marchio (punto 63 della decisione impugnata). Sulla base di tali elementi, la commissione di ricorso ha concluso che un’altra sospensione avrebbe indebitamente prolungato il procedimento e arrecato pregiudizio agli interessi dell’interveniente, e che di conseguenza, al fine di garantire il rispetto del principio di buona amministrazione, la richiesta di sospensione doveva essere respinta (punti 62 e 64 della decisione impugnata).

34      Orbene, è giocoforza constatare come la ricorrente non abbia addotto alcun argomento al fine di contestare tale valutazione concreta delle specifiche circostanze della presente controversia, in particolare per quanto riguarda il bilanciamento degli interessi in gioco e la presa in considerazione della fase procedurale. Per il resto, alla luce dei diversi elementi ricordati supra al punto 33, inerenti alla mancanza di documenti prodotti dalla ricorrente, alla precedente sospensione concessa per più di sei anni e alla mancata instaurazione della procedura nazionale di declaratoria di decadenza a partire dal momento in cui ciò era possibile, una valutazione siffatta non può considerarsi viziata da errore manifesto.

35      Infatti, la ricorrente si limita ad affermare che, per principio, poiché essa aveva instaurato dinanzi ad un giudice nazionale un’azione per declaratoria di decadenza del marchio anteriore, il procedimento di ricorso avrebbe dovuto essere sospeso, al fine di evitare il rischio di decisioni contraddittorie. Tuttavia, contrariamente a quanto la ricorrente suggerisce, la commissione di ricorso non è tenuta a sospendere automaticamente il procedimento di ricorso in presenza di una domanda di declaratoria di decadenza del marchio anteriore, dato che, in conformità della giurisprudenza ricordata supra ai punti da 26 a 28, la sospensione resta una facoltà per la commissione di ricorso e che essa dispone in proposito di un ampio potere discrezionale. Infatti, risulta dalla suddetta giurisprudenza, come pure dal tenore letterale dell’articolo 71, paragrafo 1, lettera b), del regolamento delegato 2017/1430 [divenuto articolo 71, paragrafo 1, lettera b), del regolamento delegato 2018/625], che la decisione di sospendere o meno il procedimento è il risultato di un bilanciamento degli interessi in gioco condotto tenendo conto anche della fase in cui si trova il procedimento.

36      Così, il fatto che un’azione per declaratoria di decadenza volta a contestare il marchio anteriore su cui si fonda l’opposizione sia pendente, non è sufficiente, di per sé solo, per qualificare come manifesto errore di valutazione il rifiuto, da parte della commissione di ricorso, di sospendere il procedimento. Infatti, la commissione di ricorso può ritenere che un bilanciamento degli interessi in gioco esiga, malgrado l’esistenza di un’azione per declaratoria di decadenza, il rigetto della richiesta di sospensione [v. sentenza del 14 febbraio 2019, Beko/EUIPO – Acer (ALTUS), T‑162/18, non pubblicata, EU:T:2019:87, punti 38 e 39 e la giurisprudenza ivi citata].

37      Ne consegue che anche la seconda parte del primo motivo di ricorso deve essere respinta perché infondata.

38      Dall’insieme delle considerazioni sopra esposte risulta che il primo motivo di ricorso deve essere respinto.

 Sul secondo motivo, relativo al presunto rischio di confusione tra i segni in conflitto

39      La ricorrente fa valere, in sostanza, che non esiste alcun rischio di confusione tra i marchi in conflitto, dato che il pubblico pertinente dà prova di un livello di attenzione elevato, che i marchi suddetti sono diversi sul piano visivo, che la somiglianza fonetica è irrilevante e che la somiglianza concettuale viene neutralizzata dalle differenze esistenti tra i marchi.

40      L’EUIPO e l’interveniente contestano gli argomenti della ricorrente.

41      Ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento 2017/1001, in seguito all’opposizione del titolare di un marchio anteriore, il marchio richiesto è escluso dalla registrazione se, a causa della sua identità o della sua somiglianza con un marchio anteriore e a causa dell’identità o della somiglianza dei prodotti o dei servizi che i due marchi designano, esiste un rischio di confusione per il pubblico del territorio nel quale il marchio anteriore è tutelato. Il rischio di confusione comprende il rischio di associazione con il marchio anteriore. Inoltre, in virtù dell’articolo 8, paragrafo 2, lettera a), ii), del regolamento 2017/1001, per marchi anteriori occorre intendere i marchi registrati in uno Stato membro, la cui data di deposito sia anteriore a quella della domanda di registrazione di marchio dell’Unione europea.

