Language of document : ECLI:EU:T:1999:263

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Prima Sezione ampliata)

20 ottobre 1999 (1)

«Difesa contro le pratiche di dumping - Dazio istituito sulle importazioni di accendini tascabili originari delle Filippine - Nesso di causalità tra esportazioni in quantità estremamente limitata e l'esistenza di un pregiudizio causato all'industria comunitaria»

Nella causa T-171/97,

Swedish Match Philippines Inc., società di diritto filippino, con sede in Manila (Filippine), rappresentata dall'avv. Francisco Miguel Rodero López, del foro di Madrid, con domicilio eletto in Lussemburgo presso lo studio dell'avv. Lucy Dupong, 14 A, rue des Bains,

ricorrente,

contro

Consiglio dell'Unione europea, rappresentato dai signori Ramon Torrent e Antonio Tanca, membri del servizio giuridico, in qualità di agenti, assistiti dagli avv.ti Hans-Jürgen Rabe e Georg M. Berrisch, del foro di Amburgo, con domicilio eletto in Lussemburgo presso il signor Alessandro Morbilli, direttore generale della direzione «Affari giuridici» della Banca europea per gli investimenti, 100, boulevard Konrad Adenauer,

convenuto,

sostenuto da

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai signori Viktor Kreuschitz, consigliere giuridico, e dal signor Nicholas Khan, membro del servizio giuridico, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo presso il signor Carlos Gómez de la Cruz, membro dello stesso servizio, Centre Wagner, Kirchberg,

interveniente,

avente ad oggetto il ricorso diretto all'annullamento parziale del regolamento (CE) del Consiglio 3 marzo 1997, n. 4023, che modifica il regolamento (CEE) n. 3433/91 riguardo alle importazioni originarie della Tailandia e che impone dazi antidumping definitivi sulle importazioni di accendini tascabili, a pietra focaia e a gas, non ricaricabili originari della Tailandia, delle Filippine e del Messico (GU L 65, pag. 1), come modificato con l'art. 1 del regolamento (CE) del Consiglio 28 luglio 1997, n. 1508 (GU L 204, pag. 7),

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Prima Sezione ampliata),

composto dai signori B. Vesterdorf, presidente, C.W. Bellamy, J. Pirrung, A.W.H. Meij e signor Vilaras, giudici,

cancelliere: B. Pastor, amministratore principale,

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 4 maggio 1999,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Ambito normativo

1.
    Il Consiglio adottava il 22 dicembre 1995 il regolamento (CE) n. 384/96, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU L 56, pag. 1, in prosieguo: il «regolamento base»), al fine, in particolare, di adeguare le norme comunitarie all'Accordo relativo all'applicazione dell'articolo VI dell'accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio 1994 (GU L 336, pag. 103, in prosieguo: il «codice antidumping del 1994»).

2.
    A tenore dell'art. 1, nn. 1 e 2, del regolamento base, un dazio antidumping può essere imposto su qualsiasi prodotto oggetto di dumping la cui immissione in libera pratica nella Comunità causi un pregiudizio; un prodotto è considerato oggetto di dumping quando il suo prezzo all'esportazione nella Comunità è inferiore ad un prezzo comparabile del prodotto simile, applicato nel paese esportatore.

3.
    L'art. 3 del regolamento base, avente ad oggetto l'accertamento di un pregiudizio, è redatto come segue:

    «1. Ai fini del presente regolamento si intende per ”pregiudizio”, salvo altrimenti disposto, un pregiudizio grave, la minaccia di pregiudizio grave a danno dell'industria comunitaria (...)

    2. L'accertamento di un pregiudizio si basa su prove positive e implica un esame obiettivo a) del volume delle importazioni oggetto di dumping e dei loro effetti sui prezzi dei prodotti simili sul mercato comunitario, e b) dell'incidenza di tali importazioni sull'industria comunitaria.

    3. Per quanto riguarda il volume delle importazioni oggetto di dumping, occorre esaminare se queste ultime sono aumentate in misura significativa, tanto in termini assoluti quanto in rapporto alla produzione o al consumo nella Comunità. Riguardo agli effetti sui prezzi si esamina se le importazioni oggetto di dumping sono state effettuate a prezzi sensibilmente inferiori a quelli dei prodotti simili dell'industria comunitaria oppure se tali importazioni hanno comunque l'effetto di deprimere notevolmente i prezzi o di impedire in misura notevole aumenti che altrimenti sarebbero intervenuti. Questi fattori, singolarmente o combinati, non costituiscono necessariamente una base di giudizio determinante.

    4. Se le importazioni di un prodotto da più di un paese sono simultaneamente oggetto di inchieste antidumping, gli effetti di tali importazioni possono essere valutati cumulativamente solo se è accertato che a) il margine di dumping stabilito per le importazioni da ciascun paese è superiore a quello minimo definito all'articolo 9, paragrafo 3 [= 2%] e il volume delle importazioni da ciascun paese non è trascurabile e che b) la valutazione cumulativa degli effetti delle importazioni oggetto di dumpingè opportuna alla luce delle condizioni della concorrenza tra i prodotti importati e tra questi ultimi e il prodotto comunitario simile.

    5. L'esame dell'incidenza delle importazioni oggetto di dumping sull'industria comunitaria interessata comprende una valutazione di tutti i fattori e indicatori economici pertinenti in rapporto con la situazione dell'industria (...)

    6. Deve essere dimostrato, in base a tutti gli elementi di prova, presentati in conformità con il paragrafo 2, che le importazioni oggetto di dumping causano pregiudizio ai sensi del presente regolamento. In particolare, occorre dimostrare che il volume e/o i prezzi individuati a norma del paragrafo 3 hanno sull'industria comunitaria gli effetti contemplati nel paragrafo 5 e che questa incidenza si manifesta in misura che può essere considerata grave.

(...)»

4.
    L'art. 20, nn. 1 e 2, del regolamento base dispone che i denunzianti, gli importatori e gli esportatori, in particolare, possono chiedere un'informazione finale sui fatti e sulle considerazioni essenziali in base ai quali si prevede di raccomandare l'adozione di misure definitive. Detto articolo, ai nn. 4 e 5, è redatto come segue:

    «4. Le informazioni finali sono comunicate per iscritto. La trasmissione tiene debitamente conto dell'esigenza di tutelare le informazioni riservate, avviene il più rapidamente possibile e di norma entro un mese prima della decisione definitiva o della presentazione di qualsiasi proposta di atto definitivo (...). La divulgazione delle informazioni non pregiudica qualsiasi eventuale decisione della Commissione o del Consiglio, ma, qualora tale decisione si basi su fatti o considerazioni diversi, questi sono comunicati il più rapidamente possibile.

