Language of document : ECLI:EU:T:2023:276

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quinta Sezione ampliata)

24 maggio 2023 (*)

«Concorrenza – Mercato dei dati – Procedimento amministrativo – Articolo 18, paragrafo 3, e articolo 24, paragrafo 1, lettera d), del regolamento (CE) n. 1/2003 – Richiesta di informazioni – Virtual data room – Obbligo di motivazione – Certezza del diritto – Diritti della difesa – Necessità delle informazioni richieste – Abuso di potere – Diritto al rispetto della vita privata – Proporzionalità – Principio di buona amministrazione – Segreto professionale»

Nella causa T‑451/20,

Meta Platforms Ireland Ltd, già Facebook Ireland Ltd, con sede in Dublino (Irlanda), rappresentata da D. Jowell, KC, D. Bailey, barrister, J. Aitken, D. Das, S. Malhi, R. Haria, M. Quayle, solicitors, e Me T. Oeyen, avvocato,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata da G. Conte, C. Urraca Caviedes e C. Sjödin, in qualità di agenti,

convenuta,

sostenuta da

Repubblica federale di Germania, rappresentata da S. Costanzo, in qualità di agente,

interveniente,

IL TRIBUNALE (Quinta Sezione ampliata),

composto, al momento della deliberazione, da S. Papasavvas, presidente, D. Spielmann (relatore), R. Mastroianni, M. Brkan e I. Gâlea, giudici,

cancelliere: I. Kurme, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento,

in seguito all’udienza del 1° giugno 2022,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con il suo ricorso basato sull’articolo 263 TFUE, la ricorrente, Meta Platforms Ireland Ltd, già Facebook Ireland Ltd, chiede l’annullamento della decisione C(2020) 3011 final della Commissione, del 4 maggio 2020, relativa a un procedimento ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 3, e dell’articolo 24, paragrafo 1, lettera d), del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio (caso AT.40628 – Pratiche di Facebook relative ai dati) (in prosieguo: la «decisione iniziale»), come modificata dalla decisione C(2020) 9231 final della Commissione, dell’11 dicembre 2020 (in prosieguo: la «decisione di modifica») (in prosieguo, congiuntamente: la «decisione impugnata»).

I.      Fatti

2        Il 13 marzo 2019 la Commissione europea ha rivolto alla ricorrente una richiesta di informazioni con una decisione adottata ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli [101] e [102 TFUE] (GU 2003, L 1, pag. 1). Tale richiesta di informazioni comprendeva oltre 100 domande uniche, relative a diversi aspetti delle attività e dell’offerta di prodotti della ricorrente.

3        La ricorrente ha risposto a tale richiesta di informazioni in tre momenti, il 23 aprile, il 21 maggio e il 18 giugno 2019. I documenti prodotti sono stati individuati tramite una ricerca iniziale effettuata utilizzando termini di ricerca scelti dalla ricorrente e un controllo della pertinenza realizzato dai giuristi esterni di quest’ultima, abilitati all’esercizio della professione nell’Unione europea.

4        Il 30 agosto 2019 la Commissione ha inviato una richiesta di informazioni sul fondamento dell’articolo 18, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003. La richiesta di informazioni conteneva 83 domande uniche relative a Facebook Marketplace, ai social network e ai fornitori di annunci online.

5        La ricorrente ha risposto a tale richiesta di informazioni in tre momenti, il 30 settembre, il 10 ottobre e il 5 novembre 2019.

6        L’11 novembre 2019 la Commissione ha adottato una seconda decisione ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 3, del regolamento n. 1/2003. La Commissione ha chiesto alla ricorrente di fornire, in particolare, un certo numero di documenti interni rispondenti a determinati criteri cumulativi. In sostanza, i documenti richiesti erano quelli preparati da taluni depositari (custodians) per loro conto o ricevuti da questi ultimi, datati dal 1° gennaio 2013 fino alla data di tale decisione e contenenti taluni termini di ricerca. In particolare, due diversi insiemi di termini di ricerca dovevano essere applicati a due insiemi di depositari diversi. Per un insieme di depositari, i termini di ricerca da utilizzare erano quelli che la stessa ricorrente aveva selezionato e utilizzato di propria iniziativa per cercare e individuare documenti interni da presentare in risposta alla decisione del 13 marzo 2019. Per la seconda serie di depositari, i termini di ricerca da utilizzare erano stati elaborati dalla Commissione sulla base, da un lato, dei documenti della ricorrente e delle risposte fornite a seguito della decisione del 13 marzo 2019 e, dall’altro, di alcuni documenti interni della ricorrente pubblicati il 5 dicembre 2018 dal Digital, Culture, Media and Sport Committee (Commissione per il digitale, la cultura, i media e lo sport del Parlamento del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord; in prosieguo: il «comitato DCMS»).

7        Con lettera del 20 novembre 2019 la ricorrente ha comunicato le sue perplessità quanto alla necessità, alla proporzionalità e alla motivazione di taluni aspetti della decisione dell’11 novembre 2019. Tra la ricorrente e la Commissione è intercorsa una serie di scambi con l’obiettivo di affinare i termini di ricerca e ridurre il numero di documenti identificati.

8        Il 17 gennaio 2020 la Commissione ha trasmesso alla ricorrente una versione riveduta dei termini di ricerca.

9        Il 22 gennaio 2020 la Commissione ha informato la ricorrente della sua intenzione di adottare una nuova decisione contenente termini di ricerca modificati.

10      Il 4 maggio 2020 la Commissione ha adottato la decisione iniziale. Ai sensi dell’articolo 1 di tale decisione, la ricorrente doveva fornire alla Commissione le informazioni specificate negli allegati I.A, I.B e I.C a detta decisione entro il 15 giugno 2020. L’articolo 2 prevedeva un’ammenda giornaliera potenziale di EUR 8 milioni in caso di mancata comunicazione delle informazioni complete ed esatte richieste ai sensi dell’articolo 1.

11      Lo stesso giorno, il direttore generale della direzione generale (DG) della concorrenza della Commissione ha inviato alla ricorrente una lettera proponendo un procedimento distinto per la produzione di documenti che, secondo la ricorrente, conterrebbero soltanto informazioni personali, totalmente estranee alle sue attività commerciali. Tali documenti sarebbero inseriti nel fascicolo solo dopo essere stati esaminati in una virtual data room.

12      In una serie di scambi, la ricorrente e la Commissione hanno discusso delle eventuali modalità di utilizzo della virtual data room.

13      Con lettera del 12 giugno 2020, la Commissione ha accettato di prorogare fino al successivo 27 luglio il termine impartito alla ricorrente per rispondere alla richiesta di informazioni contenuta nella decisione iniziale.

II.    Conclusioni delle parti

14      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 15 luglio 2020, la ricorrente ha proposto il presente ricorso.

15      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        in subordine, annullare l’articolo 1 della decisione impugnata;

–        condannare la Commissione alle spese e condannare la Repubblica federale di Germania a farsi carico delle proprie spese.

16      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        dichiarare irricevibile il capo delle conclusioni della ricorrente diretto all’annullamento parziale dell’articolo 1 della decisione impugnata nella parte in cui non prevede l’istituzione di garanzie precise e sufficienti che consentano di preservare i diritti delle persone interessate dalla produzione di documenti di natura personale o privata non pertinenti;

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

17      La Repubblica federale di Germania chiede che il ricorso sia respinto e che la ricorrente sia condannata alle spese.

III. Fatti successivi alla presentazione del ricorso

A.      Procedimento sommario

18      Con atto separato depositato presso la cancelleria del Tribunale il 15 luglio 2020, la ricorrente ha presentato una domanda di provvedimenti provvisori.

19      Con ordinanza del 24 luglio 2020, Facebook Ireland/Commissione (T‑451/20 R, non pubblicata), adottata sulla base dell’articolo 157, paragrafo 2, del regolamento di procedura del Tribunale, il presidente del Tribunale ha disposto la sospensione dell’esecuzione della decisione iniziale fino alla data dell’ordinanza che pone fine al procedimento sommario.

20      Con ordinanza del 29 ottobre 2020, Facebook Ireland/Commissione (T‑451/20 R, non pubblicata, EU:T:2020:515), il presidente del Tribunale ha revocato l’ordinanza di cui al precedente punto 19, riservato le spese, disposto quanto segue e respinto la domanda di provvedimenti provvisori quanto al resto:

«1)      È sospesa l’esecuzione dell’articolo 1 della decisione [iniziale], nella parte in cui l’obbligo ivi formulato riguarda documenti privi di connessione con le attività commerciali d[ella ricorrente] e contenenti dati personali sensibili, e fintanto che non sia attuata la procedura di cui al punto 2.

2)      [La ricorrente] identificherà i documenti contenenti i dati di cui al punto 1 e li trasmetterà alla Commissione su un supporto elettronico separato. Tali documenti saranno quindi posti in una virtual data room che sarà accessibile solo a un numero quanto più ristretto possibile di membri del gruppo incaricato dell’indagine, alla presenza (virtuale o fisica) di un numero equivalente di avvocati d[ella ricorrente]. I membri del gruppo incaricato dell’indagine esamineranno e selezioneranno i documenti in questione, dando al contempo la possibilità agli avvocati d[ella ricorrente] di commentarli prima di versare al fascicolo i documenti considerati rilevanti. In caso di disaccordo sulla qualificazione di un documento, gli avvocati d[ella ricorrente] avranno il diritto di esporre le ragioni del loro disaccordo. In caso di disaccordo persistente, [la ricorrente] potrà chiedere un arbitrato al direttore incaricato dell’informazione, della comunicazione e dei media alla Direzione generale «Concorrenza» della Commissione».

B.      Adozione di una decisione di modifica e adattamento del ricorso

21      L’11 dicembre 2020 la Commissione ha adottato la decisione di modifica, che prevede un procedimento distinto per la produzione di documenti non connessi alle attività commerciali della ricorrente e contenenti dati personali sensibili.

22      Con atto separato depositato presso la cancelleria del Tribunale l’8 febbraio 2021, la ricorrente, sulla base dell’articolo 86 del regolamento di procedura, ha adattato il ricorso per tener conto dell’adozione della decisione di modifica.

C.      Richieste di trattamento riservato e di omissione di taluni dati per il pubblico; intervento

23      Il 15 luglio 2020, il 7 maggio e il 10 settembre 2021, la ricorrente ha chiesto, ai sensi dell’articolo 66 del regolamento di procedura, l’omissione di taluni dati per il pubblico.

24      Con lettere del 30 ottobre e 27 novembre 2020 nonché dell’8 febbraio e del 14 maggio 2021, la ricorrente ha chiesto, ai sensi dell’articolo 144, paragrafo 2, del regolamento di procedura, il trattamento riservato di taluni dati nei confronti della Repubblica federale di Germania.

25      Con ordinanza del 21 dicembre 2020, il presidente della Quinta Sezione del Tribunale ha ammesso l’intervento della Repubblica federale di Germania e ha accolto le richieste della ricorrente di trattamento riservato nei confronti della Repubblica federale di Germania.

IV.    In diritto

26      A sostegno del suo ricorso, la ricorrente deduce quattro motivi, vertenti, il primo sull’insufficiente chiarezza dell’oggetto dell’indagine, il secondo, su violazioni dell’articolo 18, paragrafi 1 e 3, del regolamento n. 1/2003, il terzo, su violazioni del diritto al rispetto della vita privata, del principio di proporzionalità e del diritto a una buona amministrazione e, il quarto, su violazioni dell’obbligo di motivazione.

A.      Sulla ricevibilità del capo delle conclusioni relativo alla mancata istituzione di garanzie precise e sufficienti

27      La Commissione contesta la ricevibilità del capo delle conclusioni della ricorrente diretto all’annullamento parziale dell’articolo 1 della decisione impugnata, nella parte in cui non prevede l’istituzione di garanzie precise e sufficienti che consentano di preservare i diritti delle persone interessate dalla produzione di documenti di natura personale o privata non pertinenti. Essa sostiene che tale capo delle conclusioni non appariva nel ricorso con cui veniva contestata la decisione iniziale e che nella memoria di adattamento non era stata fornita alcuna motivazione per spiegarne l’aggiunta. Pertanto, la memoria di adattamento non spiegherebbe in che modo tale capo supplementare delle conclusioni sarebbe giustificato dall’adozione della decisione di modifica e perché non avrebbe già potuto essere formulato nel ricorso in cui si contestava la decisione iniziale.

28      Dalla giurisprudenza emerge che le conclusioni delle parti sono caratterizzate, in linea di principio, dalla loro immutabilità. L’articolo 86 del regolamento di procedura, relativo all’adattamento dell’atto introduttivo della causa, costituisce una codificazione di una giurisprudenza preesistente relativa alle eccezioni cui tale principio di invariabilità può andare soggetto (v. sentenza del 9 novembre 2017, HX/Consiglio, C‑423/16 P, EU:C:2017:848, punto 18 e giurisprudenza ivi citata).

29      In forza dell’articolo 86, paragrafo 1, del regolamento di procedura, quando un atto di cui si chiede l’annullamento è sostituito o modificato da un altro atto avente il medesimo oggetto, il ricorrente, prima della chiusura della fase orale o prima della decisione del Tribunale di statuire senza fase orale, può adattare il ricorso per tener conto di questo elemento nuovo.

30      Affinché un ricorrente sia legittimato ad adattare, in pendenza di giudizio, le sue conclusioni iniziali, occorre, in ogni caso che, così facendo, esso non modifichi la natura del ricorso (v., in tal senso, sentenza del 13 giugno 2012, Insula/Commissione, T‑246/09, non pubblicata, EU:T:2012:287, punto 103 e giurisprudenza ivi citata).

31      Nel caso di specie, è vero che il capo delle conclusioni della ricorrente diretto all’annullamento parziale dell’articolo 1 della decisione impugnata, nella parte in cui non prevede l’istituzione di garanzie precise e sufficienti che consentano di preservare i diritti delle persone interessate dalla produzione di documenti di natura personale o privata non pertinenti, non figura, in quanto tale, nell’atto introduttivo della causa e appare esplicitamente solo nella memoria di adattamento.

32      Tuttavia, occorre rilevare che la Commissione non contesta il fatto che la memoria di adattamento soddisfi peraltro le condizioni di cui all’articolo 86 del regolamento di procedura, come interpretato secondo la giurisprudenza di cui al precedente punto 30.

33      A tal riguardo, occorre constatare che tale capo delle conclusioni, nella misura in cui è diretto all’annullamento parziale dell’articolo 1 della decisione impugnata nella parte in cui non prevede l’istituzione di garanzie precise e sufficienti, rientra nel capo delle conclusioni diretto all’annullamento dell’articolo 1 presentato in via subordinata nel ricorso.

34      Inoltre, è giocoforza constatare che l’articolo 86 del regolamento di procedura non impone alla ricorrente di spiegare specificamente le ragioni per le quali, da un lato, ha deciso di formulare un capo delle conclusioni che non figura, in quanto tale, nel ricorso e, dall’altro, non avrebbe potuto formulare tale capo delle conclusioni nell’atto introduttivo della causa, diretto contro la decisione iniziale.

35      Ne consegue che l’eccezione d’irricevibilità della Commissione diretta a contestare la ricevibilità del capo delle conclusioni della ricorrente di cui al precedente punto 27 deve essere respinta.

B.      Nel merito

1.      Sul primo motivo, vertente sullinsufficiente chiarezza delloggetto dellindagine

36      La ricorrente contesta alla Commissione di aver violato il principio della certezza del diritto, l’obbligo di motivazione generale su di essa incombente ai sensi dell’articolo 296 TFUE, l’obbligo di motivazione speciale ad essa imposto in forza dell’articolo 18, paragrafo 3, del regolamento n. 1/2003, nonché i suoi diritti della difesa e il suo diritto a una buona amministrazione, non avendo definito in termini sufficientemente chiari e coerenti l’oggetto e la portata della sua indagine.

a)      Sulla violazione dellobbligo di motivazione

37      Secondo una giurisprudenza consolidata, la motivazione degli atti delle istituzioni dell’Unione prescritta dall’articolo 296 TFUE deve essere adeguata alla natura dell’atto di cui trattasi e deve fare apparire in forma chiara e inequivocabile l’iter logico seguito dall’istituzione da cui esso promana, in modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e all’organo giurisdizionale competente di esercitare il proprio controllo. Il requisito della motivazione deve essere valutato in funzione di tutte le circostanze della fattispecie, in particolare del contenuto dell’atto, della natura dei motivi invocati e dell’interesse che i destinatari dell’atto o i terzi da esso interessati direttamente e individualmente possano avere nel ricevere spiegazioni. La motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti, in quanto la valutazione del se la motivazione di un atto soddisfi i requisiti di cui all’articolo 296 TFUE va effettuata alla luce non solo del suo tenore, ma anche del suo contesto e del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia (v. sentenza del 10 marzo 2016, HeidelbergCement/Commissione, C‑247/14 P, EU:C:2016:149, punto 16 e giurisprudenza ivi citata).