42      Secondo una consolidata giurisprudenza, costituisce un rischio di confusione il fatto che il pubblico possa credere che i prodotti o i servizi in questione provengano dalla stessa impresa o da imprese economicamente legate tra loro. Secondo questa stessa giurisprudenza, il rischio di confusione deve essere valutato globalmente, in base alla percezione che il pubblico di riferimento ha dei segni e dei prodotti o dei servizi in questione, e tenendo conto di tutti i fattori pertinenti nel caso di specie, e in particolare dell’interdipendenza tra la somiglianza dei segni e quella dei prodotti o dei servizi contraddistinti [v. sentenza del 9 luglio 2003, Laboratorios RTB/UAMI – Giorgio Beverly Hills (GIORGIO BEVERLY HILLS), T‑162/01, EU:T:2003:199, punti da 30 a 33 e la giurisprudenza ivi citata].

43      Ai fini dell’applicazione dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento 2017/1001, un rischio di confusione presuppone un’identità o una somiglianza dei marchi in conflitto e, al tempo stesso, un’identità o una somiglianza dei prodotti o dei servizi che essi contraddistinguono. Tali condizioni sono cumulative [v. sentenza del 22 gennaio 2009, Commercy/UAMI – easyGroup IP Licensing (easyHotel), T‑316/07, EU:T:2009:14, punto 42 e la giurisprudenza ivi citata].

 Sul pubblico di riferimento

44      Secondo la giurisprudenza, nell’ambito della valutazione globale del rischio di confusione, occorre prendere in considerazione il consumatore medio della categoria di prodotti interessata, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto. Occorre anche tener conto del fatto che il livello di attenzione del consumatore medio può variare in funzione della categoria di prodotti o di servizi in questione [v. sentenza del 13 febbraio 2007, Mundipharma/UAMI – Altana Pharma (RESPICUR), T‑256/04, EU:T:2007:46, punto 42 e la giurisprudenza ivi citata].

45      In via preliminare, occorre rilevare che, al punto 24 della decisione impugnata, la commissione di ricorso ha considerato che il territorio pertinente era l’Italia, in quanto il marchio anteriore era una registrazione italiana beneficiante della protezione in questo territorio. Tale valutazione non viene contestata dalla ricorrente.

46      Inoltre, al punto 26 della decisione impugnata, la commissione di ricorso ha affermato che i prodotti interessati dal marchio richiesto erano destinati tanto al grande pubblico, quanto ad un pubblico con competenze specifiche, e che, di conseguenza, il livello di attenzione del pubblico di riferimento variava da normale ad elevato. Successivamente, al punto 27 della decisione impugnata, la commissione di ricorso ha ricordato la giurisprudenza secondo cui, quando il pubblico di riferimento include gruppi di consumatori aventi un differente livello di attenzione, occorre prendere in considerazione il pubblico con il livello di attenzione meno elevato.

47      La ricorrente afferma di non essere d’accordo con la valutazione della commissione di ricorso in merito al livello di attenzione del pubblico di riferimento. Essa fa valere che i prodotti in questione compresi nelle classi 12 e 25 vengono venduti ad un prezzo molto elevato e che pertanto il livello di attenzione del pubblico è elevato. In altri termini, il livello di attenzione del pubblico non varierebbe da normale ad elevato, bensì sarebbe unicamente elevato.

