Language of document : ECLI:EU:C:2020:730

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

GIOVANNI PITRUZZELLA

presentate il 17 settembre 2020 (1)

Causa C490/19

Syndicat interprofessionnel de défense du fromage Morbier

contro

Société Fromagère du Livradois SAS

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Cour de cassation (Corte di cassazione, Francia)]

«Rinvio pregiudiziale – Agricoltura – Prodotti agricoli e alimentari – Indicazioni geografiche e denominazioni d’origine – Protezione della registrazione di una denominazione – Divieto di impiego da parte di un terzo o divieto di una presentazione che possa indurre in errore il consumatore senza impiego della denominazione»






I.      Introduzione

1.        Con la domanda di pronuncia pregiudiziale che forma oggetto delle presenti conclusioni la Cour de cassation (Corte di cassazione, Francia) propone alla Corte una questione vertente sull’interpretazione dell’articolo 13, paragrafo 1, dei regolamenti (CE) n. 510/2006 (2) e (UE) n. 1151/2012 (3).

2.        Tale questione è stata sollevata nell’ambito di una controversia tra il Syndicat interprofessionnel de défense du fromage Morbier (consorzio interprofessionale di tutela del formaggio Morbier; in prosieguo: il «consorzio») e la Société Fromagère du Livradois SAS (in prosieguo: la «SFL»), riguardo a pretesi atti di concorrenza sleale commessi da quest’ultima in violazione della denominazione d’origine protetta (DOP) «Morbier».

II.    Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

3.        L’Unione europea ha istituito una tutela delle DOP e delle indicazioni geografiche protette (IGP) dei prodotti agricoli e alimentari con il regolamento (CEE) n. 2081/92 del Consiglio, del 14 luglio 1992 (4), abrogato e sostituito dal regolamento n. 510/2006. L’articolo 13, paragrafo 1, di quest’ultimo regolamento così recita:

«Le denominazioni registrate sono tutelate contro:

a)      qualsiasi impiego commerciale diretto o indiretto di una denominazione registrata per prodotti che non sono oggetto di registrazione, nella misura in cui questi ultimi siano comparabili ai prodotti registrati con questa denominazione o nella misura in cui l’uso di tale denominazione consenta di sfruttare la reputazione della denominazione protetta;

b)      qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l’origine vera del prodotto è indicata o se la denominazione protetta è una traduzione o è accompagnata da espressioni quali “genere”, “tipo”, “metodo”, “alla maniera”, “imitazione”, o simili;

c)      qualsiasi altra indicazione falsa o ingannevole relativa alla provenienza, all’origine, alla natura o alle qualità essenziali dei prodotti usata sulla confezione o sull’imballaggio, nella pubblicità o sui documenti relativi ai prodotti considerati nonché l’impiego, per il condizionamento, di recipienti che possono indurre in errore sull’origine;

d)      qualsiasi altra prassi che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine dei prodotti.

(…)».

4.        Il regolamento n. 510/2006 è stato abrogato e sostituito, con effetto a partire dal 4 gennaio 2013, dal regolamento n. 1151/2012. L’articolo 13, paragrafo 1, di quest’ultimo regolamento è sostanzialmente identico alla corrispondente disposizione del regolamento n. 510/2006, eccezion fatta per la sua applicazione anche ai prodotti oggetto della denominazione protetta quando sono impiegati come ingredienti e ai «servizi». Disposizioni analoghe all’articolo 13, paragrafo 1, dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012 sono previste nei vari regimi di qualità istituiti dall’Unione (5).

5.        In applicazione del regolamento (CE) n. 1241/2002 della Commissione, del 10 luglio 2002 (6), adottato conformemente al regolamento n. 2081/92, la denominazione «Morbier» è stata iscritta nel registro delle DOP. Il disciplinare collegato alla DOP «Morbier», quale modificato dal regolamento di esecuzione (UE) n. 1128/2013 della Commissione, del 7 novembre 2013 (7), applicabile ai fatti del procedimento principale, descrive l’aspetto esterno del Morbier nei seguenti termini: «Il Morbier è un formaggio prodotto con latte crudo vaccino, a pasta pressata, non cotta, di forma cilindrica piatta a facce piane e scalzo lievemente convesso, con diametro da 30 a 40 cm, altezza da 5 a 8 cm e peso da 5 a 8 kg. Esso presenta al centro una striscia nera orizzontale, unita e continua lungo tutto il taglio. La crosta è naturale, strofinata, di aspetto regolare, ammuffita, segnata dalla trama dello stampo, di un colore che va dal beige all’arancione, con sfumature aranciate tendenti al marrone, al rosso e al rosa. La pasta è omogenea, di un colore che va dall’avorio al giallo pallido e presenta spesso un’occhiatura sparsa del diametro di un ribes o bollicine appiattite. (…)».

6.        Il regolamento (UE) n. 1129/2011 (8), entrato in vigore il l° giugno 2013, ha riservato espressamente l’uso del carbone vegetale E 153 ai formaggi della DOP «Morbier» (9).

B.      Diritto francese

7.        L’articolo L. 722-1 del code de la propriété intellectuelle (codice della proprietà intellettuale), derivante dalla legge n. 2007-1544 del 29 ottobre 2007, in materia di lotta alla contraffazione (10), applicabile ai fatti del procedimento principale, dispone quanto segue:

«Qualsiasi pregiudizio arrecato ad un’indicazione geografica fa sorgere la responsabilità civile del suo autore.

Ai fini dell’applicazione del presente capo, per “indicazione geografica” si intendono:

(…)

b)      le denominazioni d’origine protette e le indicazioni geografiche protette previste dalla normativa comunitaria relativa alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli o alimentari;

(…)».

III. Procedimento principale e questione pregiudiziale

8.        Il consorzio è stato riconosciuto, il 18 luglio 2007, dall’Institut national de l’origine et de la qualité (Istituto nazionale dell’origine e della qualità – INAO), come organismo di tutela per la protezione del Morbier. La SFL, avente sede nel Puy-de-Dôme (Francia), è una società che produce e commercializza formaggi.

9.        Il Morbier è un formaggio che gode di una denominazione d’origine controllata (DOC) a partire da un decreto del 22 dicembre 2000, il quale ha previsto, all’articolo 8, un periodo transitorio per le imprese situate fuori della zona geografica di riferimento definita da tale decreto e che producevano e commercializzavano formaggi con la denominazione «Morbier», al fine di permettere loro di continuare a utilizzare tale denominazione senza la menzione «DOC», sino alla scadenza di un termine di cinque anni dalla pubblicazione della registrazione della denominazione d’origine «Morbier», a titolo di DOP, da parte della Commissione europea conformemente all’articolo 6 del regolamento n. 2081/92 (11). Detto decreto è stato abrogato dal decreto n. 2011-441, del 20 aprile 2011.

10.      Non essendo situata nell’area geografica alla quale era riservata la denominazione «Morbier», la SFL, che produceva formaggio con la stessa denominazione dal 1979, è stata autorizzata, conformemente all’articolo 8 del decreto del 22 dicembre 2000, a far uso di quest’ultima, senza la menzione «DOC», sino all’11 luglio 2007, data dalla quale essa ha sostituito tale denominazione con quella di «Montboissié du Haut Livradois». La SFL ha inoltre depositato, il 5 ottobre 2001, negli Stati Uniti, il marchio americano «Morbier du Haut Livradois», che essa ha rinnovato nel 2008 per dieci anni e, il 5 novembre 2004, il marchio francese Montboissier.

