Language of document : ECLI:EU:T:2004:270

Arrêt du Tribunal

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quinta Sezione Ampliata)
21 settembre 2004 (1)

«Sgravio di dazi all'importazione – Art. 1, n. 3, del regolamento (CE) n° 3319/94 – Nozione di “situazione particolare” nel senso dell'art. 905 del regolamento (CEE) n° 2454/93 – Dazio antidumping sulle importazioni di soluzioni di urea e nitrato d'ammonio originarie della Polonia – Fatturazione diretta all'importatore»

Nella causa T-104/02,

Société française de transports Gondrand Frères SA, con sede in Parigi (Francia), rappresentata dall'avv. M. Famchon, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dalla sig.ra C. Durand, dai sigg. B. Stromsky e X. Lewis, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

avente ad oggetto una domanda di annullamento della decisione della Commissione 14 gennaio 2002, C(2002) 24 def., che stabilisce che lo sgravio dei dazi all'importazione non è giustificato in un caso particolare,



IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Quinta Sezione Ampliata),



composta dalla sig.ra P. Lindh, presidente, dai sigg. R. García-Valdecasas, J.D  Cooke, P. Mengozzi e dalla sig.ra M.E. Martins Ribeiro, giudici,

cancelliere: sig. I. Natsinas, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e a seguito dell'udienza del 18 dicembre 2003,

ha pronunciato la seguente



Sentenza




Contesto normativo

1
Al ‘considerando’ 39, compreso nel titolo H «Misure antidumping», il regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 1994, n. 3319, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di soluzioni di urea e nitrato di ammonio originarie della Bulgaria e della Polonia, esportate da imprese non esentate dal dazio, e che decide la riscossione definitiva del dazio provvisorio (GU L 350, pag. 20), dispone quanto segue:

«In considerazione del notevole pregiudizio subito dall’industria comunitaria sotto forma di perdite finanziarie e della possibilità di assorbimento di un dazio ad valorem, con effetti negativi sull’andamento dei prezzi del mercato comunitario per un prodotto stagionale ed estremamente sensibile al prezzo e data l’esistenza di numerosi canali d’importazione attraverso società di paesi terzi, si ritiene opportuno istituire un dazio variabile, con un importo che consenta all’industria comunitaria di aumentare i prezzi a livelli remunerativi per le importazioni fatturate direttamente da produttori bulgari o polacchi o da parti che hanno esportato il prodotto in questione nel periodo dell’inchiesta. Inoltre si ritiene opportuno istituire un dazio specifico sulla stessa base per tutte le altre importazioni, al fine di evitare l’elusione delle misure antidumping».

2
L’art. 1, n. 3, del regolamento n. 3319/94 stabilisce il seguente dazio antidumping definitivo:

«Per le importazioni originarie della Polonia l’importo del dazio antidumping è pari alla differenza tra il prezzo all’importazione minimo, pari a 89 ECU per tonnellata di prodotto[, e] il prezzo cif [costo, assicurazione, nolo] franco frontiera comunitaria, più il dazio TDC [tariffa doganale comune] pagabile per tonnellata di prodotto quando il prezzo cif franco frontiera comunitaria più il dazio TDC pagabile per tonnellata di prodotto è inferiore al prezzo all’importazione minimo e quando le importazioni immesse in libera pratica sono direttamente fatturate agli importatori indipendenti dai seguenti esportatori o produttori con sede in Polonia:

(…)

Zaklady Azotowe Pulawy, Pulawy,

(codice addizionale TARIC 8793).

Per le importazioni immesse in libera pratica che non sono direttamente fatturate agli importatori indipendenti da uno dei summenzionati esportatori o produttori con sede in Polonia, si applica il seguente dazio specifico:

per il prodotto (…) fabbricato dalla Zaklady Azotowe Pulawy (…) il dazio specifico (…) di 19 ECU per tonnellata di prodotto (codice addizionale Taric 8795)».

3
L’art. 236 del regolamento (CEE) del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913, che istituisce un codice doganale comunitario (GU L 302, pag. 1; in prosieguo: il «codice doganale»), prevede che si proceda al rimborso dei dazi all’importazione o dei dazi all’esportazione quando si constati che al momento del pagamento o della contabilizzazione il loro importo non era legalmente dovuto o che l’importo è stato contabilizzato contrariamente all’art. 220, n. 2, del medesimo codice. Non vengono accordati né rimborso né sgravio, tuttavia, qualora i fatti che hanno dato luogo al pagamento o alla contabilizzazione di un importo che non era legalmente dovuto risultano da una frode dell’interessato.

4
L’art. 239 del codice doganale comunitario (in prosieguo: la «clausola di equità») così recita:

«1.     Si può procedere al rimborso o allo sgravio dei dazi all’importazione o dei dazi all’esportazione in situazioni diverse da quelle di cui agli articoli 236, 237 e 238:

da determinarsi secondo la procedura del comitato;

dovute a circostanze che non implicano frode o manifesta negligenza da parte dell’interessato. Le situazioni in cui si applica la presente disposizione e le modalità procedurali da osservare sono definite secondo la procedura del comitato. Il rimborso e lo sgravio possono essere subordinati a condizioni particolari.

2.       Il rimborso o lo sgravio dei dazi per i motivi di cui al paragrafo 1 è concesso su richiesta presentata all’ufficio doganale interessato entro dodici mesi dalla data della comunicazione al debitore dei predetti dazi.

Tuttavia, in casi eccezionali debitamente giustificati, l’autorità doganale può autorizzare il superamento di tale termine».

5
L’art. 905 del regolamento (CEE) della Commissione 2 luglio 1993, n. 2454, che fissa talune disposizioni d’applicazione del codice doganale (GU L 253, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento di applicazione), prevede, al suo n. 1, quanto segue:

«Quando l’autorità doganale di decisione, alla quale è stata presentata la domanda di rimborso o di sgravio in virtù dell’articolo 239, paragrafo 2 del codice, non sia in grado di decidere, sulla base dell’articolo 899, e la domanda sia corredata di giustificazioni tali da costituire una situazione particolare risultante da circostanze che non implicano alcuna manovra fraudolenta o negligenza manifesta da parte dell’interessato, lo Stato membro da cui dipende tale autorità trasmette il caso alla Commissione affinché sia evaso conformemente alla procedura di cui agli articoli da 906 a 909. (…)».

