Language of document : ECLI:EU:T:2020:394

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Seconda Sezione ampliata)

9 settembre 2020 (*)

«Politica economica e monetaria – Vigilanza prudenziale degli enti creditizi – Contributo al sistema di garanzia dei depositi o ai fondi di risoluzione unica attraverso impegni di pagamento irrevocabili – Compiti affidati alla BCE – Poteri di vigilanza specifici della BCE – Articolo 4, paragrafo 1, lettera f), e articolo 16, paragrafo 1, lettera c), e paragrafo 2, lettera d), del regolamento (UE) n. 1024/2013 – Misure che impongono la detrazione dell’importo cumulativo degli impegni di pagamento irrevocabili esistenti dal capitale primario di classe 1 – Assenza di esame individuale»

Nelle cause T‑150/18 e T‑345/18,

BNP Paribas, con sede in Parigi (Francia), rappresentata da A. Gosset-Grainville, M. Trabucchi e M. Dalon, avvocati,

ricorrente,

contro

Banca centrale europea (BCE), rappresentata da E. Koupepidou, R. Bax e F. Bonnard, in qualità di agenti,

convenuta,

avente ad oggetto una domanda basata sull’articolo 263 TFUE e diretta all’annullamento parziale della decisione ECB/SSM/2017-R0MUWSFPU8MPRO8K5P83/248 della BCE, del 19 dicembre 2017, della decisione ECB-SSM-2018-FRBNP-17 della BCE, del 26 aprile 2018, e della decisione ECB-SSM-2019-FRBNP-12 della BCE, del 14 febbraio 2019,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione ampliata)

composto da E. Buttigieg, facente funzione di presidente, F. Schalin (relatore), B. Berke, M.J. Costeira e C. Mac Eochaidh, giudici,

cancelliere: M. Marescaux, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’11 settembre 2019,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Quadro giuridico

1        A seguito della crisi finanziaria del 2008 che ha portato alla crisi della zona euro, è stato istituito un nuovo quadro normativo diretto a garantire la stabilità e la sicurezza dell’attività bancaria nell’Unione europea, il quale completa l’unione economica e monetaria e il mercato interno. Tale nuovo quadro è caratterizzato da un corpus normativo unico applicabile in modo identico agli enti creditizi di tutti gli Stati membri interessati. L’unione bancaria si fonda su tre pilastri, nello specifico un meccanismo di vigilanza unico, un meccanismo di risoluzione unico e un sistema europeo di garanzia dei depositi.

2        La direttiva 2013/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento, che modifica la direttiva 2002/87/CE e abroga le direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE (GU 2013, L 176, pag. 338), e il regolamento (UE) n. 575/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento e che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012 (GU 2013, L 176, pag. 1, rettifiche GU 2013, L 208, pag. 68, e GU 2013, L 321, pag. 6), fanno parte del corpus normativo unico menzionato al precedente punto 1 e congiuntamente formano il quadro normativo che disciplina le attività bancarie, il quadro di vigilanza e le norme prudenziali applicabili agli enti creditizi e alle imprese di investimento. Il regolamento n. 575/2013 prevede che gli enti creditizi sono tenuti a possedere una determinata percentuale di fondi propri in funzione del loro profilo di rischio. Tra tali fondi propri, si collocano i capitali primari di classe 1 (Common Equity Tier 1, CET 1), ossia quelli destinati a garantire la continuità delle attività di un ente creditizio e a prevenire le situazioni di insolvenza.

3        I requisiti prudenziali generali fissati dal regolamento n. 575/2013 sono integrati da dispositivi specifici alla luce dei quali le autorità competenti dovranno adottare decisioni nell’ambito della vigilanza continua che esse esercitano su ogni ente creditizio e impresa di investimento.

4        Il meccanismo di vigilanza unico istituito dal regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio, del 15 ottobre 2013, che attribuisce alla Banca centrale europea compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi (GU 2013, L 287, pag. 63) (il primo pilastro dell’unione bancaria menzionato al precedente punto 1), mira a garantire la sicurezza e la solidità degli enti creditizi. Detto regolamento conferisce competenza alla Banca centrale europea (BCE) ad assolvere i compiti di vigilanza prudenziale menzionati al suo articolo 4, paragrafo 1. Conformemente all’articolo 6 del medesimo regolamento, la BCE assolve i propri compiti nel quadro di un meccanismo di vigilanza unico composto dalla stessa e dalle autorità nazionali competenti. In particolare la BCE è competente a garantire la vigilanza prudenziale degli enti creditizi della zona euro classificati come «significativi».

5        Conformemente all’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1024/2013, la BCE è tenuta ad applicare tutto il pertinente diritto dell’Unione ai fini dell’assolvimento dei compiti attribuitile. A tal fine, la BCE subordina le proprie decisioni al rispetto di «qualsiasi atto legislativo e non legislativo, compresi quelli di cui agli articoli 290 e 291 TFUE» e «[i]n particolare, è soggetta alle norme tecniche di regolamentazione e di attuazione vincolanti elaborate dall’[Autorità bancaria europea (ABE)] e adottate dalla Commissione a norma degli articoli da 10 a 15 del regolamento (UE) n. 1093/2010, all’articolo 16 di tale regolamento e alle disposizioni di tale regolamento sul manuale di vigilanza europeo predisposto dall’ABE conformemente a tale regolamento».

6        Le autorità competenti sono tenute, conformemente all’articolo 97 della direttiva 2013/36, a istituire un processo di revisione e valutazione prudenziale (Supervisory Review and Evaluation Process, SREP), al fine, segnatamente, di determinare «se i dispositivi, le strategie, i processi e i meccanismi messi in atto dagli enti e i fondi propri e la liquidità da essi detenuti assicurano una gestione ed una copertura adeguate dei loro rischi».

7        Inoltre, conformemente all’articolo 107, paragrafo 3, della direttiva 2013/36, l’Autorità bancaria europea (ABE), istituita dal regolamento (UE) n. 1093/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, che istituisce l’Autorità europea di vigilanza (Autorità bancaria europea), modifica la decisione n. 716/2009/CE e abroga la decisione 2009/78/CE della Commissione (GU 2010, L 331, pag. 12), il 19 dicembre 2014 ha fissato gli orientamenti sulle procedure e le metodologie comuni da applicare nell’ambito dello SREP (ABE/GL/2014/13).