38      Per quanto attiene, in particolare, alla motivazione di una decisione di richiesta di informazioni, occorre ricordare che i suoi elementi essenziali sono definiti all’articolo 18, paragrafo 3, del regolamento n. 1/2003. Tale disposizione prevede quanto segue:

«Quando richiede alle imprese o associazioni di imprese di comunicare informazioni mediante decisione, la Commissione indica le basi giuridiche e lo scopo della richiesta, precisa le informazioni richieste e stabilisce un termine entro il quale esse devono essere fornite. Indica altresì le sanzioni previste dall’articolo 23 e indica o commina le sanzioni di cui all’articolo 24. Fa menzione inoltre del diritto di presentare ricorso dinanzi alla Corte di giustizia (…) avverso la decisione».

39      Tale obbligo di motivazione specifica costituisce un requisito fondamentale al fine non solo di evidenziare il carattere motivato della richiesta di informazioni, ma anche di consentire alle imprese interessate di comprendere la portata del loro dovere di collaborazione, facendo salvi, al contempo, i loro diritti della difesa (v. sentenza del 10 marzo 2016, HeidelbergCement/Commissione, C‑247/14 P, EU:C:2016:149, punto 19 e giurisprudenza ivi citata).

40      Riguardo all’obbligo di precisare lo «scopo della richiesta», esso comporta che la Commissione deve indicare l’oggetto della sua indagine nella richiesta e quindi identificare l’asserita infrazione alle regole di concorrenza (v. sentenza del 10 marzo 2016, HeidelbergCement/Commissione, C‑247/14 P, EU:C:2016:149, punto 20 e giurisprudenza ivi citata).

41      A tale proposito, la Commissione non è tenuta a comunicare al destinatario di una decisione di richiesta di informazioni tutte le informazioni di cui è in possesso quanto a presunte infrazioni né a procedere a una rigorosa qualificazione giuridica di tali infrazioni, purché indichi chiaramente i sospetti che intende verificare (v. sentenza del 10 marzo 2016, HeidelbergCement/Commissione, C‑247/14 P, EU:C:2016:149, punto 21 e giurisprudenza ivi citata).

42      Un siffatto obbligo si spiega, in particolare, con la circostanza che, come risulta dall’articolo 18, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003 e dal considerando 23 di quest’ultimo, per l’assolvimento dei compiti affidatile da tale regolamento, la Commissione può, mediante semplice domanda o mediante decisione, richiedere alle imprese e associazioni di imprese di fornire «tutte le informazioni necessarie» (sentenza del 10 marzo 2016, HeidelbergCement/Commissione, C‑247/14 P, EU:C:2016:149, punto 22).

43      Ne discende che la Commissione può chiedere soltanto la comunicazione di informazioni che possano consentirle di verificare le presunte infrazioni che giustificano lo svolgimento dell’indagine e che sono indicate nella richiesta di informazioni (v., in tal senso, sentenze del 10 marzo 2016, HeidelbergCement/Commissione, C‑247/14 P, EU:C:2016:149, punto 23, e del 28 aprile 2010, Amann & Söhne e Cousin Filterie/Commissione, T‑446/05, EU:T:2010:165, punto 333 e giurisprudenza ivi citata).

44      Orbene, poiché la necessità dell’informazione va valutata in relazione allo scopo indicato nella richiesta di informazioni, tale scopo deve essere enunciato in maniera sufficientemente precisa, altrimenti sarà impossibile determinare se l’informazione è necessaria e il giudice dell’Unione non potrà esercitare il suo controllo (v. sentenza del 10 marzo 2016, HeidelbergCement/Commissione, C‑247/14 P, EU:C:2016:149, punto 24 e giurisprudenza ivi citata).

45      La sufficienza o meno della motivazione della decisione impugnata dipende quindi dalla questione se le presunte infrazioni che la Commissione intende verificare siano precisate con sufficiente chiarezza (v., in tal senso, sentenza del 10 marzo 2016, HeidelbergCement/Commissione, C‑247/14 P, EU:C:2016:149, punto 25).

46      Al momento della valutazione della portata dell’obbligo di motivazione rispetto a una decisione di richiesta di informazioni ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 3, del regolamento n. 1/2003, occorre altresì tener conto della fase dell’indagine in cui una siffatta decisione è adottata e se la Commissione disponesse già, o no, di talune informazioni sulle presunte infrazioni (v., in tal senso, sentenza del 10 marzo 2016, HeidelbergCement/Commissione, C‑247/14 P, EU:C:2016:149, punto 39, e conclusioni dell’avvocato generale Wahl nella causa HeidelbergCement/Commissione, C‑247/14 P, EU:C:2015:694, paragrafo 50).

47      Nel caso di specie, dal titolo stesso della decisione impugnata emerge che è stata adottata sulla base dell’articolo 18, paragrafo 3, e dell’articolo 24, paragrafo 1, lettera d), del regolamento n. 1/2003.

48      Al punto 1 della decisione impugnata la Commissione ha indicato che stava indagando sul comportamento del gruppo Facebook relativo, da un lato, al suo uso di dati e, dall’altro, alla piattaforma di social network di Facebook nello Spazio economico europeo (SEE).

49      Al punto 3 di tale decisione, la Commissione ha affermato quanto segue:

«La Commissione concentra la propria indagine sull’uso dei dati effettuato da Facebook, come dimostrano taluni documenti interni di Facebook pubblicati il 5 dicembre 2018 e il 18 febbraio 2019 dal [comitato DCMS]. I documenti interni di Facebook summenzionati risalgono agli anni dal 2012 al 2015. Un certo numero di tali documenti sembrano riferirsi a discussioni interne di Facebook, a strategie commerciali o a comportamenti riguardanti l’accesso ai dati di Facebook, l’accesso alle funzionalità di Facebook e alle strategie di monetizzazione dei dati, compresa la possibilità di concedere a terzi un accesso ai dati o a funzionalità di Facebook in cambio di diversi tipi di corrispettivo e a diverse condizioni. Altri documenti illustrano, a quanto sembra, l’uso da parte di Facebook dell’applicazione Onavo al fine di ottenere dati aventi valore commerciale sui servizi concorrenti».

50      La Commissione ha quindi indicato che concentrava la sua indagine sull’uso dei dati da parte della ricorrente, messo in luce da taluni documenti interni di quest’ultima, resi pubblici dal comitato DCMS, e di cui essa ha descritto brevemente il contenuto. Essa ha altresì indicato che altri documenti sembravano illustrare l’uso da parte della ricorrente dell’applicazione Onavo al fine di ottenere dati aventi valore commerciale sui servizi concorrenti.

51      Al punto 4 della decisione impugnata, la Commissione ha affermato quanto segue:

«Sulla base di tali documenti, sembrerebbe che Facebook si sia avvalso o si avvalga di i) accordi di condivisione di dati sotto condizione, che aumentano il flusso di dati tra Facebook e terzi, rafforzando così il potere di mercato di Facebook in un eventuale mercato dei dati o creando ostacoli all’ingresso grazie all’accumulo di dati; ii) pratiche relative all’uso dei prodotti Facebook (tra cui in particolare l’applicazione Onavo, l’applicazione Facebook Research e Facebook Business Tools) per ottenere dati aventi valore commerciale sui servizi concorrenti, escludendo così potenziali concorrenti e creando ostacoli all’ingresso in eventuali mercati di servizi relativi a un social network e/o ad altri servizi digitali e iii) pratiche potenzialmente discriminatorie che limitano l’accesso ai dati, alle funzionalità e alle interfacce di programmazione di applicazioni (API) di Facebook o ad altri strumenti in funzione dell’eventuale qualifica di terzi, quali concorrenti, escludendo così potenziali concorrenti e creando ostacoli all’ingresso in eventuali mercati di servizi relativi a un social network e/o ad altri servizi digitali».

52      Al punto 5 della decisione impugnata, la Commissione ha rilevato quanto segue:

«La Commissione ritiene altresì, sulla base di informazioni accessibili al pubblico, che potrebbero esservi stati casi in cui Facebook ha bloccato riferimenti alle applicazioni o siti [Internet] concorrenti in Facebook Suite, escludendo così potenziali concorrenti e creando ostacoli all’ingresso in eventuali mercati di servizi relativi a un social network e/o altri servizi digitali. Inoltre, basandosi su informazioni accessibili al pubblico, la Commissione considera che il progetto annunciato da Facebook di integrare le sue diverse piattaforme di comunicazione (cioè WhatsApp, Instagram e Facebook Messenger) potrebbe rafforzare la sua posizione quale fornitore di servizi di comunicazione per i consumatori, portando all’esclusione di concorrenti potenziali».

53      Al punto 6 della decisione impugnata la Commissione ha considerato quanto segue:

«Se l’esistenza di siffatti comportamenti fosse confermata, essi potrebbero costituire una o più violazioni degli articoli 101 e/o 102 [TFUE] e degli articoli 53 e/o 54 dell’[a]ccordo SEE».

54      Occorre esaminare, in primo luogo, l’argomento della ricorrente vertente sull’ambiguità dell’oggetto dell’indagine della Commissione.

1)      Sulla determinazione dell’oggetto dell’indagine della Commissione

55      La ricorrente ritiene, in sostanza, che la decisione impugnata sia motivata in modo ambiguo, in quanto i punti da 1 a 3 di tale decisione suggeriscono che l’oggetto dell’indagine della Commissione include qualsiasi pratica che implica un uso di dati, mentre i punti 4 e 5 di tale decisione contengono esempi non esaustivi di uso di dati e di pratiche di cui la Commissione la sospetta. Essa aggiunge che la decisione impugnata non descrive alcuna violazione individuabile del diritto della concorrenza e che tale decisione sembra autorizzare la Commissione a realizzare un controllo generale e illimitato di tutte le sue attività. Di conseguenza, l’indagine della Commissione assomiglierebbe a una «caccia alle informazioni» e la ricorrente non sarebbe in grado di conoscere la portata dei suoi diritti e dei suoi obblighi e il Tribunale non sarebbe in grado di valutare se la richiesta di informazioni di cui trattasi sia giustificata e le informazioni richieste siano necessarie.

56      La Commissione e la Repubblica federale di Germania contestano gli argomenti della ricorrente.

57      Si deve rilevare, al pari della Commissione, che i punti 1 e 3 della decisione impugnata hanno uno scopo essenzialmente introduttivo. Infatti, il punto 1 individua le entità oggetto dell’indagine, vale a dire la Facebook Inc. e tutte le società del suo gruppo, incluse in particolare WhatsApp Inc., Instagram LLC, Facebook Israel Ltd e Onavo Inc., nonché il settore in cui rientrano i comportamenti oggetto dell’indagine, ossia l’uso di dati, i servizi oggetto dell’indagine, ossia la piattaforma di social network di Facebook, nonché l’estensione geografica esaminata, ossia il SEE.

58      Quanto al punto 3 della decisione impugnata, la Commissione ha ivi individuato i documenti sulla base dei quali aveva deciso di avviare la sua indagine sull’uso di dati da parte della ricorrente.

59      Ai punti 4 e 5 della decisione impugnata, la Commissione ha elencato le pratiche delle quali sospettava la ricorrente, sulla base dei documenti individuati al punto 3 di tale decisione, e sui quali intendeva indagare.

60      Al punto 6 della decisione impugnata, la Commissione ha considerato che «siffatti comportamenti» potrebbero costituire una o più violazioni degli articoli 101 e 102 TFUE nonché degli articoli 53 e 54 dell’accordo SEE. In tal modo, essa ha necessariamente fatto riferimento alle pratiche individuate ai punti 4 e 5 di tale decisione.

61      A tal riguardo, occorre considerare che, come sostenuto dalla stessa Commissione, le pratiche elencate ai punti 4 e 5 della decisione impugnata lo sono in modo tassativo. Con tale elenco, la Commissione ha chiaramente indicato i sospetti che intendeva verificare, ha identificato le asserite violazioni delle regole di concorrenza e, in tal modo, ha delimitato l’oggetto della sua indagine, ai sensi della giurisprudenza ricordata ai precedenti punti 40 e 41.

62      Di conseguenza, una siffatta motivazione soddisfa l’obbligo di indicare lo scopo della richiesta di informazioni ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 3, del regolamento n. 1/2003.

63      A tal riguardo, è giocoforza constatare che le altre interpretazioni indicate dalla ricorrente, che tendono a considerare le pratiche di cui ai punti 4 e 5 della decisione impugnata come «esempi non esaustivi» o «pratiche più specifiche» di uso dei dati, condurrebbero a interpretare l’oggetto dell’indagine della Commissione in modo eccessivamente ampio, incompatibile con la giurisprudenza rammentata ai punti 40 e 41.

64      Orbene, da una giurisprudenza costante emerge che una norma di diritto dell’Unione derivato va interpretata, nei limiti del possibile, nel senso della sua conformità con le disposizioni del Trattato e con i principi generali del diritto dell’Unione (sentenze del 4 ottobre 2007, Schutzverband der Spirituosen-Industrie, C‑457/05, EU:C:2007:576, punto 22; del 10 luglio 2008, Bertelsmann e Sony Corporation of America/Impala, C‑413/06 P, EU:C:2008:392, punto 174, e del 25 novembre 2009, Germania/Commissione, T‑376/07, EU:T:2009:467, punto 22).

65      In tali circostanze, la ricorrente sostiene erroneamente che l’oggetto dell’indagine della Commissione è ambiguo, nella parte in cui si estenderebbe a qualsiasi pratica che implichi da parte sua l’uso di dati.

2)      Sulla descrizione dei comportamenti addebitati

66      La ricorrente sostiene che, anche supponendo che l’oggetto dell’indagine della Commissione dovesse essere inteso come strettamente limitato alle pratiche elencate ai punti 4 e 5 della decisione impugnata, tale decisione non descrive in modo sufficientemente preciso taluni elementi essenziali delle infrazioni di cui la Commissione sospetta.

67      In primo luogo, la ricorrente sostiene che la Commissione non ha precisato, nella decisione impugnata, le attività o i prodotti che potevano essere interessati dagli accordi di condivisione di dati di cui al punto 4, i), di tale decisione, né le pratiche discriminatorie che limitano l’accesso ai dati, alle funzionalità e alle interfacce di programmazione delle sue applicazioni o ad altri strumenti, di cui al punto 4, iii), di detta decisione. In secondo luogo, la Commissione non avrebbe individuato il o i concorrenti che potevano essere stati lesi dalle pratiche discriminatorie menzionate al punto 4, ii), della decisione impugnata, dal sospettato blocco dei riferimenti a pubblicità o siti Internet di concorrenti e dal piano provvisorio di integrazione delle sue varie piattaforme di comunicazione, di cui al punto 5 della decisione impugnata. In terzo luogo, i riferimenti ai punti 4 e 5 di tale decisione all’esclusione di concorrenti potenziali e alla creazione di barriere all’ingresso sarebbero talmente generici da non determinare la natura del comportamento oggetto dei sospetti della Commissione. Inoltre, in mancanza di identificazione del tipo o dell’origine dell’esclusione o delle asserite barriere, non sarebbe possibile distinguere un’esclusione anticoncorrenziale da una concorrenza basata sui meriti che conduca all’esclusione di concorrenti meno efficaci.

68      Secondo la ricorrente, da tali imprecisioni risulterebbe un’impossibilità di determinare se la Commissione potesse ragionevolmente supporre che taluni documenti oggetto della decisione impugnata l’avrebbero aiutata a confermare la sussistenza delle pratiche di cui ai punti 4 e 5 di tale decisione. La ricorrente fa riferimento, a titolo esemplificativo, a tre documenti di cui la Commissione richiederebbe la presentazione nonché a termini di ricerca indicati nella decisione impugnata, nonostante il contenuto di tali documenti sarebbe irrilevante per verificare l’esistenza delle pratiche menzionate ai punti 4 e 5 di detta decisione e i termini in questione non avrebbero alcuna connessione plausibile con dette pratiche. La ricorrente non sarebbe neppure in grado di rendere note utilmente le proprie osservazioni alla Commissione e dovrebbe, in sostanza, indovinare quanto le viene addebitato.

69      La Commissione e la Repubblica federale di Germania contestano gli argomenti della ricorrente.

70      Occorre verificare se, tenuto conto del contesto in cui è stata adottata la decisione impugnata e della fase dell’indagine in cui tale decisione è stata adottata, la motivazione della decisione impugnata sia conforme alla giurisprudenza rammentata ai precedenti punti da 37 a 46.

71      La Commissione ha descritto, al punto 4 della decisione impugnata, le pratiche di cui sospettava la ricorrente, così come i prodotti o servizi della ricorrente interessati, eventualmente, da tali pratiche. Essa ha ivi menzionato, primo, accordi di condivisione di dati che rafforzerebbero il potere di mercato della ricorrente su un eventuale mercato dei dati o creerebbero ostacoli all’ingresso in un tale mercato; secundo, pratiche relative al suo uso dei prodotti Onavo, Facebook Research e Facebook Business Tools, per ottenere dati aventi valore commerciale sui servizi concorrenti e, tertio, pratiche potenzialmente discriminatorie che limitano l’accesso dei concorrenti ai dati, alle funzionalità e alle interfacce di programmazione delle sue applicazioni. Per quanto riguarda gli ultimi due tipi di pratiche, essa ha precisato che queste potevano avere l’effetto di escludere concorrenti potenziali o di creare ostacoli all’ingresso in eventuali mercati di servizi relativi a un social network e ad altri servizi digitali.

