Language of document : ECLI:EU:T:2018:940

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Terza Sezione ampliata)

13 dicembre 2018 (*)

«Aiuti di Stato – Servizi di assistenza a terra – Apporti in capitale effettuati dalla SEA a favore della SEA Handling – Decisione che dichiara l’aiuto incompatibile con il mercato interno e ne dispone il recupero – Nozione di aiuto – Imputabilità allo Stato – Criterio dell’investitore privato – Principio del contraddittorio – Diritti della difesa – Diritto a una buona amministrazione – Legittimo affidamento»

Nella causa T-167/13,

Comune di Milano (Italia), rappresentato inizialmente da S. Grassani e A. Franchi, successivamente da S. Grassani, avvocati,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata da G. Conte e D. Grespan, in qualità di agenti,

convenuta,

avente ad oggetto una domanda fondata sull’articolo 263 TFUE e diretta all’annullamento della decisione (UE) 2015/1255 della Commissione, del 19 dicembre 2012, relativa agli aumenti di capitale effettuati dalla società SEA SpA a favore di SEA [Handling] SpA [SA.21420 (C 14/10) (ex NN 25/10) (ex CP 175/06)] (GU 2015, L 201, pag. 1),

IL TRIBUNALE (Terza Sezione ampliata),

composto da M. van der Woude, presidente, V. Kreuschitz (relatore), I.S. Forrester, N. Półtorak e E. Perillo, giudici,

cancelliere: J. Palacio González, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 28 febbraio 2018,

ha pronunciato la seguente

Sentenza(1)

I.      Fatti

A.      Contesto generale

1        SEA SpA è la società che gestisce gli aeroporti di Milano Linate e di Milano Malpensa (Italia). Fra il 2002 e il 2010 (in prosieguo: il «periodo in esame»), il suo capitale era quasi interamente detenuto da enti pubblici, vale a dire per l’84,56% dal ricorrente, il Comune di Milano (Italia), per il 14,56% dalla Provincia di Milano (Italia) e per lo 0,88% da altri azionisti pubblici e privati. Nel dicembre 2011, la F2i – Fondi Italiani per le infrastrutture SGR SpA (in prosieguo: la «F2i») ha acquistato, per conto di due fondi da essa gestiti, il 44,31% del capitale della SEA, formato da una parte del capitale detenuto dal ricorrente (29,75%) e dalla totalità del capitale detenuto dalla Provincia di Milano (14,56%).

2        Fino al 1° giugno 2002, SEA ha fornito direttamente i servizi di assistenza a terra negli aeroporti di Milano Linate e Milano Malpensa. A seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo del 13 gennaio 1999, n. 18 (Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana n. 28, del 4 febbraio 1999), inteso a recepire nel diritto italiano la direttiva 96/67/CE del Consiglio, del 15 ottobre 1996, relativa all’accesso al mercato dei servizi di assistenza a terra negli aeroporti della Comunità (GU 1996, L 272, pag. 36), SEA, in conformità all’obbligo previsto all’articolo 4, paragrafo 1, di detta direttiva, ha proceduto alla separazione contabile e giuridica tra le attività legate alla fornitura dei servizi di assistenza a terra e le sue altre attività. A tal fine, essa ha costituito una nuova società, interamente controllata dalla stessa e denominata SEA Handling SpA. SEA Handling ha fornito servizi di assistenza a terra agli aeroporti di Milano Linate e di Milano Malpensa a partire dal 1° giugno 2002.

B.      Procedimento amministrativo

3        Con lettera del 13 luglio 2006, la Commissione delle Comunità europee ha ricevuto una denuncia riguardante presunti aiuti che sarebbero stati concessi a SEA Handling (in prosieguo: le «misure in questione»).

4        Con lettera del 6 ottobre 2006 la Commissione ha chiesto alle autorità italiane di fornire chiarimenti riguardo la denuncia. Dopo aver sollecitato ed ottenuto una proroga del termine per fornire una risposta, le autorità italiane hanno fornito le delucidazioni richieste con lettera del 9 febbraio 2007.

5        Con lettera del 30 maggio 2007 la Commissione ha informato il denunciante che non disponeva di informazioni sufficienti per concludere che fosse soddisfatto il criterio relativo al trasferimento di risorse statali di cui all’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, e che di conseguenza, ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio, del 22 marzo 1999, recante modalità di applicazione dell’articolo 108 [TFUE] (GU 1999, L 83, pag. 1), non vi erano motivi sufficienti per esaminare ulteriormente le misure in questione. Con lettera del 24 luglio 2007, il denunciante ha fornito informazioni complementari alla Commissione. Quest’ultima ha di conseguenza deciso di riesaminare la denuncia.

6        Con lettera del 3 marzo 2008 la Commissione ha chiesto alle autorità italiane di fornirle una copia di un accordo sindacale concluso il 26 marzo 2002 (in prosieguo: l’«accordo sindacale del 26 marzo 2002»). Con lettera del 10 aprile 2008 le autorità italiane hanno trasmesso il documento richiesto.

7        Con lettera del 20 novembre 2008 le autorità italiane hanno trasmesso alla Commissione un altro accordo sindacale concluso il 13 giugno 2008 (in prosieguo: l’«accordo sindacale del 13 giugno 2008»).

8        Con lettera del 23 giugno 2010 la Commissione ha notificato alle autorità italiane la propria decisione di avviare il procedimento d’indagine formale di cui all’articolo 108, paragrafo 2, TFUE (in prosieguo: la «decisione di avvio») e ha invitato le autorità italiane a fornirle le informazioni e i dati necessari per valutare la compatibilità delle misure in questione con il mercato interno. Con la pubblicazione della decisione di avvio nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, avvenuta il 29 gennaio 2011 (GU 2011, C 29, pag. 10), la Commissione ha invitato gli interessati a presentare osservazioni in merito alle misure in questione entro il termine di un mese da detta pubblicazione.

9        Dopo aver sollecitato ed ottenuto una proroga del termine di risposta, le autorità italiane hanno presentato le osservazioni del ricorrente sulla decisione di avvio con lettera del 20 settembre 2010.

10      Dopo aver sollecitato ed ottenuto una proroga del termine che le riguardava, SEA Handling e SEA hanno presentato le loro osservazioni sulla decisione di avvio con lettera del 21 marzo 2011.

11      Con lettera del 7 aprile 2011 la Commissione ha trasmesso le osservazioni dei terzi interessati alle autorità italiane e ha invitato queste ultime a presentare le loro osservazioni. Dopo aver sollecitato e ottenuto una proroga del termine che le riguardava, le autorità italiane hanno presentato le loro osservazioni in risposta alle osservazioni dei terzi e hanno fornito nuovi argomenti nella forma di uno studio realizzato da una società di consulenza.

12      Con lettera dell’11 luglio 2011 la Commissione ha chiesto alle autorità italiane la trasmissione delle informazioni già richieste nella decisione di avvio. Dopo aver sollecitato per due volte, ottenendola peraltro una sola volta, una proroga del termine di risposta, le autorità italiane hanno trasmesso le informazioni richieste con lettera del 15 settembre 2011.

13      Con lettera del 21 ottobre 2011 le autorità italiane hanno completato le loro osservazioni precedenti.

14      Il 19 giugno e il 23 novembre 2012 si sono svolte due riunioni tra i servizi della Commissione e le autorità italiane. A seguito della prima di queste riunioni, le autorità italiane hanno fornito nuovi argomenti con lettere del 2 e del 10 luglio 2012.

C.      Decisione impugnata

15      Il 19 dicembre 2012 la Commissione ha adottato la decisione (UE) 2015/1225, relativa agli aumenti di capitale effettuati dalla società SEA a favore di SEA [Handling] SpA [SA.21420 [(C 14/10) (ex NN 25/10) (ex CP 175/06)], notificata con il numero C(2012) 9448 (GU 2015, L 201, pag. 1; in prosieguo: la «decisione impugnata»).

16      Nel dispositivo della decisione impugnata, la Commissione ha considerato, segnatamente, che «[g]li aumenti di capitale effettuati da SEA a favore [di] SEA Handling per ciascuno degli esercizi del periodo [che va dal] 2002 [al] 2010 (per un importo cumulato stimato pari a 359,644 milioni di EUR, esclusi gli interessi di recupero) costitui[vano] aiuti di Stato ai sensi dell’articolo 107 [TFUE]» (articolo 1) e che «[d]etti aiuti di Stato, concessi in violazione dell’articolo 108, paragrafo 3, [TFUE], [erano] incompatibili con il mercato interno» (articolo 2). Di conseguenza, essa ha disposto che «[la Repubblica italiana] proced[a] al recupero degli aiuti di cui all’articolo 1 presso il beneficiario» (articolo 3, paragrafo 1).

II.    Procedimento e conclusioni delle parti

17      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 18 marzo 2013 il ricorrente ha proposto il ricorso di cui trattasi.

18      Con atto separato, depositato presso la cancelleria del Tribunale il 21 marzo 2013, il ricorrente ha presentato una domanda di provvedimenti provvisori, registrata con numero di ruolo T‑167/13 R. Poiché il ricorrente ha rinunciato alla sua domanda di provvedimenti provvisori, la causa T‑167/13 R è stata cancellata dal ruolo del Tribunale con ordinanza del 20 giugno 2013, Comune di Milano/Commissione (T‑167/13 R, non pubblicata, EU:T:2013:331) e le spese sono state riservate.

19      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 10 maggio 2013 la F2i ha chiesto di intervenire nella presente causa a sostegno delle conclusioni del ricorrente. Con ordinanza del 4 novembre 2014, Comune di Milano/Commissione (T‑167/13, non pubblicata, EU:T:2014:936), il presidente della Quarta Sezione del Tribunale ha respinto tale domanda di intervento.

20      Con atto separato, depositato presso la cancelleria del Tribunale il 5 giugno 2013, la Commissione ha sollevato un’eccezione di irricevibilità ai sensi dell’articolo 114 del regolamento di procedura del Tribunale del 2 maggio 1991. Il ricorrente ha depositato le sue osservazioni su detta eccezione il 22 luglio 2013. Con ordinanza del 9 settembre 2014 il Tribunale ha deciso di riunire al merito la decisione sull’eccezione di irricevibilità, riservandosi sulle spese.

21      Essendo stata modificata la composizione delle sezioni del Tribunale, a norma dell’articolo 27, paragrafo 5, del regolamento di procedura del Tribunale, il giudice relatore è stato assegnato alla Terza Sezione, alla quale, di conseguenza, è stata attribuita la presente causa.

22      A causa di un impedimento di un membro della Terza Sezione, il presidente del Tribunale ha designato un altro giudice al fine di integrare la Sezione.

23      Su proposta della Terza Sezione, il Tribunale ha deciso, ai sensi dell’articolo 28 del regolamento di procedura, di rinviare la presente causa nonché le cause T‑125/13, Repubblica italiana/Commissione, e T‑152/13, SEA Handling/Commissione, nelle quali si chiedeva parimenti l’annullamento della decisione impugnata, dinanzi ad un collegio giudicante ampliato.

24      A causa dell’impedimento di un membro della Terza Sezione, menzionato al punto 22 supra, il presidente del Tribunale ha designato il vicepresidente del Tribunale al fine di integrare la Terza Sezione ampliata.

25      Con ordinanza del presidente della Terza Sezione ampliata del Tribunale del 21 aprile 2017, sentite le parti principali, le cause T‑125/13, T‑152/13 e T‑167/13 sono state riunite ai fini della fase orale del procedimento, nonché della decisione che definisce il giudizio, conformemente all’articolo 68 del regolamento di procedura.

26      Su proposta del giudice relatore, il Tribunale (Terza Sezione ampliata) ha deciso di avviare la trattazione orale.

27      In applicazione dell’articolo 19, paragrafo 2, del regolamento di procedura, il presidente della Terza Sezione ampliata del Tribunale ha deferito alla Sezione le decisioni sulla separazione delle cause T‑125/13, T‑152/13 e T‑167/13 ai fini della fase orale del procedimento e della decisione che definisce il giudizio nonché sulla cancellazione dal ruolo del Tribunale della causa T‑125/13.

28      Con ordinanza del 22 gennaio 2018, Italia e a./Commissione (T‑125/13, T‑152/13 e T‑167/13, non pubblicata, EU:T:2018:35), il Tribunale, in primo luogo, ha separato le cause T‑125/13, T‑152/13 e T‑167/13 ai fini della fase orale del procedimento e della decisione che definisce il giudizio, conformemente all’articolo 68, paragrafo 3, del regolamento di procedura; in secondo luogo, ha cancellato dal ruolo del Tribunale la causa T‑125/13; in terzo luogo ha constatato che non vi era più luogo a statuire sul ricorso proposto da SEA Handling nella causa T‑152/13 e, in quarto luogo, ha riservato le spese nella causa T‑167/13.

29      Le parti hanno svolto le loro difese e risposto ai quesiti orali del Tribunale all’udienza che ha avuto luogo il 28 febbraio 2018.

30      Il ricorrente conclude che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        in subordine, annullare gli articoli 3, 4 e 5 della decisione impugnata;

–        condannare la Commissione alle spese.

31      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare il ricorrente alle spese.

