Language of document : ECLI:EU:T:2006:106

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Prima Sezione)

5 aprile 2006 (*)

«Marchio comunitario – Procedimento di opposizione – Marchio internazionale denominativo anteriore ECHINACIN – Domanda di marchio comunitario denominativo ECHINAID – Impedimento relativo alla registrazione – Art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento (CE) n. 40/94»

Nella causa T‑202/04,

Madaus AG, con sede in Colonia (Germania), rappresentata dall’avv. I. Valdelomar Serrano,

ricorrente,

contro

Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), rappresentato dal sig. J. Novais Gonçalves, in qualità di agente,

convenuto,

controinteressato nel procedimento dinanzi alla commissione di ricorso dell’UAMI:

Optima Healthcare Ltd, con sede in Cardiff (Regno Unito), 

avente ad oggetto un ricorso contro la decisione 30 marzo 2004 della seconda commissione di ricorso dell’UAMI (procedimento R 714/2002‑2), relativa ad un procedimento d’opposizione tra Madaus AG e Optima Healthcare Ltd,

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Prima Sezione),

composto dal sig. J.D. Cooke, presidente, dalle sig.re I. Labucka e V. Trstenjak, giudici,

cancelliere: sig. J. Plingers, amministratore,

visto il ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 27 maggio 2004,

visto il controricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 6 ottobre 2004,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti all’origine della controversia

1        Il 19 maggio 2000 Optima Healthcare Ltd presentava una domanda di marchio comunitario all’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (in prosieguo: l’«UAMI») ai sensi del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), come successivamente modificato.

2        Il marchio di cui era chiesta la registrazione è il segno denominativo ECHINAID.

3        I prodotti per i quali era chiesta la registrazione rientrano nella classe 5 ai sensi dell’Accordo di Nizza del 15 giugno 1957, relativo alla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, come riveduto e modificato, e corrispondono alla seguente descrizione: «vitamine, integratori alimentari, prodotti a base di erbe, prodotti medici e farmaceutici».

4        Il 18 dicembre 2000 la domanda di registrazione veniva pubblicata nel Bollettino dei marchi comunitari n. 101/2000.

5        Il 16 marzo 2001 Madaus AG, titolare del marchio internazionale ECHINACIN (con effetti in Spagna, Francia, Italia, Austria, Portogallo e nei paesi del Benelux) per prodotti della classe 5 descritti come «prodotti chimico-farmaceutici», si opponeva alla registrazione del marchio richiesto per tutti i prodotti oggetto della relativa domanda. Essa faceva valere un rischio di confusione tra i due marchi ai sensi dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94.

6        Con decisione 15 luglio 2002 la divisione d’opposizione dell’UAMI respingeva l’opposizione con l’argomento, in sostanza, che non sussisteva alcun rischio di confusione giacché il prefisso «echina-», riferendosi al nome della pianta echinacea, doveva essere considerato descrittivo. Il fatto che i due marchi avessero il medesimo prefisso non era, perciò, sufficiente, a suo giudizio, a concludere per la sussistenza di un rischio di confusione.

7        Il 20 agosto 2002 la ricorrente presentava ricorso all’UAMI, ai sensi degli artt. 57‑62 del regolamento n. 40/94, contro la decisione della divisione d’opposizione.

8        Con decisione 30 marzo 2004 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), notificata alla ricorrente il giorno successivo, la Seconda commissione di ricorso dell’UAMI respingeva il ricorso. Essa considerava inesistente il rischio di confusione tra i due marchi presupponendo, in sostanza, che il consumatore medio, normalmente informato e sufficientemente attento nonché aduso ai prodotti contenenti il prefisso «echina-», prestasse maggiore attenzione alla parte finale di tali marchi che al prefisso descrittivo «echina-», poco distintivo.

9        Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Prima Sezione) ha deciso di aprire il procedimento orale e ha fissato la data dell’udienza al 20 settembre 2005. Le parti non si sono presentate. La relazione d’udienza, trasmessa alle parti, non ha destato da parte loro alcuna osservazione.