72      Al punto 5 della decisione impugnata, la Commissione ha menzionato che potevano esserci stati casi in cui la ricorrente aveva bloccato, in alcune sue applicazioni, riferimenti alle applicazioni o ai siti Internet di concorrenti, escludendo così potenziali concorrenti e creando ostacoli all’ingresso in eventuali mercati di servizi relativi a un social network e ad altri servizi digitali. La Commissione ha aggiunto che il progetto della ricorrente di integrare le sue diverse piattaforme di comunicazioni, ossia WhatsApp, Instagram e Facebook Messenger, potrebbe rafforzare la sua posizione quale fornitore di servizi di comunicazione per i consumatori, portando all’esclusione di concorrenti potenziali.

73      Occorre considerare che il contenuto dei punti 4 e 5 della decisione impugnata costituisce una descrizione chiara e inequivocabile dell’oggetto o dell’effetto delle pratiche di cui la Commissione sospetta la ricorrente, così come i prodotti o i servizi della ricorrente eventualmente interessati da tali pratiche. Siffatte informazioni consentono altresì di determinare con un sufficiente grado di precisione i prodotti sui quali verte l’indagine e i sospetti di infrazioni che giustificano l’adozione di tale decisione.

74      Inoltre, va osservato che la Commissione ha indubbiamente adottato la decisione impugnata, circa un anno dopo la prima decisione di richiesta di informazioni, adottata il 13 marzo 2019, e a seguito di scambi con la ricorrente, ricordati ai precedenti punti da 3 a 9, nell’ambito dei quali quest’ultima le ha fornito un certo numero di informazioni ai fini della sua indagine. Tuttavia, la decisione impugnata è stata adottata nell’ambito della fase di indagine preliminare del procedimento amministrativo ai sensi del regolamento n. 1/2003, che è destinata a consentire alla Commissione di raccogliere tutti gli elementi pertinenti che confermino o meno l’esistenza di un’infrazione alle norme sulla concorrenza e di prendere una prima posizione sull’orientamento nonché sull’ulteriore seguito da dare al procedimento (v., in tal senso, sentenza del 29 settembre 2011, Elf Aquitaine/Commissione, C‑521/09 P, EU:C:2011:620, punto 113 e giurisprudenza ivi citata).

75      Alla luce di tali elementi, occorre considerare che la motivazione della decisione impugnata consente, da un lato, alla ricorrente di verificare se le informazioni richieste siano necessarie ai fini dell’indagine e, dall’altro, al giudice dell’Unione di esercitare il suo controllo. Se ne deve dedurre che la decisione impugnata è sufficientemente motivata.

76      Tale conclusione non è messa in discussione dagli argomenti della ricorrente di cui al precedente punto 67.

77      Infatti, alla luce della giurisprudenza rammentata al precedente punto 41, la Commissione era tenuta a indicare chiaramente, nella decisione impugnata, i sospetti che essa intendeva verificare, ma non a comunicare alla ricorrente tutte le informazioni di cui disponeva in merito alle presunte infrazioni, né a procedere a una rigorosa qualificazione giuridica di tali infrazioni.

78      Di conseguenza, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, l’obbligo di motivazione che incombe alla Commissione nel caso di specie non richiedeva, nella fase in cui la decisione impugnata è stata adottata, una menzione più precisa delle attività e dei prodotti della ricorrente che potevano essere interessati dalle pratiche di cui al punto 4, da i) a iii), della decisione impugnata, un’identificazione più precisa dei concorrenti potenziali lesi dalle pratiche di cui al punto 4, ii), e al punto 5 di tale decisione, né ulteriori precisazioni quanto all’esclusione di concorrenti potenziali e alla creazione di barriere all’ingresso.

79      Inoltre, al punto 1 della decisione impugnata, la Commissione ha definito l’estensione geografica della sua indagine, ossia il SEE, e la sua estensione materiale, ossia l’uso dei dati da parte della ricorrente nonché la sua piattaforma di social network. Come sostiene correttamente la Commissione, il semplice fatto che l’indagine riguardi numerose attività e che la portata geografica di tale indagine sia estesa non può, in quanto tale, essere considerato quale indicazione di una motivazione vaga.

80      Di conseguenza, si deve considerare che le asserite imprecisioni contestate dalla ricorrente non erano tali da nuocere né alla sua comprensione dello scopo e dell’oggetto dell’indagine nonché dei sospetti di infrazioni sui quali la Commissione intendeva indagare, né alla possibilità per il Tribunale di esercitare il suo controllo.

81      Infine, per quanto riguarda gli argomenti vertenti su esempi di documenti e di termini di ricerca, menzionati dalla ricorrente, asseritamente non pertinenti per verificare l’esistenza delle pratiche menzionate ai punti 4 e 5 della decisione impugnata, essi mirano, in realtà, a contestare la necessità per l’indagine di tali documenti e termini di ricerca. Orbene, argomenti diretti a contestare la necessità delle informazioni richieste rientrano nella legittimità nel merito della decisione impugnata e non possono essere presi in considerazione nell’ambito dell’esame del motivo vertente su una violazione dell’obbligo di motivazione (v., in tal senso, sentenza del 9 aprile 2019, Qualcomm e Qualcomm Europe/Commissione, T‑371/17, non pubblicata, EU:T:2019:232, punto 55 e giurisprudenza ivi citata). Tali argomenti saranno quindi analizzati nell’ambito dell’esame del secondo motivo.

82      Alla luce di quanto precede, la ricorrente invoca erroneamente una violazione dell’obbligo di motivazione, quale previsto dall’articolo 296 TFUE e dall’articolo 18, paragrafo 3, del regolamento n. 1/2003, per quanto riguarda l’oggetto dell’indagine della Commissione e la descrizione delle pratiche di cui essa intende verificare l’esistenza nell’ambito della sua indagine.

b)      Sulla violazione del principio di certezza del diritto, dei diritti della difesa e del diritto a una buona amministrazione

83      Per quanto riguarda le censure vertenti su una violazione del principio di certezza del diritto, dei diritti della difesa e del diritto a una buona amministrazione, è giocoforza constatare che la ricorrente non adduce alcun argomento autonomo a loro sostegno, distinto da quelli dedotti a supporto di quello vertente sulla violazione dell’obbligo di motivazione. Tali censure devono, pertanto, essere respinte.

84      Da quanto precede risulta che il primo motivo deve essere respinto nella sua interezza.

2.      Sul quarto motivo, vertente su una violazione dellobbligo di motivazione per quanto riguarda la definizione dei termini di ricerca menzionati nella decisione impugnata e il trattamento destinato ai documenti non pertinenti per lindagine

85      La ricorrente contesta alla Commissione di aver violato l’obbligo di motivazione per quanto riguarda, da un lato, la definizione dei termini di ricerca menzionati nella decisione impugnata e, dall’altro, il trattamento destinato ai documenti non pertinenti per la sua indagine e prodotti in esecuzione della decisione impugnata.

a)      Sulladeguatezza dei termini di ricerca

86      La ricorrente sostiene che la Commissione ha omesso di spiegare come e perché avesse ritenuto che i termini di ricerca di cui aveva chiesto l’applicazione identificassero soltanto documenti pertinenti per la sua indagine, che le consentissero di stabilire se le infrazioni presunte fossero state commesse.

87      La Commissione contesta gli argomenti dalla ricorrente.

88      Come emerge dai precedenti punti da 57 a 82, la decisione impugnata è sufficientemente motivata per quanto riguarda l’oggetto dell’indagine della Commissione, la descrizione delle pratiche di cui essa intendeva verificare l’esistenza nell’ambito della sua indagine e la necessità delle informazioni richieste.

89      Alla luce delle disposizioni e della giurisprudenza rammentate ai precedenti punti da 37 a 46, che delimitano la portata dell’obbligo di motivazione di una decisione di richiesta di informazioni, tale obbligo non si spinge fino a imporre alla Commissione di fornire rispetto a ogni informazione richiesta o, come nel caso di specie, a ogni termine di ricerca di cui si chiede l’applicazione, una motivazione specifica dei motivi per cui essa ritiene che tale informazione o tale termine di ricerca, da un lato, sia necessario per la sua indagine e, dall’altro, conterrebbe o identificherebbe solo informazioni pertinenti per tale indagine.

90      Imporre alla Commissione una siffatta motivazione eccederebbe anche gli obblighi, enunciati ai successivi punti da 110 a 114, che le incombono alla luce del principio di necessità. In particolare, il requisito di una correlazione tra la richiesta di informazioni e la presunta infrazione è soddisfatto se la Commissione può ragionevolmente supporre, alla data della richiesta, che detta informazione sia tale da aiutarla a determinare l’esistenza dell’infrazione in parola. Non si può esigere dalla Commissione alcuna certezza al riguardo.

91      Inoltre, come risulta dal precedente punto 37, il rispetto dell’obbligo di motivazione deve essere valutato alla luce non solo della sua formulazione, ma anche del suo contesto.

92      A tal riguardo, come ricordato al precedente punto 74, la decisione impugnata è stata adottata nell’ambito della fase di indagine preliminare del procedimento amministrativo ai sensi del regolamento n. 1/2003, che ha lo scopo di consentire alla Commissione di raccogliere tutti gli elementi pertinenti che confermino o meno l’esistenza di un’infrazione alle norme sulla concorrenza e di prendere una prima posizione sull’orientamento nonché sull’ulteriore seguito da dare al procedimento.

93      In particolare, una richiesta di informazioni come la decisione impugnata ha soltanto lo scopo di consentire alla Commissione di raccogliere le informazioni e i documenti necessari per accertare la verità e la portata di una determinata situazione di fatto e di diritto (sentenza del 10 marzo 2016, HeidelbergCement/Commissione, C‑247/14 P, EU:C:2016:149, punto 37).

94      Inoltre, la decisione impugnata è stata adottata a seguito di scambi tra la ricorrente e la Commissione nell’ambito dei quali, in particolare, la ricorrente ha individuato essa stessa taluni termini di ricerca che potevano essere pertinenti per fornire alla Commissione le informazioni che quest’ultima intendeva ottenere. Così, in particolare, l’allegato I.C alla decisione impugnata designa taluni termini di ricerca come identificati dalla ricorrente in risposta alla richiesta di informazioni inviata dalla Commissione il 13 marzo 2019. Inoltre, dal punto 15 della decisione impugnata, che riguarda la decisione di richiesta di informazioni dell’11 novembre 2019, successivamente ritirata dalla Commissione, emerge che quest’ultima aveva elaborato l’elenco dei termini di ricerca di cui aveva chiesto l’applicazione a partire dalla risposta fornita dalla ricorrente alla richiesta di informazioni del 13 marzo 2019 e sulla base di documenti interni di quest’ultima resi pubblici dal comitato DCMS. Orbene, è pacifico che i termini di ricerca contenuti nella decisione impugnata figuravano anche nella decisione dell’11 novembre 2019.

95      Alla luce di quanto precede, la ricorrente non può utilmente invocare una violazione dell’obbligo di motivazione per quanto riguarda l’adeguatezza dei termini di ricerca contenuti nella decisione impugnata.

b)      Sul trattamento dei documenti non pertinenti

96      La ricorrente contesta alla Commissione di non aver motivato nella decisione iniziale il suo rifiuto di autorizzare un controllo della pertinenza dei documenti individuati a seguito dell’applicazione dei termini di ricerca. In particolare, in primo luogo, la Commissione non avrebbe spiegato perché la ricorrente non poteva essere autorizzata a rifiutarsi dal presentare taluni documenti, anche se i suoi avvocati indipendenti e abilitati ad esercitare nell’Unione avevano considerato che tali documenti erano manifestamente non pertinenti. In secondo luogo, essa non avrebbe spiegato le ragioni per le quali i documenti contenenti informazioni riservate rientranti nelle comunicazioni tra un avvocato e il suo cliente non le sarebbero trasmessi, mentre potrebbero esserlo documenti contenenti dati personali. A tal riguardo, la ricorrente sostiene che, dal momento che la decisione iniziale imponeva di fornire informazioni contenenti dati personali, essa doveva prevedere garanzie adeguate e sufficienti per tutelare tali informazioni. Orbene, la Commissione non avrebbe motivato il suo rifiuto di concedere siffatte garanzie.

97      La Commissione contesta gli argomenti dalla ricorrente.

98      In via preliminare, occorre ricordare che l’articolo 1 della decisione iniziale prevede che la ricorrente fornisca alla Commissione i documenti di cui agli allegati I.A, I.B e I.C a tale decisione. Con l’articolo 3 della decisione di modifica, la Commissione ha adottato un procedimento particolare per quanto riguarda i documenti che dovevano essere prodotti dalla ricorrente in forza della decisione impugnata, ma che non avevano un nesso con le sue attività commerciali e che contenevano dati personali sensibili.

99      Inoltre, l’8 febbraio 2021, la ricorrente, sulla base dell’articolo 86 del regolamento di procedura, ha adattato il ricorso per tener conto dell’adozione della decisione di modifica. Di conseguenza, e tenuto conto dei capi delle conclusioni di cui al precedente punto 15, il ricorso della ricorrente ha ad oggetto una domanda di annullamento della decisione iniziale, come modificata dalla decisione di modifica.

100    Nel caso di specie, il Tribunale non può statuire sulla legittimità della decisione iniziale senza tener conto delle modifiche risultanti dalla decisione di modifica.

101    Orbene, un ricorso di annullamento proposto da una persona fisica o giuridica è ricevibile solo ove quest’ultima abbia un interesse all’annullamento dell’atto impugnato. Un siffatto interesse presuppone che l’annullamento di tale atto possa produrre di per sé conseguenze giuridiche e che il ricorso possa pertanto, con il suo esito, procurare un beneficio alla parte che lo ha proposto (sentenza del 17 settembre 2015, Mory e a./Commissione, C‑33/14 P, EU:C:2015:609, punto 55). Per analogia, lo stesso vale per l’interesse a far valere un motivo (sentenza del 28 febbraio 2017, Canadian Solar Emea e a./Consiglio, T‑162/14, non pubblicata, EU:T:2017:124, punto 68).

102    Nel caso di specie, la ricorrente non ha fornito alla Commissione, prima dell’adozione della decisione di modifica, documenti che sarebbero rientrati nel procedimento della virtual data room deciso in tale decisione.

103    Di conseguenza, la ricorrente non potrebbe, se del caso, trarre alcun beneficio dall’eventuale annullamento della decisione iniziale sulla base di una violazione dell’obbligo di motivazione risultante dalla mancata menzione in tale decisione, da un lato, delle ragioni che escludono la possibilità che essa rifiuti di presentare taluni documenti e, dall’altro, delle ragioni della mancata istituzione di garanzie specifiche, quali un procedimento che istituisce una virtual data room, per salvaguardare la vita privata di talune persone fisiche.

104    Ne consegue che tale censura deve essere respinta in quanto irricevibile.

105    Poiché nessuno degli argomenti addotti dalla ricorrente a sostegno del quarto motivo è fondato, tale motivo deve essere respinto.

3.      Sul secondo motivo, vertente su una violazione dellarticolo 18 del regolamento n. 1/2003, su una violazione dei diritti della difesa e su un abuso di potere

106    Con il secondo motivo, la ricorrente sostiene che la decisione impugnata viola l’articolo 18, paragrafo 3, del regolamento n. 1/2003 per il motivo che, obbligandola a produrre numerosi documenti non pertinenti ai fini dell’indagine della Commissione, tale decisione è contraria al principio di necessità, viola i suoi diritti della difesa e costituisce uno sviamento dei poteri ad essa conferiti dall’articolo 18 del regolamento n. 1/2003 al fine illegittimo di ottenere informazioni non pertinenti rispetto alle infrazioni potenziali descritte nella decisione impugnata.

107    Il secondo motivo si articola in tre parti.

a)      Sulla prima parte del secondo motivo, vertente su una violazione dellarticolo 18, paragrafi 1 e 3, del regolamento n. 1/2003

108    La ricorrente contesta alla Commissione di aver violato il principio di necessità di cui all’articolo 18 del regolamento n. 1/2003. Essa sostiene che l’applicazione dei termini di ricerca menzionati nella decisione impugnata conduce inevitabilmente all’individuazione di un gran numero di documenti privi di pertinenza per l’indagine della Commissione, in ragione, da un lato, della lunga durata del periodo relativamente al quale sono richieste le ricerche e, dall’altro, del fatto che i termini di ricerca di cui trattasi sono parole o espressioni molto diffuse, se non addirittura appartenenti al linguaggio corrente. Siffatti termini di ricerca potrebbero quindi essere utilizzati in un contesto estraneo alle pratiche oggetto dell’indagine della Commissione. La ricorrente sostiene altresì che la Commissione ha violato il principio di necessità nel richiedere la presentazione di numerosi documenti senza istituire garanzie almeno equivalenti a quelle concesse alle imprese nell’ambito delle ispezioni condotte ai sensi dell’articolo 20 del regolamento n. 1/2003.

109    La Commissione contesta la ricevibilità degli argomenti della ricorrente diretti contro taluni termini di ricerca contenuti nella decisione impugnata, per il motivo che, sollevati per la prima volta in fase di replica, essi sono tardivi e, per di più, figurano solo in un allegato alla replica.