6
L’art. 399 del codice doganale francese definisce «intéressés» («interessati») alla frode quanti hanno partecipato in qualche maniera a un reato di contrabbando ovvero di importazione o esportazione senza dichiarazione. Tali soggetti sono passibili delle stesse pene previste per gli autori dell’infrazione nonché delle pene privative di diritti enunciate all’art. 432 del medesimo codice.


Fatti all’origine della controversia

7
La ricorrente è una società francese che esercita attività di spedizioniere doganale autorizzato. Il 22 e 23 agosto nonché il 17 settembre 1996 essa immetteva in libera pratica, presso l’ufficio doganale di Rouen (Francia), tre carichi di una soluzione di urea e nitrato d’ammonio, originari della Polonia, per conto di tre società francesi: l’UNCAA, la Champagne Fertilisants e l’EFI Trade (in prosieguo: le «società destinatarie»).

8
Le dette merci erano state acquistate presso la società polacca Zaklady Azotowe Pulawy (in prosieguo: la «ZAP») dalla società francese Evertrade. Esse erano state fatturate prima dalla ZAP all’Evertrade e poi dall’Evertrade alle società destinatarie (fatture del 12 agosto 1996, nn. 96.00230 e 96.00231 alla Champagne Fertilisants e n. 96.00232 all’UNCAA, e del 21 agosto 1996, nn. 96.00243, 96.00244, 96.00245 e 96.00246 all’EFI Trade).

9
Le dichiarazioni in dogana depositate dalla ricorrente contenevano una domanda di esenzione dal dazio antidumping ai sensi dell’art. 1, n. 3, del regolamento n. 3319/94. L’amministrazione doganale dell’ufficio doganale di Rouen (in prosieguo: l’«amministrazione doganale competente») accettava le merci e apponeva alle dette dichiarazioni, quali presentate nei giorni 22 e 23 agosto e 17 settembre 1996, la menzione «ACD» («admis conforme sur documents»; «accettato conformemente ai documenti»). Le sette fatture emesse dall’Evertrade (v. supra, punto 8) venivano allegate a tali dichiarazioni.

10
Con lettera 4 luglio 1997 l’esattore principale dei diritti di dogana e dei diritti indiretti presso la Direzione interregionale delle dogane di Rouen informava la ricorrente di aver constatato, a seguito della verifica a posteriori delle sue dichiarazioni in dogana, che le importazioni in causa non erano state fatturate dalla ZAP direttamente alle tre società destinatarie. Riteneva, perciò, che nella fattispecie avrebbe dovuto essere applicato il dazio specifico di 19 ecu per tonnellata di prodotto e che la ricorrente dovesse pagare FRF 1.757.175 a titolo di dazio antidumping e FRF 96.643 a titolo di imposta sul valore aggiunto (IVA), per un totale di FRF 1.853.818 (in prosieguo: il «debito antidumping»).

11
Con lettera 3 agosto 2000 indirizzata al Direttore generale delle dogane (Rouen) la ricorrente domandava, sulla base degli artt. 236, n. 1, e 239, n. 1, del codice doganale, uno sgravio dei dazi antidumping richiestile. Il 12 dicembre 2000 la Direzione generale delle dogane e dei diritti indiretti francese le comunicava che la sua domanda di sgravio era stata trasmessa alla Commissione a norma dell’art. 239 del codice doganale.

12
Con decisione 14 gennaio 2002, C(2002) 24 def., che stabilisce che lo sgravio dei dazi all’importazione non è giustificato in un caso particolare (in prosieguo: la «decisione controversa»), la Commissione respingeva la detta domanda.


Procedimento e conclusioni delle parti

13
Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale l’8 aprile 2002 la ricorrente ha proposto il presente ricorso.

14
Su relazione del giudice relatore il Tribunale (Quinta Sezione Ampliata) ha deciso di aprire il procedimento orale senza procedere a misure d’istruzione.

15
La ricorrente non si è presentata all’udienza del 18 dicembre 2003; il cancelliere ha confermato che la convocazione all’udienza era stata spedita al domicilio lussemburghese da essa indicato e che la ricevuta di ritorno di tale convocazione era pervenuta alla cancelleria del Tribunale. Dopo aver consultato la Commissione sull’eventualità di una sospensione, il Tribunale ha deciso di proseguire l’udienza, avendo la Commissione rimesso la questione al suo prudente apprezzamento.

16
In udienza la Commissione ha svolto le sue difese orali e risposto ai quesiti del Tribunale.

17
La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

dichiarare il ricorso ricevibile;

annullare la decisione controversa;

accordare alla ricorrente lo sgravio dei dazi antidumping a suo carico.

18
La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

dichiarare il ricorso infondato;

condannare la ricorrente alle spese.


Sulla ricevibilità del capo di conclusioni nel senso che il Tribunale accordi alla ricorrente lo sgravio dei dazi antidumping a suo carico

Argomenti delle parti

19
La Commissione eccepisce l’irricevibilità del capo di conclusioni della ricorrente nel senso che il Tribunale le accordi lo sgravio dei dazi antidumping richiestile. Fa valere che il Tribunale non può, invero, sostituirsi alle istituzioni amministrative incaricate di prendere le decisioni di sgravio.

Giudizio del Tribunale

20
Secondo una giurisprudenza costante, nell’ambito di un ricorso di annullamento ex art. 230 CE, il Tribunale non è competente a pronunciare ingiunzioni alle istituzioni comunitarie o a sostituirsi ad esse. Anche nel caso in cui esso annulli l’atto impugnato, spetta all’istituzione interessata, ai sensi dell’art. 233 CE, adottare le misure che comporta l’esecuzione della sentenza di annullamento (sentenze del Tribunale 27 gennaio 1998, causa T-67/94, Ladbroke Racing/Commissione, Racc. pag. II-1, punto 200, e 16 settembre 1998, cause riunite T-133/95 e T-204/95, IECC/Commissione, Racc. pag. II-3645, punto 52). Il capo di conclusioni della ricorrente nel senso che il Tribunale le accordi lo sgravio dei dazi antidumping addebitatile è, pertanto, irricevibile.