 Conclusioni delle parti

10      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        riconoscere che l’UAMI è incorso in errore nell’adottare la decisione impugnata;

–        annullare la detta decisione;

–        ingiungere all’UAMI di adottare una nuova decisione che rifiuti la registrazione del marchio richiesto per un rischio di confusione, sul fondamento dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94.

11      L’UAMI chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

 Quanto alla ricevibilità delle conclusioni della ricorrente

12      Con il suo terzo capo di conclusioni la ricorrente chiede al Tribunale, in sostanza, di ingiungere all’UAMI di rifiutare la registrazione del marchio richiesto.

13      Poiché le condizioni per la ricevibilità di un ricorso e delle conclusioni che contiene sono inderogabili, il Tribunale può esaminarle d’ufficio e il suo controllo non è limitato alle eccezioni di irricevibilità sollevate dalle parti (sentenza della Corte 23 aprile 1986, causa 294/83, Les Verts/Parlamento, Racc. pag. 1339, punto 19; sentenze del Tribunale 6 dicembre 1990, causa T‑130/89, B./Commissione, Racc. pag. II‑761, pubblicazione sommaria, punti 13 e 14, e 12 dicembre 1996, causa T‑99/95, Stott/Commissione, Racc. pag. II‑2227, punto 22).

14      Conformemente all’art. 63, n. 6, del regolamento n. 40/94, l’UAMI è tenuto a prendere i provvedimenti necessari per conformarsi alla sentenza del giudice comunitario. Di conseguenza, non spetta al Tribunale rivolgere ingiunzioni all’UAMI. Incombe, infatti, a quest’ultimo trarre le conseguenze dal dispositivo e dalla motivazione delle sentenze del giudice comunitario [sentenze del Tribunale 31 gennaio 2001, causa T‑331/99, Mitsubishi HiTec Paper Bielefeld/UAMI (Giroform), Racc. pag. II‑433, punto 33; 27 febbraio 2002, causa T-34/00, Eurocool Logistik/UAMI (EUROCOOL), Racc. pag. II‑683, punto 12; 3 luglio 2003, causa T-129/01, Alejandro/UAMI – Anheuser-Busch (BUDMEN), Racc. pag. II‑2251, punto 22, e 21 aprile 2005, causa T‑164/03, Ampafrance/UAMI – Johnson & Johnson (monBeBé), Racc. pag. II‑1401, punto 24].

15      Il terzo capo di conclusioni della ricorrente è dunque irricevibile.

16      Il primo e il secondo capo, invece, diretti all’annullamento della decisione impugnata, sono ricevibili.

 Quanto al merito

17      A sostegno del suo ricorso la Madaus AG deduce un unico motivo, vertente su una violazione dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, nonché su errori manifesti di valutazione. Tale motivo si articola in cinque parti.

 Quanto alla prima parte, relativa all’errore di determinazione del territorio e del pubblico rilevanti

 Argomenti delle parti

18      La ricorrente contesta alla commissione di ricorso di aver proceduto, nella decisione impugnata, ad una valutazione del rischio di confusione basata, da un lato, sul pubblico inglese, laddove il territorio inglese non sarebbe rilevante per la presente controversia, e, dall’altro, su un pubblico di soli specialisti (farmacisti e medici), laddove il pubblico interessato sarebbe composto anche di «consumatori finali» che sono «consumatori medi».

19      La ricorrente si riferisce al riguardo ad una decisione della prima commissione di ricorso del 3 novembre 2003 (procedimento R 67/2003-1) in cui l’UAMI avrebbe indicato che il consumatore medio che acquista un farmaco senza prescrizione per un problema benigno (per esempio, dietologico) non è particolarmente attento all’atto dell’acquisto. La ricorrente ne conclude che, perciò, tale consumatore rischia, in quel momento, di fare confusione.

