Language of document : ECLI:EU:T:2016:742

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

15 dicembre 2016 (*)

«Unione doganale – Importazione di prodotti derivati dal tonno provenienti da El Salvador – Recupero di dazi all’importazione – Domanda di non recupero di dazi all’importazione – Articolo 220, paragrafo 2, lettera b), e articolo 236 del regolamento (CEE) n. 2913/92 – Diritto ad una buona amministrazione nell’ambito dell’articolo 872 bis del regolamento (CEE) n. 2454/93 – Errore non ragionevolmente riconoscibile dalle autorità competenti»

Nella causa T‑466/14,

Regno di Spagna, rappresentato inizialmente da A. Rubio González, e successivamente da V. Ester Casas, abogado del Estado,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata da P. Arenas, A. Caeiros e B.‑R. Killmann, in qualità di agenti,

convenuta,

avente ad oggetto la domanda fondata sull’articolo 263 TFUE e intesa all’annullamento della decisione C(2014) 2363 final della Commissione del 14 aprile 2014, che accerta che, in un caso particolare, lo sgravio dei dazi all’importazione è giustificato per un certo importo, ma che non lo è per un altro importo (REM 02/2013), nella parte in cui conclude che lo sgravio dei dazi all’importazione per un importo pari a EUR 14 417 193,41 non è giustificato,

IL TRIBUNALE (Quinta Sezione),

composto, al momento della deliberazione, da A. Dittrich, presidente, J. Schwarcz (relatore) e V. Tomljenović, giudici,

cancelliere: J. Palacio González, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 6 aprile 2016,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        Fra il 2007 e il 2009, due società del gruppo Calvo, stabilite in Spagna, la Calvo Conservas, SL e la Calvo Distribución Alimentaria, SL (in prosieguo, congiuntamente: il «debitore»), hanno importato in Spagna prodotti ottenuti dalla trasformazione del tonno, ossia conserve di tonno e di filetti di tonno congelati, dichiarate originarie di El Salvador (in prosieguo: le «importazioni controverse»).

2        Il debitore ha chiesto alle autorità doganali spagnole l’applicazione del sistema di preferenze tariffarie generalizzate (in prosieguo: il «SPG») alle importazioni controverse; ciò implicava la sospensione della tariffa doganale comune ad un’aliquota del 24%, dietro la produzione di certificati di origine «modulo A» emessi dalle autorità doganali di El Salvador e rilasciati a seguito di una domanda presentata dall’esportatore, un’altra società del gruppo Calvo, la Calvo Conservas El Salvador, SA de CV, che aveva fornito alle autorità doganali di El Salvador i documenti che attestavano l’origine dei prodotti ai fini del SPG.

3        Sulla base dei certificati di origine presentati dal debitore, le autorità doganali spagnole hanno ammesso l’origine salvadoregna dei prodotti e hanno accolto la domanda del debitore di beneficiare del trattamento tariffario preferenziale per le importazioni controverse.

4        Dall’8 al 20 novembre 2009, è stata condotta in El Salvador una missione da parte dei rappresentanti dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) e di diversi Stati membri dell’Unione europea, a causa di sospetti di frode nell’importazione di prodotti ottenuti dalla trasformazione del tonno.

5        Risulta dalle relazioni di missione dell’OLAF del 2 giugno e del 7 dicembre 2009, nonché dalla relazione finale del 16 settembre 2010, che le norme del SPG non sono state rispettate. Sono state rilevate diverse irregolarità concernenti l’origine delle importazioni controverse. Tali irregolarità riguardavano l’uso di certificati di origine non conformi ai fini del SPG, l’inosservanza della condizione in forza della quale, affinché la nave sia considerata di nazionalità del paese beneficiario, l’equipaggio delle navi deve essere composto, almeno nella proporzione del 75%, da cittadini del paese beneficiario o degli Stati membri, e l’uso di due bandiere, quella salvadoregna e quella delle Seychelles, da parte delle tonniere Montelape e Montealegre, appartenenti al gruppo Calvo, cosicché queste due navi dovevano essere considerate senza nazionalità e, pertanto, il tonno pescato da queste ultime non poteva essere considerato originario di El Salvador.

6        L’irregolarità concernente la doppia bandiera delle tonniere Montelape e Montealegre è stata oggetto di una missione di inchiesta condotta dall’OLAF per verificare l’utilizzazione dei fondi strutturali per la pesca ricevuti da una società del gruppo Calvo, la Calvopesca, SA. La relazione finale dell’OLAF ha concluso nel senso dell’esistenza di gravi irregolarità concernenti tali navi, le quali erano state immatricolate alle Seychelles al fine di beneficiare del finanziamento dei fondi strutturali per la pesca, e la cui bandiera era stata cambiata dopo due anni di servizio per una bandiera salvadoregna, per poter dichiarare che le catture erano di origine salvadoregna e beneficiare del trattamento tariffario preferenziale del SPG.

7        Nel 2010, a seguito delle relazioni dell’OLAF, le autorità spagnole hanno avviato una procedura di recupero dei dazi all’importazione, applicando alle importazioni controverse l’aliquota ordinaria del 24%. L’importo dei dazi doganali richiesti è salito a EUR 15 292 471,19.

8        Il 1o luglio 2011, il debitore ha presentato una domanda di sgravio dei dazi all’importazione in forza dell’articolo 236, in combinato disposto con l’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), e dell’articolo 239 del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio del 12 ottobre 1992, che istituisce un codice doganale comunitario (GU 1992, L 302, pag. 1; in prosieguo: il «CDC»).

9        Dopo che la Commissione europea aveva informato il debitore della sua intenzione di emettere un avviso sfavorevole, quest’ultimo, con lettera del 5 settembre 2012, ha rinunciato alla sua domanda di sgravio di dazi.

10      Il 10 settembre 2012, la Commissione ha quindi notificato al debitore che essa considerava il fascicolo di sgravio di dazi come non aperto.

11      Il 16 gennaio 2013, le autorità spagnole hanno presentato d’ufficio una domanda di sgravio dei dazi alla Commissione sul fondamento dell’articolo 236, in combinato disposto con l’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del CDC.

12      Il debitore ha considerato che i requisiti previsti all’articolo 236, in combinato disposto con l’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del CDC, erano soddisfatti, e ha condiviso il ragionamento delle autorità spagnole, ma, per contro, ha sottolineato la propria opposizione al rinvio del fascicolo alla Commissione, alla luce della sentenza del 21 maggio 2012 dell’Audiencia Nacional (Corte centrale, Spagna), la quale aveva ritenuto che il beneficio del trattamento tariffario preferenziale del SPG potesse essere accordato nella specie. Di conseguenza, a suo avviso, il fascicolo avrebbe dovuto essere rinviato alle autorità nazionali; se del caso, la Corte poteva essere investita di una domanda di pronuncia pregiudiziale.

13      Tuttavia, la Commissione ha ritenuto che la decisione giudiziaria spagnola non avesse come effetto di impedirle di adottare una decisione in una materia rientrante nella sua competenza.

14      Il 13 febbraio, il 16 luglio e l’8 ottobre 2013, la Commissione ha chiesto informazioni supplementari, che le autorità spagnole hanno fornito. Il debitore è venuto a conoscenza di tali richieste di informazioni e ha potuto formulare osservazioni in ordine alle risposte che le autorità spagnole intendevano presentare.

15      Con una lettera del 10 dicembre 2013, in conformità all’articolo 872 bis del regolamento (CEE) n. 2454/93 della Commissione del 2 luglio 1993, che fissa talune disposizioni d’applicazione del CDC (GU 1993, L 253, pag. 1), la Commissione ha invitato il debitore a formulare le sue osservazioni su ogni questione di fatto o di diritto idonea a comportare il rigetto della sua domanda (in prosieguo: la «comunicazione di obiezioni»).

16      Con una lettera del 9 gennaio 2014, il debitore ha sostenuto che le autorità salvadoregne avevano commesso un errore. Esso ha insistito sulla sua buona fede e sul suo rispetto delle disposizioni concernenti la dichiarazione in dogana. Inoltre, esso ha criticato l’interpretazione della Commissione in relazione alle disposizioni relative alla bandiera, e ha sottolineato le difficoltà di rispettare il criterio relativo alla composizione dell’equipaggio sancito dall’articolo 68, paragrafo 2, del regolamento n. 2454/93. Infine, esso ha sostenuto che la Commissione non aveva trasmesso i timbri appropriati alle autorità salvadoregne e non aveva rispettato i diritti della difesa, nella misura in cui essa non gli aveva trasmesso tutti i documenti sui quali la stessa avrebbe fondato la propria decisione.

17      Il 17 febbraio 2014, in conformità all’articolo 873 del regolamento n. 2454/93, un gruppo di esperti composto da rappresentanti degli Stati membri si è riunito al fine di esaminare il fascicolo.

18      Con la decisione C(2014) 2363 final, del 14 aprile 2014, la Commissione ha considerato che, in un caso particolare, lo sgravio dei dazi all’importazione era giustificato per un certo importo, ma che non lo era per un altro importo (REM 02/2013) (in prosieguo: la «decisione impugnata»).

19      Al punto 27 della decisione impugnata, la Commissione ricorda che, in conformità all’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del CDC, il rilascio di certificati inesatti da parte delle autorità doganali di un paese terzo costituisce un errore che non era ragionevolmente riconoscibile dall’operatore, sempreché quest’ultimo, da parte sua, avesse agito in buona fede e avesse rispettato le disposizioni previste dalla normativa in vigore concernente la dichiarazione in dogana.

20      Per quanto riguarda il requisito relativo alla riconoscibilità dell’errore, la Commissione constata, al punto 28 della decisione impugnata, che le autorità salvadoregne hanno commesso un errore nel rilasciare i certificati di origine «modulo A» senza rispettare il regolamento n. 2454/93. Ai punti da 30 a 32 della decisione impugnata, la Commissione afferma di non essere incorsa in alcun errore sia per quanto attiene alla consegna dei timbri alle autorità salvadoregne sia per quanto attiene alla comunicazione dei documenti sui quali essa intendeva fondare la propria decisione. Nel primo caso, essa sostiene che, anche se un siffatto errore dovesse essere accertato, esso sarebbe stato rilevante solo se i certificati di origine fossero stati falsificati. Orbene, ciò non è avvenuto. Nel secondo caso, essa certifica di avere trasmesso al debitore tutti i documenti richiesti e di avere dato al medesimo la possibilità di formulare osservazioni in relazione a tali documenti.

21      La Commissione rammenta che essa deve tenere conto, nella valutazione di questo primo requisito, di tutte le circostanze del caso di specie, della natura dell’errore, nonché dell’esperienza e della diligenza del debitore. Essa aggiunge che, in conformità alla giurisprudenza della Corte, la natura dell’errore deve essere valutata alla luce della complessità della normativa applicabile. Orbene, da un lato, essa constata, al punto 35 della decisione impugnata, che il debitore, non assicurandosi del rispetto del requisito secondo il quale l’equipaggio delle navi che catturano il tonno deve essere composto, almeno nella proporzione del 75%, da cittadini degli Stati membri dell’Unione o del paese beneficiario, ha violato le norme di origine. Inoltre, essa afferma, ai punti 36 e 37 della decisione impugnata, che il trattamento tariffario preferenziale è stato accordato sulla base di certificati inidonei, ossia dei certificati EUR.1 rilasciati dalle autorità delle Seychelles o ivoriane e dei certificati di origine non preferenziali rilasciati dalle camere di commercio di Spagna e Francia. In tali situazioni, non era possibile tracciare l’origine del tonno. Orbene, poiché l’esportatore è una controllata del gruppo Calvo, al quale appartiene anche il debitore, quest’ultimo avrebbe dovuto scoprire l’errore. Per contro, essa ritiene, al punto 38 della decisione impugnata, che, per quanto riguarda i certificati di origine rilasciati da Panama, paese facente parte del gruppo regionale II con El Salvador, il debitore non potesse sapere se essi fossero stati emessi correttamente dalle autorità salvadoregne.

22      Per quanto attiene al secondo requisito, relativo alla buona fede del debitore, la Commissione rileva, ai punti 40 e 41 della decisione impugnata, che, alla luce della natura delle attività del debitore e della sua appartenenza ad un gruppo che opera su più continenti e che è soggetto, pertanto, al rispetto di norme diverse, esso non ha dato prova della diligenza necessaria per soddisfare il requisito attinente alla composizione dell’equipaggio.

23      Al punto 42 della decisione impugnata, la Commissione prosegue sottolineando che, in taluni casi, l’esportatore aveva presentato contemporaneamente sia certificati di origine non preferenziali rilasciati dalle camere di commercio di Spagna e di Francia e certificati EUR.1 non rilasciati dalle autorità doganali dell’Unione relativi all’Accordo di partenariato tra i membri del gruppo degli Stati dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico, da un lato, e la Comunità europea e i suoi Stati membri, dall’altro, firmato a Cotonu il 23 giugno 2000 (GU 2000, L 317, pag. 3), e approvato a nome della Comunità dalla decisione 2003/159/CE del Consiglio del 19 dicembre 2002 (GU 2003, L 65, pag. 27; in prosieguo: l’«accordo ACP»), sia certificati EUR.1 rilasciati dalle autorità delle Seychelles e certificati «modulo A» rilasciati dalle autorità panamensi. Presentando certificati di origine che non consentono di stabilire l’origine del tonno, il debitore non ha osservato le disposizioni concernenti la dichiarazione in dogana e le norme di origine applicabili.