8        Il meccanismo di risoluzione unico (che rientra nel secondo pilastro menzionato al precedente punto 1), quale istituito dal regolamento (UE) n. 806/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 luglio 2014, che fissa norme e una procedura uniformi per la risoluzione degli enti creditizi e di talune imprese di investimento nel quadro del meccanismo di risoluzione unico e del Fondo di risoluzione unico e che modifica il regolamento (UE) n. 1093/2010 (GU 2014, L 225, pag. 1), prevede la creazione di un fondo di risoluzione unico al quale devono contribuire gli enti creditizi. Inoltre, fa parte del quadro giuridico pertinente anche la direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento e che modifica la direttiva 82/891/CEE del Consiglio, e le direttive 2001/24/CE, 2002/47/CE, 2004/25/CE, 2005/56/CE, 2007/36/CE, 2011/35/UE, 2012/30/UE e 2013/36/UE e i regolamenti (UE) n. 1093/2010 e (UE) n. 648/2012, del Parlamento europeo e del Consiglio (GU 2014, L 173, pag. 190). Tale direttiva prevede un regime specifico di prevenzione e di gestione dei dissesti bancari. Essa impone segnatamente la creazione, in ciascuno Stato membro, di un meccanismo destinato a finanziare la risoluzione sul piano nazionale, ossia il fondo di risoluzione nazionale, al quale devono contribuire gli enti creditizi dello Stato membro interessato.

9        Il terzo pilastro dell’unione bancaria (v. punto 1 supra), ossia la creazione di un sistema europeo di garanzia dei depositi, non è ancora completato. È tuttavia stata adottata la direttiva 2014/49/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, relativa ai sistemi di garanzia dei depositi (GU 2014, L 173, pag. 149), che mira a rafforzare la tutela dei depositanti istituendo un sistema di garanzia prefinanziato in ogni Stato membro. Tale sistema garantisce a ciascun depositante che il suo risparmio sarà integralmente preservato fino a un importo massimo di EUR 100 000.

10      Per quanto riguarda il finanziamento del fondo di risoluzione unico e dei sistemi di garanzia dei depositi istituiti nell’ambito del secondo e terzo pilastro, occorre sottolineare che i contributi che gli enti creditizi sono tenuti a versare al fondo di risoluzione unico e al sistema di garanzia dei depositi possono essere corrisposti o mediante un versamento immediato o mediante un impegno di pagamento irrevocabile (in prosieguo: l’«IPC»).

11      L’articolo 70, paragrafo 3, del regolamento n. 806/2014 prevede infatti che gli enti creditizi che scelgono di versare contributi avvalendosi di un IPC si impegnano a versare l’importo del contributo al fondo di risoluzione unico e al sistema di garanzia dei depositi alla prima richiesta.

12      Secondo l’articolo 70, paragrafo 3, del regolamento n. 806/2014, gli IPC devono essere integralmente coperti dalla garanzia di attività a basso rischio non gravate da diritti di terzi (messe a libera disposizione delle autorità di risoluzione o del sistema di garanzia dei depositi) e poter essere liquidati entro un breve termine. Tale requisito figura altresì all’articolo 103, paragrafo 3, della direttiva 2014/59 e all’articolo 13, paragrafo 3, del regolamento delegato (UE) 2015/63 della Commissione, del 21 ottobre 2014, che integra la direttiva 2014/59/UE per quanto riguarda i contributi ex ante ai meccanismi di finanziamento della risoluzione (GU 2015, L 11, pag. 44). La garanzia assume in pratica la forma di un deposito in contanti di importo equivalente a quello dell’IPC, messo a libera disposizione delle autorità di risoluzione o del sistema di garanzia dei depositi, come risulta da una decisione adottata dal Comitato di risoluzione unico, nel 2016, e dal diritto francese che traspone la direttiva 2014/49.

13      Si deve, infine, menzionare che l’11 settembre 2015 l’ABE ha fissato orientamenti sugli impegni di pagamento a titolo della direttiva 2014/49 (EBA/GL/2015/09) (in prosieguo: gli «orientamenti sugli impegni di pagamento»).

14      Gli orientamenti sugli impegni di pagamento, ai quali la BCE ha dichiarato di conformarsi, confermano che, in determinate circostanze, gli IPC possono essere oggetto di misure prudenziali. Infatti, dai punti da 31 a 33 di tali orientamenti emerge quanto segue:

«31. Il trattamento prudenziale degli impegni di pagamento dovrebbe mirare a garantire che vi siano condizioni paritarie (level playing field) e attenuare l’effetto prociclico di tali impegni in funzione del loro trattamento contabile.

32. Se il trattamento contabile è tale che l’impegno di pagamento risulta pienamente riportato nel bilancio (come passività) o è tale che il contratto di garanzia risulta pienamente riportato a conto economico, non dovrebbe essere necessario applicare un trattamento prudenziale ad hoc per attenuare gli effetti prociclici.

33. Per contro, se il trattamento contabile comporta che l’impegno di pagamento e il contratto di garanzia restino fuori bilancio, all’interno del[SREP] le autorità competenti dovrebbero valutare i rischi ai quali la posizione patrimoniale e la posizione di liquidità di un ente creditizio sarebbero esposte qualora il [sistema di garanzia dei depositi] richiamasse tale ente al pagamento in contanti del suo impegno, e dovrebbero esercitare poteri adeguati a garantire che l’effetto prociclico venga attenuato mediante requisiti aggiuntivi in materia di capitale/liquidità».

 Fatti

15      La ricorrente, la BNP Paribas, è un ente significativo ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 4, del regolamento n. 1024/2013 e rientra nella vigilanza prudenziale diretta della BCE dal 4 novembre 2014.

16      Il 14 settembre 2017 la BCE ha trasmesso alla ricorrente un progetto di decisione ai sensi dello SREP vertente, in particolare, sull’IPC. Tale progetto comportava segnatamente il requisito prudenziale di detrarre l’importo cumulativo degli IPC esistenti dal capitale primario di classe 1. La ricorrente è stata invitata a pronunciarsi su tale progetto.

