Language of document : ECLI:EU:T:2005:312

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

13 settembre 2005 (*)

«Marchio comunitario – Domanda di nullità – Marchio comunitario figurativo contenente l’elemento denominativo INTERTOPS – Marchio contrario all’ordine pubblico o al buon costume – Art. 7, n. 1, lett. f), e n. 2, e art. 51 del regolamento (CE) n. 40/94»

Nella causa T-140/02,

Sportwetten GmbH Gera, con sede in Gera (Germania), rappresentata dall’avv. A. Zumschlinge,

ricorrente,

contro

Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), rappresentato dai sigg. D. Schennen e G. Schneider, in qualità di agenti,

convenuto,

controinteressato nel procedimento dinanzi alla commissione di ricorso dell’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), interveniente dinanzi al Tribunale:

Intertops Sportwetten GmbH, con sede in Salisburgo (Austria), rappresentata inizialmente dall’avv. H. Pfeifer, successivamente dall’avv. R. Heimler,

avente ad oggetto un ricorso proposto contro la decisione della quarta commissione di ricorso dell’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) 21 febbraio 2002 (procedimento R 338/2000-4), relativa ad una domanda di nullità del marchio comunitario figurativo INTERTOPS,

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Seconda Sezione),

composto dai sigg. J. Pirrung, presidente, A. W. H. Meij e dalla sig.ra I. Pelikánová, giudici,

cancelliere: sig. J. Plingers, amministratore

visto il ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 2 maggio 2002,

visto il controricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 5 agosto 2002,

visto il controricorso dell’interveniente, depositato presso la cancelleria del Tribunale il 22 agosto 2002,

vista la replica depositata presso la cancelleria del Tribunale il 7 gennaio 2003,

vista la controreplica dell’interveniente, depositata presso la cancelleria del Tribunale il 29 luglio 2003,

in seguito alla trattazione orale del 16 febbraio 2005,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Antefatti alla controversia

1        L’11 gennaio 1999 l’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) ha pubblicato la registrazione, richiesta dall’interveniente, ai sensi del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), come marchio comunitario del segno figurativo riprodotto qui di seguito e per il quale erano stati rivendicati i colori rosso, bianco e nero:

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2        I servizi per i quali veniva richiesta la registrazione del marchio rientrano nella classe 42 ai sensi dell’Accordo di Nizza 15 giugno 1957, relativo alla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, come riveduto e modificato, e corrispondono alla seguente descrizione: «Servizi prestati da bookmaker, servizi connessi a scommesse di ogni genere» (in prosieguo: i «servizi in questione» ed il: «marchio comunitario in questione»).

3        Il 17 maggio 1999 la ricorrente ha presentato all’Ufficio una domanda di nullità relativa al marchio comunitario in questione, ai sensi dell’art. 51, n. 1, lett. a), del regolamento (CE) n. 40/94. A sostegno della sua domanda, essa ha invocato l’impedimento assoluto alla registrazione di cui all’art. 7, n. 1, lett. f), e n. 2, del regolamento n. 40/94.

4        In tale data essa era anche titolare del marchio tedesco avente ad oggetto il segno denominativo INTERTOPS SPORTWETTEN (in prosieguo: il «marchio tedesco») per i medesimi servizi sopramenzionati.

5        Con decisione 2 febbraio 2002, la divisione di annullamento dell’Ufficio ha respinto la domanda di nullità, in quanto il marchio comunitario in questione non era contrario né all’ordine pubblico né al buon costume.

6        Con decisione 21 febbraio 2002 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), la commissione di ricorso ha respinto il ricorso presentato dalla ricorrente e ha condannato quest’ultima alle spese relative al procedimento di ricorso.