24      Infine, la Commissione rileva, ai punti da 43 a 45 della decisione impugnata, che due tonniere appartenenti al gruppo Calvo hanno utilizzato una doppia bandiera o sono state immatricolate in due Stati sebbene la normativa dell’Unione esigesse chiaramente che, al fine di poter beneficiare del trattamento tariffario preferenziale, ogni nave venisse registrata in un solo paese e battesse la bandiera di quest’ultimo. Non rispettando l’articolo 68, paragrafo 2, del regolamento n. 2454/93, il debitore non ha dato prova della necessaria diligenza.

25      Di conseguenza, la Commissione ha ritenuto che lo sgravio dei dazi all’importazione per un importo pari a EUR 230 879,88 fosse giustificato per le importazioni in relazione alle quali la prova d’origine del tonno trasformato in El Salvador poggiava su certificati di origine «modulo A» rilasciati dalle autorità panamensi, e che non fosse invece giustificato lo sgravio di dazi all’importazione per un importo pari a EUR 14 417 193,41 corrispondenti agli altri casi.

 Procedimento e conclusioni delle parti

26      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 24 giugno 2014, il Regno di Spagna ha proposto il presente ricorso. La Commissione ha presentato il suo controricorso il 18 settembre 2014. Il 17 novembre 2014, il Regno di Spagna ha depositato la replica e, il 22 gennaio 2015, la Commissione ha depositato la controreplica.

27      Su proposta del giudice relatore, il Tribunale (Quinta Sezione) ha deciso di avviare la fase orale del procedimento.

28      All’udienza del 6 aprile 2016, le parti sono state sentite nelle loro difese orali e nelle loro risposte ai quesiti posti dal Tribunale.

29      Il Regno di Spagna chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata nella parte in cui conclude che lo sgravio dei dazi all’importazione per un importo pari a EUR 14 417 193,41 non è giustificato;

–        condannare la Commissione alle spese.

30      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere integralmente il ricorso;

–        condannare il Regno di Spagna alle spese.

 Argomenti delle parti

31      A sostegno del suo ricorso, il Regno di Spagna deduce due motivi. Il primo è relativo ad una violazione del diritto ad una buona amministrazione, in combinato disposto con l’articolo 872 bis del regolamento n. 2454/93, il secondo ad una violazione dell’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del CDC.

 Sul primo motivo, relativo alla violazione del diritto ad una buona amministrazione, nell’ambito dell’articolo 872 bis del regolamento n. 2454/93

32      Il Regno di Spagna sostiene che una decisione fondata su motivi che non siano stati previamente comunicati viola il diritto ad una buona amministrazione, nell’ambito dell’articolo 872 bis del regolamento n. 2454/93, e l’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

33      Il Regno di Spagna sottolinea che, nell’ambito della procedura di sgravio dei dazi all’importazione, l’articolo 872 bis del regolamento n. 2454/93 prevede che, quando la Commissione intende adottare una decisione negativa, essa è tenuta a comunicare le proprie obiezioni per iscritto, unitamente a tutti i documenti sui quali poggiano dette obiezioni, per consentire alla persona interessata di comunicare le proprie osservazioni. Alla luce delle tre richieste della Commissione al debitore, intese ad ottenere da quest’ultimo informazioni supplementari, il Regno di Spagna ritiene che fosse stata effettuata un’analisi esaustiva dei tre requisiti imposti dall’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del CDC per lo sgravio dei dazi all’importazione, e che i requisiti non menzionati nella comunicazione di obiezioni dovessero essere considerati soddisfatti.

34      Nella comunicazione di obiezioni, la Commissione si sarebbe limitata a formulare obiezioni relative al requisito concernente la possibilità, per il debitore, di scoprire l’errore, e non avrebbe esaminato i requisiti relativi alla buona fede e al rispetto della normativa relativa alla dichiarazione in dogana. Cionondimeno, essa avrebbe analizzato questi ultimi requisiti ai punti da 40 a 42 della decisione impugnata, violando in tal modo l’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali.

35      Nella replica, il Regno di Spagna ritiene che la menzione, nella comunicazione di obiezioni, dell’inosservanza delle norme di origine, non sia sufficiente, in quanto si tratta del requisito che determina l’apertura di un procedimento di sgravio dei dazi all’importazione. Esso sostiene che il fatto che la Commissione abbia allegato alla comunicazione di obiezioni documenti concernenti il rispetto dei requisiti connessi alla buona fede e alla normativa relativa alla dichiarazione in dogana non può ovviare alla carenza di motivazione della decisione impugnata. Inoltre, esso rileva che il fatto che la risposta del debitore alla comunicazione di obiezioni contenga osservazioni relative alla buona fede e alla dichiarazione in dogana non implica che detta comunicazione fosse debitamente motivata. Infine, il procedimento avrebbe potuto dare luogo ad un risultato diverso, dal momento che l’errore non era riconoscibile, non avendo l’esportatore fornito una versione inesatta dei fatti.

36      La Commissione sostiene di avere rispettato l’obbligo previsto all’articolo 872 bis del regolamento n. 2454/93 tramite la comunicazione di obiezioni e di tutti i documenti sui quali essa fondava le proprie obiezioni, comunicate al debitore, il quale, con lettera del 9 gennaio 2014, ha comunicato le sue osservazioni, relative, segnatamente, alla buona fede. Essa sostiene che la comunicazione di obiezioni si pronunciava sui requisiti attinenti alla buona fede e alla dichiarazione in dogana. La Commissione rileva che la comunicazione di obiezioni contiene un intero paragrafo relativo alla buona fede del debitore; tale requisito è, a suo avviso, inscindibile da quello relativo alla riconoscibilità dell’errore. Infatti, se il debitore fosse stato a conoscenza dell’errore e avesse chiesto il beneficio del trattamento tariffario preferenziale, questi non potrebbe essere considerato in buona fede, dal momento che quest’ultima può essere fatta valere solo se il debitore ha osservato tutte le disposizioni della normativa. La Commissione ritiene pertanto che l’obbligo di motivazione sia stato soddisfatto dall’esame della diligenza del debitore e della riconoscibilità dell’errore.

37      La Commissione sostiene che sia la decisione impugnata sia la comunicazione di obiezioni menzionano il requisito attinente al rispetto della normativa relativa alla dichiarazione in dogana, e che il debitore, nella sua lettera del 9 gennaio 2014, ha presentato osservazioni su tale punto, cosicché non può ritenersi sussistente alcuna violazione del diritto di quest’ultimo di essere sentito. Essa rileva che la portata dell’obbligo di motivazione deve essere valutata, segnatamente, alla luce del suo contesto e, dunque, dei documenti allegati alla comunicazione di obiezioni, che si riferivano, segnatamente, al rispetto dei requisiti della buona fede e della dichiarazione in dogana alla luce delle norme di origine.

38      Inoltre, la Commissione insiste sul fatto che la violazione del diritto di essere sentiti comporta l’annullamento della decisione impugnata solo se, in assenza di tale irregolarità, il procedimento avrebbe potuto approdare ad un diverso risultato. Orbene, poiché i requisiti di cui all’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del CDC sono cumulativi, essa ritiene che la circostanza che la decisione impugnata tratti la questione della riconoscibilità, da parte del debitore, dell’errore invocato nella specie è sufficiente a giustificare il rifiuto di concedere lo sgravio dei dazi all’importazione. Inoltre, nulla indicherebbe che il debitore aveva altre osservazioni da formulare che avrebbero potuto comportare l’adozione di una decisione diversa.

39      Il rispetto dei diritti della difesa costituisce un principio fondamentale del diritto dell’Unione, di cui il diritto al contraddittorio in qualsiasi procedimento costituisce parte integrante (sentenze del 18 dicembre 2008, Sopropé, C‑349/07, EU:C:2008:746, punti 33 e 36, e del 3 luglio 2014, Kamino International Logistics e Datema Hellmann Worlwide Logistics, C‑129/13 e C‑130/13, EU:C:2014:2041, punto 28).

40      Il diritto al contraddittorio in qualsiasi procedimento è attualmente sancito non solo negli articoli 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali, che garantiscono il rispetto dei diritti della difesa, nonché il diritto ad un processo equo in qualsiasi procedimento giurisdizionale, bensì anche nell’articolo 41 di quest’ultima, il quale garantisce il diritto ad una buona amministrazione. L’articolo 41, paragrafo 2, prevede che tale diritto a una buona amministrazione comporta, in particolare, il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale lesivo (sentenza del 3 luglio 2014, Kamino International Logistics e Datema Hellmann Worlwide Logistics, C‑129/13 e C‑130/13, EU:C:2014:2041, punto 29).

41      In forza di tale principio, il quale trova applicazione ogniqualvolta l’amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo (sentenze del 18 dicembre 2008, Sopropé, C‑349/07, EU:C:2008:746, punto 36, e del 3 luglio 2014, Kamino International Logistics e Datema Hellmann Worlwide Logistics, C‑129/13 e C‑130/13, EU:C:2014:2041, punto 30), i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione (sentenza del 18 dicembre 2008, Sopropé, C‑349/07, EU:C:2008:746, punto 37).

42      Occorre inoltre ricordare che, in materia doganale, il rispetto dei diritti della difesa è garantito dalle disposizioni di cui all’articolo 872 bis del regolamento n. 2454/93, le quali prevedono che, in qualsiasi momento della procedura di cui agli articoli 872 e 873 di tale regolamento, quando la Commissione intende adottare una decisione negativa nei confronti della persona interessata al caso sottoposto, comunica a quest’ultima le proprie obiezioni per iscritto, unitamente a tutti i documenti sui quali poggiano dette obiezioni; che la persona interessata al caso sottoposto alla Commissione comunica le proprie osservazioni per iscritto entro un mese dalla data d’invio delle suddette obiezioni e che, qualora essa non comunichi le proprie osservazioni entro tale termine, si ritiene che abbia rinunciato alla facoltà di esprimere la propria posizione.

43      È alla luce di tali considerazioni che deve essere esaminato il motivo in esame.

44      Nella specie, la Commissione ha indirizzato al debitore una comunicazione di obiezioni, alla quale quest’ultimo ha risposto (v. punti 15 e 16 supra).

45      Cionondimeno, il Regno di Spagna sostiene, in sostanza, che, poiché la comunicazione di obiezioni non verteva sui requisiti concernenti la buona fede del debitore e il rispetto della normativa relativa alla dichiarazione in dogana, si dovrebbe desumerne che la Commissione non aveva obiezioni per quanto riguarda questi due requisiti di applicazione dell’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del CDC, i quali dovevano pertanto essere considerati soddisfatti dal debitore. Avendo analizzato tali aspetti nei punti da 40 a 42 della decisione impugnata, la Commissione avrebbe violato l’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali, ignorando il diritto del debitore di essere sentito.

46      Senza che sia necessario pronunciarsi sulla ricevibilità o meno del motivo relativo alla violazione del diritto al contraddittorio, alla luce della possibilità del Regno di Spagna di far valere una siffatta violazione che interessa il debitore, nella misura in cui si tratta di un’illegittimità per sua natura soggettiva (v., per analogia, sentenza del 1o luglio 2010, Nuova Terni Industrie Chimiche/Commissione, T‑64/08, non pubblicata, EU:T:2010:270, punto 186), il primo motivo deve essere respinto, in ogni caso, in quanto infondato.

47      In via preliminare, a tal riguardo, si deve ricordare che, secondo l’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del CDC, le autorità competenti procedono alla contabilizzazione a posteriori dei dazi all’importazione solo qualora ricorrano tre requisiti cumulativi. Occorre, anzitutto, che i dazi non siano stati riscossi a causa di un errore delle autorità competenti stesse, inoltre, che l’errore commesso da queste ultime sia stato di natura tale da non poter essere ragionevolmente rilevato da un debitore in buona fede e, infine, che quest’ultimo abbia rispettato tutte le prescrizioni della normativa in vigore relative alla sua dichiarazione in dogana. Allorché detti requisiti sono soddisfatti, il debitore ha diritto a che non si proceda al recupero a posteriori (v. sentenze del 18 ottobre 2007, Agrover, C‑173/06, EU:C:2007:612, punto 30 e la giurisprudenza ivi citata, e del 15 dicembre 2011, Afasia Knits Deutschland, C‑409/10, EU:C:2011:843, punto 47 e la giurisprudenza ivi citata).

48      Per quanto riguarda il primo di tali requisiti, occorre ricordare che l’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del CDC ha l’obiettivo di tutelare il legittimo affidamento del debitore circa la fondatezza dell’insieme degli elementi che intervengono nella decisione di recuperare o meno i dazi doganali. Il legittimo affidamento del debitore merita la tutela prevista in tale articolo solo se sono state le autorità competenti «medesime» a porre in essere i presupposti sui quali riposava tale legittimo affidamento. Così, solo gli errori imputabili ad un comportamento attivo delle autorità competenti danno diritto al non recupero a posteriori dei dazi doganali (v. sentenza del 18 ottobre 2007, Agrover, C‑173/06, EU:C:2007:612, punto 31 e la giurisprudenza ivi citata).

49      Quanto al secondo dei requisiti in parola, la rilevabilità di un errore commesso dalle autorità doganali competenti deve essere valutata tenendo conto della natura dell’errore, dell’esperienza professionale degli operatori interessati e della diligenza di cui questi ultimi hanno dato prova. La natura dell’errore è correlata alla complessità ovvero alla sufficiente semplicità della normativa di cui trattasi e al lasso di tempo durante il quale le autorità hanno perseverato nel loro errore (v. sentenza del 18 ottobre 2007, Agrover, C‑173/06, EU:C:2007:612, punto 32 e la giurisprudenza ivi citata).