20      L’UAMI sostiene che la commissione di ricorso non ha affatto considerato rilevante il territorio del Regno Unito, avendo bensì indicato come territori target Spagna, Francia, Italia, Austria, Portogallo e Benelux (punti 20 e 23 della decisione impugnata), e non ha affatto basato la sua analisi sulla percezione di un pubblico di specialisti, bensì si è riferita al punto di vista del consumatore medio dei prodotti in questione (punto 23 della decisione impugnata).

 Giudizio del Tribunale

21      La presente parte del motivo poggia su allegazioni esplicitamente contraddette dagli stessi termini della decisione impugnata. In primo luogo, ai punti 20, 21 e 23 della detta decisione, la commissione di ricorso indica espressamente che i sei territori rilevanti sono quelli della Spagna, della Francia, dell’Italia, dell’Austria, del Portogallo e dei paesi del Benelux. Essa rapporta al pubblico dei suddetti Stati la valutazione del rischio di confusione.

22      Contrariamente a quanto asserisce la ricorrente, la commissione di ricorso non ha fondato la sua valutazione su prove relative al significato del termine «echinacea» per il pubblico anglofono. Certo, al punto 18 della decisione impugnata, la detta commissione ha fatto riferimento alle due definizioni del termine fornite da dizionari inglesi, ma ciò solo ai fini dell’esame della sua etimologia latina. Essa ne ha semplicemente concluso che si trattava del nome scientifico di una pianta, in uso in più lingue, fra cui quelle parlate nei sei territori target.

23      In secondo luogo, come risulta sempre dal punto 23 della decisione impugnata, la commissione di ricorso non ha limitato il pubblico interessato agli specialisti, farmacisti e medici. Al contrario, essa si riferisce esplicitamente al consumatore medio della gamma di prodotti in questione, cioè piante officinali e altri prodotti farmaceutici; un consumatore che si presume ragionevolmente informato, attento ed avveduto. Non uno specialista, dunque.

24      Per quanto riguarda, poi, l’asserita prassi decisionale divergente dell’UAMI, si deve rammentare che la legittimità delle decisioni delle commissioni di ricorso si valuta unicamente sulla base del regolamento n. 40/94, come interpretato dal giudice comunitario, e non sulla base di una precedente prassi decisionale dell’UAMI [v. sentenza del Tribunale 6 luglio 2004, causa T-117/02, Grupo El Prado Cervera/UAMI – Eredi Debuschewitz (CHUFAFIT), Racc. pag. II‑2073, punto 57 e giurisprudenza ivi citata].

25      Ne consegue che la prima parte del motivo deve essere respinta.

 Quanto alla seconda parte, relativa all’applicazione di uno speciale criterio di valutazione del rischio di confusione che consideri le specifiche dei prodotti farmaceutici

 Argomenti delle parti

26      La ricorrente ritiene che i prodotti in contestazione siano in parte identici e in parte simili. Le «preparazioni mediche e farmaceutiche» recanti il marchio ECHINAID sarebbero identiche ai «prodotti chimico-farmaceutici» definiti dal marchio ECHINACIN, mentre «vitamine, integratori alimentari, preparazioni a base di piante» protetti dal primo marchio gli somiglierebbero. A suo parere, siccome un errore nella scelta di un prodotto farmaceutico può avere conseguenze gravi per la salute, il criterio di valutazione del rischio di confusione dovrebbe essere molto più rigoroso che per altri prodotti o servizi.

27      L’UAMI replica che il rifiuto di registrazione fondato su tale rischio, di cui all’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, è inteso a tutelare diritti soggettivi ovvero i diritti esclusivi conferiti dal marchio anteriore. Di conseguenza, gli eventuali rischi di un’eventuale confusione non potrebbero venire in conto nella determinazione della reale sussistenza di un rischio di confusione.

 Giudizio del Tribunale

28      Ai termini dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, in seguito all’opposizione del titolare di un marchio anteriore, il marchio richiesto è escluso dalla registrazione se, a causa dell’identità o della somiglianza di detto marchio col marchio anteriore e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi per i quali i due marchi sono stati richiesti, sussiste un rischio di confusione per il pubblico del territorio nel quale il marchio anteriore è tutelato. Il rischio di confusione comprende il rischio di associazione con il marchio anteriore.