48      A questo proposito, occorre rilevare che l’argomento della ricorrente non soltanto si basa sull’affermazione non dimostrata secondo cui i prodotti in questione verrebbero venduti ad «un prezzo molto elevato», ma è anche infondato. Infatti, se certo è possibile che alcuni dei suddetti prodotti, e segnatamente dei veicoli o degli apparecchi di locomozione rientranti nella classe 12, o che persino dei capi di abbigliamento, delle calzature o dei prodotti di cappelleria rientranti nella classe 25, vengano effettivamente venduti a prezzi elevati, questo non sempre si verifica. È possibile anche che dei capi di abbigliamento, delle calzature o dei prodotti di cappelleria rientranti nella classe 25 vengano venduti a prezzi che non sono elevati, o persino a prezzi bassi o molto bassi. Non si può escludere neppure che alcuni apparecchi di locomozione rientranti nella classe 12 possano essere venduti a prezzi che non sono elevati. Pertanto, il richiamo, da parte della ricorrente, al prezzo elevato dei prodotti in questione compresi nelle classi 12 e 25 riguarda, in ogni caso, soltanto alcuni di questi prodotti. Orbene, le categorie di prodotti in questione, quali contemplate dalla domanda di registrazione di marchio e costituenti l’oggetto del marchio anteriore, non si limitano a tali prodotti dai prezzi elevati, bensì comprendono anche altri prodotti, e spetta all’EUIPO prendere in considerazione il consumatore medio delle suddette categorie e non già un tipo specifico di consumatori di alcuni prodotti in seno ad una più ampia categoria di prodotti [v., in tal senso, sentenza del 19 gennaio 2017, Stock Polska/EUIPO – Lass & Steffen (LUBELSKA), T‑701/15, non pubblicata, EU:T:2017:16, punto 24 e la giurisprudenza ivi citata]. Di conseguenza, giustamente la commissione di ricorso ha affermato che, nell’insieme, il livello di attenzione del pubblico di riferimento per i prodotti in questione variava da normale a elevato e che, allorché il pubblico di riferimento includeva gruppi di consumatori aventi un diverso livello di attenzione, doveva essere preso in considerazione il pubblico con il livello di attenzione meno elevato.

 Sulla comparazione dei prodotti

49      Al punto 31 della decisione impugnata, la commissione di ricorso ha constatato, correttamente, che, come risulta dai punti 3 e 7 supra, i prodotti in questione erano identici.

 Sulla comparazione dei segni

50      La valutazione globale del rischio di confusione deve fondarsi, per quanto attiene alla somiglianza visiva, fonetica o concettuale dei segni in conflitto, sull’impressione d’insieme prodotta da questi ultimi, tenendo conto, in particolare, dei loro elementi distintivi e dominanti. La percezione dei marchi che ha il consumatore medio dei prodotti o dei servizi in questione svolge un ruolo determinante nella valutazione globale del rischio suddetto. A tale proposito, il consumatore medio percepisce normalmente un marchio come un tutt’uno e non procede ad un esame dei suoi singoli elementi (v. sentenza del 12 giugno 2007, UAMI/Shaker, C‑334/05 P, EU:C:2007:333, punto 35 e la giurisprudenza ivi citata).

51      La valutazione della somiglianza tra due marchi non può limitarsi a prendere in considerazione unicamente una componente di un marchio complesso e a paragonarla con un altro marchio. Occorre invece operare il confronto esaminando i marchi in questione, considerati ciascuno nel suo insieme, il che non esclude che l’impressione d’insieme prodotta nella memoria del pubblico pertinente da un marchio complesso possa, in determinate circostanze, essere dominata da una o più delle sue componenti (v. sentenza del 12 giugno 2007, UAMI/Shaker, C‑334/05 P, EU:C:2007:333, punto 41 e la giurisprudenza ivi citata). È solo quando tutte le altre componenti del marchio sono trascurabili che la valutazione della rassomiglianza potrà essere effettuata sulla sola base dell’elemento dominante (sentenze del 12 giugno 2007, UAMI/Shaker, C‑334/05 P, EU:C:2007:333, punto 42, e del 20 settembre 2007, Nestlé/UAMI, C‑193/06 P, non pubblicata, EU:C:2007:539, punto 42). Ciò è quanto può verificarsi, in particolare, qualora tale componente sia suscettibile di dominare da sola l’immagine di tale marchio che il pubblico di riferimento conserva nella propria memoria, di modo che tutte le altre componenti del marchio siano trascurabili nell’impressione d’insieme prodotta da quest’ultimo (sentenza del 20 settembre 2007, Nestlé/UAMI, C‑193/06 P, non pubblicata, EU:C:2007:539, punto 43).

52      Nel caso di specie, al punto 38 della decisione impugnata, la commissione di ricorso ha rilevato, da un lato, che il marchio richiesto era un marchio denominativo costituito dalla parola «innocenti» e, dall’altro, che il marchio anteriore era un marchio figurativo consistente nell’elemento verbale «innocenti», posto alla base del segno in un rettangolo di colore bianco, e in un elemento figurativo composto dalla lettera «i» in carattere minuscolo – in una forma stilizzata che, per una parte del pubblico, le conferiva l’aspetto di una lettera «n» leggermente inclinata –, inserito in un elemento figurativo circolare di colore bianco posto all’interno di una figura rettangolare di colore nero.