50      Per quanto riguarda il terzo requisito, il dichiarante deve fornire alle competenti autorità doganali tutte le informazioni necessarie previste dalle norme dell’Unione e da quelle nazionali che, se del caso, le integrano o le recepiscono tenuto conto del trattamento doganale richiesto per la merce considerata (v. sentenza del 18 ottobre 2007, Agrover, C‑173/06, EU:C:2007:612, punto 33 e la giurisprudenza ivi citata).

51      Occorre rilevare che, contrariamente a quanto affermato dal Regno di Spagna, si evince dalla comunicazione di obiezioni, e segnatamente dalla sua parte B, il cui titolo rimanda, in primo luogo, al requisito relativo alla riconoscibilità dell’errore, in secondo luogo, alla buona fede del debitore e, in terzo luogo, all’osservanza, da parte di quest’ultimo, di tutte le disposizioni previste dalla normativa in vigore riguardo alla sua dichiarazione in dogana, che la Commissione aveva in particolare considerato che, al fine di verificare se il debitore fosse in buona fede, essa doveva esaminare se questi avrebbe potuto rilevare l’errore commesso dalle autorità salvadoregne.

52      In tale ottica, la Commissione si è chiesta se una semplice analisi dei fatti avrebbe consentito di scoprire l’errore commesso da dette autorità. Essa ha chiaramente effettuato un collegamento fra l’affermazione del debitore, avente ad oggetto la sua buona fede, e la questione della misura in cui questi era a conoscenza dell’errore o poteva esserlo. Occorre aggiungere che si evince dalla risposta del debitore, datata 9 gennaio 2014, che quest’ultimo ha inteso dette affermazioni in tal senso e che ha fornito informazioni specifiche concernenti, segnatamente, la sua buona fede, nonché, inoltre, il fatto di avere soddisfatto i requisiti della normativa rilevante.

53      Più in particolare, per quanto riguarda la composizione dell’equipaggio delle navi, la Commissione ha preso in considerazione l’attività del debitore e il fatto che fosse attivo su diversi oceani e mari, assoggettato a norme diverse, per concluderne che questi avrebbe potuto applicare correttamente la normativa sul trattamento tariffario preferenziale delle norme di origine e che avrebbe dovuto accertarsi che i requisiti di un siffatto trattamento preferenziale erano soddisfatti, assicurandosi l’accesso a siffatte informazioni. La Commissione ha ritenuto che la normativa in questione non poteva essere reputata complessa. A suo avviso, l’esportatore avrebbe potuto, nella specie, scoprire l’errore commesso dalle autorità salvadoregne.

54      Per quanto riguarda la prova dell’origine delle catture, la Commissione ha rilevato che il debitore avrebbe dovuto sapere che i certificati presentati non erano documenti conformi ai fini del cumulo regionale e che i prodotti per i quali le autorità salvadoregne avevano emesso certificati di origine «modulo A» non soddisfacevano i requisiti per vedersi accordare un’origine preferenziale, concludendo che l’esportatore avrebbe dovuto scoprire l’errore commesso dalle autorità salvadoregne.

55      Per quanto riguarda la doppia bandiera delle due navi, menzionata al punto 6 supra, la Commissione ha constatato che, poiché il debitore faceva parte dello stesso gruppo della società che ne era proprietaria, questi sapeva o doveva sapere che tali navi erano parimenti immatricolate alle Seychelles, e avrebbe dovuto avere familiarità con le norme applicabili a tal riguardo, le quali non potevano essere qualificate complesse.

56      Sotto il profilo dell’esperienza professionale del debitore, la Commissione ha sottolineato che questi faceva parte di un gruppo che occupava una posizione di leadership nelle attività della pesca, della preparazione, della fabbricazione, dell’imballaggio e della commercializzazione di prodotti alimentari a base di pesce.

57      Per quanto riguarda l’eventuale diligenza del debitore, la Commissione ha ripreso le diverse constatazioni e conclusioni risultanti dai punti da 53 a 56 supra per trarne la conclusione che questi non aveva dimostrato la diligenza che era legittimo aspettarsi da un operatore professionale, e che lo stesso non aveva fornito alle autorità doganali tutte le informazioni necessarie previste dalle norme dell’Unione in relazione al trattamento doganale richiesto per le merci in questione.

58      In tali circostanze, la comunicazione di obiezioni contiene, in maniera sufficientemente chiara e completa, i motivi che hanno indotto la Commissione a sostenere che l’errore commesso dalle autorità doganali salvadoregne era facilmente riconoscibile da un operatore in buona fede, in conformità alla giurisprudenza citata al punto 47 supra. Di conseguenza, il Regno di Spagna non può sostenere che il diritto al contraddittorio del debitore sarebbe stato violato in quanto non erano state formulate obiezioni nei confronti della buona fede di quest’ultimo.

59      Occorre poi rilevare che, per quanto riguarda il requisito attinente al rispetto della normativa relativa alla dichiarazione in dogana, la Commissione ha illustrato in maniera chiara e circostanziata, nella comunicazioni di obiezioni, le ragioni per cui essa riteneva che tale requisito non fosse soddisfatto. Infatti, come sottolineato dalla Commissione, la comunicazione di obiezioni contiene l’indicazione secondo la quale essa riteneva che il debitore non avesse osservato le disposizioni sulle norme di origine contenute nel titolo IV, capo 2, del regolamento n. 2454/93, sulle norme di origine del SPG dell’Unione. Una siffatta conclusione faceva seguito, nella comunicazione di obiezioni, alla constatazione del fatto che l’esportatore, il quale fa parte dello stesso gruppo di società del debitore, avrebbe potuto sapere che i certificati utilizzati non erano idonei a beneficiare del cumulo regionale; che i prodotti che erano coperti dai certificati di origine «modulo A» emessi dalle autorità salvadoregne non soddisfacevano i requisiti per vedersi attribuire El Salvador come origine preferenziale, e che i prodotti non potevano beneficiare del trattamento tariffario preferenziale previsto dalla normativa dell’Unione.

60      Mediante tali rilievi, la Commissione ha manifestato i propri dubbi circa il rispetto, da parte del debitore, della normativa relativa alla dichiarazione in dogana. Infatti, l’applicazione erronea delle norme relative all’origine dei prodotti importati nell’Unione al fine di beneficiare di un trattamento tariffario preferenziale influisce sulla dichiarazione in dogana di tali prodotti, in quanto essi sono ivi erroneamente soggetti ad un regime al quale non possono avere diritto.

61      In tal senso, l’articolo 84 del regolamento n. 2454/93 prevede che le prove dell’origine vengono presentate alle autorità doganali dello Stato membro importatore secondo le modalità previste dall’articolo 62 del CDC. Orbene, quest’ultimo articolo riguarda la dichiarazione in dogana fatta per iscritto. Esso prevede che la dichiarazione in dogana deve essere compilata su un formulario ufficiale all’uopo previsto, deve essere firmata e contenere tutte le indicazioni necessarie per l’applicazione delle disposizioni che disciplinano il regime doganale per il quale le merci sono dichiarate; alla dichiarazione devono essere allegati tutti i documenti la cui presentazione è necessaria per consentire l’applicazione delle disposizioni che disciplinano detto regime. Al fine di ottenere l’applicazione di un trattamento tariffario preferenziale a causa dell’origine dei prodotti importati, l’importatore, ai sensi dell’articolo 62 del CDC in combinato disposto con l’articolo 84 del regolamento n. 2454/93, deve allegare alla sua dichiarazione in dogana un certificato di origine «modulo A» che sia corretto.

62      Pertanto, l’inosservanza delle norme relative all’origine dei prodotti importati comporta una violazione della normativa relativa alla dichiarazione in dogana.

63      Di conseguenza deve essere respinto l’argomento del Regno di Spagna secondo il quale non sarebbe sufficiente menzionare, nella comunicazione di obiezioni, l’inosservanza delle norme di origine, in quanto si tratterebbe della condizione che determina l’apertura di un procedimento di sgravio di dazi all’importazione, dal momento che, pur se la circostanza che taluni certificati di origine non erano stati compilati in maniera corretta dalle autorità salvadoregne costituisce, effettivamente, il motivo per il quale le autorità doganali spagnole sono state indotte ad avviare il procedimento di recupero a posteriori, a seguito delle relazioni dell’OLAF, tale circostanza rivela parimenti l’inosservanza, da parte del debitore, della normativa relativa all’origine dei prodotti e di quella relativa alla dichiarazione in dogana.

64      Inoltre, anche se la Commissione ha menzionato la questione dei documenti che potevano essere allegati alla comunicazione di obiezioni e sui quali essa fondava dette obiezioni, occorre constatare che il Regno di Spagna non le addebita l’omessa comunicazione dei documenti che sarebbero stati necessari per assicurare la protezione dei diritti della difesa del debitore. Inoltre, nella replica, il Regno di Spagna si limita a rilevare che la Commissione può suffragare le proprie obiezioni tramite i documenti che essa allega alla comunicazione di obiezioni, ma che essa non può motivare dette obiezioni attraverso questi soli documenti.

65      Risulta da tutte le considerazioni che precedono che il primo motivo del ricorso deve in ogni caso essere respinto in quanto infondato.

 Sul secondo motivo, relativo alla violazione dell’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del CDC

66      In via principale, il Regno di Spagna sostiene che l’errore non poteva essere ragionevolmente scoperto dal debitore e, in subordine, che il debitore, da un lato, ha dato prova di diligenza e, dall’altro, ha rispettato le disposizioni relative al valore in dogana. Anche se il Regno di Spagna presenta l’argomento che supporta il secondo motivo dividendolo in tre parti, corrispondenti ai requisiti fissati dall’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del CDC per il mancato recupero a posteriori, esso tende parimenti a rimettere in discussione il carattere cumulativo di questi tre requisiti.

67      In via preliminare, è opportuno pronunciarsi sulla ricevibilità di una censura presentata nella replica.

 Sulla ricevibilità della censura riguardante una precedente domanda di sgravio di dazi all’importazione presentata dal debitore

68      Nella replica, il Regno di Spagna sostiene che, nella misura in cui la Commissione sembra sollevare questioni relative al fascicolo REM 01/11, occorrerebbe ritenere che lo sgravio oggetto di tale fascicolo sia stato concesso nella misura in cui le condizioni del rinvio previste dall’articolo 871, paragrafo 6, primo o quinto trattino, del regolamento n. 2454/93 non erano soddisfatte. Lo sgravio sarebbe stato ottenuto anteriormente alla decisione impugnata, a causa dello scadere dei termini di legge, dal momento che da nessun documento relativo a tale fascicolo emergeva un cambiamento dei fatti o della valutazione giuridica, oppure l’esistenza di un disaccordo quanto alla presentazione dei fatti.

69      Nella controreplica, la Commissione ritiene che l’argomento relativo ad un altro fascicolo di sgravio di dazi debba essere dichiarato irricevibile, in quanto si tratta di un argomento sollevato tardivamente.

70      In udienza, in risposta ad un quesito del Tribunale, il Regno di Spagna ha precisato, per quanto riguarda le affermazioni formulate nella replica in relazione al fascicolo REM 01/11, che non si trattava di un motivo nuovo, ma che questi si era limitato a rispondere alle affermazioni della Commissione.

71      In ogni caso, si evince dal combinato disposto dell’articolo 76, lettera d), e dell’articolo 84, paragrafo 1, del regolamento di procedura del Tribunale che l’atto introduttivo del procedimento deve indicare l’oggetto della controversia e contenere un’esposizione sommaria dei motivi dedotti e che è vietata la produzione di mezzi o argomenti nuovi in corso di causa, a meno che essi si basino su elementi di diritto o di fatto emersi durante il procedimento (v., in tal senso, sentenza del 15 luglio 2015, Dennekamp/Parlamento, T‑115/13, EU:T:2015:497, punto 80).

72      Orbene, anche ammesso che il Regno di Spagna, replicando a talune affermazioni della Commissione, abbia sostenuto, nella replica, che occorreva procedere ad un sgravio dei dazi all’importazione controversi nella specie, a causa dello scadere dei termini di legge per l’adozione, da parte della Commissione, di una decisione a seguito della domanda di sgravio presentata dal debitore il 1o luglio 2011, ciò non toglie che si sia in presenza di una censura che non è stata presentata nell’atto introduttivo del ricorso, sebbene essa poggi su elementi di diritto e di fatto già noti al Regno di Spagna al momento del deposito di detto atto, in quanto è pacifico che sono le autorità spagnole ad avere trasmesso tale domanda alla Commissione, nonché la rinuncia del debitore alla sua domanda di sgravio di dazi, e che esse sono state informate del fatto che la Commissione considerava tale fascicolo come non aperto.

73      Pertanto, occorre rilevare che detta censura, sollevata per la prima volta nella replica e quindi tardiva, è irricevibile.

 Sul carattere cumulativo dei requisiti previsti dall’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del CDC

74      Nella censura relativa alla non riconoscibilità dell’errore, il Regno di Spagna sostiene che, secondo l’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del CDC, le autorità del paese di esportazione erano responsabili degli errori commessi nel rilascio dei certificati di origine e del controllo dei requisiti di applicazione dei regimi preferenziali, allorché l’errore faceva seguito ad una situazione fattuale corretta riferita dall’esportatore oppure inesatta, a condizione che, in tal caso, dette autorità fossero informate o avrebbero ragionevolmente dovuto essere informate del fatto che il certificato era inesatto. Esso ritiene, alla luce della conclusione della decisione impugnata in ordine all’esistenza di un errore delle autorità salvadoregne e delle richieste di informazioni supplementari rivolte alle autorità spagnole, che l’esportatore non abbia né presentato in maniera inesatta i fatti né indotto in errore dette autorità, avendo fornito tutte le informazioni a sua disposizione, e segnatamente prove dell’origine della materia prima ed elenchi dell’equipaggio delle navi. Di conseguenza, si sarebbe dovuto ritenere che l’errore non fosse ragionevolmente riconoscibile.