    5. Le osservazioni presentate dopo l'informazione finale sono prese in considerazione unicamente se sono ricevute entro un termine fissato dalla Commissione, per ciascun caso, in funzione dell'urgenza della questione e comunque non inferiore a dieci giorni».

Fatti all'origine della lite, misure antidumping adottate, procedimento e conclusioni delle parti

Antefatti della lite

5.
    La ricorrente fa parte del gruppo Swedish Match la cui società madre è la Swedish Match SA con sede a Nyons in Svizzera. La ricorrente appartiene per il 99,99% alla Swedish Match International BV. Un'altra società controllata del gruppo Swedish Match è la società Poppel BV nei Paesi Bassi (in prosieguo: la «Poppell»).

6.
    Nell'agosto 1994, alcuni produttori comunitari, fra cui una società appartenente al gruppo Swedish Match, presentavano una denuncia alla Commissione contro importazioni di alcuni tipi di accendini originari delle Filippine.

7.
    Il 18 marzo 1995 la Commissione annunciava, a seguito di dette denunce, l'apertura di un procedimento antidumping. L'inchiesta della Commissione riguardava il periodo 1° aprile-31 dicembre 1994. E' assodato che, nel corso di tale periodo, la ricorrente effettuava un'unica esportazione di accendini nella Comunità, a destinazione della sua società sorella Poppell in quanto importatrice collegata ai produttori/esportatori.

8.
    Nell'ambito della sua inchiesta, la Commissione inviava inanzittuto questionari a tutte le parti notoriamente interessate. Nella sua risposta al questionario inviatole, la ricorrente forniva informazioni sul suo regime giuridico, sulla sua produzione e sulle sue vendite, e designava, nella rubrica «Dettagli sulla società», il suo presidente e il suo controllore finanziario in quanto «persone da contattare» (allegato 4 del ricorso).

9.
    Il 30 settembre 1996 la Commissione emetteva, in forza dell'art. 20, n. 4, del regolamento base, una lettera di trasmissione unica che era indirizzata contemporaneamente

-    alla Swedish Match, Nyons (Svizzera), in particolare al signor Picard,

-    al signor Picard della Swedish Match Lighter Division, Rillieux-la-Pape (Francia),

-    al controllore finanziario della ricorrente, Manila (Filippine),

-    alla società Poppell nei Paesi Bassi.

Detta lettera aveva per oggetto il «procedimento antidumping relativo a importazioni di (...) accendini originari delle Filippine - informazione finale delle società appartenenti [al] gruppo (Swedish Match Filippine Inc., in quanto esportatore, Poppell BV, in quanto importatore e direzione) sui fatti e sulle considerazioni essenziali prese in considerazione ai fini delle proposte considerate dalla Commissione». I destinatari erano invitati a presentare, entro l'11 ottobre 1996, le loro eventuali osservazioni sull'informazione finale allegata alla lettera.

10.
    Nella suddetta informazione finale la Commissione constatava, in particolare, un margine di dumping del 36,7% e un margine di sottoquotazione («underselling margin») del 13% in capo alla ricorrente. Quest'ultima non si pronunciava su tale documento nel termine impartitole, scaduto l'11 ottobre 1996.

Regolamento antidumping (CE) n. 423/97

11.
    Al termine del summenzionato procedimento, il Consiglio adottava, il 3 marzo 1997, il regolamento (CE) n. 423/97, che modifica il regolamento (CEE) n. 3433/91 riguardo alle importazioni originarie della Tailandia e che impone dazi antidumping definitivi sulle importazioni di accendini tascabili, a pietra focaia e a gas, non ricaricabili originari della Tailandia, delle Filippine e del Messico (GU L 65, pag. 1, in prosieguo: il «regolamento n. 423/97» o il «regolamento controverso». L'art. 2 di detto regolamento ha, in particolare, fissato un dazio antidumping definitivo per il 43% sugli accendini importati dalle Filippine, salvo per quelli fabbricati e venduti dalla ricorrente, per i quali è stata fissata un'aliquota del 17%.

12.
    Ai punti 33 e 34 dei 'considerando‘ del regolamento n. 423/97, il Consiglio constatava l'esistenza di una media ponderata dei margini di dumping, per tutti i produttori ed esportatori filippini che avevano collaborato, del 52,6%, ad eccezione della ricorrente, il cui margine ammontava al 36,7%.

13.
    Per quanto concerne la determinazione di un pregiudizio, il Consiglio procedeva ad una valutazione cumulativa, ai sensi dell'art. 3, n. 4, del regolamento base, dell'effetto simile e simultaneo delle importazioni oggetto di dumping in provenienza dai tre paesi considerati, vale a dire dalla Thailandia, dalle Filippine e dal Messico (punti 40-44 dei 'considerando‘).

14.
    Per quanto attiene ai prezzi delle importazioni oggetto di dumping, il Consiglio rilevava che «il livello medio della sottoquotazione dei prezzi, espresso in percentuale del prezzo medio dell'industria comunitaria, era superiore al 30 % in tutti i casi, con un'unica eccezione (la società filippina collegata al gruppo Swedish Match, le cui esportazioni nella Comunità, in quantitativi molto ridotti, non potevano essere considerate rappresentative delle esportazioni filippine di accendini non ricaricabili). I prezzi degli accendini non ricaricabili importati dai paesi interessati erano quindi sensibilmente inferiori a quelli applicati dai produttori comunitari nel periodo dell'inchiesta» (punto 50 dei 'considerando‘).

15.
    Quanto alla situazione dell'industria comunitaria, il Consiglio constatava che i prezzi medi, dopo un leggero aumento sino al 1992, erano in seguito lievemente diminuiti, pur osservando che, nel tentativo di conservare la sua quota di mercato, nel periodo in esame l'industria comunitaria aveva venduto crescenti quantitativi di prodotti di particolare fattura (per esempio, accendini che normalmente sarebbero stati venduti a prezzi superiori). L'inchiesta avrebbe così messo inevidenza che non era stato possibile applicare i prezzi più elevati, con conseguenze negative per la redditività dell'industria comunitaria (punto 54 dei 'considerando‘).

16.
    Nelle sua conclusione in materia di pregiudizio, il Consiglio rilevava, segnatamente, che «i prezzi delle importazioni erano sostanzialmente inferiori ai prezzi medi dell'industria comunitaria, con un margine superiore al 30 % (a eccezione della società filippina collegata ad un produttore comunitario, le cui esportazioni non erano sufficienti per essere considerate rappresentative delle esportazioni filippine)» (punto 57 dei 'considerando‘).