11.      Contestando alla SFL il fatto di arrecare pregiudizio alla denominazione protetta e di commettere atti di concorrenza sleale e parassitaria producendo e commercializzando un formaggio che riprende l’aspetto visivo del prodotto oggetto della DOP «Morbier», al fine di creare confusione con quest’ultimo e di sfruttare la notorietà dell’immagine ad esso associata, senza doversi conformare al disciplinare, il consorzio l’ha citata in giudizio, il 22 agosto 2013, dinanzi al tribunal de grande instance de Paris (tribunale di primo grado di Parigi, Francia), affinché fosse condannata a cessare qualsiasi impiego commerciale diretto o indiretto della denominazione della DOP «Morbier», qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione di tale DOP, qualsiasi altra indicazione falsa o ingannevole relativa alla provenienza, all’origine, alla natura o alle qualità essenziali del prodotto con qualunque mezzo che possa creare un’impressione errata sull’origine del prodotto, qualsiasi altra prassi che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto, e in particolare qualsiasi uso di una striscia nera che separi due parti del formaggio, e a risarcire il danno subito.

12.      Con sentenza del 14 aprile 2016, il Tribunal de grande instance de Paris (tribunale di primo grado di Parigi) ha respinto integralmente le domande del consorzio. Tale sentenza è stata confermata dalla Cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi, Francia) con sentenza del 16 giugno 2017. In tale sentenza, la Cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) ha considerato, in particolare, che non costituiva un illecito la commercializzazione di un formaggio che presentava una o più caratteristiche contenute nel disciplinare del Morbier e che si avvicinava quindi a quest’ultimo. Dopo aver dichiarato che la normativa sulla DOP non era diretta a tutelare l’aspetto di un prodotto o le sue caratteristiche descritte nel suo disciplinare, ma la sua denominazione, di modo che essa non vietava la fabbricazione di un prodotto mediante le stesse tecniche definite nelle norme applicabili all’indicazione geografica e dopo aver ricordato che, in mancanza di un diritto esclusivo, l’imitazione dell’aspetto di un prodotto rientrava nella sfera della libertà di commercio e d’industria, la cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) ha dichiarato che le caratteristiche fatte valere dal consorzio, in particolare la striscia blu orizzontale, rientravano in una tradizione storica, in una tecnica antichissima presente in altri formaggi, applicate dalla SFL ancor prima del riconoscimento della DOP e non basate su investimenti che il consorzio o i suoi membri avrebbero effettuato. Essa ha ritenuto che, anche se il diritto di utilizzare il carbone vegetale è conferito al solo formaggio DOP «Morbier», la SFL, per conformarsi alla legislazione americana, aveva dovuto sostituirlo con polifenoli d’uva, di modo che i due formaggi non possono essere assimilati a causa di tale caratteristica. Rilevando che la SFL aveva fatto valere altre differenze tra il formaggio Montboissier e il Morbier relativamente, in particolare, all’utilizzo di latte pastorizzato per il primo e di latte crudo per il secondo, essa ha concluso che i due formaggi erano distinti e che il consorzio tentava di estendere la protezione della denominazione «Morbier» in base ad un interesse commerciale illegittimo e in contrasto con il principio di libera concorrenza.

13.      Il consorzio ha proposto ricorso in cassazione avverso la detta sentenza della cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) dinanzi al giudice del rinvio. Esso sostiene che, dichiarando che solo l’utilizzazione della denominazione «Morbier» poteva costituire una lesione della DOP «Morbier», la cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) avrebbe operato un’interpretazione contraria al disposto dell’articolo 13 dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012 e non avrebbe risposto alla questione, se la presentazione del formaggio Montboissier fosse tale da indurre in errore il consumatore. Dal canto suo, la SFL sostiene che la DOP tutelerebbe i prodotti provenienti da un territorio delimitato, che sarebbero gli unici a potersi avvalere della denominazione protetta. Essa non vieterebbe ad altri produttori di fabbricare e di commercializzare prodotti simili, purché tale commercializzazione non sia accompagnata da alcuna prassi idonea a ingenerare confusione, in particolare mediante l’usurpazione o l’evocazione della denominazione protetta. Essa sostiene inoltre che una «prassi che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine dei prodotti», così come sancito all’articolo 13, paragrafo 1, lettera d), dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012, dovrebbe necessariamente riguardare l’«origine» del prodotto; dovrebbe quindi trattarsi di una prassi che induca il consumatore a ritenere di trovarsi in presenza di un prodotto che beneficia della DOP di cui trattasi. Essa considera che tale «prassi» non possa derivare dal semplice aspetto del prodotto in quanto tale, al di fuori di ogni indicazione sulla sua confezione che faccia riferimento alla provenienza protetta.

14.      In questo contesto la Cour de cassation (Corte di cassazione) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 510/2006 (…) e l’articolo13, paragrafo 1, del regolamento n. 1151/2012 (…) debbano essere interpretati nel senso che essi vietano solo l’uso, da parte di un terzo, della denominazione registrata o se debbano essere interpretati nel senso che essi vietano la presentazione di un prodotto protetto da una denominazione d’origine, in particolare la riproduzione della forma o dell’aspetto che lo caratterizzano, che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto, anche se la denominazione registrata non viene utilizzata.»

15.      Nella presente causa sono state presentate osservazioni scritte da parte del consorzio, della SFL, dei governi francese ed ellenico nonché della Commissione. Tali interessati, ad eccezione del governo ellenico, hanno svolto le loro osservazioni orali nel corso dell’udienza tenutasi dinanzi alla Corte il 18 giugno 2020.

IV.    Analisi

A.      Osservazioni preliminari

16.      La questione pregiudiziale proposta dalla Cour de cassation (Corte di cassazione) può essere suddivisa in due parti. Con la prima parte di tale questione, il giudice del rinvio chiede alla Corte se l’articolo 13, paragrafo 1, dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012 debba essere interpretato nel senso che esso vieta solo l’uso, da parte di un terzo non autorizzato, di una denominazione registrata.

17.      La seconda parte della questione pregiudiziale, che presuppone una risposta in senso negativo alla prima parte, mira, per contro, a stabilire se sia altresì vietato, in mancanza di uso della denominazione protetta, la sola riproduzione della forma o dell’aspetto che caratterizza il prodotto tutelato dalla denominazione registrata, qualora essa possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto che riproduce tale forma o tale aspetto.

18.      Benché verta sull’articolo 13, paragrafo 1, di detti regolamenti nel suo insieme, la questione pregiudiziale, come si deduce dalla sua formulazione e come risulta dalla motivazione della decisione di rinvio, riguarda più precisamente la disposizione di cui alla lettera d) di detto articolo 13, paragrafo 1, relativa a qualsiasi «altra prassi che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine dei prodotti». Tuttavia, come risulta da quanto esposto di seguito, quasi tutti gli interessati che hanno presentato osservazioni scritte dinanzi alla Corte hanno esaminato la questione pregiudiziale anche sotto il profilo dell’articolo 13, paragrafo 1, lettera b), dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012, che vieta, in particolare, qualsiasi «evocazione» di una denominazione d’origine protetta. Inoltre, uno dei quesiti scritti per i quali era richiesta una risposta orale, rivolti dalla Corte agli interessati in occasione dell’udienza, verteva sulla differenza tra le disposizioni di cui alle lettere b) e d) di detto articolo 13, paragrafo 1. Pertanto, per scrupolo di completezza, considererò la questione pregiudiziale sotto il profilo sia della lettera b) sia della lettera d) summenzionate.

B.      Sintesi delle osservazioni delle parti

19.      Il consorzio fa valere che la prima parte della questione sollevata dal giudice del rinvio troverebbe già una risposta nella giurisprudenza della Corte, in particolare nelle sentenze del 7 giugno 2018, Scotch Whisky Association (12) (in prosieguo: la «sentenza Scotch Whisky»), e del 2 maggio 2019, Fundación Consejo Regulador de la Denominación de Origen Protegida Queso Manchego (13) (in prosieguo: la «sentenza Queso Manchego»), che avrebbero precisato che può ricadere nel divieto sancito all’articolo 13, paragrafo 1, dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012 anche una prassi non consistente nell’uso della denominazione protetta. Quanto alla seconda parte della questione pregiudiziale, il consorzio fa valere che il divieto della riproduzione dell’aspetto caratteristico di un prodotto oggetto di una denominazione d’origine registrata può essere considerato sia sotto il profilo della lettera b) dell’articolo 13, paragrafo 1, dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012, sia sotto il profilo della lettera d) di tale disposizione. Pertanto, secondo il consorzio, la riproduzione dell’aspetto caratteristico del prodotto sarebbe vietata, sul fondamento dell’articolo 13, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 510/2006, unicamente qualora l’aspetto controverso possa richiamare direttamente alla mente del consumatore i prodotti che fruiscono della denominazione protetta. Una siffatta riproduzione sarebbe invece vietata, sul fondamento della lettera d) di detto articolo 13, paragrafo 1, se essa può indurre in errore il consumatore sull’origine del prodotto. Per quanto riguarda la striscia nera presente sul formaggio Morbier, il consorzio sottolinea che si tratterebbe del segno di riconoscimento, della «firma», di detto formaggio, che gli conferirebbe l’identità, almeno qualora ricorrano le altre condizioni di colore e di struttura.