75      In sostanza, il Regno di Spagna ritiene che, qualora l’errore commesso dalle autorità doganali del paese di esportazione non risulti da una situazione fattuale inesatta riferita dall’esportatore oppure, anche se così fosse, qualora le autorità fossero informate o avrebbero dovuto essere informate del fatto che i certificati presentati erano inesatti, la non riconoscibilità per l’operatore dell’errore commesso sia certa, essendo soddisfatti i requisiti relativi all’errore. Esso si fonda parimenti sulle disposizioni concernenti le merci che beneficiano di una posizione preferenziale, contenute all’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del CDC, come modificato dal regolamento (CE) n. 2700/2000 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 novembre 2000 (GU 2000, L 311, pag. 17), da esso qualificate come norme particolari applicabili nell’ambito dei regimi preferenziali, ai sensi delle quali dalla constatazione dell’esistenza di un errore, commesso sulla base di informazioni corrette riferite dall’esportatore, consegue che detto errore non è ragionevolmente riconoscibile.

76      Da tale argomento il Regno di Spagna desume che, nella misura in cui la Commissione non aveva ritenuto, nella decisione impugnata, che l’errore fosse dovuto ad una situazione fattuale inesatta riferita dall’esportatore o che le autorità salvadoregne fossero informate o avrebbero dovuto essere informate del fatto che i certificati presentati erano inesatti, i riferimenti ai requisiti concernenti la buona fede e la normativa relativa alla dichiarazione in dogana erano invalidi.

77      La Commissione ritiene che la censura del Regno di Spagna sia inconferente, poiché il fatto che uno dei tre requisiti dello sgravio dei dazi sia soddisfatto non implica che lo siano anche gli altri due. La Commissione ha parimenti risposto in maniera dettagliata, dinanzi al Tribunale, alla questione se l’errore commesso dalle autorità salvadoregne fosse ragionevolmente riconoscibile, e ciò in funzione del tipo di errore commesso da tali autorità.

78      Per rispondere alla censura sollevata dal Regno di Spagna, occorre, da un lato, stabilire se la non riconoscibilità dell’errore delle autorità del paese di esportazione relativo ai certificati di origine discenda automaticamente, in applicazione dell’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), seconda comma, del CDC, dalle condizioni in cui tale errore è stato commesso e, dall’altro, stabilire, nel caso in cui detto errore dovesse essere considerato non riconoscibile dal debitore, se gli altri requisiti di applicazione di tale articolo dovrebbero, per tale motivo, essere considerati soddisfatti.

 Sulla non riconoscibilità dell’errore

79      La Corte ha dichiarato che la finalità del controllo a posteriori consisteva nel verificare l’esattezza dell’origine indicata nei certificati di origine «modulo A» o EUR.1, precedentemente rilasciati (v., in tal senso, in relazione ai certificati EUR.1, sentenze del 9 marzo 2006, Beemsterboer Coldstore Services, C‑293/04, EU:C:2006:162, punto 32, e del 15 dicembre 2011, Afasia Knits Deutschland, C‑409/10, EU:C:2011:843, punto 43, e, in relazione ai certificati di origine «modulo A», sentenza dell’8 novembre 2012, Lagura Vermögensverwaltung, C‑438/11, EU:C:2012:703, punto 17).

80      Orbene, qualora un controllo a posteriori non consenta di confermare l’origine delle merci indicate in un certificato di origine «modulo A» o EUR.1, si deve concludere che tali merci siano di origine ignota e che, di conseguenza, il certificato di origine e la tariffa preferenziale siano stati concessi indebitamente (v., in tal senso, sentenze del 9 marzo 2006, Beemsterboer Coldstore Services, C‑293/04, EU:C:2006:162, punto 34; del 15 dicembre 2011, Afasia Knits Deutschland, C‑409/10, EU:C:2011:843, punto 44, e dell’8 novembre 2012, Lagura Vermögensverwaltung, C‑438/11, EU:C:2012:703, punto 18).

81      Così, qualora le autorità dello Stato d’esportazione abbiano rilasciato certificati di origine «modulo A» o EUR.1 inesatti, tale rilascio deve essere considerato, in forza di detto articolo 220, paragrafo 2, lettera b), secondo e terzo comma, del CDC, un errore commesso da dette autorità, a meno che non risulti che siffatti certificati sono stati redatti sulla base di una presentazione inesatta dei fatti da parte dell’esportatore. Qualora detti certificati siano stati redatti sulla base di false dichiarazioni dell’esportatore, il recupero dei dazi all’importazione deve, quindi, avere luogo, a meno che, in particolare, non sia evidente che le autorità che hanno rilasciato i certificati in parola sapevano o avrebbero dovuto sapere che le merci non soddisfacevano le condizioni richieste per beneficiare del trattamento preferenziale (v., in tal senso, sentenze del 15 dicembre 2011, Afasia Knits Deutschland, C‑409/10, EU:C:2011:843, punto 48, e dell’8 novembre 2012, Lagura Vermögensverwaltung, C‑438/11, EU:C:2012:703, punto 19).

82      È alla luce di tali considerazioni che occorre stabilire se gli errori commessi dalle autorità salvadoregne fossero riconoscibili dal debitore.

83      Fondandosi sull’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), secondo comma, del CDC, come modificato dal regolamento n. 2700/2000, il Regno di Spagna ritiene che, poiché la Commissione ammette l’esistenza di un errore delle autorità competenti, la non riconoscibilità del medesimo discenda direttamente da tale disposizione.

84      La Commissione si è limitata a considerare, in maniera dettagliata nella controreplica, che i requisiti previsti dall’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), primo comma, del CDC devono essere soddisfatti in via cumulativa perché possa essere deciso di non recuperare i dazi all’importazione, alla luce del principio del legittimo affidamento e del principio dell’interpretazione restrittiva di un’eccezione al regime normale di pagamento di un debito doganale.

85      Orbene, con la sua linea argomentativa, il Regno di Spagna induce il Tribunale a stabilire quali siano le disposizioni dell’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del CDC applicabili nella specie e i requisiti previsti da tali disposizioni affinché una domanda di non recupero venga accettata.

86      L’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), secondo comma, del CDC prevede che l’errore non può ragionevolmente essere scoperto ai sensi del primo comma quando il rilascio di un certificato inesatto da parte delle autorità di un paese terzo venga effettuato nell’ambito di un regime in cui la posizione preferenziale di una merce è stabilita in base ad un sistema di cooperazione amministrativa che coinvolge tali autorità. Cionondimeno, l’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), terzo comma, del CDC dispone che il rilascio di un certificato inesatto non costituisce un errore se il certificato si basa su una situazione fattuale inesatta riferita dall’esportatore, salvo se, in particolare, è evidente che le autorità che hanno rilasciato il certificato erano informate o avrebbero ragionevolmente dovuto essere informate che le merci non avevano diritto al regime preferenziale.

87      Occorre quindi anzitutto determinare, sulla scorta della decisione impugnata, le condizioni nelle quali l’errore è stato commesso dalle autorità salvadoregne, prima di trarre le conseguenze di un siffatto errore per l’applicazione dell’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), secondo e terzo comma, del CDC.

88      In primo luogo, occorre ricordare che la Commissione ha constatato che, per beneficiare del SPG, significative quantità di tonno erano state importate da El Salvador dietro presentazione di certificati di origine «modulo A» che erano stati redatti irregolarmente; tutte le irregolarità che inficiavano detti certificati costituivano inadempimenti alle norme di origine, segnatamente attraverso l’uso inesatto di certificati EUR.1 (punti da 6 a 9 della decisione impugnata). La Commissione ne ha tratto la conclusione che le importazioni di tonno in questione non avrebbero dovuto beneficiare dell’aliquota del dazio doganale preferenziale previsto dal SPG (punto 10 della decisione impugnata).

89      Al punto 28 della decisione impugnata, la Commissione ha ritenuto, alla luce delle circostanze del caso di specie, che le autorità salvadoregne avessero commesso un errore redigendo in maniera inesatta certificati di origine «modulo A», senza rispettare gli articoli rilevanti del regolamento n. 2454/93.

90      Dopo aver considerato che essa stessa non era incorsa in alcun errore nella fornitura degli esemplari di timbri alle autorità salvadoregne (punti da 30 a 32 della decisione impugnata), la Commissione ha verificato se l’errore commesso da tali autorità potesse essere ragionevolmente scoperto dal debitore (punti 29 e da 33 a 39 della decisione impugnata) e, successivamente, se questi avesse agito in buona fede (punti da 40 a 47 della decisione impugnata).

91      È giocoforza rilevare che, nella decisione impugnata, la Commissione non ha affatto constatato che i certificati inesatti erano stati redatti sulla base di una situazione fattuale inesatta riferita dall’esportatore né, a fortiori, che le autorità salvadoregne erano informate o avrebbero dovuto essere informate del fatto che le merci non soddisfacevano i requisiti necessari per beneficiare del trattamento tariffario preferenziale, contrariamente a quanto previsto all’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), terzo comma, del CDC.

92      In secondo luogo, è pertanto necessario stabilire se il debitore possa beneficiare della regola enunciata all’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), secondo comma, del CDC, secondo la quale si presume che un errore non possa ragionevolmente essere scoperto ai sensi del primo comma quando il rilascio di un certificato inesatto da parte delle autorità di un paese terzo venga effettuato nell’ambito di un regime in cui la posizione preferenziale di una merce è stabilita in base ad un sistema di cooperazione amministrativa che coinvolge tali autorità. Tale regola interagisce in tal senso con l’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), primo comma, del CDC, disponendo che, nel caso particolare del rilascio di un certificato di origine inesatto, esiste una presunzione legale dell’irriconoscibilità dell’errore.

93      Anzitutto, si evince dai punti da 7 a 9 e da 35 a 38 della decisione impugnata che le irregolarità scoperte dalla Commissione in sede di redazione dei certificati di origine «modulo A» riguardano le norme di origine delle merci importate nell’Unione.

94      Inoltre, il rilascio dei certificati di origine «modulo A» inesatti è stato effettuato in applicazione del SPG previsto all’epoca dei fatti, da un lato, dal regolamento (CE) n. 980/2005 del Consiglio del 27 giugno 2005, relativo all’applicazione di un sistema di preferenze tariffarie generalizzate (GU 2005, L 169, pag. 1), e, in secondo luogo, dal regolamento (CE) n. 732/2008 del Consiglio del 22 luglio 2008, relativo all’applicazione di un sistema di preferenze tariffarie generalizzate per il periodo dal 1o gennaio 2009 al 31 dicembre 2011 e che modifica i regolamenti (CE) n. 552/97 e (CE) n. 1933/2006 e i regolamenti della Commissione (CE) n. 1100/2006 e (CE) n. 964/2007 (GU 2008, L 211, pag. 1).

95      Risulta dall’articolo 5, paragrafo 2, del regolamento n. 980/2005 e dall’articolo 5, paragrafo 2, del regolamento n. 732/2008 che, ai fini dei regimi di cui all’articolo 1, paragrafo 2, di ciascuno di tali regolamenti, ossia dei regimi in forza dei quali si applicano le preferenze tariffarie, le norme relative ai metodi di cooperazione amministrativa sono fissate dal regolamento n. 2454/93.

96      Nella sua versione risultante dal regolamento (CE) n. 883/2005 della Commissione del 10 giugno 2005, che modifica il regolamento n. 2454/93 (GU 2005, L 148, p. 1), applicabile ai fatti del caso di specie, l’articolo 81 del regolamento n. 2454/93 dispone che, in linea di principio, i prodotti originari sono ammessi, all’atto dell’importazione nell’Unione, al beneficio delle preferenze tariffarie da esso previste, a condizione che vi siano stati trasportati direttamente, su presentazione di un certificato di origine «modulo A», rilasciato dalle autorità doganali o da altre autorità pubbliche competenti del paese beneficiario del trattamento beneficiario. L’articolo 83 del medesimo regolamento prevede che, poiché il certificato d’origine «modulo A» costituisce il documento giustificativo dell’applicazione delle disposizioni relative alle preferenze tariffarie di cui a tale regolamento, spetta alle autorità pubbliche del paese d’esportazione prendere le disposizioni necessarie per verificare l’origine dei prodotti e controllare le altre dichiarazioni contenute nel certificato.

97      Gli articoli da 93 a 95 del regolamento n. 2454/93 riguardano i metodi di cooperazione amministrativa fra i paesi beneficiari del SPG e la Commissione, fra i quali figura il controllo a posteriori dei certificati di origine «modulo A» ogniqualvolta le autorità doganali dell’Unione abbiano ragionevole motivo di dubitare della loro autenticità, del carattere originario dei prodotti in questione o dell’osservanza degli altri requisiti previsti dalla sezione del regolamento concernente il SPG; le autorità del paese di esportazione devono effettuare tale controllo e comunicarne i risultati entro sei mesi alle autorità doganali dell’Unione (articolo 94, paragrafi 1 e 3, del regolamento n. 2454/93). Inoltre, l’articolo 94, paragrafo 6, del regolamento n. 2454/93 prevede che, qualora dalla procedura di controllo o da qualsiasi altra informazione disponibile emergano indizi di violazioni delle disposizioni della sezione concernente il SPG, il paese beneficiario d’esportazione effettua, d’ufficio o su richiesta dell’Unione, le inchieste necessarie o dispone affinché tali inchieste siano effettuate con la dovuta sollecitudine allo scopo di individuare e prevenire siffatte violazioni; a tale scopo, l’Unione può partecipare a dette inchieste. Infine, l’articolo 94, paragrafo 7, del regolamento n. 2454/93 prevede che le copie dei certificati di origine «modulo A» sono conservate dalle autorità pubbliche del paese di esportazione per almeno un triennio.