17      Con missiva del 29 settembre 2017 la ricorrente ha presentato le proprie osservazioni.

18      Il 19 dicembre 2017, in applicazione dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera f), e dell’articolo 16 del regolamento n. 1024/2013, la BCE ha adottato la decisione ECB/SSM/2017-R0MUWSFPU8MPRO8K5P83/248, che impone che gli importi cumulativi degli IPC sottoscritti nei confronti dei sistemi di garanzia dei depositi o i fondi di risoluzione siano detratti dal capitale primario di classe 1 (in prosieguo: la «decisione del 19 dicembre 2017»).

19      La ricorrente ha presentato ricorso avverso la decisione del 19 dicembre 2017 dinanzi alla commissione amministrativa del riesame della BCE, che ha emesso un parere il 19 marzo 2018.

20      Il 26 aprile 2018, a seguito del parere della commissione amministrativa del riesame, la BCE ha deciso di sostituire la decisione del 19 dicembre 2017 con la decisione ECB-SSM-2018-FRBNP-17 (in prosieguo: la «decisione del 26 aprile 2018»). La sezione di tale decisione vertente sugli IPC è rimasta invariata.

 Procedimento e conclusioni delle parti

21      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 1° marzo 2018 la ricorrente ha proposto un ricorso di annullamento avverso la decisione del 19 dicembre 2017, iscritto a ruolo con il numero di causa T‑150/18.

22      Il controricorso, la replica e la controreplica nella causa T‑150/18 sono stati depositati presso la cancelleria del Tribunale, rispettivamente, il 30 maggio, il 7 settembre e il 24 ottobre 2018.

23      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 1° giugno 2018, la ricorrente ha presentato un ricorso di annullamento contro la decisione del 26 aprile 2018, iscritto a ruolo con il numero di causa T‑345/18.

24      Il controricorso, la replica e la controreplica nella causa T‑345/18 sono stati depositati presso la cancelleria del Tribunale, rispettivamente, il 26 luglio, il 20 settembre e il 5 novembre 2018.

25      Su proposta della Seconda Sezione, il Tribunale, in applicazione dell’articolo 28 del proprio regolamento di procedura, ha deciso di rimettere le cause T‑150/18 e T‑345/18 dinanzi a un collegio giudicante ampliato.

26      Il 23 aprile 2019, a seguito dell’adozione della decisione ECB-SSM-2019-FRBNP-12 della BCE, del 14 febbraio 2019, che ha sostituito la decisione del 26 aprile 2018 a decorrere dal 1° marzo 2019 e che ha imposto la stessa misura di detrazione (in prosieguo: la «decisione del 14 febbraio 2019»), la ricorrente ha depositato presso la cancelleria del Tribunale una memoria di adattamento in cui chiede altresì l’annullamento parziale della decisione del 14 febbraio 2019, sul fondamento degli stessi motivi invocati nel ricorso contro la decisione del 26 aprile 2018.

27      Con decisione del Presidente del Tribunale del 23 aprile 2019 le presenti cause sono state assegnate a un nuovo giudice relatore, appartenente alla Seconda Sezione.

28      Con missiva del 17 maggio 2019 la BCE ha presentato le proprie osservazioni sulla memoria di adattamento e ha chiesto il rigetto del ricorso nella sua interezza.

29      Su proposta del giudice relatore, il Tribunale (Seconda Sezione ampliata) ha deciso di avviare la fase orale del procedimento.

30      Con decisione del 5 agosto 2019 il Presidente della Seconda Sezione ampliata ha deciso di riunire le cause ai fini della fase orale del procedimento.

31      Le parti hanno svolto le loro difese orali e hanno risposto ai quesiti posti dal Tribunale all’udienza dell’11 settembre 2019.

32      Nella causa T‑150/18, la ricorrente chiede, in sostanza, che il Tribunale voglia:

–        annullare i punti da 9.1 a 9.3 della decisione del 19 dicembre 2017;

–        condannare la BCE alle spese.

33      Nella causa T‑150/18, la BCE chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

34      Nella causa T‑345/18, la ricorrente chiede, in sostanza, che il Tribunale voglia:

–        annullare i punti da 9.1 a 9.3 della decisione del 26 aprile 2018;

–        annullare i punti da 8.1 a 8.4 della decisione del 14 febbraio 2019;

–        condannare la BCE alle spese.

35      Nella causa T‑345/18, la BCE chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

 Decisioni impugnate

36      Come emerge dai precedenti punti 18, 20 e 26, nelle decisioni del 19 dicembre 2017, del 26 aprile 2018 e del 14 febbraio 2019 (congiuntamente, in prosieguo: le «decisioni impugnate»), la BCE ha imposto alla ricorrente di detrarre un importo equivalente a quello degli IPC sottoscritti nei confronti dei sistemi di garanzia dei depositi o dei fondi di risoluzione dal capitale primario di classe 1.

37      Nelle decisioni impugnate, la BCE ha ritenuto che fosse necessario garantire una solida copertura dei rischi ai quali gli IPC, essendo trattati come elementi fuori bilancio, esponevano la ricorrente. Al punto 8.2 della decisione del 14 febbraio 2019, essa ha precisato l’importo della detrazione mediante l’applicazione della seguente formula: CET1adj = CET1unadj – c. In detta formula, «CET1adj» indicava il capitale primario di classe 1 dopo l’adeguamento dell’ente interessato sottoposto alla vigilanza prudenziale, «CET1unadj» il capitale primario di classe 1 di tale ente prima dell’adeguamento e «c» il minore importo tra, da un lato, il giusto valore delle attività vincolate o delle garanzie in contanti fornite al fine di garantire l’importo cumulativo degli stock dell’IPC dell’ente interessato sottoposto alla vigilanza prudenziale e, dall’altro, l’importo nominale dell’IPC totali esistenti dell’ente interessato sottoposto alla vigilanza prudenziale che essi garantivano.