Nel merito

21
A sostegno del suo ricorso la Gondrand Frères SA deduce tre motivi vertenti, il primo, sull’inesistenza del debito antidumping, il secondo, su un errore manifesto di valutazione e, il terzo, su una irregolarità di forma della decisione controversa.

Sul primo motivo, vertente sull’inesistenza del debito antidumping

Argomenti delle parti

22
La ricorrente contesta l’esistenza del debito antidumping. Fa valere che il prezzo fatturato dalla ZAP all’Evertrade e, a fortiori, dall’Evertrade alle società destinatarie era ampiamente superiore al prezzo minimo all’importazione di 89 ecu previsto all’art. 1, n. 3, primo comma, del regolamento n. 3319/94 e che, di conseguenza, non si trattava di un prezzo di dumping. La ricorrente ritiene che accollare allo spedizioniere doganale l’onere finanziario dei dazi antidumping a titolo di importazioni che, con ogni evidenza, non hanno costituito oggetto di dumping né di aggiramento delle misure antidumping, è inaccettabile sia in fatto sia in diritto, nonché secondo equità.

23
La Commissione è del parere che la ricorrente non possa invocare l’inesistenza del debito antidumping per contestare la validità della decisione controversa. L’oggetto delle sue decisioni in merito allo sgravio dei dazi per ragioni di equità non sarebbe, infatti, l’accertamento dell’esistenza di un debito doganale (sentenze della Corte 24 settembre 1998, causa C-413/96, Sportgoods, Racc. pag. I-5285, punti 39-43, e del Tribunale 16 luglio 1998, causa T-195/97, Kia Motors Nederland BV e Broekman Motorships BV/Commissione, Racc. pag. II-2907, punto 36).

Giudizio del Tribunale

24
Il Tribunale osserva che l’art. 239 del codice doganale configura una «clausola generale di equità». Tale disposizione e l’art. 905 del regolamento di applicazione sono intesi a disciplinare la situazione eccezionale nella quale venga a trovarsi l’operatore economico interessato rispetto agli altri operatori che esercitano la medesima attività (v., in tal senso, sentenze della Corte 25 febbraio 1999, causa C-86/97, Trans-Ex-Import, Racc. pag. I-1041, punto 18, e 7 settembre 1999, causa C-61/98, De Haan, Racc. pag. I-5003, punto 52). La clausola di equità e l’art. 905 del regolamento di applicazione, in particolare, sono destinati a ricevere applicazione allorché le circostanze del rapporto tra l’operatore economico interessato e l’amministrazione sono tali da rendere iniquo imporre a questo operatore un pregiudizio che egli normalmente non avrebbe subito (sentenza del Tribunale 19 febbraio 1998, causa T-42/96, Eyckeler & Malt/Commissione, Racc. pag. II-401, punto 132). Il rimborso o lo sgravio dei dazi all’importazione o all’esportazione, che possono essere concessi soltanto a determinate condizioni e nei casi specificamente previsti dalle disposizioni suddette, costituiscono un’eccezione al regime normale delle importazioni e delle esportazioni (v., in tal senso, sentenza della Corte 13 marzo 2003, causa C-156/00, Paesi Bassi/Commissione, Racc. pag. I-2527, punto 91).

25
Ne consegue che le domande rivolte alla Commissione ai sensi del combinato disposto della clausola di equità e dell’art. 905 del regolamento di applicazione non sono dirette ad appurare se esista o meno un debito antidumping, bensì unicamente se sussistano o meno circostanze particolari che possano giustificare, secondo equità, un rimborso dei diritti all’importazione ovvero all’esportazione (v., per analogia, sentenze Sportgoods, cit., punti 39-43, e Kia Motors e Broekman Motorships/Commissione, cit., punti 36 e 37). L’introduzione di una domanda siffatta presso la Commissione presuppone l’esistenza del debito in questione, dato che la ricorrente dispone di altri rimedi giurisdizionali per contestare l’esistenza dello stesso, segnatamente in applicazione del regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 1995, n. 384/96, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU L 56, pag. 1), come modificato.

26
Si deve perciò concludere che la ricorrente non può rimettere in causa nell’ambito della presente controversia l’esistenza del debito antidumping.

27
Ne discende che il primo motivo dev’essere respinto.

Sul secondo motivo, vertente su un errore manifesto di valutazione

28
Il presente motivo si articola in due parti. La ricorrente anzitutto rimprovera alla Commissione di aver commesso un errore manifesto di valutazione rifiutando di riconoscere nel caso di specie l’esistenza di una «situazione particolare». Poi, afferma che non può esserle addebitata nessuna manovra fraudolenta o negligenza manifesta.

Sulla prima parte

– Argomenti delle parti

29
In primo luogo la ricorrente fa valere che l’inadempienza che le viene addebitata è «meramente formale» e non ha avuto in pratica nessuna conseguenza sul corretto funzionamento del regime doganale considerato, come previsto all’art. 204 del codice doganale.

30
In secondo luogo essa afferma che l’assoggettamento delle importazioni controverse a dazi antidumping solo perché la fatturazione da parte dell’esportatore ad un primo destinatario avente sede nella Comunità non permetterebbe all’importatore di dimostrare l’assenza di manovre elusive delle misure antidumping trascende gli obiettivi perseguiti dalla normativa in vigore. La ricorrente invoca una mancanza di corrispondenza tra gli obiettivi del regolamento n. 3319/94, quali descritti nei suoi ‘considerando’, e il testo dello stesso. Essa sostiene che lo scopo perseguito dal legislatore comunitario, enunciato al ‘considerando’ 39 del regolamento n. 3319/94, era di evitare che fossero eluse le misure antidumping con la messa in atto di canali d’importazione attraverso società intermediarie di paesi terzi. Tale non sarebbe il caso nella fattispecie, poiché il primo acquirente dall’esportatore polacco era una società francese. Se il legislatore comunitario avesse voluto escludere qualunque forma di triangolazione, i ‘considerando’ del regolamento n. 3319/94 non avrebbero definito lo scopo del testo normativo con riferimento soltanto ai «canali d’importazione attraverso società di paesi terzi».