98      In tal senso, risulta, da un lato, dal combinato disposto dei regolamenti n. 980/2005 e n. 732/2008, e, dall’altro, dal regolamento n. 2454/93, nella sua versione risultante dal regolamento n. 883/2005, che la posizione preferenziale dei prodotti di cui trattasi è stata determinata sulla base di un sistema di cooperazione amministrativa che coinvolge le autorità di un paese terzo, ossia quelle di El Salvador.

99      Di conseguenza, in applicazione dell’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), secondo comma, del CDC, l’errore commesso dalle autorità salvadoregne nel rilascio dei certificati di origine «modulo A» costituiva, ai sensi del primo comma di tale disposizione, un errore che si presume non potesse ragionevolmente essere scoperto.

100    In tali circostanze, occorre proseguire il ragionamento per stabilire se gli altri requisiti di applicazione dell’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del CDC debbano, nella specie, essere soddisfatti, oppure se, come sostenuto dal Regno di Spagna, ciò non sia necessario, in quanto la Commissione non ha considerato, nella decisione impugnata, che l’errore era dovuto ad una situazione fattuale inesatta riferita dall’esportatore oppure che le autorità salvadoregne erano informate o avrebbero dovuto essere informate del fatto che i certificati presentati erano inesatti.

 Sull’obbligo di soddisfare gli altri requisiti di applicazione dell’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del CDC

101    Secondo il Regno di Spagna, i riferimenti fatti dalla Commissione ai requisiti relativi alla buona fede e alla normativa relativa alla dichiarazione in dogana sono illegittimi, dal momento che, nella decisione impugnata, essa non ha ritenuto che l’errore commesso dalle autorità salvadoregne fosse la conseguenza di una presentazione inesatta dei fatti da parte dell’esportatore.

102    In sostanza, la Commissione ritiene che i tre requisiti di applicazione dell’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), primo comma, del CDC debbano essere soddisfatti affinché il debito doganale non venga recuperato a posteriori, e che essa abbia correttamente verificato la buona fede del debitore e il suo rispetto della normativa relativa alla dichiarazione in dogana. Inoltre, per quanto attiene al requisito della buona fede, la Commissione è dell’avviso che l’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), quarto comma, del CDC, introdotto dal regolamento n. 2700/2000, si applichi alla situazione del debitore e osti a che un debitore che non abbia agito diligentemente possa far valere la propria buona fede.

103    Al fine di rispondere all’argomento del Regno di Spagna, occorre stabilire appunto se il regolamento n. 2700/2000 abbia introdotto un regime particolare concernente le domande di non recupero a posteriori quando si applica una posizione preferenziale delle merci importate.

104    Orbene, risulta già dai punti da 92 a 99 supra che, in conformità all’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), secondo comma, del CDC, quando la posizione preferenziale di una merce è stabilita in base ad un sistema di cooperazione amministrativa che coinvolge le autorità di un paese terzo, il rilascio da parte di queste ultime di un certificato inesatto costituisce, ai sensi del primo comma, un errore che si presume non potesse ragionevolmente essere scoperto; una siffatta norma costituisce pertanto una situazione eccezionale, nella misura in cui essa prevede come base iniziale di apprezzamento una presunzione legale della quale occorre tenere conto nella valutazione dei requisiti cumulativi in questione (v. punto 47 supra).

105    Inoltre, è giocoforza constatare che il regolamento n. 2700/2000, sul quale si basa in particolare il Regno di Spagna per ritenere che esso abbia introdotto un regime particolare per la contabilizzazione a posteriori dei dazi all’importazione nell’ambito dei regimi preferenziali, ha integrato l’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del CDC, aggiungendo al suo primo comma altri quattro commi, i quali riguardano tutti il regime preferenziale (v., in tal senso, sentenza del 9 marzo 2006, Beemsterboer Coldstore Services, C‑293/04, EU:C:2006:162, punti 3 e 4). Inoltre, questo nuovo testo rafforza la tutela dell’affidamento dell’operatore economico interessato in caso di errori delle autorità doganali in merito al regime preferenziale di merci originarie di paesi terzi (sentenza del 9 marzo 2006, Beemsterboer Coldstore Services, C‑293/04, EU:C:2006:162, punto 25), fornendo un chiarimento in ordine al caso particolare del trattamento preferenziale di merci provenienti da paesi terzi (v., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Beemsterboer Coldstore Services, C‑293/04, EU:C:2005:527, paragrafo 29).

106    Risulta dunque da tali considerazioni preliminari che l’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), commi dal secondo al quinto, del CDC, istituisce norme particolari in forza delle quali non vi è contabilizzazione a posteriori dei dazi all’importazione dovuti quando la posizione preferenziale di una merce è stabilita in base ad un sistema di cooperazione amministrativa che coinvolge le autorità di un paese terzo. Contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, l’esame della domanda di non recupero a posteriori dei dazi all’importazione deve essere effettuato alla luce dell’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), commi dal secondo al quinto, del CDC.

107    Cionondimeno, l’esame di una domanda di non recupero a posteriori dei dazi all’importazione deve parimenti essere effettuato prendendo in considerazione le disposizioni di cui all’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), primo comma, del CDC, e, dunque, le condizioni cumulative in esso contenute e che devono essere soddisfatte, le quali si aggiungono a quella relativa al carattere ragionevolmente riconoscibile dell’errore commesso dalle autorità competenti (v. punti da 92 a 99 supra), ossia che il debitore sia in buona fede e che abbia osservato tutte le prescrizioni della normativa in vigore [v., in tal senso, ordinanza del 1o ottobre 2009, Agrar-Invest-Tatschl/Commissione, C‑552/08 P, EU:C:2009:605, punti 52, 55 e 56, e sentenza del 15 dicembre 2011, Afasia Knits Deutschland, C‑409/10, EU:C:2011:843, punto 47].

108    In primo luogo, per quanto riguarda il requisito relativo alla buona fede del debitore, si evince dall’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), quarto comma, del CDC che il debitore può invocare la buona fede qualora questi possa dimostrare che, per la durata delle operazioni commerciali in questione, lo stesso abbia dato prova di diligenza per assicurarsi che sono state rispettate tutte le condizioni per il trattamento preferenziale (sentenza del 16 dicembre 2010, HIT Trading e Berkman Forwarding/Commissione, T‑191/09, non pubblicata, EU:T:2010:535, punto 53).

109    Di conseguenza, il Regno di Spagna incorre in un errore nel sostenere che la Commissione ha fatto illegittimamente riferimento al requisito relativo alla buona fede prima di stabilire se dovesse procedersi al recupero a posteriori dei dazi all’importazione dovuti in applicazione dell’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del CDC, nella sua versione risultante dal regolamento n. 2700/2000.

110    Tuttavia, occorre ricordare che il requisito attinente alla buona fede dell’operatore e quello attinente alla mancata conoscenza dell’errore commesso dalle autorità doganali presentano un certo legame. La questione se l’operatore abbia agito in buona fede impone, segnatamente, di accertare se questi non avesse potuto ragionevolmente rilevare l’errore commesso dalle autorità competenti (v., per analogia, sentenze del 14 maggio 1996, Faroea Seafood e a., C‑153/94 e C‑204/94, EU:C:1996:198, punti 83 e da 98 a 102; del 18 ottobre 2007, Agrover, C‑173/06, EU:C:2007:612, punto 30, e del 15 dicembre 2011, Afasia Knits Deutschland, C‑409/10, EU:C:2011:843, punto 47).

111    Occorre adesso valutare il modo in cui il requisito attinente alla buona fede dell’operatore debba essere inteso ai fini dell’applicazione dell’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), commi dal primo al quarto del CDC, nel contesto giuridico risultante dall’adozione del regolamento n. 2700/2000, vale a dire in materia di regimi preferenziali. È necessario tenere conto dei chiarimenti che possono essere apportati dalla motivazione di detto regolamento, dal procedimento che ha portato alla sua adozione e dalla giurisprudenza.

112    In primo luogo, per quanto riguarda la motivazione del regolamento n. 2700/2000, il considerando 11 del medesimo afferma che è necessario, per i regimi preferenziali, definire le nozioni di errore delle autorità doganali e di buona fede del debitore. Dopo aver esaminato la questione dell’errore delle autorità del paese terzo, esso prosegue, in termini generali, indicando che il debitore può invocare la sua buona fede se può dimostrare di aver dato prova di diligenza, a meno che non sia stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea un avviso che segnala fondati dubbi. Tale considerando deve essere interpretato nel senso che esso costituisce un indizio del fatto che la buona fede del debitore deve essere esaminata quando l’errore commesso dalle autorità del paese terzo ha portato al rilascio di un certificato inesatto, qualunque sia l’origine di tale errore, indipendentemente da se esso provenga da tali autorità o sia stato provocato da una presentazione inesatta dei fatti da parte dell’esportatore.

113    In secondo luogo, per quanto attiene al procedimento stesso di adozione del regolamento n. 2700/2000, occorre rilevare, in primis, che la modifica dell’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del CDC non era prevista nella proposta di regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento n. 2913/92 (GU 1998, C 228, pag. 8).

114    A seguito del parere in prima lettura del Parlamento europeo, con il quale è stato proposto di aggiungere il secondo e il terzo comma all’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del CDC, la Commissione ha presentato una proposta modificata di regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento n. 2913/92 (GU 2000, C 248, pag. 1).

115    Inoltre, si evince dal verbale della 2248° sessione del Consiglio dell’Unione europea «Mercato interno», tenutasi a Bruxelles (Belgio) il 16 marzo 2000, in occasione della quale è stato raggiunto un accordo politico sulla proposta di modifica del CDC, che tale proposta prevedeva di definire con precisione le nozioni di «errori amministrativi» nonché di «buona fede dell’importatore» in relazione alle operazioni che interessavano merci oggetto di un trattamento preferenziale in forza di certificati inesatti rilasciati dalle autorità di un paese terzo.

116    La posizione comune (CE) n. 31/2000, del 25 maggio 2000, definita dal Consiglio, deliberando in conformità della procedura di cui all’articolo 251 CE, in vista dell’adozione di un regolamento (CE) del Consiglio che modifica il CDC (GU 2000, C 208, pag. 1), contiene i considerando e le disposizioni che verranno definitivamente adottati nella forma del regolamento n. 2700/2000.

117    In secundis, in un comunicato stampa IP/2000/1123, redatto il 5 ottobre 2000, il commissario responsabile del mercato interno ha affermato che la modifica in questione introduceva una nuova definizione della tutela della buona fede degli operatori che importavano beni in regimi preferenziali quando i certificati di origine risultavano inesatti e che gli importatori avrebbero saputo in tal modo di non essere automaticamente scusati qualora gli esportatori di un paese terzo avessero fornito, ad esempio, certificati di origine falsi.

118    Di conseguenza, risulta chiaramente dal procedimento di adozione del regolamento n. 2700/2000 che l’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), quarto comma, del CDC, relativo alla buona fede del debitore, si applica allorquando le autorità di un paese terzo hanno rilasciato certificati inesatti che consentono di beneficiare di un regime preferenziale; ciò conferma la conclusione del punto 112 supra, in fine.

119    In terzo luogo, occorre rilevare che la Corte ha dichiarato che risultava dal considerando 11 del regolamento n. 2700/2000 che la modifica dell’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del CDC mirava a definire, per il particolare caso dei regimi preferenziali, le nozioni di «errore delle autorità doganali» e di «buona fede del debitore», e che pertanto, senza ricorrere ad una modifica nel merito, detto articolo aveva come scopo di esplicitare le nozioni summenzionate, già contenute nella versione originaria del detto articolo 220, e già precisate dalla giurisprudenza (v. sentenza del 9 marzo 2006, Beemsterboer Coldstore Services, C‑293/04, EU:C:2006:162, punto 22 e la giurisprudenza ivi citata). Di conseguenza, il giudice dell’Unione ha constatato che l’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del CDC presentava carattere essenzialmente interpretativo (sentenza del 9 marzo 2006, Beemsterboer Coldstore Services, C‑293/04, EU:C:2006:162, punto 23).

120    La Corte ha ripreso in tal senso il ragionamento svolto nelle conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Beemsterboer Coldstore Services, (C‑293/04, EU:C:2005:527, paragrafi 29 e 32), secondo il quale, da un lato, il nuovo testo dell’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del CDC non mirava ad introdurre modifiche, bensì soltanto a fornire un chiarimento in ordine al caso particolare del trattamento preferenziale delle merci provenienti da paesi terzi, avendo il legislatore dell’Unione reputato necessario definire con maggior precisione, in tale contesto, le nozioni di «errore delle autorità doganali» e di «buona fede del debitore», e, dall’altro, il nuovo dettato di tale disposizione mirava soltanto a codificare e a precisare la precedente disciplina normativa proprio in relazione al caso specifico degli errori delle autorità doganali circa la posizione preferenziale di merci provenienti da paesi terzi.

121    In tali circostanze, la giurisprudenza anteriore in materia di recupero a posteriori di dazi all’importazione continua ad essere applicabile. Orbene, come è stato illustrato al punto 110 supra, ne risulta che il requisito relativo alla buona fede dell’operatore e quello concernente la mancata conoscenza dell’errore commesso dalle autorità doganali sono, in una certa misura, connessi, poiché la questione se l’operatore abbia operato in buona fede implica segnatamente l’accertamento se questi non avesse potuto ragionevolmente scoprire l’errore commesso dalle autorità competenti.