110    Ai sensi del considerando 23 del regolamento n. 1/2003, la Commissione dovrebbe disporre in tutta l’Unione del potere di esigere le informazioni necessarie per individuare accordi, decisioni e pratiche concordate vietati dall’articolo 101 TFUE, nonché casi di abuso di posizione dominante vietati dall’articolo 102 TFUE.

111    Inoltre, dall’articolo 18, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003 emerge che, per l’assolvimento dei compiti affidatile da tale regolamento, la Commissione può, mediante semplice domanda o con decisione, richiedere alle imprese e associazioni di imprese di fornire «tutte le informazioni necessarie».

112    Come rammentato al precedente punto 43, la Commissione può chiedere soltanto la comunicazione di informazioni che possano consentirle di verificare le presunte infrazioni che giustificano lo svolgimento dell’indagine e che sono indicate nella richiesta di informazioni.

113    Tenuto conto dell’ampio potere di indagine conferito alla Commissione dal regolamento n. 1/2003, spetta a quest’ultima valutare se un’informazione sia necessaria per poter rivelare un’infrazione alle norme in materia di concorrenza. Anche se dispone già di indizi, o addirittura di elementi di prova circa l’esistenza di un’infrazione, la Commissione può legittimamente ritenere necessario richiedere informazioni supplementari che le permettano di meglio valutare la portata dell’infrazione, la sua durata o la cerchia delle imprese coinvolte (sentenza del 28 gennaio 2021, Qualcomm e Qualcomm Europe/Commissione, C‑466/19 P, EU:C:2021:76, punto 69).

114    Per quanto riguarda il controllo esercitato dal giudice dell’Unione sulla valutazione della Commissione riguardante la necessità di un’informazione, dalla giurisprudenza emerge che tale necessità deve essere valutata in relazione allo scopo menzionato nella richiesta di informazioni, vale a dire i sospetti di infrazioni che la Commissione intende verificare. L’esigenza di una correlazione tra la richiesta di informazioni e la sospetta infrazione è soddisfatta se la Commissione può ragionevolmente supporre, alla data della richiesta, che detta informazione sia tale da aiutarla a determinare l’esistenza dell’infrazione (sentenza del 28 gennaio 2021, Qualcomm e Qualcomm Europe/Commissione, C‑466/19 P, EU:C:2021:76, punto 70).

115    Nel caso di specie, va ricordato che, all’articolo 1, primo comma, della decisione impugnata, la Commissione ha deciso che la ricorrente doveva comunicarle le informazioni di cui agli allegati I.A, I.B e I.C a tale decisione. L’allegato I.A contiene definizioni delle nozioni pertinenti nonché istruzioni, in particolare tecniche, da rispettare per la produzione dei documenti richiesti. L’allegato I.B contiene istruzioni di presentazione. L’allegato I.C contiene i termini di ricerca che la ricorrente deve applicare tra i suoi documenti interni nonché spiegazioni al riguardo. I documenti richiesti dalla Commissione sono quelli che rispondono a tali termini di ricerca e che sono stati preparati da taluni depositari (custodians), per loro conto, o ricevuti da questi ultimi. Tali depositarsi sono tre, vale a dire [riservato] (1).

1)      Sulla portata degli argomenti della ricorrente e sull’individuazione dei termini di ricerca contestati

116    A sostegno del suo argomento secondo cui l’applicazione dei termini di ricerca di cui alla decisione impugnata darebbe luogo a risultati contenenti un gran numero di documenti non pertinenti, la ricorrente individua, in particolare, taluni termini di ricerca menzionati nell’allegato I.C alla decisione impugnata, pur sostenendo che essi devono essere considerati esempi non esaustivi, destinati a illustrare la sua argomentazione. Essa aggiunge che sarebbe stato irragionevole, se non impossibile, focalizzarsi su ciascun termine di ricerca separatamente.

117    Occorre ricordare che il solo fatto che il Tribunale ritenga fondato un motivo dedotto dalla parte ricorrente a sostegno del suo ricorso di annullamento non gli consente di annullare automaticamente l’atto impugnato in toto. Infatti, un annullamento integrale non può essere disposto quando risulta del tutto evidente che tale motivo, avendo ad oggetto unicamente un aspetto specifico dell’atto contestato, è tale da fondare solo un annullamento parziale (sentenza dell’11 dicembre 2008, Commissione/Département du Loiret, C‑295/07 P, EU:C:2008:707, punto 104).

118    A tal riguardo, l’annullamento parziale di un atto dell’Unione è possibile solo se gli elementi di cui è chiesto l’annullamento siano separabili dal resto dell’atto. Tale requisito di separabilità non è soddisfatto quando l’annullamento parziale di un atto avrebbe per effetto di modificare la sostanza di quest’ultimo. Per quanto concerne la verifica della separabilità delle disposizioni controverse, essa presuppone l’esame della portata di dette disposizioni, al fine di poter valutare se il loro annullamento modificherebbe lo spirito e la sostanza della decisione impugnata (v. sentenza del 16 luglio 2015, Commissione/Consiglio, C‑425/13, EU:C:2015:483, punto 94 e giurisprudenza ivi citata).

119    Va ricordato che l’articolo 1 della decisione impugnata assoggetta la ricorrente all’obbligo, ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 3, del regolamento n. 1/2003, di presentare i documenti di cui agli allegati a tale decisione, vale a dire quelli che risultano dall’applicazione nelle sue banche dati dei termini di ricerca di cui a detti allegati e che sono stati preparati da taluni depositari, per loro conto, o ricevuti da questi ultimi nel corso di un determinato periodo.

120    A tal riguardo, si deve considerare che una valutazione globale del rispetto del principio di necessità da parte della Commissione non è appropriata, ammesso che sia possibile. Infatti, la circostanza che taluni termini di ricerca possano essere, come sostiene la ricorrente, troppo vaghi, nel senso che, richiedendo la produzione di tutti i documenti risultanti dall’applicazione di tali termini di ricerca, la Commissione avrebbe violato il principio di necessità, non ha alcuna incidenza sul fatto che altri termini di ricerca possano essere sufficientemente precisi o mirati per consentire di accertare la correlazione richiesta in forza della giurisprudenza rammentata al precedente punto 114.

121    Ne consegue che, qualora il Tribunale considerasse che taluni termini di ricerca erano definiti in modo troppo vago, per cui figuravano nella decisione impugnata in violazione del principio di necessità, esso dovrebbe annullare tale decisione solo nella parte in cui impone alla ricorrente di produrre i documenti risultanti dall’applicazione dei termini di ricerca di cui trattasi.

122    Un siffatto annullamento parziale non inciderebbe sull’obbligo della ricorrente, ai sensi dell’articolo 1 della decisione impugnata, di produrre i documenti risultanti dall’applicazione degli altri termini di ricerca, adottati conformemente al principio di necessità. Così facendo, un siffatto annullamento parziale non avrebbe l’effetto di modificare né il senso né la sostanza della decisione impugnata, a norma della giurisprudenza rammentata al precedente punto 118.

123    Inoltre, secondo una giurisprudenza costante, gli atti delle istituzioni dell’Unione godono di una presunzione di legittimità che incombe a coloro che chiedono l’annullamento confutare, producendo le prove atte a mettere in dubbio le valutazioni effettuate dall’istituzione convenuta (v. sentenza del 6 ottobre 1999, Salomon/Commissione, T‑123/97, EU:T:1999:245, punto 46 e giurisprudenza ivi citata).

124    In tali circostanze, solo i termini di ricerca specificamente contestati dalla ricorrente possono essere oggetto di un controllo del rispetto del principio di necessità da parte del Tribunale. Si deve considerare che gli altri termini di ricerca sono stati definiti conformemente a tale principio.

125    La ricorrente ha individuato taluni termini di ricerca nel ricorso, e altri unicamente in fase di replica, alcuni nel testo di tale memoria, e altri in un allegato a quest’ultima.

126    La Commissione contesta la ricevibilità degli argomenti della ricorrente diretti contro i termini di ricerca menzionati per la prima volta in sede di replica, per il motivo che sono tardivi e che figurano solo in un allegato a quest’ultima.

127    Dall’articolo 84 del regolamento di procedura emerge che è vietata la deduzione di motivi nuovi in corso di causa, a meno che questi ultimi si basino su elementi di diritto e di fatto emersi durante il procedimento.

128    La nozione di «motivo» ai sensi di questa disposizione è stata interpretata estensivamente, comprendendo anche le censure (sentenza del 29 novembre 2018, Spagna/Commissione, T‑459/16, non pubblicata, EU:T:2018:857, punto 25) e persino semplici «argomenti» (v., in tal senso, sentenza dell’11 luglio 2019, Silver Plastics e Johannes Reifenhäuser/Commissione, T‑582/15, non pubblicata, EU:T:2019:497, punto 198).

129    Nel caso di specie, la ricorrente sostiene, in essenza, che la menzione, in fase di replica, di nuovi termini di ricerca mira semplicemente a suffragare argomenti già esposti nel ricorso e non a confutare argomenti o elementi di prova contrari che sarebbero stati prodotti dalla Commissione in sede di controricorso. Tuttavia, tenuto conto delle ragioni esposte ai precedenti punti 120 e 121, occorre considerare che, in tal modo, la ricorrente ha sviluppato una nuova argomentazione diretta contro elementi che, da un lato, essa non aveva espressamente contestato nel ricorso, pur avendo la possibilità di farlo, e, dall’altro, che la Commissione non ha indicato nel controricorso.

130    Inoltre, per quanto riguarda i termini di ricerca di cui trattasi che figurano non nel testo della replica stessa, ma unicamente in un suo allegato, occorre ricordare che gli allegati assolvono a una funzione meramente probatoria e strumentale (sentenza del 21 marzo 2002, Joynson/Commissione, T‑231/99, EU:T:2002:84, punto 154).

131    Di conseguenza, si deve respingere in quanto irricevibili gli argomenti della ricorrente fondati su termini di ricerca menzionati per la prima volta in fase di replica.

2)      Sulla fondatezza degli argomenti diretti contro i termini di ricerca menzionati nel ricorso

132    In primo luogo, la ricorrente sostiene che le espressioni «big question» (grande domanda), «for free» (gratuitamente), «not good for us» (che ci è sfavorevole) e «shut* down» (chiudere) possono, per loro natura, essere utilizzate nel linguaggio corrente per parlare di argomenti che, in ogni caso, non hanno niente a che vedere con i comportamenti o le pratiche che rientrano nell’indagine della Commissione. In questo senso, siffatti termini di ricerca sarebbero manifestamente troppo vaghi e generali e contribuirebbero a una «caccia alle informazioni» di ampia portata. Essa aggiunge che l’applicazione di tali termini generali ai documenti riguardanti [riservato] personalità pubbliche [riservato] aumenta la probabilità di ottenere risultati non pertinenti. Infatti, esse assumerebbero la responsabilità e la supervisione di tutti gli aspetti delle attività commerciali della ricorrente, ivi incluse le attività che hanno solo pochi collegamenti, o addirittura nessuno, con i fatti di cui all’indagine, quali le risorse umane, l’organizzazione finanziaria e la responsabilità sociale dell’impresa, o ancora il loro coinvolgimento in progetti personali e in attività filantropiche che sono loro proprie. Inoltre, la ricorrente cita taluni esempi di documenti che essa considera privi di pertinenza, individuati mediante l’applicazione di determinati termini di ricerca.

133    La Commissione contesta le affermazioni relative ai termini di ricerca «big question», «for free», «not good for us» e «shut* down».

134    Per quanto riguarda il termine di ricerca «big question», la Commissione sostiene, correttamente e senza che ciò sia stato contestato dalla ricorrente, che tale espressione compare in un’e-mail inviata da [riservato], a due suoi colleghi, e [riservato] era in copia come destinatario. In tale e-mail, [riservato] dava istruzione di negare a taluni operatori l’accesso alle interfacce di programmazione di applicazioni (API) della ricorrente. Tale e-mail indicava con l’espressione «big question» una decisione strategica da adottare a tal riguardo. La Commissione ne deduce, senza che ciò sia contestato dalla ricorrente, che le parole «big question» potevano apparire o in risposte a tale e-mail, o in e-mail di follow-up che facevano riferimento alla «grande domanda» di cui trattasi redatte dalle persone summenzionate, oppure in altre e-mail provenienti dalle stesse persone e che menzionavano eventuali decisioni strategiche anticoncorrenziali simili.

135    Orbene, come emerge dal punto 4, iii), della decisione impugnata, la Commissione intende indagare sull’esistenza di pratiche potenzialmente discriminatorie che limitano l’accesso ai dati, alle funzionalità e all’API di Facebook o ad altri strumenti in base all’eventuale qualificazione di terzi come concorrenti, escludendo così potenziali concorrenti e creando ostacoli all’ingresso in eventuali mercati di servizi relativi a un social network o ad altri servizi digitali.

136    La ricorrente non può sostenere che la Commissione avrebbe dovuto limitare la sua domanda alle e-mail facenti riferimento a tale e-mail iniziale o connesse a quest’ultima, o limitare sensibilmente la sua domanda con altri mezzi, ad esempio definendo periodi molto più brevi o prendendo di mira solo le comunicazioni tra determinate persone. Essa non può neppure sostenere che applicare tale termine a tutti i documenti preparati o ricevuti da tre depositari nel corso di un periodo di sette anni costituisse una «caccia alle informazioni» su vasta scala.

137    Infatti, occorre rilevare che il termine di ricerca «big question» è destinato a essere applicato unicamente a due depositari, ossia [riservato], e che il periodo oggetto della richiesta relativa a tale termine di ricerca è lo stesso periodo oggetto dell’indagine stessa.

138    Di conseguenza, e tenuto conto delle circostanze rammentate al precedente punto 134, non contestate dalla ricorrente, la Commissione, chiedendole di produrre i documenti risultanti dall’applicazione del termine di ricerca «big question», nonostante il fatto che tale espressione possa essere utilizzata nel linguaggio corrente, ha potuto ragionevolmente supporre, alla data della decisione impugnata, che dette informazioni fossero tali da aiutarla a stabilire l’esistenza del comportamento menzionato al punto 4, iii), di tale decisione, conformemente alla giurisprudenza di cui al precedente punto 114.

139    Per quanto riguarda il termine «for free», la Commissione sostiene, correttamente e senza che ciò sia contestato dalla ricorrente, che tale espressione figura in un’e-mail resa pubblica dal comitato DCMS, che indicava strategie commerciali della ricorrente in materia di monetizzazione dei dati, in particolare diverse possibilità di concedere a sviluppatori terzi di applicazioni l’accesso ad API e a dati riguardanti i suoi utenti. Essa non contesta neppure il fatto che l’autore dell’e-mail discutesse della questione se l’accesso dovesse essere concesso gratuitamente o a fronte di pagamento, condizionato a spese pubblicitarie o in cambio di una reciprocità totale dei dati e delle API, in forza della quale le API e i dati della ricorrente sarebbero messi gratuitamente a disposizione di applicazioni terze funzionanti sulla piattaforma Facebook tramite API, in cambio della condivisione dei dati di loro utenti con la ricorrente. La Commissione ne deduce, senza che la ricorrente lo contesti, che il termine di ricerca «for free» consente di identificare documenti che fanno riferimento a eventuali accordi di condivisione di dati condizionati che possono aumentare il flusso di dati tra la ricorrente e terzi, rafforzando in tal modo il potere di mercato di quest’ultima o creando barriere all’ingresso mediante l’accumulo di dati. Orbene, come emerge dal punto 4, i), della decisione impugnata, la Commissione intende appunto indagare sull’esistenza di siffatti accordi.

140    La ricorrente adduce altresì rispetto a tale termine di ricerca gli argomenti che figurano al precedente punto 136. Occorre considerare, per motivi analoghi a quelli contenuti ai precedenti punti 137 e 138, che la Commissione ha potuto ragionevolmente supporre, al momento della decisione impugnata, che tali informazioni fossero tali da aiutarla a determinare l’esistenza del comportamento di cui al punto 4, i), di tale decisione, conformemente alla giurisprudenza citata al precedente punto 114.

141    Per quanto riguarda il termine di ricerca «shut* down», la Commissione sostiene, senza che ciò sia contestato dalla ricorrente, che tale espressione è stata utilizzata, da un lato, nei documenti interni di quest’ultima pubblicati dal comitato DCMS, nel contesto di un’eventuale adozione da parte sua di una strategia di limitazione dell’accesso ai suoi dati per i terzi percepiti come concorrenti, e, dall’altro, in un’e-mail in cui [riservato] approvava le limitazioni dell’accesso alle API tramite l’applicazione Vine.

142    La Commissione aggiunge, senza che la ricorrente lo contesti, che il termine di ricerca «shut* down» si riferisce all’eventuale adozione da parte della ricorrente di una strategia di limitazione dell’accesso ai suoi dati per i terzi percepiti come concorrenti, di cui al punto 4, iii), della decisione impugnata. Di conseguenza, tale termine di ricerca consentirebbe di individuare documenti che alludono a siffatte pratiche potenzialmente anticoncorrenziali, dato che sarebbe stato probabilmente utilizzato per indicare la limitazione dell’accesso ai dati della ricorrente ad altri concorrenti.