29      Secondo una giurisprudenza costante, costituisce un rischio di confusione la possibilità che il pubblico creda che i prodotti o i servizi in questione provengano dalla stessa impresa o, eventualmente, da imprese economicamente collegate [sentenze del Tribunale 11 maggio 2005, causa T-31/03, Grupo Sada/UAMI – Sadia (GRUPO SADA), Racc. pag. II‑1667, punto 42, e 14 luglio 2005, causa T‑126/03, Reckitt Benckiser (España)/UAMI – Aladin (ALADIN), Racc. pag. II‑2861, punto 78].

30      Secondo questa stessa giurisprudenza, il rischio di confusione deve essere valutato globalmente secondo la percezione che ha il pubblico di riferimento dei segni e dei prodotti o servizi di cui trattasi, prendendo in considerazione tutti i fattori pertinenti del caso di specie (v. sentenze GRUPO SADA, cit. supra al punto 29, punto 43, e ALADIN, cit. supra al punto 29, punto 79 e giurisprudenza ivi citata).

31      La valutazione globale di cui al punto 30 deve essere condotta con oggettività e non può essere influenzata da considerazioni estranee all’origine commerciale del prodotto in causa.

32      Ora, le eventuali conseguenze pregiudizievoli dell’uso non conforme di un prodotto farmaceutico risultano dalla possibile confusione, da parte del consumatore, sull’identità o sulle caratteristiche di tale prodotto, e non sulla sua origine commerciale, ciò che integra un impedimento relativo alla registrazione ai sensi dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94.

33      In ogni caso, nei limiti in cui considerazioni relative alle conseguenze dell’uso non conforme di un prodotto siano pertinenti alla valutazione del rischio di confusione ai sensi dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, occorre ricordare che l’UAMI ne ha tenuto conto determinando il profilo dei consumatori interessati. Come l’UAMI ha giustamente fatto valere nella decisione impugnata, il pubblico rilevante nella fattispecie consta di consumatori medi di due tipi di prodotti. Quanto ai prodotti farmaceutici, la commissione di ricorso condivide, ebbene, il ragionamento della divisione d’opposizione secondo cui i consumatori sono assistiti nelle loro scelte da professionisti altamente qualificati. Quanto ai prodotti fitoterapeutici, i consumatori sono con ogni probabilità ragionevolmente informati, attenti e avveduti, nonché abituati ad utilizzare prodotti il cui marchio reca il prefisso «echina-». È lecito supporre infatti che i consumatori di questo tipo di prodotti si prendano speciale cura della loro salute, di modo che sono meno portati a confondere le diverse versioni degli stessi. Altrimenti detto: al possibile rischio che una scelta sbagliata e, per questo, un uso non conforme del prodotto sortiscano conseguenze dannose soccorre l’elevato livello di informazione e di attenzione che tali consumatori medi possiedono.

34      Anche la seconda parte del motivo deve, perciò, essere respinta.

 Quanto alla terza parte, relativa al carattere non descrittivo del prefisso «echina‑»

 Argomenti delle parti

35      Secondo la ricorrente, la commissione di ricorso ha commesso un errore di valutazione nel riconoscere al prefisso «echina-» un carattere descrittivo o quanto meno nel considerarlo non distintivo.

36      Il termine «echinacea» non sarebbe latino, bensì inglese, laddove il pubblico interessato non sarebbe inglese e solo una minoranza di anglofoni conoscerebbe il termine «echinacea» e potrebbe ricollegarlo al prefisso «echina-».

37      Il numero di marchi registrati in diversi paesi che contengono il prefisso «echin-» o «echina-», menzionati in un elenco fornito da Optima Healthcare Ltd, non sarebbe molto significativo e non varrebbe perciò a provare che il prefisso sia in uso «corrente» o che sia compreso dai consumatori cui è riferito.