7        Infatti, secondo la commissione di ricorso, è il marchio stesso che va esaminato per valutare se esso sia contrario all’art. 7, n. 1, lett. f), del regolamento n. 40/94. Orbene, la ricorrente non avrebbe sostenuto che il marchio comunitario in questione è di per sé contrario, anche solo in Germania, all’ordine pubblico e al buon costume. La questione se il diritto pubblico osti a che l’interveniente proponga i servizi in questione, in quanto tali, in una parte della Comunità, o se la pubblicità che essa ne fa sia, in quanto tale, contraria al buon costume non avrebbe alcun rapporto con il marchio con il quale essa decide di offrire i suoi servizi. L’impossibilità per l’interveniente di servirsi del marchio comunitario in questione in Germania sarebbe, a rigore, una conseguenza dell’illiceità dell’offerta dei servizi in questione, ma non consentirebbe di concludere per l’illiceità dell’uso di tale marchio in quanto tale. Di conseguenza, secondo la commissione di ricorso, non è necessario né esaminare, in particolare, la questione se occorra interpretare l’art. 7 del regolamento n. 40/94 in modo autonomo oppure in relazione alle particolarità nazionali in materia, né esaminare le conclusioni a cui potrebbe portare l’art. 106, n. 2, del regolamento n. 40/94.

 Conclusioni delle parti

8        La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        dichiarare nullo il marchio comunitario in questione;

–        in via subordinata, constatare che il marchio comunitario in questione non può essere opposto al marchio tedesco.

9        L’Ufficio chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

10      L’interveniente conclude che il Tribunale voglia respingere le conclusioni della ricorrente.

11      Nella sua controreplica, l’interveniente chiede che il Tribunale aggiunga al fascicolo la decisione del Deutsches Patent- und Markenamt (Ufficio tedesco dei brevetti e dei marchi) 23 agosto 2000, con cui quest’ultimo ha ordinato la cancellazione del marchio tedesco.

12      Durante l’udienza, l’interveniente ha chiesto anche che la ricorrente sia condannata alle spese.

 In diritto

 Sul primo punto di conclusioni della ricorrente, diretto all’annullamento della decisione impugnata

 Motivi e argomenti delle parti

13      A sostegno della sua domanda di annullamento, la ricorrente fa valere un motivo unico, relativo alla circostanza che la decisione impugnata viola il combinato disposto dell’art. 51 del regolamento n. 40/94 e dell’art. 7, n. 1, lett. f), e n. 2, del detto regolamento.

14      Essa rileva che le legislazioni di numerosi Stati membri, in particolare quella della Germania, prevedono che solo le imprese riconosciute dalle autorità nazionali sul loro rispettivo territorio siano autorizzate ad offrire i servizi in questione. Poiché l’interveniente non dispone di una licenza per offrire i servizi in questione in Germania, con riferimento all’art. 284 dello Strafgesetzbuch (codice penale tedesco), essa non sarebbe autorizzata, in tale paese, ad offrire tali servizi e a pubblicizzarli. Con sentenza 14 marzo 2002, il Bundesgerichtshof (Corte federale tedesca di Cassazione) le avrebbe vietato di pubblicizzare i suoi servizi in Germania, e diverse decisioni giudiziarie tedesche avrebbero vietato a terzi di usare il marchio comunitario in questione in Germania. Peraltro, l’interveniente stessa avrebbe ammesso, in diverse controversie in Germania, che essa non vi potrebbe ottenere una tale licenza. La ricorrente aggiunge che le normative nazionali sopramenzionate, compreso l’art. 284 dello Strafgesetzbuch, sono conformi al diritto comunitario (sentenze della Corte 24 marzo 1994, causa C‑275/92, Schindler, Racc. pag. I‑1039; 21 settembre 1999, causa C‑124/97, Läärä e a., Racc. pag. I‑6067, e 21 ottobre 1999, causa C‑67/98, Zenatti, Racc. pag. I‑7289).

15      Ne consegue, secondo la ricorrente, che il marchio comunitario in questione è contrario all’ordine pubblico e al buon costume in Germania e negli altri Stati membri, ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. f), del regolamento n. 40/94.