III. In diritto

A.      Sulla ricevibilità

32      La Commissione contesta la ricevibilità del ricorso di cui trattasi, facendo valere che il ricorrente non è individualmente interessato dalla decisione impugnata e che non dà prova di un «interesse specifico e autonomo ad agire».

33      Per quanto riguarda, in primo luogo, la questione se il ricorrente sia individualmente interessato dalla decisione impugnata, occorre ricordare che, secondo giurisprudenza costante, i soggetti diversi dai destinatari di una decisione possono sostenere che essa li riguarda individualmente solo se detta decisione li concerne a causa di determinate qualità loro personali o di una situazione di fatto che li caratterizza rispetto a chiunque altro e, quindi, li distingue in modo analogo ai destinatari (sentenze del 15 luglio 1963, Plaumann/Commissione, 25/62, EU:C:1963:17, pag. 197; del 28 gennaio 1986, Cofaz e a./Commissione, 169/84, EU:C:1986:42, punto 22, e del 13 dicembre 2005, Commissione/Aktionsgemeinschaft Recht und Eigentum, C‑78/03 P, EU:C:2005:761, punto 33).

34      Risulta parimenti dalla giurisprudenza che la posizione giuridica di un organismo diverso da uno Stato membro, che benefici della personalità giuridica e abbia adottato una misura qualificata come aiuto di Stato in una decisione definitiva della Commissione (in prosieguo: l’«erogatore dell’aiuto»), può essere individualmente interessata da tale decisione se quest’ultima gli impedisce di esercitare, come esso intende, le sue competenze, consistenti in particolare nella concessione dell’aiuto in questione (v. sentenza del 17 luglio 2014, Westfälisch-Lippischer Sparkassen- und Giroverband/Commissione, T‑457/09, EU:T:2014:683, punto 83 e giurisprudenza ivi citata).

35      In sostanza, la Commissione considera che, anche se le misure in questione sono imputabili al ricorrente, quest’ultimo non possa essere considerato come erogatore dell’aiuto ai sensi della giurisprudenza citata supra, al punto 34.

36      Il ricorrente contesta gli argomenti della Commissione, che considera contraddittori. Secondo il ricorrente, se, nella decisione impugnata, la Commissione considera che le misure in questione sono imputabili al ricorrente, quest’ultimo dovrebbe logicamente essere considerato come erogatore dell’aiuto.

37      Risulta dall’articolo 1 della decisione impugnata che la Commissione considera che «[g]li aumenti di capitale effettuati da SEA a favore della sua controllata SEA Handling (…) costituiscono aiuti di Stato ai sensi dell’articolo 107 [TFUE]» e, pertanto, che è stata SEA ad aver eseguito le misure in parola.

38      Tuttavia, risulta dai punti da 190 a 217 della decisione impugnata che la Commissione ha potuto concludere nel senso dell’esistenza di aiuti di Stato in forza dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE solo fondandosi sulla propria valutazione secondo cui le misure in questione, eseguite dalla SEA, sono imputabili al ricorrente e, pertanto, alla Repubblica italiana.

39      Secondo costante giurisprudenza, l’imputabilità allo Stato, ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, non può essere dedotta dal solo fatto che queste ultime sono state concesse da un’impresa pubblica controllata dallo Stato. Infatti, anche se lo Stato è in grado di controllare un’impresa pubblica e di esercitare un’influenza dominante sulle operazioni di quest’ultima, l’esercizio effettivo di tale controllo in un caso concreto non può essere automaticamente presunto. Resta ancora da verificare se le autorità pubbliche possano aver svolto un qualche ruolo nell’adozione di tali misure. A questo proposito non si può pretendere che venga dimostrato, sulla base di un’istruzione precisa, che le autorità pubbliche hanno concretamente sollecitato l’impresa pubblica ad adottare i provvedimenti di aiuto in questione. Infatti, l’imputabilità allo Stato di una misura di aiuto adottata da un’impresa pubblica può essere dedotta da un insieme di indicatori derivanti dalle circostanze del caso e dal contesto nel quale la misura è stata presa. In particolare, assume rilevanza qualunque indizio che suggerisca, nel caso concreto, o il coinvolgimento delle autorità pubbliche ovvero l’improbabilità di una mancanza di coinvolgimento nell’adozione di una misura, tenuto conto anche dell’ampiezza di tale misura, del suo contenuto o delle condizioni che essa comporta, oppure la mancanza di coinvolgimento di dette autorità nell’adozione della menzionata misura (v. sentenza del 17 settembre 2014, Commerz Nederland, C‑242/13, EU:C:2014:2224, punti da 31 a 33 e giurisprudenza ivi citata).

40      Orbene, è giocoforza constatare che, se si dovesse accogliere l’argomento della Commissione secondo il quale il «semplice» coinvolgimento di una collettività territoriale nelle decisioni di una società controllata dalla medesima non può essere sufficiente a considerare tale entità come individualmente interessata da una decisione che dispone il recupero, in quanto aiuto di Stato illegale, di un vantaggio concesso da una siffatta decisione, la Commissione non avrebbe avuto modo di concludere che, nella specie, le misure in questione erano imputabili allo Stato italiano. Infatti, risulta dalla giurisprudenza citata supra al punto 39 che tale imputabilità allo Stato presuppone che il coinvolgimento delle autorità pubbliche sia caratterizzato al punto di essere assimilato a un’istruzione impartita da dette autorità. Ne consegue che, nel considerare che le misure in questione sono imputabili al ricorrente in quanto autorità pubblica, la Commissione accorda necessariamente a quest’ultimo un ruolo decisivo nel processo di adozione di dette misure.

41      In tale contesto, a buon diritto il ricorrente critica, qualificandola come intrinsecamente contraddittoria, l’argomentazione della Commissione secondo la quale, pur essendo le misure in questione imputabili al ricorrente, quest’ultimo non è l’erogatore dell’aiuto. Al contrario, se il ricorrente è l’autorità pubblica che è stata implicata nell’adozione delle misure in questione al punto che esse gli sono imputabili conformemente ai criteri enunciati supra, al punto 39, è il ricorrente a dover essere considerato quale erogatore dell’aiuto (v. supra, punto 34). In tale contesto, risulta inconferente che dette misure siano state eseguite da SEA, dal momento che, secondo lo stesso parere della Commissione, questa società agiva su sollecitazione del ricorrente.

42      Il ricorrente fa valere che la decisione impugnata ha una rilevante incidenza sulle competenze che ad esso riconosce la Costituzione italiana, il che non è contestato dalla Commissione. Essendo la collettività locale più vicina ai bisogni della popolazione, spetterebbe ad esso tutelare i suoi interessi e il suo benessere, in particolare evitando ricadute gravi in materia di impiego derivanti dall’insolvibilità di SEA Handling e garantendo la continuità dell’attività agli aeroporti di Milano Linate e di Milano Malpensa in quanto elemento essenziale dell’economia milanese.

43      In tal senso, la decisione impugnata interessa individualmente il ricorrente ai sensi della giurisprudenza citata supra al punto 34, in quanto essa gli impedisce di esercitare nel modo in cui lo stesso le intende le competenze proprie conferitegli dalla Costituzione italiana, che consistono, nella specie, in misure intese a garantire la stabilità finanziaria di SEA Handling e, pertanto, da una parte, a preservare gli impieghi in tale impresa e, dall’altra, a garantire la continuità dell’attività aeroportuale a Milano Linate e a Milano Malpensa.

44      Occorre pertanto rigettare l’eccezione di irricevibilità della Commissione nella parte in cui è intesa a far dichiarare che il ricorrente non è individualmente interessato dalla decisione impugnata.

45      Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’argomento della Commissione relativo al fatto che il ricorrente non dà prova di un «interesse specifico e autonomo ad agire», risulta da giurisprudenza costante che un ricorso di annullamento proposto da una persona fisica o giuridica è ricevibile solo ove quest’ultima abbia un interesse all’annullamento dell’atto impugnato. Un tale interesse presuppone che l’annullamento di tale atto possa produrre di per sé conseguenze giuridiche e che il ricorso possa quindi, con il suo esito, procurare un beneficio alla parte che lo ha proposto. L’interesse ad agire di un ricorrente deve essere concreto ed attuale. Tale interesse deve sussistere, alla luce dell’oggetto del ricorso, al momento della presentazione di quest’ultimo, a pena di irricevibilità, e perdurare fino alla pronuncia della decisione del giudice, pena il non luogo a statuire (v. sentenza del 17 settembre 2015, Mory e a./Commissione, C‑33/14 P, EU:C:2015:609, punti da 55 a 57 e giurisprudenza ivi citata).

46      Tuttavia, nessun elemento, nella giurisprudenza, indica che l’interesse ad agire debba non solo soddisfare i requisiti ricordati supra, al punto 45, ma anche essere «specifico e autonomo», come invece sostiene la Commissione.

47      Nella specie, in risposta a una misura di organizzazione del procedimento del Tribunale, il ricorrente ha rilevato che il medesimo e SEA erano stati citati in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano (Italia), da una società attiva nel comparto dei servizi di assistenza a terra. Tale società reclamerebbe il risarcimento del danno asseritamente subito (pari a circa EUR 93 milioni) a causa delle misure adottate da SEA a favore di Sea Handling, oggetto della decisione impugnata. All’udienza, il ricorrente ha indicato che tale procedimento dinanzi al Tribunale di Milano era «informalmente» sospeso nell’attesa della decisione del Tribunale nella presente causa.

48      È giocoforza rilevare che l’annullamento della decisione impugnata nella presente causa consentirebbe al ricorrente di difendersi dinanzi al Tribunale di Milano facendo valere che le misure in questione non costituiscono aiuti di Stato incompatibili con il mercato interno, come rilevato dalla Commissione in detta decisione. In tal senso, l’annullamento di cui trattasi può avere, di per sé, conseguenze giuridiche importanti sulla difesa del ricorrente dinanzi al Tribunale di Milano, sicché il presente ricorso è tale da procurargli, con il suo risultato, un beneficio.

49      Pertanto, si deve rigettare parimenti l’eccezione di irricevibilità della Commissione nella parte in cui essa contesta l’esistenza di un «interesse specifico e autonomo ad agire» del ricorrente.

B.      Nel merito

1.      Sintesi dei motivi di annullamento

50      A sostegno del ricorso, il ricorrente deduce quattro motivi.

51      Il primo motivo è relativo alla violazione dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, nei limiti in cui la Commissione avrebbe erroneamente constatato che vi è stato un trasferimento di risorse statali e che le misure in questione erano imputabili allo Stato italiano.

52      Con il secondo motivo, il ricorrente fa valere la violazione dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE in quanto la Commissione avrebbe violato il criterio dell’investitore privato.

53      Il terzo motivo è relativo alla violazione dei requisiti di compatibilità delle misure in questione con il mercato interno, nei limiti in cui la Commissione avrebbe violato gli orientamenti comunitari sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese in difficoltà (GU 1999, C 288, pag. 2, in prosieguo: gli «orientamenti del 1999»), gli orientamenti comunitari sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese in difficoltà (GU 2004, C 244, pag. 2, in prosieguo: gli «orientamenti del 2004»), nonché gli orientamenti comunitari concernenti il finanziamento degli aeroporti e gli aiuti pubblici di avviamento concessi alle compagnie aeree operanti su aeroporti regionali (GU 2005, C 312, pag. 1, in prosieguo: gli «orientamenti relativi al settore aeroportuale»).

54      Con il quarto motivo, il ricorrente fa valere la violazione del principio del contraddittorio e dei diritti della difesa, del principio di «buona amministrazione» e di tutela del legittimo affidamento.

2.      Sul primo motivo, relativo alla violazione dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, per violazione dei criteri di trasferimento delle risorse statali e di imputabilità delle misure in questione allo Stato nonché alla violazione dell’obbligo di motivazione

a)      Portata del motivo

55      Con il suo primo motivo, il ricorrente sostiene che la Commissione ha violato l’articolo 107, paragrafo 1, TFUE nel considerare, in sostanza, che le misure in oggetto erano ad esso imputabili e, pertanto, erano di natura statale. In particolare, essa non avrebbe soddisfatto la prova necessaria per dimostrare che le decisioni della SEA di compensare le perdite subite dalla Sea Handling erano imputabili al ricorrente.

56      Secondo il ricorrente, ai fini della dimostrazione che il criterio dell’imputabilità allo Stato fosse soddisfatto, era necessario provare il coinvolgimento concreto dello Stato nella gestione delle società che controllava. Anche laddove il quadro probatorio sia di natura indiziaria, esso dovrebbe fondarsi su «indizi puntuali e pertinenti, alla luce delle circostanze del caso di specie». Se, come nel caso di specie, le misure si riferiscono a un periodo di diversi anni, vale a dire il periodo di cui trattasi, la prova non potrà essere apportata mediante «indizi sparsi raccolti in detto periodo». Spetterebbe alla Commissione dimostrare la logica e la coerenza tra le diverse misure adottate durante il periodo di cui trattasi. Il coinvolgimento dello Stato avrebbe dovuto essere provato con riguardo a misure specifiche che costituirebbero aiuti di Stato. L’onere della prova incombente alla Commissione sarebbe ancora più severo, in quanto, nel maggio del 2007, essa aveva archiviato la fase di indagine preliminare per mancanza di prove.