38      Per di più, foneticamente, la parte dei segni controversi avvertita dai consumatori come caratterizzante, cioè «echina‑», sarebbe in entrambi i casi la stessa. I consumatori non potrebbero dunque distinguere i due segni.

39      Infine, la ricorrente invoca una decisione della quarta commissione di ricorso del 18 giugno 2003 (procedimento R 121/2002-4), in cui quest’ultima avrebbe concluso per la sussistenza di un rischio di confusione tra i marchi SELENIUM-ACE e Selenium Spezial A-C-E affermando che il termine «selenium», che designa un elemento chimico, non costituirebbe solamente una parte del primo marchio, ma, nella percezione del consumatore medio, il suo elemento più importante e andrebbe ritenuto, perciò, sufficientemente distintivo. Ne risulterebbe un rischio di confusione.

40      L’UAMI osserva che il termine «echinacea» non è inglese, ma viene dal latino «moderno», che non è associato a nessun paese e a nessun territorio in particolare. Ora, l’utilizzo del latino nell’industria farmaceutica e nella medicina sarebbe prassi abituale.

41      Secondo l’UAMI, l’elenco fornito da Optima Healthcare Ltd di oltre trenta marchi recanti il prefisso «echin-» o «echina‑», registrati in uno o più dei territori rilevanti nella presente causa, prova il carattere descrittivo del termine «echinacea» e dunque del prefisso «echin-» per il pubblico ivi presente. L’UAMI fa altresì valere che la ricorrente non ha contestato tali argomenti nel procedimento dinanzi alla divisione d’opposizione.

42      Questo carattere descrittivo sarebbe inoltre confermato da una ricerca del termine «echinacea» effettuata su Internet per ciascuna delle lingue considerate. La ricerca avrebbe fornito 1 940 risultati per le pagine di espressione spagnola, 2 630 per le pagine in lingua francese, 6 080 per quelle in italiano, 1 160 per le pagine di espressione portoghese, 36 600 per le pagine in lingua tedesca e 7 360 per le pagine in olandese.

43      Dato il suo carattere descrittivo, il prefisso «echina-» avrebbe scarsa o finanche punta capacità di distinguere prodotti dell’una o dell’altra impresa. Così, il consumatore medio, normalmente informato e sufficientemente attento, non potrebbe rimettersi a tale prefisso per distinguere i marchi in concorrenza. Egli non potrebbe credere che i marchi ECHINACIN e ECHINAID provengano dalla medesima impresa solo perché condividono il prefisso «echina‑». Detto prefisso alluderebbe in maniera chiara e diretta alla composizione e alle caratteristiche dei prodotti in causa e non ai loro rispettivi produttori.

 Giudizio del Tribunale

44      A buon diritto l’UAMI ha concluso che il prefisso «echina-» era descrittivo e che, di conseguenza, il pubblico dei territori pertinenti, confrontato al marchio richiesto per i prodotti della classe 5, lo associava ai prodotti ottenuti dalla pianta «echinacea».

45      Tale conclusione sul carattere descrittivo del marchio richiesto è giustificata dagli elementi analizzati dalla commissione di ricorso, segnatamente ai punti 18-21 della decisione impugnata. Il termine «echinacea» è, infatti, il nome scientifico latino di una pianta impiegata in farmacia e fitoterapia. Ora, è prassi abituale nei detti settori utilizzare i nomi latini delle piante. Lo conferma la frequenza delle registrazioni del prefisso «echin-» o «echina-» nei territori in questione. L’UAMI ben aveva motivo, quindi, di concludere che il prefisso «echina‑» indicava, per i consumatori medi interessati, la composizione del prodotto e non la sua origine commerciale.

46      Ne risulta che la terza parte del motivo non può essere accolta.

 Quanto alla quarta parte del motivo, relativa all’errata valutazione del rischio di confusione

 Argomenti delle parti

47      Per prima cosa la ricorrente rimprovera alla commissione di ricorso, che avrebbe qualificato elementi dominanti dei marchi controversi i suffissi «-id» e «-cin», di non aver comparato i segni così come li percepiscono i consumatori, vale a dire in maniera globale. Ricorda anche che, a giudizio della Corte, il consumatore medio percepisce normalmente un marchio come un tutt’uno e non effettua un esame dei suoi singoli elementi (sentenza della Corte 11 novembre 1997, causa C‑251/95, SABEL, Racc. pag. I‑6191, punto 23).