31
La ricorrente contesta l’allegazione della Commissione, illustrata infra al punto 50, secondo la quale, sottraendosi volutamente al circuito commerciale «visibile» per il servizio doganale, l’Evertrade riacquistava libertà piena e completa rispetto al prezzo che le veniva fatturato e toglieva così all’amministrazione doganale competente ogni diritto di controllo su un’eventuale riduzione [di prezzo] a posteriori. La detta amministrazione, se avesse nutrito dubbi sul prezzo pagato dall’Evertrade alla ZAP, avrebbe potuto verificare quest’ultimo in conformità all’art. 65 del codice doganale francese. L’argomento vertente sulla possibilità che l’Evertrade ottenesse una riduzione a posteriori sarebbe inconferente. Infatti, da un lato, il rischio di frode sarebbe identico, che l’acquirente diretto in Polonia sia o non l’importatore designato; dall’altro, in caso di frode, l’Evertrade sarebbe passibile delle stesse pene, in forza dell’art. 399 del codice doganale francese, come autore principale, se le dichiarazioni in dogana fossero state sottoscritte in suo nome, oppure come interessato alla frode, nel caso di importazioni sottoscritte a nome del proprio acquirente.

32
La ricorrente lamenta, inoltre, il fatto che l’art. 1, n. 3, del regolamento n. 3319/94 presenti difficoltà d’interpretazione e che un gran numero di operatori e di amministrazioni doganali degli Stati membri abbia interpretato in maniera errata tale disposizione. Essa rileva che la lettera 12 dicembre 2000 della Direzione generale delle dogane e dei diritti indiretti francese, che la informava che la sua domanda di sgravio era stata trasmessa alla Commissione (v. supra, punto 11), riconosceva l’esistenza nella fattispecie di una situazione particolare, in quanto il prezzo all’importazione delle merci non era inferiore a quello minimo previsto dal regolamento n. 3319/94 e l’immissione in commercio a nome del destinatario finale con fattura emessa dall’intermediario francese giustificava essa sola l’applicazione del diritto specifico.

33
La ricorrente fa valere che, nell’interpretazione della Commissione, l’art. 1, n. 3, del regolamento n. 3319/94 istituisce due diritti distinti. Da un lato, esso introdurrebbe un dazio variabile pari alla differenza tra il prezzo minimo all’importazione, fissato a 89 ecu, e il prezzo cif franco frontiera comunitaria maggiorato del dazio TDC da pagare per ogni tonnellata di prodotto quando il prezzo cif è inferiore a 89 ecu e le importazioni sono direttamente fatturate dalla società ZAP all’importatore indipendente. Dall’altro lato, un dazio specifico di 19 ecu per tonnellata sarebbe previsto ove tale società non abbia fatturato direttamente all’importatore. Tale disposizione non prevederebbe, tuttavia, metodi di calcolo del margine di dumping per l’ipotesi in cui il prezzo fatturato dalla società ZAP sia superiore a 89 ecu per tonnellata. La ricorrente contesta la fondatezza della tesi della Commissione secondo la quale, in un’ipotesi siffatta, il dazio antidumping è applicabile perché l’esportatore polacco non ha fatturato direttamente all’importatore. Infatti, da un lato, la disposizione potrebbe essere interpretata anche nel senso che è fatto un distinguo solo per il caso in cui il prezzo cif sia inferiore a quello minimo di 89 ecu e, dall’altro, il ‘considerando’ 39 del regolamento n. 3319/94 non sarebbe esplicito, in quanto si riferisce a «un importo che consenta all’industria comunitaria di aumentare i prezzi a livelli remunerativi» ed indica che il dazio specifico è istituito «al fine di evitare l’elusione delle misure antidumping». La ricorrente sottolinea che questo stesso ‘considerando’ fa riferimento all’«esistenza di numerosi canali d’importazione attraverso società di paesi terzi», esistenza nella fattispecie non avverata.

34
La ricorrente aggiunge che ad alimentare tale confusione è la microscheda della tariffa doganale relativa alla posizione tariffaria denunciata.

35
A suo avviso, nella fattispecie sussiste dunque una situazione particolare consistente nel fatto che, incorrendo in un «comune errore d’interpretazione» dell’art. 1, n. 3, del regolamento n. 3319/94, essa ha sollecitato il beneficio dell’esenzione dai dazi antidumping per merci che soddisfacevano tutte le condizioni oggettive per esservi ammesse, optando per un’immissione in libera pratica a nome dei destinatari finali anziché – come dovuto – a nome della società Evertrade, e che l’amministrazione doganale competente, che ha registrato le dichiarazioni solo dopo un esame delle merci e dei documenti a corredo, aveva ritenuto giustificate la scelta del codice addizionale TARIC e la conseguente esenzione.

36
Nella replica la ricorrente contesta l’argomento della Commissione secondo il quale l’esistenza di una situazione particolare è esclusa nel caso di specie in quanto un numero indefinito di operatori economici versa nella medesima situazione. La particolarità della sua situazione discenderebbe dal fatto che il prezzo cif franco frontiera comunitaria al quale le merci importate sono state vendute dalla ZAP era con tutta evidenza superiore a quello minimo all’importazione previsto all’art. 1, n. 3, del regolamento n. 3319/94 e che le merci erano [state] fatturate dalla ZAP ad una società francese, l’Evertrade, la cui contabilità poteva essere esaminata liberamente dagli ispettori doganali francesi. Circostanze siffatte non sarebbero in genere condivise da un numero indefinito di operatori economici.

37
In terzo luogo, la ricorrente fa valere che, all’atto dell’importazione delle merci, le dichiarazioni in dogana sono state accettate senza riserve dall’amministrazione doganale competente, la quale sarebbe stata perfettamente a conoscenza delle condizioni in cui avveniva l’importazione.

38
A sostegno di tale tesi la ricorrente adduce che le merci erano passate nel «circuit 1» (come attesterebbe il fatto che le dichiarazioni recavano il timbro «CIR1»), implicante un controllo fisico e documentale. Aggiunge che l’amministrazione doganale competente ha visto che essa aveva sottoscritto le dichiarazioni completando la posizione tariffaria con riferimento al codice addizionale TARIC 8793, corrispondente alle importazioni esentate dai dazi antidumping, e non al codice addizionale TARIC 8795, applicabile alle importazioni della ZAP che non potevano beneficiare di tale esenzione. Il fatto che lタルamministrazione doganale competente abbia apposto alle dichiarazioni la menzione «ACD», e non quella di «reconnu» («riconosciuto»), implicherebbe che essa abbia verificato i documenti ad esse allegati.