20.      La SFL fa valere che, per la sua stessa natura, la DOP tutelerebbe la «denominazione» del prodotto, che permette di ricollegarlo ad un territorio e ad una tecnica di produzione. Per contro, essa non riserverebbe l’uso di tale tecnica ai soli prodotti tutelati da tale denominazione, né permetterebbe di ottenere il divieto di commercializzare un prodotto che presenti lo stesso aspetto di questi ultimi. Una protezione così estesa attribuirebbe un monopolio di sfruttamento perpetuo su una o più caratteristiche descritte nel disciplinare della denominazione e sull’aspetto di un prodotto, non tutelabile in quanto tale attraverso un diritto di proprietà intellettuale. La SFL sottolinea che le sentenze Scotch Whisky e Queso Manchego avrebbero riguardato elementi visivi presenti sulla confezione del prodotto o sulla denominazione del prodotto, la cui sostituzione sarebbe agevole e non impedirebbe la commercializzazione del prodotto in sé, contrariamente agli elementi riguardanti l’aspetto del prodotto, quali la striscia al centro dei formaggi prodotti dalla SFL, che, per giunta, risulterebbe da una tecnica di fabbricazione antichissima (14). Essa fa riferimento anche alla giurisprudenza della Corte in materia di misure di effetto equivalente, dalla quale risulterebbe che l’uso di una forma di confezionamento particolare non può essere monopolizzato, in assenza di ogni diritto di esclusiva o di ogni norma, a beneficio di una parte dei produttori, qualora l’uso da parte di altri sia leale e tradizionale. Inoltre, la SFL fa valere, da un lato, che non sarebbe vietato produrre formaggi tipo «feta» o «mozzarella», o anche «parmigiano» aventi la stessa presentazione e la stessa confezione di quelli tutelati dalle rispettive denominazioni protette (15) e, dall’altro, che varie DOP diverse potrebbero tutelare un prodotto che presenti una forma identica. Essa fa altresì riferimento ai prodotti «declassati», e cioè a prodotti che, a seguito della loro presentazione non conforme al disciplinare della DOP, non possono aspirare a quest’ultima, ma sono comunque commercializzati con l’autorizzazione delle organizzazioni di categoria, come il consorzio. Infine, la SFL osserva che la striscia nera sarebbe una caratteristica presente su parecchi prodotti fabbricati in Francia e all’estero (ad esempio, il Cendré des Prés, il Douanier, il Ratoureux, ecc.). La SFL conclude che occorrerebbe rispondere alla questione pregiudiziale nel senso che la tutela derivante da una DOP verte solo sulla denominazione del prodotto e che non ne risulta alcun divieto, per un prodotto che non ne usufruisca, di presentare una caratteristica di forma similare.

21.      La Commissione sottolinea, in via preliminare, che la denominazione d’origine non proteggerebbe i prodotti che essa disciplina, né una qualunque caratteristica fisica o di altro genere di tali prodotti, quale appare nel disciplinare o quale figura sui prodotti commercializzati dai beneficiari dell’indicazione geografica protetta di cui trattasi. Oggetto della protezione sarebbe unicamente la denominazione registrata. Ciò premesso, essa considera, in maniera generale, che non potrebbe escludersi prima facie che la riproduzione della forma o dell’aspetto che caratterizza un prodotto la cui denominazione è protetta possa costituire un pregiudizio a tale denominazione, per quanto tale eventualità resti l’eccezione. Facendo riferimento alle sentenze Scotch Whisky e Queso Manchego, la Commissione considera che occorrerebbe interpretare l’articolo 13, paragrafo 1, dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012 nel senso che esso vieta non solo l’uso da parte di un terzo della denominazione registrata, ma anche ogni altra prassi, in particolare la riproduzione della forma o dell’aspetto che caratterizza il prodotto protetto dalla denominazione, qualora tali prassi riguardino caratteristiche chiaramente visibili, che appartengano esclusivamente a tale prodotto, e se esiste una prossimità concettuale, sufficientemente diretta ed univoca, tra tali prassi e la denominazione protetta, che possa indurre in errore il consumatore quanto alla vera origine del prodotto, anche se la denominazione registrata non è utilizzata. Tuttavia, perché, in un caso di specie, si possa concludere per l’esistenza di una prassi del genere sarebbe necessario che la forma o l’aspetto, oggetto di riproduzione, sia una caratteristica tipica dei prodotti che fruiscono della denominazione protetta, e che la stessa sia percepita dai consumatori come unica e «distintiva» di tali prodotti.

22.      Il governo francese fa valere, per quanto riguarda la prima parte della questione pregiudiziale, che dalla lettera, dallo spirito e dagli obiettivi dell’articolo 13, paragrafo 1, dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012, nonché dalla giurisprudenza della Corte, risulterebbe che tale disposizione accorda alle denominazioni registrate una protezione ampliata, estesa ad un’amplissima varietà di pregiudizi e che non sarebbe quindi vietato il solo uso di tale denominazione da parte di terzi. Quanto alla seconda parte della questione pregiudiziale, il governo francese considera che la riproduzione di una forma caratteristica o di un segno particolarmente distintivo di un prodotto tutelato da una DOP potrebbe, da un lato, dar luogo a un’«evocazione» contraria all’articolo 13, paragrafo 1, lettera b), dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012 e, d’all’altro, costituire una prassi vietata ai sensi della lettera d) dello stesso articolo, paragrafo 1, qualora essa possa indurre il consumatore a tener direttamente presente, come immagine di riferimento, detto prodotto.

23.      Il governo ellenico considera anch’esso che dalla formulazione letterale e dagli obiettivi dell’articolo 13, paragrafo 1, dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012 risulterebbe che le sue disposizioni si applicherebbero alla più vasta gamma di pregiudizi che possano essere arrecati alle denominazioni protette. Per quanto riguarda più in particolare l’articolo 13, paragrafo 1, lettera d), di detti regolamenti, il governo ellenico considera che tale disposizione sarebbe più ampia di quelle che la precedono per quanto riguarda il tipo e la forma della prassi, ma non per quanto riguarda il risultato al quale tale prassi deve portare, che sarebbe quello di indurre in errore il consumatore. Orbene, la forma o l’aspetto di un prodotto sarebbero, secondo tale governo, in grado di indurre in errore il consumatore e di evocare direttamente nella memoria di quest’ultimo il prodotto tutelato dalla denominazione protetta, anche qualora non vi sia alcun riferimento diretto a quest’ultima. Pertanto, la riproduzione dell’aspetto di un prodotto la cui denominazione è protetta potrebbe ricadere nell’ambito di applicazione dei divieti sanciti all’articolo 13, paragrafo 1, dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012, purché essa non sia il risultato del caso ma miri a sfruttare la reputazione della denominazione protetta.

C.      Valutazione

24.      In via preliminare, vorrei tornare sull’affermazione fatta dalla Commissione nelle sue osservazioni, sia scritte che orali, secondo la quale l’articolo 13, paragrafo 1, dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012 prevederebbe un meccanismo di protezione avente ad oggetto la denominazione registrata in se stessa e non il prodotto tutelato da tale denominazione.