16      Essa rinvia, a tal riguardo, alle decisioni del Bundespatentgericht (Tribunale federale tedesco dei brevetti) nelle cause «McRecht», «McLaw» e «Cannabis», in quanto, sebbene non vi sia stato accertato un motivo di nullità, in esse è stato considerato che, quando un dato prestatario non è autorizzato a offrire i suoi servizi in virtù di un divieto legale, egli non detiene alcun diritto sul marchio relativo alla prestazione di tali servizi.

17      La ricorrente contesta poi che siano richieste norme europee uniformi per interpretare l’art. 7, n. 1, lett. f), del regolamento n. 40/94. Infatti, dalla giurisprudenza menzionata, e in particolare dalla sentenza Zenatti, citata, deriverebbe che le valutazioni nazionali in materia di regolamentazione della raccolta di scommesse sugli avvenimenti sportivi devono essere prese in considerazione a livello europeo. L’art. 106, n. 2, del regolamento n. 40/94 non significherebbe che tali valutazioni debbano essere prese in considerazione solo a livello nazionale, ma che esse possono essere prese in considerazione anche a tale livello. Altrimenti, secondo la ricorrente, l’art. 7, n. 2, del regolamento n. 40/94 verrebbe privato di sostanza in quanto, nel caso in cui il marchio comunitario in questione non possa essere usato solo in una parte della Comunità, sarebbe esclusa una dichiarazione di nullità di tale marchio.

18      La ricorrente fa valere anche che, con riferimento al principio secondo cui un marchio deve essere usato per continuare ad essere protetto, qualora il suo uso sia escluso a priori per i servizi per cui è registrato e sia vietato qualsiasi altro uso nel settore di tali servizi, esso non può assolutamente essere sfruttato economicamente e non esiste alcun diritto alla registrazione. Per quanto riguarda i marchi comunitari, sebbene il loro uso in un solo Stato membro basti a soddisfare l’obbligo di uso previsto dall’art. 15 del regolamento n. 40/94, l’art. 7, n. 2, di tale regolamento esprimerebbe il principio secondo cui il titolare di un marchio è in grado di utilizzarlo dappertutto nella Comunità ad esclusione di una parte trascurabile di questa.

19      Peraltro, la ricorrente fa valere che, poiché la registrazione del marchio comunitario in questione è stata richiesta il 27 novembre 1996, per cui essa è prioritaria rispetto al marchio tedesco, se il marchio comunitario non fosse dichiarato nullo, essa non potrebbe utilizzare il marchio tedesco, laddove l’interveniente non è autorizzato a offrire i suoi servizi in Germania.

20      Infine, la ricorrente contesta l’interpretazione dell’art. 7, n. 1, lett. f), del regolamento n. 40/94 proposta dall’Ufficio, secondo cui tale disposizione consente solo di rifiutare la registrazione dei marchi manifestamente contrari alle norme fondamentali della vita in società, quali le offese o le blasfemie. In ogni caso, pur ammettendola, tale disposizione sarebbe violata nella fattispecie. Infatti, dalla giurisprudenza menzionata deriverebbe che la Corte dà una grande importanza alla tutela dei cittadini contro il rischio di sfruttamento della loro passione per il giuoco. I servizi che possono condurre una persona alla rovina materiale, sfruttando tale passione, dovrebbero essere valutati allo stesso modo delle offese e delle blasfemie.

21      L’Ufficio e l’interveniente contestano la fondatezza del presente motivo.

 Giudizio del Tribunale

22      Va innanzi tutto ricordato che l’art. 51, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94, nella sua versione applicabile sino al 9 marzo 2004, data in cui è entrato in vigore il regolamento (CE) del Consiglio 19 febbraio 2004, n. 422, che modifica il regolamento n. 40/94 (GU L 70, pag. 1), prevede che la nullità di un marchio comunitario venga dichiarata, su domanda presentata all’Ufficio, «allorché è stato registrato in contrasto con le disposizioni (…) dell’articolo 7 [del medesimo regolamento]».