122    Di conseguenza, malgrado il fatto che dall’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), secondo comma, del CDC risulti che l’errore commesso dalle autorità di un paese terzo nel rilascio di un certificato inesatto costituisce un errore che si presume non potesse essere ragionevolmente scoperto ai sensi del primo comma (v. punto 99 supra), occorre prendere parimenti in considerazione il fatto che il requisito attinente alla buona fede dell’operatore e quello relativo alla mancata conoscenza dell’errore commesso dalle autorità doganali sono, in certa misura, connessi (v. punto 121 supra); da ciò consegue la necessità, in ogni caso, di esaminarli in riferimento alle circostanze concrete del caso di specie, alla luce della presunzione legale prevista al secondo comma della disposizione in questione.

123    Una siffatta interpretazione conserva parimenti l’effetto utile dell’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), quarto comma, del CDC, in quanto la buona fede del debitore può essere invocata alle condizioni previste da tale disposizione ed essere esaminata dalla Commissione, caso per caso, e alla luce di tutte le circostanze di fatto del caso di specie, anche qualora si presuma che l’errore non potesse essere ragionevolmente scoperto dal debitore.

124    Per quanto attiene, poi, al requisito relativo al rispetto della normativa in vigore riguardo alla dichiarazione in dogana, occorre constatare che le nuove disposizioni inserite nell’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del CDC, dal regolamento n. 2700/2000 non lo menzionano affatto. Cionondimeno, occorre ricordare che l’esame di una domanda di non recupero a posteriori di dazi all’importazione deve essere parimenti effettuato prendendo in considerazione le disposizioni previste dall’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), primo comma, del CDC e, dunque, le condizioni cumulative in esso contenute e che devono essere rispettate (v. punti da 92 a 99 supra), ossia, segnatamente, la condizione che il debitore sia in buona fede e che abbia osservato tutte le prescrizioni della normativa in vigore (v., in tal senso, ordinanza del 1o ottobre 2009, Agrar-Invest-Tatschl/Commissione, C‑552/08 P, EU:C:2009:605, punti 52, 55 e 56, e sentenza del 15 dicembre 2011, Afasia Knits Deutschland, C‑409/10, EU:C:2011:843, punto 47).

125    Di conseguenza, il requisito relativo al rispetto della normativa in vigore per quanto attiene alla dichiarazione in dogana si applica allorché il procedimento di recupero a posteriori verte sulla posizione preferenziale di una merce e le autorità di un paese terzo hanno redatto un certificato inesatto a tal riguardo.

 Sull’attuazione degli altri requisiti di applicazione dell’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del CDC

126    Come si evince dal punto 123 supra, il fatto che l’errore commesso dalle autorità competenti costituisca un errore che si presume non potesse essere ragionevolmente scoperto non osta affatto a che la Commissione verifichi la buona fede del debitore, in conformità alla giurisprudenza menzionata al punto 121 supra, alla luce di tutte le circostanze concrete del caso di specie.

127    Inoltre, il requisito concernente il rispetto della normativa relativa alla dichiarazione in dogana deve parimenti essere esaminato dalla Commissione, e occorre pertanto stabilire, alla luce degli argomenti del Regno di Spagna, se la decisione impugnata non sia inficiata da errori su tale punto.

–       Sugli elementi relativi alla buona fede del debitore

128    In via preliminare, occorre considerare che, per valutare se, nella specie, il debitore fosse in buona fede, devono essere presi in considerazione, in particolare, due elementi rilevati dalla Commissione nella decisione impugnata.

129    In primis, il debitore fa parte di un gruppo le cui attività si svolgono in tutto il mondo nel settore della pesca, della preparazione, della fabbricazione, del confezionamento e della commercializzazione di prodotti a base di pesce fresco, congelati o in conserva (punto 39 della decisione impugnata).

130    In secundis, l’esportatore dei prodotti in questione, il quale ha fornito le informazioni sulla base delle quali i certificati di origine «modulo A» sono stati emessi, è una società appartenente allo stesso gruppo del debitore (punti 37 e 46 della decisione impugnata), e le due navi che hanno utilizzato una doppia bandiera appartengono a detto gruppo (punto 43 della decisione impugnata). In siffatte circostanze, secondo la Commissione, non è ammissibile che il fatto che si presuma che l’errore non poteva ragionevolmente essere scoperto in forza dell’applicazione dell’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), secondo comma, del CDC, implichi il riconoscimento della buona fede del debitore.

131    A tal riguardo, in particolare, risulta dalla giurisprudenza che l’errore commesso dalle autorità competenti deve essere di natura tale da non poter ragionevolmente essere riconosciuto dal debitore in buona fede, nonostante la sua esperienza professionale e la diligenza di cui era tenuto a dar prova (v., in tal senso, sentenza del 14 novembre 2002, Ilumitrónica, C‑251/00, EU:C:2002:655, punto 38).

132    In primo luogo, occorre constatare che gli elementi rilevati dalla Commissione nella decisione impugnata relativi all’esperienza professionale del debitore (v. punto 129 supra) non vengono contestati dal Regno di Spagna, il quale, al contrario, ammette che la Commissione ha giustamente riconosciuto, al punto 39 della decisione impugnata, che il debitore era un operatore estremamente esperto, ma fa parimenti valere che l’esperienza professionale del debitore non inciderebbe sull’inadempimento dei requisiti previsti dall’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del CDC.

133    È vero che l’esperienza professionale non esclude, di per sé, la buona fede dell’operatore o la non riconoscibilità dell’errore, come sottolineato dal Regno di Spagna. Cionondimeno, occorre rilevare che da un professionista esperto è legittimo aspettarsi che questi presti una maggiore attenzione agli elementi amministrativi e di fatto la cui valutazione rientra nel contesto abituale delle sue attività, segnatamente in modo che questi possa rilevare più facilmente qualsiasi divergenza rispetto a ciò che costituisce una prassi ordinaria corretta.

134    In secondo luogo, occorre ricordare che, per quanto riguarda la diligenza, spetta all’operatore economico, qualora nutra dubbi, informarsi e chiedere tutti i chiarimenti possibili per non contravvenire alle dette disposizioni (v., per analogia, sentenze dell’11 novembre 1999, Söhl & Söhlke, C‑48/98, EU:C:1999:548, punto 58, e del 13 settembre 2007, Common Market Fertilizers/Commissione, C‑443/05 P, EU:C:2007:511, punto 191).

135    Emerge dalla decisione impugnata che la Commissione ha esaminato il requisito della diligenza dell’operatore alla luce dei diversi elementi che erano stati segnalati come costitutivi di un’inosservanza delle norme di origine.

136    In primis, per quanto attiene al requisito relativo alla composizione dell’equipaggio dei pescherecci, la Commissione ha considerato che, avuto riguardo alla natura della sua attività e alla sua appartenenza ad un gruppo operante su più oceani, soggetto per questo motivo al rispetto di norme diverse, il debitore non era stato diligente non rispettando i requisiti per beneficiare del trattamento tariffario preferenziale previsti dalle disposizioni dei regolamenti nn. 980/2005 e 732/2008.

137    In secundis, la Commissione ha constatato che, in taluni casi, l’esportatore aveva presentato contemporaneamente o certificati di origine non preferenziali rilasciati dalle camere di commercio spagnola e francese e certificati EUR.1 non rilasciati dalle autorità doganali dell’Unione e relativi all’accordo ACP, o certificati EUR.1 rilasciati dalle autorità delle Seychelles e certificati «modulo A» rilasciati dalle autorità panamensi. Essa ha ritenuto che tali fatti non consentissero di determinare l’origine del tonno, in assenza di una necessaria tracciabilità, e ha concluso che il debitore non aveva rispettato le disposizioni concernenti la dichiarazione in dogana e le norme di origine applicabili.

138    Inoltre, la Commissione ha constatato che i concetti di «doppia registrazione», di «numero di registrazione» e di «doppia nazionalità» delle navi non erano ambigui, bensì chiaramente definiti dal diritto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU). Essa ha aggiunto che il diritto dell’Unione esigeva chiaramente che un peschereccio, al fine di beneficiare del SPG, fosse registrato in un solo Stato e battesse la bandiera di un solo Stato. Orbene, la Commissione ha affermato che le due navi in questione erano state registrate alle Seychelles e avevano navigato battendo la bandiera di tale paese per cinque anni, e che erano al contempo registrate in El Salvador e battevano la bandiera di quest’ultimo paese; cionondimeno, il debitore aveva dichiarato che i requisiti previsti dall’articolo 68, paragrafo 2, del regolamento n. 2454/93 per beneficiare del SPG erano soddisfatti.

139    Infine, la Commissione ha rilevato che le informazioni sulla base delle quali i certificati di origine «modulo A» erano stati rilasciati dalle autorità salvadoregne erano state fornite da una controllata del gruppo del debitore.

140    La Commissione ne ha concluso che, alla luce delle situazioni da essa rilevate, il debitore non aveva dimostrato il grado di attenzione che ci si aspettava da un operatore professionale nel trattamento doganale richiesto per i prodotti in questione.

141    In terzo luogo, si deve rispondere ai diversi argomenti sollevati dal Regno di Spagna per confutare la mancanza di diligenza del debitore.

142    Anzitutto, e in via preliminare, il Regno di Spagna sostiene che sarebbe contraddittorio affermare, nella decisione impugnata, che le autorità salvadoregne hanno commesso un errore senza che l’esportatore abbia fornito una presentazione inesatta dei fatti, e che il debitore ha mancato di diligenza con riferimento ai medesimi fatti.

143    Su tale punto, occorre rilevare che è effettivamente innegabile che il requisito relativo alla non riconoscibilità dell’errore commesso dalle autorità competenti è connesso, in una certa misura, alla questione della buona fede del debitore, come constatato dalla giurisprudenza. Tuttavia, non si può ammettere che il fatto che si presume che l’errore non possa ragionevolmente essere scoperto – constatazione che risulta dall’applicazione della regola di cui all’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), secondo comma, del CDC, introdotta dal regolamento n. 2700/2000 – abbia come conseguenza automatica e necessaria la constatazione della buona fede del debitore e ciò, a fortiori, nella specie, alla luce delle circostanze già rilevate ai punti da 128 a 130 supra. Quanto alla contraddizione, rilevata dal Regno di Spagna, fra la constatazione di un errore commesso e l’assenza di una presentazione inesatta dei fatti da parte dell’esportatore, nessun argomento è stato dedotto a sostegno di tale linea argomentativa, la cui logica non si evince neanche dalla giurisprudenza. Lo stesso vale per l’eventuale contraddizione fra l’assenza di una presentazione inesatta dei fatti da parte dell’esportatore e il difetto di diligenza del debitore con riferimento ai medesimi fatti. In particolare, non è possibile presumere che la buona fede del debitore discenda direttamente dal comportamento dell’esportatore, in quanto il debitore non può segnatamente trarre vantaggio dall’azione di quest’ultimo in circostanze in cui gli elementi di fatto apportati dall’esportatore non possono portare al rilascio di certificati di origine «modulo A» da parte delle autorità competenti del paese terzo di cui trattasi. In tal senso, occorre constatare che le summenzionate affermazioni del Regno di Spagna devono essere valutate alla luce del fatto che taluni degli errori commessi dalle autorità doganali salvadoregne discendevano dalla considerazione di certificati iniziali che non potevano manifestamente essere reputati idonei a consentire di ottenere il trattamento preferenziale, e da altre violazioni significative di obblighi concernenti l’equipaggio e la bandiera delle navi di cui trattasi.

144    L’argomento del Regno di Spagna deve essere quindi respinto.

145    Sotto un secondo profilo, da un lato, il Regno di Spagna considera che sarebbe eccessivo esigere che il debitore conosca la composizione dell’equipaggio di ciascuna nave al momento delle diverse catture, le quali sarebbero state effettuate da navi non appartenenti al gruppo Calvo, cosicché quest’ultimo non poteva esigere informazioni relative alla composizione dell’equipaggio. Esso afferma che il debitore ha adottato misure precauzionali supplementari esigendo dai propri fornitori un attestato di proprietà che certificasse il rispetto della norma relativa alla composizione dell’equipaggio. Dall’altro, esso rileva che la complessità della normativa relativa ai prodotti della pesca in materia di origine costituisce uno degli elementi rilevanti nella valutazione dei requisiti di cui all’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del CDC, e che essa era pacifica nella specie.