39
Di conseguenza, l’amministrazione doganale competente avrebbe dovuto constatare, da un lato, che non sussisteva affatto identità tra la ZAP, figurante nella dichiarazione come mittente, e la società che aveva emesso la fattura allegata a tale dichiarazione, vale a dire l’Evertrade, e, dall’altro, che il codice addizionale TARIC indicato non era ammissibile, atteso che la società Evertrade aveva emesso una fattura e che da tale fattura risultava il valore dichiarato. Sarebbe stata dunque essa, l’amministrazione doganale, a commettere un errore nell’acconsentire, in circostanze siffatte, all’esenzione dai dazi antidumping sulle merci.

40
La ricorrente ritiene che la Commissione non possa, senza contraddirsi, pretendere che l’amministrazione doganale competente non fosse tenuta a verificare la conformità delle dichiarazioni in dogana alla normativa, rinviando in tal modo l’esame della più elementare conformità della dichiarazione ai controlli a posteriori, e poi affermare che la circostanza che l’Evertrade non figurasse come importatore diretto avrebbe potuto permetterle di eludere la normativa. Sarebbe bastato, in sede di controllo a posteriori, verificare il prezzo effettivamente pagato dall’Evertrade per escludere tale ipotesi. D’altro canto, nel caso di specie, l’Evertrade avrebbe rimesso a prima richiesta le fatture in questione all’amministrazione doganale competente.

41
Essa sostiene che il fatto che l’amministrazione doganale competente abbia accettato senza nessuna riserva la prima dichiarazione, depositata il 22 agosto 1996, non poteva non indurla a depositare le dichiarazioni successive alle medesime condizioni.

42
La ricorrente soggiunge, infine, nella replica, che anche l’art. 220, n. 2, lett. b), del codice doganale depone a favore di uno sgravio dei dazi.

43
La Commissione contesta che la ricorrente si sia trovata in una situazione particolare.

44
Quanto, in primo luogo, al carattere asseritamente formale dell’inadempienza, la Commissione afferma in particolare che la ricorrente non può utilmente invocare l’art. 204 del codice doganale comunitario. Essa ribadisce che «oggetto delle sue decisioni in merito allo sgravio dei dazi per ragioni di equità non è l’accertamento dell’esistenza di un debito doganale». Orbene, il detto art. 204 determinerebbe uno dei modi di costituzione del debito doganale.

45
In secondo luogo, la Commissione nega la pertinenza degli argomenti avanzati dalla ricorrente nel senso che l’assoggettamento delle importazioni controverse ai dazi antidumping trascende gli obiettivi del regolamento n. 3319/94 e che l’art. 1, n. 3, dello stesso solleva difficoltà d’interpretazione.

46
Asserisce in merito che la concessione di sgravi per ragioni di equità è informata ai due «principi essenziali» seguenti. Da un lato, secondo la Commissione, una circostanza oggettiva, valida per un numero indefinito di operatori economici, non integra una situazione particolare nel senso della clausola di equità (sentenza della Corte 26 marzo 1987, causa 58/86, Coopérative agricole d’approvisionnement des Avirons, Racc. pag. I-1525, punto 22). Dall’altro, sempre a suo avviso, eventuali errori o mancanze delle autorità amministrative possono giustificare l’applicazione della clausola di equità solo se abbiano fatto sopportare ad un operatore economico un onere finanziario che nessuno strumento giuridico gli permetteva di contestare (sentenza della Corte 12 marzo 1987, cause riunite 244/85 e 245/85, Cerealmangimi e Italgrani/Commissione, Racc. pag. 1303, punto 17).

47
La Commissione ritiene che un’eventuale mancanza di corrispondenza tra gli obiettivi del regolamento n. 3319/94, quali riportati nei suoi ‘considerando’, e la lettera di tale regolamento non possa costituire una situazione particolare nel senso dell’art. 905 del regolamento di applicazione.

48
Del pari fa valere che un’eventuale difficoltà d’interpretazione del regolamento n. 3319/94 non porrebbe la ricorrente in una situazione eccezionale rispetto a quanti altri esercitano la sua stessa attività, poiché essa riguarderebbe un numero indeterminato di operatori economici.

49
La Commissione sostiene che va respinto l’argomento della ricorrente secondo cui non c’è nessun rapporto tra lo scopo del sistema di calcolo alternativo del dazio antidumping e il tipo di operazioni che la riguardano, giacché «tutte le triangolazioni che prevedono l’intervento di un intermediario celano il rischio di far eludere un dazio antidumping ‘variabile’ (calcolato su un prezzo minimo)».

50
Essa aggiunge che l’argomento della ricorrente vertente sul fatto che il prezzo fatturato all’Evertrade dalla ZAP era superiore a quello minimo all’importazione è inconferente. L’applicazione del dazio antidumping specifico sarebbe stata giustificata, visto che sussisteva un’incertezza quanto al prezzo pagato al produttore ovvero all’esportatore. Secondo la Commissione, «sottraendosi volutamente al circuito commerciale "visibile" per il servizio doganale (non sdoganando essa stessa), l’Evertrade riacquistava libertà piena e completa rispetto al prezzo che le veniva fatturato e toglieva così al servizio doganale di importazione ogni diritto di controllo su un’eventuale riduzione a posteriori che [essa] avrebbe potuto richiedere ed ottenere dal fornitore polacco».

51
In terzo luogo, la Commissione sostiene che la ricorrente non può far leva sul fatto che le autorità doganali competenti abbiano accettato le dichiarazioni in dogana qui considerate. Essa nega con copia di argomenti che le dette autorità abbiano commesso un errore nel caso di specie.