23      Quest’ultima disposizione prevede, al n. 1, lett. f), che siano esclusi dalla registrazione «i marchi contrari all’ordine pubblico o al buon costume» e, al n. 2, che «[i]l paragrafo 1 si applica anche se le cause d’impedimento esistono soltanto per una parte della Comunità».

24      Va innanzi tutto constatato che gli argomenti della ricorrente, nella parte in cui si riferiscono asseritamente a Stati membri diversi dalla Germania, non sono sostenuti da alcun elemento concreto e preciso. Di conseguenza, in tale misura, questi argomenti sono irrilevanti.

25      Occorre poi constatare che la ricorrente non ritiene che il segno a cui si riferisce il marchio comunitario in questione sia, in quanto tale, contrario all’ordine pubblico o al buon costume, né che lo siano i servizi designati da tale marchio. I suoi argomenti si riferiscono, in particolare, alla tesi secondo cui, in virtù di una normativa nazionale che prevede che solo le imprese riconosciute dalle autorità competenti siano autorizzate ad offrire servizi relativi alle scommesse, è vietato all’interveniente offrire, in Germania, i servizi in questione e pubblicizzarli. A tal riguardo è pacifico che l’interveniente non è autorizzata ad offrire, in Germania, i servizi in questione.

26      Tuttavia, il Tribunale considera che tale circostanza non implica che il marchio comunitario in questione sia contrario all’ordine pubblico o al buon costume ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. f), del regolamento n. 40/94.

27      A tale riguardo va innanzi tutto rilevato che, come è stato accertato nella decisione impugnata e come sostengono l’Ufficio e l’interveniente, è il marchio stesso, vale a dire il segno in relazione ai prodotti o ai servizi quali figurano nella registrazione del marchio, che va esaminato per valutare se esso sia contrario all’ordine pubblico o al buon costume.

28      A tal proposito occorre rilevare che, nella sua sentenza 9 aprile 2003, causa T‑224/01, Durferrit/UAMI – Kolene (NU-TRIDE) (Racc. pag. II-1589), il Tribunale ha sottolineato che risulta dalla lettura complessiva dei vari commi dell’art. 7, n. 1, del regolamento n. 40/94 che questi ultimi si riferiscono alle caratteristiche intrinseche del marchio richiesto e non a circostanze relative al comportamento del soggetto che richiede il marchio (punto 76).

29      Orbene, non può essere considerato che la circostanza secondo cui sarebbe vietato all’interveniente, in Germania, di offrire i servizi in questione e di pubblicizzarli si riferisca alle qualità intrinseche di tale marchio, ai sensi dell’interpretazione menzionata. Tale circostanza non può avere quindi la conseguenza di rendere il marchio stesso contrario all’ordine pubblico o al buon costume.

30      Va poi rilevato che nessun argomento sollevato, peraltro, dalla ricorrente può modificare tale valutazione.

31      Infatti, per quanto riguarda le decisioni del Bundespatentgericht nelle cause citate McRecht, McLaw e Cannabis, dalla giurisprudenza risulta che il regime comunitario dei marchi rappresenta un sistema autonomo, la cui applicazione è indipendente da ogni sistema nazionale [sentenza del Tribunale 5 dicembre 2000, causa T‑32/00, Messe München/UAMI (electronica), Racc. pag. II‑3829, punto 47]. Di conseguenza, la registrazione di un segno come marchio comunitario dev’essere valutata solo sulla base della normativa comunitaria pertinente [sentenza del Tribunale 9 ottobre 2002, causa T‑36/01, Glaverbel/UAMI (superficie di una lastra di vetro), Racc. pag. II‑3887, punto 34]. Ne consegue che le dette decisioni del Bundespatentgericht sono irrilevanti nella fattispecie. In ogni caso, è giocoforza constatare che, come ammette la ricorrente, nessuna di queste ha accertato un motivo di nullità. Del resto, esse si riferiscono a segni e prodotti diversi da quelli della fattispecie.