146    Quanto al primo argomento, concernente il carattere eccessivo del requisito relativo alla conoscenza, da parte del debitore, della composizione dell’equipaggio delle navi che avevano pescato i prodotti in questione, si deve constatare che se, nella decisione impugnata, la Commissione impone un siffatto requisito al debitore, essa lo fa gravare parimenti, nelle sue memorie dinanzi al Tribunale, sull’esportatore. In ogni caso, è giocoforza constatare che, alla luce dell’appartenenza del debitore e dell’esportatore allo stesso gruppo, il difetto di diligenza dell’esportatore quanto al controllo del requisito relativo alla composizione dell’equipaggio delle navi è parimenti imputabile al debitore, segnatamente a causa delle possibilità di ottenere informazioni esistenti fra imprese appartenenti allo stesso gruppo.Inoltre, occorre rilevare che il Regno di Spagna, producendo certificati di proprietà delle navi dai quali emerge la composizione dell’equipaggio e che il gruppo Calvo sarebbe stato solito far compilare ai proprietari delle navi, fornisce, in realtà, un indizio chiaro nel senso che il requisito della conoscenza della composizione dell’equipaggio da parte dell’esportatore o del debitore non è manifestamente eccessivo e che potrebbe trattarsi, al contrario, di una prassi relativamente comune nel settore di attività della pesca, segnatamente allorché le catture effettuate da tali navi sono destinate ad essere importate nell’Unione nell’ambito del SPG. In tali circostanze, non può escludersi che l’esportatore o il debitore che intendono trarre vantaggio dal SPG possano chiedere ai fornitori, anche esterni al gruppo Calvo, i dati concernenti la composizione dell’equipaggio nell’ambito dei loro rapporti contrattuali, nonostante le affermazioni del Regno di Spagna secondo le quali siffatte informazioni erano difficili da ottenere, a causa, segnatamente, della possibilità di mutamenti dell’equipaggio al momento di effettuare ciascuna cattura oppure a causa della presenza di talune persone a bordo in maniera non stabile. Inoltre, contrariamente a quanto affermato dal Regno di Spagna, il fatto di rispettare la normativa sulla tutela dei dati personali non può ostare ad un siffatto approccio, nella misura in cui esistono diverse possibilità che consentono, nella prassi, di chiedere e di salvaguardare tali dati senza violare la summenzionata normativa, sollecitando i necessari consensi, a tal riguardo, presso le persone interessate, segnatamente per le navi esterne al gruppo dell’esportatore e del debitore. Inoltre, accogliere l’affermazione del Regno di Spagna sul punto farebbe venir meno l’obbligo di dimostrare la composizione dell’equipaggio delle navi al momento della cattura, sebbene sia pacifico che un siffatto obbligo era applicabile nella specie, in conformità alle norme in vigore alla data rilevante.

147    Per quanto attiene ai sette certificati prodotti dal Regno di Spagna dinanzi al Tribunale, la Commissione sottolinea che essi non dimostrano il soddisfacimento del requisito relativo alla composizione dell’equipaggio di una nave, secondo il quale il 75% dei membri doveva essere composto di cittadini dei paesi dell’Unione o del paese beneficiario del trattamento tariffario preferenziale. A tal riguardo, occorre constatare che, come sostenuto giustamente dalla Commissione, tali certificati si limitano ad indicare la percentuale dei membri dell’equipaggio cittadini di Stati dell’Unione o di un qualunque paese beneficiario del gruppo II del SPG ai fini del cumulo («porcentaje de nacionales de un Pais miembro de la UE o del grupo II de Paises SPG»), e uno di essi si riferisce alla percentuale dei membri dell’equipaggio cittadini di Stati parti dell’accordo ACP. Orbene, in tali circostanze, è giocoforza ritenere che, alla luce del loro carattere impreciso, i certificati in questione non siano idonei a dimostrare che il requisito relativo alla composizione dell’equipaggio era soddisfatto.

148    Infine, quanto alla complessità della normativa relativa ai prodotti della pesca in materia di origine, non può ritenersi che essa esista in relazione alla questione di diritto controversa nella presente causa. Infatti, l’articolo 68, paragrafo 1, lettera f) e g), e paragrafo 2, quinto trattino, del regolamento n. 2454/93, nella sua versione applicabile al momento dei fatti, enuncia che si considerano interamente ottenuti in un paese beneficiario o nell’Unione i prodotti della pesca marittima e altri prodotti estratti dal mare, al di fuori delle loro acque territoriali, con le loro navi, oppure i prodotti fabbricati a bordo delle loro navi officina; le espressioni «loro navi» e «loro navi officina» si applicano unicamente alle navi e alle navi officina il cui equipaggio, in particolare, è composto, almeno per il 75%, di cittadini del paese beneficiario o degli Stati membri.

149    Una siffatta norma non può essere considerata a tal punto complessa da rendere eccessivamente difficile, per un operatore estremamente esperto come il debitore o l’esportatore, l’accertamento del suo rispetto. Deve pertanto essere respinto l’argomento del Regno di Spagna relativo al numero di decisioni con le quali la Commissione avrebbe escluso la contabilizzazione a posteriori dei dazi all’importazione nel settore del tonno, in relazione al quale non viene affermato che la difficoltà normativa verteva esattamente sulla questione della composizione dell’equipaggio, al pari di quello relativo alle modifiche apportate dalle istituzioni dell’Unione al contesto normativo in materia di SPG. Circostanze del genere non consentono infatti di concludere che il requisito relativo alla composizione dell’equipaggio avrebbe avuto una natura complessa. Inoltre, il fatto che la Commissione si sia impegnata in un movimento di semplificazione delle norme di origine nei regimi preferenziali, il quale è sfociato nella soppressione del requisito della composizione dell’equipaggio, costituisce tutt’al più soltanto un indizio del fatto che l’istituzione perseguiva una migliore prassi legislativa facente seguito all’analisi degli effetti delle norme in questione, senza che possa essere desunta una loro difficile comprensibilità per professionisti avveduti nel settore di cui trattasi. Peraltro, come sottolineato giustamente dalla Commissione, non è dimostrato che i rilievi del Regno di Spagna relativi alla complessità della legislazione vertevano specificamente sul requisito in questione, concernente l’equipaggio. Analogamente, neanche il fatto che abbia avuto luogo una consultazione, a tal riguardo, fra l’OLAF e il servizio giuridico della Commissione, costituisce una prova decisiva della complessità della questione giuridica di cui trattasi. Inoltre, per quanto concerne l’interpretazione della nozione di equipaggio da parte della Corte nella sentenza del 14 maggio 1996, Faroe Seafood e a. (C‑153/94 e C‑204/94, EU:C:1996:198, punto 47), la limitazione di tale nozione al normale organico di una nave non può essere vista come una fonte di difficoltà supplementare per assicurarsi del rispetto della regola prevista all’articolo 68, paragrafi 1 e 2, quinto trattino, del regolamento n. 2454/93, in quanto essa porta, al contrario, ad informarsi unicamente sui membri dell’equipaggio che presentano un legame stabile con la nave che effettua le catture beneficiarie del SPG.

150    L’argomentazione del Regno di Spagna su tale punto deve pertanto essere respinta.

151    Sotto un terzo profilo, il Regno di Spagna ritiene che la decisione impugnata sia contraddittoria, in quanto è ivi affermato che, a causa della sua attività, il debitore avrebbe dovuto sapere che il requisito della composizione dell’equipaggio non era rispettato, ma che, per quanto riguarda le catture la cui origine era attestata dai certificati di origine «modulo A» rilasciati da Panama, esso poteva non aver scoperto l’errore. Inoltre, la Commissione si sarebbe discostata dalla sua prassi decisionale, in forza della quale essa ha sempre accordato lo sgravio dei dazi doganali ad operatori esperti che esercitano la stessa attività del debitore; questo sarebbe un elemento rilevante da prendere in considerazione nella specie, sebbene tali decisioni siano state adottate per l’applicazione dell’articolo 239 del CDC o delle norme ACP.

152    In ordine al carattere contraddittorio della decisione impugnata, occorre rilevare che le ragioni per le quali la Commissione ha ritenuto che la situazione delle materie prime provenienti da Panama dovesse essere trattata diversamente dalle altre fattispecie, emergono in maniera chiara dal punto 38 di detta decisione. L’origine della materia prima in questione era giustificata da certificati di origine «modulo A» redatti dalle autorità panamensi, paese facente parte del gruppo regionale II, e non da certificati di diversa natura promananti da autorità di paesi non facenti parte di questo stesso gruppo regionale, come avveniva nel caso delle importazioni controverse. In tali circostanze, la Commissione ha ammesso che il debitore poteva non sapere se i certificati di origine «modulo A» emessi dalle autorità salvadoregne per le importazioni controverse fossero stati redatti correttamente o meno alla luce di certificati della stessa natura, redatti dalle autorità panamensi. Nella decisione impugnata non è pertanto ravvisabile alcuna contraddizione.

153    In ordine alla prassi decisionale anteriore, la Commissione fa correttamente valere che le decisioni REM 07/02 e REM 08/02 si riferivano a situazioni in cui non era avvenuta una presentazione, da parte dell’esportatore, di certificati di origine iniziali inidonei ai fini del SPG, in circostanze in cui, come nella specie, debitori dei dazi doganali avrebbero avuto un’esperienza professionale particolare e in cui il debitore e l’esportatore avrebbero fatto parte dello stesso gruppo. Infatti, tali decisioni vertevano, piuttosto, su problematiche connesse alla composizione dell’equipaggio e, nel secondo caso, anche su problematiche connesse alla questione dell’individuazione del proprietario delle navi di cui trattavasi. Quanto alle altre decisioni prodotte dal Regno di Spagna, è giocoforza constatare che nessuna di esse ha ad oggetto una situazione in cui il debitore e l’esportatore fanno parte di uno stesso gruppo. Si tratta pertanto di decisioni che vertono su situazioni fattuali diverse da quelle di cui al caso di specie. Esse non possono pertanto fondare una prassi decisionale che può essere rilevante per risolvere il caso in esame. Inoltre, nessuna di dette decisioni indica che la normativa in questione era complessa e giustificava, per questo motivo, lo sgravio dei dazi all’importazione.

154    L’argomentazione del Regno di Spagna su detto punto deve pertanto essere respinta.

155    Sotto un quarto profilo, il Regno di Spagna ricorda che, secondo la giurisprudenza, il periodo durante il quale le autorità doganali mantengono uno stesso comportamento riveste una certa importanza per valutare la diligenza degli operatori. Orbene, le autorità salvadoregne, debitamente informate dei certificati detenuti, non avrebbero sollevato obiezioni, per anni, al rilascio di certificati «modulo A», a causa, segnatamente, dell’omessa consegna dei timbri da parte della Commissione, favorendo in tal modo il rilascio di certificati inesatti.

156    Il Tribunale rileva, al pari della Commissione, che l’argomento relativo al mantenimento nel tempo della posizione delle autorità competenti non è di per sé determinante per stimare se il debitore abbia dato prova di diligenza, sebbene si tratti di un aspetto utile per verificare l’esistenza di un errore di dette autorità (v., in tal senso, sentenza del 5 giugno 2013, Recombined Dairy System/Commissione, T‑65/11, EU:T:2013:295, punti 25 e 29). Alla luce di tutti gli elementi rilevanti del caso di specie, e più precisamente dell’esperienza del debitore, della sua appartenenza allo stesso gruppo dell’esportatore e della natura dell’errore commesso, il mantenimento nel tempo della posizione delle autorità salvadoregne non può scusare il debitore per la sua mancanza di diligenza. Inoltre, occorre constatare che la questione dei timbri che la Commissione avrebbe dovuto consegnare a dette autorità non incide sulla natura dell’errore commesso e, pertanto, sulla diligenza di cui avrebbe dovuto dare prova il debitore. Il Regno di Spagna indica, peraltro, esso stesso, dopo aver sottolineato che la mancata consegna dei timbri costituiva un inadempimento direttamente imputabile alla Commissione, il quale, a suo avviso, ha indubbiamente contribuito al rilascio dei certificati inesatti e al mantenimento nel tempo dell’errore, «che non si tratterebbe qui della causa principale dell’emissione dei certificati inesatti».A questo stesso titolo, occorre aggiungere che, nella specie, la questione di un’eventuale falsificazione dei certificati EUR.1 serviti da base per il rilascio dei certificati «modulo A» non si poneva, cosicché la mancata comunicazione dei timbri rilevanti da parte della Commissione non ha potuto avere conseguenze pratiche.

157    L’argomentazione del Regno di Spagna su detto punto deve pertanto essere respinta.

158    Sotto un quinto profilo, il Regno di Spagna afferma che la norma di origine si limita a prevedere che le navi vengano immatricolate o registrate nel paese beneficiario o in uno Stato membro; l’esclusione dei regimi preferenziali in caso di doppia immatricolazione risulta da un’interpretazione della Commissione, la quale non era nota al momento della presentazione delle domande di certificati, le quali indicavano l’utilizzazione della bandiera delle Seychelles. Pertanto, le conseguenze della doppia immatricolazione risulterebbero da una normativa complessa, come dimostrato dal fatto che le autorità salvadoregne hanno interpretato il requisito relativo alla bandiera in modo diverso dalla Commissione.

159    A tal riguardo, come giustamente rilevato dalla Commissione, il Regno di Spagna ammette che tanto il debitore quanto l’esportatore sapevano che le navi in questione erano registrate in due paesi. Esso sostiene, piuttosto, che l’esportatore aveva notificato in buona fede alle autorità salvadoregne il fatto che sussisteva una doppia bandiera. Inoltre, è pacifico che le navi in questione appartenevano ad un’altra società del gruppo di cui fanno parte il debitore e l’esportatore.

160    Contrariamente a quanto asserito dal Regno di Spagna, non può ammettersi che la norma di origine, enunciata dall’articolo 68, paragrafo 2, del regolamento n. 2454/93, rivesta una natura particolarmente complessa. Infatti, tali disposizioni prevedono che le navi che effettuano le catture che beneficiano del SPG sono immatricolate o registrate nel paese beneficiario o in uno Stato membro e battono bandiera del paese beneficiario o di uno Stato membro. Pertanto, si deve ritenere che la sola questione che continua ad essere rilevante verta sulle conseguenze della circostanza che le due navi in questione erano registrate sia in El Salvador sia alle Seychelles.

161    È giocoforza rilevare che, come sottolineato più volte dalla Commissione, il diritto dell’ONU prevede le conseguenze in cui incorre una nave per il fatto di navigare sotto diverse bandiere.