52
La Commissione afferma innanzi tutto che, all’importazione, contrariamente a quanto pretende la ricorrente, le dichiarazioni in dogana non sono state accettate senza riserve dall’amministrazione doganale competente. A riprova fa valere che è «materialmente inesatto» pretendere che l’apposizione della menzione «ACD» alle dichiarazioni in dogana implichi una verifica dei documenti ad esse allegati. Tale apposizione significherebbe soltanto che le dichiarazioni sono state accettate come conformi ai requisiti posti dalla legislazione doganale. La Commissione rileva che, nell’accettare come conforme una dichiarazione, l’amministrazione doganale competente si limita a verificare che siano effettivamente compilate le rubriche della dichiarazione che devono essere obbligatoriamente compilate e che siano a loro volta allegati i documenti che devono essere imperativamente allegati. Nella fattispecie, l’amministrazione doganale competente si sarebbe dunque limitata a verificare la presenza dei documenti e non il loro contenuto. Non sarebbe stato eseguito un esame approfondito degli stessi, né un controllo fisico delle merci al momento dello sdoganamento.

53
Secondo la Commissione, la menzione «circuit 1» sulle dichiarazioni in dogana non contraddice tali constatazioni, ma anzi le corrobora. Essa osserva che, nel «circuit 1», la dogana può senz’altro procedere ad un controllo fisico della merce, ma che nel caso di specie non l’ha fatto, come prova la menzione «ACD». L’esercizio di un controllo approfondito dei documenti sarebbe previsto in caso di sdoganamento secondo la procedura del «circuit 2», che nella fattispecie non avrebbe avuto luogo.

54
Successivamente la Commissione precisa che solo gli errori risultanti da un comportamento attivo delle autorità competenti o dalla loro inerzia colposa, laddove un intervento anche minimo avrebbe permesso di scoprire un’irregolarità, permettono di non procedere alla riscossione a posteriori dei diritti doganali. Sarebbero perciò esclusi gli errori provocati da dichiarazioni inesatte del debitore (sentenza della Corte 27 giugno 1991, causa C-348/89, Mecanarte, Racc. pag. I-3277, punti 23 e 26).

55
Di conseguenza, secondo la Commissione, la semplice accettazione come conforme da parte dell’amministrazione doganale competente di una dichiarazione in dogana non integra una situazione particolare, quand’anche tutti gli elementi che avrebbero permesso di accertare la non conformità della dichiarazione alla legislazione doganale fossero stati nella disponibilità della detta amministrazione al momento dell’accettazione.

56
La Commissione sostiene, infine, che la ricorrente non può argomentare dall’accettazione senza riserve, da parte dell’ufficio doganale di Rouen, della sua prima dichiarazione. Ricorda che nessuno può invocare una violazione del principio di tutela del legittimo affidamento in mancanza di assicurazioni precise fornitegli dall’amministrazione (sentenza del Tribunale 14 settembre 1995, causa T-571/93, Lefebvre e a./Commissione, Racc. pag. II-2379, punto 72). La ricorrente, peraltro, in quanto spedizioniere doganale, non avrebbe potuto nutrire dubbi sul significato della menzione «ACD», sicché non avrebbe potuto fare legittimo affidamento sull’accettazione iniziale delle sue dichiarazioni in dogana.

– Giudizio del Tribunale

57
Risulta dal tenore dell’art. 905 del regolamento di applicazione che la restituzione dei diritti all’importazione dipende da due condizioni cumulative, ossia dall’esistenza di una situazione particolare e dalla mancanza di negligenza manifesta e di simulazione da parte dell’interessato, cosicché basta che manchi una di tali due condizioni perché debba rifiutarsi il rimborso dei dazi (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 18 gennaio 2000, causa T-290/97, Mehibas Dordtselaan/Commissione, Racc. pag. II-15, punto 87).

58
Si deve ricordare che la Corte ha dichiarato che sussistono elementi «tali da costituire una situazione particolare risultante da circostanze che non implicano alcuna manovra fraudolenta o negligenza manifesta da parte dell’interessato», nel senso di cui alla disposizione sopra menzionata, allorquando, alla luce della finalità sottesa alla clausola di equità, sono accertati elementi tali da porre il richiedente in una situazione eccezionale rispetto agli altri operatori economici che esercitano la sua stessa attività (sentenze Trans-Ex-Import, cit., punto 22, e della Corte 27 settembre 2001, causa C-253/99, Bacardi, Racc. pag. I-6493, punto 56).

59
Quanto all’argomento della ricorrente secondo cui l’art. 1, n. 3, del regolamento n. 3319/94 pone difficoltà d’interpretazione (v., in particolare, supra, punti 32-35) ed è stato interpretato in maniera errata da parecchi operatori ed amministrazioni doganali degli Stati membri, il Tribunale considera che il tenore della detta disposizione non presenta particolari difficoltà.

60
Al riguardo si deve ricordare che l’art. 1, n. 3, del regolamento n. 3319/94 prevede l’istituzione, da un lato, di un dazio antidumping variabile, che si applica allorché le importazioni immesse in regime di libera pratica sono direttamente fatturate a un importatore indipendente da determinati esportatori o produttori polacchi, fra cui la società ZAP, se il prezzo cif franco frontiera comunitaria, maggiorato del dazio TDC, è inferiore al prezzo minimo all’importazione di 89 ecu per tonnellata di prodotto; e, dall’altro, l’istituzione di un dazio fisso o specifico, applicabile nel caso in cui le importazioni in regime di libera pratica non siano direttamente fatturate all’importatore indipendente.

61
Risulta dal regolamento n. 3319/94 che, a differenza del dazio variabile previsto al primo comma dell’art. 1, n. 3, del detto regolamento, il dazio specifico di cui al secondo comma si applica, indipendentemente dalla differenza tra il prezzo cif franco frontiera comunitaria e il prezzo minimo all’importazione di 89 ecu, qualora le importazioni in regime di libera pratica non siano direttamente fatturate all’importatore indipendente.

62
Come evidenzia il ‘considerando’ 39 del regolamento n. 3319/94, l’istituzione di un dazio specifico risponde alla volontà del legislatore comunitario di evitare in tutti i modi che, attraverso importazioni non fatturate direttamente dagli esportatori ovvero dai produttori designati all’importatore indipendente, siano eluse le misure antidumping. L’art. 1, n. 3, secondo comma, del regolamento suddetto si applica, così, alle situazioni in cui l’esportatore ovvero il produttore non abbiano fatturato direttamente ad un importatore indipendente, allo scopo di escludere ogni forma di triangolazione che possa celare il rischio di aggiramento delle misure antidumping.