38      A tal riguardo, la BCE si è fondata, come risulta dal punto 8.3 della decisione del 14 febbraio 2019, sui seguenti motivi:

«[L]e garanzie in contanti fornite per garantire gli IPC sono indisponibili fino a che il pagamento su richiesta dell’autorità di risoluzione o del sistema di garanzia dei depositi:

–        se un siffatto pagamento è effettuato, gli IPC esistenti sono contabilizzati come spese aventi un’incidenza negativa sul capitale primario di classe 1, il che significa che le garanzie in contanti fornite diventeranno disponibili solo quando il pagamento in contanti avrà già avuto un impatto sul capitale primario di classe 1;

–        se un siffatto pagamento non è stato effettuato, l’autorità di risoluzione o il sistema di garanzia di deposito utilizzerà le garanzie in contanti fornite, il che avrà un impatto negativo diretto sul capitale primario di categoria 1.

Di conseguenza, (…) le garanzie in contanti non saranno mai disponibili per coprire perdite che l’ente sottoposto alla vigilanza prudenziale potrebbe regolarmente subire. Inoltre, l’autorità di risoluzione e il sistema di garanzia dei depositi possono entrambi imporre l’esecuzione degli IPC nel momento in cui un ente creditizio specifico è soggetto a un procedimento di risoluzione o di liquidazione e, a quel punto, un pagamento in contanti degli IPC esistenti sarà contabilizzato come una perdita avente un impatto negativo sul capitale primario di classe 1. Ciò può avvenire nel corso di un periodo di tensioni sistemiche accompagnate da possibili effetti prociclici. L’importo per il quale sono fornite garanzie in contanti dovrebbe quindi essere ritenuto come non disponibile per la copertura delle perdite dell’ente creditizio interessato. Attualmente, ciò non è rispecchiato nel capitale primario di classe 1 dell’ente sottoposto alla vigilanza prudenziale, che, di conseguenza, non fornisce una visione esatta della sua solidità finanziaria reale e dei rischi che esso incorre per quanto attiene all’uso degli IPC».

39      Le parti convengono che la decisione del 14 febbraio 2019 è in sostanza identica alle decisioni del 19 dicembre 2017 e del 26 aprile 2018 per quanto riguarda sia il dispositivo sia i motivi addotti a sostegno di quest’ultimo.

40      La BCE ha così concluso che il ricorso agli IPC conduceva alla situazione problematica di cui all’articolo 16, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 1024/2013 e che, al fine di porre rimedio a tale problema, poteva esercitare i poteri ad essa conferiti dall’articolo 16, paragrafo 2, lettera d), di tale regolamento per imporre ad ogni destinatario di tali decisioni di applicare alle proprie attività una specifica politica di copertura o trattamento speciale in termini di requisiti in materia di fondi propri.

 In diritto

41      Sentite le parti in udienza a tal riguardo, il Tribunale decide di riunire le presenti cause ai fini della decisione che pone fine al giudizio, conformemente all’articolo 68 del regolamento di procedura.

42      Nell’ambito dei presenti ricorsi, diretti all’annullamento parziale delle decisioni impugnate, la ricorrente deduce quattro motivi. Il primo motivo verte su un’assenza di base giuridica in quanto la BCE avrebbe imposto un requisito prudenziale di portata generale sebbene tale potere sia riservato al legislatore. Il secondo motivo verte su un errore di diritto risultante da un’interpretazione errata delle disposizioni del diritto dell’Unione che consentono il ricorso all’IPC e sulla vanificazione dell’effetto utile di tali disposizioni. Il terzo motivo verte su una violazione del principio di proporzionalità. Il quarto motivo verte su un errore di valutazione e sulla violazione del principio di buona amministrazione.

43      Il primo motivo, vertente su un’assenza di base giuridica, si articola in due censure. Nell’ambito della prima censura, la ricorrente deduce, in sostanza, che, tenuto conto delle norme che delimitano l’attuazione da parte della BCE del suo compito di vigilanza prudenziale, le decisioni impugnate stabiliscono un requisito prudenziale nuovo e di portata generale. La BCE non avrebbe effettuato alcuna valutazione dei rischi d’insolvenza e di liquidità della ricorrente e non avrebbe valutato il profilo di rischio della ricorrente.

44      La seconda censura si basa sul fatto che la BCE ha ecceduto i poteri previsti dall’articolo 4, paragrafo 1, lettera f), e dall’articolo 16, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 1024/2013. In primo luogo, la ricorrente sostiene che l’articolo 16, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 1024/2013 è stato violato per il fatto che la BCE non ha dimostrato in che modo non garantivano una gestione sana e una copertura dei suoi rischi i dispositivi, le strategie, i processi e i meccanismi che essa aveva attuato come pure i fondi propri e le liquidità che essa deteneva, in quanto la BCE si è limitata a stilare un elenco di considerazioni di portata generale e vaga. In secondo luogo, essa sostiene che l’articolo 4, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 1024/2013 prevede che la BCE possa imporre agli enti creditizi requisiti specifici di fondi propri supplementari solo qualora disposizioni dei regolamenti di cui trattasi e della direttiva 2013/36 consentano espressamente alle autorità competenti di agire. Orbene, nessuna disposizione consentirebbe alle autorità competenti d’imporre un requisito di capitale aggiuntivo mediante una deduzione forfettaria a titolo di elementi fuori bilancio. La detrazione integrale e permanente degli IPC non è infatti prevista dalla normativa applicabile. La detrazione dei fondi propri è prevista solo all’articolo 36 del regolamento n. 575/2013. In terzo luogo e in ogni caso, la detrazione potrebbe essere applicata, in forza dell’articolo 104, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2013/36 e dell’articolo 16, paragrafo 2, lettera d), del regolamento n. 1024/2013, solo a elementi di attività, e non ad elementi fuori bilancio. Gli orientamenti dello SREP prevederebbero la possibilità d’imporre un requisito di capitale supplementare o mediante un requisito aggiuntivo di fondi propri o mediante misure previste dall’articolo 104 della direttiva 2013/36, ossia un trattamento di attività iscritte al bilancio.