57      In particolare, il ricorrente considera che nessuno degli indizi ripresi nella decisione impugnata, considerato singolarmente o congiuntamente, potesse ragionevolmente fondare l’imputabilità delle misure in questione allo Stato italiano. Per contro, secondo il ricorrente, la Commissione non ha debitamente valutato i «controindizi» da esso fatti valere nel corso del procedimento amministrativo, vale a dire il reiterato diniego opposto dai dirigenti di SEA a richieste di accesso agli atti avanzate da taluni consiglieri comunali e sostenute dal presidente del Consiglio comunale. Tali dinieghi dimostrerebbero l’assenza di un qualsivoglia ruolo di rilievo svolto dal ricorrente nell’ambito della SEA. Così facendo, la Commissione avrebbe parimenti violato il proprio obbligo di motivazione.

58      La Commissione contesta gli argomenti del ricorrente.

59      A tal riguardo occorre analizzare, in primo luogo, l’esistenza di un trasferimento di risorse statali, in secondo luogo, gli argomenti del ricorrente secondo i quali la Commissione è venuta meno all’obbligo di dimostrare la logica e la coerenza tra i diversi indizi che, secondo la Commissione, dimostrano l’imputabilità allo Stato italiano dell’insieme delle misure in parola e, in terzo luogo, gli argomenti secondo cui la Commissione non avrebbe soddisfatto la prova necessaria per dimostrare che le decisioni di SEA di compensare le perdite subite da Sea Handling erano imputabili al ricorrente.

b)      Sul trasferimento di risorse statali

60      Risulta da costante giurisprudenza che, affinché determinati vantaggi possano essere qualificati come aiuti ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, da un lato, essi devono essere concessi direttamente o indirettamente mediante risorse statali e, dall’altro, essi devono essere imputabili allo Stato (sentenze del 16 maggio 2002, Francia/Commissione, C‑482/99, EU:C:2002:294, punto 24, nonché del 19 dicembre 2013, Association Vent De Colère e a., C‑262/12, EU:C:2013:851, punto 16). Risulta infatti dalla giurisprudenza che si tratta di requisiti distinti e cumulativi (v. sentenza del 5 aprile 2006, Deutsche Bahn/Commissione, T‑351/02, EU:T:2006:104, punto 103 e giurisprudenza ivi citata).

61      La nozione di intervento mediante risorse statali è intesa a includere, oltre ai vantaggi concessi direttamente da uno Stato, quelli concessi mediante enti pubblici o privati, designati o istituiti da tale Stato al fine di gestire l’aiuto (v. sentenza del 19 dicembre 2013, Association Vent De Colère e a., C‑262/12, EU:C:2013:851, punto 20 nonché giurisprudenza ivi citata). Difatti, il diritto dell’Unione non può tollerare che il semplice fatto di creare enti autonomi incaricati della distribuzione di aiuti permetta di eludere le regole in materia di aiuti di Stato (sentenza del 16 maggio 2002, Francia/Commissione, C‑482/99, EU:C:2002:294, punto 23).

62      Inoltre, l’articolo 107, paragrafo 1, TFUE ricomprende tutti gli strumenti pecuniari che il settore pubblico può realmente usare per sostenere le imprese, a prescindere dal fatto che questi strumenti appartengano permanentemente o meno al patrimonio dello Stato. Pertanto, anche se le somme corrispondenti alla misura in questione non sono permanentemente in possesso del Tesoro pubblico, il fatto che restino costantemente sotto il controllo pubblico, e dunque a disposizione delle autorità nazionali competenti, è sufficiente perché esse siano qualificate come risorse statali (v., in tal senso, sentenze del 16 maggio 2002, Francia/Commissione, C‑482/99, EU:C:2002:294, punto 37; del 19 dicembre 2013, Association Vent De Colère e a., C‑262/12, EU:C:2013:851, punto 21 e giurisprudenza ivi citata, e del 10 maggio 2016, Germania/Commissione, T‑47/15, EU:T:2016:281, punto 83).

63      Quanto alla nozione di risorse statali, dopo aver richiamato il punto 37 della sentenza del 16 maggio 2002, Francia/Commissione (C‑482/99, EU:C:2002:294) (punto 190 della decisione impugnata; v. anche punto 55 della decisione di avvio), la Commissione ha considerato che, nella specie, «[l]e risorse utilizzate a copertura delle perdite di Sea Handling [avevano] origine pubblica poiché [provenivano] da SEA, il cui capitale, durante il periodo oggetto d’esame, era detenuto al 99,12% dal [ricorrente] e dalla Provincia di Milano» (punto 191 della decisione impugnata, il cui contenuto corrisponde a quello del punto 56 della decisione di avvio). Al riguardo, il punto 25 della decisione impugnata precisa, in sostanza, che SEA è una società di diritto privato (società per azioni) il cui capitale era detenuto, durante il periodo in questione, quasi esclusivamente da enti pubblici, vale a dire in ragione dell’84,56% dal ricorrente, in ragione del 14,56% dalla Provincia di Milano, e in ragione dello 0,88% da altri azionisti pubblici e privati.

64      Il ricorrente non deduce alcun argomento concreto per rimettere in questione questa valutazione della Commissione, che non è inficiata da alcun errore.

65      Infatti, alla luce dei principi giurisprudenziali enunciati supra ai punti da 60 a 62, correttamente la Commissione ha sottolineato che le quote sociali di SEA, l’ente che dispensa tutti gli apporti di capitale controversi, erano quasi completamente e direttamente detenute dalle autorità pubbliche, vale a dire dal ricorrente e dalla Provincia di Milano. Al pari della situazione nella causa sfociata nella sentenza del 16 maggio 2002, Francia/Commissione (C‑482/99, EU:C:2002:294, punto 34), ne consegue che SEA costituisce una «impresa pubblica» ai sensi dell’articolo 2, lettera b), della direttiva 2006/111/CE della Commissione, del 16 novembre 2006, relativa alla trasparenza delle relazioni finanziarie tra gli Stati membri e le loro imprese pubbliche e alla trasparenza finanziaria all’interno di talune imprese (GU 2006, L 318, pag. 17), vale a dire «[un’]impresa nei confronti della quale i poteri pubblici possano esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante per ragioni di proprietà, di partecipazione finanziaria o della normativa che la disciplina». Infatti, dall’articolo 2, lettera b), sub i), della direttiva 2006/111 risulta che «[l]’influenza dominante è presunta, qualora i poteri pubblici si trovino nei riguardi dell’impresa, direttamente o indirettamente, [nella situazione in cui] detengano la maggioranza del capitale sottoscritto dell’impresa», il che si verifica nella specie.

66      Inoltre, conformemente ai criteri riconosciuti ai punti da 33 a 38 della sentenza del 16 maggio 2002, Francia/Commissione (C‑482/99, EU:C:2002:294), nonché ai punti 192 e 208 della decisione impugnata, la Commissione si è fondata su elementi ulteriori di controllo nel rilevare che, secondo quanto affermato dalle stesse autorità italiane, «[il ricorrente] esercitava il suo controllo su SEA designando i membri del Consiglio di amministrazione e del Collegio sindacale», aspetto, questo, di cui il ricorrente non contesta l’esistenza. Orbene, è giocoforza rilevare che dal potere del ricorrente di nominare, vuoi direttamente, vuoi mediante la sua maggioranza nell’assemblea generale, i membri del Consiglio di amministrazione e del Collegio sindacale di SEA, nonché dal fatto che le quote sociali di SEA erano quasi interamente detenute dalle autorità pubbliche, risulta che le misure di sostegno finanziario concesse da SEA a Sea Handling erano costantemente controllate da dette autorità ed erano, pertanto, a loro disposizione ai sensi della sentenza del 16 maggio 2002, Francia/Commissione (C‑482/99, EU:C:2002:294).

67      Correttamente, pertanto, la Commissione ha concluso, nella decisione impugnata, che gli apporti in capitale concessi da SEA a Sea Handling costituivano risorse statali ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE.

c)      Sulla logica e la coerenza tra diversi indizi

68      Quanto all’esame dell’insieme delle misure di cui trattasi ai fini della valutazione del criterio di imputabilità allo Stato delle stesse, occorre ricordare che la decisione impugnata espone, ai punti da 211 a 216, essenzialmente quanto segue:

«(211)       [L]a Commissione ritiene che le misure di ripianamento delle perdite, attuate mediante aumenti del capitale di SEA Handling, non costituissero misure di gestione corrente, bensì misure eccezionali. Il carattere straordinario delle misure si riflette sia in termini economici, data l’entità degli importi interessati (ciascun ripianamento delle perdite è stato compensato con un aumento di capitale di svariati milioni di EUR), sia in termini politici, dato l’impatto previsto delle misure sul mantenimento dell’occupazione.

(212)       Data la loro natura eccezionale, le misure non sono quindi state adottate autonomamente dal consiglio di amministrazione di SEA, ma sono state oggetto di un’approvazione esplicita da parte dell’assemblea generale in seno alla quale [il ricorrente] è azionista di maggioranza, conformemente allo statuto di SEA e ai principi sanciti in materia dal codice civile [italiano]. Non vi è quindi alcun dubbio che [il ricorrente] fosse pienamente informato e abbia approvato le misure, come risulta dai verbali delle assemblee generali. Non solo era all’origine di tali misure con la sua partecipazione all’accordo [sindacale] del 26 marzo 2002, ma è stato altresì informato di ogni misura di ripianamento delle perdite di SEA Handling, dandovi sistematica approvazione. Tali misure eccezionali erano quindi necessariamente imputabili allo Stato.

(…)

(215)       Nel caso concreto, vista l’importanza delle misure in questione e gli altri elementi rilevati nella presente decisione e nella decisione di avvio del procedimento, la Commissione ritiene di disporre di indizi sufficienti per dimostrare l’imputabilità delle misure in questione allo Stato italiano, a causa dell’implicazione [del ricorrente] nelle misure di ripianamento delle perdite di SEA Handling, ovvero l’improbabilità di una mancanza di coinvolgimento delle autorità pubbliche nell’adozione di tali misure.

(216)       Ne consegue che la Commissione deve respingere l’affermazione delle autorità italiane secondo cui la Commissione dovrebbe analizzare individualmente ciascuno degli interventi sul capitale di SEA Handling per verificare le condizioni di esistenza dell’aiuto e in particolare l’imputabilità [al ricorrente]. La Commissione ritiene infatti che l’insieme degli elementi esposti ai punti 174-186 (nonché l’analisi delle misure nella prospettiva dell’investitore privato avveduto) sia sufficientemente probante e dimostri che la copertura delle perdite mediante gli apporti di capitale può soltanto essere il risultato di una strategia e di un’implicazione delle autorità pubbliche durante l’intero periodo oggetto d’esame. Infatti, le stesse autorità italiane hanno affermato che, seppure le decisioni di copertura delle perdite fossero state adottate formalmente a cadenza annuale, esisteva una strategia pluriennale di copertura delle perdite durante il periodo necessario alla ristrutturazione (cfr. punti 225-232)».

69      Per quanto riguarda l’applicazione del criterio dell’investitore privato, con la rubrica «Strategia pluriennale di copertura delle perdite», la Commissione ha ricordato, segnatamente, al punto 222 della decisione impugnata, l’argomentazione delle autorità italiane e di SEA secondo la quale, «sebbene le decisioni di copertura delle perdite siano state adottate formalmente a cadenza annuale, la strategia pluriennale di ripianamento delle perdite durante il periodo necessario alla ristrutturazione non poteva essere ridiscussa annualmente e [secondo la quale] i risultati potevano essere valutati soltanto su un periodo pluriennale». Inoltre, al punto 223 di detta decisione, la Commissione ha interpretato tale argomentazione nel senso che «la decisione di copertura delle perdite future è stata presa inizialmente nel 2002 e poi una seconda volta nel 2007, quando, non avendo conseguito i risultati attesi, si è deciso di sottoporre a riesame la strategia iniziale che comportava la copertura delle perdite, per poi decidere di proseguirla» e, ancora, nel senso che, «[in sostanza, [le autorità italiane e SEA] sembrano presentare le misure in questione come due apporti di capitale decisi nel 2002 e nel 2007 da effettuare in versamenti annuali».