53      In tale contesto, anzitutto, ai punti da 40 a 43 della decisione impugnata, la commissione di ricorso ha considerato che i marchi in conflitto presentavano una somiglianza sotto il profilo visivo di grado «medio‑basso», tenuto conto del fatto che le lettere «i», «n», «n», «o», «c», «e», «n», «t» ed «i» coincidevano, che gli elementi figurativi contenuti nel marchio anteriore, compresa la lettera «i» stilizzata, non trovavano corrispondenza nel marchio richiesto, e che i suddetti elementi figurativi non presentavano alcuna particolare originalità e non possedevano un impatto visivo in grado di distogliere l’attenzione del pubblico dagli elementi verbali del marchio.

54      Poi, ai punti 44 e 45 della decisione impugnata, la commissione di ricorso ha affermato che i marchi in conflitto avevano un elevato grado di somiglianza sotto il profilo fonetico, in quanto essi presentavano un’identità fonetica nel suono dato dalla pronuncia della parola «innocenti» ed una differenza consistente nella lettera iniziale «i» del marchio anteriore.

55      Infine, ai punti da 46 a 48 della decisione impugnata, la commissione di ricorso ha considerato che i marchi in conflitto erano quasi identici sul piano concettuale, dato che essi facevano riferimento al medesimo concetto di innocenza, richiamato dall’elemento verbale «innocenti» che corrispondeva al plurale dell’aggettivo italiano «innocente», e che i segni potevano essere percepiti come un riferimento ad un cognome italiano.

56      Sulla base di tutti questi elementi, la commissione di ricorso ha concluso, al punto 49 della decisione impugnata, che i marchi presentavano un grado di somiglianza «abbastanza elevato», a motivo delle forti somiglianze fonetiche e concettuali, che predominano sulle differenze visive.

57      La ricorrente fa valere che la commissione di ricorso ha proceduto ad una comparazione dei segni in questione che non è sufficientemente approfondita. In via preliminare, essa afferma che il marchio richiesto è un marchio denominativo, mentre il marchio anteriore è un marchio misto. Essa contesta la conclusione della commissione di ricorso secondo cui i marchi sono simili sul piano visivo. Secondo la ricorrente i marchi sono differenti. In particolare, sarebbe evidente che il marchio anteriore «[è] un marchio misto dove prevale nettamente l’elemento figurativo sotto il quale, la scritta “innocenti” è quasi invisibile». Dato che il «vero cuore» del marchio anteriore è l’elemento figurativo, tale marchio sarebbe «ben divers[o]» dal marchio denominativo richiesto. Essa aggiunge che la commissione di ricorso ha commesso un errore nell’affermare che l’elemento figurativo del marchio anteriore non presentava alcuna originalità, dal momento che, oltre a potersi trattare della semplice vocale dell’alfabeto «i», il suddetto elemento figurativo appare «come la figura stilizzata di un corpo umano in posizione ginnica». Poi, la ricorrente fa valere che, tenuto conto del fatto che i prodotti riguardati dal marchio anteriore sono esposti in negozio e sono a vista del cliente, il quale, a seconda dei suoi gusti, è in grado di osservare e scegliere l’articolo che maggiormente gli aggrada, l’aspetto fonetico è totalmente irrilevante, e ciò a maggior ragione se il marchio presente sugli articoli in questione è di diversa natura. Infine, la ricorrente fa valere che le differenze rilevate sul piano grafico, visivo e fonetico permettono di neutralizzare l’asserita somiglianza sul piano concettuale.

58      Per quanto riguarda, in primo luogo, gli elementi distintivi e dominanti dei segni in conflitto, occorre ricordare che, qualora un marchio sia composto da elementi verbali e da elementi figurativi, i primi sono, in linea di principio, più distintivi dei secondi, in quanto il consumatore medio farà più facilmente riferimento ai servizi in questione citando il nome del marchio piuttosto che descrivendo l’elemento figurativo del marchio stesso [sentenza del 20 settembre 2007, Nestlé/UAMI, C‑193/06 P, non pubblicata, EU:C:2007:539, punto 39; v., altresì, sentenza del 25 maggio 2016, Ice Mountain Ibiza/EUIPO – Marbella Atlantic Ocean Club (ocean ibiza), T‑6/15, non pubblicata, EU:T:2016:310, punto 45 e la giurisprudenza ivi citata].