45      La BCE contesta tale motivo. Per quanto riguarda la prima censura, essa sottolinea di non aver imposto alcuna norma nuova e generale e sostiene che il trattamento prudenziale degli IPC è estraneo ai testi che disciplinano questi ultimi (la direttiva 2014/49 e il regolamento n. 806/2014). Le decisioni impugnate sarebbero state adottate nell’ambito del processo di vigilanza e di valutazione prudenziale definito all’articolo 4, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 1024/2013 e nel rispetto dell’articolo 16, paragrafo 1, lettera c), del medesimo regolamento. In tale ambito, essa contesta la censura relativa all’assenza di esame individuale, sottolineando che il livello di fondi propri non influisce sull’esistenza del rischio che giustifica le decisioni impugnate in quanto tale rischio consiste nel fatto che il capitale primario di classe 1 realmente disponibile non mette la ricorrente in condizione di coprire un livello di rischio equivalente a quello che dovrebbe essere coperto dal capitale primario di classe 1 quale figura nel suo bilancio.

46      Inoltre, le decisioni impugnate non sarebbero altro che un insieme di decisioni individuali opponibili ai soli destinatari, le quali fissano requisiti propri a ogni entità, e i cui effetti sarebbero diversi per ognuna di esse. Inoltre, poiché gli enti creditizi sono esposti a rischi identici, le misure dovrebbero logicamente essere formulate in modo identico.

47      Per quanto attiene alla seconda censura, la BCE contesta di aver oltrepassato i poteri di cui la normativa l’ha dotata, sostenendo di aver fatto corretto uso delle proprie prerogative per mettere l’ente creditizio in grado di coprire correttamente i rischi ai quali si esponeva. La misura in questione sarebbe basata sull’articolo 16, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 1024/2013, che affida alla BCE missioni specifiche riguardanti le politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi. Secondo la BCE, infatti, l’esame della situazione individuale della ricorrente aveva evidenziato che taluni rischi ai quali era esposta non erano correttamente coperti. Una siffatta constatazione sarebbe sufficiente per dimostrare che la ricorrente si trovava in una delle ipotesi contemplate da tale articolo e giustificherebbe l’imposizione di una misura al fine di porvi rimedio.

48      Inoltre, l’articolo 16, paragrafo 2, lettera d), del regolamento n. 1024/2013 le consentirebbe d’imporre «un trattamento specifico con riferimento ai requisiti in materia di fondi propri» e la detrazione dell’IPC costituirebbe un trattamento siffatto. Di conseguenza, poiché la misura di detrazione si inserisce nell’ambito del secondo pilastro, il riferimento fatto dalla ricorrente all’articolo 36 del regolamento n. 575/2013 e all’elenco di detrazioni del capitale primario di classe 1 stabilito da tale articolo sarebbe irrilevante. Infine, secondo la BCE e contrariamente a quanto afferma la ricorrente, gli IPC in quanto elementi fuori bilancio possono essere oggetto di misure prudenziali. Essa si riferisce a tal riguardo, segnatamente, agli orientamenti dell’ABE che le ingiungono di adottare misure appropriate per coprire i rischi prociclici se l’impegno di pagamento e la garanzia che l’accompagna non figurano nel bilancio. Secondo la BCE, l’ABE ritiene che non si incorra nessun rischio procicilico nella sola ipotesi in cui gli IPC sono oggetto di un trattamento contabile identico a quello di un contributo in contanti. La BCE rammenta altresì che la garanzia che accompagna l’IPC costituisce un’attività registrata nel bilancio dell’ente. Detto impegno si rifletterebbe quindi nella garanzia che l’accompagna, il che implicherebbe che devono essere trattati come un insieme inscindibile.

 Sulla prima censura, relativa a uneventuale assenza di base giuridica

49      In termini di requisiti prudenziali, al pari delle parti nella presente controversia, si deve effettuare una distinzione tra, da un lato, gli obblighi di natura regolamentare, altresì denominati, in tale contesto «pilastro 1», e, dall’altro, le misure prudenziali aggiuntive, denominate a loro volta, in tale contesto, «pilastro 2».

50      Infatti, i requisiti prudenziali minimi generali sono fissati dal legislatore e figurano principalmente nel regolamento n. 575/2013, conformemente a quanto già menzionato al precedente punto 2. Detto regolamento stabilisce i requisiti in materia di fondi propri applicabili a tutti gli enti creditizi assoggettati. Ne discende che ogni ente deve disporre, in qualsiasi momento, di un livello sufficiente di fondi propri. Inoltre, per quanto riguarda il capitale primario di classe 1, il regolamento n. 575/2013 definisce gli strumenti che possono essere classificati tra tali fondi e impone che gli enti creditizi applichino i filtri prudenziali menzionati agli articoli da 32 a 35 di tale regolamento, consistenti segnatamente nell’escludere determinati elementi, nel correggere il loro valore o nel detrarre dal capitale primario di classe 1 gli elementi elencati agli articoli da 36 a 47 del medesimo regolamento.

51      Concretamente, l’articolo 26, paragrafo 1, primo comma, del regolamento n. 575/2013 elenca gli elementi del capitale primario di classe 1 così individuati: «a) strumenti di capitale (...); b) sovrapprezzi di emissione relativi agli strumenti [di capitale]; c) utili non distribuiti; d) altre componenti di conto economico complessivo accumulate; e) altre riserve; f) fondi per rischi bancari generali». Tale capitale primario di classe 1 costituisce quello tra i più solidi di cui dispone l’ente creditizio ed è immediatamente utilizzabile senza restrizioni.

52      L’articolo 36 del regolamento n. 575/2013 prevede che vari elementi devono essere detratti dal capitale primario di classe 1, tra cui, segnatamente, le perdite relative all’esercizio in corso, i beni immateriali, le attività fiscali differite che si basano sulla redditività futura e le partecipazioni in altri enti creditizi o finanziari.

53      Accanto a tali adeguamenti prudenziali applicabili in modo generale a tutti gli enti creditizi, il diritto dell’Unione autorizza il supervisore, nel caso di specie, la BCE, a imporre altre misure, caso per caso e tenuto conto della situazione specifica di ciascun ente, segnatamente nell’ambito della sua missione consistente nell’effettuare le valutazioni prudenziali conformemente all’articolo 4, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 1024/2013.

54      Per quanto attiene alla questione se la BCE abbia oltrepassato la propria competenza in quanto avrebbe imposto un requisito prudenziale di portata generale, si deve rilevare che è pacifico che la BCE non ha potere regolamentare nell’ambito del primo pilastro, che riguarda le obbligazioni di natura regolamentare, poiché tale potere è competenza esclusiva del legislatore dell’Unione.