17.
    Nella sua conclusione sul rapporto di causalità, il Consiglio riteneva che le importazioni oggetto di dumping in provenienza dalla Thailandia, dalle Filippine e dal Messico avevano di per sè causato un pregiudizio grave all'industria comunitaria. Questa conclusione sarebbe stata basata, in particolare, sul livello della sottoquotazione dei prezzi e sui quantitativi esportati, che avrebbero esercitato una forte pressione verso il ribasso sui prezzi (punto 71 dei 'considerando‘.

18.
    Il Consiglio considerava infine che le misure dirette all'eliminazione del pregiudizio potevano essere fissate ad un livello inferiore ai margini di dumping. Perseguendo tale scopo, confrontava i prezzi di vendita di ciascuno esportatore con i prezzi di vendita dei produttori comunitari, corrispondenti al costo di produzione di questi produttori nonché a un equo margine di profitto. Riteneva adeguato limitare al 10% il margine di profitto usato per la determinazione del livello necessario per eliminare il pregiudizio (punti 79-82 dei 'considerando‘).

Regolamento (CE) n. 1508/97

19.
    Col regolamento (CE) 28 luglio 1997, n. 1508, che modifica il regolamento n. 423/97 (GU L 204, pag. 7, in prosieguo: il «regolamento n. 1508/97»), il Consiglio correggeva un errore nel calcolo del dazio antidumping per le importazioni della ricorrente e fissava tale dazio nella misura del 13%. Dinanzi al Tribunale il Consiglio precisava che tale modifica aveva effetto retroattivo e l'eccedenza riscossa sarebbe stata restituita alla ricorrente.

Procedimento

20.
    Il 5 giugno 1997 la ricorrente ha proposto il ricorso in esame, che era inizialmente diretto contro il solo regolamento n. 423/97. Tuttavia, essa ha tenuto conto, nella replica, dell'entrata in vigore del regolamento n. 1508/97, e ha riformulato conseguentemente le sue conclusioni.

21.
    Con ordinanza del Presidente della Seconda Sezione ampliata 12 dicembre 1997, la Commissione è stata ammessa ad intervenire a sostegno delle conclusioni del Consiglio. La Commissione non ha tuttavia depositato una memoria d'intervento.

22.
    Con decisione del Tribunale 21 settembre 1997, il giudice relatore è stato assegnato alla Prima Sezione ampliata, alla quale è stata conseguentemente attribuita la causa.

23.
    Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Prima Sezione ampliata) ha deciso di passare alla fase orale senza procedere all'istruttoria. Esso tuttavia ha chiesto al Consiglio di rispondere per iscritto ad una questione relativa alla quantità delle esportazioni effettuate dalla ricorrente.

24.
    Le parti hanno svolto le proprie difese orali e risposto ai quesiti del Tribunale all'udienza del 4 maggio 1999.

25.
    La ricorrente conclude che il Tribunale voglia:

-    annullare l'art. 2, n. 2, lett. b), del regolamento n. 423/97, come modificato dall'art. 1 del regolamento n. 1508/97, nella misura in cui esso la riguarda; i termini «nella misura in cui esso la riguarda» devono essere interpretati nel senso che comprendono la sospensione, nei confronti della ricorrente, dell'applicazione del dazio residuo, previsto da detto articolo;

-    condannare il convenuto alle spese.

26.
    Il Consiglio conclude che il Tribunale voglia:

-    respingere il ricorso;

-    condannare la ricorrente alle spese.

Nel merito

27.
    A sostegno del suo ricorso la ricorrente adduce tre motivi. Col primo motivo, relativo ad una violazione dell'art. 20, n. 4, del regolamento base, la ricorrente denuncia le condizioni nelle quali le è stata notificata l'informazione finale, nonché l'imprecisione di cui quest'ultima sarebbe stata inficiata. I vizi relativi all'informazione finale costituirebbero del pari una violazione dei suoi diritti di difesa. Col secondo motivo, attinente ad una violazione dell'art. 1, n. 1, e dell'art. 3, nn. 2 e 6 del regolamento base, la ricorrente fa valere, in sostanza, che il pregiudizio causato all'industria comunitaria non è affatto imputabile alle sue esportazioni. Col terzo motivo la ricorrente rimprovera al Consiglio di non avere sufficientemente motivato il regolamento controverso.

Sul primo motivo, relativo ad una violazione dell'art. 20, n. 4, del regolamento base e dei diritti di difesa della ricorrente

Argomenti delle parti

28.
    Col primo motivo la ricorrente denuncia una duplice violazione dell'art. 20, n. 4, del regolamento base. Fa valere che l'informazione finale, da un lato, non le è stata adeguatamente notificata, e, dall'altro, non conteneva sufficienti informazioni sul modo con cui la Commissione aveva calcolato il margine di pregiudizio.

29.
    In primo luogo, essa sostiene che l'informazione finale inviatale avrebbe dovuto essere comunicata anche al suo rappresentante legale a Bruxelles, vale a dire allo studio di avvocati Eureka (in prosieguo: l'«Eureka»). Essa osserva che, ai fini del procedimento antidumping, aveva eletto domicilio a Bruxelles, ma che l'informazione finale non è stata notificata a detto domicilio. Questa mancata notifica dell'informazione finale presso l'indirizzo dell'Eureka le avrebbe impedito di difendersi efficacemente ed entro il termine fissato, salvo restando che essa ha creduto, in buona fede, che essa era stata inviata anche all'Eureka e che quest'ultima si sarebbe occupata degli aspetti procedurali.

30.
    Essa sottolinea che poteva legittimamente e ragionevolmente credere che il rappresentante legale del gruppo Swedish Match si sarebbe occupato degli aspetti procedurali come aveva fatto in precedenza. Non toccherebbe ad una parte del procedimento antidumping assicurarsi che il suo rappresentante legale riceva effettivamente le notifiche della Commissione e, pertanto, che i suoi interessi siano efficacemente difesi. Al contrario, sarebbe compito della Commissione adottare i provvedimenti necessari, anche motu proprio, perché i diritti di una parte interessata siano garantiti nell'ambito di un procedimento antidumping.