48      Secondariamente, la ricorrente addebita alla commissione di ricorso di aver fatto applicazione errata della nozione di «consumatore medio» perché avrebbe tenuto conto solo dei professionisti e non del consumatore finale. Questo errore potrebbe essere dedotto dal punto 23 della decisione impugnata, dove la commissione di ricorso rileva che i consumatori di questo tipo di prodotti sono abituati a marchi contenenti il prefisso «echina-». Ebbene, prodotti siffatti non avrebbero grande vendita. Sarebbe inoltre ipotizzabile che questo pubblico, che solo di rado può procedere a una comparazione diretta dei diversi marchi, dovendo piuttosto affidarsi all’immagine imperfetta che di essi ricorda, consideri i prodotti così contraddistinti appartenenti, sì, a due distinte gamme di prodotti, ma provenienti, tuttavia, dalla stessa impresa [sentenza del Tribunale 23 ottobre 2002, causa T‑104/01, Oberhauser/UAMI – Petit Liberto (Fifties), Racc. pag. II-4359, punto 49].

49      In fine, la ricorrente menziona una decisione della terza commissione di ricorso del 25 aprile 2001 (procedimento R 816/1999-3). In essa la commissione di ricorso avrebbe ritenuto sussistere un rischio di confusione per il consumatore medio tra due marchi designanti prodotti farmaceutici, A-MULSIN e ALMOXIN, i quali avevano più o meno la stessa composizione e utilità. La commissione di ricorso avrebbe indicato, in particolare, che ai medicinali per la cura di problemi poco importanti, come gli antiemicranici, i sonniferi o gli oli per massaggi, il consumatore medio presta scarsa attenzione; in genere li comprerebbe senza leggerne il bugiardino o senza consultarsi necessariamente con il farmacista. Ora, è proprio all’acquisto che potrebbe avvenire la confusione. La commissione di ricorso avrebbe concluso che, se un consumatore attento era in grado di distinguere i marchi controversi visivamente, segnatamente per la presenza di un trattino, il consumatore medio non era invece in condizione di memorizzare la piccola differenza fonetica esistente tra di loro.

50      Quanto al primo punto, l’UAMI ritiene, al contrario, che, anche se i segni devono essere presi nel loro insieme, è cruciale considerare all’atto della valutazione globale anche i diversi elementi di cui ciascuno di essi è composto [sentenza del Tribunale 9 aprile 2003, causa T-224/01, Durferrit/UAMI – Kolene (NU-TRIDE), Racc. pag. II‑1589]. Secondo la giurisprudenza della Corte, il carattere distintivo del marchio sarebbe uno dei fattori da prendere in considerazione per valutare il rischio di confusione (sentenza SABEL, cit., punto 24; sentenze della Corte 29 settembre 1998, causa C-39/97, Canon, Racc. pag. I-5507, punto 18, e 22 giugno 1999, causa C-342/97, Lloyd Schuhfabrik Meyer, Racc. pag. I-3819, punto 25). Per accertare il carattere distintivo di un marchio, si dovrebbero prendere in considerazione in particolare le sue qualità intrinseche, ivi compreso il fatto che esso sia o meno privo di qualsiasi elemento descrittivo dei prodotti o servizi per i quali è stato registrato (sentenze della Corte 4 maggio 1999, cause riunite C‑108/97 e C‑109/97, Windsurfung Chiemsee, Racc. pag. I‑2779, punti 49 e 51, e Lloyd Schuhfabrik Meyer, cit., punti 22 e 23). La somiglianza visuale, fonetica e concettuale dei marchi in causa dovrebbe essere basata sull’impressione d’insieme che essi producono, tenendo conto, in particolare, dei loro elementi distintivi e dominanti (sentenze SABEL, cit., punto 23, e Lloyd Schuhfabrik Meyer, cit., punti 22 e 23).