59      Nel caso di specie, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, gli elementi figurativi non dominano l’immagine del marchio anteriore in modo tale per cui l’elemento verbale «innocenti» sarebbe quasi invisibile. Infatti, come rilevato dalla commissione di ricorso, i suddetti elementi figurativi non presentano alcuna particolare originalità e non possiedono un impatto visivo in grado di distogliere l’attenzione del pubblico dagli elementi verbali. Da un lato, il rettangolo nero e il cerchio bianco costituiscono forme geometriche semplici e basilari. Dall’altro lato, la lettera «i» stilizzata posta nelle suddette forme geometriche, malgrado le sue dimensioni, non distoglie l’attenzione del pubblico dall’elemento verbale «innocenti» situato sotto la base del rettangolo nero. La lettera suddetta pare persino mettere più in evidenza tale elemento verbale, nella misura in cui essa è suscettibile di essere percepita come una rappresentazione stilizzata della prima e dell’ultima lettera del suddetto elemento verbale. Anche supponendo che la lettera stilizzata di cui sopra possa essere percepita, da una parte del pubblico, come una rappresentazione stilizzata della lettera «n» leggermente inclinata, così come indicato dalla commissione di ricorso, oppure come una rappresentazione stilizzata di un corpo umano in posizione ginnica, come affermato dalla ricorrente, in ogni caso il suddetto elemento figurativo non dominerebbe per questo il marchio anteriore e non renderebbe l’elemento verbale trascurabile agli occhi del pubblico di riferimento, tanto più che questo elemento verbale è situato al di fuori e alla base del rettangolo nero comprendente l’elemento figurativo, che esso occupa tutta la larghezza del segno e che è scritto in caratteri maiuscoli di dimensioni tali per cui, pur essendo proporzionalmente più piccolo dell’elemento figurativo, esso è chiaramente leggibile e non può passare inosservato.

60      Di conseguenza, poiché gli elementi figurativi compresi nel marchio anteriore non possono essere considerati dominanti e l’elemento verbale compreso in tale marchio non può essere considerato trascurabile, la commissione di ricorso ha agito correttamente là dove, in conformità della giurisprudenza ricordata supra al punto 51, ha preso in considerazione, nella comparazione dei segni, il marchio anteriore nel suo insieme.

61      Per quanto riguarda, in secondo luogo, la comparazione dei segni in conflitto sotto il profilo visivo, occorre anzitutto ricordare come nulla osti a che venga verificata l’esistenza di una somiglianza visiva tra un marchio denominativo e un marchio figurativo, posto che questi due tipi di marchi hanno una configurazione grafica capace di dar luogo ad un’impressione visiva [v. sentenza del 4 maggio 2005, Chum/UAMI – Star TV (STAR TV), T‑359/02, EU:T:2005:156, punto 43 e la giurisprudenza ivi citata].

62      Nel caso di specie, anzitutto, occorre respingere l’allegazione della ricorrente secondo cui i segni in conflitto non sono simili sotto il profilo visivo, bensì differenti. Infatti, nella misura in cui l’elemento verbale contenuto nel marchio anteriore non può essere trascurato, è giocoforza constatare che, come giustamente rilevato dalla commissione di ricorso, il gruppo di lettere costituente il suddetto elemento verbale coincide con il gruppo di lettere costituente il marchio denominativo richiesto. In altri termini, il segno verbale costituente il marchio richiesto è interamente compreso nel marchio anteriore. Date tali circostanze, la commissione di ricorso non è incorsa in alcun errore nel ritenere che i segni in conflitto fossero simili dal punto di vista visivo e che, a motivo degli elementi figurativi compresi nel marchio anteriore che non hanno equivalente nel marchio richiesto, tale somiglianza fosse, in sostanza, di grado modesto o, tutt’al più, medio.

63      Pertanto, gli argomenti della ricorrente inerenti alla comparazione dei segni sotto il profilo visivo devono essere respinti perché infondati.