25.      Tale affermazione è certo corretta. Così, nel nostro caso, è la denominazione «Morbier» ad essere protetta e non, almeno direttamente, il prodotto fabbricato secondo le norme imposte dal disciplinare di tale denominazione (16) e che presenta le caratteristiche fisiche ed organolettiche descritte in quest’ultimo, né la presentazione, l’aspetto o qualsiasi altra caratteristica di detto prodotto. Tuttavia, tale affermazione, a mio modo di vedere, richiede di essere contestualizzata.

26.      Infatti, rilevo, in primo luogo, che, per quanto oggetto della protezione prevista dall’articolo 13, paragrafo 1, dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012 sia indubbiamente la denominazione registrata, non si deve neppure perdere di vista il fatto che, istituendo un sistema di protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine, il legislatore dell’Unione ha inteso, da un lato, intervenire a sostegno dell’economia rurale – specialmente delle zone sfavorite o periferiche – attraverso la «promozione di prodotti di qualità aventi determinate caratteristiche» (17), e, dall’altro, preservare «[l]a qualità e la varietà della produzione agricola (…) dell’Unione», considerata come «un punto di forza e un vantaggio competitivo importante per i produttori dell’Unione e (…) parte integrante del suo patrimonio culturale e gastronomico vivo» (18). È quindi, in ultima analisi, la tutela delle produzioni tradizionali «che possiedono caratteristiche specifiche connesse all’origine geografica» che costituisce l’obiettivo ultimo della normativa in materia di DOP e di IGP. La protezione conferita a tali menzioni è solo uno strumento al servizio di tale obiettivo e la sua portata deve quindi essere interpretata alla luce di quest’ultimo (19).

27.      In secondo luogo, e sulla scia di quanto si è appena detto, ricordo che, a termini stessi dell’articolo 5, paragrafo 1, lettere a) e b), del regolamento n. 1151/2012, la «denominazione d’origine» è «un nome che identifica un prodotto originario di un luogo, regione o, in casi eccezionali, di un paese determinati», «la cui qualità o le cui caratteristiche sono dovute essenzialmente o esclusivamente ad un particolare ambiente geografico ed ai suoi intrinseci fattori naturali e umani» (20). Le DOP sono pertanto protette in quanto esse designano un prodotto che presenta determinate «qualità» o determinate «caratteristiche», vale a dire attributi fisici, quali il gusto, l’odore e l’aspetto, che gli sono propri e che sono connessi alla sua origine geografica. Più in generale, è il collegamento con il territorio, in quanto elemento in grado di differenziare qualitativamente un prodotto dall’insieme dell’offerta disponibile sul mercato, che costituisce il fondamento della protezione delle DOP. La procedura di registrazione di una DOP, attualmente prevista agli articoli da 49 a 52 del regolamento n. 1151/2012, mira appunto a verificare che i requisiti applicabili alle denominazioni d’origine, quali previsti all’articolo 5 di tale regolamento, siano soddisfatti. A tal fine, la domanda di registrazione deve contenere, conformemente all’articolo 8 di detto regolamento, un disciplinare del prodotto che contenga, in particolare, «la descrizione del prodotto, comprese se del caso le materie prime, nonché le principali caratteristiche fisiche, chimiche, microbiologiche od organolettiche del prodotto», la definizione della zona geografica di riferimento e gli elementi che stabiliscono il legame tra la qualità o le caratteristiche del prodotto e tale zona (21). Tale domanda deve altresì essere accompagnata da un documento unico, nel quale figurino, in particolare, «gli elementi principali del disciplinare: il nome, una descrizione del prodotto, incluse, se del caso, le norme specifiche applicabili al confezionamento e all’etichettatura» e «la descrizione del legame del prodotto con l’ambiente geografico o con l’origine geografica (…), inclusi, se del caso, gli elementi specifici della descrizione del prodotto o del metodo di produzione che giustifica il legame» (22). È altresì prevista una procedura di opposizione, che permette a un terzo di opporsi alla registrazione, segnatamente, quando dimostra l’inosservanza dei requisiti applicabili alle DOP, quali definiti all’articolo 5 del regolamento n. 1151/2012, o delle condizioni di cui all’articolo 7, paragrafo 1, di tale regolamento, per quanto riguarda il disciplinare (23).

28.      Infine, è importante sottolineare che, nel caso in cui la Corte dovesse dichiarare che la riproduzione della caratteristica distintiva di un prodotto oggetto di una denominazione registrata può violare l’articolo 13, paragrafo 1, dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012, oggetto della protezione non sarebbero né tale caratteristica, in quanto tale, né il prodotto a cui essa si riferisce. Infatti, tale riproduzione sarebbe vietata solo in quanto costituisca, se del caso, l’evocazione di una denominazione protetta o una prassi che impedisca ai produttori o agli agricoltori, i cui prodotti sono tutelati da tale denominazione, di «comunicare agli acquirenti e ai consumatori le caratteristiche dei propri prodotti in condizioni di concorrenza leale» e impedisca «che i prodotti possano essere identificati correttamente sul mercato» (24), e cioè, in quanto interferisca con il conseguimento degli obiettivi specifici della protezione delle DOP e delle IGP. Tali obiettivi sono individuati al considerando 18 del regolamento n. 1151/2012 ed esposti all’articolo 4 di quest’ultimo e sono diretti, in particolare, a garantire ai produttori e agli agricoltori una giusta remunerazione per le qualità dei loro prodotti legate ad una zona geografica e a fornire ai consumatori informazioni chiare sulle proprietà di tali prodotti.

29.      Occorre, sempre in via preliminare, rilevare che, anche se le denominazioni geografiche sono diritti di proprietà industriale, esse formano oggetto di una disciplina sui generis, nella quale gli elementi di diritto pubblico si mescolano a quelli di diritto privato e prevalgono su questi ultimi. Sotto tale profilo, esse si distinguono anche dai marchi, che costituiscono il diritto di proprietà industriale più vicino alle denominazioni geografiche. Così, in primo luogo, l’esistenza giuridica delle DOP (come del resto quella delle IGP) dipende da un atto normativo (un regolamento della Commissione). Tale atto fissa in maniera dettagliata «le principali caratteristiche fisiche, chimiche, microbiologiche od organolettiche del prodotto», nonché il metodo di produzione e, se del caso, di confezionamento di quest’ultimo. In secondo luogo, un sistema di vigilanza è istituito al fine di verificare il rispetto delle prescrizioni legali relative alle DOP. Tale sistema è fondato su controlli ufficiali effettuati da un’autorità responsabile designata da ciascuno Stato membro e che sono intesi, in particolare attraverso la «verifica della conformità di un prodotto al corrispondente disciplinare» (25), a garantire il mantenimento dei livelli qualitativi dei prodotti commercializzati con una denominazione registrata (26). In terzo luogo, la disciplina in materia di denominazioni registrate è connotata, in maniera molto rilevante, dall’obiettivo di tutela degli interessi dei consumatori, di cui si tiene conto sia sotto il profilo delle loro aspettative in ordine al livello qualitativo dei prodotti oggetto di tali denominazioni, sia sotto il profilo del loro diritto ad essere informati tramite indicazioni commerciali veritiere e a non essere indotti in errore nelle loro scelte d’acquisto (27). In quarto luogo, anche se le denominazioni geografiche registrate conferiscono un diritto esclusivo, tale diritto non è individuale, dato che ogni produttore della zona geografica interessata è legittimato ad utilizzare la relativa denominazione alla sola condizione che esso rispetti il disciplinare corrispondente (28). Anche in questo caso, quello che prevale è l’interesse pubblico a che le denominazioni d’origine siano liberamente acquisibili da parte di ogni produttore in possesso dei requisiti richiesti. Infine, il diritto di esclusiva conferito dalle denominazioni geografiche registrate non mira a compensare l’innovazione, l’inventiva o più semplicemente, capacità imprenditoriali individuali. Esso non mira neppure a compensare investimenti effettuati dai produttori autorizzati ad utilizzare tali denominazioni, contrariamente a quanto ritenuto dalla cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) nella sentenza impugnata nel procedimento principale. L’attività di tali produttori si limita, infatti, per sua stessa definizione, a continuare una tradizione produttiva locale, talora molto antica, legata all’ambiente naturale ed umano della regione nella quale essi operano, e cioè a fattori che non dipendono dalla loro iniziativa e da loro scelte imprenditoriali. Come si è già esposto nelle presenti conclusioni, sono gli obiettivi di politica agraria, di tutela dei consumatori, nonché di protezione del patrimonio culturale comune che hanno ispirato la disciplina in materia di protezione delle denominazioni geografiche registrate. Tale disciplina promuove quindi un modello di incentivazione in rapporto diretto con i suddetti obiettivi e che differisce da quello orientato verso l’innovazione concorrenziale.