162    In tal senso, l’articolo 92, paragrafo 2, della convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, firmata a Montego Bay il 10 dicembre 1982 ed entrata in vigore il 16 novembre 1994, prevede che una nave che navighi sotto le bandiere di due o più Stati impiegandole secondo convenienza, non può rivendicare nessuna delle nazionalità in questione nei confronti di altri Stati, e può essere assimilata a una nave priva di nazionalità Discende da tale norma che una nave battente doppia bandiera si trova in una situazione illegittima alla luce del diritto internazionale.

163    Per quanto riguarda l’applicabilità di tale norma nella specie, occorre rilevare che la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare è stata approvata a nome dell’Unione con la decisione 98/392/CE del Consiglio del 23 marzo 1998, concernente la conclusione, da parte della Comunità europea, della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 10 dicembre 1982 e dell’accordo del 28 luglio 1994 relativo all’attuazione della parte XI della Convenzione (GU 1998, L 179, pag. 1). Una siffatta circostanza ha come conseguenza di vincolare l’Unione, cosicché le disposizioni di tale convenzione formano parte integrante dell’ordinamento giuridico dell’Unione (sentenze del 30 maggio 2006, Commissione/Irlanda, C‑459/03, EU:C:2006:345, punto 82, e del 3 giugno 2008, Intertanko e a., C‑308/06, EU:C:2008:312, punto 53).

164    Di conseguenza, la Commissione ha giustamente applicato la norma di origine prevista dall’articolo 68, paragrafo 2, del regolamento n. 2454/93, prendendo in considerazione quella di cui all’articolo 92, paragrafo 2, della Convezione delle Nazioni Unite sul diritto del mare. In tal senso, avuto riguardo al meccanismo relativamente semplice di interpretazione di una disposizione di detto regolamento alla luce di tale Convenzione, la quale, peraltro, alla data dei fatti rilevanti, non costituiva affatto un elemento recente, non si può ritenere che la normativa in questione sia complessa. Inoltre, alla luce dell’esperienza dell’esportatore e del debitore, nonché della loro appartenenza ad un gruppo di dimensioni internazionali nel settore della pesca, il Regno di Spagna non può validamente sostenere che essi non erano a conoscenza della norma relativa alla doppia bandiera e alla sue rigorose conseguenze.

165    In tali circostanze, tutta la linea argomentativa del Regno di Spagna diretta avverso la constatazione relativa alla doppia bandiera nella decisione impugnata deve essere respinta, inclusa la sua affermazione secondo la quale l’esportatore non aveva nascosto il fatto che le navi in questione battevano doppia bandiera. Infatti, la circostanza che le autorità fossero informate in merito a tale situazione non incide sulla rilevanza del fatto che si era in presenza di un’azione non conforme alle summenzionate norme (v. i punti 162 e 163 supra).

166    Per quanto riguarda, infine, l’argomento relativo all’esperienza professionale del debitore, constatazione che non impedirebbe alla Commissione, secondo il Regno di Spagna, di procedere ad uno sgravio dei dazi all’importazione, come emergerebbe dalla sua prassi, si deve rilevare che ad esso si è già risposto, segnatamente ai punti da 128 a 133, 146 e 149 supra, nella misura in cui risultava che, alla luce delle circostanze del caso di specie, e in particolare della sua esperienza professionale, il debitore avrebbe dovuto dare prova di una diligenza che non ha dimostrato, a fronte degli errori commessi dalle autorità salvadoregne.

167    Quanto alla circostanza che una siffatta esperienza non avrebbe impedito il mancato recupero dei dazi all’importazione per le importazioni provenienti da Panama, risulta in maniera sufficiente dal punto 152 supra che la giustificazione dell’origine da parte dei certificati di origine «modulo A» redatti dalle autorità panamensi, paese facente parte del gruppo regionale II, non consentiva al debitore di sapere se i certificati di origine «modulo A» emessi dalle autorità salvadoregne per le importazioni controverse fossero stati redatti correttamente o meno, alla luce di quelli redatti dalle autorità panamensi. Di conseguenza, il Regno di Spagna non può desumere da tale constatazione una qualsivoglia contraddizione nel ragionamento della Commissione, fondato sulla percezione di due situazioni di fatto diverse concernenti le importazioni effettuate dal debitore.

168    Di conseguenza, occorre constatare che la Commissione ha giustamente rilevato che il debitore aveva mancato di diligenza e che non poteva pertanto essere considerato in buona fede ai fini dell’applicazione dell’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del CDC.

–       Sugli elementi relativi al rispetto della normativa concernente la dichiarazione in dogana

169    Il Regno di Spagna sostiene, in via principale, che la Commissione non ha specificato quali fossero le disposizioni concernenti il valore in dogana che non erano state rispettate, limitandosi a rilevare un inadempimento alle norme di origine. Orbene, una siffatta constatazione non consentirebbe di dimostrare una violazione della normativa relativa alla dichiarazione in dogana. Il debitore avrebbe presentato dichiarazioni in dogana corrette, contenenti domande di applicazione del trattamento tariffario preferenziale fondate sui certificati all’uopo necessari. Non può pertanto essergli addebitato di non avere fornito indicazioni che lo stesso non poteva ragionevolmente conoscere ed ottenere.

170    A sostegno della sua argomentazione, il Regno di Spagna richiama la relazione dell’OLAF, la quale riconosce la possibilità di identificare, a partire da una cattura, i prodotti finiti ottenuti e gli invii verso l’Unione in cui tali prodotti sono inclusi, senza che nulla indichi l’impossibilità di identificare l’origine delle catture. Inoltre, gli invii verso l’Unione avrebbero incluso prodotti ottenuti da materie prime catturate dalle navi di cui al caso di specie, ma anche da altre navi. Di conseguenza, se tutti gli invii avessero incluso prodotti ottenuti dalla trasformazione di materie prime catturate da diverse navi, l’affermazione della Commissione secondo la quale taluni invii, effettuati in base allo stesso certificato «modulo A», non rispetterebbero le disposizioni relative al valore in dogana, sarebbe arbitraria, in quanto tale circostanza sarebbe valida in tutte le fattispecie.

171    Infine, il Regno di Spagna sostiene che il sistema di tracciabilità in vigore consente di determinare l’origine delle catture, dal momento che l’OLAF rimanda espressamente ai rapporti di tracciabilità forniti dal debitore; ciò dimostra l’esistenza di un sistema di tracciabilità adeguato e la possibilità di distinguere per ciascun invio i prodotti originari da quelli che non lo erano. Inoltre, in una lettera del 14 marzo 2014, riferimento Ares(2014) 732193, la Commissione riconoscerebbe l’esistenza di una tracciabilità nella specie; tale lettera presenterebbe un rapporto con la decisione impugnata, in quanto conterrebbe valutazioni relative ad una decisione del Tribunal de Cuentas (Corte dei conti, Spagna) sugli atti di liquidazione del 2009 concernenti le importazioni controverse.

172    Nella replica, il Regno di Spagna sostiene che l’interpretazione secondo la quale la doppia immatricolazione di una nave esclude l’applicazione dei regimi preferenziali è stata data dopo che l’amministrazione spagnola aveva terminato la maggior parte degli atti di liquidazione a posteriori, i quali non distinguevano i prodotti originari dai prodotti non originari contemplati in uno stesso certificato.

173    Inoltre, il Regno di Spagna ricorda che l’inosservanza della norma di origine consente di accertare il debito doganale, il che è necessario per avviare un procedimento di sgravio dei dazi, ma che non siamo in presenza di una condizione di un siffatto sgravio.

174    In via preliminare, occorre rilevare che si evince dal punto 42 della decisione impugnata che, presentando certificati di origine che non consentivano di determinare l’origine del tonno, il debitore non ha osservato le disposizioni concernenti la dichiarazione in dogana e le norme di origine applicabili.

175    È giocoforza constatare che si tratta dell’unica considerazione che fonda l’inosservanza delle disposizioni concernenti la dichiarazione in dogana; la Commissione non replica infatti in maniera utile, dinanzi al Tribunale, all’argomento del Regno di Spagna relativo all’impossibilità di fondare una siffatta inosservanza su una violazione delle norme di origine, la quale, a suo avviso, costituisce il punto di partenza del procedimento di recupero e non un elemento alla luce del quale il requisito relativo alla dichiarazione in dogana è ammesso o meno.

176    A tal riguardo, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza, il dichiarante deve fornire tutte le informazioni necessarie previste dalle norme dell’Unione e da quelle nazionali alle competenti autorità doganali che, se del caso, le integrano o le traspongono, tenuto conto del trattamento doganale richiesto per la merce considerata (sentenze del 23 maggio 1989, Top Hit Holzvertrieb/Commissione, 378/87, EU:C:1989:209, punto 26, e del 14 maggio 1996, Faroe Seafood e a., C‑153/94 e C‑204/94, EU:C:1996:198, punto 108).

177    Tuttavia, come ha dichiarato la Corte, tale obbligo non può esorbitare dalle indicazioni che il dichiarante può ragionevolmente conoscere ed ottenere, cosicché è sufficiente che tali indicazioni, anche se inesatte, siano state fornite in buona fede (sentenze del 1o aprile 1993, Hewlett Packard France, C‑250/91, EU:C:1993:134, punto 29, e del 14 maggio 1996, Faroe Seafood e a., C‑153/94 e C‑204/94, EU:C:1996:198, punto 109).

178    Orbene, si evince dai punti 61 e 62 supra che l’accertato inadempimento delle norme relative all’origine dei prodotti importati comporta, nella specie, una violazione della normativa relativa alla dichiarazione in dogana. Infatti, l’articolo 84 del regolamento n. 2454/93 prevede che le prove dell’origine sono presentate alle autorità doganali dello Stato membro d’importazione secondo le modalità previste dall’articolo 62 del CDC. Orbene, quest’ultimo articolo ha ad oggetto la dichiarazione in dogana fatta per iscritto. Esso prevede che la dichiarazione in dogana deve essere compilata su un formulario conforme al modello ufficiale all’uopo previsto, deve essere firmata e contenere tutte le indicazioni necessarie per l’applicazione delle disposizioni che disciplinano il regime doganale per il quale le merci sono dichiarate; alla dichiarazione devono essere allegati tutti i documenti la cui presentazione è necessaria per consentire l’applicazione delle disposizioni che disciplinano detto regime doganale. Al fine di ottenere l’applicazione di un trattamento tariffario preferenziale a causa dell’origine dei prodotti importati, l’importatore, ai sensi del combinato disposto dell’articolo 62 del CDC e dell’articolo 84 del regolamento n. 2454/93, deve allegare alla sua dichiarazione in dogana un certificato di origine «modulo A» corretto.

179    Inoltre, si deve rilevare che, come sostenuto giustamente dalla Commissione, il sistema di tracciabilità utilizzato dal debitore non consentiva di determinare l’origine delle catture rilevanti nella specie. Infatti, le contabilizzazioni a posteriori effettuate dalle autorità spagnole vertevano unicamente sulla merce non originaria e sulla merce che non ha potuto essere separata da quella non originaria, cosicché queste stesse autorità avevano riconosciuto una tracciabilità insufficiente. Analogamente, come precisato dalla Commissione, risulta dalla lettera del 14 marzo 2014, menzionata al punto 171 supra, che essa riguardava unicamente le merci che avrebbero potuto essere escluse dal recupero quali merci originarie separabili dalla merce non originaria. Nel complesso, la questione della tracciabilità dei prodotti riguarda in tal senso, come correttamente sostenuto dalla Commissione, una fase anteriore del presente procedimento, ossia quella della determinazione del debito doganale, incombente alle autorità nazionali, e non quella dello sgravio dei dazi. Inoltre, quanto alle relazioni di missioni dell’OLAF, anch’esse mostrano, contrariamente a quanto affermato dal Regno di Spagna, gravi carenze nel sistema di tracciabilità.

180    Infine, non si può validamente sostenere che la Commissione ha proceduto ad una valutazione arbitraria delle diverse situazioni risultanti dai certificati presentati, dal momento che, come è stato analizzato al punto 152 supra, si tratta di più situazioni oggettivamente distinte e non equiparabili.

181    Pertanto, senza che sia necessario esaminare gli altri argomenti del Regno di Spagna a tal riguardo, richiamati ai punti da 170 a 173 supra, i quali non possono inficiare né la constatazione che l’eventuale tracciabilità dei prodotti non riguardava quelli di cui al caso di specie, né la conclusione relativa all’assenza di una valutazione arbitraria dei fatti da parte della Commissione, tale censura del secondo motivo deve essere respinta e, con essa, il motivo in toto, nonché il ricorso in esame.

 Sulle spese

182    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

183    Poiché il Regno di Spagna è rimasto soccombente, occorre condannarlo alle spese, nonché a quelle della Commissione, conformemente alla domanda di quest’ultima.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      Il Regno di Spagna sopporterà le proprie spese, nonché quelle della Commissione europea.

Dittrich

Schwarcz

Tomljenović

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 15 dicembre 2016.

Firme


Indice



Fatti

Procedimento e conclusioni delle parti

Argomenti delle parti

Sul primo motivo, relativo alla violazione del diritto ad una buona amministrazione, nell’ambito dell’articolo 872 bis del regolamento n.  2454/93

Sul secondo motivo, relativo alla violazione dell’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del CDC

Sulla ricevibilità della censura riguardante una precedente domanda di sgravio di dazi all’importazione presentata dal debitore

Sul carattere cumulativo dei requisiti previsti dall’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del CDC

Sulla non riconoscibilità dell’errore

Sull’obbligo di soddisfare gli altri requisiti di applicazione dell’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del CDC

Sull’attuazione degli altri requisiti di applicazione dell’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del CDC

– Sugli elementi relativi alla buona fede del debitore

– Sugli elementi relativi al rispetto della normativa concernente la dichiarazione in dogana

Sulle spese



* Lingua processuale: lo spagnolo.