70      Risulta dai punti da 225 a 232 della decisione impugnata che, per concludere nel senso dell’imputabilità delle misure in questione alle autorità italiane, la Commissione ha svolto un’analisi globale dell’insieme di queste misure rilevando che i diversi aumenti di capitale erano legati gli uni agli altri e che erano oggetto, secondo le stesse autorità italiane, di una strategia unica a lungo termine. In tale sede si fa sistematicamente riferimento a dette «misure» utilizzando il plurale e come corollari dell’accordo sindacale del 26 marzo 2002 (v., segnatamente, punti 211 e 212 della decisione impugnata). Secondo la Commissione, data la loro natura eccezionale, tutte queste misure non sono state adottate «autonomamente dal consiglio di amministrazione di SEA, ma sono state oggetto di un’approvazione esplicita da parte dell’assemblea generale» degli azionisti di SEA, con piena cognizione di causa, con la partecipazione e l’avallo del ricorrente, suo azionista di maggioranza. Peraltro, riferendosi ai fatti da cui risulta, a suo avviso, che Sea Handling era un’impresa in difficoltà ai sensi degli orientamenti del 1999 e del 2004 (punti da 174 a 186 della decisione impugnata) e alle sue considerazioni esposte nel contesto della sua valutazione del criterio dell’investitore privato (punti 222, 223 e da 225 a 232 della decisione impugnata), la Commissione ha respinto esplicitamente l’argomento delle autorità italiane secondo il quale, a tal fine, essa sarebbe stata tenuta ad analizzare individualmente ciascuna di tali misure, dal momento che esse sono il risultato di una «strategia e di un’implicazione delle autorità pubbliche durante l’intero periodo oggetto d’esame» (punto 216 della decisione impugnata). Le stesse autorità italiane, infatti, avrebbero riconosciuto che esisteva una «strategia pluriennale di ripianamento delle perdite durante il periodo necessario alla ristrutturazione» (punto 222 della decisione impugnata), ove le relative misure erano «strettamente legate l’una all’altra» e «[m]ira[va]no a rispondere allo stesso obiettivo, vale a dire sopperire alle perdite di SEA Handling per permettere la [sua]sopravvivenza (…) e il suo ritorno alla redditività» (punto 231 della decisione impugnata).

71      Al riguardo, al pari della Commissione, occorre rilevare che la Corte ha già avuto modo di statuire che, poiché gli interventi statali assumono forme diverse e devono essere analizzati in funzione dei loro effetti, non si può escludere che più interventi consecutivi dello Stato debbano essere considerati un solo intervento ai fini dell’applicazione dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE. Ciò può verificarsi, in particolare, nel caso in cui interventi consecutivi siano connessi tra loro, segnatamente per quanto riguarda la loro cronologia, il loro scopo e la situazione dell’impresa al momento di tali interventi, in modo tanto stretto da renderne impossibile la dissociazione (v., per quanto riguarda il criterio del trasferimento di risorse statali, sentenze del 19 marzo 2013, Bouygues e Bouygues Télécom/Commissione e a. e Commissione/Francia e a., C‑399/10 P e C‑401/10 P, EU:C:2013:175, punti 103 e 104, e del 4 giugno 2015, Commissione/MOL, C‑15/14 P, EU:C:2015:362, punto 97; v. anche, quanto all’applicazione del criterio dell’investitore privato, sentenze del 15 settembre 1998, BP Chemicals/Commissione, T‑11/95, EU:T:1998:199, punti 171 e 179, e del 15 gennaio 2015, Francia/Commissione, T‑1/12, EU:T:2015:17, punti 33 e 34).

72      Nella specie, è giocoforza rilevare che il ricorrente non solo si limita ad affermare, senza fornire spiegazioni, che la Commissione non avrebbe dimostrato la logica e la coerenza tra gli indizi che ha addotto per imputare l’insieme delle misure adottate durante il periodo in questione allo Stato italiano, ma contraddice anche le osservazioni espresse dalle autorità italiane e da SEA in sede di procedimento amministrativo su questo punto e quali ricordate al punto 222 della decisione impugnata. Infatti, risulta da queste osservazioni, che non sono state contraddette dal ricorrente, che le decisioni di investimento di SEA relative a Sea Handling si fondavano su una strategia pluriennale di ripianamento delle perdite durante il periodo necessario alla ristrutturazione. Inoltre, il carattere ripetitivo, coerente e uniforme di questo approccio nel corso di un periodo di otto anni indica che queste decisioni e l’avallo del ricorrente si fondavano effettivamente su una previa scelta strategica risalente all’anno 2002.

73      Risulta da quanto precede che la Commissione poteva correttamente considerare che gli apporti in capitale consecutivi, quali concessi da SEA a Sea Handling annualmente, nel corso del periodo in esame, presentavano – alla luce della loro cronologia, della loro finalità e della situazione analoga dell’impresa beneficiaria, le cui perdite sostanziali superavano regolarmente un terzo del suo capitale sociale – legami talmente stretti tra loro che era impossibile, ai fini dell’applicazione dei criteri di trasferimento di risorse di Stato e di imputabilità, dissociarli ai sensi della giurisprudenza di cui supra al punto 71.

74      Conseguentemente, occorre respingere gli argomenti del ricorrente secondo cui la Commissione è venuta meno al suo obbligo di dimostrare la logica e la coerenza tra i diversi indizi che giustifichi la loro considerazione unitaria per provare l’imputabilità allo Stato italiano di tutte le misure adottate durante il periodo in questione.

d)      Sull’imputabilità delle misure in questione

75      Secondo giurisprudenza costante, a partire dalla sentenza del 16 maggio 2002, Francia/Commissione (C‑482/99, EU:C:2002:294), l’imputabilità di una misura allo Stato non può dedursi dalla sola circostanza che la misura in questione è stata adottata da un’impresa pubblica. Infatti, anche se lo Stato è in grado di controllare un’impresa pubblica e di esercitare un’influenza dominante sulle attività di quest’ultima, l’esercizio effettivo di tale controllo in un caso particolare non può essere automaticamente dato per scontato. Un’impresa pubblica può agire con maggiore o minore indipendenza, a seconda del grado di autonomia ad essa concesso dallo Stato. Pertanto, il solo fatto che un’impresa pubblica si trovi sotto il controllo dello Stato non è sufficiente per imputare a quest’ultimo misure adottate da tale impresa. Resta ancora da esaminare se deve ritenersi che le autorità pubbliche siano state coinvolte, in qualsiasi modo, nell’adozione di tali misure. A questo proposito non si può pretendere che venga dimostrato, sulla base di un’istruzione precisa, che le autorità pubbliche abbiano concretamente incitato l’impresa pubblica ad adottare i provvedimenti di aiuto in questione. Infatti, da un lato, considerato che tra lo Stato e le imprese pubbliche sussistono relazioni strette, vi è un rischio reale che aiuti statali vengano concessi per il tramite di tali imprese pubbliche in maniera poco trasparente e in violazione del regime previsto dal Trattato per gli aiuti statali. Dall’altro lato, come regola generale, sarà assai difficile per un terzo, proprio a motivo delle relazioni privilegiate che esistono tra lo Stato e una determinata impresa pubblica, dimostrare nel caso concreto che eventuali provvedimenti di aiuto adottati da un’impresa siffatta sono stati effettivamente assunti dietro istruzione delle autorità pubbliche. Per questi motivi, occorre riconoscere che l’imputabilità allo Stato di una misura adottata da un’impresa pubblica può essere dedotta da un insieme di indizi derivanti dalle circostanze del caso e dal contesto nel quale la misura è stata adottata. Inoltre, nella sua sentenza del 16 maggio 2002, Francia/Commissione (C‑482/99, EU:C:2002:294), la Corte ha precisato che qualsiasi altro indizio che indichi, nel caso concreto, un coinvolgimento delle autorità pubbliche o l’improbabilità di un’assenza di coinvolgimento nell’adozione della misura, in considerazione anche della sua portata, del suo contenuto e delle condizioni che essa comporta, potrebbe, eventualmente, essere rilevante per concludere nel senso dell’imputabilità allo Stato di una misura adottata da un’impresa pubblica (v., in tal senso, sentenze del 16 maggio 2002, Francia/Commissione, C‑482/99, EU:C:2002:294, punti da 51 a 56, e del 17 settembre 2014, Commerz Nederland, C‑242/13, EU:C:2014:2224, punti da 31 a 34; del 10 novembre 2011, Elliniki Nafpigokataskevastiki e a./Commissione, T‑384/08, non pubblicata, EU:T:2011:650, punti da 50 a 54, e del 28 gennaio 2016, Slovenia/Commissione, T‑507/12, non pubblicata, EU:T:2016:35, punti da 65 a 69).

76      È pacifico che, ai punti da 192 a 216 della decisione impugnata, in considerazione dei criteri rilevanti riconosciuti nella sentenza del 16 maggio 2002, Francia/Commissione (C‑482/99, EU:C:2002:294), la Commissione si è fondata su un insieme di indizi risultanti dalle circostanze del caso di specie e dal contesto nel quale le misure in questione erano intervenute per concludere che esse erano imputabili al ricorrente e, pertanto, allo Stato italiano. In considerazione della summenzionata giurisprudenza, occorre valutare se detti indizi sono sufficientemente probanti, sia individualmente sia globalmente considerati, per giustificare tale conclusione.

1)      Sul valore probatorio dei principali elementi di prova (accordi sindacali)

77      Occorre valutare, anzitutto, i principali indizi di imputabilità che la Commissione ha esaminato ai punti da 195 a 200 della decisione impugnata, letti in combinato disposto con i punti da 43 a 48 e da 62 a 66 della decisione di avvio (punto 197 della decisione impugnata), vale a dire, in particolare, gli accordi sindacali del 26 marzo e del 4 aprile 2002, per concludere che il ricorrente era «coinvolto» nell’adozione delle misure in oggetto. Conformemente alla valutazione della Commissione, è pacifico che il ricorrente abbia partecipato alla trattativa dell’accordo sindacale del 26 marzo 2002 e vi abbia apposto la propria sottoscrizione, anche se sostiene che detta sottoscrizione proveniva da un rappresentante che non era abilitato a assumere impegni di bilancio. È parimenti pacifico che detto accordo sindacale prevede un obbligo chiaro e preciso incombente a SEA, segnatamente, di mantenere, per un periodo di almeno cinque anni, «l’equilibrio costi/ricavi e il quadro economico in generale» di Sea Handling «preservando le [s]ue capacità di gestione e migliorando sensibilmente le [s]ue possibilità di operare sui mercati nazionali e internazionali». La Commissione ne ha correttamente tratto la conclusione secondo cui, in forza di tale obbligo, SEA era tenuta a compensare eventuali perdite di Sea Handling suscettibili di avere un impatto sulla continuità della sua attività economica, il che è confermato dai termini ancora più precisi dell’accordo sindacale del 4 aprile 2002, al quale, certamente, il ricorrente non ha direttamente partecipato. Infatti, secondo quest’ultimo accordo, che fa espresso riferimento all’accordo sindacale del 26 marzo 2002, segnatamente, «SEA è impegnata a (...) sostenere (...) il ripianamento delle perdite al fine di mantenere l’equilibrio finanziario e patrimoniale di SEA Handling». Peraltro, sempre a termini di tale accordo, detti impegni sono garantiti «dall’intesa sottoscritta dal [ricorrente], anche in qualità di azionista di maggioranza assoluta [di SEA], dai conferimenti effettuati, dalle risorse finanziarie non soggette a limitazioni di legge trasferibili da [SEA] a [SEA Handling] e dalla consistenza patrimoniale e finanziaria di SEA» (punto 196 della decisione impugnata). Peraltro, l’accordo sindacale del 19 giugno 2003, del quale il ricorrente non è nemmeno una parte contraente diretta, reitera il contenuto dell’accordo sindacale del 4 aprile 2002 sottolineando, segnatamente, che «l’equilibrio gestionale di Sea Handling (…) doveva in sostanza essere proseguito attraverso un’azione combinata sui costi e sui ricavi», e «confermare l’impegno assunto il 26 marzo 2002 circa la fornitura delle necessarie garanzie di carattere societario, finanziario e occupazionale nei confronti dei lavoratori di Sea Handling».

78      Ne consegue che, ai sensi dell’accordo sindacale del 26 marzo 2002, sussisteva un obbligo incombente a SEA, come confermato dall’accordo sindacale del 4 aprile 2002, di ripianare le eventuali perdite future di Sea Handling, quantomeno per un periodo di cinque anni. Il ricorrente non può rimettere in questione tale affermazione deducendo che si trattava di documenti di natura politica e sindacale con un carattere vago e generale. Inoltre, alla luce degli apporti di capitale successivi effettuati da SEA a favore di Sea Handling durante il periodo in parola per ripianare le sue perdite, si è verificato che, nella sua qualità di azionista unico di Sea Handling, SEA ha effettivamente interpretato detti accordi nel senso che prevedevano tale obbligo (v. infra punto 92). Anche a voler riconoscere una durata minima dell’impegno previsto dall’accordo sindacale del 26 marzo 2002 di soli cinque anni, è giocoforza rilevare che SEA ha continuato ad applicarlo sino al 2010.

79      Pertanto, la Commissione poteva correttamente trarne la conclusione secondo cui tale obbligo di ripianamento delle perdite di Sea Handling, ai sensi dell’accordo sindacale del 26 marzo 2002, costituiva il fondamento contrattuale sul quale si basavano le ulteriori misure di ricapitalizzazione. L’Istituzione poteva pertanto legittimamente rilevare, ai punti 198 e 200 della decisione impugnata, in sostanza, che «l’intervento delle autorità italiane, in particolare in occasione della riunione del 26 marzo 2002, abbia condizionato le decisioni di SEA riguardo alla sua controllata Sea Handling» e che l’accordo sindacale del 26 marzo 2002 aveva un’influenza determinante a tal fine, come confermato dagli accordi sindacali del 4 aprile 2002 e del 19 giugno 2003, senza che occorresse che i rappresentanti del ricorrente partecipassero personalmente alla sottoscrizione di questi ultimi accordi sindacali.