30.      Una volta precisato tutto quanto precede, affronto ora l’esame della prima parte della questione pregiudiziale, con la quale il giudice del rinvio chiede alla Corte se l’articolo 13, paragrafo 1, dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012 vieti solo l’uso da parte di un terzo di una denominazione registrata.

31.      Come è stato riconosciuto da tutti gli interessati che hanno presentato le loro osservazioni nel presente procedimento, la risposta a tale questione si trova già nella giurisprudenza della Corte.

32.      Difatti, nella sentenza Scotch Whisky, che è posteriore alla sentenza della cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) oggetto del ricorso in cassazione dinanzi al giudice del rinvio, la Corte ha chiaramente distinto le situazioni di uso diretto o indiretto di un’indicazione geografica registrata, di cui all’articolo 16, lettera a), del regolamento n. 110/2008 (29)– la cui formulazione è sostanzialmente identica a quella dell’articolo 13, paragrafo 1, dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012 – da quelle contemplate, in particolare, dalla lettera b) di tale articolo 16. Mentre la prima disposizione è diretta, secondo la Corte, a vietare «che gli operatori utilizzino per scopi commerciali, per prodotti che non sono oggetto di registrazione, un’indicazione geografica registrata, segnatamente al fine di beneficiare indebitamente di tale indicazione geografica» (30) e si applica a situazioni di impiego, da parte del segno controverso, dell’indicazione geografica registrata «in modo identico, o quantomeno fortemente simile, da un punto di vista fonetico e/o visivo» (31), il punto b) di detto articolo si applica a «situazioni in cui il segno controverso non utilizzi l’indicazione geografica in quanto tale, ma la suggerisca in modo tale che il consumatore sia indotto a stabilire un sufficiente nesso di prossimità tra tale segno e l’indicazione geografica registrata» (32).

33.      Sempre nella sentenza Scotch Whisky, la Corte ha precisato che né «la parziale incorporazione di un’indicazione geografica protetta nel segno controverso», né «una similarità fonetica e visiva con l’indicazione geografica protetta riscontrata nella denominazione controversa» (33) configurano un presupposto essenziale per fare applicazione dell’articolo 16, lettera b), del regolamento n. 110/2008 e che, per valutare l’esistenza di un’«evocazione», ai sensi di tale disposizione, «spetta (…) al giudice nazionale verificare se il consumatore, in presenza del nome del prodotto interessato, sia indotto ad aver in mente, come immagine di riferimento, la merce che beneficia dell’indicazione geografica protetta». Rinviando al punto 35 della sentenza del 21 gennaio 2016, Viiniverla (C‑75/15, EU:C:2016:35), la Corte ha rilevato che, se del caso, si doveva tener conto anche del criterio della «somiglianza concettuale» esistente tra termini rientranti in lingue diverse, poiché una tale somiglianza può indurre il consumatore ad avere in mente, come immagine di riferimento, il prodotto la cui indicazione geografica è protetta, quando si trovi in presenza di un prodotto simile recante la denominazione controversa (34) e ha concluso che spetta al giudice nazionale valutare l’esistenza di un’evocazione «tenendo conto, se del caso, dell’incorporazione parziale di una indicazione geografica protetta nella denominazione controversa, di una similarità fonetica e/o visiva di tale denominazione con tale indicazione, o ancora di una somiglianza concettuale tra detta denominazione e detta indicazione» (35). Tali principi sono stati confermati nella sentenza Queso Manchego, nella quale la Corte ha precisato che la formulazione ampia dell’articolo 13, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 510/2006 «può essere intesa come riferita non solo ai termini con cui una denominazione registrata può essere evocata, ma anche a qualsiasi segno figurativo che possa richiamare nella mente del consumatore i prodotti che beneficiano di tale denominazione», e che l’utilizzo del termine «qualsiasi» nella formulazione di tale disposizione rispecchia la volontà del legislatore dell’Unione di «proteggere le denominazioni registrate, considerando che un’evocazione si produca mediante un elemento denominativo o un segno figurativo» (36). Infatti, secondo la Corte, «in linea di principio non si può escludere che segni figurativi siano in grado di richiamare direttamente nella mente del consumatore, come immagine di riferimento, i prodotti che beneficiano di una denominazione registrata, a motivo della loro vicinanza concettuale con siffatta denominazione» (37).

34.      Per quanto riguarda la lettera c) dell’articolo 16 del regolamento n. 110/2008, la Corte ha precisato che essa «estende il perimetro protetto, incorporandovi “qualsiasi altra indicazione”, vale a dire le informazioni fornite ai consumatori, contenute nella designazione, nella presentazione o nell’etichettatura del prodotto in questione, le quali, pur non evocando l’indicazione geografica protetta, siano qualificabili come “fals[e] o ingannevol[i]” in considerazione dei collegamenti del prodotto con quest’ultima» e che l’espressione «qualsiasi altra indicazione», utilizzata in tale disposizione, «si estende a informazioni che possono apparire in qualsivoglia forma nella designazione, nella presentazione o nell’etichettatura del prodotto di cui trattasi, in particolare sotto forma di un testo, di un’immagine o di un contenitore idoneo a fornire informazioni in merito alla provenienza, all’origine, alla natura o alle qualità essenziali del prodotto» (38).

35.      Più in generale, la Corte ha dichiarato che l’articolo 16, lettere da a) a d), del regolamento n. 110/2008 (39) contempla diverse ipotesi in cui la commercializzazione di un prodotto si accompagna ad un riferimento esplicito o implicito ad un’indicazione geografica in condizioni idonee o a indurre il pubblico in errore o, quanto meno, a creare nella sua mente un’associazione di idee quanto all’origine del prodotto, o a permettere all’operatore di sfruttare indebitamente la rinomanza dell’indicazione geografica in questione.

36.      Questi principi si applicano anche all’articolo 13, paragrafo 1, lettere da a) a d), dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012. Tale articolo prevede quindi una protezione ad ampio raggio, che riguarda, da un lato, l’utilizzazione, l’usurpazione e l’evocazione della denominazione protetta e, più in generale, ogni prassi parassitaria diretta a sfruttare la rinomanza di tale denominazione tramite un’associazione con essa, e, dall’altro, ogni comportamento in grado di creare un rischio di confusione tra i prodotti che fruiscono di tale denominazione e prodotti convenzionali (40). Esso mira ad impedire che venga fatto un uso abusivo delle indicazioni geografiche protette, e ciò non soltanto nell’interesse degli acquirenti, ma anche nell’interesse dei produttori che hanno compiuto sforzi per garantire le qualità attese dai prodotti recanti legalmente tali indicazioni (41).

37.      Occorre pertanto rispondere alla prima parte della questione pregiudiziale dichiarando che l’articolo 13, paragrafo 1, dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012 non vieta solo l’uso, da parte di un terzo, di una denominazione registrata.

38.      Con la seconda parte della sua questione pregiudiziale, il giudice del rinvio intende stabilire se l’articolo 13, paragrafo 1, dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012 vieti anche la riproduzione della forma o dell’aspetto che caratterizza un prodotto oggetto di una denominazione registrata. Come ho già anticipato al paragrafo 18 delle presenti conclusioni, affronterò la questione sia sotto il profilo della lettera b) di tale disposizione sia sotto quello della lettera d), benché la questione pregiudiziale riguardi soltanto quest’ultima.