143    La ricorrente adduce altresì rispetto a tale termine di ricerca gli argomenti che figurano al precedente punto 136. Occorre ritenere, per motivi analoghi a quelli contenuti ai precedenti punti 137 e 138, con la differenza che il termine di ricerca «shut* down» è stato applicato a tre depositari, che la Commissione ha potuto ragionevolmente supporre, al momento della decisione impugnata, che dette informazioni fossero tali da aiutarla a stabilire l’esistenza del comportamento menzionato al punto 4, iii), di detta decisione, conformemente alla giurisprudenza menzionata al precedente punto 114.

144    Per quanto riguarda il termine di ricerca «not good for us», la ricorrente non contesta che tale espressione compare in un’e-mail inviata a [riservato] il 19 novembre 2012, resa pubblica dal comitato DCMS nel 2018, che riguardava la possibilità che sviluppatori creassero applicazioni utilizzando dati relativi a utenti di Facebook e ai loro amici, senza fornire dati in cambio alla ricorrente. In tale e-mail, [riservato] indicava vari modi in cui la ricorrente potrebbe ottenere dati da parte di terzi in cambio di suoi propri dati.

145    La Commissione aggiunge, senza che ciò sia contestato dalla ricorrente, che l’espressione «not good for us» sembra riguardare, alla luce dell’e‑mail di cui trattasi, eventuali accordi, di cui al punto 4, i), della decisione impugnata, di condivisione di dati condizionati idonei ad aumentare il flusso di dati tra la ricorrente e terzi, rafforzando così il potere di mercato di quest’ultima o creando barriere all’ingresso tramite l’accumulo di dati. Aggiunge inoltre che detta espressione potrebbe altresì comparire in risposte a tale e-mail, in e-mail di follow-up sulla questione se anche altre pratiche degli sviluppatori potrebbero essere «non buone per [la ricorrente]», secondo [riservato], o in altre e-mail di quest’ultimo che sollevano la stessa domanda riguardante pratiche simili adottate da altri sviluppatori.

146    La ricorrente adduce altresì, rispetto a tale termine di ricerca, gli argomenti che figurano al precedente punto 136. Occorre considerare, per motivi analoghi a quelli contenuti ai precedenti punti 137 e 138, che la Commissione ha potuto ragionevolmente supporre, al momento della decisione impugnata, che tali informazioni fossero tali da aiutarla a stabilire l’esistenza del comportamento menzionato al punto 4, i), di tale decisione, conformemente alla giurisprudenza menzionata al precedente punto 114.

147    Ne consegue che la ricorrente non ha dimostrato la violazione da parte della Commissione del principio di necessità per quanto riguarda i termini di ricerca «big question», «for free», «not good for us» e «shut* down».

148    Inoltre, alla luce del rispetto da parte della Commissione dell’obbligo di motivazione ad essa incombente, come emerge dall’esame del primo motivo summenzionato, è sempre erroneamente che la ricorrente contesta alla Commissione di non aver spiegato in che modo l’utilizzo di taluni termini di ricerca fosse conforme al principio di necessità.

149    In secondo luogo, per quanto riguarda i termini di ricerca «compet* + shar*», «compet* + partner*», «compet* + strateg*», «line + strateg*» e «line + block*», occorre rilevare che la ricorrente ne contesta la legittimità in ragione del numero, che essa ritiene molto elevato, di documenti individuati attraverso l’applicazione di tali termini nelle sue banche dati interne. Per quanto riguarda i termini «[riservato] + shar*», «[riservato] + shar*», «[riservato] + shar*», «[riservato] + shar*», «[riservato] + shar*», «duplicat* + (limit & data)», «duplicat* + block*» e «duplicat* + remov*», la ricorrente sostiene che la sua applicazione individua documenti che essa ritiene non pertinenti per l’indagine della Commissione. Tali due circostanze dimostrerebbero l’assenza di conformità dell’insieme di tali termini di ricerca al principio di necessità.

150    Orbene, come sostiene la Commissione, tali argomenti non consentono di contestare l’adeguatezza o la necessità dei termini di cui trattasi per la sua indagine. Infatti, dalla natura della richiesta di informazioni controversa risulta che la sua portata si concretizza solo dopo l’applicazione dei termini di ricerca nelle banche dati della ricorrente per identificare i documenti che rispondono a tali medesimi termini. Il metodo diretto ad applicare termini di ricerca rende inevitabile l’individuazione di documenti che alla fine si riveleranno non pertinenti per l’indagine. Di conseguenza, il semplice fatto che l’applicazione di termini di ricerca porti all’identificazione di numerosi documenti, alcuni dei quali si rivelerebbero successivamente non pertinenti per l’indagine della Commissione, non è di per sé sufficiente per ritenere, ai sensi della giurisprudenza citata ai precedenti punti 113 e 114, che i termini di ricerca di cui trattasi non abbiano alcuna correlazione con l’infrazione di cui la Commissione sospetta. Ciò non è neppure sufficiente ad escludere che la Commissione abbia potuto ragionevolmente supporre, al momento della decisione impugnata, che l’applicazione di tali termini di ricerca fosse idonea ad aiutarla a stabilire l’esistenza e la portata di tale infrazione, la sua durata o la cerchia delle imprese coinvolte.

151    Alla luce di quanto precede, la ricorrente non ha dimostrato che un termine di ricerca contenuto nella decisione impugnata non fosse conforme al principio di necessità risultante dall’articolo 18, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003, come interpretato dalla giurisprudenza rammentata ai punti da 110 a 114.

152    Per quanto riguarda l’argomento della ricorrente secondo cui la Commissione ha violato il principio di necessità in quanto ha chiesto la produzione di documenti senza istituire garanzie almeno equivalenti a quelle concesse alle imprese nell’ambito delle ispezioni condotte ai sensi dell’articolo 20 del regolamento n. 1/2003, si deve rilevare che spetta al Tribunale, investito di un ricorso di annullamento avverso una decisione di richiesta di informazioni, come la decisione impugnata, verificare, nei limiti dei motivi dedotti dinanzi ad esso, se una siffatta decisione rispetti i diritti che l’impresa interessata trae dal quadro giuridico applicabile a una decisione del genere. Non gli spetta, invece, controllare la legittimità di una siffatta decisione rispetto al quadro giuridico applicabile a decisioni adottate su fondamenti giuridici diversi, quali decisioni di ispezione.

153    Tuttavia, si deve ricordare che le imprese destinatarie di una richiesta di informazioni beneficiano di garanzie adeguate.

154    In particolare, nell’ambito dell’esecuzione di una decisione di richiesta di informazioni, una siffatta impresa può individuare i documenti richiesti dalla Commissione ed esaminarli con l’aiuto dei suoi avvocati prima di trasmetterli alla Commissione. Pertanto, essa ha la possibilità di rifiutare di trasmettere documenti che rientrano nell’ambito della riservatezza tra un avvocato e il suo cliente. Inoltre, essa può presentare alla Commissione una domanda motivata diretta alla restituzione di documenti privi di pertinenza. Una siffatta possibilità è espressamente riconosciuta dalla comunicazione della Commissione sulle migliori pratiche relative ai procedimenti previsti dagli articoli 101 e 102 TFUE (GU 2011, C 308, pag. 6). La Commissione è tenuta a esaminare una siffatta domanda e, se del caso, a restituire i documenti non pertinenti.

155    Di conseguenza, la prima parte del secondo motivo deve essere respinta.

b)      Sulla seconda parte del secondo motivo, vertente su una violazione dei diritti della difesa

156    La ricorrente sostiene che la decisione impugnata viola i suoi diritti della difesa, quali tutelati dall’articolo 41, paragrafo 2, e dall’articolo 48, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), in quanto essa le impone di produrre documenti che, da un lato, sono inutili per l’indagine della Commissione e, dall’altro, riguardano attività che non sono contemplate in tale decisione, quali la realtà virtuale o aumentata. Essa aggiunge che il contenuto della decisione impugnata non le consente di sapere se i centri di dati da essa gestiti e se taluni dei suoi nuovi prodotti, quali il servizio di videochiamate di gruppo «Messenger Rooms», rientrino nell’ambito dell’indagine della Commissione. Parimenti, le presunte infrazioni sulle quali la Commissione indaga sarebbero a lei ignote o non sarebbero state chiaramente individuate. Per tali ragioni, le sarebbe impossibile preparare efficacemente la propria difesa durante la fase contraddittoria del procedimento e adottare le misure che essa potrebbe ritenere utili a tal fine, quali la ricerca e la conservazione di elementi di prova o di testimonianze a discarico.

157    La Commissione e la Repubblica federale di Germania contestano gli argomenti della ricorrente.

158    A tal riguardo, occorre rammentare che il rispetto dei diritti della difesa nella conduzione dei procedimenti amministrativi in materia di politica della concorrenza costituisce un principio generale di diritto dell’Unione del quale i giudici dell’Unione assicurano il rispetto (v. sentenza del 3 settembre 2009, Prym e Prym Consumer/Commissione, C‑534/07 P, EU:C:2009:505, punto 26 e giurisprudenza ivi citata).

159    Occorre rammentare che il procedimento amministrativo ai sensi del regolamento n. 1/2003, che si svolge dinanzi alla Commissione, si suddivide in due fasi distinte e successive, ciascuna delle quali risponde a una propria logica interna, vale a dire una fase di indagine preliminare, da un lato, e una fase contraddittoria, dall’altro. La fase di indagine preliminare, durante la quale la Commissione usa i poteri di indagine previsti dal regolamento n. 1/2003 e che si estende fino alla comunicazione degli addebiti, è finalizzata a permettere alla Commissione di raccogliere tutti gli elementi pertinenti che confermino o meno l’esistenza di un’infrazione alle norme sulla concorrenza e di prendere una prima posizione sull’orientamento nonché sul seguito da dare al procedimento. Per contro, la fase contraddittoria, la quale si estende dalla comunicazione degli addebiti fino all’adozione della decisione finale, deve consentire alla Commissione di pronunciarsi definitivamente sulla violazione contestata (v. sentenza del 14 marzo 2014, Cementos Portland Valderrivas/Commissione, T‑296/11, EU:T:2014:121, punto 33 e giurisprudenza ivi citata).

160    Da un lato, per quanto riguarda la fase di indagine preliminare, essa ha come punto di partenza la data in cui la Commissione, nell’esercizio dei poteri ad essa conferiti dagli articoli 18 e 20 del regolamento n. 1/2003, adotta misure che implicano la contestazione per aver commesso una violazione e che determinano importanti ripercussioni sulla situazione delle imprese sospettate. Dall’altro lato, è solo all’inizio della fase contraddittoria amministrativa che l’impresa interessata viene informata, mediante la comunicazione degli addebiti, di tutti gli elementi essenziali su cui si fonda la Commissione in tale fase del procedimento, e che tale impresa dispone di un diritto di accesso al fascicolo al fine di garantire l’esercizio effettivo dei suoi diritti della difesa. Di conseguenza, è solo dopo l’invio della comunicazione degli addebiti che l’impresa interessata può pienamente avvalersi dei suoi diritti della difesa. Infatti, se tali diritti fossero estesi alla fase che precede l’invio della comunicazione degli addebiti, risulterebbe compromessa l’efficacia dell’indagine della Commissione, in quanto l’impresa interessata sarebbe in grado, già dalla fase di indagine preliminare, di individuare le informazioni note alla Commissione e, pertanto, quelle che possono ancora esserle nascoste (v. sentenza del 14 marzo 2014, Cementos Portland Valderrivas/Commissione, T‑296/11, EU:T:2014:121, punto 34, e giurisprudenza ivi citata).

161    Tuttavia, le misure istruttorie adottate dalla Commissione nel corso della fase di indagine preliminare, segnatamente le misure di verifica e le richieste di informazioni, implicano per loro natura la contestazione di un’infrazione e possono avere ripercussioni importanti sulla situazione delle imprese sospettate. Occorre dunque evitare che i diritti della difesa possano essere irrimediabilmente compromessi nel corso di questa fase del procedimento amministrativo, posto che le misure istruttorie adottate possono avere un carattere determinante per la costituzione delle prove dell’illegittimità di comportamenti delle imprese atti a far sorgere la loro responsabilità (v. sentenza del 14 marzo 2014, Cementos Portland Valderrivas/Commissione, T‑296/11, EU:T:2014:121, punto 35 e giurisprudenza ivi citata; v. altresì, in tal senso, sentenza del 21 settembre 1989, Hoechst/Commissione, 46/87 e 227/88, EU:C:1989:337, punto 15).

162    Nel caso di specie, occorre constatare che la Commissione ha adottato la decisione impugnata nell’ambito della fase di indagine preliminare della sua indagine sull’uso di dati da parte della ricorrente e prima dell’adozione di una comunicazione di addebiti. Di conseguenza, conformemente alla giurisprudenza rammentata al precedente punto 161, occorre stabilire se la ricorrente abbia dimostrato che i suoi diritti della difesa erano stati irrimediabilmente compromessi in ragione dell’adozione della decisione impugnata.

163    In primo luogo, gli argomenti mediante i quali la ricorrente deduce una violazione dei suoi diritti della difesa per il fatto di dover, in forza della decisione impugnata, produrre documenti non utili per l’indagine della Commissione, si basano sulla premessa secondo cui tale decisione è stata adottata in violazione del principio di necessità di cui all’articolo 18, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003. Essi devono, pertanto, essere respinti come conseguenza del rigetto della prima parte del presente motivo.

164    In secondo luogo, occorre constatare che, deducendo a sostegno di tale parte del motivo di non essere in grado di individuare le pratiche delle quali la Commissione la sospetta né se talune delle sue attività e taluni dei suoi prodotti rientrino nell’ambito dell’indagine della Commissione, la ricorrente contesta in realtà la chiarezza della delimitazione dell’oggetto dell’indagine della Commissione e il rispetto da parte di quest’ultima dell’obbligo di motivazione su di essa incombente.

165    Orbene, alla luce delle considerazioni che figurano al precedente punto 82 da cui emerge che la Commissione ha rispettato l’obbligo di motivazione su di essa incombente per quanto riguarda l’oggetto dell’indagine e la descrizione delle pratiche di cui essa intendeva verificare l’esistenza nell’ambito della sua indagine, tali affermazioni devono essere respinte.

166    Per quanto riguarda gli interrogativi della ricorrente circa la questione se taluni dei suoi settori di attività o taluni dei suoi prodotti siano inclusi nell’oggetto dell’indagine della Commissione, è stato ricordato al precedente punto 41 che la Commissione non è tenuta a comunicare al destinatario di una decisione di richiesta di informazioni tutte le informazioni di cui essa è in possesso quanto a presunte infrazioni, e che non può esserle nemmeno imposto d’indicare, in fase di indagine preliminare, oltre alle presunzioni di infrazioni che essa intende verificare, gli indizi, ossia gli elementi che la inducono a prendere in considerazione l’ipotesi di una violazione dell’articolo 101 TFUE. Infatti, un obbligo del genere rimetterebbe in discussione l’equilibrio stabilito dalla giurisprudenza tra preservare l’efficacia delle indagini e preservare i diritti della difesa dell’impresa interessata (sentenza del 14 marzo 2014, Cementos Portland Valderrivas/Commissione, T‑296/11, EU:T:2014:121, punto 37).

167    Inoltre, è giocoforza constatare che la ricorrente sostiene che le asserite incertezze quanto ai comportamenti che le sarebbero contestati le hanno impedito di adottare le misure che essa riteneva utili a suo discarico e di preparare così la sua difesa in sede di fase contraddittoria del procedimento amministrativo, senza tuttavia dimostrare che dette incertezze hanno causato una violazione irrimediabile dei suoi diritti della difesa.

168    In tali circostanze, si deve ritenere che la decisione impugnata, che si inserisce nell’ambito della fase di indagine preliminare del procedimento amministrativo previsto dal regolamento n. 1/2003, sia stata adottata nel rispetto dei diritti della difesa della ricorrente.

169    Di conseguenza, la seconda parte del secondo motivo deve essere respinta.

c)      Sulla terza parte del secondo motivo, vertente su un abuso di potere

170    La ricorrente contesta alla Commissione di aver abusato dei suoi poteri di indagine e di condurre in realtà un’indagine generale e senza limiti su tutte le sue attività nonché su quella dei suoi più alti dirigenti, se non addirittura una «caccia alle informazioni», tentando, attraverso la decisione impugnata, di stabilire se essa si fosse dedicata ad altre pratiche anticoncorrenziali o avesse commesso altre infrazioni, anche al di fuori dell’ambito del diritto della concorrenza. A tal riguardo, essa sostiene che le pratiche oggetto dell’indagine della Commissione sono formulate in modo vago nella decisione impugnata e che non sono ivi precisati i mercati e le attività interessati, né i concorrenti potenziali che possono essere stati lesi, né la differenza tra un’esclusione anticoncorrenziale e un’esclusione basata sui meriti.

171    La Commissione e la Repubblica federale di Germania contestano gli argomenti della ricorrente.

172    Occorre constatare che gli argomenti della ricorrente invocati a sostegno di tale parte del motivo mirano, nuovamente, a contestare il rispetto da parte della Commissione del suo obbligo di motivazione. Infatti, l’argomento relativo alla vaghezza delle pratiche oggetto dell’indagine della Commissione e quello relativo alla mancata identificazione dei concorrenti asseritamente lesi dalle pratiche oggetto dell’indagine sono già stati respinti in quanto infondati nell’ambito della prima censura del primo motivo. Quanto agli argomenti relativi al fatto che le attività della ricorrente e i mercati interessati dall’indagine non sono sufficientemente precisati nella decisione impugnata, così come la differenza operata tra un’esclusione anticoncorrenziale e un’esclusione basata sui meriti, essi, alla luce, da un lato, della fase del procedimento in cui è stata adottata la decisione impugnata e della giurisprudenza rammentata al precedente punto 160 e, dall’altro, della portata dell’obbligo di motivazione di tale decisione che incombe alla Commissione, rammentata ai precedenti punti da 38 a 46, non sono tali da dimostrare un abuso dei poteri di indagine di quest’ultima.