32      Per quanto riguarda l’argomento relativo al principio secondo cui un marchio deve essere usato per continuare ad essere protetto, basta ricordare che, come è stato rilevato sopra, è il marchio stesso, vale a dire il segno in relazione ai prodotti o servizi come figurano alla registrazione del marchio, che occorre esaminare ai fini dell’applicazione dell’art. 7, n. 1, lett. f), del regolamento n. 40/94. Ne consegue che qualsiasi questione legata all’uso del marchio comunitario in questione è irrilevante per quanto riguarda l’applicazione di tale disposizione.

33      Per quanto riguarda l’argomento secondo cui, se il marchio comunitario in questione non fosse dichiarato nullo, la ricorrente non potrebbe usare il suo marchio tedesco, basta rilevare che, pur ammettendolo, esso è irrilevante per quanto riguarda la questione se il marchio comunitario sia contrario all’ordine pubblico o al buon costume. Infatti, quest’ultima questione, l’unica trattata nella fattispecie, rientra negli impedimenti assoluti alla registrazione che figurano all’art. 7 del regolamento n. 40/94 e che costituiscono l’oggetto di una valutazione autonoma, senza alcun nesso con gli altri marchi. La questione dell’uso, da parte della ricorrente, del suo marchio tedesco è quindi irrilevante nella fattispecie.

34      Infine, per quanto riguarda l’argomento relativo all’art. 106, n. 2, del regolamento n. 40/94, va ricordato che tale disposizione dispone che «[i]l [detto] regolamento lascia impregiudicato, salvo disposizioni contrarie, il diritto di proporre, a norma del diritto civile, amministrativo o penale di uno Stato membro o sulla base di disposizioni di diritto comunitario, azioni dirette a vietare l’uso di un marchio comunitario qualora il diritto di tale Stato membro o il diritto comunitario possa essere invocato per vietare l’uso di un marchio nazionale».

35      Orbene, sebbene da tale disposizione risulti che l’uso di un marchio può essere vietato in base, in particolare, a norme relative all’ordine pubblico e al buon costume, nonostante il fatto che tale marchio sia protetto da una registrazione comunitaria, non ne deriva che tale facoltà sia rilevante con riferimento alla questione posta dall’art. 51, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94 e sollevata dalla ricorrente, vale a dire quella se tale marchio sia stato registrato in conformità con le disposizioni dell’art. 7 del medesimo regolamento. Di conseguenza, il presente argomento deve essere respinto.

36      Peraltro, poiché sopra è stato affermato che la circostanza secondo cui l’interveniente non sarebbe autorizzata, in Germania, a offrire i servizi in questione e a pubblicizzarli non implica affatto che il marchio comunitario in questione sia contrario all’art. 7, n. 1, lett. f), del regolamento n. 40/94, non è necessario esaminare la questione, dibattuta tra le parti, se tale disposizione debba essere interpretata autonomamente. Parimenti, non è necessario esaminare né l’esattezza dell’interpretazione di tale disposizione proposta dall’Ufficio né gli argomenti sollevati dalla ricorrente in risposta a tale interpretazione.

37      Infine, poiché la circostanza secondo cui l’interveniente non sarebbe autorizzata, in Germania, a offrire i servizi in questione e a pubblicizzarli non è pertinente per quanto riguarda l’applicazione dell’art. 7, n. 1, lett. f), del regolamento n. 40/94, non occorre esaminare se, come sostiene l’interveniente, tale circostanza equivalga a violare la libera prestazione dei servizi.

38      Da quanto precede discende che il motivo unico fatto valere a sostegno del primo punto di conclusioni non può essere accolto e che pertanto tale punto deve essere respinto.