39.      Così come la Commissione, sono del parere che l’articolo 13, paragrafo 1, lettera b), dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012 non si presti, in linea di massima, ad un’interpretazione secondo la quale può configurarsi un’«evocazione» di una denominazione registrata ai sensi di tale disposizione per il solo fatto della riproduzione della forma o dell’aspetto del prodotto oggetto di tale denominazione.

40.      Vero è che, alla luce della giurisprudenza ricordata ai paragrafi 32 e 33 delle presenti conclusioni, che ha ammesso la possibilità di un’evocazione puramente concettuale delle denominazioni registrate, non può essere escluso che, in taluni casi eccezionali, un’evocazione del genere possa prodursi quando il consumatore si trovi in presenza della forma o dell’aspetto di un prodotto convenzionale che riproduca in tutto o in parte quella di un prodotto analogo oggetto di una denominazione protetta.

41.      Ciò potrebbe, ad esempio, verificarsi qualora la denominazione protetta contenga un riferimento esplicito alla forma tipica del prodotto che essa designa (42). Infatti, in tal caso, la forma o l’aspetto del prodotto potrebbe ingenerare, nella mente del pubblico, un’associazione «diretta e univoca» (43) con tale denominazione, così come la Corte ha dichiarato nella sentenza Queso Manchego relativamente ad elementi figurativi apposti sull’etichetta di un prodotto convenzionale e che rinviano alla zona geografica alla quale è legata una DOP, la cui componente essenziale è costituita da un rinvio a tale zona geografica (44).

42.      Bisognerebbe però, a mio modo di vedere, perché una siffatta associazione possa costituire un’«evocazione» ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012, che ricorrano tre condizioni.

43.      In primo luogo, l’elemento riprodotto deve figurare nel disciplinare della denominazione registrata in quanto caratteristica distintiva del prodotto oggetto di tale denominazione. Tale requisito, da un lato, permette di garantire che detto elemento faccia effettivamente parte della tradizione produttiva locale protetta dalla denominazione registrata e, dall’altro, è finalizzato ad un obiettivo di certezza del diritto.

44.      In secondo luogo, come è stato – a mio parere correttamente – sottolineato dalla Commissione, l’elemento riprodotto non deve essere intrinsecamente collegato ad un procedimento di fabbricazione che, in quanto tale, deve restare a libera disposizione di qualsiasi produttore.

45.      Infine, e conformemente all’orientamento da me proposto al paragrafo 29 delle mie conclusioni nella causa in cui è stata pronunciata la sentenza Queso Manchego (C‑614/17, EU:C:2019:11), l’esistenza dell’evocazione deve risultare da una valutazione operata caso per caso, che tenga conto, oltre che dell’elemento controverso – nella fattispecie, l’elemento della forma o dell’aspetto del prodotto che fruisce di una denominazione protetta oggetto di riproduzione – di ogni altro elemento ritenuto rilevante, vuoi a causa del suo potenziale evocatore, vuoi, al contrario, perché conduce ad escludere o a ridurre la possibilità che il consumatore possa associare in maniera diretta e univoca il prodotto convenzionale al prodotto che fruisce della denominazione protetta (45). L’esistenza di un intento parassitario dovrebbe, a mio modo di vedere, essere anch’essa dimostrata (46).

46.      Tengo a precisare, in questa fase, che l’interpretazione dell’articolo 13, paragrafo 1, lettera b), dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012 proposta nei paragrafi precedenti non implica, su un piano più generale, che la forma, l’aspetto o ancora la confezione del prodotto convenzionale non possano essere presi in considerazione, in quanto elementi del contesto, ai fini della valutazione globale sull’esistenza di un’evocazione ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, lettera b), dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012 e, in particolare, al fine di dimostrare l’esistenza di un intento parassitario, come la Corte ha del resto riconosciuto nelle sue sentenze del 4 marzo 1999, Consorzio per la tutela del formaggio Gorgonzola (47), e del 26 febbraio 2008, Commissione/Germania (48), e come ho precisato al paragrafo 29 delle mie conclusioni nella causa Queso Manchego (C‑614/17, EU:C:2019:11).

47.      Mentre l’articolo 13, paragrafo 1, lettera b), dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012 si presta solo eccezionalmente a ricomprendere comportamenti del tipo di quello controverso nel procedimento principale, questi ultimi possono invece ricadere, se del caso, nell’ambito di applicazione della lettera d) di tale articolo.

48.      Analogamente a quanto la Corte ha affermato per quanto riguarda l’articolo 16 del regolamento n. 110/2008 (49), l’articolo 13, paragrafo 1, dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012 (50) elenca una serie graduata di comportamenti vietati, in virtù della quale ciascuna lettera di tale disposizione si distingue da quelle che la precedono (51). Come ho ricordato ai paragrafi da 32 a 34 delle presenti conclusioni, la Corte ha già avuto occasione di pronunciarsi sui rapporti tra le lettere a), b) e c), dell’articolo 16 del regolamento n. 110/2008. Per contro, essa non ha finora mai interpretato la lettera d) di tale articolo, né la lettera d) dell’articolo 13, paragrafo 1, dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012, o le analoghe disposizioni che figurano nei regolamenti istitutivi dei regimi di qualità.

49.      Come è stato osservato da tutti gli interessati che hanno preso parte al presente procedimento, l’articolo 13, paragrafo 1, lettera d), dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012 (52) contiene una «catch-all», che è diretta a chiudere il sistema di protezione delle denominazioni registrate. Ciò risulta in particolare dalla sua formulazione, che fa riferimento a «qualsiasi altra prassi», e cioè a qualsiasi comportamento che non rientri già nell’ambito di applicazione delle altre disposizioni dello stesso articolo.

50.      L’obiettivo perseguito da questa disposizione è chiaramente indicato nella sua formulazione letterale: evitare che il consumatore sia indotto in errore sulla vera origine del prodotto.

51.      Contrariamente all’articolo 13, paragrafo 1, lettera b), dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012, che prescinde dall’esistenza di un rischio di confusione (53), e mira a vietare in particolare comportamenti parassitari (54), la lettera d) di tale articolo si applica, quindi, alle prassi che possono indurre in errore il consumatore, allo scopo, nel contempo, di evitare che quest’ultimo possa ingannarsi nei suoi atti di acquisto e di tutelare gli agricoltori e i produttori che utilizzano la denominazione registrata contro possibili sviamenti di clientela.

52.      Al riguardo, è importante sottolineare, da un lato, che dall’espressione «prassi che possa», contenuta nella formulazione dell’articolo 13, paragrafo 1, lettera d), dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012, risulta che tale disposizione richiede solo la prova dell’esistenza di un «rischio» che il consumatore sia indotto in errore dalla prassi contestata e, dall’altro, che l’errore deve vertere sull’«origine» del prodotto, espressione che va intesa sia nel senso di «provenienza geografica», sia nel senso di «produzione d’origine», dato che il consumatore dev’essere indotto a ritenere, a torto, che il prodotto provenga dalla zona geografica di riferimento della denominazione registrata o che esso faccia parte di una produzione oggetto della denominazione registrata.

53.      L’obiettivo di evitare che il consumatore sia indotto in errore sulla vera origine del prodotto costituisce la sola condizione di applicazione dell’articolo 13, paragrafo 1, lettera d), dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012. Pertanto, tale disposizione non definisce i comportamenti vietati, ma si limita a qualificarli attraverso il loro risultato.

54.      Ne consegue che qualsiasi prassi può ricadere nell’ambito di applicazione del divieto, ivi compresa, in linea di principio, la riproduzione della forma o dell’aspetto tipico di un prodotto tutelato da una denominazione registrata o di una caratteristica particolare e distintiva di quest’ultimo, a condizione che essa possa indurre in errore il consumatore.