173    Da quanto precede risulta che occorre respingere la terza parte del secondo motivo e, di conseguenza, il secondo motivo nel suo insieme.

4.      Sul terzo motivo, vertente su violazioni del diritto al rispetto della vita privata, del principio di proporzionalità e del diritto a una buona amministrazione

174    Con il suo terzo motivo, la ricorrente sostiene che, richiedendo la produzione di numerosi documenti privati e privi di pertinenza, la decisione impugnata viola il diritto fondamentale al rispetto della vita privata sancito all’articolo 7 della Carta e all’articolo 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»), il principio di proporzionalità e il diritto a una buona amministrazione.

175    Il motivo si articola in tre parti.

a)      Sulla prima parte del terzo motivo, vertente sulla violazione del diritto al rispetto della vita privata

176    La ricorrente deduce la violazione del diritto al rispetto della sua vita privata, di quella di membri del suo personale e di altre persone, quale tutelato dall’articolo 7 della Carta e dall’articolo 8 della CEDU.

177    La ricorrente sostiene che la decisione impugnata costituisce un’ingerenza ingiustificata nel diritto al rispetto della vita privata, ai sensi dell’articolo 8 della CEDU. Infatti, in primo luogo, dagli argomenti esposti a sostegno di ciascuno dei motivi del ricorso risulterebbe che tale ingerenza non è prevista dalla legge, ossia dall’articolo 18, paragrafo 3, del regolamento n. 1/2003. In secondo luogo, la decisione impugnata non perseguirebbe uno scopo legittimo, in quanto la Commissione chiede in essa la produzione di informazioni che non poteva ragionevolmente supporre l’avrebbero aiutata nel determinare la sussistenza delle pratiche sospettate. In terzo luogo, tale decisione non soddisferebbe il principio di necessità richiesto dall’articolo 8 della CEDU.

178    La Commissione e la Repubblica federale di Germania contestano gli argomenti della ricorrente.

179    Ai sensi dell’articolo 7 della Carta, ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle proprie comunicazioni.

180    Ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, della CEDU, ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.

181    L’articolo 7 della Carta, relativo al diritto al rispetto della vita privata e della vita familiare, contiene diritti corrispondenti a quelli garantiti dall’articolo 8, paragrafo 1, della CEDU. Occorre quindi, conformemente all’articolo 52, paragrafo 3, della Carta, attribuire all’articolo 7 della Carta lo stesso significato e la stessa portata di quelli conferiti dall’articolo 8, paragrafo 1, della CEDU, come interpretato dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (sentenza del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses, C‑419/14, EU:C:2015:832, punto 70).

182    L’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, prevede che eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti da detta Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Inoltre, nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui.

183    Occorre esaminare se la decisione impugnata rispetti l’articolo 7 della Carta e, a tal fine, soddisfi le condizioni enunciate all’articolo 52, paragrafo 1, della Carta.

1)      Sull’esistenza di una base giuridica dell’ingerenza nella vita privata

184    La ricorrente sostiene che la decisione impugnata costituisce un’ingerenza illegittima nel diritto al rispetto della vita privata, per i seguenti motivi. In primo luogo, dagli argomenti esposti a sostegno di ciascuno dei motivi del ricorso risulterebbe che tale ingerenza non è prevista dalla legge, ossia dall’articolo 18, paragrafo 3, del regolamento n. 1/2003. In secondo luogo, la trasmissione alla Commissione dell’insieme dei documenti che rispondono ai termini di ricerca contenuti nella decisione impugnata comporterebbe la comunicazione di dati personali relativi ai depositari di cui a tale decisione, ad altri membri del personale della ricorrente nonché a loro amici o familiari (in prosieguo: i «dati personali controversi»). In terzo luogo, la ricorrente sostiene di non poter essere obbligata a comunicare alla Commissione informazioni prive di pertinenza ai fini dell’indagine. Essa sostiene che, se così fosse, essa violerebbe l’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati) (GU 2016, L 119, pag. 1, e rettifica in GU 2018, L 127, pag. 2), procedendo a un trattamento di dati personali illecito, poiché non necessario al rispetto di un obbligo legale, ai sensi di tale disposizione.

185    Secondo le condizioni enunciate all’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, la limitazione del diritto al rispetto della vita privata deve anzitutto essere prevista dalla legge. La misura di cui trattasi deve quindi avere un fondamento normativo (v. sentenza del 28 maggio 2013, Trabelsi e a./Consiglio, T‑187/11, EU:T:2013:273, punto 79 e giurisprudenza ivi citata).

186    Ciò avviene nel caso di specie. La decisione impugnata è stata adottata sulla base dell’articolo 18, paragrafo 3, del regolamento n. 1/2003, che conferisce alla Commissione la competenza di richiedere alle imprese e associazioni di imprese di comunicare informazioni mediante decisione.

187    Tale conclusione non può essere messa in discussione dagli argomenti della ricorrente secondo cui la decisione impugnata è illegittima nella parte in cui implica da parte sua un trattamento illecito di dati personali, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, del regolamento 2016/679.

188    Innanzitutto, occorre rilevare che il regolamento (UE) 2018/1725 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2018, sulla tutela delle persone fisiche in relazione al trattamento dei dati personali da parte delle istituzioni, degli organi e degli organismi dell’Unione e sulla libera circolazione di tali dati, e che abroga il regolamento (CE) n. 45/2001 e la decisione n. 1247/2002/CE (GU 2018, L 295, pag. 39), si applica, ai sensi del suo articolo 2, paragrafo 1, al trattamento di dati personali effettuato da tutte le istituzioni e da tutti gli organi dell’Unione, mentre il regolamento 2016/679 si applica a qualsiasi altra persona fisica o giuridica, al di fuori dei casi previsti dall’articolo 2, paragrafo 2, di tale regolamento.

189    L’articolo 6, paragrafo 1, del regolamento 2016/679 dispone poi quanto segue:

«Il trattamento è lecito solo se e nella misura in cui ricorre almeno una delle seguenti condizioni:

(…)

c)      il trattamento è necessario per adempiere un obbligo legale al quale è soggetto il titolare del trattamento (...)».

190    Va ricordato che l’articolo 1 della decisione impugnata assoggetta la ricorrente all’obbligo, ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 3, del regolamento n. 1/2003, di produrre i documenti di cui agli allegati a tale decisione. Di conseguenza, tale decisione costituisce un obbligo legale ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), del regolamento 2016/679.

191    Gli altri argomenti dedotti dalla ricorrente al punto 127 del ricorso sono formulati in modo globale e indiscriminato e non sono pertanto conformi ai requisiti enunciati dall’articolo 76 del regolamento di procedura.

192    Infine, l’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), del regolamento 2018/1725 prevede che le istituzioni dell’Unione possono legittimamente trattare dati personali quando ciò «è necessario per l’esecuzione di un compito svolto nell’interesse pubblico o nell’esercizio di pubblici poteri di cui sono investiti l’istituzione o l’organo dell’Unione».

193    A tal riguardo, l’esercizio dei poteri conferiti alla Commissione dal regolamento n. 1/2003 contribuisce al mantenimento del regime concorrenziale voluto dai trattati, il cui rispetto si impone imperativamente alle imprese (v. sentenza del 20 giugno 2018, České dráhy/Commissione, T‑621/16, non pubblicata, EU:T:2018:367, punto 105 e giurisprudenza ivi citata).

194    Poiché il regolamento n. 1/2003 conferisce alla Commissione il potere di adottare decisioni di richieste di informazioni, la ricorrente non può sostenere che la decisione impugnata costituisce un’ingerenza non prevista dalla legge ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta.

2)      Sul perseguimento di finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione

195    Per quanto riguarda la condizione secondo cui, nel rispetto del principio di proporzionalità, limitazioni all’esercizio di un diritto possono essere apportate solo se rispondono effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di protezione dei diritti e libertà altrui, la ricorrente contesta che la decisione impugnata risponda a siffatte finalità. A tal riguardo, essa sostiene che la Commissione richiede la comunicazione di informazioni che non può ragionevolmente supporre possano aiutarla a dimostrare la sussistenza delle pratiche sulle quali essa indaga.

196    Dalla giurisprudenza emerge che i poteri conferiti alla Commissione dall’articolo 18 del regolamento n. 1/2003 hanno lo scopo di consentirle di assolvere la missione, affidatale dai trattati, di garantire il rispetto delle regole di concorrenza nel mercato interno. Tali regole hanno la funzione di evitare che la concorrenza sia alterata a danno dell’interesse generale, delle singole imprese e dei consumatori (v., per analogia, sentenza del 20 giugno 2018, České dráhy/Commissione, T‑621/16, non pubblicata, EU:T:2018:367, punto 105 e giurisprudenza ivi citata).

197    La decisione impugnata costituisce quindi una manifestazione dell’esercizio dei poteri conferiti alla Commissione dal regolamento n. 1/2003 che, come rilevato al precedente punto 193, contribuisce al mantenimento del regime concorrenziale voluto dai trattati, il cui rispetto si impone imperativamente alle imprese.

198    Pertanto, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, la decisione impugnata risponde a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione.

3)      Sul rispetto del contenuto essenziale del diritto al rispetto della vita privata

199    La ricorrente non sostiene che la decisione impugnata violi il contenuto essenziale del diritto al rispetto della vita privata ai sensi dell’articolo 7 della Carta.

4)      Sulla proporzionalità dell’ingerenza nella vita privata

200    Occorre rammentare che il principio di proporzionalità richiede che le limitazioni che possono essere apportate, da atti di diritto dell’Unione, ai diritti e alle libertà sanciti nella Carta non superino i limiti di quanto idoneo e necessario al conseguimento degli obiettivi legittimi perseguiti o dell’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta tra più misure appropriate, si deve ricorrere alla meno restrittiva e che gli inconvenienti da essa causati non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti (v. sentenza del 26 aprile 2022, Polonia/Parlamento e Consiglio, C‑401/19, EU:C:2022:297, punto 65 e giurisprudenza ivi citata).

201    Pertanto, al fine di esaminare la proporzionalità dell’ingerenza nella vita privata causata dalla decisione impugnata, occorre verificare se tale ingerenza sia adeguata e necessaria per conseguire le finalità di interesse generale perseguite dall’Unione prima di esaminare il bilanciamento degli interessi.

i)      Sull’adeguatezza dell’ingerenza

202    Nel caso di specie, alla luce dei precedenti punti 110, 196 e 197, occorre considerare che una richiesta di informazioni quale la decisione impugnata costituisce una misura adeguata per conseguire le finalità di interesse generale perseguite dalla Commissione.

ii)    Sulla necessità dell’ingerenza

203    Per quanto riguarda la questione se la decisione impugnata ecceda quanto necessario per conseguire le finalità di interesse generale da essa perseguite, la ricorrente deduce vari argomenti.

–       Sul livello di protezione insufficiente della procedura della virtual data room

204    La ricorrente sostiene che la procedura della virtual data room adottata dalla Commissione nella decisione di modifica non consente di proteggere sufficientemente il suo diritto e quello delle persone interessate al rispetto della loro vita privata. A tal riguardo, da un lato, essa sostiene che detta procedura consente agli agenti della Commissione di realizzare un esame sommario dei dati personali controversi, in violazione del diritto al rispetto della vita privata delle persone interessate, e che essa potrebbe arrecare un grave pregiudizio a queste ultime. Dall’altro lato, tale procedura non inciderebbe sull’obbligo, contrario al diritto al rispetto della vita privata di tali persone, di comunicare alla Commissione dati quali i dati personali controversi, che sono privi di pertinenza per l’indagine di quest’ultima. La ricorrente afferma al riguardo l’esistenza di un approccio proporzionato idoneo a porre rimedio all’illegittimità della decisione impugnata mediante l’adozione di altre misure o di misure aggiuntive.

205    Occorre ricordare che, a seguito dell’adozione dell’ordinanza del 29 ottobre 2020, Facebook Ireland/Commissione (T‑451/20 R, non pubblicata, EU:T:2020:515), la Commissione ha adottato, l’11 dicembre 2020, la decisione di modifica. Ai sensi di tale decisione, la Commissione ha adottato un procedimento particolare per quanto riguarda i documenti che dovevano essere prodotti dalla ricorrente in forza della decisione impugnata, ma che, di primo acchito, non erano collegati alle sue attività commerciali e che contenevano dati personali sensibili (in prosieguo: i «documenti protetti»).

206    L’articolo 3 della decisione di modifica prevede l’inserimento, nell’allegato I.A alla decisione impugnata, del punto 9, lettere o) e p), così formulato:

«9      o)      I documenti protetti saranno trasmessi alla Commissione su un supporto elettronico separato. Tali documenti saranno quindi posti in una virtual data room che sarà accessibile solo a un numero quanto più ristretto possibile di membri del gruppo incaricato dell’indagine, alla presenza (virtuale o fisica) di un numero equivalente di avvocati di Facebook. I membri del gruppo incaricato dell’indagine esamineranno e selezioneranno i documenti in questione, dando al contempo la possibilità agli avvocati di Facebook di commentarli prima di versare al fascicolo i documenti considerati rilevanti. In caso di disaccordo sulla qualificazione di un documento, gli avvocati di Facebook avranno il diritto di esporre le ragioni del loro disaccordo. In caso di disaccordo persistente, Facebook potrà chiedere un arbitrato al direttore incaricato dell’informazione, della comunicazione e dei media alla Direzione generale “Concorrenza” della Commissione.

9      p)      I documenti protetti possono essere trasmessi alla Commissione in una forma da cui sono espunti i nomi delle persone interessate e qualsiasi informazione che ne consenta l’identificazione. Su richiesta della Commissione, giustificata dalle esigenze dell’indagine, i documenti protetti che sono stati trasmessi in forma oscurata devono esserle trasmessi nella loro versione integrale e non oscurata».

207    Occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), del regolamento 2016/679, la ricorrente procede a un trattamento lecito di dati personali fornendo alla Commissione documenti contenenti siffatti dati che sono richiesti in forza della decisione impugnata.

208    Inoltre, come ricordato al precedente punto 192, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), del regolamento 2018/1725, le istituzioni dell’Unione possono legittimamente trattare dati personali quando ciò sia necessario per l’esecuzione di un compito svolto nell’interesse pubblico o nell’esercizio di pubblici poteri di cui sono investite tali istituzioni.

209    Inoltre, la ricorrente ha affermato, senza che ciò sia contestato dalla Commissione, che taluni documenti individuati a seguito dell’applicazione dei termini di ricerca contenuti nella decisione impugnata, e che dovevano quindi essere prodotti in applicazione di tale decisione, contenevano dati personali sensibili.

210    Siffatti dati possono rientrare tra quelli di cui all’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento 2016/679 e all’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento 2018/1725.

211    L’articolo 9, paragrafo 1 e paragrafo 2, lettera g), del regolamento 2016/679 e l’articolo 10, paragrafo 1 e paragrafo 2, lettera g), del regolamento 2018/1725, prevedono, in termini identici, quanto segue:

«1.      È vietato trattare dati personali che rivelino l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l’appartenenza sindacale, nonché trattare dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona.

2.      Il paragrafo 1 non si applica se si verifica uno dei seguenti casi:

(…)

g)      il trattamento è necessario per motivi di interesse pubblico rilevante sulla base del diritto dell’Unione (...), che deve essere proporzionato alla finalità perseguita, rispettare l’essenza del diritto alla protezione dei dati e prevedere misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti fondamentali e gli interessi dell’interessato (...)».

212    L’articolo 9, paragrafo 2, lettera g), del regolamento 2016/679 e l’articolo 10, paragrafo 2, lettera g), del regolamento 2018/1725 subordinano quindi a tre condizioni la possibilità di trattare dati personali di cui al loro rispettivo paragrafo 1. In primo luogo, il trattamento deve perseguire un interesse pubblico rilevante, che ha il suo fondamento nel diritto dell’Unione. In secondo luogo, il trattamento deve essere necessario alla realizzazione di tale interesse pubblico. In terzo luogo, il diritto dell’Unione deve essere proporzionato alla finalità perseguita, rispettare l’essenza del diritto alla protezione dei dati e prevedere misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti fondamentali e gli interessi dell’interessato.

213    La ricorrente non deduce la violazione delle condizioni previste da tali disposizioni, cosicché il Tribunale non è tenuto al controllo della conformità della decisione impugnata a tali disposizioni. Tuttavia, dette disposizioni sono pertinenti al fine di valutare se la decisione impugnata soddisfi la terza condizione enunciata all’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, vale a dire se tale decisione ecceda quanto necessario per conseguire le finalità di interesse generale da essa perseguite.