63
Nella fattispecie risulta dal fascicolo che i tre carichi immessi in regime di libera pratica dalla ricorrente nei giorni 22 e 23 agosto nonché 17 settembre 1996 non sono stati fatturati direttamente dalla ZAP alle società destinatarie, ma prima da questa all’Evertrade e poi dall’Evertrade alle società destinatarie. Poiché la ZAP non ha fatturato le merci direttamente alle società destinatarie, nella fattispecie trova chiaramente applicazione l’art. 1, n. 3, secondo comma, del regolamento n. 3319/94.

64
Non infirma tale valutazione l’argomento della ricorrente secondo cui l’assoggettamento delle importazioni controverse ai dazi antidumping trascenderebbe gli obiettivi del regolamento n. 3319/94, in quanto nella fattispecie le misure antidumping non sarebbero state eluse e sarebbe stato possibile verificare il prezzo pagato dall’Evertrade.

65
Infatti, in primo luogo, il Tribunale ricorda che la ricorrente non può rimettere in discussione nell’ambito della dirimenda controversia l’esistenza del debito antidumping. Di conseguenza, gli argomenti da essa sollevati nel presente motivo circa il prezzo effettivamente pagato dall’Evertrade alla ZAP sono inconferenti.

66
In secondo luogo, come è stato indicato supra, ai punti 59-62, la regola stabilita dall’art. 1, n. 3, secondo comma, del regolamento n. 3319/94 non presenta particolari difficoltà d’interpretazione ed è stata introdotta al fine di preservare l’effetto utile delle disposizioni del regolamento, contro il rischio di aggiramento delle misure antidumping tramite il ricorso a triangolazioni per l’importazione, le quali sarebbero appunto idonee ad aumentare artatamente i prezzi cif franco frontiera comunitaria e a permettere così di eludere il dazio variabile istituito all’art. 1, n. 3, primo comma, del regolamento suddetto. In proposito il Tribunale non considera necessario dimostrare l’esistenza di un aggiramento delle misure antidumping perché l’art. 1, n. 3, secondo comma, del regolamento n. 3319/94 trovi applicazione. Al contrario, ai sensi di tale regolamento si presume avverato il rischio di elusione [delle misure antidumping] ove le importazioni non vengano direttamente fatturate dal produttore ovvero dall’esportatore all’importatore indipendente. Alla luce di ciò andava senz’altro esatto, quale previsto dalla detta disposizione, il dazio specifico di 19 ecu per tonnellata di prodotto dichiarato dalla ZAP.

67
Le difficoltà d’interpretazione dell’art. 1, n. 3, del regolamento n. 3319/94 asserite dalla ricorrente, quand’anche dimostrate, non potrebbero integrare circostanze idonee a creare una situazione particolare in capo alla ricorrente. Dette difficoltà riguarderebbero, infatti, parimenti tutti gli operatori economici che importano soluzioni di urea e nitrato d’ammonio originarie della Polonia e non collocherebbero la ricorrente in una situazione eccezionale rispetto a numerosi altri operatori economici.

68
Di conseguenza la ricorrente non ha dimostrato l’esistenza di circostanze suscettibili di integrare una situazione particolare nel senso dell’art. 905 del regolamento di applicazione.

69
Quanto all’argomento della ricorrente vertente sul carattere puramente formale dell’inadempienza addebitatale, è giocoforza constatare, in base alla lettera e alla ratio dell’art. 1, n. 3, del regolamento n. 3319/94, che la condizione della fatturazione diretta da parte dell’esportatore ovvero del produttore all’importatore indipendente per poter applicare un dazio antidumping variabile non attiene alla mera forma, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente. Infatti, ove tale condizione non sia rispettata, il funzionamento corretto del regime doganale ne risentirebbe in concreto, perché l’esistenza di diversi canali d’importazione può accrescere il rischio di elusione delle misure antidumping.

70
Inoltre, come la Commissione ha fatto giustamente valere, l’omessa fatturazione diretta non rientra tra le inadempienze che non hanno in pratica alcuna conseguenza sul corretto funzionamento del regime doganale considerato, elencate all’art. 859 del regolamento di applicazione, alla luce del quale va letto l’art. 204 del codice doganale (v., in tal senso, sentenza della Corte 11 novembre 1999, causa C-48/98, Söhl & Söhlke, Racc. pag. I-7877, punto 43).

71
La ricorrente sostiene, poi, che le dichiarazioni controverse non avrebbero dovuto essere accettate dall’amministrazione doganale competente dato che non sussisteva alcuna identità tra la società polacca indicata come mittente nelle stesse e la società che ha emesso le fatture allegatevi.

72
Secondo il Tribunale, alla base del detto argomento è un fraintendimento del trattamento riservato ai documenti in causa dalle autorità francesi, ossia dell’apposizione della menzione «ACD» alle dichiarazioni. Come la Commissione ha esposto nel suo controricorso (v. supra, punti 52 e 53), tale apposizione significa soltanto che le rubriche della dichiarazione in dogana che dovevano essere obbligatoriamente compilate erano effettivamente compilate e che i documenti che vi dovevano essere imperativamente allegati erano a loro volta allegati. Pertanto l’immissione in libera pratica dei tre carichi una volta apposta tale menzione non costituisce una conferma da parte delle autorità doganali francesi della validità o dell’esattezza dei dati contenuti nelle dette dichiarazioni o nei documenti ad esse allegati e non impediva loro di verificare ex post i dati pertinenti al codice TARIC indicato dalla ricorrente a nome dell’importatore.

73
Comunque sia, occorre ricordare che nelle dichiarazioni la ZAP, che è uno gli esportatori ovvero produttori polacchi espressamente menzionati all’art. 1, n. 3, del regolamento n. 3319/94, ai cui prodotti poteva applicarsi un dazio antidumping variabile in presenza di determinate condizioni, è indicata come esportatore e le società francesi come destinatarie. Inoltre, sempre nelle dichiarazioni controverse compare il codice TARIC 8793, applicabile quando le importazioni in regime di libera pratica erano direttamente fatturate a un importatore indipendente da uno degli esportatori o produttori elencati nel regolamento n. 3319/94 e aventi sede in Polonia. Il Tribunale considera, perciò, che l’irregolarità relativa all’adempimento delle condizioni necessarie per applicare un dazio antidumping variabile a norma dell’art. 1, n. 3, del regolamento n. 3319/94 consiste nel fatto che non sono state allegate alle dichiarazioni in dogana fatture dirette tra la ZAP e le società destinatarie.