55      La competenza della BCE è subordinata, infatti, nell’ambito dei suoi compiti di vigilanza prudenziale – segnatamente quello che essa esercita in forza dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 1024/2013 –, alla realizzazione di un esame individuale al fine di verificare l’adeguatezza dei fondi propri di enti vigilati direttamente rispetto ai rischi ai quali essi sono o potrebbero essere esposti. Una volta effettuate tali verifiche, la BCE, sulla base della vulnerabilità e delle carenze individuate, può imporre misure correttive.

56      A tal riguardo, si deve constatare che, al momento dell’adozione delle decisioni impugnate, la BCE si è posta nell’ambito dei controlli e delle valutazioni prudenziali rientranti nel secondo pilastro. Infatti, in primo luogo, nella parte introduttiva delle decisioni impugnate, la BCE ha indicato di aver esercitato la vigilanza prudenziale ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 1024/2013. In forza di tale disposizione, alla BCE è stata conferita la competenza esclusiva ad esercitare il compito consistente nell’effettuare controlli prudenziali diretti a determinare se i dispositivi, le strategie, i processi e i meccanismi instaurati dagli enti creditizi e i fondi propri da essi detenuti permettano una gestione solida e la copertura dei rischi e, alla luce di tale valutazione prudenziale, imporre agli enti creditizi, segnatamente, obblighi specifici in materia di fondi propri aggiuntivi, specifici requisiti di liquidità, nonché altre misure, ove specificamente contemplati dal pertinente diritto dell’Unione.

57      In secondo luogo, dai punti dedicati agli IPC nelle decisioni impugnate e oggetto della domanda di annullamento parziale, ossia il punto 9 della decisione del 19 dicembre 2017, il punto 9 della decisione del 26 aprile 2018 e il punto 8 della decisione del 14 febbraio 2019, emerge che la BCE si è fondata su due disposizioni per imporre la detrazione degli IPC del capitale primario di classe 1.

58      Si tratta, da un lato, dell’articolo 16, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 1024/2013. Quest’ultimo prevede che, ai fini dell’assolvimento dei compiti di cui all’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 1024/2013, la BCE dispone dei poteri, enunciati all’articolo 16, paragrafo 2, del medesimo regolamento, d’imporre a qualsiasi ente creditizio di adottare le misure necessarie per affrontare problemi pertinenti in determinate circostanze. Rientra tra tali circostanze quella in cui, nell’ambito di una valutazione prudenziale in applicazione dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 1024/2013, la BCE constata che i dispositivi, le strategie, i processi e i meccanismi instaurati dall’ente creditizio nonché i fondi propri e la liquidità da esso detenuti non permettono una gestione solida e la copertura dei suoi rischi.

59      Si tratta, d’altro lato, dell’articolo 16, paragrafo 2, lettera d), del regolamento n. 1024/2013, che funge da fondamento al punto 9 delle decisioni del 19 dicembre 2019 e del 26 aprile 2018 e al punto 8 della decisione del 14 febbraio 2019. Tale disposizione prevede che la BCE è investita, in particolare, del potere di esigere che gli enti applichino una politica di accantonamenti specifica o che riservino alle voci dell’attivo un trattamento specifico con riferimento ai requisiti in materia di fondi propri.

60      Ne consegue che l’approccio della BCE si è iscritto nell’ambito dei suoi poteri di vigilanza prudenziale rientranti nel secondo pilastro. Di conseguenza, la misura adottata dalla BCE non è priva di base giuridica. Perciò, nei limiti in cui la ricorrente, con la prima censura del primo motivo, ha invocato l’assenza di base giuridica, quest’ultimo deve essere respinto.

 Sulla seconda censura, relativa a uneventuale assenza di esame individuale

61      Nell’ambito della seconda censura, occorre verificare se la BCE abbia correttamente esercitato, nel caso di specie, i poteri ad essa conferiti in forza del secondo pilastro. A tal riguardo, come emerge dai precedenti punti 58 e 59, al fine di esercitare i propri poteri a titolo dell’articolo 16, paragrafo 2, lettera d), del regolamento n. 1024/2013, la BCE deve procedere a un esame individuale della situazione di ciascun ente creditizio al fine di poter valutare se «i dispositivi, le strategie, i processi e i meccanismi attuati dall’ente creditizio e i fondi propri e la liquidità da esso detenuti non permettono una gestione solida e la copertura dei suoi rischi».

62      A tal riguardo, occorre esaminare, fondandosi sul ragionamento che compare nelle decisioni impugnate, in che modo la BCE abbia esercitato, nel caso di specie, i propri poteri di controllo e di valutazione prudenziale nei confronti della ricorrente.

63      Dal ragionamento seguito nel caso di specie dalla BCE, come ripreso al precedente punto 38, risulta che il rischio da essa individuato consisteva nella sopravvalutazione del capitale primario di classe 1, rischio che traeva la propria origine nel fatto che gli IPC sono trattati come un elemento fuori bilancio, che non sono quindi iscritti nel passivo del bilancio dell’ente creditizio e che la garanzia connessa agli IPC è indisponibile fino al pagamento degli IPC.

64      Infatti, quando un ente creditizio sottoscrive un IPC, il capitale primario di classe 1 di tale ente resta a un livello invariato. Tuttavia, le somme trasferite a titolo della garanzia non possono più essere impiegate per coprire in continuità le perdite eventuali dell’attività.

65      Poiché il rischio risiede, secondo la BCE, nella differenza tra l’importo del proprio capitale primario di classe 1 dichiarato dall’ente di cui trattasi e l’importo reale delle perdite che è in grado di sopportare, la BCE, nel suo ruolo di supervisore prudenziale, ha ritenuto, come risulta dalle decisioni impugnate riassunte ai precedenti punti 38 e 40, che siffatta situazione non fornisse un quadro esatto della reale solidità finanziaria dell’ente creditizio interessato, né dei rischi che quest’ultimo incorreva per quanto attiene all’uso degli IPC.

66      Si deve necessariamente constatare che il ragionamento seguito dalla BCE non deriva da una pura astrazione, poiché si fonda sulla constatazione che la ricorrente ha fatto ricorso agli IPC e che essa tratta tali IPC quali elementi fuori bilancio.