31.
    Essa precisa che non ha avuto contatti diretti con la Commissione nel corso del procedimento amministrativo, salvo in occasione dell'accertamento effettuato dai suoi servizi in loco nelle Filippine. La Swedish Match SA, rappresentata dal signor Picard, avrebbe agito come intermediaria nei suoi rapporti con la Commissione, poiché essa non aveva una posizione indipendente nel procedimento antidumping. L'Eureka, essendo il rappresentante legale del gruppo Swedish Match, avrebbe quindi rappresentato le due imprese. Inoltre, l'Eureka avrebbe, in alcune occasioni, espressamente e direttamente rappresentato i suoi interessi nel procedimento antidumping. Peraltro, nel corso del procedimento antidumping in esame, la Commissione avrebbe continuamente accettato l'intervento della Swedish Match SA e dell'Eureka per conto della ricorrente.

32.
    In secondo luogo, la ricorrente sostiene che l'informazione finale non conteneva alcun elemento che indicasse il modo con cui il margine del pregiudizio è stato valutato dalla Commissione. Così, non avrebbe potuto sapere in base a quali dati era stato calcolato il suo margine di sottoquotazione e non sarebbe stata quindi in grado di difendersi sulla questione del carattere effettivo del pregiudizio constatato.

33.
    La ricorrente ammette che il metodo usato per il calcolo del margine di pregiudizio era spiegato nell'informazione finale. Sostiene che questa non conteneva però alcun dato sul calcolo del margine di pregiudizio effettuato, nella fattispecie, dalla Commissione nei suoi confronti. In questo contesto, la ricorrente chiede del pari alla Commissione di comunicarle le informazioni non riservate relative ai costi di produzione dell'industria comunitaria. La mancata trasmissione di tali informazioni le impedirebbe di sapere come la Commissione sia giunta alla conclusione che il margine di sottoquotazione era del 13%.

34.
    Il Consiglio fa valere, in primo luogo, che la comunicazione diretta dell'informazione finale alla ricorrente non costituisce, di per sè, una violazione dell'art. 20, n. 4, del regolamento base. Toccherebbe a quest'ultima fornire la prova che tale comunicazione le ha impedito di garantire efficacemente la difesa dei suoi interessi. Osserva, al riguardo, che la comunicazione non ha potuto causarle che una perdita di tempo, in quanto essa ha dovuto prendere disposizioni al fine di fare pervenire tale documento al suo avvocato. Aggiunge che avrebbe dovuto, in tal caso, entrare in contatto con la Commissione e chiedere una proroga del termine che le era stato impartito per presentare le sue osservazioni sull'informazione finale, il che essa non avrebbe mai fatto. Non avrebbe persino mai denunciato, in seguito, il fatto che l'informazione finale le era stata inviata direttamente.

35.
    Il Consiglio fa valere, in secondo luogo, che il metodo seguito dalla Commissione per il calcolo del margine di pregiudizio è stato descritto alla pagina 21 dell'informazione finale. Essa avrebbe del pari fornito le cifre dettagliate relative al margine di sottoquotazione della ricorrente (13%), nonché quelle attinenti al margine di sottoquotazione degli altri esportatori interessati. La ricorrente avrebbe inoltre ottenuto informazioni sui prezzi all'esportazione e, quanto al calcolo del prezzo diretto ad eliminare il pregiudizio («prezzo non pregiudiziale»), sarebbe stata informata che le istituzioni avevano incluso un margine di profitto del 10%. Per contro, i calcoli effettuati per stabilire il costo medio di produzione dell'industria comunitaria non sarebbero stati divulgati alla ricorrente per ragioni attinenti al segreto aziendale.

36.
    Per quanto concerne la domanda della ricorrente di conoscere i dati in una forma non riservata, il Consiglio osserva infine che la ricorrente non si è mai lamentata dell'insufficienza dell'informazione finale. Essa non avrebbe neanche chiesto informazioni supplementari sui costi di produzione dei produttori comunitari.

Giudizio del Tribunale

37.
    Occorre ricordare, in primo luogo, che, in forza dell'art. 20, nn. 1 e 2, del regolamento base, la Commissione è tenuta a comunicare, in particolare all'esportatore del prodotto che costituisce oggetto dell'inchiesta antidumping, un informazione finale sui fatti e sulle considerazioni essenziali in base ai quali essa intende raccomandare al Consiglio l'adozione di misure definitive, al fine di garantire il rispetto dei suoi diritti di difesa. Secondo la giurisprudenza, la salvaguardia del diritto di difesa esige che l'impresa interessata sia stata messa in grado, durante il procedimento antidumping, di far conoscere utilmente il proprio punto di vista sulla realtà e sulla pertinenza dei fatti e delle circostanze allegate, nonché, se del caso, sui documenti di cui si è tenuto conto (v., ad esempio, sentenza del Tribunale 25 settembre 1997, causa T-170/94, Shanghai Bicycle/Consiglio, Racc. pag. II-1383, punto 120, e la giurisprudenza citata).

38.
    Orbene, il Tribunale constata che, con la sua lettera 30 settembre 1996, la Commissione ha effettivamente inviato alla ricorrente, presso l'indirizzo della sua sede sociale e indirizzata in particolare al suo controllore finanziario, l'informazione finale di cui all'art. 20 del regolamento base. Come risulta dalla giurisprudenza, l'invio di un atto presso la sede sociale del destinatario dev'essere considerato valida notifica. Infatti, nella sentenza 26 novembre 1985, Cookerill-Sambre/Commissione (causa 42/85, Racc. pag. 3749, punti 10-12), adottata nel settore delle quote di produzione del regime CECA, la Corte ha affermato che la notifica di una decisione, a partire dalla quale decorre il termine di ricorso, è regolare quando è stata effettuata presso la sede sociale dell'impresa interessata, e ciò anche nel caso in cui l'impresa abbia espressamente chiesto alla Commissione di notificargliela presso un altro indirizzo.

39.
    Il Tribunale rileva che tale giurisprudenza è tanto più applicabile al caso di specie in quanto la ricorrente non aveva avvisato la Commissione tempestivamente di un cambiamento delle «persone da contattare», da essa designate nella sua risposta al questionario (v. supra, punto 8), pregandola espressamente di inviare ormai all'Eureka qualsiasi corrispondenza.

40.
    Indirizzando la lettera 30 settembre 1996 presso la sede sociale della ricorrente, la Commissione si è inoltre conformata alle indicazioni che la stessa ricorrente le aveva dato nella sua risposta al questionario designando il suo presidente e il suo controllore finanziario come «persone da contattare». Ne consegue che la ricorrente è stata posta in grado di prendere conoscenza dell'informazione finale e di presentare le sue osservazioni in base ai suoi interessi, di propria iniziativa, oppure per il tramite del suo avvocato, ovvero, infine, per mezzo del gruppo Swedish Match.