80      Occorre valutare inoltre la questione se la Commissione potesse fondatamente considerare che la sola partecipazione attiva dimostrata del ricorrente alla conclusione dell’accordo sindacale del 26 marzo 2002 era sufficiente per giustificare che questi fosse parimenti coinvolto nella concessione delle ulteriori misure di ricapitalizzazione in parola. Al riguardo, occorre ricordare che la dimostrazione, da parte della Commissione, di un siffatto coinvolgimento delle autorità pubbliche nella concessione di un aiuto non impone la produzione di una prova positiva, ma è sufficiente dimostrare l’improbabilità di una mancanza di coinvolgimento nell’adozione della misura (sentenza del 16 maggio 2002, Francia/Commissione, C‑482/99, EU:C:2002:294, punto 56), tenuto conto del rischio reale di elusione delle regole sugli aiuti di Stato del Trattato mediante imprese pubbliche o controllate da autorità pubbliche (sentenza del 16 maggio 2002, Francia/Commissione, C‑482/99, EU:C:2002:294, punti 53 e 57). Tale rischio di elusione e la necessità di garantire l’efficacia delle regole in materia di aiuti di Stato sono state ancora sottolineate dalla Corte nella sentenza del 17 settembre 2014, Commerz Nederland (C‑242/13, EU:C:2014:2224, punti 34 e 36).

81      Come correttamente rilevato dalla Commissione, la partecipazione attiva del ricorrente alla negoziazione e alla conclusione dell’accordo sindacale del 26 marzo 2002 costituisce un elemento chiave di prova del coinvolgimento delle autorità italiane nella concessione delle misure in questione. Oltre al fatto che i termini di detto accordo creano un obbligo chiaro e preciso in capo a SEA di ripianare, quantomeno per un periodo di cinque anni, le perdite di Sea Handling (v. supra, punto 78), è pacifico che, avendo sottoscritto detto accordo in quanto parte contraente, l’amministrazione del ricorrente ha formalmente dato il proprio avallo, anche nella sua qualità di azionista di maggioranza di SEA, riguardo non solo all’insorgenza di detto obbligo, ma anche al suo rispetto e alla sua attuazione successivi da parte di SEA. Tale valutazione trova conferma nel testo dell’accordo sindacale del 4 aprile 2002, che fa esplicitamente riferimento all’accordo sindacale del 26 marzo 2002, e si fonda sul medesimo, nel menzionare, segnatamente, il fatto che detto accordo è stato «sottoscritto dal [ricorrente] anche in veste di azionista di maggioranza assoluta [di SEA]».

82      In tale contesto, il ricorrente non può validamente dedurre che si sarebbe limitato ad agire in veste di mediatore, che la sua partecipazione all’accordo sindacale del 26 marzo 2002 aveva una natura esclusivamente politica, sociale, e, pertanto, non economica e che la sua qualità di azionista di maggioranza di SEA era meramente accessoria e secondaria in questo contesto. È parimenti sprovvisto di forza probatoria il suo argomento secondo il quale l’assenza di coinvolgimento economico del ricorrente sarebbe confermata, da una parte, dal fatto che la sottoscrizione ivi apposta era quella del sig. M., l’assessore al personale, al lavoro e alle risorse del Comune, che dispone di deleghe specifiche in materia di personale, di organizzazione, di servizi statistici, di supervisione in materia di lavoro e di impiego, di approvvigionamento e di servizi di economato, e non quella dell’assessore comunale al bilancio, controllo di gestione e privatizzazioni o dell’assessore comunale ai trasporti e mobilità e, d’altra parte, dall’assenza di una relativa voce di spesa in bilancio. Infatti, un tale argomento non può essere accolto, salvo consentire alle autorità pubbliche coinvolte nella concessione di un aiuto di eludere l’applicazione del divieto ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, mediante misure relative alla loro organizzazione o alla loro contabilità interna, visto che tali misure sono parimenti tali da influire sulle modalità della loro partecipazione a imprese pubbliche o private. È proprio in ragione di questo rischio di elusione e dell’interesse ad una attuazione efficace delle norme in materia di aiuti di Stato, che la Corte ha statuito che quando, in sede di concessione di un aiuto, un amministratore si comportava in modo irregolare, ai sensi della normativa nazionale pertinente, e non conforme alla presunta volontà dell’autorità pubblica interessata, questo fatto non era tale, di per sé, da escludere un coinvolgimento della suddetta autorità pubblica (v., in tal senso, sentenza del 17 settembre 2014, Commerz Nederland, C‑242/13, EU:C:2014:2224, punti da 36 a 38). Un siffatto ragionamento si impone a fortiori in un caso in cui, come nella fattispecie in esame, un amministratore agisce in modo regolare, ai sensi delle disposizioni nazionali pertinenti, e con l’avallo dell’autorità pubblica in nome della quale si suppone che assuma impegni nei confronti di terzi. Infatti, a tal riguardo occorre precisare che il ricorrente non ha rimesso in questione il carattere regolare o conforme alla sua volontà dei comportamenti del suo rappresentante in occasione della negoziazione e della conclusione dell’accordo sindacale del 26 marzo 2002.

83      Ne consegue che l’accordo sindacale del 26 marzo 2002, letto alla luce del testo dell’accordo sindacale del 4 aprile 2002, costituisce, di per sé, un indizio determinante per dimostrare il coinvolgimento del ricorrente nella decisione di concedere a Sea Handling le misure di ricapitalizzazione in parola. Contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, tale elemento di prova di imputabilità si aggiunge, in modo decisivo, ai legami organici e di controllo esistenti tra il ricorrente e SEA, tra cui il fatto che il ricorrente era l’azionista di ampia maggioranza di SEA che deteneva pertanto la maggioranza dei diritti di voto e aveva designato i membri del suo consiglio di amministrazione, che creavano di per sé un rischio o una certa probabilità di ingerenza nelle decisioni strategiche finanziarie di SEA. Ne discende anche che la Commissione, lungi dallo snaturare tali elementi di prova, ha compiuto una corretta valutazione dei medesimi e l’ha motivata sufficientemente ai punti da 195 a 200 della decisione impugnata, letti in combinato disposto con i punti da 43 a 48 e da 62 a 66 della decisione di avvio, per consentire al ricorrente di contestare e al Tribunale di verificare la sua legittimità nel merito (v., in tal senso, sentenza del 2 dicembre 2009, Commissione/Irlanda e a., C‑89/08 P, EU:C:2009:742, punto 77).

2)      Sul valore probatorio degli elementi di prova complementari

84      Peraltro, gli elementi di prova complementari sui quali la Commissione si è fondata nella decisione impugnata per concludere nel senso dell’imputabilità delle misure in questione allo Stato italiano rafforzano la fondatezza di questa conclusione.

85      In tal senso, in primo luogo, è pur vero che il contenuto esatto dei verbali delle riunioni del consiglio di amministrazione di Sea Handling, e non di SEA, del 31 maggio e del 13 giugno 2008 (punto 201 della decisione impugnata), che è contestato tra le parti, ha solo un debole valore probatorio. Tuttavia, in considerazione dell’esistenza di una concordanza delle volontà, sul fondamento dell’accordo sindacale del 26 marzo 2002, tra il ricorrente, SEA e i sindacati, in merito al ripianamento delle perdite di Sea Handling per gli anni successivi (v. supra, punti da 78 a 83) e dei legami organici e di controllo esistenti tra il ricorrente e SEA, è coerente e credibile l’interpretazione della Commissione secondo la quale l’espressione italiana «è condiviso dall’azionista di maggioranza», che si trova nell’ultimo dei summenzionati verbali, significa che il piano di sviluppo commerciale per Sea Handling in relazione al periodo dal 2007 ha trovato l’«accordo dell’azionista di maggioranza», vale a dire del ricorrente. In ogni caso, come sostenuto dalla Commissione, risulta poco probabile che SEA presenti un piano di sviluppo commerciale strategico e di un’importanza vitale per la sua controllata senza aver previamente cercato di ottenere l’avallo del suo azionista di maggioranza. D’altronde tale affermazione è intesa anche a confermare la valutazione della Commissione secondo la quale il ricorrente continuava ad essere coinvolto nelle decisioni strategiche concernenti Sea Handling anche durante la fase successiva al 2007.

86      In secondo luogo, va parimenti respinto l’argomento del ricorrente inteso a ridimensionare l’importanza del fatto – asseritamente solo puntuale, ma non contestato dal medesimo in quanto tale – che il sindaco di Milano aveva chiesto e ottenuto le dimissioni del presidente del Consiglio di Amministrazione di SEA nel 2006 (punto 203 della decisione impugnata). A tal riguardo, il solo argomento del ricorrente secondo il quale sarebbe perfettamente normale che l’azionista di maggioranza abbia il potere di rimuovere dalle sue funzioni il presidente del Consiglio di Amministrazione non convince, dal momento che, nella specie, un tale elemento tende tuttavia a dimostrare l’esistenza di una ingerenza proattiva da parte del ricorrente nella gestione di SEA e costituisce, quindi, un pertinente indizio di imputabilità che si aggiunge agli altri.

87      In terzo luogo, può dirsi lo stesso con riguardo alla lettera di dimissioni in bianco che i membri del Consiglio di Amministrazione di SEA avrebbero rimesso al sindaco del ricorrente (punto 206 della decisione impugnata), circostanza che, come erroneamente pretende il ricorrente, sarebbe unicamente menzionata negli articoli di stampa e non dimostrata dalla Commissione. Infatti, risulta dalla lettura congiunta dei punti 63, 98 e 206 della decisione impugnata che SEA aveva riconosciuto l’esistenza di queste lettere, pur contestandone la pertinenza.

88      Infine, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, alla luce delle suesposte considerazioni, il punto 210 della decisione impugnata espone in termini convincenti che le misure in questione rientravano tra le «decisioni importanti» o che «le misure di ripianamento delle perdite di SEA Handling erano quanto meno parte integrante della strategia del gruppo SEA». In particolare, né l’importanza dei diversi apporti di capitale annuali, che erano indispensabili ai sensi dell’articolo 2446 del codice civile italiano e assicuravano la sua sopravvivenza economica durante il periodo di cui trattasi, né la pertinenza di tale caratterizzazione ai fini della valutazione del criterio di imputabilità possono essere relativizzate.

3)      Sul valore probatorio degli asseriti «controindizi»

89      È giocoforza rilevare che gli asseriti «controindizi» invocati dal ricorrente, né individualmente né congiuntamente considerati, sono tali da rimettere in questione il valore probatorio dell’insieme di indizi di imputabilità valutati supra.

90      In tal senso, in primo luogo, conformemente a quanto esposto al punto 209 della decisione impugnata e a quanto dedotto dalla Commissione nelle sue memorie, il rifiuto di SEA di concedere a un membro del Consiglio comunale del ricorrente, per ragioni di riservatezza, l’accesso a taluni documenti, tra cui il piano di sviluppo commerciale del gruppo SEA per il periodo dal 2005 al 2009, si fondava sugli articoli 2422 e 2429 del codice civile italiano e non era diretta contro una domanda del ricorrente stesso, nella sua qualità di azionista di maggioranza. Infatti, il membro del Consiglio comunale, autore di detta domanda di accesso, era, all’epoca, coordinatore dell’opposizione. Inoltre, tale domanda si rivolgeva al servizio del ricorrente incaricato delle questioni attinenti al bilancio, al controllo di gestione e alle privatizzazioni e non direttamente a SEA. Il direttore incaricato del settore «programmazione ed attuazione delle privatizzazioni» del ricorrente si è poi limitato a trasmettere la domanda a SEA, senza farla propria.

91      In secondo luogo, la corrispondenza tra il ricorrente e SEA, successiva a detto diniego di accesso, vale a dire le lettere del 7, 9, 15, 20 e 27 settembre e del 5 e 6 ottobre 2005, riguarda certamente l’esito dato alla summenzionata domanda di accesso di un membro del Consiglio comunale. Ne risulta, segnatamente, che il presidente del Consiglio comunale del ricorrente si è opposto al diniego di accesso espresso da SEA argomentando che tale diniego era contrario alla normativa applicabile nell’ordinamento comunale e ha comunicato a SEA il suo intento di contestarlo dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale. Orbene, anche a voler ritenere che tale contrasto tra l’amministrazione comunale, nella specie nella persona del presidente del Consiglio comunale, e SEA, possa essere qualificato come elemento inteso a corroborare la gestione indipendente e autonoma da parte di SEA della sua attività economica, è giocoforza rilevare che si tratta di un aspetto puntuale che, di per sé solo, non è idoneo a rimettere in questione l’insieme di prove dell’esistenza di un’influenza decisiva da parte del ricorrente su questioni strategiche in genere e, in particolare, su quella di ripianare annualmente le perdite di Sea Handling, il che corrisponde, in sostanza, ai motivi esposti al punto 209 della decisione impugnata.