64      Per quanto riguarda, in terzo luogo, la comparazione dei segni in conflitto sul piano fonetico, è giocoforza constatare come la ricorrente non rimetta in discussione il fatto che, come giustamente rilevato dalla commissione di ricorso, i segni in conflitto presentano un grado elevato di somiglianza fonetica, in quanto essi coincidono nella pronuncia del gruppo di lettere «innocenti» e differiscono soltanto per l’eventuale pronuncia dell’elemento iscritto nel cerchio bianco del marchio anteriore, indipendentemente dal fatto che esso venga pronunciato come la lettera «i» o come la lettera «n». La ricorrente fa soltanto valere che, nel caso di specie, tenuto conto delle modalità di acquisto dei prodotti riguardati dai marchi in questione, tale somiglianza è irrilevante, tanto più che i marchi sarebbero di natura differente.

65      Orbene, da un lato, nella misura in cui la ricorrente contesta la rilevanza della somiglianza fonetica dei segni in conflitto alla luce delle modalità di acquisto dei prodotti in questione, occorre osservare come un argomento siffatto riguardi gli elementi da prendere in considerazione nell’ambito della valutazione del rischio di confusione, e non, come tale, ai fini della comparazione dei segni in conflitto sul piano fonetico. Dall’altro lato, nella misura in cui l’argomento della ricorrente si fonda sulla «diversa natura» dei segni in conflitto, vale a dire sul fatto che uno costituisce un marchio denominativo e l’altro un marchio figurativo, occorre rilevare che nulla osta a che una somiglianza fonetica venga constatata, nel caso di specie, tra i segni suddetti, dato che, se invero gli elementi figurativi compresi nel marchio anteriore non possono essere pronunciati, possono invece esserlo gli elementi verbali compresi in tale marchio.

66      Pertanto, gli argomenti della ricorrente inerenti alla comparazione dei segni sotto il profilo fonetico devono essere respinti perché in parte inoperanti e in parte infondati.

67      Per quanto riguarda, in quarto luogo, la comparazione dei segni in conflitto sul piano concettuale, è giocoforza constatare come la ricorrente non rimetta in discussione neppure il fatto che, come giustamente rilevato dalla commissione di ricorso, i segni in conflitto sono «pressoché identici» sul piano concettuale, in quanto essi fanno riferimento al medesimo concetto di innocenza. La ricorrente fa soltanto valere che tale «asserita somiglianza sul piano concettuale» viene neutralizzata dalle differenze rilevate sotto il profilo grafico, visivo e fonetico.

68      A questo proposito, da un lato, occorre rilevare che la giurisprudenza alla quale la ricorrente si richiama al fine di suffragare la neutralizzazione suddetta, ossia la sentenza del 23 marzo 2006, Mülhens/UAMI (C‑206/04 P, EU:C:2006:194, punto 35), riguarda il caso in cui due segni presentino differenze concettuali idonee a neutralizzare delle somiglianze visive e fonetiche, a condizione che almeno uno di questi segni abbia, per il pubblico di riferimento, un significato chiaro e determinato, tale da poter essere colto da questo pubblico direttamente (v. sentenza del 5 ottobre 2017, Wolf Oil/EUIPO, C‑437/16 P, non pubblicata, EU:C:2017:737, punto 43 e la giurisprudenza ivi citata), e che l’altro marchio non abbia un significato siffatto od abbia un significato completamente differente [v. sentenza del 7 novembre 2017, Mundipharma/EUIPO – Multipharma (MULTIPHARMA), T‑144/16, non pubblicata, EU:T:2017:783, punto 54 e la giurisprudenza ivi citata]. Infatti, la summenzionata giurisprudenza verte sulla valutazione del grado delle differenze concettuali idonee a portare alla neutralizzazione delle somiglianze visive e fonetiche e tale analisi deve essere preceduta dalla constatazione delle differenze concettuali tra i segni in conflitto (v. sentenza del 5 ottobre 2017, Wolf Oil/EUIPO, C‑437/16 P, non pubblicata, EU:C:2017:737, punto 44 e la giurisprudenza ivi citata). Orbene, nel caso di specie, i segni in conflitto non presentano alcuna differenza concettuale, bensì sono «pressoché identici» sotto questo profilo, ciò che del resto non viene contestato. Dall’altro lato, in ogni caso, è giocoforza constatare che, contrariamente a quanto viene suggerito dalla ricorrente, i segni in conflitto non presentano neppure differenze visive e fonetiche suscettibili di neutralizzare la loro somiglianza concettuale, dato che, al contrario, essi presentano delle somiglianze tanto sul piano visivo quanto sul piano fonetico.

69      Pertanto, gli argomenti della ricorrente inerenti alla neutralizzazione della somiglianza sul piano concettuale devono essere respinti perché infondati.