51      Ne discenderebbe che, allorché un marchio comprende un elemento di carattere descrittivo, quest’ultimo non potrebbe essere considerato l’elemento dominante, perché l’esistenza di un rischio di confusione non potrebbe essere fondata su elementi non tutelati dal diritto dei marchi. Di conseguenza, è a giusto titolo, per l’UAMI, che la commissione di ricorso ha concluso che la presenza del prefisso «echina‑» in entrambi i marchi non era sufficiente a determinare un rischio di confusione.

52      Quanto al secondo punto, l’UAMI ricorda che la commissione di ricorso ha tenuto conto del punto di vista dei consumatori medi di vitamine, di integratori alimentari, di preparazioni officinali, mediche e farmaceutiche, e non di quello dei consumatori professionali, vale a dire medici e farmacisti. Se tali prodotti possono essere venduti senza prescrizione, sarebbe perché le autorità sanitarie hanno ritenuto i consumatori medi sufficientemente informati e capaci di fare le loro scelte. Il loro consumatore medio sarebbe, peraltro, un consumatore tipico, particolarmente interessato ai prodotti sanitari naturali, tendenzialmente dotato di un minimo di cognizioni ed attento alle speciali proprietà dei prodotti a base di echinacea.

53      L’UAMI ritiene che il consumatore medio dei prodotti di cui trattasi, conoscendo queste proprietà, riferirà il prefisso alla natura di tali prodotti e non alla loro origine commerciale. Poiché il livello di attenzione del consumatore medio varia in funzione della natura dei prodotti considerati (sentenza Lloyd Schuhfabrik Meyer, cit., punto 26), e qui si tratta di prodotti per la salute, non ci sarebbe motivo di pensare che il consumatore medio non li sceglierà con attenzione, e ciò specialmente se sussistono, come pretende il ricorrente, seri rischi per la salute in caso di loro uso non conforme.

 Giudizio del Tribunale

54      Il Tribunale ricorda che, in genere, il pubblico non considera un elemento descrittivo facente parte di un marchio complesso come l’elemento distintivo e dominante dell’impressione d’insieme che tale marchio complessivo produce (sentenza BUDMEN, cit., punto 53).

55      Nella fattispecie, come il Tribunale ha già osservato supra al punto 44, il prefisso comune ai due segni controversi, ossia «echina-», che ha carattere descrittivo, non permette di distinguere l’origine commerciale dei prodotti. È dunque a giusto titolo che l’UAMI ha considerato che i loro rispettivi suffissi, vale a dire «‑id» e «-cin», devono essere ritenuti gli elementi distintivi e dominanti in grado di richiamare l’attenzione dei consumatori.

56      Quanto al presunto errore nell’applicazione della nozione di «consumatore medio», che la ricorrente deduce dal punto 25 della decisione impugnata, è sufficiente osservare che in tale punto non si parla dei professionisti, bensì del «pubblico interessato». L’espressione è definita al punto 23, dove la commissione di ricorso si riferisce espressamente al consumatore medio dei prodotti di cui trattasi. Quest’ultimo è presumibilmente ben informato, attento ed avveduto. A differenza di quanto sostiene la ricorrente, l’UAMI non ha dunque limitato il suo esame del rischio di confusione ai consumatori professionisti, ma ha chiaramente preso in considerazione la percezione dei consumatori finali dei prodotti in causa.

57      Se è vero, come sostiene la ricorrente, che il consumatore medio ha solo di rado la possibilità di procedere a un confronto diretto fra i diversi marchi, dovendosi invece affidare all’immagine imperfetta che di essi serba in mente, è pur vero che, tenuto conto del carattere descrittivo del prefisso «echina», così non è nella fattispecie.

58      Infine, quanto alla menzione da parte della ricorrente di una decisione della terza commissione di ricorso, si fa rinvio, supra, al punto 24.