92      In terzo luogo, il ricorrente fa valere una lettera del 4 novembre 2003 che SEA ha inviato all’assessore incaricato dei trasporti e della mobilità del ricorrente in risposta alla sua lettera del 23 settembre 2003 con cui si trasmetteva una domanda del consigliere comunale sig. O – secondo la Commissione, un membro del partito di opposizione di Rifondazione Comunista – con riguardo a un referendum dei dipendenti SEA. In merito a tale aspetto, correttamente la Commissione considera che detta corrispondenza non costituisca un «controindizio» di imputabilità concludente in base al solo rilievo secondo cui, nella parte introduttiva di questa lettera, SEA afferma che «il legittimo controllo dell’azionista sulle società controllate [veniva] già esercitato attraverso la nomina dei componenti il Consiglio di Amministrazione ed il Collegio sindacale e che, pertanto, diverse forme di controllo risulta[va]no estranee a tali regole». In tale lettera, infatti, SEA respinge l’idea di una siffatta consultazione dei dipendenti argomentando che l’accordo sindacale del 19 giugno 2003 non l’avrebbe prevista quale condizione della sua validità giuridica, il che conferma piuttosto l’esistenza di obblighi derivanti ipso facto da tale accordo, compreso quello di ripianare le perdite di Sea Handling.

93      Infine, la circostanza che, al consiglio comunale del 16 giugno 2003, l’assessore incaricato dei trasporti e della mobilità del ricorrente avrebbe informato i consiglieri comunali del diniego, opposto da parte di SEA, alla richiesta di fornirgli le «indicazioni necessarie» in merito a una trattativa sindacale non è di importanza tale da poter rimettere in questione, alla luce degli indizi valutati, la conclusione nel senso dell’imputabilità alla quale è pervenuta la Commissione.

94      Di conseguenza, sia singolarmente sia complessivamente considerati, i «controindizi» invocati dal ricorrente non sono sufficienti a rimettere in questione il valore probatorio degli indizi di imputabilità esaminati supra ai punti 77 e seguenti. Si deve pertanto concludere che la Commissione ha adempiuto l’onere di provare l’imputabilità delle misure in questione allo Stato italiano fondandosi su un insieme di indizi seri, precisi e concordanti.

95      Nei limiti in cui il ricorrente fa valere un’insufficienza di motivazione al riguardo, ne deriva del pari che la Commissione ha necessariamente, sia pure implicitamente, respinto il valore probatorio di questi «controindizi» fornendo una motivazione adeguata e sufficiente al riguardo al punto 209 della decisione impugnata. Tale motivazione consente al ricorrente e al Tribunale di comprendere l’iter logico seguito dalla Commissione quanto all’imputabilità delle misure in parola allo Stato italiano, anche con riguardo al valore probatorio che la Commissione attribuisce ai «controindizi», e, pertanto, consente a quest’ultimo di valutare la sua legittimità nel merito ai fini di un controllo giurisdizionale (v., in tal senso, sentenza del 2 dicembre 2009, Commissione/Irlanda e a., C‑89/08 P, EU:C:2009:742, punto 77).

96      Ne consegue che il primo motivo deve essere respinto.

3.      Sul secondo motivo, attinente alla violazione dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, per errata applicazione del criterio dell’investitore privato

97      Nella decisione impugnata, la Commissione ha ritenuto che un investitore privato non avrebbe agito come SEA per garantire il ritorno alla redditività della sua controllata SEA Handling. La Commissione, infatti, ha considerato, in sostanza, che, in primo luogo, la «strategia pluriennale di copertura delle perdite» non riflettesse il «comportamento di un investitore privato avveduto» (punto 225 della decisione impugnata), in quanto quest’ultimo non avrebbe assunto «alla cieca un impegno [giuridicamente vincolante] di durata pluriennale», ma avrebbe rivalutato la strategia successivamente in funzione dei risultati dei tentativi di ristrutturazione prima di ogni nuovo investimento di capitali (punto 226 della decisione impugnata); in secondo luogo, nonostante la sua importanza, i piani di sviluppo commerciale di SEA e di SEA Handling non avrebbero né evocato questa decisione di copertura delle perdite su più anni né presentato un’analisi di scenari alternativi che un investitore privato normalmente accorto avrebbe richiesto in una situazione di tal sorta, ma avrebbero riguardato il solo aspetto della ristrutturazione, e, in ogni caso, detto investitore non avrebbe adottato una siffatta decisione di investimento senza disporre quantomeno di una stima preventiva dell’importo dei capitali da investire o di un audit approfondito (punti 228, 229, 268, 289 e 296 della decisione impugnata); in terzo luogo, detto investitore «avrebbe valutato il rischio che, a partire dal primo apporto di capitale, tali misure potessero costituire aiuti di Stato illegali ed eventualmente incompatibili e di conseguenza avrebbe studiato l’impatto di un possibile recupero di tali aiuti sulla redditività del suo investimento» (punto 232 delle decisione impugnata); in quarto luogo, detto investitore «non avrebbe effettuato gli apporti di capitale del 2002 senza un piano aziendale sufficientemente dettagliato, basato su ipotesi salde e affidabili, che descrivesse particolareggiatamente le misure necessarie per ripristinare la redditività dell’impresa, analizzasse i diversi scenari possibili e dimostrasse che l’investimento avrebbe prodotto un rendimento soddisfacente per l’investitore (tenendo conto del rischio intrinseco), in termini di dividendi, aumento del valore della sua partecipazione o altri vantaggi» (punto 236 della decisione impugnata); in quinto luogo, detto investitore non si sarebbe limitato a una prospettiva di ripresa di redditività al termine di un periodo di ristrutturazione di circa dieci anni senza disporre prima di una «proiezione che dimostrasse che le entrate previste grazie alla strategia di copertura delle perdite a medio e lungo termine – in termini di dividendi, aumento del valore della partecipazione azionaria, danni all’immagine evitati, ecc. – siano superiori al capitale apportato al fine di compensare tali perdite», invece di procedere al «disinvestimento di Sea Handling» o a «[disposizioni intese a] ridurre il periodo di ristrutturazione per ripristinare la redditività in tempi ragionevoli e minimizzare le perdite» (punti 290, 294 e 309 della decisione impugnata), e, in sesto luogo, in «assenza di una valutazione sulla perdita di immagine di SEA [legata al trasferimento dei servizi di assistenza a terra a un fornitore terzo] o dei rischi di coinvolgimento della sua responsabilità o ancora delle prospettive di ritorno indiretto [alla redditività] a lungo termine», un investitore accorto si sarebbe astenuto dall’investire una somma importante come quello oggetto dell’ordine di recupero (punti 292 e 293 della decisione impugnata).

98      Il ricorrente ritiene che le considerazioni svolte nella decisione impugnata quanto all’applicazione del criterio dell’investitore privato siano infondate e che la Commissione non abbia rispettato l’onere della prova ad essa incombente al riguardo. Sarebbe necessario ricostituire le diverse fasi della condotta di SEA al fine di valutarne la razionalità economica alla luce del criterio dell’investitore privato nell’accezione datane dalla giurisprudenza.

99      Secondo il ricorrente, la scelta di SEA di procedere alla cessione delle attività legate ai servizi di assistenza a terra conferendole ad una nuova società da essa interamente controllata era intesa, da un lato, a rispettare gli obblighi scaturenti dal diritto dell’Unione e, dall’altro, a cogliere le opportunità di sviluppo offerte dalla liberalizzazione del settore resa necessaria dalla direttiva 96/67. Tuttavia, SEA Handling avrebbe dovuto inizialmente confrontarsi con una situazione economica particolarmente delicata. Per farvi fronte, SEA avrebbe avviato un programma di risanamento del comparto dell’assistenza a terra imperniato su tre pilastri, ossia (i) l’individuazione di un partner strategico; (ii) la progressiva diminuzione dei costi del personale e (iii) il risanamento di detto comparto da un punto di vista strettamente economico, tramite l’attuazione del piano aziendale di SEA Handling per il periodo fra il 2003 e il 2007. Attraverso l’attuazione di tali misure, SEA avrebbe auspicato di poter ripristinare la redditività delle proprie attività di assistenza a terra nell’arco di un triennio o, al più tardi, entro il 2007. I risultati ottenuti nel corso del 2003 e del 2004 avrebbero dimostrato la validità dell’azione di SEA.

100    Tuttavia, secondo il ricorrente, si sono verificati diversi eventi, estranei alla volontà di SEA, che hanno rallentato la realizzazione dell’obiettivo di risanamento. Le valutazioni economiche effettuate nel corso del periodo in questione indicano tuttavia che la strategia di SEA era economicamente razionale dal momento che consentiva di risanare SEA Handling. Lo studio economico del 1º giugno 2011, intitolato «Sea Handling – Applicazione del principio dell’investitore nell’economia di mercato» (in prosieguo: lo «studio economico fatto valere dal ricorrente»), confermerebbe tale valutazione.

101    La Commissione contesta gli argomenti del ricorrente.

102    Le condizioni che devono ricorrere affinché una misura possa ricadere nella nozione di aiuto ai sensi dell’articolo 107 TFUE non sono soddisfatte se l’impresa pubblica beneficiaria poteva ottenere lo stesso vantaggio, rispetto a quello procuratole per mezzo di risorse statali, in circostanze corrispondenti alle normali condizioni del mercato, valutazione che dev’essere effettuata, in via di principio, applicando il criterio dell’investitore privato in economia di mercato (v., in tal senso, sentenze del 5 giugno 2012, Commissione/EDF e a., C‑124/10 P, EU:C:2012:318, punto 78; del 24 gennaio 2013, Frucona Košice/Commissione, C‑73/11 P, EU:C:2013:32, punto 70, e del 25 giugno 2015, SACE e Sace BT/Commissione, T‑305/13, EU:T:2015:435, punto 91).

103    L’applicazione del criterio dell’investitore privato è volto, quindi, a determinare se il vantaggio economico concesso ad un’impresa, sotto qualsivoglia forma, per mezzo di risorse statali, sia tale, in considerazione dei suoi effetti, da falsare o rischiare di falsare la concorrenza e pregiudicare gli scambi tra gli Stati membri (sentenza del 5 giugno 2012, Commissione/EDF e a., C‑124/10 P, EU:C:2012:318, punto 89; v. anche sentenza del 25 giugno 2015, SACE e Sace BT/Commissione, T‑305/13, EU:T:2015:435, punto 92 e giurisprudenza ivi citata). Più precisamente, va valutato se, in circostanze simili, un investitore privato operante in condizioni normali di un’economia di mercato, di dimensioni che possano essere paragonate a quelle di enti che gestiscono il settore pubblico, avrebbe potuto essere indotto a procedere all’apporto di capitali in questione. In particolare, è ragionevole chiedersi se un investitore privato avrebbe realizzato le operazioni controverse alle medesime condizioni (v., in tal senso, sentenza del 6 marzo 2003, Westdeutsche Landesbank Girozentrale e Land Nordrhein-Westfalen/Commissione, T‑228/99 e T‑233/99, EU:T:2003:57, punto 245 e giurisprudenza ivi citata).

104    Per stabilire se lo Stato membro o l’ente pubblico interessato abbia adottato o meno il comportamento di un investitore privato avveduto in un’economia di mercato, occorre porsi nel contesto dell’epoca in cui sono state adottate le misure in parola al fine di valutare la razionalità economica del comportamento dello Stato membro o dell’ente pubblico e occorre quindi astenersi da qualsiasi valutazione fondata su una situazione successiva. La comparazione dei comportamenti degli operatori pubblici e privati deve pertanto essere effettuata in relazione al comportamento che avrebbe tenuto in circostanze simili, durante l’operazione in esame, un operatore privato alla luce delle informazioni disponibili e degli sviluppi prevedibili in quel momento, che sono i soli ad essere pertinenti ai fini dell’applicazione del criterio dell’investitore privato. Pertanto, la constatazione retrospettiva dell’effettiva redditività dell’operazione realizzata dallo Stato membro o dall’ente pubblico interessato o giustificazioni successive della scelta del modus procedendi effettivamente attuato non possono essere sufficienti a tal fine. Ciò vale in particolare quando, come nel caso di specie, la Commissione esamina l’esistenza di un aiuto di Stato in relazione a misure che non le sono state notificate e che, al momento in cui la Commissione svolge il suo esame, sono già state effettuate dall’ente pubblico interessato (v., in tal senso, sentenze del 5 giugno 2012, Commissione/EDF e a., C‑124/10 P, EU:C:2012:318, punti 85, 104 e 105; del 30 novembre 2016, Commissione/Francia e Orange, C‑486/15 P, EU:C:2016:912, punti 139 e 140, e del 25 giugno 2015, SACE e Sace BT/Commissione, T‑305/13, EU:T:2015:435, punti 93 e 94 e giurisprudenza citata).

105    A tal riguardo, la giurisprudenza ha precisato, da un lato, che la Commissione, nel verificare se le condizioni di applicabilità e di applicazione del criterio dell’investitore privato fossero soddisfatte, non poteva peraltro rifiutarsi di esaminare le informazioni pertinenti fornite dallo Stato membro interessato se non nel caso in cui gli elementi di prova prodotti fossero stati forniti successivamente all’adozione della decisione di effettuare l’investimento in questione e, dall’altro lato, che le informazioni relative ad avvenimenti che riguardavano il periodo anteriore alla data di adozione di una misura di Stato e che erano disponibili a tale data potevano risultare pertinenti in quanto potevano chiarire se tale misura costituiva un vantaggio ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE (v., in tal senso, sentenze del 1º ottobre 2015, Electrabel e Dunamenti Erőmű/Commissione, C‑357/14 P, EU:C:2015:642, punti da 103 a 105, e del 25 giugno 2015, SACE e Sace BT/Commissione, T‑305/13, EU:T:2015:435, punto 96 e giurisprudenza ivi citata).