70      Alla luce di tali circostanze, tenuto conto della somiglianza visiva debole o, tutt’al più, media, della somiglianza fonetica elevata e della quasi identità concettuale, giustamente la commissione di ricorso ha concluso che i segni in conflitto erano complessivamente simili e che tale somiglianza era, in sostanza, piuttosto elevata.

 Sul rischio di confusione

71      La valutazione globale del rischio di confusione implica una certa interdipendenza tra i fattori presi in considerazione, e in particolare tra la somiglianza dei marchi e quella dei prodotti o dei servizi contrassegnati. Pertanto, un debole grado di somiglianza tra i prodotti o i servizi contrassegnati può essere compensato da un elevato grado di somiglianza tra i marchi, e viceversa [sentenze del 29 settembre 1998, Canon, C‑39/97, EU:C:1998:442, punto 17, e del 14 dicembre 2006, Mast‑Jägermeister/UAMI – Licorera Zacapaneca (VENADO con riquadro e a.), T‑81/03, T‑82/03 e T‑103/03, EU:T:2006:397, punto 74].

72      Nel caso di specie, ai punti da 53 a 57 della decisione impugnata, la commissione di ricorso ha, anzitutto, rilevato che il marchio anteriore presentava un carattere distintivo intrinseco normale, circostanza questa che non è contestata. Essa ha poi osservato che i prodotti controversi erano identici e che i segni in conflitto erano, nell’insieme, simili. Infine, essa ha dichiarato che l’identità dei prodotti era idonea a compensare le eventuali differenze tra i segni che il pubblico avrebbe potuto percepire. Sulla base di tali elementi, la commissione di ricorso ha concluso che esisteva un rischio di confusione, e ciò anche per il più attento dei consumatori dei prodotti in questione.

73      La ricorrente sostiene, in sostanza, che non esiste alcun rischio di confusione tra i segni in conflitto. Essa fa leva sul fatto che i segni in conflitto sono «di diversa natura», in quanto il marchio richiesto è un marchio denominativo ed il marchio anteriore è un marchio figurativo. Inoltre, come rilevato supra ai punti 64 e 65, essa sostiene che l’aspetto fonetico è «totalmente irrilevante» e che dunque è scongiurato il rischio di confusione.

74      Orbene, questi argomenti non sono fondati. Da un lato, per quanto riguarda l’argomento relativo alla diversa natura dei segni in conflitto, occorre rilevare che nulla esclude, per principio, che un marchio denominativo e un marchio figurativo siano simili, anche sul piano visivo, e che, di conseguenza, purché siano simili anche i prodotti o i servizi cui i due marchi si riferiscono, possa esistere un rischio di confusione tra i due tipi di marchi. Dall’altro lato, per quanto riguarda l’argomento relativo all’irrilevanza dell’aspetto fonetico, se è sicuramente esatto che il grado di somiglianza fonetica tra due marchi presenta un’importanza ridotta nel caso di prodotti che vengono commercializzati in modo tale per cui, di solito, il pubblico pertinente, al momento dell’acquisto, percepisce il marchio che li designa parimenti in modo visivo [v. sentenza dell’11 dicembre 2013, Eckes‑Granini/UAMI – Panini (PANINI), T‑487/12, non pubblicata, EU:T:2013:637, punto 64 e la giurisprudenza ivi citata], ciò non significa per questo, anche supponendo che detta giurisprudenza sia applicabile nel caso di specie, che una siffatta somiglianza fonetica sia totalmente irrilevante e che, per ciò solo, possa escludersi un rischio di confusione.

75      Per il resto, anche supponendo che gli argomenti della ricorrente debbano essere intesi nel senso che i segni in conflitto presentano tali differenze da escludere un rischio di confusione tra essi, un argomento di tal genere non sarebbe fondato. Infatti, come giustamente rilevato dalla commissione di ricorso nella sua valutazione del rischio di confusione, i segni in conflitto sono complessivamente simili, tenuto conto della loro quasi identità concettuale e della loro somiglianza visiva, e ciò anche qualora si attribuisse un’importanza ridotta alla loro elevata somiglianza fonetica. Di conseguenza, tenuto conto del fatto che i marchi in questione sono simili nel loro insieme e che i prodotti in questione sono identici, nessun errore può imputarsi alla commissione di ricorso là dove essa ha concluso per l’esistenza di un rischio di confusione tra i segni in conflitto, alla luce anche del carattere distintivo intrinseco normale del marchio anteriore, che non è contestato, nonché del livello di attenzione normale del pubblico di riferimento.