41.
    Nella misura in cui la ricorrente sostiene che l'informazione finale avrebbe dovuto essere inviata al suo rappresentante legale a Bruxelles, si deve rilevare che nessuna delle disposizioni dell'art. 20 del regolamento base impone alla Commissionel'obbligo di assicurarsi che l'informazione finale è stata comunicata al rappresentante legale dell'esportatore interessato.

42.
    Al riguardo, è irrilevante il fatto che la Commissione abbia effettivamente avuto qualche contatto, durante il procedimento, con l'Eureka, nonché con altre società e persone appartenenti al gruppo Swedish Match, in mancanza di qualsiasi obbligo di quest'ultima di inviare l'informazione finale al consulente legalte dell'interessata.

43.
    Ne consegue che la censura relativa ad una notifica irregolare dev'essere respinta.

44.
    Va constatato, in secondo luogo, che la ricorrente non ha, durante il procedimento amministrativo e in particolare dopo aver ricevuto l'informazione finale, mai chiesto informazioni supplementari sul margine del pregiudizio. La Commissione, non essendo stata avvertita dell'asserita mancanza d'informazioni, non era in grado di rimediare, nella fase del procedimento antidumping, a tale eventuale mancanza al fine di salvaguardare i diritti della difesa della ricorrente.

45.
    Ne discende che anche la seconda censura dev'essere disattesa.

46.
    Infine, non avendo dimostrato la ricorrente l'esistenza di alcun vizio che infici il procedimento amministrativo, ed essendo stato archiviato tale procedimento, la domanda della stessa, formulata per la prima volta dinanzi al Tribunale, diretta ad ottenere una versione non riservata delle informazioni sui costi di produzione dell'industria comunitaria, dev'essere respinta.

47.
    Da quanto precede risulta che il primo motivo dev'essere interamente respinto.

Sul secondo motivo, relativo ad una violazione degli articoli 1, n. 1, e 3, nn. 2 e 6, del regolamento base

Argomenti delle parti

48.
    Nel ricorso la ricorrente fa valere, in sostanza, che il pregiudizio causato all'industria comunitaria dalle esportazioni di accendini originari dei tre paesi soggetti all'inchiesta, di cui essa non nega la realtà, non è imputabile alle proprie esportazioni, a causa, da un lato, del loro esiguo volume e, dall'altro, del loro prezzo unitario.

49.
    Essa osserva, in primo luogo, che è stato provato durante il procedimento antidumping che aveva, durante il periodo d'inchiesta, esportato nella Comunità soltanto 10 500 accendini, il che non costituirebbe che lo 0,0369% di tutti gli accendini originari delle Filippine e lo 0,0083% di tutti gli accendini originari dei tre paesi oggetto dell'inchiesta esportati in detto mercato. Nell'ambito dei 126,5milioni di accendini importati dai tre paesi interessati 28,4 milioni sarebbero stati originari delle Filippine. Essa ne deduce che il volume delle proprie esportazioni non poteva avere un'incidenza sull'industria comunitaria.

50.
    Essa sottolinea del pari, in secondo luogo, che le proprie esportazioni sono state fatturate ad un prezzo unitario (pari allo 0,19 USD), ampiamente superiore a quelli praticati dagli altri esportatori filippini (pari allo O,07 USD) e messicani (pari allo 0,08 USD) riguardati dall'inchiesta antidumping, ed anche a quelli praticati dall'industria comunitaria per il prodotto simile. Orbene, il Consiglio, se per determinare il pregiudizio subito dall'industria comunitaria ha valutato cumulativamente il volume delle esportazioni originarie dei tre paesi interessati all'inchiesta, avrebbe tuttavia omesso di calcolare la sottoquotazione del prezzo delle proprie esportazioni a causa proprio del loro esiguo volume.

51.
    L'esame di tali fatti alla luce dell'art. 3, n. 2, del regolamento base avrebbe quindi dovuto indurre il Consiglio a constatare che le esportazioni effettuate dalla ricorrente non imponevano affatto l'accertamento di un pregiudizio. In ogni caso e per gli stessi motivi, essa ritiene che non vi sia alcun nesso di casualità fra le proprie esportazioni e il pregiudizio effettivamente subito dall'industria comunitaria.

52.
    Nella replica la ricorrente fa valere, inoltre, che il Consiglio, includendola nella valutazione cumulativa dell'impatto sull'industria comunitaria di tutte le esportazioni originarie dei paesi soggetti all'inchiesta, ha commesso un manifesto errore di valutazione, il che costituisce una violazione dei principi della parità di trattamento e di proporzionalità.

53.
    Contrariamente a quanto osservato dal Consiglio, le istituzioni comunitarie già in passato avrebbero valutato l'impatto delle esportazioni di produttori individuali [Regolamento (CEE) della Commissione 14 giugno 1988, n. 1696, che istituisce un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di fibre tessili sintetiche di poliesteri, originari degli Stati Uniti d'America, del Messico, della Romania, di Taiwan, della Turchia e della Iugoslavia (GU L 151, pag. 47] in considerazione della loro situazione specifica. Così, in quest'ultimo regolamento l'impatto delle esportazioni effettuate dai produttori americani avrebbe costituito oggetto di un esame particolare.

54.
    Essa sottolinea, al riguardo, che le istituzioni comunitarie avrebbero dovuto tener conto della sua posizione particolare, molto diversa da quella degli altri produttori ed esportatori. Anche se essa fa parte del gruppo europeo Swedish Match, le sue attività di esportazione sarebbero tuttavia incentrate sul Giappone, sugli Stati Uniti e sui Paesi della zona Asia-Pacifico, di modo che non può essere considerata un esportatore nel senso in cui tale termine viene usato per gli altri produttori interessati all'inchiesta antidumping. L'unica esportazione di accendini da essa effettuata durante l'inchiesta, ai fini di test di qualità ad opera della Poppell, non potrebbe essere considerata alla stregua di una relazione commerciale regolare econsolidata fra un esportatore e un importatore. Le istituzioni comunitarie avrebbero quindi violato il principio della parità di trattamento, riservando un trattamento identico a situazioni completamente diverse.

55.
    Le istituzioni comunitarie avrebbero violato anche il principio di proporzionalità. L'imposizione di un dazio antidumping nel suo caso costituirebbe un uso sproporzionato dei poteri conferiti dal regolamento base alle istituzioni comunitarie, poiché non sarebbe stata necessaria per raggiungere l'obiettivo perseguito. Essa avrebbe dimostrato che le sue esportazioni nel mercato comunitario non fanno parte integrante delle sue attività usuali e che, di conseguenza, è improbabile che effettui esportazioni in futuro.