106    Conformemente ai principi relativi all’onere della prova nel settore degli aiuti di Stato, spetta alla Commissione fornire la prova dell’esistenza di un aiuto. A tal riguardo, l’Istituzione è tenuta a condurre in modo diligente e imparziale il procedimento di indagine sulle misure in esame, in modo da poter disporre, all’atto dell’adozione della decisione finale sull’esistenza e, eventualmente, sull’incompatibilità o sull’illegittimità dell’aiuto, di elementi il più possibile completi e affidabili. Quanto al livello di prova richiesto, la natura degli elementi di prova che devono essere prodotti dalla Commissione dipende in ampia misura dalla natura della misura di Stato considerata (v., in tal senso, sentenze del 3 aprile 2014, Francia/Commissione, C‑559/12 P, EU:C:2014:217, punti 63 e 66, e del 25 giugno 2015, SACE e Sace BT/Commissione, T‑305/13, EU:T:2015:435, punto 95 e giurisprudenza ivi citata).

107    Peraltro, l’esame da parte della Commissione della questione se determinate misure possano essere considerate aiuti di Stato, in quanto le pubbliche autorità non avrebbero agito come un investitore privato, richiede che si proceda ad una valutazione economica complessa. Orbene, nell’ambito del controllo che il giudice dell’Unione esercita sulle valutazioni economiche complesse compiute dalla Commissione nel settore degli aiuti di Stato, non spetta a detto giudice sostituire la propria valutazione economica a quella della Commissione (v. sentenza del 24 gennaio 2013, Frucona Košice/Commissione, C‑73/11 P, EU:C:2013:32, punti 74 e 75 e giurisprudenza ivi citata; sentenze del 21 marzo 2013, Commissione/Buczek Automotive, C‑405/11 P, non pubblicata, EU:C:2013:186, punti 48 e 49; del 30 novembre 2016, Commissione/Francia e Orange, C‑486/15 P, EU:C:2016:912, punto 91, e del 20 settembre 2017, Commissione/Frucona Košice, C‑300/16 P, EU:C:2017:706, punti 62 e 63), e deve limitare il suo controllo alla verifica del rispetto delle norme riguardanti la procedura e l’obbligo di motivazione, l’esattezza materiale dei fatti presi in considerazione, l’insussistenza di errore manifesto nella valutazione di tali fatti oppure di sviamento di potere (v. sentenze del 15 gennaio 2015, Francia/Commissione, T‑1/12, EU:T:2015:17, punto 35 e giurisprudenza citata, e del 16 marzo 2016, Frucona Košice/Commissione, T‑103/14, EU:T:2016:152, punti da 144 a 146 e giurisprudenza ivi citata).

108    Per dimostrare che la Commissione sia incorsa in un errore manifesto di valutazione nell’esame dei fatti, tale da giustificare l’annullamento della decisione impugnata, gli elementi di prova forniti dai ricorrenti devono essere sufficienti per privare di plausibilità le valutazioni dei fatti considerate in detta decisione (v. sentenza del 9 dicembre 2015, Grecia e Ellinikos Chrysos/Commissione, T‑233/11 e T‑262/11, EU:T:2015:948, punto 82 e giurisprudenza ivi citata).

109    Il giudice dell’Unione è tenuto non solo a verificare l’esattezza materiale degli elementi di prova addotti, la loro attendibilità e la loro coerenza, ma altresì ad accertare se tali elementi costituiscano la totalità dei dati rilevanti che devono essere presi in considerazione per valutare una situazione complessa e se essi siano di natura tale da corroborare le conclusioni che ne sono state tratte (v. sentenza del 24 gennaio 2013, Frucona Košice/Commissione, C‑73/11 P, EU:C:2013:32, punto 76 e giurisprudenza ivi citata; sentenze del 21 marzo 2013, Commissione/Buczek Automotive, C‑405/11 P, non pubblicata, EU:C:2013:186, punto 50; del 30 novembre 2016, Commissione/Francia e Orange, C‑486/15 P, EU:C:2016:912, punto 91, e del 20 settembre 2017, Commissione/Frucona Košice, C‑300/16 P, EU:C:2017:706, punto 64).

110    La Corte ha inoltre precisato che, in sede di applicazione del criterio del creditore privato, spettava alla Commissione effettuare una valutazione globale che tenesse conto di tutti gli elementi rilevanti nel caso di specie, che le consentissero di determinare se l’impresa beneficiaria non avresse manifestamente ottenuto agevolazioni paragonabili da un creditore privato. A questo riguardo, da un lato, deve considerarsi rilevante qualunque informazione idonea a influenzare, in maniera non trascurabile, il processo decisionale di un creditore privato normalmente prudente e diligente, che si trovi in una situazione il più possibile simile a quella del creditore pubblico e che tenti di ottenere il pagamento delle somme dovutegli da un debitore in situazione di difficoltà di pagamento. Dall’altro lato, ai fini dell’applicazione del criterio del creditore privato sono unicamente pertinenti gli elementi disponibili e le evoluzioni prevedibili al momento dell’adozione di tale decisione (v. sentenza del 20 settembre 2017, Commissione/Frucona Košice, C‑300/16 P, EU:C:2017:706, punti da 59 a 61 e giurisprudenza ivi citata). Infatti, la Commissione non ha l’obbligo di esaminare un’informazione nel caso in cui gli elementi di prova prodotti siano stati forniti successivamente all’adozione della decisione di effettuare l’investimento in questione e gli stessi non dispensano lo Stato membro interessato dal procedere ad una valutazione preliminare appropriata della redditività del suo investimento prima di effettuare quest’ultimo (v., in tal senso, sentenza del 23 novembre 2017, SACE e Sace BT/Commissione, C‑472/15 P, non pubblicata, EU:C:2017:885, punto 107 e giurisprudenza ivi citata).

111    Alla luce di tali criteri giurisprudenziali, occorre esaminare se la Commissione poteva legittimamente considerare che un investitore privato nella situazione di SEA nel 2002 si sarebbe impegnato in termini analoghi per garantire la sopravvivenza economica della sua controllata SEA Handling e per consentirne il ritorno alla redditività.

112    A tal riguardo, occorre rilevare che le autorità italiane hanno certamente tentato di dimostrare il rispetto, da parte loro, del criterio dell’investitore privato presentando a lungo e ripetutamente la loro complessa strategia di ristrutturazione di lungo periodo di SEA Handling all’interno del gruppo SEA, sostenuta da diversi piani di sviluppo commerciale e di ristrutturazione, dallo studio economico fatto valere dal ricorrente, nonché da investimenti che offrono, a loro avviso, una prospettiva di redditività a lungo termine ai sensi della sentenza del 21 marzo 1991, Italia/Commissione (C‑303/88, EU:C:1991:136, punti 21 e 22). A tal fine, le stesse hanno sottolineato la necessità di salvaguardare l’immagine del gruppo SEA, segnatamente assicurando la qualità dei servizi, il bisogno di massimizzare il suo risultato globale, la probabilità di trarre un profitto indiretto importante dal distacco del comparto dei servizi di assistenza a terra e di cederlo a condizioni economiche migliori.

113    Per contro, al pari della Commissione, occorre rilevare che le autorità italiane hanno manifestamente omesso di presentare, durante il procedimento amministrativo, da una parte, previsioni o cifre stimate del fabbisogno in capitale di SEA Handling, dal punto di vista di un investitore che si trovasse nella situazione di cui al 2002, quantomeno per il primo periodo di cinque anni, nonché i potenziali benefici che un tale investitore poteva ragionevolmente attendersi ai sensi di un «rendimento degli investimenti» che potrebbero essere comparati con gli oneri causati dalle misure di ricapitalizzazione in questione. D’altra parte, dette autorità hanno continuato a non dimostrare l’assenza in termini di razionalità economica di eventuali soluzioni sostitutive, quali la liquidazione o l’esternalizzazione (parziale o completa) del settore dell’assistenza a terra, di cui non hanno sufficientemente valutato, sulla base di cifre e calcoli concreti, né i costi né i vantaggi potenziali. Ne discende necessariamente che le autorità italiane, SEA e SEA Handling hanno anche rinunciato ad effettuare e a sottoporre alla Commissione una comparazione dei rapporti «costi-benefici» presentati per ciascuno dei diversi scenari alternativi di comportamento di un investitore privato.

114    In tal senso, in primo luogo, lo studio economico fatto valere dal ricorrente fondandosi sul piano commerciale per il periodo dal 2003 al 2007 (vale a dire il «piano aziendale 2003-2007») si limita a far brevemente stato degli eventuali scenari alternativi, tra cui la liquidazione di Sea Handling, e ad affermare che un siffatto approccio avrebbe generato «costi di dismissione considerevoli» senza tentare di quantificarli e di compararli con i costi causati dalle misure di ricapitalizzazione in questione, pur essendo ivi sottolineato che un investitore privato accorto avrebbe svolto detta comparazione. Tali affermazioni lapidarie e contraddittorie nello studio economico fatto valere dal ricorrente dimostrano l’assenza di esame da parte di SEA e delle autorità italiane, nel 2002, di ogni altra opzione economicamente razionale diversa da una ricapitalizzazione incondizionata di SEA Handling in seno al gruppo SEA, quale scelta da SEA, inizialmente, per un periodo di cinque anni, che sarebbe poi proseguita anche dopo il 2007. Inoltre, come correttamente constatato dalla Commissione al punto 308 della decisione impugnata, questo studio è l’unica vera analisi di un «esperto economico» terzo richiesta dalle autorità italiane, ma è stata elaborata dopo l’adozione delle misure in questione. Orbene, la data in cui occorre valutare la razionalità economica di una misura alla luce del criterio dell’investitore privato è quella della sua adozione (v., in tal senso, sentenze del 5 giugno 2012, Commissione/EDF e a., C‑124/10 P, EU:C:2012:318, punti 85, 104 e 105; del 30 novembre 2016, Commissione/Francia e Orange, C‑486/15 P, EU:C:2016:912, punti 139 e 140, e del 25 giugno 2015, SACE e Sace BT/Commissione, T‑305/13, EU:T:2015:435, punti 93 e 94 e giurisprudenza ivi citata). Lo studio economico fatto valere dal ricorrente, pertanto, non può fornire loro una giustificazione «retroattiva» sulla base del miglioramento della situazione economica di SEA Handling constatata nel 2011. Le autorità italiane, infatti, compreso il ricorrente, non hanno fatto valere né in sede di procedimento amministrativo (punto 308 in fine della decisione impugnata) né nel corso del giudizio il fatto che, nel 2002 o, quantomeno, prima della asserita data di cesura del 2007, avrebbero effettuato un audit della situazione finanziaria di SEA Handling (punti 268 e 289 della decisione impugnata) o chiesto di effettuare un’analisi economica analoga, questa volta in prospettiva, per verificare la razionalità economica del loro comportamento.

115    In secondo luogo, tale valutazione è confermata dai piani di sviluppo commerciale e di ristrutturazione di SEA e di SEA Handling, vale a dire il «piano aziendale consolidato 2002-2006», il «piano aziendale 2003-2007», il «piano strategico 2007-2012», il «piano strategico 2009-2016» e il «piano d’impresa 2011-2013» (punti da 269 a 296 della decisione impugnata). Come rilevato dalla Commissione, in sostanza, ai punti 226, 229 e 290 della decisione impugnata, senza essere contestata al riguardo dal ricorrente, questi diversi piani non menzionano la strategia di ricapitalizzazione di SEA, ancorché essa fosse indispensabile per la riuscita della ristrutturazione considerata da SEA Handling assicurando provvisoriamente la sua sopravvivenza economica, ma si focalizzano sull’unico aspetto della ristrutturazione destinata al suo ritorno alla redditività. Come sintetizzato al punto 290 della decisione impugnata, omettendo di prendere in considerazione le misure di ricapitalizzazione in questione, questi piani non prevedevano nemmeno una stima o una proiezione a medio o lungo termine dei loro costi complessivi (che raggiungevano, alla fine, un importo totale di ricapitalizzazione di circa 360 milioni di euro) e dei loro eventuali guadagni, se del caso in termini di dividendi, di mantenimento o di aumento del valore della partecipazione azionaria, di danni evitati in materia di immagine.

116    Del pari, risulta dai punti 292 e 293 della decisione impugnata che le autorità italiane e SEA hanno omesso di quantificare l’asserito pregiudizio legato alla perdita di immagine che SEA avrebbe potuto subire nell’ipotesi di trasferimento dei servizi di assistenza a terra a un fornitore terzo che non garantisse il medesimo livello di qualità, mentre «la stessa SEA [avrebbe] ammesso che una siffatta perdita potrebbe facilmente essere confermata mediante uno studio di mercato». Le stesse, infatti, si sono limitate a presentare un calcolo dei costi di esternalizzazione, del quale la Commissione ha rimesso in questione la fondatezza, ai punti da 257 a 259 della decisione impugnata.