76      Inoltre, a quest’ultimo proposito, come indicato dalla commissione di ricorso nella decisione impugnata, occorre ricordare che, secondo una consolidata giurisprudenza, per quanto concerne la valutazione del rischio di confusione, occorre prendere in considerazione il pubblico con il livello di attenzione meno elevato [v. sentenza del 19 gennaio 2017, Morgan & Morgan/EUIPO – Grupo Morgan & Morgan (Morgan & Morgan), T‑399/15, non pubblicata, EU:T:2017:17, punto 30 e la giurisprudenza ivi citata]. Pertanto, non è necessario esaminare il rischio di confusione per quella parte del pubblico di riferimento che presenta un elevato livello di attenzione [sentenze del 14 dicembre 2017, RRTec/EUIPO – Mobotec (RROFA), T‑912/16, non pubblicata, EU:T:2017:905, punto 56, e del 14 febbraio 2019, Torro Entertainment/EUIPO – Grupo Osborne (TORRO Grande MEAT IN STYLE), T‑63/18, non pubblicata, EU:T:2019:89, punto 65].

77      Ad ogni modo, come giustamente rilevato dalla commissione di ricorso, il suddetto rischio di confusione sussisterebbe anche per la parte del pubblico di riferimento che dà prova di un elevato livello di attenzione, dal momento che anche i membri di questo pubblico hanno solo raramente la possibilità di procedere ad un raffronto diretto dei diversi marchi, dovendo essi fare piuttosto affidamento sull’immagine imperfetta degli stessi che hanno conservato nella loro memoria, e che, di conseguenza, anche i consumatori suddetti potrebbero credere che i prodotti in questione, i quali sono identici, provengano dalla medesima impresa o da imprese economicamente collegate, tenuto conto della somiglianza dei marchi in questione nel loro insieme.

78      Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre respingere il secondo motivo perché infondato e, di conseguenza, rigettare il ricorso nella sua interezza.

 Sulle spese

79      Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la ricorrente è rimasta soccombente, occorre condannarla alle spese sostenute nell’ambito del presente procedimento, in conformità delle conclusioni presentate dall’EUIPO e dall’interveniente.

80      Inoltre, l’interveniente ha concluso chiedendo la condanna della ricorrente a rifondergli le spese sostenute nel corso delle fasi precedenti, vale a dire nell’ambito del procedimento dinanzi all’EUIPO.

81      A questo proposito, occorre ricordare che, a norma dell’articolo 190, paragrafo 2, del regolamento di procedura, le spese indispensabili sostenute dalle parti ai fini del procedimento dinanzi alla commissione di ricorso sono considerate come spese ripetibili. Tuttavia, lo stesso non vale per quanto riguarda le spese sostenute ai fini del procedimento dinanzi alla divisione di opposizione [sentenza del 26 ottobre 2017, Sulayr Global Service/EUIPO – Sulayr Calidad (sulayr GLOBAL SERVICE), T‑685/15, non pubblicata, EU:T:2017:761, punto 53].

82      In ogni caso, è giocoforza constatare che, nel caso di specie, nella decisione impugnata, la ricorrente è stata condannata, dalla commissione di ricorso, a rifondere all’interveniente delle somme a titolo delle spese che quest’ultimo aveva sostenuto nell’ambito delle procedure di opposizione e di ricorso. Pertanto, dato che la presente sentenza respinge il ricorso proposto contro la decisione impugnata, è il dispositivo di quest’ultima che continua a disciplinare le spese in questione [v., in tal senso, sentenze del 10 ottobre 2017, Cofra/EUIPO – Armand Thiery (1841), T‑233/15, non pubblicata, EU:T:2017:714, punto 127, e del 19 ottobre 2017, Aldi/EUIPO – Sky (SKYLITe), T‑736/15, non pubblicata, EU:T:2017:729, punto 131].

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Settima Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Innocenti SA è condannata a sopportare le proprie spese nonché quelle sostenute, nell’ambito del presente procedimento, dall’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) e dal sig. Filippo Gemelli.

Tomljenović

Marcoulli

Kornezov

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 13 giugno 2019.

Il cancelliere

 

Il presidente

E. Coulon

 

       V. Tomljenović


*      Lingua processuale: l’italiano.