56.
    Nell'ambito del motivo relativo ad una motivazione insufficiente, la ricorrente addebita inoltre alle istituzioni comunitarie di essersi avvalsa a torto dei «prezzi ideali» per il calcolo del dazio antidumping. Al riguardo, rinvia alla sentenza della Corte 5 ottobre 1998, TEC e a./Consiglio (cause riunite 260/85 e 106/86, Racc. pag. 5855, punti 48-50), secondo la quale ci si avvarrebbe di ”pezzi ideali” quando i prezzi effettivi del mercato hanno subito deprezzamenti e non si possono quindi più utilizzare ai fini del confronto. L'uso di un ”prezzo ideale” sarebbe autorizzato soltanto in tale caso. In mancanza di qualsiasi deprezzamento dei prezzi, i prezzi cui far riferimento per il confronto sarebbero i prezzi effettivi dei produttori comunitari. Se le istituzioni comunitarie avessero fatto ricorso ai prezzi effettivi per fissare l'aliquota del dazio antidumping, alla ricorrente non sarebbe stato imposto un dazio antidumping.

57.
    Il Consiglio osserva, anzitutto, che le inchieste antidumping riguardano sempre le esportazioni da un paese o da un determinato gruppo di paesi, ma non le esportazioni di un determinato produttore. Di conseguenza, le istituzioni comunitarie s'impegnerebbero unicamente a determinare se il pregiudizio è causato da importazioni che costituiscono oggetto di un dumping e che provengono dal paese oggetto dell'inchiesta.

58.
    Esso sottolinea che l'argomento basato dalla ricorrente sul precitato regolamento 14 giugno 1988, n. 1696 (v. supra punto 53), non è pertinente nella fattispecie, poiché le circostanze di fatto non sono identiche. In particolare, le esportazioni di tutti i produttori americani sarebbero state escluse dal cumulo e non le esportazioni di un solo produttore americano.

59.
    Il Consiglio sottolinea che la ricorrente non ha nel suo ricorso denunciato la violazione dei principi di non discriminazione e di proporzionalità. Tale censure sarebbero state sollevate per la prima volta nella replica, senza che la ricorrente specificasse il motivo per il quale non ha potuto presentarle nel ricorso. Siffatte asserzioni sarebbero quindi motivi nuovi e dovrebbero essere dichiarate irricevibili conformemente all'art. 48, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale.

60.
    In subordine, il Consiglio fa valere che l'argomento relativo ad una violazione del principio di non discriminazione è infondato. Da un lato, sarebbe poco rilevante il fatto che un esportatore esporti verso un produttore comunitario collegato, in quanto anche tali esportazioni possono causare un pregiudizio. D'altro lato, il fatto che il volume delle esportazioni sia stato assai limitato non costituirebbe una ragione sufficiente per effettuare una valutazione a parte del nesso di casualità. Quanto al principio di proporzionalità, la ricorrente addurrebbe in pratica gli stessi argomenti già avanzati per quanto riguarda la violazione del principio di non discriminazione.

Giudizio del Tribunale

61.
    Nella misura in cui la ricorrente sostiene, in primo luogo, che essa non può essere qualificata «esportatore» ai sensi del regolamento base, poiché fa parte del gruppo Swedish Match e l'unica esportazione di accendini da essa effettuata durante il periodo d'inchiesta era a destinazione della sua società sorella Poppell, si deve osservare che il Consiglio ha constatato, al punto 38 dei 'considerando‘ del regolamento controverso, senza essere contraddetto dalla ricorrente, che le importazioni delle società appartenenti al gruppo Swedish Match relativamente agli accendini di origine filippina erano estremamente limitate e che le loro principali operazioni relative a tali prodotti sono state effettuate nella Comunità. Il Consiglio ha quindi giustamente ritenuto opportuno mantenere le società in questione nell'«industria comunitaria».

62.
    Inoltre, si deve rilevare che il mero fatto che un'importazione sia effettuata nell'ambito stesso di un gruppo d'imprese non è tale da escluderla dalla sfera di applicazione dell'art. 3 del regolamento base, che mira a tutelare l'industria comunitaria da «importazioni oggetto di dumping». A norma dell'art. 2, n. 9, del regolamento base, la situazione specifica di un'associazione fra un esportatore extracomunitario e un importatore comunitario è presa in considerazione nel solo ambito della determinazione del prezzo all'esportazione.

63.
    Ne consegue che la prima censura mossa dalla ricorrente dev'essere respinta.

64.
    Nella misura in cui la ricorrente rimprovera, in secondo luogo, alle istituzioni comunitarie di aver considerato che l'unica esportazione di accendini da essa effettuata durante il periodo d'inchiesta, e ciò in quantità estremamente limitata, poteva causare un pregiudizio grave all'industria comunitaria, si deve rammentare come nessuna disposizione del regolamento base - né, del resto, del codice antidumping del 1994 - obblighi le istituzioni comunitarie ad esaminare, nei procedimenti antidumping, se e in quale misura ciascun esportatore che pratichi il dumping contribuisca, da solo, al pregiudizio causato all'industria comunitaria. Dalla lettura dell'art. 3 del regolamento base risulta, al contrario, che il legislatorecomunitario si avvale della formula, al plurale, delle «importazioni oggetto di dumping», precisando che il volume delle importazioni oggetto di dumping e il loro effetto sui prezzi dei prodotti simili sul mercato della Comunità, nonché l'incidenza di tali importazioni sull'industria comunitaria, costituiscono gli elementi rilevanti per l'accertamento di un pregiudizio. In particolare, l'art. 3, n. 4, autorizza la valutazione cumulativa degli effetti delle importazioni «da più di un paese», purché, in particolare, «il volume delle importazioni da ciascun paese» non sia trascurabile.

65.
    Risulta pertanto che il legislatore comunitario ha scelto, ai fini dell'accertamento di un pregiudizio, l'ambito territoriale di un determinato paese o di più paesi, facendo riferimento, in modo complessivo, a tutte le importazioni, in provenienza da detto(i) paese(i), oggetto di dumping.