67      Tenuto conto, segnatamente, dell’importanza che il capitale primario di classe 1 riveste nella solidità finanziaria degli enti e, più in generale, nella stabilità del settore finanziario, non può essere negata l’esistenza del rischio così individuato dalla BCE, e tale rischio è inoltre confermato dagli orientamenti sugli impegni di pagamento dell’ABE. Da tali orientamenti (v. punto 14 supra) emerge, infatti, che le autorità competenti, ivi compresa la BCE, devono valutare, nell’ambito dello SREP, i rischi cui sarebbero esposte le posizioni di capitale e di liquidità di un ente creditizio che tratta i suoi IPC fuori bilancio.

68      Inoltre, a tal riguardo, si deve constatare che le parti concordano sul fatto che, a livello del trattamento contabile, gli IPC sono generalmente contabilizzati, come nel caso di specie, quali elementi fuori bilancio ed esso saranno registrati nel bilancio come perdita, diminuendo in pari misura il capitale primario di categoria 1, solo al momento in cui l’ente creditizio sarà tenuto a versare la somma a uno dei fondi interessati.

69      Si deve altresì constatare che non sono gli IPC in quanto tali ad essere oggetto della misura di detrazione di cui trattasi, ma le somme poste in garanzia, come discende dal punto 8.2 della decisione del 14 febbraio 2019. Le somme poste in garanzia costituiscono generalmente un attivo registrato nel bilancio dell’ente creditizio. Infatti, le garanzie degli IPC sono obbligatoriamente attività liquide che presentano un debole rischio. Esse assumono in pratica la forma di un deposito in contanti di un importo equivalente a quello degli IPC, posti alla libera disposizione delle autorità di risoluzione o del sistema di garanzia dei depositi. In altri termini, gli IPC si riflettono nella sua garanzia e tali due elementi presentano un nesso inscindibile e non possono quindi essere considerati separatamente.

70      Pertanto, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, la BCE ha considerato, senza incorrere in errori di diritto al riguardo, che il trattamento prudenziale degli IPC, e quindi la garanzia da esso inscindibile, poteva dar luogo all’applicazione di una delle misure previste dall’articolo 16, paragrafo 2, lettera d), del regolamento n. 1024/2013, e ciò nonostante il fatto che, a livello contabile, gli IPC in quanto tali sono contabilizzati come elementi fuori bilancio.

71      Si deve pertanto respingere l’argomento della ricorrente relativo al fatto che, poiché gli IPC sono trattati fuori bilancio, non possono, per tale motivo, essere oggetto della politica specifica prevista dall’articolo 16, paragrafo 2, lettera d), del regolamento n. 1024/2013.

72      Tuttavia, occorre esaminare se, nel caso di specie, la BCE abbia effettuato l’esame individuale del profilo di rischio della ricorrente ad essa imposto dall’articolo 16, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 1024/2013 (v. punto 61 supra) e, più concretamente, se i dispositivi, le strategie, i processi e i meccanismi che la ricorrente aveva attuato e i fondi propri e le liquidità da essa detenuti non le consentissero di far fonte al rischio così individuato, derivante dal trattamento contabile degli IPC come elementi fuori bilancio e dall’indisponibilità della garanzia connessa a questi ultimi.

73      A tal riguardo, la ricorrente e la BCE hanno opinioni opposte per quanto concerne l’esame effettuato da quest’ultima.

74      La BCE sostiene di aver esaminato tutte le circostanze pertinenti. La ricorrente ritiene, invece, che il ragionamento della BCE sia fondato unicamente su considerazioni di carattere generale, e non su un qualsivoglia esame in concreto che abbia avuto come oggetto, segnatamente, di valutare il profilo di rischio di un ente in particolare. Secondo la ricorrente, se un siffatto esame fosse stato realizzato, esso avrebbe dimostrato che l’importo del capitale primario di classe 1 di cui disponeva era sufficiente per far fronte a eventuali perdite che avrebbe potuto subire nell’ipotesi in cui dovessero essere escussi gli IPC da essa sottoscritti.

75      Nel caso di specie, dalle decisioni impugnate risulta che la BCE ha constatato che la ricorrente si era avvalsa del dispositivo dell’IPC e che essa trattava l’IPC come un elemento fuori bilancio mentre la garanzia ad esso relativa figurava come attività nel bilancio. La BCE ha indicato nella decisione del 14 febbraio 2019 l’importo totale degli IPC esistenti per i quali la ricorrente forniva garanzie in contanti, tanto a livello consolidato che per entità della ricorrente. Essa ha poi calcolato la percentuale dell’importo di esposizione al rischio in applicazione dell’articolo 92, paragrafo 3, del regolamento n. 575/2013. Così facendo, la BCE ha stabilito il livello dell’esposizione della ricorrente al rischio originato dall’avere sottoscritto gli IPC. Risulta altresì dal fascicolo di cui dispone il Tribunale che, pur se un siffatto esercizio di calcolo non compariva nella decisione del 19 dicembre 2017 e del 26 aprile 2018, al momento dell’adozione di tali decisioni la BCE disponeva delle informazioni pertinenti per valutarlo.

76      Orbene, il ragionamento della BCE equivale a ritenere che il trattamento contabile degli IPC fuori bilancio sia, di per sé, problematico, poiché tale trattamento implica per definizione una sopravvalutazione del capitale primario di classe 1. La posizione della BCE emerge soprattutto dalle memorie dinanzi al Tribunale e dalle sue dichiarazioni all’udienza. Essa ha infatti dichiarato che il rischio a cui la misura di cui trattasi doveva porre rimedio risultava dal fatto che il trattamento contabile applicabile agli IPC non rifletteva l’indisponibilità delle somme stanziate a tale titolo nella ratio del capitale primario di classe 1 dell’ente contribuente. Secondo la BCE, tale situazione le avrebbe consentito di ricorrere, in modo proporzionato, ai poteri di cui essa disponeva in forza dell’articolo 16, paragrafo 2, del regolamento n. 1024/2013. Siffatto ragionamento, anche se è applicato concretamente alla ricorrente, rientra tuttavia in constatazioni di carattere generale idonee ad applicarsi a qualsiasi ente creditizio che opti per il trattamento fuori bilancio degli IPC senza tener conto di una qualsivoglia circostanza propria dell’ente interessato.