117    In terzo luogo, per quanto riguarda più precisamente gli importi richiesti degli apporti in capitale dal punto di vista dell’investitore privato avveduto che si trovasse nella situazione di cui al 2002, è giocoforza rilevare che il ricorrente non ha apportato ulteriori precisazioni in corso di giudizio. Infatti, oltre alla decisione di ricapitalizzazione adottata nella forma dell’accordo sindacale del 26 marzo 2002, non sussiste alcuna informazione, sia pure una stima prospettica, vertente sugli importi che, in tale fase, SEA e le autorità italiane avevano, eventualmente, considerato di investire in SEA Handling durante il primo periodo di cinque anni. Lo studio economico fatto valere dal ricorrente conferma piuttosto che, nel 2002, una siffatta proiezione non è stata compiuta sino al 2005, vale a dire la data di ripresa della redditività inizialmente presa in considerazione nel «piano aziendale 2003-2007». Per contro, il ricorrente si limita a far valere considerazioni vaghe e generali legate a una strategia globale di ristrutturazione e all’asserita necessità di risanare SEA Handling in seno al gruppo SEA per consentire il suo ritorno alla redditività. Orbene, la necessità di prevedere un piano preciso con una stima realistica del rendimento ottenuto dall’investimento costituito dalle ricapitalizzazioni successive si imponeva tanto più in ragione del carattere pluriennale degli impegni previsti dall’accordo sindacale del 26 marzo 2002. La Commissione, pertanto, correttamente ha ritenuto che la decisione di ricapitalizzazione del 2002 fosse stata adottata in modo incondizionato e indipendente da previsioni concrete dell’eventuale fabbisogno in termini di capitale di SEA Handling durante un determinato periodo in funzione delle sole perdite e del fabbisogno annuale della loro copertura futura, a prescindere dal loro volume nonché dal modo, dalla durata e dall’obiettivo preciso di ristrutturazione di Sea Handling. Inoltre, sempre dopo la cesura intervenuta nel 2006/2007, dovuta alla decisione di «de-hubbing» di Alitalia, SEA e SEA Handling hanno omesso di specificare se, e in qual misura, la continuazione della strategia di ricapitalizzazione fosse effettivamente tale da consentire di vendere SEA Handling, in un determinato momento, a condizioni migliori, di salvaguardare l’immagine del gruppo SEA nel suo insieme e di offrire, quantomeno per un periodo transitorio, migliori garanzie in termini di fornitura di detti servizi in ragione del mantenimento dell’integrazione verticale.

118    In quarto luogo, il ricorrente ha affermato che, oltre all’elemento dei pesanti interventi di ristrutturazione, i piani di sviluppo commerciale e di ristrutturazione in questione riguardavano anche l’elemento della ricapitalizzazione. Pertanto, ha solo fatto valere, in sostanza, che l’elemento della ristrutturazione sarebbe stato sottoposto, nel corso degli anni e in funzione di importanti cambiamenti delle circostanze, a modifiche sostanziali asseritamente non prevedibili, senza peraltro far valere un argomento analogo per quanto riguarda le misure di ricapitalizzazione, la cui portata dipendeva necessariamente dal volume delle perdite annuali subite da SEA Handling.

119    Orbene, date queste circostanze, l’argomentazione del ricorrente vertente sul solo elemento della ristrutturazione, nonché su asseriti errori e omissioni in cui sarebbe incorsa la Commissione in tale contesto, non può dimostrare l’esistenza di errori manifesti nella sua valutazione del mancato rispetto del criterio dell’investitore privato quanto alle misure di ricapitalizzazione in parola, che si fondavano su una decisione di principio adottata nel 2002, né rimettere in questione la fondatezza della tesi della Commissione secondo la quale SEA avrebbe potuto adottare e attuare un piano di ristrutturazione più rigoroso o più breve per limitare le perdite di SEA Handling al minimo (punti 247, 290, 294 e 309 della decisione impugnata).

120    Alla luce delle suesposte considerazioni, la Commissione poteva, senza incorrere in un errore manifesto di valutazione, affermare quanto esposto al punto 97 supra.

121    Nessuno degli argomenti dedotti dal ricorrente consente di invalidare tale conclusione.

122    In primo luogo, per quanto riguarda l’assenza di altre soluzioni, compresa la cessione di settori di servizi di assistenza a terra, risulta dai punti da 248 a 255 della decisione impugnata che la Commissione ha respinto le obiezioni di SEA in quanto essenzialmente non circostanziate, non credibili e, in parte, inoperanti. Da una parte, essa ha in tal modo contestato l’affermazione secondo la quale alcuni operatori terzi sarebbero stati interessati solo da taluni servizi, più redditizi, il che, a prescindere dal fatto che le due procedure di vendita parziale non si erano concluse con esito positivo, non sarebbe supportato «da alcun elemento concreto, mentre una pluralità di operatori [era]no autorizzati ad offrire i propri servizi in Italia e in particolare negli aeroporti di Malpensa e Linate» (punti da 248 a 250 della decisione impugnata). D’altra parte, quanto alla capacità degli operatori terzi, la Commissione ha rimesso in questione il carattere operativo e credibile, segnatamente, «[delle] considerazioni piuttosto vaghe sulla situazione economica asseritamente negativa degli altri fornitori attivi sugli scali milanesi o sul livello delle loro risorse effettivamente impiegate», e dell’«affermazione secondo cui nessun operatore avrebbe avuto le risorse necessarie», allorché, «[s]econdo SEA, 84 fornitori [era]no autorizzati ad operare a Linate e Malpensa». Essa ha rilevato, inoltre, l’assenza di prova concreta «che un operatore terzo non sarebbe in grado di soddisfare i requisiti di qualità considerati essenziali per il buon funzionamento del modello commerciale di SEA» (punti 251, 252 e 254 della decisione impugnata). Infine, la Commissione ha censurato SEA per non aver dimostrato l’assenza di «possibilità di esternalizzare una parte delle attività, piuttosto che la totalità di queste» (punti 253 e 254 della decisione impugnata).

123    A questa analisi dettagliata il ricorrente oppone soltanto affermazioni vaghe e non suffragate. Infatti, si limita ad affermare, in termini non circostanziati, che non vi erano operatori in grado di presentare un’offerta globale dei servizi di assistenza a terra e che i servizi che gli operatori di assistenza a terra presenti negli aeroporti milanesi erano in grado di offrire erano poco affidabili e di scarsa qualità. In tal modo, il ricorrente si limita a ripetere gli argomenti già dedotti nel corso del procedimento amministrativo che la Commissione poteva legittimamente respingere nella decisione impugnata.

124    In secondo luogo, per quanto riguarda il carattere inadeguato dell’esternalizzazione dei servizi offerti da SEA Handling, dalla sintesi degli argomenti delle autorità italiane, ripresi al punto 81 della decisione impugnata, risulta quanto segue:

«Oltre alla probabilità di ricavare un profitto materiale indiretto dal ripianamento delle perdite di SEA Handling, esisterebbero pertanto altre considerazioni, tra le quali rientrano: a) la possibilità di ottenere vantaggi economici indiretti attraverso i rapporti commerciali con la filiale; b) le difficoltà che comporterebbe l’esternalizzazione nel contesto di riferimento a livello nazionale, dal punto di vista sia degli oneri economici che della responsabilità assunta nei confronti della pubblica autorità; c) la salvaguardia dell’immagine del gruppo e d) il rispetto degli obblighi verso lo Stato derivanti dalla convenzione e dalla legge».

125    Del pari, nel corso del procedimento amministrativo, SEA ha affermato, a termini della sintesi esposta al punto 115 della decisione impugnata, che «la dismissione delle attività di assistenza a terra avrebbe determinato un aumento dei costi per SEA a motivo dell’obbligo che graverebbe su SEA di fornire i servizi di gestione delle emergenze e degli imprevisti» e che essa riteneva, «[a] titolo indicativo, (…) che i risparmi ottenuti da SEA, grazie alle economie di scala determinate dalla possibilità di utilizzare il costo marginale del personale di SEA Handling, per attività di presidio piuttosto che sostenere costi per la costituzione e il mantenimento di un gruppo specializzato, erano pari a 10,7 milioni di EUR nel 2003 e a 8,7 milioni di EUR nel 2010».

126    Risulta dai punti da 256 a 260 della decisione impugnata che la Commissione ha rimesso in questione la fondatezza dei calcoli dei costi di esternalizzazione presentati da SEA, argomentando che essi si fondavano su un fattore moltiplicatore «arbitrario» e su un calcolo del numero di unità di personale equivalenti a tempo pieno (FTE) «irrealistico». In tale contesto, essa ha rilevato l’assenza di una stima più realistica fondata su un calcolo del costo effettivo che SEA Handling avrebbe normalmente fatturato a SEA per costi dei suoi servizi e del numero di FTE effettivamente a suo carico, in media, nel corso di un anno. Peraltro, la Commissione ha contestato a SEA di non aver comparato gli asseriti costi di esternalizzazione con quelli connessi con le misure di ricapitalizzazione in questione (copertura delle perdite), «che avrebbero potuto essere evitate esternalizzando alcune attività o la totalità delle attività di assistenza a terra a un operatore più competitivo».

127    Nelle sue memorie presentate al Tribunale il ricorrente si è limitato, in sostanza, a ricordare gli argomenti già dedotti dalle autorità italiane nel corso del procedimento amministrativo, come ricordati al punto 81 della decisione impugnata (v. supra, punto 124), senza peraltro dedurre argomenti precisi tali da rimettere in questione la valutazione effettuata dalla Commissione nella decisione impugnata. In particolare, occorre ricordare che le autorità italiane, SEA o SEA Handling non hanno mai precisato quali sarebbero stati i costi e i ricavi ipotetici di un’esternalizzazione e, pertanto, della fornitura dei servizi di assistenza a terra da parte di un operatore terzo, né hanno presentato la comparazione di un siffatto bilancio costi/benefici con i costi e i ricavi connessi sia alle misure di ricapitalizzazione in parola sia al mantenimento della soluzione di integrazione verticale di SEA Handling in seno al gruppo SEA.

128    Inoltre, come è stato precisato al punto 293 della decisione impugnata, che di per sé non è contestato dal ricorrente, le autorità italiane e SEA hanno rinunciato a precisare, in sede di procedimento amministrativo, sulla base di cifre concrete, la portata dell’asserita perdita di immagine a danno del gruppo SEA nell’ipotesi di esternalizzazione dei servizi di assistenza a terra per i quali il livello di qualità richiesto non sarebbe garantito o controllato da SEA (punto 292 della decisione impugnata; v. supra punto 116).

129    In terzo luogo, per quanto riguarda l’argomento secondo il quale gli effetti delle scelte imprenditoriali di SEA potevano essere valutati solo a lungo termine, sicché SEA non poteva rinunciare alla sua scelta senza aver atteso il tempo necessario per valutarne il risultato, è sufficiente rilevare che la questione pertinente alla luce del criterio dell’investitore privato non è se SEA doveva rinunciare a determinate scelte senza conoscerne l’incidenza a lungo termine, bensì se aveva effettuato le stime dei costi e dei benefici al momento della sua decisione di aumento del capitale a favore della sua controllata SEA Handling, il che non era manifestamente accaduto nella specie (v. supra, punti da 112 a 116). Del pari, i risultati conseguiti da SEA Handling, per quanto potessero essere positivi dal 2008, successivamente alla decisione di investimento del 2002, non possono essere presi in considerazione ai fini dell’esame del rispetto del criterio dell’investitore privato (v. supra punti 104 e 110), né ovviare all’assenza di valutazione ex ante dei costi e dei benefici della strategia scelta da SEA.

130    In quarto luogo, il fatto che la strategia di risanamento di SEA Handling non abbia compromesso la stabilità finanziaria di SEA e che quest’ultima abbia offerto dei dividendi non è sufficiente a dimostrare che gli aumenti di capitale siano stati effettuati in termini conformi alle modalità di un investitore privato ed è, pertanto, inoperante.

131    In quinto e ultimo luogo, lo studio economico fatto valere dal ricorrente non dimostra che gli aumenti di capitale rispondevano al criterio dell’investitore privato. Come ricordato supra al punto 114, questo studio si limita a evocare brevemente eventuali scenari alternativi, tra cui la liquidazione di SEA Handling, e a sostenere che un siffatto approccio avrebbe generato «costi di dismissione considerevoli» senza nemmeno tentare di quantificarli e di compararli con i costi causati dalle misure in questione, pur essendo ivi sottolineato che un investitore privato accorto avrebbe svolto detta comparazione.

132    Pertanto, il ricorrente non ha dimostrato che la Commissione è incorsa in un errore manifesto di valutazione respingendo l’argomento secondo il quale il criterio dell’investitore privato era stato rispettato nella specie. Di conseguenza, il secondo motivo dev’essere respinto.

[omissis]

IV.    Sulle spese

212    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Il ricorrente, essendo rimasto soccombente, va condannato alle spese, comprese quelle inerenti al procedimento sommario, conformemente alla domanda della Commissione.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Terza Sezione ampliata)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      Il Comune di Milano è condannato alle spese, comprese quelle inerenti al procedimento sommario.

Van der WoudeKreuschitzForrester

Półtorak

 

      Perillo

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 13 dicembre 2018.

Il cancelliere

 

Il presidente

E. Coulon


*      Lingua processuale: l’italiano.


1      Sono riprodotti soltanto i punti della presente sentenza la cui pubblicazione è ritenuta utile dal Tribunale.