66.
    A tal riguardo occorre sottolineare che, nella sentenza 7 maggio 1987, Nachi Fujikoshi/Consiglio (causa 255/84, Racc. pag. 1861, punto 46), la Corte ha considerato che il pregiudizio subito da un'industria stabilita nella Comunità a seguito di importazioni effettuate a prezzi di dumping doveva essere valutato globalmente, «senza che sia necessario, né del resto possibile, determinare in che misura tale pregiudizio sia imputabile a ciascuna delle società responsabili». Inoltre, nella sentenza 5 ottobre 1988, Technointorg/Comissione e Consiglio (cause riunite 294/86 e 77/87, Racc. pag. 6077, punti 40 e 41), la Corte ha rilevato che gli effetti di importazioni provenienti da vari paesi terzi dovevano essere valutati globalmente e che era giustificato consentire alle autorità comunitarie di esaminare l'effetto dell'insieme di tali importazioni sull'industria comunitaria e di adottare i provvedimenti adeguati nei confronti di tutti gli esportatori, «anche se il volume delle esportazioni di ciascun singolo esportatore è relativamente modesto».

67.
    Pertanto, anche la seconda censura mossa dalla ricorrente dev'essere respinta.

68.
    In tali circostanze, la ricorrente non può fruttuosamente invocare il principio di non discriminazione. Anche se tale principio osta a che situazioni diverse siano trattate in maniera identica, il regime antidumping come è stato sopra analizzato osta a che un operatore che ha esportato un quantitativo limitato sia considerato, ai fini dell'accertamento del pregiudizio, nel senso che si trova in una situazione diversa da quella di un operatore che ha esportato quantitativi notevoli. Sebbene la ricorrente sostenga inoltre, in tale contesto, che altri esportatori filippini non si sono visti imporre un dazio antidumping perché la Commissione ha accettato le loro offerte d'impegno di prezzo, è sufficiente ricordare che, come risulta dal punto 89 dei 'considerando‘ del regolamento controverso, la ricorrente non ha presentato alcun offerta analoga, di modo che le istituzioni comunitarie non potevano trattarla allo stesso modo delle altre società filippine.

69.
    Lo stesso vale per quanto concerne il principio di proporzionalità, secondo il quale la legittimità di una normativa comunitaria è subordinata alla condizione che i mezzi che essa impiega siano idonei a realizzare l'obiettivo legittimamenteperseguito dalla normativa di cui trattasi e non vadano al di là di ciò che è necessario per raggiungerlo, fermo restando che, qualora si presenti una scelta tra più misure appropriate, è necessario ricorrere, in linea di principio, alla meno restrittiva (v., in questo senso, sentenza del Tribunale 5 giugno 1996, causa T-162/94, NMB Francia e a./Commissione, Racc. pag. II-427, punto 69).

70.
    Infatti, la tutela dell'industria comunitaria può richiedere che esportazioni, benché effettuate in quantità esigua, siano tuttavia prese in considerazione per l'accertamento di un pregiudizio. Nel caso della ricorrente, il volume limitato delle esportazioni da essa sinora effettuate corrisponde ad un rischio, altrettanto limitato, di essere colpita dal dazio antidumping imposto. Infatti, tale rischio si concretizzerà soltanto nella misura in cui la ricorrente effettuerà future esportazioni nella Comunità. Orbene, la ricorrente stessa ha espressamente dichiarato che siffatte esportazioni non fanno parte delle sue attività usuali, rivolte verso il Giappone, gli Stati Uniti e i paesi della zona Asia-Pacifico, e che è improbabile che essa effettui in futuro esportazioni.

71.
    Ne consegue che devono essere respinti gli argomenti che la ricorrente basa su una violazione dei detti due principi.

72.
    La ricorrente tenta del pari, da un lato, di dimostrare la mancanza di pregiudizio per il fatto che il prezzo fatturato per i suoi accendini esportati era superiore ai prezzi comunitari. D'altro lato, essa sostiene che le istituzioni comunitarie si sono avvalse della nozione dei ”prezzi ideali', benché i presupposti per la loro applicazione - vale a dire il deprezzamento dei prezzi effettivi del mercato - non ricorressero nella fattispecie.

73.
    Al riguardo occorre ricordare che la ricorrente e l'importatore comunitario destinatario del carico controverso appartengono allo stesso gruppo. A norma dell'art. 2, n. 9, del regolamento base, nel caso di un'associazione fra l'esportatore e l'importatore, le istituzioni comunitarie non sono tenute a riconoscere il prezzo fatturato come prezzo all'esportazione, ma possono costruire quest'ultimo in base al prezzo al quale il prodotto importato è rivenduto per la prima volta ad un acquirente indipendente. Orbene, il Consiglio ha dichiarato, senza essere contraddetto dalla ricorrente, che si è avvalso di tale prezzo costruito nella fattispecie. Di conseguenza, il riferimento della ricorrente al prezzo effettivamente fatturato è irrilevante.

74.
    Quanto alla critica relativa al sistema dei ”prezzi ideali”, dal punto 54 dei 'considerando‘ del regolamento controverso emerge che i prezzi applicati in generale dall'industria comunitaria sono, dopo essere leggermente aumentati, diminuiti a partire dall'anno 1992 fino al periodo cui si riferisce l'inchiesta. Per quanto concerne in particolare gli accendini più complessi, che avrebbero giustificato di regola livelli di prezzi più elevati, si è constatato che durante il periodo d'inchiesta siffatti prezzi più elevati non hanno potuto essere mantenuti invigore, il che ha inciso sulla redditività dell'industria comunitaria. Inoltre, al punto 53 dei 'considerando‘, di detto regolamento si menziona la riduzione della quota di mercato dell'industria comunitaria dal 57,3% nel 1990 al 48,6% nel periodo dell'inchiesta. Infine, secondo gli accertamenti effettuati ai punti 34 e 50 dei 'considerando‘ del regolamento controverso, i prezzi degli accendini importati erano notevolmente inferiori ai prezzi applicati dai produttori comunitari nel periodo dell'inchiesta, e ciò tenuto conto dei margini di dumping del 36,7% per la ricorrente e del 52,6% per gli altri esportatori filippini.

75.
    Alla luce di tali considerazioni, che non sono state contestate dalla ricorrente, il Consiglio era autorizzato a considerare che i prezzi comunitari effettivamente applicati non potevano più essere usati per l'accertamento del pregiudizio, in quanto essi avevano subito deprezzamenti dovuti alla pressione verso il ribasso esercitata dalle importazioni filippine, e che occorresse quindi calcolare l'importo del dazio antidumping necessario per eliminare il pregiudizio, ai sensi dell'art. 9, n. 4, del regolamento base, avvalendosi di un prezzo costruito.