74
Occorre rilevare anche che non si tratta nella fattispecie di un deposito per errore di fatture sbagliate al posto delle fatture giuste, vale a dire delle fatture dirette tra l’esportatore polacco e le società destinatarie. La ZAP, infatti, non ha emesso fatture alle società destinatarie perché nel caso di specie le transazioni si sono svolte in due fasi (v. supra, punto 8).

75
Secondo il Tribunale, pertanto, in circostanze del genere le autorità doganali francesi non erano tenute a respingere le dichiarazioni controverse e non sono incorse in errore nell’apporvi la menzione «ACD» prima di procedere ad un esame approfondito delle informazioni in esse contenute e della coerenza di queste ultime con le informazioni risultanti dall’esame delle fatture allegate alle dichiarazioni medesime. Si noti, infatti, che l’importatore e lo spedizioniere doganale che agisce per suo conto rispondono delle informazioni contenute nelle pertinenti dichiarazioni. Così, anche se a seguito di un esame approfondito è potuto risultare che le informazioni in questione erano errate, non per questo le autorità doganali francesi hanno sbagliato ad immettere in libera pratica i prodotti di cui trattasi apponendovi la menzione «ACD».

76
A fronte della censura della ricorrente nel senso che le autorità doganali francesi, accettando senza riserve la sua prima dichiarazione del giorno 22 agosto 1996, l’avrebbero indotta a depositare le dichiarazioni successive alle stesse condizioni (v. supra, punto 41), va ricordato che, nella fattispecie, sono state depositate soltanto tre dichiarazioni su un periodo di meno di un mese, cioè dal 22 agosto al 17 settembre 1996 (v. supra, punto 9). Il Tribunale constata che in un lasso di tempo così breve le autorità francesi non potevano materialmente procedere alla verifica approfondita della prima dichiarazione e, di conseguenza, scoprire l’errore ivi contenuto prima che fossero depositate le dichiarazioni successive.

77
In ogni caso, seppure le autorità doganali francesi avessero eseguito un controllo più approfondito dei documenti depositati dalla ricorrente all’atto dell’immissione in libera pratica dei tre carichi ed avessero scoperto nei formulari il suo errore sul codice TARIC utilizzato, nulla sarebbe cambiato quanto all’effettività delle operazioni commerciali realizzate nella fattispecie, né quanto al fatto che i detti carichi erano stati oggetto di una doppia fatturazione, dapprima tra la ZAP e l’Evertrade e poi tra quest’ultima e le società destinatarie, per la qual cosa bisognava applicare un dazio antidumping fisso. Si deve concludere, allora, che la Commissione non ha commesso un errore manifesto di valutazione nel considerare che le circostanze di specie non integrassero una situazione particolare nel senso della clausola di equità e dell’art. 905 del regolamento di applicazione.

78
Tutto ciò considerato, la prima parte del presente motivo va disattesa.

79
Dal momento che non è soddisfatta una delle condizioni cumulative previste dall’art. 905 del regolamento di applicazione per la restituzione dei dazi all’importazione, non occorre esaminare l’altra parte del presente motivo.

80
Il secondo motivo è conseguentemente respinto.

Sul terzo motivo, vertente sull’irregolarità di forma della decisione controversa

Argomenti delle parti

81
La ricorrente sostiene che la decisione controversa è irregolare nella forma perché non contiene nessun riferimento ad essa. A suo avviso, l’unico indizio nel senso che tale decisione debba esserle applicata è dato dal raffronto dell’importo dei dazi ivi previsti con l’importo oggetto della domanda di sgravio. Il pregiudizio ne sarebbe tanto maggiore in quanto si tratta di una decisione individuale che non può avere carattere generale.

82
La Commissione afferma che la decisione controversa è regolare nella forma e che non ha violato forme sostanziali.

Giudizio del Tribunale

83
Occorre rilevare che, come la Commissione giustamente sottolinea, nessuna disposizione degli artt. 905 e seguenti del regolamento di applicazione, che istituiscono la procedura da seguire per lo sgravio dei dazi in conformità alla clausola di equità, obbliga la Commissione a precisare il nome del richiedente lo sgravio nella decisione adottata a seguito di tale procedura. Dalle dette disposizioni risulta che è lo Stato membro cui appartengono le autorità doganali di decisione a trasmettere la pratica alla Commissione perché quest’ultima la risolva e che la decisione della Commissione nel senso dell’esistenza o meno di una situazione particolare viene poi notificata allo Stato membro interessato.

84
Ebbene, la ricorrente non ha contestato che la decisione controversa le è stata comunicata dalle autorità doganali francesi. Dal fascicolo risulta, inoltre, che la Commissione, con lettera 27 settembre 2001, ha informato la ricorrente di aver sí ricevuto la sua domanda di sgravio dei diritti all’importazione, trasmessa dalle autorità francesi, e le ha partecipato la sua analisi del caso affinché essa potesse esercitare i propri diritti di difesa. La Commissione ha altresì indicato in tale lettera che la domanda di sgravio era stata registrata con il numero di riferimento REM 06/01, ossia con lo stesso numero di riferimento menzionato nella decisione controversa. Attraverso tale numero la ricorrente ha così potuto collegare con tutta certezza alla decisione controversa la domanda di sgravio presentata alla Commissione dalle autorità francesi.

85
Da tali considerazioni s’inferisce che il presente motivo è infondato e che va per questo disatteso.

86
Poiché nessuno dei motivi dedotti contro la decisione controversa è stato accolto, il ricorso dev’essere respinto.


Sulle spese

87
Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la ricorrente, rimasta soccombente, va condannata alle spese.


Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quinta Sezione Ampliata)

dichiara e statuisce:

1)
Il ricorso è respinto.

2)
La ricorrente è condannata alle spese proprie e a quelle sostenute dalla Commissione.

Lindh

García-Valdecasas

Cooke

Mengozzi

Martins Ribeiro

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 21 settembre 2004.

Il cancelliere

Il presidente

H. Jung

P. Lindh


1
Lingua processuale: il francese.