77      Le decisioni impugnate, invece, non indicano alcun esame individuale che sia stato effettuato dalla BCE e fosse diretto a verificare se la ricorrente avesse attuato dispositivi, strategie, processi e meccanismi ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera f), e dell’articolo 16, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 1024/2013 al fine di far fronte ai rischi prudenziali legati al trattamento degli IPC fuori bilancio e, se del caso, ad assicurarsi della loro pertinenza rispetto a tali rischi.

78      A tal riguardo, si deve rammentare che il ricorso agli IPC è espressamente ammesso e disciplinato dal legislatore. Certamente, come sostenuto dalla BCE, il regolamento n. 806/2014 e la direttiva 2014/49 non affrontano la questione del trattamento contabile degli IPC. Inoltre, la possibilità, prevista dal legislatore, di ricorrere, per una percentuale limitata, agli IPC al fine di finanziare i fondi e i sistemi di garanzia non esclude l’esistenza di un rischio prudenziale. L’eventualità di siffatto rischio può altresì essere dedotta dagli orientamenti sugli impegni di pagamento. Tuttavia, e senza doversi pronunciare sull’esattezza dell’interpretazione fornita dalla BCE riguardo agli orientamenti sugli impegni di pagamento, ossia che il solo modo di escludere un rischio prociclico consiste nel trattare, dal punto di vista contabile, gli IPC in maniera identica a un contributo in contanti, ciò non toglie che dall’articolo 16 del regolamento n. 1024/2013, nonché dagli orientamenti sugli impegni di pagamento nei limiti in cui essi si riferiscano all’esame attuato nell’ambito dello SREP, risulta che è richiesto un esame caso per caso.

79      Orbene, come già rilevato (v. punto 76 supra), dall’approccio della BCE discende che quest’ultima ha ritenuto che, dal momento che un ente optava per il ricorso agli IPC e per un trattamento fuori bilancio, sussisteva un rischio, rendendo superfluo qualsiasi esame più circostanziato della situazione propria di tale ente.

80      Inoltre, l’argomento della BCE secondo cui la misura in questione è stata adottata nell’ambito dello SREP, e ogni decisione adottata in tale contesto sarebbe quindi una decisione individuale la cui portata non eccederebbe il suo destinatario, non è pertinente. Certamente, come sostiene la BCE, rischi identici possono essere coperti da misure identiche. Tuttavia, la circostanza che la misura di cui trattasi sia stata adottata nell’ambito dell’esercizio derivante dall’attuazione dello SREP non comporta che la misura prudenziale emessa in tale contesto sia necessariamente una decisione adottata a seguito di un esame individuale che prende in considerazione le circostanze proprie della ricorrente.

81      Inoltre, neppure l’argomento della BCE secondo cui, prima dell’adozione delle decisioni impugnate, essa avrebbe effettuato un esame individuale in occasione dello studio d’impatto può essere accolto. Infatti, un esame del genere mira tutt’al più a valutare le conseguenze dell’adozione di una misura rispetto agli obiettivi perseguiti. È certamente corretto affermare che uno studio di impatto può essere utile ai fini della valutazione della proporzionalità della misura di cui trattasi, come emerge, in sostanza, dall’argomentazione della BCE nel sostenere che detto studio dimostra che la misura avrebbe solo un lieve impatto in termini di fondi propri supplementari e non dovrebbe quindi presentare un onere sproporzionato per la ricorrente. Tuttavia, tale studio persegue un obiettivo differente e rientra in una logica diversa rispetto a quella sottesa all’analisi che incombe alla BCE in forza dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera f), e dell’articolo 16, paragrafo 1, lettera c), e paragrafo 2, lettera d), del regolamento n. 1024/2013. In forza di tali disposizioni, spetta infatti alla BCE valutare la necessità di adottare la misura di cui trattasi alla luce della situazione individuale dell’ente interessato tenendo conto, segnatamente, degli eventuali dispositivi, strategie, processi o meccanismi che quest’ultimo abbia attuato.

82      Di conseguenza, si deve necessariamente constatare che, non avendo proseguito il proprio esame al di là della semplice constatazione del rischio potenziale generato dall’IPC per il fatto del suo trattamento contabile come elemento fuori bilancio, non avendo esaminato la situazione concreta della ricorrente, e segnatamente il suo profilo di rischio nonché il suo livello di liquidità, e non avendo tenuto conto di eventuali fattori attenuanti il rischio potenziale, la BCE non ha effettuato l’esame prudenziale individuale della ricorrente quale imposto dall’articolo 4, paragrafo 1, lettera f), e dall’articolo 16, paragrafo 1, lettera c), e paragrafo 2, lettera d), del regolamento n. 1024/2013, cosicché tali disposizioni sono state violate.

83      Essendo fondata la censura vertente sull’assenza di esame individuale, il primo motivo deve essere accolto.

84      Ne consegue che il presente ricorso, nella parte in cui è diretto all’annullamento parziale delle decisioni impugnate, deve essere dichiarato fondato, senza che sia necessario esaminare gli altri motivi di ricorso dedotti dalla ricorrente.

 Sulle spese

85      Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. La BCE, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese, conformemente alla domanda della ricorrente.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione ampliata)

dichiara e statuisce:

1)      Le cause T150/18 e T345/18 sono riunite ai fini della presente sentenza.

2)      I punti da 9.1 a 9.3 della decisione ECB/SSM/2017-R0MUWSFPU8MPRO8K5P83/248 della Banca centrale europea (BCE), del 19 dicembre 2017, i punti da 9.1 a 9.3 della decisione ECB-SSM-2018-FRBNP-17 della BCE, del 26 aprile 2018, e i punti da 8.1 a 8.4 della decisione ECB-SSM-2019-FRBNP-12 della BCE, del 14 febbraio 2019, sono annullati.

3)      La BCE è condannata alle spese.

Buttigieg

Schalin

Berke

Costeira

 

      Mac Eochaidh

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 9 settembre 2020.

Firme


*      Lingua processuale: il francese.