76.
    Infine, dai punti 57, 81 e 82 dei 'considerando‘ del regolamento controverso, nonché delle pagine 14 e 21 dell'informazione finale, emerge che i prezzi degli esportatori filippini diversi della ricorrente erano inferiori di oltre il 30% rispetto ai prezzi effettivamente applicati dall'industria comunitaria, e che occorreva, per eliminare il pregiudizio, tener conto di un margine di profitto dell'industria comunitaria del 10%, nonché dei suoi costi di produzione. Di conseguenza, il margine di sottoquotazione («underselling margin») di tali esportatori filippini rispetto ai prezzi comunitari costruiti è stato valutato nella misura del 43%, il che include, conseguentemente, un tasso del 3% a titolo di costi di produzione. Orbene, dato che il margine di sottoquotazione («undercutting margin») della ricorrente era stato fissato nella misura dello 0%, il calcolo del prezzo non pregiudizievole doveva necessariamente portare alla fissazione di un margine di sottoquotazione individuale («underselling margin») del 13%, vale a dire del 10% a titolo del margine di profitto dell'industria comunitaria e del 3% a titolo dei suoi costi di produzione, come essa è stata considerata nel regolamento controverso e si è tradotta in un dazio antidumping avente la stessa aliquota.

77.
    Ne consegue che nessuno degli argomenti sollevati dalla ricorrente può essere accolto.

78.
    Di conseguenza, il secondo motivo dev'essere interamente respinto.

Sul terzo motivo, relativo ad una violazione dell'obbligo di motivazione

79.
    La ricorrente adduce che i 'considerando‘ del regolamento controverso espongono in modo contraddittorio e poco chiaro i fatti che hanno indotto il Consiglio a determinare il livello medio di sottoquotazione e a stabilire l'aliquota del dazioantidumping applicatale. Essa critica, in particolare, il punto 50 dei 'considerando‘ del regolamento controverso. Le istituzioni comunitarie avrebbero omesso di indicare o di valutare il suo tasso di sottoquotazione individuale. Esisterebbe quindi un'incertezza totale quanto al livello della sottoquotazione dei prezzi di cui il Consiglio ha tenuto conto per valutare il pregiudizio causato all'industria comunitaria. Tale incertezza sarebbe aggravata se si tiene conto del prezzo elevato che essa fattura all'importatore e delle sue importazioni estremamente limitate.

80.
    La ricorrente critica del pari il punto 57 dei 'considerando‘ del regolamento controverso. Il testo di tale punto potrebbe far pensare che il Consiglio ha concluso nel senso che essa non aveva causato un pregiudizio all'industria comunitaria e che la stessa non avrebbe meritato un dazio antidumping. Nonostante ciò, il Consiglio le avrebbe imposto un dazio individuale sulle sue importazioni. Essa non comprende perché il Consiglio è pervenuto a un livello medio di sottoquotazione («underselling margin») del 13%, dal momento che esso ha basato la sua conclusione relativa al pregiudizio, fra l'altro, su un margine di sottoquotazione («undercutting margin») dello 0%.

81.
    Infine, la ricorrente rileva che le considerazioni relative ad un aumento dei prezzi dell'industria comunitaria sono in contrasto con gli accertamenti successivi che menzionano una pressione verso il ribasso sui prezzi. Essa non potrebbe quindi difendersi poiché non può sapere in base a quali fatti il Consiglio ha deciso d'istituire un dazio antidumping sulle sue importazioni.

82.
    Al riguardo il Tribunale ricorda che, secondo costante giurisprudenza, la motivazione prescritta dall'art. 190 del Trattato CE (divenuto art. 253 CE) dev'essere adeguata alla natura dell'atto considerato. Essa deve far apparire, in forma chiara e non equivoca, l'iter logico seguito dall'istituzione da cui promana l'atto, onde consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e permettere al giudice comunitario di esercitare il proprio sindacato. Emerge inoltre dalla predetta giurisprudenza come non si possa esigere che la motivazione di un atto specifichi i vari elementi di fatto e di diritto che ne costituiscono l'oggetto, qualora l'atto stesso sia in armonia con il contesto normativo di cui fa parte; peraltro, l'obbligo di motivazione dev'essere valutato alla luce delle circostanze della fattispecie (sentenza della Corte 14 maggio 1998, causa C-48/96 P, Windpark Groothusen/Commissione, Racc. pag. I-2873, punti 34 e 35). Non si può, in particolare, esigere che la motivazione dei regolamenti, atti di portata generale, specifichi i vari elementi di fatto o di diritto, a volta molto numerosi e complessi, che costituiscono il loro oggetto. Di conseguenza, se l'atto contestato evidenzia nella sua essenza lo scopo perseguito dall'istituzione, sarebbe eccessivo pretendere la motivazione specifica di ciascuna delle scelte d'indole tecnica da essa operate (sentenza della Corte 22 gennaio 1986, causa 250/84, Eridania, Racc. pag. 117, punto 38).

83.
    Il Tribunale rileva che i criteri stabiliti da detta giurisprudenza sono stati rispettati nella fattispecie. Come ha dimostrato l'esame del primo e del secondo motivo formulati nel merito dalla ricorrente, quest'ultima è stata sufficientemente informata grazie alla sua partecipazione al procedimento antidumping, mediante l'informazione finale e attraverso i 'considerando‘ del regolamento controverso, di modo che ha potuto utilmente provvedere alla difesa dei propri interessi dinanzi al Tribunale. Inoltre, il Tribunale è stato in grado di esercitare il suo sindacato giurisdizionale statuendo sul ricorso in esame.

84.
    Pertanto, anche il terzo motivo dev'essere respinto.

85.
    Da quanto precede risulta che il ricorso dev'essere dichiarato infondato.

Sulle spese

86.
    In forza dell'art. 87, n. 2, primo comma, del regolamento di procedura, si deve condannare la ricorrente alle spese, nella misura in cui è risultata soccombente. Poiché la proposizione del ricorso ha indotto il Consiglio a correggere un errore di calcolo e a ridurre, modificando il regolamento controverso, i dazi antidumping di quattro punti, il Tribunale ritiene equo condannare il Consiglio a sostenere un quinto delle sue spese, a norma dell'art. 87, n. 6, del regolamento di procedura.

87.
    La Commissione, interveniente, sopporterà le proprie spese, ai sensi dell'art. 87, n. 4, primo comma, del regolamento di procedura.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Prima Sezione ampliata)

dichiara e statuisce:

1)    Il ricorso è respinto.

2)    La ricorrente è condannata a sopportare le proprie spese e i quattro quinti delle spese sostenute dal Consiglio.

3)    Il Consiglio sopporterà un quinto delle proprie spese.

4)    L'interveniente sopporterà le proprie spese.

Vesterdorf
Bellamy
Pirrung

Meij

Vilaras

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 20 ottobre 1999.

Il cancelliere

Il presidente

H. Jung

B. Vesterdorf


1: Lingua processuale: l'inglese.