214    Per quanto riguarda la prima condizione, si è ricordato al precedente punto 202 che una richiesta di informazioni quale la decisione impugnata costituiva una misura adeguata per conseguire le finalità di interesse generale perseguite dalla Commissione.

215    Per quanto riguarda la seconda condizione, dall’esame della prima parte del secondo motivo risulta che la Commissione ha sufficientemente dimostrato, alla luce della giurisprudenza rammentata al precedente punto 114, la correlazione richiesta tra le informazioni richieste nella decisione impugnata e le infrazioni presunte menzionate in tale decisione. Pertanto, il trattamento di dati personali che la decisione impugnata comporta è necessario alla realizzazione dell’interesse pubblico rilevante perseguito.

216    Per quanto riguarda la terza condizione, occorre ricordare che l’articolo 5 del regolamento 2018/1725 inquadra il potere delle istituzioni dell’Unione di trattare dati personali, prevedendo in particolare, al suo paragrafo 1, lettera a), che un siffatto trattamento è consentito quando ciò sia necessario per l’esecuzione di un compito svolto nell’interesse pubblico o nell’esercizio di pubblici poteri di cui è investita l’istituzione. Inoltre, dal precedente punto 74 emerge che, a seguito di scambi con la ricorrente, la Commissione ha ritirato una precedente richiesta di informazioni e ha adottato la decisione impugnata, che contiene un numero ridotto di termini di ricerca e riguarda un numero inferiore di depositari, al fine di ridurre il numero di risultati conseguenti e di limitare la produzione di documenti interni individuati. Tale approccio ha avuto come conseguenza la riduzione del numero di documenti contenenti dati personali, persino di documenti protetti, ai sensi della decisione di modifica, che la ricorrente era tenuta a produrre. Infine, come emerge dal punto 3 di quest’ultima decisione, lo scopo della procedura della virtual data room è quello di versare al fascicolo solo i documenti protetti di cui è accertato, previo esame in una siffatta room, che essi sono effettivamente pertinenti per l’indagine della Commissione. Inoltre, la ricorrente non sostiene che la decisione impugnata leda il contenuto essenziale del diritto al rispetto della vita privata ai sensi dell’articolo 7 della Carta.

217    Peraltro, come emerge dal punto 9, lettere o) e p), dell’allegato I.A alla decisione impugnata, i documenti protetti devono essere trasmessi alla Commissione in modo distinto dagli altri documenti richiesti, su un supporto elettronico separato. Inoltre, la virtual data room in cui tali documenti saranno poi inseriti sarà accessibile solo a un numero il più ristretto possibile di membri del gruppo incaricato dell’indagine, alla presenza virtuale o fisica di un numero equivalente di avvocati della ricorrente. Per di più, gli avvocati della ricorrente hanno la possibilità di commentare i documenti considerati rilevanti dai membri del gruppo incaricato dell’indagine prima che essi li versino al fascicolo. In aggiunta, il punto 9, lettera o), dell’allegato I.A alla decisione impugnata prevede che, in caso di disaccordo sulla qualificazione di un documento, gli avvocati della ricorrente avranno il diritto di spiegare le ragioni del loro disaccordo, il quale, se persiste, conferisce alla ricorrente il diritto di chiedere un arbitrato al direttore incaricato dell’informazione, della comunicazione e dei media alla DG della concorrenza della Commissione. Inoltre, il punto 9, lettera p), dell’allegato I.A alla decisione impugnata prevede che i documenti protetti possono essere trasmessi alla Commissione in una forma da cui sono espunti i nomi delle persone interessate e qualsiasi informazione che ne consenta l’identificazione e che è solo su richiesta della Commissione, giustificata dalle esigenze dell’indagine, che i documenti protetti che sono stati trasmessi in forma oscurata devono esserle trasmessi nella loro versione integrale e non oscurata.

218    Pertanto, le misure previste al punto 9, lettere o) e p), dell’allegato I.A alla decisione impugnata non eccedono quanto necessario agli obiettivi perseguiti dalla decisione impugnata e i loro inconvenienti non sono sproporzionati rispetto alle finalità perseguite, ai sensi della giurisprudenza citata al previo punto 200.

219    Da quanto precede risulta che la decisione impugnata, nella parte in cui prevede la procedura della virtual data room, non eccede quanto necessario per conseguire le finalità di interesse generale da essa perseguite, vale a dire concorrere al mantenimento del regime concorrenziale voluto dai trattati, il cui rispetto si impone imperativamente alle imprese.

220    Tale conclusione non è messa in discussione dagli argomenti della ricorrente diretti a individuare un approccio più proporzionato che avrebbe potuto essere adottato nella decisione impugnata, mediante altre misure o misure aggiuntive. Secondo la ricorrente, la Commissione avrebbe dovuto consentire ai suoi avvocati di controllare la pertinenza per l’indagine dei documenti richiesti da quest’ultima e di censire e descrivere, in un documento che le sarebbe stato trasmesso, i documenti contenenti dati personali sensibili, senza trasmettere i documenti stessi. La Commissione avrebbe anche potuto, o addirittura dovuto, ottenere il consenso delle persone interessate prima di trasmettere i documenti di cui trattasi.

221    A tal riguardo, per quanto attiene all’intervento degli avvocati della ricorrente per valutare la pertinenza dei documenti richiesti, da un lato, come ricordato al precedente punto 113 spetta alla Commissione valutare se un’informazione è necessaria per poter individuare un’infrazione alle norme sulla concorrenza. Dall’altro lato, come sostengono correttamente la Commissione e la Repubblica federale di Germania, se l’impresa oggetto dell’indagine, o i suoi avvocati, potessero essi stessi determinare quali documenti sono, a loro avviso, pertinenti per la sua indagine, ciò arrecherebbe grave pregiudizio ai poteri di indagine della Commissione, con il rischio che i documenti che possono essere pertinenti siano omessi e non siano mai presentati a quest’ultima, e ciò in assenza di qualsiasi possibilità di controllo.

222    Per quanto concerne l’ottenimento del consenso degli interessati per la trasmissione di documenti protetti alla Commissione, da un lato, come ricordato ai precedenti punti 189 e 190, l’articolo 6, paragrafo 1, del regolamento 2016/679 prevede che il trattamento dei dati personali è lecito quando ricorre almeno una delle sei condizioni di cui a tale paragrafo. Orbene, il trattamento dei dati personali che comporta la produzione dei documenti richiesti dalla Commissione è lecito in quanto è necessario per adempiere un obbligo legale al quale è soggetta la ricorrente, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), del regolamento 2016/679. Di conseguenza, il consenso delle persone i cui dati personali sono trattati non è richiesto ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera a), di detto regolamento. D’altra parte, un siffatto consenso non è, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), del regolamento 2018/1725, una condizione per la liceità del trattamento di dati da parte della Commissione nell’ambito dell’esecuzione di un compito svolto nell’interesse pubblico o nell’esercizio di pubblici poteri di cui è investita, come avviene nel caso di un’indagine basata sul regolamento n. 1/2003.

223    Di conseguenza, la ricorrente, con i suoi argomenti, non individua misure meno restrittive di quelle che la Commissione avrebbe dovuto adottare. Da quanto precede risulta che gli argomenti della ricorrente devono essere respinti.

–       Sull’esclusione di talune categorie di documenti dalla procedura della virtual data room

224    La ricorrente contesta alla Commissione di non aver incluso nell’ambito di applicazione della procedura della virtual data room i documenti che erano connessi alle sue attività commerciali e che contenevano anche dati personali sensibili. Ciò sarebbe contrario al principio secondo cui il rispetto della vita privata si applica anche in relazione alla corrispondenza inviata da un luogo di lavoro e nell’ambito di comunicazioni commerciali. La ricorrente individua otto documenti che possono rientrare in tale categoria.

225    La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente e sostiene di aver definito e delimitato la procedura della virtual data room conformemente al dispositivo dell’ordinanza del 29 ottobre 2020, Facebook Ireland/Commissione (T‑451/20 R, non pubblicata, EU:T:2020:515).

226    In via preliminare, occorre rilevare che la questione se un documento contenente dati personali sensibili abbia o meno una connessione con le attività commerciali della ricorrente, cosicché esso è destinato o meno ad essere trattato secondo la procedura della virtual data room, è concretamente valutata in primo luogo dalla ricorrente. Infatti, la Commissione non è in grado di controllare la valutazione della ricorrente al riguardo prima di consultare il documento di cui trattasi, né nell’ambito della procedura della virtual data room né al di fuori di questa. Essa può solo sanzionare successivamente l’inosservanza degli obblighi che incombevano alla ricorrente.

227    Secondo la ricorrente, uno dei documenti in questione contiene opinioni politiche personali [riservato], mescolate a informazioni sulle sue attività commerciali. Va constatato che tale documento è un’e-mail in cui un membro del personale della ricorrente [riservato] comunica di aver assistito a una colazione organizzata da [riservato], e ivi esprime il suo sostegno a [riservato], in vista di una futura elezione. Tuttavia, la ricorrente non ha individuato le informazioni relative alle sue attività commerciali che tale documento conterrebbe e informazioni del genere non emergono da tale documento. Non emerge neppure che l’autore partecipasse all’evento in questione nella sua qualità di membro del personale [riservato] della ricorrente. Pertanto, non è dimostrato che tale documento è al di fuori dell’ambito di applicazione della procedura della virtual data room.

228    Per quanto attiene agli altri documenti di cui la ricorrente si avvale, occorre constatare quanto segue.

229    Tra tali documenti, la ricorrente ne individua quattro relativi alle sue risorse umane, in particolare valutazioni, malattie o reclami, e contenenti scambi asseritamente altamente personali tra [riservato] in merito ai loro amici e alla loro famiglia, mescolati a informazioni sulle sue attività commerciali.

230    Il primo documento è un’e-mail inviata da [riservato] a collaboratori, in cui egli descrive problemi genitoriali che riguardano i suoi figli adolescenti e contiene un aneddoto personale di un’altra persona relativo alla stessa problematica. La ricorrente non ha dimostrato che tale e-mail contenesse dati rientranti in quelli di cui all’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento 2016/679 e all’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento 2018/1725.

231    Lo stesso vale anche per il secondo documento, consistente in una valutazione, da parte di un membro del personale della ricorrente, del suo proprio livello di prestazioni. Infatti, le uniche informazioni personali invocate dalla ricorrente sono l’intenzione espressa dalla persona interessata di viaggiare maggiormente nonché l’espressione del punto di vista, per natura soggettivo, di tale persona sulla vita privata di un’altra persona, e ciò senza riferimento a dati o a fatti precisi.

232    Parimenti, nel terzo documento, che è uno scambio di e-mail [riservato], un soggetto ritiene che un altro dipendente dovrebbe esprimere con più forza le proprie convinzioni relative a una questione di natura professionale legata alle attività della ricorrente. La ricorrente non ha evidenziato che tale documento conteneva dati rientranti in quelli di cui all’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento 2016/679 e all’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento 2018/1725.

233    Infine, la ricorrente non ha neppure individuato tali dati nel quarto documento, che è il curriculum vitae di un candidato a un impiego al suo interno.

234    Inoltre, la ricorrente si avvale di due documenti riguardanti le sue attività e quelle svolte da [riservato] su questioni politiche non collegate all’oggetto dell’indagine della Commissione.

235    Il primo documento è uno scambio di e-mail tra membri del personale della ricorrente [riservato] per discutere, in particolare, di questioni di natura commerciale e rientranti in attività economiche in un determinato Stato. Tuttavia, in tale scambio la ricorrente non ha identificato dati rientranti in quelli di cui all’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento 2016/679 e all’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento 2018/1725.

236    La ricorrente non ha neppure individuato dati del genere nel secondo documento, redatto da [riservato], che illustra le attività di quest’ultima per quanto riguarda temi politici privi di nesso con l’oggetto dell’indagine della Commissione.

237    La ricorrente si basa su di un ultimo documento, che attesta discussioni tra i suoi rappresentanti e alcuni politici su questioni quali la lotta al terrorismo e la prevenzione della criminalità. Occorre constatare che tale documento è, come sostiene la ricorrente, un’e-mail interna contenente una sintesi di una tavola rotonda, a cui partecipavano alcuni dei suoi rappresentanti, dedicata alla cooperazione in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini. Tale e-mail conteneva un comunicato ufficiale di un’organizzazione che partecipava a tale lotta nonché estratti di comunicati di organismi governativi anch’essi impegnati in tal senso. La ricorrente non ha dimostrato l’esistenza, in tale e-mail, di dati di cui all’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento 2016/679 e all’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento 2018/1725.

238    Infine, la ricorrente non può dedurre dalla sola adozione della decisione di modifica che la produzione di documenti contenenti dati personali che non sarebbero stati esaminati nell’ambito della procedura della virtual data room violava il diritto al rispetto della sua vita privata e di quella delle persone interessate.

239    Ne consegue che gli argomenti della ricorrente devono essere respinti.

–       Sul carico di lavoro sproporzionato imposto dalla virtual data room

240    La ricorrente sostiene che il procedimento della virtual data room le impone, tenuto conto del termine per produrre i documenti di cui trattasi, un carico di lavoro sproporzionato rispetto alle esigenze dell’indagine della Commissione. Infatti, i requisiti di tale procedura la condurrebbero a dover espungere da circa [riservato] documenti, che sono molto probabilmente non pertinenti, dati personali controversi in essi contenuti.

241    La Commissione contesta gli argomenti dalla ricorrente.

242    Occorre rilevare che il punto 9, lettera p), dell’allegato I.A alla decisione impugnata prevede che «[i] documenti protetti possono essere trasmessi alla Commissione in una forma da cui sono espunti i nomi delle persone interessate e qualsiasi informazione che ne consenta l’identificazione».

243    Ne consegue che l’espunzione dei nomi delle persone interessate è una facoltà offerta alla ricorrente, ma non le è imposta, di modo che essa può non avvalersene. Di conseguenza, essa non può utilmente sostenere che la decisione impugnata le impone un carico di lavoro sproporzionato al riguardo.

244    Da quanto precede risulta che la ricorrente non ha dimostrato alcuna illegittimità che vizia la procedura della virtual data room prevista al punto 9, lettere o) e p), dell’allegato I.A alla decisione impugnata.

iii) Sul mancato bilanciamento tra le esigenze dell’indagine e la tutela dei diritti della ricorrente

245    La ricorrente contesta alla Commissione di non aver effettuato un bilanciamento tra la necessità di raccogliere informazioni ai fini della sua indagine e la necessità di tutelare il suo diritto al rispetto della vita privata e quello delle persone interessate. Infatti, secondo la ricorrente, un siffatto bilanciamento avrebbe dovuto condurre la Commissione a non richiedere la produzione di tutti i documenti rispondenti all’applicazione dei termini di ricerca di cui alla decisione impugnata, nonostante essa le avesse dimostrato che numerosi documenti non erano pertinenti per la sua indagine.

246    La Commissione contesta gli argomenti dalla ricorrente.

247    Nel caso di specie, dai punti da 17 a 26 della decisione impugnata emerge che, a seguito della decisione di richiesta di informazioni dell’11 novembre 2019 e in risposta a una domanda della ricorrente del 20 novembre 2019 diretta a che la Commissione rivedesse il numero di termini di ricerca e di depositari oggetto di tale richiesta di informazioni, la ricorrente e la Commissione hanno in particolare discusso della delimitazione delle informazioni richieste. Il 6 dicembre 2019 la Commissione ha quindi invitato la ricorrente a comunicarle il numero di risultati per termine di ricerca applicato e per depositario, affinché essa potesse verificare se occorresse modificare i termini di ricerca o l’elenco dei depositari. Orbene, come emerge dal punto 27 della decisione impugnata, la Commissione ha ritenuto opportuno modificare la decisione dell’11 novembre 2019, in particolare al fine di ridurre il numero di termini di ricerca, l’elenco dei depositari e il numero di risultati successivi e limitare la produzione di documenti interni.

248    È giocoforza constatare che, nella decisione impugnata, la Commissione ha notevolmente ridotto il numero di termini di ricerca di cui chiedeva l’applicazione nonché il numero di depositari interessati, numero che passava da 58 nella decisione dell’11 novembre 2019 a 3, numero che la stessa ricorrente definisce «basso», nella decisione impugnata. Tale riduzione, non contestata dalla ricorrente, ha necessariamente avuto come conseguenza la diminuzione del numero di documenti che dovevano, se del caso, essere trasmessi alla Commissione. La riduzione del numero di depositari e il loro numero alla fine considerato nella decisione impugnata costituiscono indizi di un bilanciamento da parte della Commissione delle esigenze della sua indagine nonché dei diritti della ricorrente e delle persone i cui dati personali potrebbero figurare nelle informazioni richieste ai sensi della decisione impugnata.

249    Inoltre, tenuto conto del potere discrezionale della Commissione, rammentato ai precedenti punti 43 e da 112 a 114, quanto alle informazioni di cui può chiedere la produzione mediante una richiesta, il fatto che documenti possano rivelarsi in definitiva non pertinenti per l’indagine non è sufficiente a dimostrare il carattere sproporzionato o ingiustificato di una richiesta di informazioni, né un mancato bilanciamento tra le esigenze dell’indagine e i diritti della ricorrente e delle persone i cui dati personali potrebbero essere contenuti nelle informazioni richieste ai sensi della decisione impugnata.