 Sul secondo punto di conclusioni, diretto a far dichiarare nullo il marchio comunitario in questione

39      Per quanto riguarda il secondo punto di conclusioni, va rilevato che dal contesto in cui si presentano i primi due punti di conclusioni deriva che il secondo presuppone che il primo, diretto all’annullamento della decisione impugnata, sia, almeno parzialmente, accolto e che quindi, come la ricorrente ha confermato in udienza, il secondo viene presentato solo nel caso in cui venga accolto il primo punto.

40      Orbene, poiché non è stato concluso che occorre annullare la decisione impugnata, non è necessario pronunciarsi sulla ricevibilità o sul merito del secondo punto delle conclusioni. (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 22 giugno 2004, causa T‑66/03, «Drie Mollen sinds 1818»/UAMI – Nabeiro Silveria (Galáxia), Racc. pag. II‑1765, punti 50 e 51).

 Sul terzo punto di conclusioni, presentato in via subordinata e diretto a constatare che il marchio comunitario in questione non può essere opposto al marchio tedesco

 Argomenti delle parti

41      A sostegno di tale domanda, la ricorrente spiega che deve essere dimostrato chiaramente che il marchio comunitario in questione non accorda al suo titolare un effetto di «sbarramento» globale per tutta la Comunità quando le è impossibile utilizzarlo in una parte di questa, laddove tale possibilità è aperta ad altre imprese.

42      In udienza, l’Ufficio e l’interveniente hanno sostenuto che tale terzo punto di conclusioni doveva essere dichiarato irricevibile, in mancanza di argomenti sufficienti e a causa del fatto che una tale decisione rientrerebbe nell’ambito del diritto nazionale e non nella competenza del Tribunale.

 Giudizio del Tribunale

43      Occorre statuire su tale punto di conclusioni subordinato, in quanto, come è stato affermato sopra, il primo ed il secondo punto di conclusioni, presentati in via principale, devono essere respinti.

44      Tuttavia, poiché la ricorrente non solleva alcun elemento a sostegno di tale terzo punto di conclusioni, occorre dichiararlo irricevibile, in quanto esso non soddisfa il requisito posto dall’art. 44, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura del Tribunale secondo cui il ricorso contiene in particolare l’esposizione sommaria dei motivi.

 Sulla domanda presentata dall’interveniente, diretta all’aggiunta al fascicolo della decisione con cui il Deutsches Patent- und Markenamt ha ordinato la cancellazione del marchio tedesco

45      A tale riguardo è sufficiente rilevare che, poiché non occorre statuire sulla domanda della ricorrente diretta a far dichiarare nullo il marchio comunitario in questione e il presente ricorso deve essere respinto per il resto, non occorre statuire sulla presente domanda dell’interveniente.

 Sulle spese

46      Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Nella fattispecie la ricorrente è rimasta soccombente e l’Ufficio ha chiesto che essa venga condannata alle spese. In udienza l’interveniente ha parimenti chiesto che la ricorrente venga condannata alle spese. Il fatto che essa abbia concluso in tal senso solo in udienza non osta a che la sua domanda venga accolta (sentenza della Corte 29 marzo 1979, causa 113/77, NTN Toyo Bearing e a./Consiglio, Racc. pag. 1185, e conclusioni dell’avvocato generale M. Warner presentate in tale sentenza, Racc. pag. 1212, in particolare pag. 1274). Occorre dunque condannare la ricorrente a tutte le spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Non occorre statuire né sulla domanda della ricorrente diretta a far dichiarare nullo il marchio comunitario figurativo contenente l’elemento denominativo INTERTOPS, né sulla domanda dell’interveniente diretta all’aggiunta di un documento al fascicolo.

2)      Il ricorso è respinto per il resto.

3)      La ricorrente è condannata a tutte le spese.


Pirrung

Meij

Pelikánová


Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 13 settembre 2005.


Il cancelliere

 

       Il presidente


H. Jung

 

       J. Pirrung


* Lingua processuale: il tedesco.