55.      La valutazione vertente sull’esistenza di un rischio di induzione in errore deve altresì essere operata caso per caso e alla luce di ogni elemento rilevante. Ad esempio, relativamente ad una prassi come quella contestata nell’ambito del procedimento principale, consistente nella riproduzione di un elemento dell’aspetto del prodotto oggetto di una denominazione registrata, occorre, in particolare, tener conto dell’importanza, agli occhi del consumatore, dell’elemento in questione ai fini dell’identificazione di detto prodotto. La valutazione del rischio di confusione può infatti variare a seconda che la riproduzione abbia ad oggetto una caratteristica esclusiva o particolarmente distintiva del prodotto che fruisce della denominazione registrata ovvero una caratteristica normalmente utilizzata nel settore agroalimentare di cui trattasi.

56.      In tale contesto, occorre parimenti valutare l’aspetto del prodotto nel suo complesso. Infatti, come è stato correttamente osservato all’udienza, persino la riproduzione di una caratteristica tipica ed esclusiva della forma o dell’aspetto di un prodotto oggetto di una denominazione registrata può non indurre in errore il consumatore, qualora l’aspetto del prodotto convenzionale diverga complessivamente da quello del prodotto designato da detta denominazione.

57.      Analogamente, bisognerà tener conto delle modalità di presentazione al pubblico del prodotto di cui trattasi, al fine di valutare, da un lato, se il consumatore sia concretamente in presenza della caratteristica controversa al momento della decisione di acquisto (55), e, dall’altro, se altri elementi connessi a tali modalità possano aumentare il rischio di errore da parte del consumatore (56).

58.      Più in generale, è importante sottolineare che, contrariamente all’articolo 13, paragrafo 1, lettera c), dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012, la cui applicazione prescinde dal contesto nel quale l’«indicazione falsa o ingannevole» si inserisce (57), la lettera d) di tale articolo richiede una valutazione di tale contesto al fine di accertare, in concreto, l’esistenza di un rischio che il consumatore sia indotto in errore.

59.      Spetta esclusivamente al giudice nazionale operare tale valutazione, facendo riferimento alla percezione di un consumatore europeo medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto (58).

60.      Sulla base di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla seconda parte della questione pregiudiziale dichiarando che la riproduzione della forma o dell’aspetto che caratterizza un prodotto oggetto di una denominazione registrata può costituire una prassi vietata ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, lettera d), dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012, qualora essa possa indurre in errore il consumatore sull’origine del prodotto.

V.      Conclusione

61.      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere nei seguenti termini alla questione pregiudiziale proposta dalla Cour de cassation (Corte di cassazione, Francia):

L’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 510/2006 del Consiglio, del 20 marzo 2006, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari, e del regolamento (UE) n. 1151/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 novembre 2012, sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari, dev’essere interpretato nel senso che esso non vieta solo l’uso, da parte di un terzo, di una denominazione registrata.

La riproduzione della forma o dell’aspetto che caratterizza un prodotto oggetto di una denominazione registrata può costituire una prassi vietata ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, lettera d), dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012, qualora possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto. Spetta al giudice nazionale valutare, caso per caso, il carattere illecito di una prassi del genere, alla luce di tutti gli elementi rilevanti e facendo riferimento alla percezione di un consumatore europeo medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto.


1      Lingua originale: il francese.


2      Regolamento del Consiglio, del 20 marzo 2006, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari (GU 2006, L 93, pag. 12).


3      Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 novembre 2012, sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari (GU 2012, L 343, pag. 1).


4      Regolamento relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed alimentari (GU 1992, L 208, pag. 1).


5      V., per il settore vitivinicolo, articolo 103 del regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli e che abroga i regolamenti (CEE) no 922/72, (CEE) n. 234/79, (CE) n. 1037/2001 e (CE) n. 1234/2007 del Consiglio (GU 2013, L 347, pag. 671), per il settore delle bevande aromatizzate, articolo 20 del regolamento (UE) n. 251/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, concernente la definizione, la designazione, la presentazione, l’etichettatura e la protezione delle indicazioni geografiche dei prodotti vitivinicoli aromatizzati e che abroga il regolamento (CEE) n. 1601/91 del Consiglio (GU 2014, L 84, pag. 14), e, per il settore delle bevande alcoliche, articolo 16 del regolamento (CE) n. 110/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 gennaio 2008, relativo alla definizione, alla designazione, alla presentazione, all’etichettatura e alla protezione delle indicazioni geografiche delle bevande spiritose e che abroga il regolamento (CEE) n. 1576/89 del Consiglio (GU 2008, L 39, pag. 16).


6      Regolamento che completa l’allegato del regolamento (CE) n. 2400/96 relativo all’iscrizione di alcune denominazioni nel «Registro delle denominazioni di origine protette e delle indicazioni geografiche protette» di cui al regolamento (CEE) n. 2081/92 del Consiglio relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agricoli e alimentari (Gailtaler Speck, Morbier, Queso Palmero o Queso de la Palma, olio d’oliva extra vergine Thrapsano, Turrón de Agramunt o Torró d’Agramunt) (GU 2002, L 181, pag. 4).


7      GU 2013, L 302, pag. 7.


8      Regolamento della Commissione, dell’11 novembre 2011, che modifica l’allegato II del regolamento (CE) n. 1333/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio istituendo un elenco dell’Unione di additivi alimentari (GU 2011, L 295, pag.1).


9      V. allegato al regolamento n. 1129/2011, parte E, punto 01.7.2.


10      JORF del 30 ottobre 2007, testo n. 2.


11      Nelle sue osservazioni scritte, la SFL afferma che un ricorso contro il decreto del 22 dicembre 2000 è stato respinto da una sentenza del Conseil d’État (Consiglio di Stato, Francia) del 5 novembre 2003. Nell’ambito del procedimento in cui è stata pronunciata tale sentenza, l’INAO e il ministro francese delle Finanze avrebbero sostenuto che: «Il decreto [del 22 dicembre 2000] non osta assolutamente neppure a che gli operatori situati al di fuori della zona di denominazione continuino a produrre e smerciare i loro prodotti. Esso osta semplicemente a che essi continuino a farlo avvalendosi della denominazione “Morbier”, dato che essi non rispettano appunto i criteri geografici e tecnici riconosciuti per aver diritto all’uso di tale denominazione». Nella sua sentenza, il Conseil d’État (Consiglio di Stato) avrebbe precisato «che le norme sia nazionali che comunitarie che disciplinano la protezione delle denominazioni d’origine hanno lo scopo di valorizzare la qualità dei prodotti che beneficiano di una denominazione registrata, in particolare imponendo che la produzione, la trasformazione e l’elaborazione di tali prodotti avvengano nell’area delimitata» e «che tali norme non ostano alla libera circolazione di altri prodotti che non fruiscono di tale protezione».


12      C‑44/17, EU:C:2018:415.


13      C‑614/17, EU:C:2019:344.


14      La SFL precisa, nelle sue osservazioni scritte, che il morbier, la cui produzione si estendeva al di là dell’area attuale della DOP, era tradizionalmente fabbricato con il latte raccolto in una stessa giornata: il latte della mungitura del mattino era ricoperto di uno strato sottile di carbone, per proteggerlo in attesa di essere ricoperto dal latte della mungitura della sera. Una volta affinata, la forma presentava, al centro, una striscia nera, corrispondente allo strato di carbone interposto. Risulta dal fascicolo che la striscia che si trova al centro del formaggio smerciato dalla SFL presenterebbe una sfumatura rossastra e sarebbe costituita da mosto d’uva e non da carbone vegetale.


15      La SFL fa riferimento, in particolare, alle sentenze del 25 ottobre 2005, Germania e Danimarca/Commissione (C‑465/02 e C‑466/02, EU:C:2005:636), e del 26 febbraio 2008, Commissione/Germania (C‑132/05, EU:C:2008:117).