250    Infine, nei limiti in cui la ricorrente invoca la sentenza della Corte EDU del 2 aprile 2015, Vinci Construction e GTM Génie Civil et Services c. Francia (CE:ECHR:2015:0402JUD006362910), è sufficiente rilevare che tale causa riguardava la possibilità di chiedere un controllo effettivo del rispetto della riservatezza delle comunicazioni tra un avvocato e il suo cliente in occasione di operazioni ispettive. Orbene, nel caso di specie, la decisione impugnata non prevede la presentazione alla Commissione del contenuto di comunicazioni tra la ricorrente, o qualsiasi altra persona, e i suoi avvocati.

251    Occorre, pertanto, considerare che la ricorrente non ha dimostrato che la decisione impugnata derivava da un mancato bilanciamento tra le esigenze dell’indagine della Commissione e la tutela del suo diritto al rispetto della sua vita privata e di quello delle persone interessate.

5)      Sull’inadeguatezza o sull’insufficienza del segreto professionale

252    La ricorrente sostiene che il segreto professionale imposto agli agenti della Commissione in forza dell’articolo 339 TFUE e dell’articolo 28, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003, da un lato, non conferisce loro un diritto di accesso illimitato ai dati personali controversi e, dall’altro, non fornisce, di per sé, garanzie sufficienti che consentano di tutelare efficacemente la vita privata degli interessati e i loro dati personali.

253    La ricorrente sostiene altresì che documenti non pertinenti per l’indagine potrebbero essere utilizzati per fini illegittimi, quali l’ampliamento dell’ambito dell’indagine attuale o l’avvio di un’altra indagine, o addirittura essere diffusi al di là della cerchia ristretta degli agenti della Commissione incaricati dell’indagine. Tali documenti potrebbero essere trasmessi a terzi in risposta a eventuali richieste di accesso al fascicolo o divenire automaticamente trasmissibili ai giudici. La ricorrente potrebbe anche vedersi obbligata a trasmettere tali documenti alle persone che l’hanno citata dinanzi ai giudici degli Stati Uniti d’America. I dati personali controversi potrebbero quindi essere trasmessi a numerose persone estranee alla Commissione, in violazione del diritto alla tutela della vita privata delle persone interessate.

254    La Commissione, sostenuta dalla Repubblica federale di Germania, contesta gli argomenti della ricorrente.

255    Occorre ricordare che i funzionari e agenti della Commissione sono soggetti a obblighi rigorosi di segreto professionale in forza dell’articolo 339 del TFUE e dell’articolo 28 del regolamento n. 1/2003. Tali disposizioni vietano ai funzionari della Commissione di divulgare le informazioni protette dal segreto professionale ottenute in risposta a una richiesta di informazioni o di utilizzarle per scopi diversi da quelli per cui sono state ottenute. Inoltre, i funzionari e gli agenti della Commissione sono vincolati dall’articolo 17 dello Statuto dei funzionari dell’Unione europea, che vieta loro, anche dopo la cessazione dal servizio, «ogni divulgazione non autorizzata di informazioni di cui sia[no] venut[i] a conoscenza nel contesto delle [loro] funzioni, a meno che tali informazioni non siano già state rese pubbliche o accessibili al pubblico».

256    Né l’articolo 339 TFUE né l’articolo 28 del regolamento n. 1/2003 indicano esplicitamente quali informazioni, al di fuori dei segreti aziendali, sono protette dal segreto professionale. Orbene, non si può dedurre dall’articolo 28, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 che questo sia il caso di tutte le informazioni raccolte in applicazione di detto regolamento, salvo quelle la cui pubblicazione è obbligatoria ai sensi del suo articolo 30. Infatti, al pari dell’articolo 339 TFUE, l’articolo 28 del regolamento n. 1/2003, che completa e attua tale disposizione del diritto primario in fatto di regole di concorrenza applicabili alle imprese, osta unicamente alla divulgazione delle informazioni che, per la loro natura, sono protette dal segreto professionale (v. sentenza del 28 gennaio 2015, Akzo Nobel e a./Commissione, T‑345/12, EU:T:2015:50, punto 61 e giurisprudenza ivi citata).

257    Il segreto professionale include, oltre ai segreti aziendali, le informazioni note solo a un numero ristretto di persone e la cui divulgazione può arrecare un pregiudizio grave alla persona che le ha fornite o a terzi. Infine, occorre che gli interessi passibili di essere lesi dalla divulgazione delle informazioni in questione siano oggettivamente meritevoli di tutela (v. sentenza del 15 luglio 2015, Pilkington Group/Commissione, T‑462/12, EU:T:2015:508, punto 45 e giurisprudenza ivi citata).

258    Per quanto riguarda, in primo luogo, l’argomento della ricorrente secondo cui il segreto professionale che vincola gli agenti della Commissione non conferisce loro un diritto di accesso illimitato ai dati personali controversi, è stato ricordato al precedente punto 192 che, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 2018/1725, le istituzioni dell’Unione possono legittimamente trattare dati personali quando ciò è necessario per l’esecuzione di un compito svolto nell’interesse pubblico o nell’esercizio di pubblici poteri di cui sono investiti l’istituzione o l’organo dell’Unione.

259    Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’argomento secondo cui gli obblighi in materia di segreto professionale non costituirebbero garanzie sufficienti per una tutela efficace della vita privata degli interessati e dei loro dati personali, è giocoforza constatare che esso non è suffragato e che nulla lascia supporre, a priori, che la Commissione non garantirà, a tempo debito, il rispetto dei suoi obblighi e di quelli dei suoi agenti ai sensi dell’articolo 339 del TFUE, dell’articolo 28 del regolamento n. 1/2003 e dell’articolo 17 dello statuto de funzionari (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 12 dicembre 1991, SEP/Commissione, T‑39/90, EU:T:1991:71, punto 58).

260    Per quanto riguarda, in terzo luogo, l’argomento relativo al rischio di uso dei documenti raccolti a fini asseritamente illegittimi, quali l’ampliamento dell’ambito dell’indagine attuale o l’avvio di un’altra indagine, occorre ricordare i due principi seguenti. Da un lato, gli obblighi che incombono agli agenti della Commissione ai sensi dell’articolo 339 del TFUE e dell’articolo 28 del regolamento n. 1/2003 impediscono di utilizzare le informazioni ottenute in risposta a una richiesta di informazioni per scopi diversi da quelli per cui sono state assunte. Dall’altro, una richiesta di informazioni mira a consentire alla Commissione di raccogliere le informazioni e i documenti necessari per accertare la sussistenza e la portata di una determinata situazione di fatto e di diritto (v., in tal senso, sentenza del 10 marzo 2016, HeidelbergCement/Commissione, C‑247/14 P, EU:C:2016:149, punto 37), fatta salva la possibilità per la Commissione di ampliare la portata della propria indagine a seguito delle informazioni raccolte.

261    Infatti, il Tribunale ha confermato, per quanto riguarda una decisione di richiesta di informazioni adottata dopo una comunicazione degli addebiti, che era inerente al procedimento amministrativo di applicazione delle norme sulla concorrenza contenute nel Trattato che la Commissione fosse in condizione di poter inviare domande di informazioni ulteriori dopo l’invio di una comunicazione degli addebiti, allo scopo, all’occorrenza, di ritirare alcuni addebiti o di aggiungerne di nuovi (sentenza del 30 settembre 2003, Atlantic Container Line e a./Commissione, T‑191/98 e da T‑212/98 a T‑214/98, EU:T:2003:245, punto 121, e del 9 aprile 2019, Qualcomm e Qualcomm Europe/Commissione, T‑371/17, non pubblicata, EU:T:2019:232, punto 76).

262    Tenuto conto della suddivisione in due fasi distinte e successive del procedimento amministrativo ai sensi del regolamento n. 1/2003, rammentata al precedente punto159, le considerazioni di cui sopra valgono a maggior ragione per quanto riguarda l’adozione, come nel caso di specie, di una decisione di richiesta di informazioni durante la fase di indagine preliminare, prima dell’adozione di una comunicazione degli addebiti. A tal riguardo, occorre rammentare che la fase preliminare è destinata a consentire alla Commissione di raccogliere tutti gli elementi pertinenti che confermino o meno l’esistenza di un’infrazione alle norme sulla concorrenza e di prendere una prima posizione sull’orientamento nonché sul seguito da dare al procedimento.

263    Di conseguenza, la ricorrente non può utilmente invocare un asserito rischio che taluni documenti prodotti in risposta alla decisione impugnata siano utilizzati dalla Commissione al fine di ampliare l’ambito dell’indagine attuale o di avviare un’altra indagine.

264    Per quanto riguarda, in quarto luogo, gli argomenti della ricorrente secondo cui documenti non pertinenti per l’indagine o contenenti dati come i dati personali controversi potrebbero essere divulgati in maniera più ampia al di fuori della Commissione, è giocoforza constatare che essi riguardano situazioni ipotetiche, quali eventuali domande di accesso al fascicolo da parte di terzi e la trasmissione asseritamente automatica di documenti a organi giurisdizionali, e che essi non sono comprovati.

265    Dalle considerazioni esposte ai precedenti punti da 200 a 264 risulta che la ricorrente non ha dimostrato che la decisione impugnata costituiva un’ingerenza ingiustificata nella sua vita privata o in quella del suo personale o di altre persone. Alla luce di ciò, la prima parte del terzo motivo deve essere respinta.

b)      Sulla seconda parte del terzo motivo, vertente su una violazione del principio di proporzionalità

266    La ricorrente rimprovera alla Commissione di aver violato il principio di proporzionalità. Essa sostiene che la violazione di tale principio risulta, in primo luogo, dall’obbligo impostole di produrre, nell’ambito della virtual data room, documenti contenenti dati personali sensibili; in secondo luogo, dall’obbligo di produrre, nello stesso contesto, documenti contenenti sia dati di natura commerciale sia dati personali; in terzo luogo, dall’esistenza di metodi che tutelano meglio la vita privata delle persone rispetto alla virtual data room per valutare la pertinenza dei documenti protetti e, in quarto luogo, dall’inadeguatezza e dell’inefficacia della possibilità di anonimizzare i documenti in questione.

267    La Commissione contesta gli argomenti dalla ricorrente.

268    Occorre rammentare che il principio di proporzionalità, che fa parte dei principi generali del diritto dell’Unione, richiede che gli atti delle istituzioni dell’Unione non superino i limiti di ciò che è idoneo e necessario per conseguire lo scopo ricercato, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta tra più misure appropriate, si deve ricorrere alla meno restrittiva e che gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti (v., in tal senso, sentenze del 13 novembre 1990, Fedesa e a., C‑331/88, EU:C:1990:391, punto 13, e del 14 luglio 2005, Paesi Bassi/Commissione, C‑180/00, EU:C:2005:451, punto 103).

269    Risulta da giurisprudenza costante che le richieste di informazioni rivolte dalla Commissione a un’impresa devono rispettare il principio di proporzionalità e che l’obbligo imposto a un’impresa di fornire un’informazione non deve costituire per quest’ultima un onere sproporzionato rispetto alle necessità dell’indagine (sentenze del 12 dicembre 1991, SEP/Commissione, T‑39/90, EU:T:1991:71, punto 51; del 14 marzo 2014, Cementos Portland Valderrivas/Commissione, T‑296/11, EU:T:2014:121, punto 86, e del 9 aprile 2019, Qualcomm e Qualcomm Europe/Commissione, T‑371/17, non pubblicata, EU:T:2019:232, punti 120 e 121).

270    Nel caso di specie, da un lato, la ricorrente ha invocato il carattere manifestamente smisurato del carico di lavoro che la risposta alla decisione impugnata implica solamente in relazione all’espunzione dai documenti per i quali si applicava la procedura della virtual data room. Orbene, come rilevato al precedente punto 243, l’espunzione dei nomi delle persone interessate è una facoltà offerta alla ricorrente, ma non le è imposta, di modo che essa può non avvalersene e non è legittimata a invocare una violazione del principio di proporzionalità a tale riguardo. Quanto all’asserita inadeguatezza dell’anonimizzazione a causa dell’esiguo numero di depositari interessati, che renderebbe agevole la loro identificazione in un determinato documento, occorre ricordare che l’esiguo numero di depositari interessati costituisce un indizio del rispetto del principio di necessità delle informazioni richieste, ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003, e del bilanciamento tra le esigenze dell’indagine e la tutela dei diritti della ricorrente.

271    Dall’altro lato, la ricorrente fa valere la possibilità, che può costituire un’alternativa alla virtual data room prevista nella decisione impugnata, di censire e descrivere, in un documento che sarebbe trasmesso alla Commissione, i documenti contenenti dati personali sensibili, senza trasmettere i documenti medesimi. A suo avviso, tale pratica consentirebbe di evitare, in primo luogo, che gli agenti della Commissione abbiano accesso ai dati personali in questione consultando i documenti nella virtual data room e, in secondo luogo, di dover espungere da tali documenti i dati personali sensibili che essi contengono prima di trasmetterli alla Commissione.

272    Tuttavia, come osservato al precedente punto 219, la procedura della virtual data room istituita nel caso di specie non va oltre quanto necessario per conseguire le finalità di interesse generale che essa persegue, alla luce del diritto al rispetto della vita privata della ricorrente e degli interessati, quale tutelato dall’articolo 7 della Carta.

273    Inoltre, come emerge dal precedente punto 238, la produzione di documenti contenenti dati personali che non sarebbero stati esaminati nell’ambito della procedura della virtual data room non costituisce una violazione del diritto al rispetto della vita privata della ricorrente e degli interessati.

274    Ne consegue che la ricorrente non ha dimostrato una violazione del principio di proporzionalità, cosicché la seconda parte del terzo motivo deve essere respinta.

c)      Sulla terza parte del terzo motivo, vertente su una violazione del diritto a una buona amministrazione

275    La ricorrente sostiene che il mancato controllo della pertinenza dei documenti richiesti in forza della decisione impugnata costituisce una violazione manifesta del suo diritto a una buona amministrazione. A tal riguardo, essa ricorda che la decisione impugnata le impone di trasmettere alla Commissione numerosi documenti non pertinenti ai fini dell’indagine di quest’ultima o contenenti dati personali, alcuni dei quali sensibili.

276    La Commissione contesta tali argomenti.

277    Va rammentato che il considerando 37 del regolamento n. 1/2003 precisa che tale regolamento «ottempera ai diritti fondamentali e osserva i principi sanciti in particolare nella Carta» e che «dovrebbe essere interpretato e applicato in relazione a detti diritti e principi».

278    L’articolo 41 della Carta, la quale, in forza dell’articolo 6, paragrafo 1, primo comma, TUE, ha lo stesso valore giuridico dei Trattati, intitolato «Diritto ad una buona amministrazione», prevede, al paragrafo 1, che «[o]gni persona ha diritto a che le questioni che la riguardano siano trattate in modo imparziale ed equo ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni, organi e organismi dell’Unione».

279    Secondo la giurisprudenza relativa al principio di buona amministrazione, tra le garanzie conferite dall’ordinamento giuridico dell’Unione nei procedimenti amministrativi, compare, in particolare, l’obbligo per l’istituzione competente di esaminare, con cura ed imparzialità, tutti gli elementi rilevanti della fattispecie (sentenze del 21 novembre 1991, Technische Universität München, C‑269/90, EU:C:1991:438, punto 14, e del 30 settembre 2003, Atlantic Container Line e a./Commissione, T‑191/98, da T‑212/98 a T‑214/98, EU:T:2003:245, punto 404).

280    È giocoforza constatare che, contrariamente a quanto afferma la ricorrente nella sua risposta a un quesito posto dal Tribunale, gli argomenti addotti a sostegno di tale parte del motivo si confondono nella loro sostanza con quelli addotti a sostegno della seconda parte di tale motivo, che a loro volta si confondono in parte con quelli invocati a sostegno del secondo motivo, vertente su una violazione del principio di necessità, e della prima parte del presente motivo.

281    Poiché tutti tali argomenti sono già stati respinti, si deve considerare che la ricorrente non ha dimostrato che la Commissione non aveva effettuato un esame diligente e imparziale del caso di specie. Pertanto, essa non ha dimostrato che la decisione impugnata era viziata da una violazione del principio di buona amministrazione.

282    Di conseguenza, occorre respingere la terza parte del terzo motivo e, quindi, tale motivo nel suo insieme.

283    Da tutto quanto precede risulta che il ricorso deve essere integralmente respinto.

V.      Sulle spese

284    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la ricorrente è rimasta soccombente, essa deve essere condannata a farsi carico, oltre che delle proprie spese, di quelle sostenute dalla Commissione, incluse quelle relative al procedimento sommario.

285    Conformemente all’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, le spese sostenute dagli Stati membri intervenuti nella causa restano a loro carico. Di conseguenza, la Repubblica federale di Germania sopporterà le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quinta Sezione ampliata)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      Meta Platforms Ireland Ltd è condannata a farsi carico delle proprie spese nonché di quelle sostenute dalla Commissione europea, incluse quelle relative al procedimento sommario.

3)      La Repubblica federale di Germania sopporterà le proprie spese.

Papasavvas

Spielmann

Mastroianni

Brkan

 

      Gâlea

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 24 maggio 2023.

Firme


*      Lingua processuale: l’inglese.


1 Dati riservati omessi.