59      Ne risulta che la quarta parte del motivo deve essere respinta.

 Quanto alla quinta parte, relativa all’omessa considerazione del «principio d’interdipendenza»

 Argomenti delle parti

60      La ricorrente lamenta che la commissione di ricorso non abbia applicato il «principio di interdipendenza». In base a tale «principio» la valutazione globale del rischio di confusione implica una certa interdipendenza tra i fattori che vengono in considerazione. In particolare, un tenue grado di somiglianza tra i prodotti o i servizi designati potrebbe essere compensato da un elevato grado di somiglianza tra i marchi e viceversa (sentenza Canon, cit., punti 15-18).

61      La ricorrente ritiene che, nella fattispecie, la commissione di ricorso avrebbe dovuto ritenere l’elevato grado di somiglianza tra i prodotti sufficiente a compensare le lievi differenze tra i segni.

62      L’UAMI riconosce che la valutazione globale del rischio di confusione comprende il grado di interdipendenza tra i fattori considerati e che, nella fattispecie, i prodotti contraddistinti dai marchi controversi sono identici. L’identità dei prodotti dovrebbe essere tuttavia controbilanciata dall’importanza del carattere distintivo dei marchi. Ora, nella fattispecie, poiché i marchi in questione erano composti di un prefisso descrittivo, il loro carattere distintivo sarebbe limitato al suffisso, parte sulla quale ricadrebbe l’attenzione dei consumatori. Di conseguenza, l’ambito di protezione del marchio anteriore sarebbe notevolmente circoscritto.

 Giudizio del Tribunale

63      È giurisprudenza constante che la valutazione globale del rischio di confusione implica una certa interdipendenza tra i fattori che entrano in considerazione, in particolare la somiglianza dei marchi e quella dei prodotti o dei servizi designati. Pertanto, un tenue grado di somiglianza tra i prodotti o i servizi designati può essere compensato da un elevato grado di somiglianza tra i marchi e viceversa [sentenze del Tribunale Canon, cit., punto 17, e 24 novembre 2005, causa T-3/04, Simonds Farsons Cisk/UAMI – Spa Monopole (KINJI by SPA), Racc. pag. II‑4837, punto 33].

64      La ricorrente sostiene che la valutazione da parte dell’UAMI del rischio di confusione nella fattispecie è viziata da errore perché nella decisione impugnata è omessa ogni menzione di quello ch’essa chiama il «principio di interdipendenza», quale enucleato dalla giurisprudenza (sentenza Canon, cit., punto 17).

65      Occorre osservare che, nella misura in cui lo si deve ritenere significare che la giurisprudenza considerata definisce il «principio di interdipendenza» come costitutivo di una regola di diritto autonoma, l’argomento è infondato. Le considerazioni relative al detto «principio» sono espressione solo di uno dei numerosi fattori di cui tener conto nella valutazione globale del rischio di confusione in un caso concreto. Ne consegue che, di per sé, l’omessa menzione di tale fattore nella decisione impugnata non può far presumere che la valutazione del rischio di confusione ivi esposta sia errata.

66      Alla luce di tutti i fattori considerati per la valutazione del rischio di confusione, quali esposti nella decisione impugnata, e in particolare alla luce delle prove ivi menzionate della coesistenza nei territori rilevanti di svariati marchi recanti il prefisso «echin-» o «echina-» con diversi suffissi, l’argomentazione della ricorrente non è atta ad evidenziare errori di ragionamento della commissione di ricorso.

67      Ne risulta che la quinta parte del motivo non può essere accolta. Il ricorso deve essere, di conseguenza, respinto in toto.

 Sulle spese

68      Ai termini dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese, se ne è stata fatta domanda. Poiché l’UAMI ne ha fatto domanda, la ricorrente, rimasta soccombente, va condannata alle spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Prima Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La ricorrente è condannata alle spese.

Cooke

Labucka

Trstenjak

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 5 aprile 2006.

Il cancelliere

 

       Il presidente

E. Coulon

 

       J.D. Cooke


* Lingua processuale: l'inglese.