16      V., tuttavia, per quanto concerne i vini, articolo 103, paragrafo 2, del regolamento n. 1308/2013 e, per quanto riguarda le bevande aromatizzate, articolo 20, paragrafo 2, del regolamento n. 251/2014, che dispongono che i prodotti rispettivi che si avvalgano di una denominazione protetta rispettando i disciplinari corrispondenti sono a loro volta tutelati contro i comportamenti vietati previsti da dette disposizioni.


17      V. considerando 2 del regolamento n. 510/2006; v., nello stesso senso, considerando 4 del regolamento n. 1151/2012.


18      V. considerando 1 del regolamento n. 1151/2012.


19      V. sentenza del 21 gennaio 2016, Viiniverla (C‑75/15, EU:C:2016:35, punto 23 e giurisprudenza ivi citata), nonché sentenza Scotch Whisky, punto 37.


20      Una definizione praticamente identica figurava all’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 510/2006.


21      V. articolo 7, paragrafo 1, lettere b), c) ed f), del regolamento n. 1151/2012.


22      V. articolo 8, paragrafo 1, lettera c), sub ii), del regolamento n. 1151/2012.


23      V. articolo 10, paragrafo 1, del regolamento n. 1151/2012, per quanto riguarda i motivi di opposizione, e articolo 51 di tale regolamento, per quanto riguarda la procedura.


24      V. considerando 3 e 5 del regolamento n. 1151/2012; v., altresì, considerando 5 e sentenze del 14 luglio 2011, Bureau national interprofessionnel du Cognac (C‑4/10 e C‑27/10, EU:C:2011:484, punto 47); del 21 gennaio 2016, Viiniverla (C‑75/15, EU:C:2016:35, punto 24), nonché sentenze Scotch Whisky, punto 36, e Queso Manchego, punto 29.


25      V. articolo 36, paragrafo 3, lettera a), del regolamento n. 1151/2012.


26      Per quanto tra le funzioni del marchio figuri anche quella di indice di qualità, quest’ultima dipende esclusivamente dalle scelte del titolare del marchio che, almeno in teoria, non è tenuto a mantenere lo stesso livello qualitativo dei suoi prodotti o dei suoi servizi.


27      L’interesse dei consumatori a non confondersi circa l’origine commerciale dei prodotti o dei servizi da loro acquistati resta in filigrana anche nel diritto dei marchi. Quest’ultimo è tuttavia imperniato sugli interessi privati dei titolari.


28      Il marchio conferisce, per contro, un diritto di esclusiva per lo più individuale, che consente al suo titolare di escludere tutti i terzi dall’uso dello stesso segno distintivo o di un segno simile. La direttiva (UE) 2015/2436 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2015, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 2015, L 336, pag. 1; in particolare, articoli da 29 a 36), prevede anche marchi collettivi; tuttavia la disciplina che si applica a questi ultimi è, come quella che si applica ai marchi individuali, di diritto eminentemente privato e non presenta gli aspetti di diritto pubblico che caratterizzano la disciplina in materia di denominazioni geografiche protette.


29      L’articolo 16, lettere da a) a d), del regolamento n. 110/2008 ha praticamente lo stesso contenuto dell’articolo 13, paragrafo 1, lettere da a) a d), del regolamento n. 510/2006.


30      V. sentenza Scotch Whisky, punto 38.


31      V. sentenza Scotch Whisky, punto 31.


32      V. sentenza Scotch Whisky, punto 33; il corsivo è mio.


33      V. sentenza Scotch Whisky, punti 46 e 49.


34      V. sentenza Scotch Whisky, punto 50.


35      V. sentenza Scotch Whisky, punto 51. Nel procedimento principale che ha dato luogo a tale sentenza, la denominazione controversa era la parola «Glen». La Corte ha dunque affermato che spettava al giudice del rinvio verificare se un consumatore europeo medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, avesse direttamente in mente l’indicazione geografica protetta, ossia «Scotch Whisky», quando si trovava in presenza di un prodotto simile recante tale denominazione, tenendo conto, in difetto di una similarità fonetica o visiva di tale denominazione con l’indicazione geografica protetta e di un’incorporazione parziale della stessa indicazione in detta denominazione, della somiglianza concettuale tra tale indicazione e la medesima denominazione (sentenza Scotch Whisky, punto 52).


36      V. sentenza Queso Manchego, punto 18.


37      V. sentenza Queso Manchego, punto 22.


38      V. sentenza Scotch Whisky, punti 65 e 66.


39      V. sentenza del 14 luglio 2011, Bureau National interprofessionnel du Cognac (C‑4/10 e C‑27/10, EU:C:2011:484, punto 46).


40      Con tale espressione, designerò d’ora in poi i prodotti che non sono tutelati da una denominazione d’origine o da un’indicazione geografica protetta.


41      V., per analogia, sentenze del 14 settembre 2017, EUIPO/Instituto dos Vinhos do Douro e do Porto (C‑56/16 P, EU:C:2017:693, punto 82), nonché del 20 dicembre 2017, Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne (C‑393/16, EU:C:2017:991, punto 38).


42      La Commissione ha fatto riferimento, a mo’ d’esempio, alla DOP «Queso tetilla». Con una sentenza del 31 ottobre 2013 (n. 419/13), la Corte d’appello commerciale di Alicante ha ritenuto che tale DOP proteggesse una denominazione tradizionale, che i consumatori associavano alla forma conica del prodotto in questione, e ha considerato la commercializzazione non autorizzata di formaggi di forma identica come una violazione dell’articolo 13, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 1151/2012.


43      Come ho già affermato nelle mie conclusioni nella causa Queso Manchego (C‑614/17, EU:C:2019:11), l’esistenza di una siffatta associazione dev’essere valutata in termini, nel contempo, di immediatezza (il processo cognitivo associativo non deve richiedere una rielaborazione complessa dell’informazione) e di intensità (l’associazione deve imporsi in maniera sufficientemente forte) della risposta del consumatore all’esposizione al prodotto convenzionale.


44      V. sentenza Queso Manchego, punto 40.


45      V., altresì, in questo senso, sentenza Queso Manchego, punto 42.


46      V. paragrafo 29 delle mie conclusioni nella causa in cui è stata pronunciata la sentenza Queso Manchego. V., altresì, in questo senso, sentenza del 4 marzo 1999, Consorzio per la tutela del formaggio Gorgonzola (C‑87/97, EU:C:1999:115, punto 28).


47      C‑87/97, EU:C:1999:115, punto 27.


48      C‑132/05, EU:C:2008:117, punto 48.


49      V. sentenza Scotch Whisky, punto 65.


50      V., per quanto riguarda il regolamento n. 510/2006, sentenza Queso Manchego, punto 25.


51      È importante rilevare che tale elenco di una serie graduata verte sulla natura dei comportamenti vietati e non sugli elementi da prendere in considerazione per determinare l’esistenza di tali comportamenti (v., in questo senso, sentenza Queso Manchego, punto 27). Non è quindi escluso che gli stessi elementi possano venire in considerazione ai fini dell’applicazione sia della lettera b) sia della lettera d) di tale articolo 13.


52      V., per quanto riguarda il regolamento n. 510/2006, sentenza Queso Manchego, punto 25.


53      V. sentenza del 4 marzo 1999, Consorzio per la tutela del formaggio Gorgonzola (C‑87/97, EU:C:1999:115, punto 26).


54      V., in questo senso, sentenza del 21 gennaio 2016, Viiniverla (C‑75/15, EU:C:2016:35, punto 45).


55      Al riguardo, il consorzio ha precisato che il formaggio Morbier è venduto al dettaglio a fette e che, pertanto, la striscia nera che lo caratterizza è perfettamente visibile dai consumatori.


56      Segnatamente, qualora i prodotti convenzionali siano disposti nelle vicinanze di quelli oggetto della denominazione protetta.


57      V. sentenza Scotch Whisky, punti 70 e 71.


58      V., in particolare, in questo senso, sentenza del 21 gennaio 2016, Viiniverla (C-75/15, EU:C:2016:35, punti 25 e 28), nonché sentenza Scotch Whisky, punto 47.